Come il conflitto ucraino ha cambiato la Russia, di ROBERTO IANNUZZI

Come il conflitto ucraino ha cambiato la Russia

Il paese sta vivendo una fase contrassegnata da una battaglia esistenziale con l’Occidente, e da una ridefinizione dei suoi obiettivi strategici e della sua identità politica e sociale.

Putin in occasione della parata militare sulla Piazza Rossa, 9 maggio 2016 (kremlin.ruCC BY 4.0)

Più di due anni di conflitto in Ucraina non solo hanno rivoluzionato la politica estera russa, ma anche trasformato la società del paese forse irreversibilmente, al punto che la Russia ha oggi un’identità nuova e profondamente diversa rispetto ad alcuni anni fa.

Il ruolo internazionale del paese, la sua posizione nel mondo, gli obiettivi e la visione della sua classe dirigente – tutto è profondamente mutato.

Per la prima volta dal crollo del muro la Russia è realmente in guerra, non per risolvere qualche crisi ai margini della sua enorme massa territoriale, ma per combattere un conflitto esistenziale su un fronte lungo più di 1.000 chilometri, non molto lontano da Mosca, contro l’intero Occidente.

Gli Stati Uniti, infiltrandosi per anni in Ucraina, hanno trasformato quello che molti russi consideravano un paese fratello in un pericoloso nemico dal punto di vista di Mosca.

La breve parentesi della “pace fredda”

La crescente pressione e ostilità occidentale è riuscita a trasformare, nell’arco di poco più di due decenni, la leadership inizialmente forse più occidentalizzata ed europeista della Russia moderna – incluso lo stesso presidente Vladimir Putin – in una dirigenza fermamente determinata a contrastare le politiche americane ed europee nel continente.

Come ha affermato il politologo britannico Richard Sakwa, le radici della crisi fra Russia e Occidente vanno ricercate nei 25 anni di “pace fredda” seguiti alla fine della Guerra Fredda chiusasi nel 1989.

Durante questo periodo, non un solo problema della sicurezza europea è stato affrontato e risolto. Gli europei non sono riusciti a creare un’architettura di pace inclusiva in grado di integrare l’intero continente, preferendo la soluzione atlantista dell’espansione a oltranza della NATO.

Nelle parole di Sakwa,

“l’Occidente percepì la fine della Guerra Fredda nel 1989 come una vittoria, mentre nell’URSS di Gorbaciov si parlava di un ritorno ai valori umani universali e si contava su rapporti paritari con l’Occidente, riconoscendo l’economia di mercato e i diritti umani. Nel 1989 Gorbaciov era fiducioso che “lo spirito dell’aprile 1945” – quando i soldati sovietici e americani si abbracciarono sull’Elba – fosse tornato. Ma in Occidente avevano dimenticato da tempo questo spirito e si comportarono con l’URSS, e poi con la Russia, non come partner, ma come vincitori”.

Con il rovesciamento del presidente ucraino Viktor Yanukovych, al culmine della rivolta di Maidan sostenuta dagli USA nel 2014, la parentesi della “pace fredda” si chiudeva tragicamente per dar luogo ad una nuova, ed ancor più pericolosa, Guerra Fredda fra Russia e Occidente.

Mosca guarda al mondo non occidentale

E’ da quell’anno che in Russia si è cominciato a parlare di una “svolta verso Oriente”, verso l’Asia e il Pacifico. Ma molti di quei discorsi erano rimasti sulla carta. Gli ultimi due anni di guerra hanno invece prodotto una trasformazione epocale.

La massiccia mobilitazione occidentale a sostegno del governo di Kiev, il sabotaggio anglo-americano dei negoziati russo-ucraini nella primavera 2022, gli attacchi in profondità in territorio russo logisticamente supportati dalle intelligence occidentali, hanno provocato un radicale cambio di atteggiamento da parte russa, in particolare nei confronti degli ex partner europei.

Il nuovo “concetto di politica estera” formulato nel 2023 definiva per la prima volta la Russia non soltanto come uno Stato, ma come una “civiltà” distinta e come una potenza eurasiatica, estesa dall’Europa al Pacifico.

Le priorità della diplomazia russa mutarono di conseguenza, ponendo in primo piano i paesi del vicinato “post-sovietico”, seguiti da Cina e India, dall’Asia e dal Medio Oriente, dall’Africa e dall’America Latina. Europa e USA giungevano ultimi.

Come ha scritto Dmitri Trenin (politologo russo che, sebbene firma storica dell’americano Carnegie Moscow Center, dopo il febbraio 2022 ha deciso di tagliare i ponti con l’Occidente abbracciando in pieno la propria rinnovata identità russa),

“In appena due anni, l’Unione Europea, che fino a poco tempo prima rappresentava il 48% del commercio estero [russo], è scesa al 20%, mentre la quota dell’Asia è salita dal 26 al 71%. Anche l’uso del dollaro statunitense da parte della Russia è crollato, con un numero sempre maggiore di transazioni condotte nello yuan cinese e in altre valute non occidentali come la rupia indiana e il dirham degli Emirati Arabi Uniti […]”.

Mosca, sottolinea Trenin, ha anche abbandonato i suoi tentativi di adattarsi all’ordine mondiale a guida USA, che aveva entusiasticamente cercato di abbracciare all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, per poi rimanere disillusa e passare all’altrettanto difficile sforzo di trovare una scomoda convivenza con esso all’inizio del nuovo millennio.

La Russia forgiata dal conflitto ucraino considera l’attuale ordine mondiale come irreparabilmente compromesso e cerca, in maniera ben più esplicita della Cina, di costituire un ordine alternativo.

Dal punto di vista russo, non solo non ci si può più fidare dei paesi occidentali, ma gli organismi internazionali da essi controllati hanno perso ogni legittimità. Mosca ha dunque ristabilito la supremazia della legislazione nazionale sui trattati internazionali che aveva stipulato con l’Occidente.

In base a questa visione, i partner della Russia possono dunque essere trovati solo al di fuori del fronte occidentale, fra coloro che non prendono parte al sistema di sanzioni imposto da Washington e Bruxelles.

Mosca ha perciò profuso grande impegno nella presidenza di turno dei BRICS, assunta all’inizio del 2024, e lavora a stretto contatto con paesi asiatici, africani, mediorientali, latinoamericani, per creare meccanismi internazionali indipendenti dal dominio occidentale nel campo commerciale, finanziario, tecnologico, sanitario e dell’informazione.

Ritorno ai valori tradizionali

Anche sul fronte interno, il conflitto ucraino ha avuto un impatto enorme, sebbene la guerra sia concretamente avvertita solo nelle regioni di confine. Il patriottismo, a lungo vituperato e deriso dopo il crollo dell’Unione Sovietica, sta riemergendo con forza.

Valori tradizionali come quello della famiglia, ma anche quelli di sovranità, ordine e gerarchia all’interno di una società la cui armonia e salute è garantita dallo Stato, stanno anch’essi ritrovando vigore.

Sebbene il desiderio di arricchimento non sia scomparso in alcuni ambienti, esso è per certi versi temperato dalla sfida fatale che accomuna l’intera Russia, scrive ancora Trenin.

La cultura popolare sta progressivamente abbandonando l’abitudine di imitare ciò che è di moda in Occidente. Le tradizioni della letteratura, della poesia, dei film e della musica russa hanno invece trovato nuovo impulso.

Le icone culturali che dopo il febbraio 2022 avevano deciso di emigrare in Europa occidentale, in Israele o altrove, sono state rapidamente dimenticate. I giornalisti e gli attivisti russi che criticavano il paese dall’estero stanno perdendo contatto con la loro audience in patria, progressivamente accusati di servire gli interessi dei nemici della Russia.

L’Occidente non è visto come un avversario nel suo complesso. La cultura occidentale, nelle sue manifestazioni tradizionali (dunque a esclusione della cultura woke e dei valori LGBTQ), è tuttora apprezzata. Ma la politica e l’informazione occidentale sono viste in gran parte come nemiche.

L’oligarchia economica russa ha subito un’ulteriore scrematura. I magnati liberali che non hanno voluto rinunciare alle loro ricchezze in Occidente hanno finito per lasciare il paese. Gli altri hanno deciso di costruire il proprio futuro e le proprie fortune all’interno della Russia.

Naturalmente – commenta Trenin – vi sono persone rimaste insoddisfatte di scelte politiche che le hanno private di determinate opportunità. Soprattutto se fra gli interessi di queste persone vi era la ricchezza individuale. Gli esponenti di questo gruppo che non sono andati all’estero se ne stanno in silenzio, sperando in privato che, in qualche modo, i “bei vecchi tempi” ritornino. “È probabile che rimarranno delusi”, conclude Trenin.

Le “correzioni” del sistema

Le élite russe, che fin dagli anni ’90 avevano stretto forti legami con l’Occidente, hanno dovuto compiere scelte difficili. Coloro che hanno deciso di rimanere, hanno adottato un comportamento maggiormente in armonia con il patriottismo e la ritrovata identità nazionale della Russia.

Le diverse fazioni e i vari centri di potere che si confrontano nel panorama politico continuano a competere senza esclusione di colpi, ed a perseguire i propri interessi, purché essi non confliggano con il supremo interesse nazionale.

Gli eccessi vengono “autocorretti” dal sistema. E’ stato così per il caso Prigozhin. Più recentemente qualcosa di analogo è avvenuto al suo avversario, il ministro della difesa Sergei Shoigu, “promosso” da Putin a segretario del Consiglio di sicurezza della Russia, un organo importante ma dal valore eminentemente consultivo, ben lontano dal potere incarnato dal ministero della difesa grazie alle enormi somme di denaro da esso gestite.

Il trasferimento di Shoigu è avvenuto in coincidenza con l’arresto di due figure a lui molto vicine nel ministero, il viceministro Timur Ivanov e il generale Yuri Kuznetsov (capo del dipartimento del personale del ministero) per questioni di corruzione. A tali arresti hanno fatto seguito quelli del generale Ivan Popov e, ultimamente, del generale Vadim Shamarin.

Garante e arbitro di questo sistema e delle sue correzioni interne è Vladimir Putin il quale, lungi dall’essere un autocrate o dittatore assoluto, funge da punto di equilibrio tra le spinte provenienti dai diversi gruppi politici, ideologici, finanziari, etnici e clanici che compongono il panorama politico russo.

Sebbene la quota maggiore di controllo, e di potere, sia riservata a lui, Putin di volta in volta la gestisce in compartecipazione con esponenti e porzioni dei gruppi sopra citati.

Le correzioni apportate da Putin al sistema non sono mai troppo aspre o repentine, al fine di non provocare squilibri improvvisi o panico all’interno del gruppo dirigente o dell’esercito. E’ stato così nel caso di Shoigu, avvenne qualcosa di analogo nel caso Prigozhin, che fu semplicemente emarginato e solo successivamente eliminato, probabilmente non dal presidente russo ma da altre componenti del sistema.

Miti fondativi e legittimazione del potere

La travolgente vittoria ottenuta da Putin alle elezioni presidenziali dello scorso marzo, che gli ha assicurato un nuovo mandato di sei anni, può essere considerata come un voto di fiducia nei suoi confronti, in qualità di arbitro e traghettatore della Russia in questa transizione epocale che vede il paese impegnato in una battaglia esistenziale con l’Occidente, e in un ri-orientamento dei suoi obiettivi strategici verso l’Asia e il mondo non occidentale.

Lo sfoggio di potere che ha accompagnato l’inaugurazione della nuova presidenza Putin, l’8 maggio scorso, non aveva un fondamento “neo-zarista”, come qualcuno in Occidente ha banalmente rimarcato, e dunque non celebrava la figura di Putin in quanto “monarca” della Russia, ma piuttosto l’idea stessa della nuova Russia, una sorta di orchestra sinfonica della quale Putin è solamente il direttore, e che ha tra i suoi miti fondativi essenziali la vittoria nella seconda guerra mondiale, la “grande guerra patriottica”, celebrata nell’imponente parata del giorno successivo.

Sforzo bellico e gestione dell’economia

Nel quadro della transizione epocale che la Russia sta vivendo, si inserisce anche l’attenta gestione dello sforzo bellico in quella che è vista come una lunga guerra di logoramento.

Particolare attenzione è rivolta all’apporto che tale sforzo può dare all’economia del paese, e ai necessari correttivi per evitare l’ingenerarsi di squilibri e favorire una rapida riconversione economica al termine del conflitto.

In tale ottica va considerato l’arrivo di Andrei Belousov, un economista di grande esperienza, non un militare, alla guida del ministero della difesa. Obiettivo primario è l’ottimizzazione della spesa militare coniugata con la continua innovazione, tale da consentire alle forze armate russe di rimanere all’avanguardia a livello mondiale, allo stesso tempo non trascurando lo sviluppo dell’economia civile e gli investimenti a sfondo sociale.

Attraverso quello che di fatto è un meccanismo di redistribuzione della ricchezza, l’aumento della produzione bellica sta ricompensando le regioni più povere del paese, dove sono situate le industrie della difesa che hanno ottenuto i maggiori finanziamenti.

Da queste stesse regioni provengono i volontari e le reclute della mobilitazione parziale annunciata nel settembre 2022. Offrendo salari molto superiori alla media nazionale, il ministero della difesa è stato in grado di arruolare più di 30.000 volontari al mese.

Grazie a questa campagna di reclutamento, si stima che l’esercito russo sia attualmente più grande del 15% rispetto all’inizio della guerra.

Mosca e Pechino, un destino comune

Nel quadro della sfida epocale che la Russia sta affrontando, ugualmente importante e simbolica è stata la visita compiuta da Putin a Pechino.

In questa fase così difficile, la Cina ha offerto a Mosca un’insostituibile profondità strategica ed economica. Nel 2023, gli scambi russi con Pechino hanno raggiunto la cifra record di 240,1 miliardi di dollari, con un aumento di oltre il 60% rispetto ai livelli prebellici. La Cina ha assorbito il 30% delle esportazioni russe e fornito quasi il 40% delle sue importazioni.

Prima della guerra, gli scambi russi con l’Unione Europea erano il doppio rispetto a quelli con la Cina; ora sono meno della metà. Lo yuan cinese è attualmente la valuta principale utilizzata nei commerci tra i due paesi, e quella più scambiata alla Borsa di Mosca.

Da Pechino, Putin e il suo omologo Xi Jinping hanno parlato apertamente di un nuovo ordine mondiale fondato sul principio della multipolarità e su una democratizzazione del sistema internazionale, lontano da ogni forma di neocolonialismo e di egemonia.

I due hanno anche parlato della necessità di un’architettura di sicurezza nello spazio eurasiatico, fondata sul principio di sicurezza indivisibile, condannando le ambizioni egemoniche americane. Il solco è ormai tracciato, la sfida è aperta.

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NUOVA ERA – CELESTE IMPERO E MOSCOVIA _ di Daniele Lanza

(parte 1)
Nulla di nuovo, nulla che non si prevedesse già.
Vladimir Putin a una decina di giorni di distanza dal mandato presidenziale ottenuto tramite plebiscito alle urne, che lo conferma fino al 2030 (cioè un trentennio di leadership del paese), non poteva fare nulla di più appropriato che recarsi in visita al più stretto alleato, leader della seconda potenza del pianeta: quest’ultimo è il vero protagonista dell’evento, visto il peso immenso del proprio paese, il proprio incombere economico tanto in occidente quanto in Russia, l’influenza che si spera possa avere nella risoluzione delle attuali crisi globali. Se l’invitato è Vladimir Putin, I riflettori sono in realtà sul padrone di casa.
Nessuna della lunga serie di esternazioni di Xi e Putin che trapela dai media e che viene analizzata dagli osservatori deve destare alcuno stupore: la relazione speciale sino-russa prosegue secondo un corso naturale, secondo quella partnership “senza confini” annunciata alla vigilia della guerra, senza praticamente alcuna variazione di rilievo, malgrado il livello sempre maggiore di tensione che la crisi militare sul fronte europeo genera.
Niente sorprese dunque al grado di successo dell’evento in sè: semmai, il vero problema erano le illusioni occidentali del contrario, ossia che l’intesa si fosse in qualche modo attenuata, nonchè le aspettative ingenue che la recente interazione di Xi coi leader eurocomunitari avrebbe avuto impatto maggiore di quanto è stato nei fatti, i quali sottolineano una differenza di grande respiro tra gli eventi che hanno visto il vertice cinese prima a contatto con gli europei e poi col Cremlino
Ricapitoliamo e compariamo un istante: la settimana scorsa si è assistito ad un passaggio di Xi Jinping in Europa, mentre negli ultimi due giorni la visita ufficiale di Vladimir Putin a Pechino; due eventi a breve distanza l’uno dall’altro, entrambi tanto attesi quanto in realtà remoti tra di loro, nella sostanza.
Il toccata e fuga di Xi presso le capitali europee è stato una cortese e fugace apparizione, talmente discreta ed educata da non lasciare praticamente il segno – mero protocollo istituzionale – laddove invece l’incedere del neoeletto presidente di Russia alle porte della capitale della Repubblica Popolare, davanti a parata militare in alta uniforme, riflette la solennità dell’incontro di due leader globali, che già da lungo tempo hanno stabilito un’intesa che va ben oltre le consuetudini scritte della diplomazia convenzionale.
Naturale corteggiare il dragone cinese, nuova potenza del secolo, ma in pratica se ad occidente abbiamo un’interazione (quella con Macron e von der Leyen) che ricorda più un’escursione turistica, seppur di tenore istituzionale, a Pechino nelle ultime ore abbiamo l’esprimersi di un’affinità elettiva tra imperi. Sì, perchè in fondo è quest’ultima la chiave di volta di tutto: Xi e Putin si comprendono reciprocamente, si RICONOSCONO l’un l’altro come autentici leader di distinte potenze, soggetti liberi ed inidpendenti nell’arena globale, portatori di una cultura plurisecolare (o millenaria nel caso della civiltà sinica) che vede lo stato centrale come elemento sacrale di aggregazione ed il territorio che esso controlla, come estensione ancestrale di una civilizzazione. Cose intepretate ad occidente secondo il proprio prisma che derubrica ad “autocrazia” la priorità di uno stato forte e a “nazionalismo” la difesa dell’identità, proponendo invece un cosmopolitismo liberale basato su un’economia deregolata (o meglio “deregolata” fino al momento in cui sia nell’interesse anglosferico/europeo: quando non lo è più allora si diventa protezionisti e partono I DAZI contro I prodotti cinesi o indiani o di chi si vuole….).
Lo stato russo e lo stato cinese si somigliano, malgrado I differenti percorsi storici, nella misura in cui condividono la medesima matrice metapolitica, la medesima filosofia politica ed esistenziale, di modello continentale/euraoasiatico anzichè atlantico.
I più visionari potrebbero cogliere la differenza che vi era tra la potenza terrestre e collettivista di SPARTA e quella navale e liberale di ATENE.
In parole altre, per essere più chiari, l’UE e I suoi governanti non si trovano nella posizione di dialogare correttamente con Pechino quanto non lo sono con Mosca: non è possibile perchè si parte da differenti impostazioni di base della politica, del concetto di fondo di quanto chiamiamo “STATO”. Un uomo come Xi Jinping non vede I propri omologhi europei (tanti stizziti quanto minuscoli), in quanto tali, cioè alla stregua sua o di Putin, o altri, nella misura in cui lo spettacolo di indecisione, inconcludenza e decadenza culturale che gli si palesa semplicemente non coincide con la sua idea di stato. L’occidente è alieno….e la sua propaggine europea poi, anche effimera (estensione d’oltreoceano): si deve essere cortesi con l’alieno, usare il massimo riguardo, rispettare (senza condividere) tutto ciò che dice e poi salutarlo con il migliore garbo. Questo è puntualmente quanto il leader cinese ha fatto……prima di prepararsi ad abbracciare (lui sì), Putin.
Si potrebbe pensare che il vero protagonista del processo diplomatico che vede coinvolta la Cina nelle ultime settimane, NON sia nemmeno la Cina di per sè (il cui andamento poteva essere previsto da chi volesse vedere), quanto l’incapacità da parte euro-atlantica di comprenderne I comportamenti, l’incapacità di interfacciarsi con entità differenti da sè: un’incapacità che può essere ovviata quando l’interlocutore è in posizione nettamente subalterna (vedi l’Africa neocoloniale per generazioni), ma nel caso quest’ultimo fosse in posizione di parità o addirittura superiorità economico-militare, allora si genera come un corto circuito, una rabbia paralizzante, un senso di depressione ed isteria alternate, di fronte a quanto non si può dominare con le minacce nè circuire.
In sintesi: l’occidente euroamericano, sicuro della propria unità e non considerando qualsiasi altro sistema che non il proprio, vive come nell’illusione di poter intavolare liberamente “intrighi bilaterali” (“intrighi” in quanto finalizzati esclusivamente a portare scompiglio) in modo da tener separati il più possibile I propri rivali nell’arena geopolitica, senza rendersi conto che il XX secolo neocoloniale è CONCLUSO, le sue dinamiche stanno gradualmente scomparendo: nel mondo sta emergendo quella multipolarità nel cui merito gli analisti alternativi tanto si spendono, uno schema delle cose che vede una costante affermazione del BRICS, la cui spina dorsale sul piano militare è l’asse MOSCA-PECHINO.
Il rapporto tra queste due entità è di un differente livello (differente ordine di profondità) rispetto a quello che vi è tra di esse e I paesi occidentali.
I leader europei nella loro ansia di fermare il Cremlino sul campo di battaglia, si sono rivolti – col migliore garbo – a chi ? All’alleato primario di quest’ultimo (no comment)
I governanti UE ci provano a circuire il gigante cinese (ma in che modo poi ? Senza armi di ricatto economico ? Senza aperture nei confronti dell’interesse cinese, bensì chiamandoli “autocrazia ?? Una strana trattativa…), senza poi rendersi conto che non soltanto non è fattibile a siffatte condizioni, ma anzi, la Cina stessa prova a “manovrare” in Europa.
NUOVA ERA – CELESTE IMPERO E MOSCOVIA *
(parte 2)
Per riprendere la questione del triangolo CINA-RUSSIA-EUROPA*
Dunque a parte la verità di fondo tratteggiata nella prima parte, è altresì vero che il “triangolo” suddetto – gli equilibri sul quale si muove – è più complicato di quanto appare.
Da Bruxelles forse non si sono resi conto che non soltanto Xi non è raggirabile, ma al contrario per parte sua cerca LUI di “manovrare” sul continente europeo (contromossa, altro che storie): alla fine dei conti il capitolo più degno di nota della sua breve apparizione è stato non tanto il rapporto con le sue istituzioni centrali (Macron/von der Leyen con un palmo di naso, come anche Scholz il mese prima), quanto rivolgersi direttamente ai due frammenti più periferici e riottosi del continente, rispetto alle normative e alle direttive centrali comunitarie: I contesti conservatori di Ungheria e Serbia, dove è stato accolto calorosamente e ha iniziato un dialogo bilaterale interessante (non si vorrebbe che lo scopo della visita fosse più quello che altro).
Pechino si interessa in qualche modo a quanto – sul continente europeo – può creare una faglia di divisione rispetto tra il suo margine più occidentale e atlantico…..e quanto diverge da esso (stati dell’est Europa, integratisi nell’UE per ragioni di convenienza economica senza riflettere sulle conseguenze sul piano sociale, ovvero sull’imposizione da parte di Bruxelles di politiche inadatte al proprio contesto conservatore). Coltivare una divisione in seno all’UE facendo leva su chi non sia soddisfatto dalle sue politiche liberali significa creare problemi al margine culturalmente più atlantico d’Europa ovvero quello più legato agli USA e di conseguenza rendere più problematico in ultima istanza il rapporto tra Washington e il continente.
Certo, il margine di successo di un’operazione così difficoltosa, rimane oggetto di pura speculazione, eppure la cosa avrebbe conseguenze non indifferenti: Pechino – ormai molto ricercata, soprattutto nel presente momento storico – potrebbe essere più permeabile al dialogo con l’Europa ad intepretare il ruolo di mediatore, alla condizione di non avere un interlocutore (UE) del tutto allineato alle logiche di Washington.
In pratica una Cina più vicina all’Europa, a condizione che quest’ultima non sia una mera emanazione geopolitica del gigante a stelle e strisce (perchè a quel punto allora sarebbe più sensato dialogare DIRETTAMENTE con Washington. Logica pura).
In sintesi : un’Europa più indipendente verrebbe considerata come interlocutore adeguato, arrivando persino a concordare di agire con essa nel ruolo di potente mediatore nella crisi militare contro Mosca: un equilibrio del potere nel vecchio continente bilanciato tra Bruxelles e Mosca con la mediazione della Cina………ma la clausola di tutto è che NON siano gli USA ad avvantaggiarsi da questo compromesso, dal momento che Pechino agirebbe (al massimo) per una stabilizzazione della situazione in Europa a vantaggio di un equilibrio globale e non perchè l’Alleanza Atlantica rafforzi le ulteriormente proprie posizioni.
Il cuore del gioco……..è disgraziatamente la più dolente di tutte le note emerse durante la crisi degli ultimi anni: un’ipotetica indipendenza europea (una chimera de facto). Il punto assume la natura del paradosso nel senso che SE fosse esistita un’Europa indipendente, in assenza di Nato e intromissioni da parte americana, allora NON ci troveremmo nella situazione attuale (la crisi non sarebbe deflagrata oltre il recuperabile nella misura in cui assistiamo oggi: non ci sarebbe stata una guerra con oltre mezzo milione di morti, per il semplice motivo che nessun governante europeo l’avrebbe permesse senza prima una vera trattativa. Un coflitto di queste proporzioni potevano volerlo solo chi sa che non sfiorerà mai I propri confini, ovvero i poteri d’oltreoceano).
Perchè se da’ltro canto scartiamo tale variante e si accetta un compatto blocco euro-americano…allora il risultato sarà – all’opposto – che Pechino dovrà giocoforza allontanarsene, ripiegando conseguentemente sul Cremlino e le sue posizioni. La cosa è assolutamente inevitabile perchè gli USA sono avversari naturali della CINA e pertanto una UE che si identifichi strettamente con Washington diventerà aritmeticamente nemica anch’essa di Pechino col risultato che non potrà domandare favori, proporsi come mediatrice credibile o anche solo intavolare un dialogo che possa portare a risultati.
In pratica ad un agglomerato unico che vede “fuse” UE e USA, se ne contrapporrà un altro di targa RUSSIA-CINA, quasi per legge della fisica.
Come il lettore può rendersi conto, la nullità militare la vacuità politica assoluta di cosa chiamiamo EUROPA sta portando conseguenze di gravissimo livello, assai più di quanto si immaginasse. Come a volte si fa notare, spesso a causare una disgrazia non è sempre soltanto la presenza di un elemento negativo, quanto l’ASSENZA di un elemento (positivo). L’”assenza” è di per sè un male.
Tra gli elementi che ci stanno portando verso il baratro è l’ASSENZA del vecchio continente in cui si vive: fin troppo presente nei secoli passati (quando conquistò il pianeta) ed ora fin troppo assente per impedirne una eventuale distruzione.

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Il complesso industriale non profit e la corruzione della città americana di Jonathan Ireland

Una indagine che potrebbe benissimo essere estesa all’Europa e all’Italia, in un paese, il nostro, nel quale l’associazionismo, spesso collaterale ai partiti e alla chiesa assume un ruolo particolarmente rilevante che nel corso degli anni ha assunto progressivamente forza propria e costruito strutture burocratiche particolarmente influenti che si autoalimentano. Il sito ha trattato diffusamente del tema dell’affidamento dei bambini alle case-famiglia e del modo distorto e, spesso, aberrante con il quale viene gestito grazie anche alle connivenze e cointeressenze con il mondo politico. Ma è solo una punta dell’iceberg. Non è solo un problema di intrecci di interessi, di parassitismo, di organizzazione di consenso politico; riguarda anche il tema sempre più scottante della patologizzazione dei comportamenti e delle politiche di controllo degli individui, emersi con ogni evidenza, con la gestione della pandemia da covid, delle quali la componente progressista, ormai ben combinata con gran parte di quella cattolica, dello schieramento politico è la più accesa sostenitrice. Temi che rientrano a pieno titolo in quello più ampio della costruzione e della difesa del welfare, dello stato sociale, bandiera e spesso alibi che ha determinato le fortune e la degenerazione e consolidamento di forze politiche e strutture di potere tutt’altro che impegnate in processi di emancipazione. Giuseppe Germinario

Il complesso industriale non profit e la corruzione della città americana

Latto di dare un nome è sempre una forma di propaganda. Quando si dà un nome a qualcosa, non si sta mai descrivendo perfettamente ciò che è, ma si sta invece influenzando il modo in cui viene percepito.

Gli esperti di marketing lo sanno meglio di chiunque altro. Prima del 1977, il branzino cileno non esisteva; il pesce era invece chiamato austromerluzzo della Patagonia. Il branzino cileno non è affatto un tipo di branzino e la maggior parte di essi non proviene dal Cile. Si trattava di una pura invenzione di marketing: un imprenditore di nome Lee Lantz intuì che il mercato americano avrebbe potuto apprezzare il sapore dell’austromerluzzo della Patagonia, ma non lo avrebbe mai acquistato con il suo nome. Per prima cosa scelse di chiamarlo falsamente “spigola”, perché gli americani si sentivano a proprio agio con quel tipo di pesce. Scartò quindi i nomi “branzino del Pacifico” e “branzino del Sud America”, perché troppo generici, e alla fine scelse “branzino del Cile” come alternativa più esotica.

Il nome di uno dei pesci più popolari al mondo non ha quindi nulla a che vedere con la sua vera natura. Un tipo di merluzzo che viene allevato principalmente vicino all’Antartide è diventato il branzino cileno come compromesso di Goldilocks. La familiarità del branzino è stata coniugata con l’esotismo percepito del Cile, in modo che un imprenditore americano potesse vendere un pesce di cui nessuno aveva mai sentito parlare ai ristoranti di alto livello degli Stati Uniti. Questo stratagemma ha funzionato così bene che oggi nessuno ha mai sentito parlare dell’austromerluzzo della Patagonia, mentre il branzino cileno ha una posizione sicura e irrinunciabile nei menu dei ristoranti da un mare all’altro.

Il suo nome è propaganda, ma a nessuno importa. Una bugia che fa soldi sarà sempre preferibile a una verità che non ne fa. Una volta capito che ogni nome è propaganda, diventa subito evidente quanta cattiva condotta, avidità e corruzione si possano nascondere dietro un nome innocuamente insincero, soprattutto un nome che riesce a evocare emozioni positive nel pubblico in generale.

Considerate la parola “nonprofit”. Chiunque abbia avuto l’idea di chiamare queste organizzazioni “nonprofit” è stato un genio del marketing al livello di Steve Jobs. Quando si sente la parola “nonprofit”, si presume che un’organizzazione lavori per il bene pubblico; che serva i senzatetto, che protegga i deboli, che esista per il bene e il miglioramento della società in generale. Sentire che qualcosa è “non profit” dà immediatamente l’idea che l’organizzazione sia affidabile e che le persone che la gestiscono siano guidate da un programma caritatevole. È una parola che spegne le facoltà critiche e conferisce una statura morale istantanea a qualsiasi organizzazione a cui viene applicata. Di conseguenza, le organizzazioni non profit ricevono un beneficio del dubbio che non sarebbe concesso a nessun’altra forma di società privata.

Eppure le organizzazioni non profit sono spesso l’esatto contrario di ciò che sembrano. Come conseguenza del beneficio del dubbio concesso alle organizzazioni non profit, raramente c’è una supervisione sufficiente a garantire che esse facciano ciò per cui vengono pagate. In alcune città, ogni anno viene versato alle organizzazioni non profit un miliardo di dollari di fondi pubblici, con garanzie palesemente insufficienti a garantire che il denaro venga utilizzato in modo da servire l’interesse pubblico.

Questo denaro viene poi speso in modi che sconvolgerebbero i contribuenti ai quali vengono di fatto sottratti i soldi guadagnati con fatica. Le organizzazioni non profit che si autoproclamano fornitori di servizi per i senzatetto fanno attivamente pressioni per peggiorare la situazione dei senzatetto al fine di aumentare i propri finanziamenti; le organizzazioni non profit assumono criminali condannati – tra cui assassini, capi di bande, molestatori sessuali e stupratori – che continuano a commettere altri reati mentre ricevono centinaia di migliaia di dollari in contratti governativi; e i dirigenti delle organizzazioni non profit, le stesse persone a capo di istituzioni il cui scopo dichiarato è quello di non fare soldi, guadagnano milioni di dollari mentre falliscono catastroficamente nel fornire i servizi pubblici per i quali li paghiamo.

E mentre tutto questo accade, le organizzazioni non profit in questione ricevono agevolazioni fiscali dal fisco, assicurando che le organizzazioni incompetenti che peggiorano la crisi dei senzatetto della vostra città esercitino la loro influenza corruttrice fino alle sale del potere a Washington.

Soldi in cambio di niente

A San Francisco esiste una famigerata organizzazione non profit chiamata Tenants and Owners Development Corporation, in breve todco. La Tenants and Owners Development Corporation, nonostante contenga la parola “sviluppo” nel suo nome, non ha sviluppato una sola proprietà in circa vent’anni. Inoltre, la todco non spende i suoi soldi per aiutare gli attuali inquilini. Il San Francisco Standard ha scoperto che la spesa della todcoper i servizi ai residenti è diminuita dal 62% delle entrate nel 2012 a solo il 45% otto anni dopo. Lo Standard ha intervistato gli inquilini di uno dei palazzi della todcoed è stato sommerso da lamentele su alloggi in decadenza e infestazioni di roditori. Una donna ha raccontato senza mezzi termini che c’erano topi nei muri e che i reclami alla direzione non erano serviti a nulla; l’acqua del rubinetto aveva un sapore sgradevole e a volte trovava scarafaggi nel cibo. Un uomo si sentì mordere sul collo e in un primo momento pensò di essere stato morso da una delle moltitudini di parassiti che strisciavano attraverso le lampade dell’edificio; in realtà, gli avevano accidentalmente sparato e il foro del proiettile era ancora visibile nel muro quando i giornalisti lo intervistarono alcuni mesi dopo il fatto.

Si è scoperto che invece di spendere soldi per lo sviluppo degli alloggi e per il sostegno agli inquilini, la todco ha aumentato gli stipendi dei dirigenti e ha incanalato milioni di euro nelle attività di lobbying. Mentre la spesa della todcoper gli inquilini è diminuita di 17 punti percentuali, le retribuzioni dei dirigenti sono quadruplicate. Nel frattempo, il presidente della todco, John Elberling, ha lanciato lo Yerba Buena Neighborhood Consortium, un’organizzazione di lobbying politico. Tra il 2012 e il 2020, le attività di lobbying diretto della todcopresso gli organi legislativi sono aumentate di 95 volte, passando da 5.000 a 470.000 dollari. Lo Yerba Buena Neighborhood Consortium ha speso altri 1,35 milioni di dollari per i referendum elettorali tra il 2016 e il 2021 e, all’interno del piccolo stagno della politica municipale, una tale quantità di denaro, se impiegata in modo strategico, può acquistare una quantità sconvolgente di influenza.

È qui che la storia si fa strana. Sebbene lo status di no-profit della todcosia basato sull’aiutare i poveri a permettersi un alloggio, la todco esercita incessanti pressioni per impedire la costruzione di unità abitative a prezzi accessibili in alcuni dei quartieri più costosi di San Francisco. Nel 2018, la todco ha fatto causa per impedire la costruzione di un edificio a uso misto con la motivazione che avrebbe gettato “nuove ombre” su un giardino comunitario; la todco ha poi accettato di ritirare la causa dopo che il costruttore dell’edificio ha pagato 98.000 dollari, sollevando il dubbio che la todco stesse semplicemente usando il bizantino processo di autorizzazione di San Francisco per estorcere una tangente a un altro costruttore. In un altro caso, la todco ha esercitato pressioni per bloccare un progetto di edilizia residenziale di 495 unità che avrebbe incluso oltre cento unità a prezzi accessibili. In altre parole, un’organizzazione non profit che si occupa di alloggi a prezzi accessibili ha ripetutamente citato in giudizio altri costruttori per impedire la costruzione delle stesse unità a prezzi accessibili che si suppone stia lavorando per fornire.

E poi, nel luglio del 2020, si verificò il più strano dei fiaschi della todco. Quell’anno, la todco ha impedito la costruzione di oltre mille nuovi appartamenti, tra cui 350 unità a prezzi accessibili, per poter condurre uno “studio di equità razziale”, che poi non si è mai preoccupata di condurre. Il supervisore di San Francisco Dean Preston, un alleato politico della todco , convinse la commissione per l’uso del territorio a rimandare la costruzione di sei mesi, durante i quali la todco avrebbe dovuto analizzare l’impatto dello sviluppo sui residenti di minoranza del quartiere.

Nell’agosto del 2022, la todco non aveva nemmeno iniziato lo studio che avrebbe dovuto essere completato diciotto mesi prima. Alla domanda dei giornalisti del San Francisco Chronicle sul perché lo studio non fosse mai stato fatto, il presidente della todcoha risposto che la Covid aveva interferito con i loro piani e che un gruppo di consulenza a cui si erano affidati aveva abbandonato il progetto. Entrambe le scuse sono molto dubbie. Quando la todco ha fatto pressioni per ritardare la costruzione degli alloggi in modo da poter condurre il suo mitico studio, il Covid era già in giro per gli Stati Uniti da sei mesi, il che significa che la todco non è stata colta alla sprovvista dal Covid e non può usarlo come scusa per il fallimento. Inoltre, l’abbandono di un gruppo di consulenza non dovrebbe ritardare indefinitamente uno studio quando l’organizzazione che lo gestisce ha un fatturato annuo di milioni di dollari, un patrimonio totale di decine di milioni di dollari e una miriade di conoscenze politiche. Se la Todco avesse voluto condurre lo studio, avrebbe potuto farlo, ma non ha mostrato alcun senso di urgenza, nonostante il fatto che la mancata realizzazione dello studio promesso abbia impedito indefinitamente l’esistenza di 350 unità abitative a prezzi accessibili.

La Todco è una società senza scopo di lucro il cui mandato è quello di fornire alloggi a prezzi accessibili. Negli ultimi vent’anni, tuttavia, la Todco non ha prodotto ulteriori unità abitative a prezzi accessibili, ha lasciato che le unità abitative che già possiede andassero in rovina e ha speso milioni di dollari per impedire ad altri costruttori di costruire migliaia di appartamenti e centinaia di unità abitative a prezzi accessibili. Paradossalmente, un’organizzazione non profit che ha lo scopo di fornire alloggi a prezzi accessibili sta spendendo i soldi dei contribuenti per impedire la costruzione di alloggi a prezzi accessibili; un’organizzazione che esiste con l’esplicito mandato di contribuire ad alleviare la crisi abitativa di San Francisco sta invece lavorando instancabilmente per peggiorare tale crisi. Come si può spiegare tutto questo?

Per comprendere il comportamento di Todco, è necessario conoscere il modello di business delle organizzazioni non profit che si occupano di alloggi a prezzi accessibili. Una ONG che si occupa di alloggi a prezzi accessibili guadagna di più quando gli affitti aumentano nella zona in cui si trovano i suoi edifici. I sussidi governativi compensano la differenza tra quanto pagano gli inquilini della ONG e quanto potrebbero pagare se l’edificio applicasse loro la tariffa di mercato. Ciò significa che una ONG, nonostante il suo nome, ha lo stesso incentivo al profitto di qualsiasi altro proprietario, in quanto la mancanza di costruzione di alloggi aumenta i suoi margini di profitto facendo salire gli affitti. L’unica differenza è che una nonprofit beneficia di affitti elevati attraverso sussidi governativi, invece di farli pagare direttamente ai suoi inquilini.

E questo è un evidente conflitto di interessi. I fornitori di alloggi senza scopo di lucro traggono vantaggio finanziario se vengono costruiti meno alloggi, perché gli affitti elevati aumentano i loro sussidi. Le organizzazioni non profit che si occupano di alloggi a prezzi accessibili sono quindi incentivate a lavorare contro l’accessibilità degli alloggi se vogliono aumentare il compenso dei loro dirigenti. Tutto ciò che la Todco sta facendo è una conseguenza naturale del complesso industriale del non profit. I sussidi dellaTodcoaumentano di pari passo con gli affitti; la todco poi incanala il denaro che riceve dal governo per fare pressione sugli stessi politici responsabili del suo finanziamento; questi politici impediscono la costruzione di alloggi per conto della todco, assicurando così che gli affitti rimangano alti e che la todco rastrelli altri milioni di dollari in sussidi governativi; i dirigenti della todcoricevono enormi aumenti dei compensi personali e comprano case milionarie in periferia. È uno schema di tangenti così ingegnoso che farebbe invidia ad Al Capone.

Questa propensione delle organizzazioni non profit a privilegiare le proprie finanze rispetto ai bisogni dei poveri non è un’esclusiva di San Francisco. L’anno scorso, a Seattle, un’iniziativa per la creazione di un’impresa pubblica di edilizia sociale è stata osteggiata dall’Housing Development Consortium, un’organizzazione di lobbisti che si occupa di alloggi a prezzi accessibili. Il resoconto del Seattle Times su questa iniziativa è rivelatore:

L’Housing Development Consortium, un gruppo di pressione i cui membri includono i principali costruttori di alloggi a basso reddito della contea di King, istituzioni finanziarie e agenzie governative di sviluppo, non vuole competere con una nuova organizzazione per i finanziamenti.

L’Housing Development Consortium sostiene che Seattle dovrebbe concentrare le proprie risorse sul sistema esistente … che prevede una collaborazione tra la Seattle Housing Authority, in gran parte finanziata a livello federale, le agenzie di sviluppo pubblico locali e altre organizzazioni non profit [enfasi aggiunta].

In altre parole, un’organizzazione di lobbying per le organizzazioni non profit che si occupano di alloggi a prezzi accessibili si è schierata contro un’iniziativa di edilizia sociale perché avrebbe sottratto fondi ai suoi membri. Molte delle persone coinvolte in queste organizzazioni non profit che si occupano di alloggi a prezzi accessibili si definirebbero socialiste, eppure si sono schierate contro una forma più socialista di sviluppo dell’edilizia pubblica e a favore del sistema privatizzato, complesso e inefficiente che, guarda caso, va a loro vantaggio finanziario.

Nel caso in cui l’America cercasse di aumentare drasticamente la quantità di alloggi pubblici, una politica sostenuta da molti progressisti, è probabile che alcuni dei più accaniti oppositori sarebbero i proprietari di case non profit, che sarebbero indignati dalla prospettiva di una concorrenza diretta da parte degli alloggi di proprietà del governo. Questo è un comportamento normale per un’organizzazione privata che si affida al governo come fonte primaria di entrate, ma è direttamente contrario a ciò che il termine “non profit” sembrerebbe implicare. Nonostante il nome affidabile, le organizzazioni non profit non sono , né sono mai state , gli agenti incorrotti del bene pubblico che i loro difensori vorrebbero farci credere.

Crime Inc.

Ad aggravare i profondi conflitti di interesse creati dall’esternalizzazione dei servizi governativi a organizzazioni private non profit è la quasi totale mancanza di supervisione di queste organizzazioni non profit, in particolare per quanto riguarda il modo in cui vengono spesi i loro soldi e chi assumono per fornire i loro servizi. Capita regolarmente che il denaro dato alle organizzazioni non profit venga indirizzato in modo rovinosamente contrario all’interesse pubblico. In casi particolarmente gravi, il denaro dato alle organizzazioni non profit finisce nelle tasche di persone che non sarebbero mai state assunte da un’agenzia governativa a causa di una mancanza di competenza o di una storia criminale squalificante.

Per esempio, San Francisco ha dato decine di milioni di dollari a un’organizzazione non profit chiamata United Council of Human Services nel corso di due decenni; il suo amministratore delegato ha continuato a spendere grandi somme di denaro in modo totalmente illegale, comprando almeno cinque veicoli per sé e per i membri della sua famiglia e andando in giro con un bagagliaio pieno di gioielli costosi. Ha anche permesso a venti suoi amici, familiari e dipendenti di occupare appartamenti sovvenzionati dal governo che dovevano essere utilizzati come alloggi per i cittadini di San Francisco a basso reddito.

Quando si tratta di grosse somme di denaro c’è sempre un certo livello di malaffare, ma ciò che rende imperdonabile la criminalità dello United Council è che Gwendolyn Westbrook, l’amministratrice delegata che ha rubato i soldi dei contribuenti e li ha spesi per se stessa, si è dichiarata colpevole nel 1997 di aver rubato migliaia di dollari in incassi di parcheggi mentre lavorava per il Porto di San Francisco. Una no-profit gestita da una donna con una comprovata storia di furti alle agenzie governative ha ricevuto decine di milioni di dollari per fornire servizi abitativi a prezzi accessibili, e la classe politica di San Francisco si è in qualche modo sorpresa quando, fedele ai suoi precedenti, ha rubato anche quei soldi.

Dopo la caduta in disgrazia di Westbrook, un’inchiesta del San Francisco Standard ha scoperto che la città aveva versato decine di milioni di dollari a organizzazioni non profit che non erano ammissibili ai finanziamenti pubblici: 25 milioni di dollari sono andati a enti di beneficenza morosi o sospesi e altri 65 milioni di dollari sono andati a organizzazioni non profit che sono state successivamente dichiarate non ammissibili. Al momento dell’indagine dello Standard, San Francisco aveva altri 300 milioni di dollari di obblighi contrattuali futuri verso ONG che non era legalmente autorizzata a finanziare.

Sebbene San Francisco sia una delle città peggiori quando si tratta di organizzazioni non profit che si comportano male, questi stessi problemi esistono in ogni città che fa un uso eccessivo del settore non profit. Seattle, in particolare, ha una tendenza piuttosto preoccupante a dare somme esorbitanti di denaro dei contribuenti a criminali condannati, compresi i criminali violenti e i criminali sessuali registrati. Nel 2001, un uomo di nome Khalid Adams è stato condannato per furto di primo grado in un incidente in cui avrebbe palpeggiato la vittima urlando insulti razziali; due anni dopo Adams è stato nuovamente condannato, questa volta per rapina di primo grado e possesso illegale di un’arma da fuoco. La terza condanna , ma non definitiva, è arrivata nel 2021, quando Adams si è dichiarato colpevole di possesso illegale di un’arma da fuoco da parte di un criminale già condannato.

Tuttavia, solo un anno dopo la terza condanna, Adams è stato assunto come “interrutore di violenza” da un’organizzazione no-profit dell’area di Seattle, finanziata dal governo, chiamata Community Passageways. Nel novembre del 2022, mentre riceveva uno stipendio dai contribuenti della contea di King per prevenire la violenza con armi da fuoco, Adams si è introdotto nell’appartamento della sua ex fidanzata, ha tenuto sotto tiro il suo nuovo ragazzo ed è stato poi ucciso dal cugino diciottenne della ex. Ad aggiungere un elemento surreale a questa storia già incredibile, Savior Wheeler, il giovane cugino che ha sparato a Khalid Adams, era un cliente di Community Passageways, uno degli stessi giovani a rischio che Adams avrebbe dovuto tenere lontano dalla violenza delle armi. Un’organizzazione no-profit di Seattle ha quindi assunto un tre volte condannato, appena uscito di prigione, per lavorare come mentore di giovani a rischio, e in seguito è stato ucciso proprio da uno di questi giovani a rischio mentre minacciava un’ex fidanzata con una pistola.

È un caso sorprendentemente comune a Seattle. Nel 2022, la città ha dato 260.000 dollari a un criminale sessuale registrato che operava sotto falso nome e credenziali per fare da mentore a giovani a rischio. Nel 2020, ha concesso un contratto da 3 milioni di dollari senza gara d’appalto – una delle più grandi sovvenzioni nella storia della città – a un’organizzazione non profit chiamata Freedom Project per condurre uno “studio sull’equità razziale”. All’epoca il direttore esecutivo di Freedom Project era David Heppard, che da adolescente era stato condannato per aver partecipato allo stupro di gruppo di una diciassettenne incinta. Il direttore finanziario del Freedom Project, Quddafi Howelluna volta ha sparato alla casa di un uomo come tattica intimidatoria per evitare che facesse la spia sul traffico di droga di Howell.

Che ci crediate o no, i 3 milioni di dollari che Seattle ha consegnato a un gruppo di criminali condannati sono stati in qualche modo gestiti male. Un blog politico locale chiamato Seattle City Council Insight ha esaminato le carte di questo contratto e ha scoperto che centinaia di migliaia di dollari sono stati distribuiti a subappaltatori per un lavoro minimo e che il responsabile del progetto è stato pagato 300 dollari all’ora, pur dichiarando pubblicamente di essere un volontario.

In un altro caso, un’organizzazione non profit per i senzatetto chiamata Share (Seattle Housing and Resource Effort) ha scoperto di impiegare un contabile senza licenza mentre gestiva milioni di dollari in fondi governativi. Share ha dichiarato di essere la vittima di questo caso, in quanto è stata inconsapevolmente frodata da un uomo che si presentava come un contabile legittimo. È giusto così. Share, tuttavia, avrebbe potuto accorgersi che il suo commercialista era privo di licenza se non fosse stato per il fatto che il tesoriere di Share, l’uomo presumibilmente responsabile della gestione di tutto il denaro, era Lantz Rowlandun senzatetto non qualificato che viveva in una tenda. Nel 2016 questa organizzazione non profit ha avuto un fatturato annuo totale di circa un milione di dollari, che comprendeva sovvenzioni dalla Contea di King e dalla città di Seattle, e le persone responsabili della gestione di quel denaro erano un contabile illegale e un sessantenne senzatetto che viveva in una tenda senza alcuna qualifica.

Lasciando per un attimo la West Coast, nella Città del Vento si riscontrano esiti simili derivanti dall’uso eccessivo delle organizzazioni non profit. A Chicago, un’organizzazione non profit antiviolenza chiamata CeaseFire ha fatto arrestare per reati gravi un numero impressionante di suoi “interruttori della violenza” sin dalla sua nascita. La cosa non dovrebbe sorprendere nessuno, visto che questi “interruttori della violenza” sono quasi tutti pregiudicati. Tra i lavoratori di Ceasefire condannati per reati commessi mentre erano impiegati dall’organizzazione ci sono un cinquantunenne arrestato per possesso illegale di armi da fuoco, che secondo le autorità lavorava in nero come capo di una gang nazionale; un pregiudicato sorpreso nudo sotto il letto con 50.000 dollari, un’arma da fuoco illegale, crack, cocaina ed eroina; e una donna che è stata assunta nonostante quattro precedenti condanne per reati e che in seguito ha rubato diamanti per un valore di 10.000 dollari.

Chicago ha anche un programma di “Peacekeepers”, finanziato dallo Stato, in cui “organizzazioni basate sulla comunità” impiegano ex detenuti come interruttori di violenza nei momenti in cui si prevede che la tensione sia alta. Lo scorso Memorial Day, un “Peacekeeper” di nome Oscar Montes ha aggredito un automobilista mentre era in servizio, causandogli danni potenzialmente permanenti agli occhi. Montes è stato assunto dal programma Peacekeepers solo un anno dopo aver scontato una condanna a dieci anni di carcere per aver sparato a un membro di una gang rivale.

Ciò che salta subito all’occhio negli esempi sopra citati è che nessuna di queste persone potrebbe percepire uno stipendio governativo , a meno che non venga riciclato attraverso un’organizzazione no-profit. Un dipartimento di polizia non potrebbe mai assumere un criminale condannato con legami di lunga data con le gang di strada, ma un’organizzazione non profit privata ha standard più blandi per quanto riguarda chi può accedere ai fondi pubblici. Questo non solo sperpera denaro per persone che non sono in grado di svolgere i ruoli loro assegnati, ma rappresenta una minaccia attiva alla sicurezza pubblica nei casi in cui lo Stato utilizza organizzazioni non profit con personale condannato per compiti che dovrebbero essere riservati alla polizia.

Il ciclo progressivo di Doom

All’inizio di questo articolo ho detto che “l’atto di dare un nome è una forma di propaganda”, un aforisma che si applica alle organizzazioni non profit perché il nome che è stato dato loro è uno strumento di marketing, piuttosto che una rappresentazione oggettiva della loro condotta e del loro comportamento. È importante riconoscere, tuttavia, che le organizzazioni non profit non sono l’unico gruppo rilevante per questa storia a cui è stato dato un nome impreciso come manovra di marketing. L’ideologia politica che sostiene il complesso industriale del non profit viene generalmente definita “progressismo”, che richiama il movimento progressista di orientamento socialista dei primi del Novecento. Nonostante il nome comune, però, il “progressismo” di oggi non ha nulla in comune con i movimenti progressisti del secolo scorso, non è socialista in senso proprio ed è, semmai, un movimento libertario estremista che distrugge la capacità del governo di funzionare, piuttosto che usare il potere dello Stato per il miglioramento dei poveri.

Quando si inizia a scavare nelle prove, si scopre che i luoghi in cui i “progressisti” esercitano il maggior potere sono alcuni dei governi meno socialisti del Paese. Nel 2022, San Francisco ha speso 5,8 miliardi di dollari in contratti privati, oltre il 40% di tutta la spesa del governo cittadino, mentre l’intero bilancio di Houston, una città 2,5 volte più grande, era di soli 5,7 miliardi di dollari. Si tratta di una strana forma di socialismo che gestisce più di due quinti del governo attraverso appaltatori privati, invece di utilizzare sviluppatori di proprietà pubblica e case popolari.

Portland, nell’Oregon, soffre da diversi anni di una grave crisi della spazzatura, dovuta sia all’aumento della popolazione di senzatetto che al rifiuto del governo di far rispettare le leggi antidumping. La risposta di Portland ai cumuli di immondizia che stanno devastando una città un tempo bellissima non è stata quella di aumentare drasticamente la capacità del governo di raccogliere e trattare i rifiuti; al contrario, Portland, in collaborazione con lo Stato dell’Oregon, ha pagato milioni di dollari a organizzazioni non profit per affrontare il problema della spazzatura.

Con l’esternalizzazione della raccolta dei rifiuti da parte di Portland a organizzazioni private senza scopo di lucro, la capacità del governo di raccogliere i rifiuti è stata sminuita dai tagli al bilancio e dalla mancanza di risorse. Secondo l’attivista locale Frank Moscow, Portland era solita spazzare tutte le strade, ma attualmente ha solo una spazzatrice funzionante in tutta la città. Non che abbia molta importanza, visto che l’Ufficio dei trasporti di Portland ha sospeso tutte le attività di spazzamento delle strade lo scorso giugno dopo un’altra serie di tagli al bilancio.

Ad aggravare la miseria di Portland, che è sommersa dai rifiuti, c’è l’incapacità della città di impedire a chiunque di gettare la propria spazzatura dove non è legalmente consentito farlo. Nel 2016, la città ha emesso trentuno citazioni per scarico illegale; nel 2021, ha emesso un totale di una citazione, per un misero importo di 154 dollari. Un articolo d’opinione pubblicato sull’Oregonian nel 2022 affermava con sicurezza che “si possono scaricare 10 grandi sacchi di spazzatura a Pioneer Square stasera e andarsene senza paura di essere scoperti o sanzionati”, prima di continuare a lamentarsi del fatto che Portland raccoglie la spazzatura dalle unità residenziali ogni due settimane, invece di offrire il ritiro settimanale della spazzatura come quasi tutte le altre città di dimensioni comparabili.

Questo è lo stato delle cose in quasi tutte le città in cui i “progressisti” hanno un grande impatto sulla politica locale. I progressisti sostengono di appoggiare i programmi di spesa del governo, ma hanno anche un atteggiamento anarchico e antigovernativo che può essere visto nel loro sostegno a politiche come l’abolizione della polizia nel 2020. Sebbene i progressisti vogliano che il governo finanzi i programmi pubblici, la loro opposizione al potere statale centralizzato significa che spesso non vogliono che il governo gestisca i programmi finanziati.

Le città controllate dai progressisti tendono quindi a sottofinanziare le agenzie governative di base a favore di “organizzazioni basate sulla comunità”, intendendo con questo termine le ONG e le organizzazioni non profit. Quando il governo non è più in grado di far fronte alle proprie responsabilità, le città progressiste esternalizzano i servizi alle organizzazioni non profit, privatizzando di fatto il governo.

Si verifica quindi un problema serio. L’utilizzo di diverse organizzazioni non profit al posto di un’unica agenzia governativa è intrinsecamente inefficiente a causa della debolezza della supervisione e dell’incapacità di trarre vantaggio dalle economie di scala. Ecco perché le città della costa occidentale spendono così tanto per i senzatetto, senza alcun risultato. La spesa di San Francisco per i servizi ai senzatetto è passata da 200 milioni di dollari nel 2016 all’astronomica cifra di 1,1 miliardi di dollari nel 2021. Nonostante questo incredibile investimento, nel 2022 ci saranno in media mille senzatetto in più rispetto al 2015. A onor del vero, tra il 2019 e il 2022 si è registrato un calo della popolazione di senzatetto della città, che ha portato il vicedirettore del San Francisco Department of Homelessness and Supportive Housing a dichiarare che “gli investimenti funzionano”. Tuttavia, la popolazione di San Francisco è diminuita di settantamila residenti tra il 2019 e il 2022, il che significa che la minuscola riduzione dei senzatetto è stata probabilmente un mero sottoprodotto della massiccia perdita di popolazione.

Né sono estranei i problemi che città come San Francisco, Portland e Seattle hanno con il calo demografico. Finanziando organizzazioni non profit inefficienti invece di iniziative governative più centralizzate e responsabili, le città progressiste hanno tasse elevate ma servizi scadenti; i residenti non ricevono nulla in cambio delle tasse che pagano. Portland ha una delle imposte comunali sul reddito più alte del Paesema è quarantottesima tra le cinquanta città più grandi per quanto riguarda il personale di polizia, ha cumuli di rifiuti incancreniti e non raccolti che disseminano le sue strade e ha solo duemila posti letto per un numero di senzatetto pari a 6.300, il che impone a quattromila portlandesi senzatetto di dormire all’aperto anche se ognuno di loro volesse un letto.

Contrariamente all’assunto conservatore secondo cui le tasse elevate sono un male intrinseco, spesso le persone sono d’accordo con tasse più alte, a patto che queste vengano utilizzate per migliorare gli standard di vita locali. Ciò che accade nelle aree urbane americane più performativamente socialiste è che le tasse vengono costantemente aumentate per finanziare i servizi pubblici, con il risultato di avere alcune delle popolazioni più tassate del Paese. Ma questo gettito fiscale viene poi sperperato in appalti privati a organizzazioni non profit non rendicontabili, le cui attività fanno ben poco per risolvere i problemi per i quali vengono nominalmente finanziate.

Le tasse aumentano di pari passo con il crollo del tenore di vita locale e il decadimento dei servizi pubblici. I parchi pubblici dove un tempo giocavano i bambini si riempiono di senzatetto tossicodipendenti che lasciano aghi usati vicino alle palestre; una bambina di sei anni in California ha scambiato una siringa per un termometro e se l’è messa in bocca, e un undicenne ha calpestato un ago mentre nuotava a Santa Cruz. Le strade diventano sempre più insalubri a causa dell’aumento vertiginoso dei senzatetto, reintroducendo malattie un tempo considerate debellate dalla vita civile. A Los Angeles nel 2022 ci sono stati tre decessi per tifo trasmesso dalle pulci, i primi in tre decenni; un reverendo che lavora a Skid Row ha perso entrambe le gambe a causa di un’infezione contratta semplicemente camminando per le strade del quartiere; e la Old Town di Portland è stata recentemente colpita da un’epidemia di Shigella, una malattia diffusa soprattutto nei Paesi in via di sviluppo che si diffonde attraverso la materia fecale.

L’incapacità delle organizzazioni non profit di gestire correttamente i servizi si traduce in tasse europee per capacità statali da terzo mondo. I residenti non sanno quale sia il problema: non sanno che le loro tasse vanno agli “interruttori di violenza” che sono criminali condannati; non sanno che le organizzazioni non profit che si occupano di alloggi a prezzi accessibili usano i soldi dei contribuenti per fare lobby contro gli alloggi a prezzi accessibili; e non sanno che i soldi vengono assegnati in modo errato a causa di una supervisione insufficiente delle organizzazioni non profit.

Tutto ciò che sanno è che pagano tasse elevate senza motivo. E così se ne vanno. La contea più grande dell’Oregon ha perso il 2,5% della sua popolazione tra il 2020 e il 2022. Quando la popolazione diminuisce, la base imponibile si riduce. Il gettito dell’imposta sulle vendite di San Francisco è diminuito del 22% tra il 2019 e il 2022, e il calo peggiore si è registrato in centro, dove gli edifici adibiti a uffici hanno ora tassi di sfitto da record.

Di recente sono stati scritti molti articoli sulla minaccia che tali città corrono di un “circolo vizioso urbano”, in cui il calo della popolazione riduce le entrate fiscali, obbligando a tagliare i servizi cittadini, riducendo così la vivibilità e causando un esodo accelerato della popolazione in un circolo vizioso. Che io sappia, però, nessuno ha mai sostenuto che uno dei principali fattori che contribuiscono a questa spirale mortale è l’esternalizzazione dei servizi pubblici a organizzazioni non profit non rendicontabili, piuttosto che l’aumento delle capacità dello Stato e il miglioramento della capacità del governo di risolvere i problemi da solo. Secondo questa tesi contraria, le città americane non stanno fallendo perché sono troppo socialiste; stanno fallendo perché non sono abbastanza socialiste.

E questo, ahimè, è lo stato della grande città americana all’inizio del XXI secolo, dove nulla è come sembra. Il nostro è un Paese in cui il “progressismo” non ha nulla in comune con il movimento da cui prende il nome; in cui i “socialisti” privatizzano i servizi governativi a ogni occasione; e in cui innumerevoli “organizzazioni non profit” esistono solo per il malinteso profitto di chi le gestisce. Ancora una volta, i nomi che usiamo per spiegare le realtà della moderna politica urbana sono termini di marketing propagandistico e non rappresentano in modo accurato ciò che sta accadendo.

Come nel caso dell’invenzione della spigola cilena – che non è né cilena né una spigola – molte persone stanno facendo soldi grazie a questo schema. Chi se ne frega se è tutta una bugia?

Questo articolo è apparso originariamente in American Affairs, volume VIII, numero 2 (estate 2024): 134-45.

SITREP 5/24/24: La situazione diventa critica con l’escalation di Zelensky delegittimato._SIMPLICIUS

Entriamo subito nello sviluppo più urgente: attorno al tema della possibilità di attacchi ucraini sul suolo russo si è accumulato un sovraccarico narrativo. È improvvisamente diventato il principale obiettivo coordinato per l’intero stabilimento dello Stato profondo, con Zelenskyj e i membri del Congresso complici che formano una massa critica di pressione contro l’amministrazione Biden che sembra avere successo; alcune fonti sostengono che siano vicini a dare il via libera.

Bisogna davvero leggere tra le righe per comprendere il sottofondoi di ciò che sta accadendo: campagne così fortemente coordinate non sono mai spontanee ma quasi sempre fanno parte di un cambiamento strategico profondamente ponderato per virare la guerra in una nuova direzione.

La ragione è ovvia: l’Ucraina è a un bivio e a un potenziale punto di rottura. La situazione politica ha toccato il fondo, con l’autorità e la legittimità di Zelenskyj che si stanno rapidamente sgretolando; secondo quanto riferito, la questione della manodopera è molto grave e non viene affrontata dalla mobilitazione appena annunciata; e oltre a tutto ciò, la Russia sembra sul punto di aprire un altro di una serie di nuovi fronti che potrebbero portare l’AFU sull’orlo del baratro allungando le linee come mai prima d’ora.

Ecco dove iniziano i segnali minacciosi.

Ci sono segnali crescenti che il piano segreto dei controllori globalisti è quello di convincere l’Ucraina a lasciare la Russia senza altra scelta se non quella di intensificare drasticamente e coinvolgere la NATO in qualche forma, limitata o meno, nella lotta. L’ex deputato britannico Andrew Bridgen ha affermato che questa è la vera ragione per cui Rishi Sunak ha indetto elezioni anticipate: rifiuta di essere un “presidente in tempo di guerra”.

Ascolta il discorso agghiacciante qui sotto:

Ciò fa seguito ad articoli come il seguente che rivelano che le forze operative speciali britanniche hanno già operato sul terreno in Ucraina, con capacità maggiori di quanto pensiamo:

Sebbene non sia più esattamente una fonte eccezionale, tanto per allestire la scena, Rybar ha affermato allo stesso modo che i missili Taurus sono già in Ucraina:

“I missili Taurus sono già in Ucraina, il loro uso in combattimento è una questione di tempo. Berlino aspetta solo istruzioni per annunciarlo”, ha affermato l’autore del progetto analitico esperto “Rybar”, valutando le dichiarazioni del ministro della Difesa britannico.

In precedenza, esperti militari avevano riferito che le consegne di armi (compresi i missili ATACMS e Storm Shadow | Scalp) venivano sempre effettuate prima che si cominciasse a parlare di “consegne rapide”. Inoltre, uno scandalo colossale è stato causato dalla fuga di negoziati tra la leadership della Bundeswehr sul lancio di “dozzine di Taurus attraverso il ponte di Crimea per mano dei militari della NATO”.

Inoltre, gli analisti militari occidentali hanno notato che i missili Taurus potranno volare dalla regione ucraina di Sumy alla capitale della Russia – Mosca e altre città, fabbriche, ecc.

In conformità con il copione fornitogli, Gary Kasparov ha anche dichiarato il suo incoraggiamento affinché l’Ucraina inizi a colpire le grandi città russe come Mosca e San Pietroburgo con le nuove armi:

Stoltenberg e una serie di altri apparatchik hanno seguito l’esempio nella campagna altamente coordinata:

Come rapido promemoria, il generale russo Evgeny Buzhinky ha dichiarato quanto segue circa un mese fa:

“Non ho informazioni certe su come agiranno il presidente russo e il comando militare russo, ma sono sicuro che se gli attacchi del Taurus e dell’ATACMS saranno molto dannosi per la Russia, allora presumo che colpiremo almeno l’hub logistico nel territorio della Polonia a Rzeszów. In questo caso spetterà agli Stati Uniti decidere cosa fare. O si va alla Terza Guerra Mondiale con distruzione reciproca o si lasciano i polacchi a combattere la Russia da soli”, ha detto al podcast New Rules il tenente generale russo in pensione Evgeny Buzhinsky.

Potresti pensare che finora si tratti solo di dicerie speculative e di discussioni. Ma la Russia ha letto chiaramente le foglie di tè e ha dato il segnale, quando il ministero della Difesa ha annunciato che avrebbe condotto una serie senza precedenti di esercitazioni nucleari tattiche . Ciò ruoterebbe attorno alla messa a punto del lancio di armi nucleari tattiche da combattimento , piuttosto che di quelle strategiche che volano attraverso l’oceano. Il messaggio qui è semplice e chiaro: la Russia sta rispondendo che se le cose continuano a degenerare nella pericolosa direzione attuale, allora la Russia potrebbe non avere altra scelta se non quella di utilizzare armi molto più devastanti.

È stato pubblicato un video di una delle esercitazioni, che mostra l’allestimento di un Iskander nucleare tattico, che potete vedere anche insolitamente sfocato per nascondere la sua unica testata con capacità nucleare:

I commentatori occidentali iniziarono a notare le differenze mai viste prima in questa variante nucleare delle versioni Iskander K e M:

“Zelenskyj vuole che inizi un conflitto tra Stati Uniti e Russia”, ha detto la televisione americana The Hill.

Ma perché la Russia dovrebbe improvvisamente preoccuparsi di questo? L’Ucraina tenta da tempo di colpire obiettivi russi senza molto successo. Bene, perché ora l’Ucraina sta avendo un serio successo. In precedenza ho parlato dei problemi degli S-400 russi contro il missile ATACMS: i problemi sono peggiorati molto per la Russia. Gli S-400 vengono ora regolarmente portati al pascolo dall’ATACMS a malapena neutralizzabili.

Un’altra batteria è stata decimata proprio ieri a Donetsk, mentre una seconda è stata colpita ad Alushta, sempre in Crimea, anche se non ci sono ancora prove definitive al riguardo. Anche se dovrei notare che non sono sicuro che sia dimostrato che quello qui sotto sia un S-400, poiché alcuni suggeriscono che avrebbe potuto essere una serie S-300/350 in base al radar distrutto.

Ma qui possiamo finalmente vedere a colori come va con il filmato ucraino appena pubblicato. Non solo l’S-300/400 e i difensori Shorad circostanti, se ce ne sono, non sono in grado di neutralizzare il drone Shark che guida, ma gli stessi missili ATACMS sopraffanno la batteria:

Come facciamo a sapere che è ATACMS e nient’altro? La diffusione estremamente ampia di munizioni a grappolo è coerente con l’ATACMS, molto più grande piuttosto che con l’HIMARS, ad esempio, che trasporta meno munizioni e ha una diffusione molto minore. L’Ucraina ha anche pubblicato un video che mostra il lancio di un massimo di 8 o più ATACMS, anche se non è chiaro al 100% che si intenda mostrare questo attacco specifico, anche se questa sembra essere l’implicazione.

Quindi: supponendo che il lancio sia effettivamente collegato a questo particolare attacco dell’S-400, cosa possiamo supporre? La batteria dell’S-400 lancia chiaramente una serie di missili, e la maggior parte degli analisti interpreta ciò nel senso che la batteria è riuscita ad abbattere quasi l’intero pacchetto ATACMS, con un solo missile che ha colpito in modo netto alla fine. Ma quello bastò a distruggere praticamente l’intera batteria.

Il problema è: l’S-400 dovrebbe avere un raggio di rilevamento di 400 km. Ma il sistema sta chiaramente impegnando l’ATACMS a pochi secondi dal loro impatto. Ciò potrebbe indicare una grave lacuna del sistema o semplicemente la nostra mancanza di dettagli.

Per esempio: certo, il radar stesso può rilevare 400 km nelle condizioni più ottimistiche/idealistiche, ma:

  1. Questo vale solo per gli oggetti di dimensioni massime con un’enorme RCS, come i B-52. Un missile, anche di grandi dimensioni come un ATACMS, verrebbe comunque rilevato a una distanza molto più ravvicinata: è semplicemente una questione matematica. Infatti, come mostrano i calcoli dell’immagine precedente, un oggetto con RCS inferiore a 1,0 (come la maggior parte dei missili) verrebbe rilevato a circa 30 km o meno.

  2. I sistemi S-300/400 possono e sono equipaggiati con una varietà di tipi di missili diversi per scopi diversi, alcuni dei quali sono missili a corto raggio. Se questa particolare batteria fosse equipaggiata con missili a corto raggio, non sarebbe comunque in grado di ingaggiare l’ATACMS a lungo raggio.

  3. Non si sa quale sia l’addestramento dell’equipaggio di quella particolare unità.

Alcuni analisti filorussi sostengono che si tratta comunque di un successo quando i sistemi abbattono “la maggior parte” degli ATACMS al 70-90%. Il problema è che quando i vostri S-300/400 vengono attaccati con più batterie abbattute ogni settimana, non importa se il vostro tasso di successo è del 90%: i vostri sistemi stanno ancora fallendo nel loro compito primario. È solo che non si tratta di un fallimento particolare , ma dell’intero ecosistema AD. Sembra che manchi l’integrazione (IADS) e un approccio olistico al rilevamento di oggetti a distanza di sicurezza, che include l’utilizzo di AWACS e altre piattaforme aeree. Il fatto che l’S-400 risponda solo negli ultimi istanti dell’arrivo dei missili è un problema profondo di rilevamento per le forze russe.

Se è vero che un altro sistema è stato colpito anche ad Alushta, in Crimea, solo un giorno dopo, allora significa che la Russia non ha modo di fermare in modo affidabile gli ATACMS, che colpiscono praticamente tutto a volontà.

Il rapporto non verificato che segue potrebbe essere in gran parte falso, anche se l’attacco è stato ripreso da una telecamera, ma nessun dettaglio reale è ancora verificabile:

Ancora cattive notizie dalla Crimea. Abbiamo perso quasi 30 sistemi militari e di difesa aerea

Un altro attacco missilistico, lanciato dal nemico sulla Crimea la sera di giovedì 23 maggio, ha portato a gravi conseguenze. “Alcuni missili sono penetrati nel nostro sistema di difesa aerea. Purtroppo l’attacco è stato troppo ampio. Le conseguenze sono gravi”, ha dichiarato una fonte dello Stato Maggiore.

Secondo i nostri dati, le perdite subite a causa del’attacco sono pesanti. Nella regione di Simferopol (in particolare, a Gvardeysky), ad Alushta e non lontano da Bakhchisarai, purtroppo, ci sono stati dei colpi. 

Sono andati persi tre sistemi di difesa aerea S-400, un sistema di difesa aerea S-300 e diversi radar. Inoltre, più di 20 attrezzature che si stavano preparando per essere inviate nella zona SVO sono state danneggiate o completamente perse. Ci sono informazioni sulla perdita di due aerei Su-25, ma non abbiamo una conferma al cento per cento di queste informazioni, che devono ancora essere verificate.

A seguito dell’attacco, 29 soldati sono stati uccisi e più di 35 sono stati feriti.

Vogliamo dire una cosa importante. Mentre le autorità, compresa la nuova leadership del Ministero della Difesa, promettono di proteggere il personale e le attrezzature, e il nostro esercito subisce contemporaneamente perdite così pesanti, parleremo di queste perdite in dettaglio. Con la speranza, in particolare, che i problemi con la difesa aerea della Crimea, noti da tempo, vengano risolti.

Si tenga presente che questo avviene dopo che un altro attacco ATACMS ha colpito il porto di Sebastopoli e avrebbe affondato un’altra corvetta russa. Non c’erano prove finché non sono apparse immagini satellitari che mostravano qualcosa di potenzialmente semisommerso nelle acque:

Un elenco di attacchi recenti con abbattimenti rivendicati:

12 attacchi ATACMS all’aeroporto di Dzhankoy che hanno distrutto almeno un S-400 il 17 aprile.

10 ATACMS abbattuti il 20 aprile

5 ATACMS abbattuti il 29 aprile

2 ATACMS in un campo di addestramento di 1, di cui uno mancato il 1° maggio.

Quantità sconosciuta di ATACM intercettata il 7 maggio

1 ATACMS in un deposito di munizioni a Lugansk 13 maggio

10 ATACMS abbattuti il 15 maggio

5 ATACMS sono stati abbattuti e alcuni sono riusciti a colpire l’aeroporto di Belbek, distruggendo/danneggiando diversi aerei il 16 maggio,

5 ATACMS utilizzati per distruggere il lanciatore S400 e altri sistemi a Donestk il 22 maggio.

Più ATACMS utilizzati nella notte tra il 23 e il 24 maggio per colpire Alushta, in Crimea

In totale, sappiamo che più di 50 ATACM sono stati utilizzati in vari attacchi da quando è stato approvato l’aiuto. Il tutto nell’arco di 30-40 giorni

Ora arrivano le prove satellitari che un aeroporto russo a Krasnodar è stato colpito da droni, con diversi aerei danneggiati. Sembra che si tratti di aerei rottamati o inattivi per una serie di motivi.

Immagini satellitari della base aerea di Kushchevskaya nel Territorio di Krasnodar dopo un altro raid di droni kamikaze ucraini.

Si può notare la tradizionale mancanza di hangar protettivi per gli aerei fermi. Presumibilmente, il caccia Su-27 e il Su-30SM accanto ad esso sono stati danneggiati durante l’attacco. Il bombardiere Su-34 con le “ali” rimosse sembra più un mockup di alta qualità.

Gli aerei rimanenti, a giudicare dalla foto, hanno lasciato il campo d’aviazione dopo l’attacco.

In definitiva, se dovessi fare un’ipotesi sui fallimenti dell’S-300/400, per ora sarebbe la seguente:

Come ho detto, il raggio di rilevamento per un missile a bassa RCS potrebbe essere inferiore a 30 km. L’ATACMS è molto piccolo per gli standard dei missili balistici: È lungo 13 piedi e pesa 1600 kg, rispetto ai 24 piedi e ai 3800 kg dell’Iskander: è praticamente la metà.

Supponiamo che venga rilevato a 30 km, alla velocità di Mach 3, questo dà all’operatore meno di 30 secondi per reagire. Questo può andare bene per un singolo oggetto, o anche per una piccola manciata, ma per una saturazione di una dozzina o più di missili potrebbe portare la procedura di ingaggio al limite dell’addestramento e del panico. E questo supponendo che il rilevamento iniziale sia di 30 km: potrebbe essere anche meno, soprattutto se l’equipaggio non è super vigile e sta dormendo un po’ troppo sul lavoro.

Con, diciamo, 20-25 secondi, bisogna comunicare tra diversi membri dell’equipaggio, selezionare i bersagli sullo schermo ed eseguire una serie di altre procedure solo per iniziare a sparare i missili. Quando i missili escono, i primi ATACMS potrebbero già essere direttamente sopra di noi. Dato che rilasciano le loro munizioni a grappolo a una certa distanza/altitudine da voi, questo vi dà ancora meno tempo per abbatterle rispetto a un missile che deve ancora percorrere l’ultimo tratto di chilometri per colpirvi direttamente.

Devo dire che quanto sopra è abbastanza speculativo, in quanto alcune fonti sostengono che i radar S-400 (Cheeseboard, Gravestone, ecc.) dovrebbero rilevare un oggetto di 0,1m2 RCS a distanze molto maggiori, come 80-200km, ma questo potrebbe semplicemente non essere il caso nella realtà – nessuno lo sa con certezza. Quello che sappiamo è che i Pantsir non rilevano le Storm Shadow prima di 10-15 km più o meno, quindi il doppio per gli ATACMS non è irrealistico, anche se i radar S-400 dovrebbero essere molto più potenti. Inoltre, questi intervalli di rilevamento “ideali” sono generalmente pubblicizzati come PR da scansioni molto strette del cielo in modalità “finestra”, dove il radar concentra tutta la sua potenza in un’area ristretta di 30-40 gradi, che non è il modo in cui si scansionano le minacce da tutte le direzioni. Questa modalità viene utilizzata solo se si conosce già la posizione generale di una minaccia. Per una scansione generale più ampia, la potenza elettromagnetica viene dispersa e il rilevamento avviene di conseguenza a distanze molto più ridotte. 

Infine, penso che ci sia una buona probabilità che siano stati lanciati altri oggetti contro il sistema S-400, perché se si guarda attentamente, alcuni dei missili lanciati vanno dritti verso l’alto, mentre altri si inclinano immediatamente in orizzontale, come se volessero inseguire oggetti in arrivo a quote molto più basse, che potrebbero essere qualsiasi cosa, da Storm Shadows, Neptunes, HARM, esche Mald, Brimstones, o persino droni. Ma ancora una volta: questo costituirebbe comunque un fallimento dell’IADS, in quanto gli S-400 non dovrebbero operare da soli, ma come parte di una rete che include un pesante supporto Shorad.

Ma la madre di tutte le provocazioni è che l’Ucraina ha ora attaccato e danneggiato un radar strategico russo di preallarme nucleare ICBM a lungo raggio a Voronezh:

Sembra che l’Ucraina abbia attaccato un radar russo di allarme rapido per missili balistici ad Armavir, in Russia. La distruzione di questo particolare nodo radar ha un’utilità militare diretta limitata per l’Ucraina, a causa della sua copertura. Credo che qualcuno voglia davvero testare la stabilità.

FighterBomber scrive:

Il nemico sta lentamente disabilitando i componenti del nostro argomento principale – i componenti dello scudo nucleare. Attacca le basi dei vettori di armi nucleari strategiche e gli elementi di allarme per gli attacchi nucleari. Non appena il nemico si renderà conto che il danno è critico e che non possiamo rispondere con danni inaccettabili, colpirà immediatamente con tutto ciò che ha. 

È esattamente quello che farei io.

Questo ha il potenziale per paralizzare la capacità della Russia di rispondere alle minacce nucleari e innesca di fatto 19c della dottrina di risposta nucleare della Russia:

Il paragrafo 19c dei Principi fondamentali recita: “attacco da parte di un avversario contro siti governativi o militari critici della Federazione Russa, la cui interruzione comprometterebbe le azioni di risposta delle forze nucleari”. Ciò significa di fatto qualsiasi interferenza di qualsiasi tipo contro infrastrutture civili o militari, che comprometterebbe la capacità di reazione nucleare.

L’Ucraina sta ora attuando il lento disarmo e la neutralizzazione della triade nucleare russa per conto della NATO, una posizione estremamente pericolosa dal punto di vista esistenziale per la Russia. Pertanto, la Russia ha ora il diritto dottrinale di rispondere con una forza di ritorsione nucleare – e l’Ucraina ha appena iniziato la sua escalation.

Questo è il motivo principale per cui ci troviamo ora a un potenziale bivio:

L’Ucraina è pronta a pungolare pesantemente la Russia e ora ha la capacità dimostrata di farlo senza che la Russia sia in grado di neutralizzare in modo affidabile le minacce. Se l’Ucraina ottiene il via libera all’uso dell’ATACMS e forse anche dello Storm Shadows, del Taurus, ecc. sul territorio russo – senza contare la Crimea, cosa che ha già fatto perché non la considera territorio russo – allora potrebbe scatenarsi l’inferno, perché la Russia non ha dimostrato la capacità di fermare l’ATACMS in modo affidabile, e l’Ucraina potrebbe benissimo colpire obiettivi estremamente sensibili che metterebbero il comando e il controllo russo di fronte a un dilemma storico.

Ma perché l ‘Ucraina ha improvvisamente iniziato a dimostrare una tale capacità di colpire importanti obbiettivi russi? Risposta: soprattutto perché ha investito il resto del suo denaro nella guerra asimmetrica. Vedete, nessuno di questi attacchi danneggia il vero esercito russo o cambia i calcoli sul campo. Ma poiché l’Ucraina sa che nulla di ciò che può fare cambierà la situazione, ha saggiamente deciso di riversare il resto delle sue risorse in droni e armi a lungo raggio in grado di scuotere la situazione in modo molto asimmetrico.

L’obiettivo è chiaro: Zelensky e co. vogliono probabilmente che la Russia risponda con armi nucleari tattiche. Per Zelensky, dittatore di un Paese che si è già scrollato di dosso il peggior disastro nucleare del mondo a Chernobyl e che irradia allegramente il proprio territorio con proiettili all’uranio impoverito forniti dall’Occidente, un piccolo incidente nucleare è il più piccolo dei possibili prezzi da pagare per salvare il suo regime con un successivo intervento della NATO.

Qualsiasi uso russo di una testata nucleare tattica sarebbe comunque puramente dimostrativo e non avrebbe molta utilità sul campo di battaglia. Le forze ucraine non sono concentrate e sono talmente disperse che un’atomica tattica non produrrebbe perdite particolarmente elevate né di uomini né di materiali. L’unico posto in cui le truppe dell’AFU sono concentrate è proprio l’area in cui non si possono usare le bombe atomiche: Le città ucraine nelle retrovie.

Tuttavia, devo dire che un’area in cui le bombe nucleari farebbero miracoli è l’eliminazione dei campi di aviazione ucraini. Questo potrebbe non uccidere molti soldati, ma devasterebbe completamente grandi campi che quasi nessun missile convenzionale può abbattere, impedendo il loro futuro utilizzo non solo per la flotta aerea ucraina rimanente, ma anche per gli F-16 previsti.

Ma ci sono altri modi potenziali in cui la Russia potrebbe aggravare la situazione senza l’uso di armi nucleari, ad esempio stringendo finalmente i voli di sorveglianza della NATO e minacciando di abbattere i droni sul Mar Nero. Questo è in realtà un problema molto più grande di quanto sembri: dato che gli Stati Uniti non hanno modo di rispondere militarmente a questa situazione, sarebbe un grande e umiliante colpo di spugna per la NATO se i suoi droni venissero abbattuti e non potessero fare nulla al riguardo. La NATO non ha le infrastrutture o la presenza nel Mar Nero per lanciare azioni di rappresaglia convincenti e si troverebbe in una situazione geopolitica difficile.

Tenete presente che si dice che la Germania sia ancora perentoriamente contraria a consentire l’uso dei Taurus, in particolare sul territorio russo; e da parte sua, personalmente dubito che l’amministrazione Biden consentirà l’uso degli ATACMS anche lì. Personalmente considero gli eventi precedenti come un attacco informativo volto a continuare la “strategia della tensione” contro la Russia. Certo, c’è ancora la possibilità che le cose stiano diversamente, ma la mia analisi è che la probabilità più alta rimane quella che si tratti di una provocazione.

Per esempio, è stato appena annunciato che Biden non parteciperà nemmeno al “Vertice di pace” di Zurigo, tanto sbandierato da Zelensky:

Il che sembra accordarsi molto di più con la direzione in base alla quale Biden sta staccando la spina all’Ucraina, il che sarebbe una prospettiva negativa per l’Ucraina che ottiene i permessi per colpire la Russia, anche se una setta radicale di neocons all’interno del deepstate farà del suo meglio per spingere per questo.

Tuttavia, anche se così fosse, rimane il problema dell’uso degli ATACMS in Crimea e altrove nel teatro. Se alcuni degli attacchi, ancora non confermati, hanno avuto effettivamente successo, allora i missili hanno iniziato a rappresentare un serio pericolo per le forze russe nel prossimo futuro.

Dove va a finire tutto questo?

La nuova narrazione coordinata che ha invaso il ciclo delle notizie proclama che Putin vuole negoziare e trovare un accordo il prima possibile:

Torneremo a parlarne tra poco.

Oggi Putin è atterrato in Bielorussia con Belousov al seguito, oltre ad alcuni personaggi “misteriosi” molto interessanti. Permettetemi di preparare la scena:

In primo luogo, Putin ha invocato i colloqui di pace e l’accordo con la Bielorussia, ma ha affermato in modo molto specifico che Zelensky non è più legittimo e che il parlamento ucraino dovrebbe essenzialmente trovare prima “qualcuno” di reputazione costituzionale legale con cui la Russia possa trattare:

Egli afferma inoltre che qualsiasi trattativa dovrà essere conforme al “buon senso”. Questo è un modo molto diplomaticamente “morbido” di dire: qualsiasi accordo di pace deve tenere conto non solo di tutte le realtà attuali del campo di battaglia, il che in termini pratici significa che i territori già conquistati dalla Russia devono essere mantenuti, ma anche degli interessi della Russia, che ruotano principalmente intorno ai suoi obiettivi principali di de-nazificazione, smilitarizzazione, neutralità, ecc.

In sostanza, Putin sta semplicemente riaffermando che la Russia sarà aperta a colloqui con qualcuno che non sia Zelensky, a condizione che tutti gli obiettivi della Russia siano soddisfatti. Si tratta ovviamente di un tentativo a lungo termine che permette a Putin di mantenere l’aspetto di pacificatore pur sapendo che il conflitto, realisticamente, continuerà.

È interessante notare che si dice che Yanukovich, l’ultimo leader legittimamente eletto dell’Ucraina, sia stato portato in Bielorussia per la prima volta dall’inizio dell’OMU:

Si dice che Zelensky abbia perso legittimità e che ora sia alla pari di Yanukovych, anch’egli convenzionalmente “presidente”. 

L’unica differenza è che Zelensky detiene ancora de facto il potere con la forza.

Ora si apprende che la Russia sta riportando Yanukovych in gioco.

L’aereo di Viktor Yanukovych è arrivato in Bielorussia.

Oggi è previsto un incontro tra Putin e Lukashenko.

Yanukovych offrirà davvero agli ucraini pace, negoziati, la creazione di una federazione fuori dall’Ucraina e denaro dalla Federazione Russa in cambio dei territori perduti? Yanukovych terrà anche delle elezioni in Ucraina. È possibile anche un referendum.

Sta emergendo uno schema interessante.

kupiansknash

Un’altra voce ha persino affermato che il motivo per cui questo particolare viaggio in Bielorussia è stato così “pesante”, portandosi dietro il ministro della Difesa e molte altre figure, è perché un nuovo “fronte” dalla Bielorussia è in trattative. Questo è ovviamente inverosimile, ma non è da escludere: sappiamo che la Russia potrebbe pianificare un assalto a Sumy e Chernigov e ora vediamo strane notizie dalla Bielorussia.

Un deputato della Rada ucraina è molto preoccupato:

“Non escludo l’apertura di un secondo fronte russo-bielorusso” – Il deputato popolare ucraino Shevchenko

▪️Il deputato del popolo ucraino lancia l’allarme: Vladimir Putin e alcuni ministri, tra cui Lavrov e Belousov, sono arrivati nella Repubblica di Bielorussia in visita di Stato.

▪️Inoltre, alcuni media hanno riportato l’arrivo a Minsk dell’ex presidente ucraino Yanukovych.

Arestovich, da parte sua, respinge tutto. Ecco il suo ultimo commento da Twitter:

Arestovich

Non ci sarà un secondo fronte dalla Bielorussia).

Entrambe le provocazioni su Narva, le esercitazioni congiunte delle “forze nucleari” bielorusse (?) e russe, e l’operazione di Khvrikov sono una dimostrazione di coerenza strategica (“guardate, possiamo ancora spostare i confini”), e di esibizione prima della fase finale dei negoziati per il cessate il fuoco.

Yanukovych è stato portato lì perché è amico di Lukashenko e AGL gli ha promesso un incontro con Putin (che non vuole vedere Yanukovych).

La Federazione Russa non ha soldati disponibili.

La NATO ha organizzato esercitazioni, le più grandi dal 1991, di 300.000 militari ai confini orientali del blocco, dai Baltici alla Grecia.

Nessuno inizia una guerra distruggendo i propri generali nel GSH, come sta facendo Putin.

Putin fa dichiarazioni di pace.

 Biden e Xi non andranno alla Formula della Pace in Svizzera.

Dimostrano che il piano di Zelensky non funzionerà, i grandi hanno il loro piano e lo seguiranno.

In breve, Arestovich ritiene che i russi stiano organizzando una psyop informativa per preposizionarsi ai prossimi colloqui di pace.

La sua analisi, tuttavia, si basa su un dato molto “interessante”: “La Federazione Russa non ha soldati disponibili”.

Oh, davvero? Queste affermazioni potrebbero seriamente inficiare le conclusioni di una persona.

Pensate davvero che la Russia avrebbe riorientato l’intera economia su un piano di guerra, assumendo Belousov per il lungo termine, se avesse voluto gettare la spugna proprio ora? Non è probabile.

Quindi, tornando all’inizio, Peskov ha smentito totalmente le critiche occidentali alla presunta spinta pacificatrice di Putin:

“Non è così. I negoziati sono necessari per raggiungere l’obiettivo nel quadro dell’operazione speciale. Gli obiettivi dell’operazione speciale in Ucraina sono chiari, le realtà sono comprensibili. Esiste una Costituzione della Russia, che ha fissato la composizione delle regioni della Russia”.

C’è anche questo:

La Russia sta ora ripulendo l’intera struttura dello stato maggiore militare in preparazione a quello che è chiaramente un conflitto di lunga durata che le si prospetta davanti. Non solo sono stati arrestati diversi nuovi generali, ma ora si vocifera che ce ne saranno altri:

In realtà, si tratta solo dello Stato Maggiore. Anche i comandanti che hanno fallito vengono ora scaricati, come nel caso di ieri di un famigerato comandante della 20ª CAA:

Il comandante della 20esima armata combinata, il tenente generale Sukhrab Akhmedov, è stato sospeso

In precedenza, i media e le risorse militari lo hanno ripetutamente accusato di operazioni offensive fallite con perdite ingiustificate a Ugledar. Fonti militari hanno scritto più di una volta che poteva ingannare il comando, spacciando i suoi fallimenti per successi.

E innumerevoli governatori e altri funzionari sono stati arrestati per varie accuse di corruzione nell’ultimo mese o giù di lì:

Si tratta di un’epurazione anticorruzione senza precedenti, che rappresenta chiaramente l’inizio di una nuova era e della serietà di Putin e Belousov nel ripulire le forze armate e la leadership del Paese in generale. Naturalmente, c’è sempre la possibilità che si vada verso un vicolo buio, ma per ora lo considero uno sviluppo altamente positivo.

Molti di questi generali e ufficiali sono reduci dagli anni 2000, quando la corruzione nei ranghi militari russi era di rigore. Non necessariamente la corruzione di alto livello, di per sé, ma ciò che era comune era, ad esempio, che i generali utilizzassero semplicemente gli uomini delle loro unità come manodopera gratuita per costruire le loro dacie, e che prendessero piccole tangenti dalle imprese edili per ottenere accordi favorevoli, ecc.

Ora è chiaro che Putin ne ha abbastanza. È vero che è molto tardi e che di conseguenza sono stati subiti danni e perdite incalcolabili, ma per quanto la frase sia banale, in questo caso è vera: meglio tardi che mai.

Conclusioni:

Alla luce di quanto sopra, possiamo estrapolare quanto segue.

La Russia continua a condizionare il terreno per l’illegittimità di Zelensky. Lukashenko ha persino detto, durante i colloqui di oggi, che “quest’anno accadranno molte cose…. ci sono molte persone in Ucraina, sia nell’esercito che nel governo, che vorrebbero assumere la posizione di leader .

È chiaro che la Russia sta preparando il terreno per un partito favorevole strappare il controllo attraverso un colpo di stato militare o altro e deporre Zelensky . Lo stratagemma di Yanukovich è stato molto interessante e potrebbe essere solo una sorta di scherzo tra Putin e Lukashenko, cioè una calcolata messa in scena come minaccia simbolica a Zelensky, come a dire: “Vedete, abbiamo qui l’uomo che avete deposto ed è pronto a riprendersi il suo posto”, come una sorta di avvertimento teatrale.

A parte questo, nonostante l’evidente gravità e pericolosità delle continue provocazioni di Zelensky, la Russia è potenzialmente in grado di creare una situazione catastrofica per l’AFU nel futuro prossimo e medio con l’introduzione di nuovi fronti, siano essi Sumy e/o la Bielorussia. Le voci su Sumy continuano senza sosta, le ultime dall’Ucraina:

🔴 Nel frattempo, il nemico continua a dichiarare che il nostro esercito continua ad aumentare il suo raggruppamento nella zona di confine delle regioni di Sumy e Chernigov.

🔴 Il nemico si aspetta azioni attive in questa direzione nel prossimo futuro.

Inoltre, la ragione dietro le provocazioni di Zelensky, disperatamente riduttive, è che l’Ucraina continua a subire perdite catastrofiche sul fronte. Ecco due esempi dimostrativi recenti: leggete con molta attenzione quanto riportato dai canali militari ucraini:

Quindi:

Solo la 79ª brigata riporta 20 morti al giorno e altri 35 dispersi. La 59ª brigata riporta “2-3 dozzine” di perdite al giorno mentre grida disperatamente aiuto.

Si dice che l’Ucraina abbia più di 100 brigate in linea. Supponiamo che tutte subiscano un tasso simile di 20-40 vittime al giorno, cioè 100 x 30 medi = 3000 al giorno. Supponiamo che solo un terzo di queste siano KIA, ottenendo 1000 KIA al giorno su tutto il fronte, che è esattamente quello che mostrano i dati russi. E questo è 1000 x 30 = 30.000 KIA al mese, che è esattamente quello che l’Ucraina si dice stia perdendo, pur mobilitando solo circa 4-6k uomini al mese.

Legitimny riferisce quanto segue in merito alle perdite dell’Ucraina sul fronte nord di Kharkov:

La traduzione sembra un po’ ambigua, ma si parla di perdite ucraine in quella zona.

Forbes scrive della grave carenza di equipaggiamento delle Forze armate ucraine.

Il problema è estremamente doloroso, tanto che la 153esima brigata delle Forze Armate ucraine era inizialmente meccanizzata, secondo i documenti, ma è stata riformata in una brigata di fanteria. Le Forze Armate ucraine hanno bisogno di mezzi di trasporto seri: camion, non auto o carrozze.

Le Forze Armate dell’Ucraina sono composte da 100 brigate, che con la prossima mobilitazione saranno rifornite di circa il 10% di personale, ma l’equipaggiamento dell’esercito è in costante diminuzione.Anche nell’estate del 2023, le brigate più corpose e d’élite delle Forze Armate ucraine (la 47esima, ad esempio) avvertivano un’acuta carenza di equipaggiamento e disponevano di un terzo del numero necessario di veicoli ruotati. Mentre le Forze Armate ucraine sono sulla difensiva, la mancanza di veicoli ruotati non è così grave, nella fase offensiva, la sua assenza sarà un disastro.

Tra l’altro, le brigate campione di cui sopra non si trovano nemmeno nelle zone più calde. La 79ª è a Paraskovievka e la 59ª a Krasnogorovka. Le brigate che combattono a Kharkov, Chasov Yar, Ocheretino, sul Dnieper, ecc. stanno subendo perdite ancora più pesanti, poiché i combattimenti sono molto più vasti e accesi.

La Russia, d’altra parte, ha avuto di recente un interessante aggiornamento sulle perdite. Un account militare russo collegato si è lamentato del fatto che la difesa della regione del Dnieper/Kherson è costata cara, con un totale di 1.000 vittime nella battaglia di Khrynki. A prima vista sembra un numero elevato, ma la contesa di Khrynki è iniziata nel giugno 2023. Se si calcolano 1000 perdite nel corso di quasi 12 mesi interi, si arriva a circa 2,7-3 perdite al giorno, e questo a quanto pare per molte brigate russe che combattevano su quel particolare fronte. Tuttavia, 1000 uomini sono un sacco di morti per una posizione fluviale puramente difensiva, anche se nell’arco di un anno; la maggior parte dei morti proveniva dai contrattacchi contro la resistenza di Khrynki.

L’ultimo aggiornamento dell’AFU Khrynki parla nuovamente di gravi perdite:

Un ultimo esempio da un mercenario che combatte per l’AFU:

E la CNN riferisce:

E un altro rapporto in prima linea del FT con l’AFU afferma:

Come ultima nota sulla situazione dei “negoziati”, è stato confermato che la Russia sta già emettendo nuovi codici regionali russi per le targhe delle auto nei territori appena conquistati di Kharkov. Questa è una chiara indicazione che la Russia intende annettere Kharkov alla fine con un referendum, che ovviamente includerà la città stessa.

Non abbiamo intenzione di prendere Kharkov per ora… ma distribuiremo i passaporti. E assegneremo un codice regionale per le auto!

I residenti dei distretti liberati della regione di Kharkov riceveranno passaporti russi. Lo ha annunciato ai giornalisti il capo dell’amministrazione civile-militare della regione, Vitaly Ganchev.

Ha ricordato che i residenti del Donbass hanno seguito una procedura in due fasi: prima hanno ricevuto i passaporti delle repubbliche popolari e poi li hanno cambiati con quelli russi. I residenti di Kharkov saranno sollevati da questa seccatura.

“Sulla base di questa esperienza, abbiamo deciso che se le persone vogliono diventare cittadini russi, devono ottenere immediatamente un passaporto russo”, ha spiegato Ganchev.

Alcuni ultimi elementi:

La Russia sta ora sganciando nuovi tipi di bombe glide chiamate UMPB:

“Military Inforant” ha postato informazioni secondo cui le bombe UMPB D-30SN (vedi allegato) sono state sganciate a 50 km dalla linea di contatto…. il bersaglio poteva essere molto più lontano… il che ci dà un’idea approssimativa della gittata che, come ho postato in precedenza, è ipotizzata intorno ai 100 km.

A quanto pare esistono due versioni:

– standard (non alimentato)

– versione con motore a razzo a combustibile solido

Video:

Nuovi articoli insistono sui fallimenti di molti sistemi occidentali:

Musk è stato costretto a rispondere:

C’è ancora molto da dire, ma questo rapporto è abbastanza lungo quindi penso che lo lasceremo al prossimo.

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Gli eserciti fantasma della NATO, di AURELIEN

Gli eserciti fantasma della NATO.

E il fantasma di Carl von Clausewitz.

Anche se questi saggi saranno sempre gratuiti, potete comunque sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️

E grazie ancora a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e ha creato un sito web dedicato a queste traduzioni . Grazie infine ad altri che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue. Sono sempre felice che ciò avvenga: chiedo solo che me lo diciate in anticipo e che me ne diate atto. Quindi, ora ….

Mentre le operazioni militari della crisi ucraina entrano nella sua lunga fase finale, con l’esito di massima ormai inequivocabile per tutti coloro che hanno occhi per vedere, ci si augura che gli opinionisti, a prescindere dalle loro opinioni personali di quale squadra di calcio vorrebbero la vittoria, accettino comunque la realtà e inizino a parlare dell’Europa e del mondo dopo una vittoria russa. Tuttavia, è tale la morsa del pensiero convenzionale e la paura di abbandonare le credenze sacre sul mondo, che questo non sta accadendo. Anzi, da tutti i punti della bussola ideologica si sente parlare di un nuovo minaccioso stadio nell’evoluzione della crisi, quello dell’intervento della NATO o, come suppongo si debba scrivere, dell’INTERVENTO DELLA NATO. Per alcuni, l’unico modo per “sconfiggere” la Russia e “fermare Putin” è che la NATO “venga coinvolta”, mentre per altri tale intervento è un disperato espediente dell’imperialismo statunitense che provocherà semplicemente la Terza Guerra Mondiale e la fine del mondo.

Se avete letto alcuni dei miei saggi passati, vi renderete conto che entrambi questi argomenti sono completamente falsi. Ma nonostante io, e altri scrittori molto più eminenti e letti, lo diciamo da tempo, sembra che siano quasi inosservati. Perciò questo è un saggio che pensavo non avrei mai dovuto scrivere, ma che ora mi sembra necessario. Si addentra in dettagli che potremmo definire strazianti, ma in questo genere di argomenti il diavolo si nasconde nei dettagli, o addirittura nei particolari dei dettagli. Detto questo, ci sono molti altri livelli che non vengono trattati, sui quali possono commentare persone molto più esperte di me in campo militare, ma si limita al quadro generale. Quindi….

Mentre pensavo a come affrontare questo saggio, mi sono imbattuto nel fantasma del grande pensatore militare prussiano Carl von Clausewitz che, un po’ contro le mie aspettative, ha prontamente accettato di fornire alcune riflessioni iniziali. In seguito ho preso nota della nostra conversazione, che si è svolta più o meno così:

Aurelien: La ringrazio molto per aver accettato di parlare con il mio sito, soprattutto perché l’ho già invocata più volte.

Clausewitz. Oh, niente affatto. Vede, sono duecento anni che la gente mi fraintende e mi cita male e la situazione non migliora. Questo nonostante il fatto che non credo che il Libro I di Sulla guerra – l’unico che abbia mai finito del tutto – possa essere molto più chiaro, e si può leggere e assimilare in un pomeriggio.

Aurelien. E qual è il messaggio essenziale che secondo lei la gente non sta recependo?

Clausewitz. È molto semplice. L’azione militare in sé è un affare tecnico che può andare bene o male, ma quel risultato ha importanza solo nella misura in cui è collegato a qualche obiettivo politico che si vuole raggiungere. Per “politica” – visto che stiamo parlando in inglese – non intendo la politica di partito, ma la politica dello Stato stesso: in altre parole, ciò che il governo sta cercando di realizzare. (Ma il prerequisito assoluto è che il governo abbia un’immagine di ciò che vuole ottenere e un’idea di come ciò possa avvenire. In particolare, deve identificare quello che ho chiamato il centro di gravità, ossia il singolo obiettivo più importante contro il quale dirigere i propri sforzi e che raggiungerà l’obiettivo. Ai miei tempi, spesso si trattava dell’esercito nemico, ma poteva anche essere la capitale, la forza di una coalizione o persino il morale della popolazione. Quindi, alla fine, il vostro obiettivo è il processo decisionale del nemico. Come ho detto nel mio libro, la guerra consiste nel costringere il nostro nemico a fare ciò che vogliamo noi, non solo a distruggerlo senza motivo. Al giorno d’oggi non si parla più di guerra con tanta leggerezza e non sempre abbiamo nemici semplici, quindi direi che “qualsiasi operazione militare deve avere uno scopo finale non militare, altrimenti è una perdita di tempo”.

Aurelien. Allora, dove andiamo a finire?

Clausewitz: Naturalmente non basta avere un piano strategico, per quanto ben definito e sensato. È necessaria la capacità militare, sia in termini di equipaggiamento e unità che di addestramento e competenze professionali, per attuare il piano. Quindi diciamo che, al di sotto del livello strategico e della pianificazione strategica, viene il livello operativo, in cui si cerca di riunire tutte le attività più dettagliate a livello tattico delle singole forze, in un piano coerente, per raggiungere un risultato che renda possibile l’obiettivo strategico. E storicamente, dai tempi di Alessandro in poi, questa è sempre la parte più difficile.

Aurelien: E nella guerra attuale?

Clausewitz: Beh, il modo più semplice per metterla è che, mentre entrambe le parti hanno avuto obiettivi strategici di qualche tipo, solo i russi hanno effettivamente avuto piani strategici e operativi adeguati. L’Occidente ha voluto far crollare l’attuale sistema in Russia per molto tempo, e più recentemente i suoi leader hanno anche avuto paura della crescente potenza militare russa. Ma tutto questo è stato molto incoerente e sembra essere irrimediabilmente e paradossalmente mescolato a convinzioni di superiorità razziale e culturale rispetto ai russi. Il risultato è che non c’è mai stato un vero e proprio piano strategico, al di là della speranza che il rafforzamento dell’Ucraina, ad esempio, avrebbe in qualche modo indebolito il sistema russo. E per quanto riguarda l’Ucraina stessa, beh, l’Occidente non ha mai avuto un vero e proprio piano strategico, tanto meno operativo: solo un sacco di posture e iniziative scollegate. Se vogliamo, si trattava solo di tenere in piedi la guerra nella speranza che la Russia crollasse. A mio parere, non è questo il modo di portare avanti una guerra: i pezzi non sono semplicemente collegati tra loro, e in questo caso non si può vincere. E ora devo andare a discutere con Tukaschevsky e Patton, che sono ancora ossessionati dalla guerra di manovra in Ucraina.

E la conversazione è finita lì. Ma mi ha fatto pensare che l’ostacolo fondamentale a qualsiasi “coinvolgimento” della NATO in Ucraina è concettuale. Nessuno sa davvero a cosa serva o come sarebbe. Nessuno sa cosa si intenda realizzare, o quale sia lo “stato finale”, in linguaggio tecnico.

Questo è stato più o meno il caso fin dall’inizio. In ogni momento, almeno dalla fine del 2021, l’Occidente è stato sorpreso dalle azioni russe e ha dovuto affannarsi per tenere il passo. Le bozze dei trattati del dicembre 2021 non erano state previste e non c’è stata una risposta occidentale coerente. Il successivo accumulo di forze russe è stato frainteso: alcuni pensavano che non fosse prevista un’invasione, altri hanno frainteso la natura dell’invasione stessa e quali fossero gli obiettivi. Da allora, l’Occidente è sempre stato almeno un passo indietro, sorprendendosi e reagendo continuamente alle mosse russe. Inoltre, molte delle sue stesse mosse si sono basate sul fare ciò che è effettivamente possibile (attaccare la Crimea, inviare certi tipi di attrezzature) piuttosto che su mosse che potessero aiutare l’Occidente e l’Ucraina a raggiungere i russi, per non parlare di prendere l’iniziativa. Tutto ciò è contrario a uno dei principi eterni della guerra, ovvero la selezione e il mantenimento dell’obiettivo. L‘Occidente non è stato in grado di identificare alcun obiettivo nel suo coinvolgimento, se non quello che è per definizione impossibile da raggiungere militarmente (il ripristino dei confini dell’Ucraina nel 1991) o quello che è solo una fantasia politica (la rimozione di Putin dal potere).

C’è un esempio un po’ tecnico ma interessante che è stato molto influente per chiarire questo tipo di situazione, quindi permettetemi di fare una breve deviazione su di esso. Durante la guerra di Corea, ci furono diversi scontri tra i caccia americani F-86 e i MiG-15, spesso pilotati da piloti cinesi e talvolta russi. Le caratteristiche tecniche degli aerei erano molto simili e la differenza di abilità dei piloti non era grande. Eppure l’F-86 ne usciva vittorioso la maggior parte delle volte. John Boyd, allora ufficiale dell’aeronautica statunitense, studiò il problema e si rese conto che, in una situazione in cui le uccisioni potevano essere ottenute in modo affidabile solo arrivando alle spalle del nemico, era necessario virare più strettamente dell’avversario. Ne emerse che l’F-86 aveva un piccolo, ma in realtà vitale, vantaggio e che, dopo un certo numero di manovre, era generalmente in grado di posizionarsi dietro l’aereo nemico. L’importanza di questo fatto era che il pilota statunitense manteneva l’iniziativa, mentre il pilota nemico cercava sempre di scrollarsi di dosso l’F-86.

In seguito Boyd sistematizzò questo processo, dividendolo in quattro fasi. La prima è l’osservazione (“cosa vedo?”), la seconda è l’orientamento (“cosa significa?”), la terza è la decisione (“cosa farò?”) e l’ultima, naturalmente, è l’azione. E poi si ricomincia. Nell’insieme, queste fasi sono note come Ciclo di Boyd o, più colloquialmente, “Ciclo OODA”. Ma Boyd si rese conto che chi reagisce più rapidamente può entrare nel Loop del nemico, in modo tale che quando il nemico è pronto ad agire, la situazione è cambiata e il processo di decisione sul da farsi deve ricominciare da capo. Questo si applica in modo pervasivo, dal combattimento aereo originario fino al livello strategico.

Questa è, in effetti, la situazione in cui si trova l’Occidente dall’inizio della crisi: correre per recuperare il ritardo. I russi si sono dimostrati (e questo non sorprende nessuno se studia la storia) rapidi nell’adattare le loro tattiche, nel modificare e introdurre nuove armi. L’Occidente no. Così, ora vediamo gli ucraini trasferire freneticamente le forze di qua e di là per far fronte all’ultimo attacco, e né loro né i loro sponsor occidentali sono sicuri di quali siano gli attacchi reali e quali le finte. In effetti, non è certo che l’Ucraina e l’Occidente abbiano mai avuto l’iniziativa in questa guerra: anche la celebre offensiva del 2023, direi, è stata essenzialmente imposta all’Ucraina dai russi come un modo per esaurire ulteriormente le proprie forze armate e gli aiuti occidentali ricevuti.

Una spiegazione di questa disparità ci riporta alle caratteristiche tecniche: non degli aerei, questa volta, ma delle organizzazioni. Il gruppo del Grande Occidente che ha sostenuto l’Ucraina è diviso tra di loro e il suo attore più influente, gli Stati Uniti, è diviso al suo interno. La Russia è un’unica potenza, con un evidente alto grado di coerenza. (Anche in circostanze ideali, quindi, l’Occidente sarà più lento a reagire dei russi, e le circostanze sono tutt’altro che ideali. I russi hanno quindi, e avranno per il prossimo futuro, l’iniziativa e i vantaggi di un OODA Loop più veloce.

Poiché all’inizio l’Occidente non aveva un piano strategico, ma solo obiettivi strategici molto vaghi, e poiché non ha mai avuto l’iniziativa e non può reagire con la stessa velocità dei russi, parlare di “coinvolgimento” della NATO è essenzialmente vuoto. È vero, a un certo livello, che la NATO potrebbe disarmarsi ancora più rapidamente inviando alcune unità in Ucraina, per essere annientate da bombe a frammentazione e missili a lunga gittata senza vedere il nemico, ma questo non risponde alla domanda su quale sarebbe lo scopo effettivo del dispiegamento di tali forze .

Come spesso accade, di fronte a questo tipo di problemi, i leader politici si rifugiano in una nuvola di generalità. Ci diranno che uno schieramento o l’altro serve a “dimostrare a Putin che non può vincere” o a “dimostrare la determinazione della NATO a resistere all’aggressione”. Il problema, ovviamente, sta nel tradurre questo tipo di aspirazione nebulosa (poiché non è nemmeno propriamente un obiettivo strategico) nel tipo di piani operativi e tattici di cui parlava Clausewitz. In pratica, ciò equivale generalmente a fare qualcosa per il gusto di fare qualcosa, che è un’idea infallibilmente cattiva, e spesso porta a prendere decisioni attraverso lo pseudo-sillogismo tripartito che ho spesso citato: Dobbiamo fare qualcosa, Questo è qualcosa, OK, facciamolo.

Immaginate, se volete, i trentadue membri attuali della NATO attorno a un tavolo, che discutono su cosa “si può fare”. Persino il principio di “fare qualcosa” sarebbe controverso, e gli stessi Stati Uniti saranno probabilmente aspramente divisi sulla questione, e troveranno difficile prendere posizione. I Paesi che non possono o non vogliono inviare truppe saranno più entusiasti di quelli che possono farlo. Gli Stati Uniti vorranno comandare l’operazione, anche se non dispiegheranno effettivamente alcuna truppa. L’operazione dovrà essere comandata da Mons perché non ci sono quartieri generali altrettanto capaci in altre parti d’Europa. Ci saranno interminabili discussioni su chi comanderà la forza stessa, su chi contribuirà al suo quartier generale, su quali saranno le linee di segnalazione politica e persino su quali saranno le sue regole d’ingaggio, dato che le nazioni della NATO hanno leggi diverse sull’uso della forza al di fuori di un conflitto armato generale. Oh, e che cosa farà effettivamente questa forza? Qual è il suo scopo e come sapremo se è stato raggiunto? Probabilmente ci vorranno giorni di discussioni solo per stabilire quali sono le decisioni che devono essere effettivamente prese.

Inoltre, la decisione dovrà essere unanime: qualsiasi accenno di disaccordo interno farà “il gioco dei russi”. Così si dedicheranno tempo e sforzi enormi a piani e obiettivi angosciosamente complessi e internamente contraddittori, con qualcosa per tutti e nulla che possa essere seriamente contestato. Ci siamo già passati: l’esempio classico è il dispiegamento dell’UNPROFOR in Bosnia dal 1992 al 1995, che soffriva del problema fondamentale che (1) molte nazioni volevano che si “facesse qualcosa”, anche se non da sole, e (2) non c’era nulla di valore che una forza militare potesse effettivamente fare. Questo ha prodotto un mandato frammentario e spesso mutevole, che variava con l’equilibrio delle forze in seno al Consiglio di Sicurezza, impossibile da attuare (le forze semplicemente non erano disponibili) e inutile per i comandanti sul campo. Qualsiasi “coinvolgimento” della NATO sarebbe molto più complicato di questo.

Ma supponiamo che lo Stato Maggiore Internazionale venga inviato a preparare le opzioni, e che scopra che ce ne sono solo due. Esse sono: (1) una forza di spedizione per combattere con gli ucraini e tentare di mantenere, e se possibile recuperare, il territorio, e (2) una presenza puramente dimostrativa, da qualche parte in un’area relativamente sicura, con la speranza di “scoraggiare” i russi dall’attaccare, o almeno di fare un punto politico, qualunque esso sia. Tra un attimo entreremo nello specifico delle varie opzioni, ma prima dobbiamo capire che, in entrambi i casi, è necessario rispondere a una serie di domande preliminari comuni.

Per quanto tempo? Non solo si deve tenere conto del tempo per l’addestramento e il dispiegamento, ma anche in questo caso non si possono lasciare le forze sul campo in operazioni a tempo indeterminato. Le nazioni generalmente ruotano le forze dopo che sono state schierate per 4-6 mesi. Ciò significa che qualsiasi forza venga inviata, deve essercene un’altra dietro, che si addestra e si prepara. E dietro di essa, un’altra ancora. Se non siete in grado di farlo, i russi devono solo aspettare e le vostre forze torneranno a casa. A seconda delle dimensioni della forza che vuole inviare, la NATO probabilmente scoprirebbe che, per ragioni sia politiche che di risorse, potrebbe sostenere al massimo due dispiegamenti.

Qual è la posizione della forza? La posizione legale sarebbe complicata, per usare un eufemismo. Poche nazioni della NATO sarebbero felici di essere esplicitamente parte del conflitto, perché ciò aprirebbe i loro territori nazionali ad attacchi contro i quali non hanno alcuna difesa, senza poter colpire utilmente la Russia. Bisognerebbe trovare una formula complicata che permetta loro di rispondere agli attacchi russi, ma non di iniziare un conflitto (che sarebbe comunque suicida). Ma cosa succede quando le truppe russe chiudono le loro vie di rifornimento o perdono un colpo di artiglieria sull’aeroporto da cui dipendono per i rifornimenti? Cosa succede quando gli aerei russi pattugliano continuamente appena fuori dal raggio di ingaggio, senza mostrare alcuna attività ostile? Cosa succede quando un missile sorvola la forza NATO e colpisce un obiettivo a cinque chilometri di distanza? Cosa succede quando le truppe russe passano di frequente, scattano fotografie e alla fine chiedono alle truppe occidentali di lasciare l’area entro una certa data o di subire conseguenze non specificate? Cosa succede se i russi tagliano l’acqua potabile e impediscono l’accesso ai rifornimenti di cibo?

Singolarmente, questo tipo di imprevisti può essere affrontato da una nazione con istruzioni chiare. Il problema sta nel trovare una sorta di consenso su cosa dire al Comandante prima dell’inizio della missione, e un modo per reagire agli sviluppi inattesi. Il rischio è quello di inviare le truppe armate di una sorta di salatino che dice al Comandante tutto e niente, e che quando accade qualcosa di veramente inaspettato, il sistema si blocca, incapace di prendere una decisione. E si può ipotizzare che gli ucraini cercheranno di coinvolgere la NATO nei combattimenti, con un sotterfugio o con un altro, ad esempio lanciando attacchi dai territori in cui sono schierate le truppe NATO, con armi occidentali.

Cosa succede se le cose vanno male? La credibilità di un dispiegamento militare dipende in qualche misura dalla sua capacità di reagire agli eventi e di affrontare problemi inaspettati. È altamente improbabile che una forza NATO inviata in Ucraina, qualunque sia la sua dimensione, abbia riserve facilmente disponibili, e quindi non possa avere un’escalation. Ai tempi della Guerra Fredda, esisteva un’unità militare multinazionale della NATO con il titolo di Allied Command Europe Mobile Force (Land), nota familiarmente come AMF(L). Si trattava di una forza prontamente disponibile, in grado di dispiegarsi rapidamente in un punto di crisi. Ma la chiave era che si trattava solo della punta della lancia e che poteva essere rapidamente rafforzata se la crisi si fosse aggravata. Potrebbe quindi (secondo la NATO) svolgere una funzione di deterrenza. Lo stesso non è possibile in Ucraina, nemmeno in linea di principio. Supponiamo che una forza NATO venga effettivamente attaccata? Si ritirerebbe? Cercherebbe di combattere? Fino a quale livello di perdite? Cosa succederebbe se venisse bombardata da armi come missili o bombe a caduta, o da un attacco di massa da parte di droni, a cui non sarebbe in grado di rispondere? Cosa succede se, dopo un paio di colpi dimostrativi, la forza viene minacciata di distruzione se non si ritira? Questo non solo causerebbe una crisi politica nell’alleanza, ma è molto probabile che le singole nazioni ritirino le loro forze dal comando NATO e le riportino a casa.

Come faremo ad operare? Mentre Clausewitz si allontanava, si girò e gridò: “Non dimenticate la dottrina!”. Naturalmente aveva ragione. La dottrina è ciò che dice ai militari come combattere e deve essere praticata regolarmente in modo che i comandanti a tutti i livelli la conoscano e non abbiano bisogno di sentirsi dire cosa fare. Ai tempi della Guerra Fredda, la NATO aveva un concetto di difesa che prevedeva la difesa il più vicino possibile al confine per ragioni politiche e il ripiegamento sulle linee di rifornimento e sulle riserve. Nel frattempo, le forze aeree avrebbero cercato di distruggere le forze sovietiche di seconda e terza linea e di attaccare i centri logistici e i campi di aviazione, oltre a mantenere la superiorità aerea sull’Europa occidentale. Esistevano piani operativi molto dettagliati: ad esempio, il 1° Corpo d’armata (britannico), rinforzato fino alla sua forza di guerra di circa 90.000 uomini, era responsabile di fermare la Terza Armata d’urto sovietica. La speranza era che, man mano che l’Armata Rossa avanzava in un territorio sconosciuto e più lontano dai rifornimenti, potesse essere fermata a est della cosiddetta Linea Omega, dove i militari della NATO avrebbero avuto il diritto di chiedere il rilascio di armi nucleari tattiche. Ora, il punto è che da questo derivava ogni sorta di conseguenza dottrinale a diversi livelli, e che la dottrina poteva essere scritta, insegnata, praticata e rivista.

Oggi non esiste nulla di tutto ciò. La NATO come alleanza non ha una vera e propria dottrina militare, e di certo non è adatta alla situazione attuale. Il dispiegamento in Bosnia nel 1995 è stato perlopiù un’operazione di attesa, mentre il dispiegamento in Afghanistan è stato un tipo di guerra completamente diverso. Oggi non ci sono ufficiali superiori in nessun esercito della NATO con esperienza di comando di grandi operazioni e, poiché il servizio medio di un soldato è in genere di 7-8 anni, la maggior parte degli eserciti della NATO non ha soldati che abbiano combattuto e probabilmente nemmeno molti ufficiali. I russi hanno conservato la dottrina militare dell’era sovietica per i combattimenti su larga scala ad alta intensità, ma abbiamo visto quanto rapidamente hanno dovuto modificarla in Ucraina. La NATO non potrebbe mai aspettarsi la superiorità aerea su un campo di battaglia in Ucraina, e non ha una dottrina (né un equipaggiamento) per combattere in condizioni di superiorità aerea nemica. Non ha una dottrina per far fronte alle bombe a caduta lanciate da distanze in cui l’aereo che le lancia non può essere individuato o almeno il suo obiettivo è sconosciuto, e non ha una dottrina per far fronte agli attacchi dei missili balistici e degli sciami di droni. (Sì, ha attrezzature in grado di distruggere teoricamente i droni, ma non ha una dottrina per affrontare un sofisticato attacco di sciami di droni usando esche. Le sue truppe semplicemente non saprebbero cosa fare).

Inoltre, ci stiamo muovendo verso un concetto di guerra in cui le unità nemiche sono facili da trovare e da distruggere e in cui uno dei principi della guerra – la concentrazione delle forze – non si applica più come un tempo. Per quanto possiamo vedere dai video disponibili, la maggior parte degli attacchi sono ora su piccola scala, ma coordinati su un’area molto ampia. Così, la guerra di oggi assomiglia agli scacchi giocati su una scacchiera di duecento caselle per lato, con forse un centinaio di pezzi per giocatore. È un tipo di guerra che pone un’immensa responsabilità nelle mani di ufficiali e sottufficiali minori, che devono essere tutti addestrati a fondo nella stessa dottrina e disporre di apparecchiature di comunicazione completamente interoperabili e molto sofisticate. E anche in questo caso, abbiamo visto che le unità fresche impiegate dai russi nella direzione di Kharkov commettono ogni sorta di errore nei loro primi incontri con il nemico.

La NATO non ha nulla di tutto ciò: i suoi contingenti nazionali non sono necessariamente in grado di parlare tra loro, le sue truppe non hanno una dottrina comune e non hanno assolutamente idea di come combattere una guerra di questo tipo, anche se, per miracolo, si potesse concordare un obiettivo operativo. In effetti, la NATO non ha mai avuto una dottrina operativa offensiva, né una dottrina per la difesa di posizioni fortificate statiche, come sta facendo l’Ucraina. L’unica dottrina era quella di una ritirata combattiva lungo le proprie linee di comunicazione. Non c’è quindi alcun precedente storico da utilizzare.

Fin qui tutto bene, penserete, ma questo è solo il lato cerebrale del problema, anche se probabilmente il più importante. (Nessuna attrezzatura sofisticata vi servirà a qualcosa se non avete idea di cosa farne). Ci sono almeno altri due ostacoli importanti da superare, e il primo è quello di mettere insieme una forza: quello che i professionisti chiamano Force Generation. A sua volta, questa ha una componente sia politica che militare. Se la NATO dovesse mai “essere coinvolta”, la forza dovrebbe avere l’aspetto di una forza internazionale, con contingenti almeno simbolici provenienti dalla stragrande maggioranza delle 32 nazioni della NATO, e tutte le nazioni dovrebbero essere pubblicamente di supporto politico. In passato, questo è stato un problema enorme: il dispiegamento internazionale in Afghanistan nel 2002 è stato bloccato per settimane mentre i deputati tedeschi venivano richiamati dalle spiagge della Croazia per dare l’approvazione necessaria alla partecipazione delle forze del loro Paese. La maggior parte delle nazioni ha ostacoli legali o parlamentari da superare prima che le truppe possano essere dispiegate al di fuori del territorio nazionale. Le probabilità che prima o poi si verifichi un grosso intoppo politico sono probabilmente dell’ordine del 100%, anche con un piccolo dispiegamento.

In secondo luogo, la forza deve avere una struttura credibile. Non è sufficiente che 25 nazioni su 32 si offrano volontariamente per fornire supporto logistico alla retrovia dalla Polonia. Lo Stato Maggiore Internazionale dovrà prendere qualsiasi concetto venga infine concordato e sviluppare una struttura di forze che lo soddisfi. Poi dovrà chiedere alle nazioni di contribuire con le unità. Anche qui, ovviamente, entra in gioco la politica, sia interna che internazionale. Le nazioni potrebbero offrire, o rifiutare di offrire, forze per ragioni che non hanno nulla a che fare con la missione prevista. Alcuni tipi di unità possono scarseggiare: le comunicazioni strategiche sono un buon esempio. Non sono molte le nazioni che hanno esperienza di operare al di fuori del proprio territorio nazionale al giorno d’oggi, e se si dispone di un solo reggimento operativo di segnali, si ha intenzione di rischiare di perderlo? Ci saranno anche le solite discussioni feroci sul comando. Nella maggior parte delle operazioni internazionali, c’è una cosiddetta “nazione quadro”, che fornisce il comandante e circa il 70% del personale del quartier generale, assicurando che le cose funzionino senza intoppi. Nelle missioni internazionali è comune cambiare questa nazione ogni sei mesi circa, ma questo potrebbe essere un problema in Ucraina. Da tutto questo deve nascere una forza adeguatamente bilanciata, capace, almeno in teoria, di portare a termine una missione.

E quale sarebbe questa missione? E qui arriviamo al cuore del problema. Penso che sia chiaro che non c’è nulla di militarmente utile che la NATO possa fare per influenzare l’esito dei combattimenti, quindi qualsiasi dispiegamento sarà per lo più teatrale, rivolto tanto all’opinione pubblica nazionale quanto ai russi. Quest’ultima affermazione può sembrare sorprendente per alcuni, nonostante quanto ho già detto, ma basta considerare alcune cose. È risaputo che i militari occidentali hanno lasciato che la loro capacità di combattere guerre convenzionali ad alta intensità evaporasse quasi a zero. Come ho spesso sottolineato, questo va bene finché non ci si accanisce contro un grande Stato che non l’ha fatto. Come vi sarete resi conto dalla discussione che si è svolta finora, la NATO si troverebbe di fronte a enormi problemi di coordinamento, di dottrina e di generazione di forze, anche se riuscisse a concordare un obiettivo. Le sue truppe non sono addestrate per questo tipo di guerra e non hanno mai operato insieme. Ma le unità ci sono, no? E l’equipaggiamento?

Non proprio. Ci vorrebbe un saggio a parte per approfondire la questione, ma potete consultare da soli le dimensioni e la composizione delle forze armate occidentali e, con qualche calcolo, capirete che l’Occidente difficilmente riuscirebbe a mettere in campo una forza più potente delle nove brigate addestrate ed equipaggiate dall’Occidente per la Grande Offensiva del 2023, che si sono limitate a rimbalzare sulle forze russe senza ottenere nulla di rilevante. E quelle Brigate contenevano un certo numero di unità e comandanti esperti. Una forza NATO dovrebbe coprire lunghe distanze, senza copertura aerea o protezione contro gli attacchi a lungo raggio, solo per essere in posizione di combattimento. E gran parte del suo equipaggiamento non sarebbe migliore, o addirittura inferiore, a quello delle unità negli attacchi del 2023.

Ma che dire degli americani? Si dice spesso che gli Stati Uniti hanno “centomila truppe in Europa”. Ma se andate sul sito web del Comando europeo degli Stati Uniti, vedrete un sacco di fotografie e di video, storie commoventi di cooperazione e di attività di addestramento, e articoli sulla rotazione delle truppe, sulle esercitazioni e sui piani per dislocare altre truppe statunitensi in Europa molto presto. Ma non c’è quasi nulla sull’effettiva forza di combattimento, e molti dei link ai livelli inferiori vanno a video e articoli di cronaca. In effetti, se si controlla su siti esterni, tra cui Wikipedia, è abbastanza chiaro che ci sono solo tre unità da combattimento dell’esercito americano in Europa: un reggimento di cavalleria Stryker in Germania, un’unità aviotrasportata di dimensioni brigate in Italia e un’unità di elicotteri, sempre in Germania. Il quadro è confuso da rotazioni, esercitazioni, strutture di addestramento e comando e annunci di dispiegamenti programmati (ora c’è un quartier generale di corpo d’armata, ma non un corpo d’armata), ma il messaggio è abbastanza chiaro. Gli Stati Uniti non hanno in Europa unità di combattimento terrestre lontanamente adatte alla guerra terrestre ad alta intensità. Ci sono molti aerei, naturalmente, ma sarebbe impossibile per le unità aeree europee o statunitensi operare con successo da basi all’interno dell’Ucraina, e se fossero basate all’esterno, sarebbero in gran parte un simbolo politico.

Con tempo, denaro, volontà politica e organizzazione sufficienti, molte cose sono possibili. Ma non c’è alcuna possibilità, ripeto, che la NATO metta insieme una forza che costituisca qualcosa di più di un fastidio per i russi, mettendo in pericolo molte vite. Quindi tutto ciò che posso immaginare è un dispiegamento puramente politico, di forze non destinate a combattere. I pianificatori probabilmente fornirebbero due opzioni: un’opzione “leggera”, che potrebbe essere chiamata qualcosa come “forza di collegamento” o “squadra di monitoraggio”, e una “opzione media” di una forza di unità da combattimento, anche se non si prevede di combattere. (Non esiste un’opzione “pesante”).

Anche l’opzione “leggera” richiederebbe una squadra multinazionale, interpreti, guardie di sicurezza, specialisti delle comunicazioni, veicoli, elicotteri, un’unità di supporto logistico e un rifornimento garantito di carburante, cibo e altre necessità. A titolo indicativo, la Missione di verifica del Kosovo del 1998-99, sotto gli auspici dell’OSCE, disponeva di quasi 1.500 osservatori, più il personale di supporto, con veicoli, elicotteri e aerei, per un Paese di dimensioni forse paragonabili alla Crimea. Anche allora non erano in grado di proteggersi e sono stati ritirati per la loro sicurezza prima che iniziassero i bombardamenti della NATO. Anche solo tentare di coprire i principali centri abitati dell’Ucraina sarebbe un impegno massiccio, e la forza dovrebbe stare ben lontana dai combattimenti. Inoltre, gli ucraini farebbero di tutto per indurre i russi a prendere di mira la missione, o a far credere che l’abbiano fatto.

Una forza puramente cerimoniale di un paio di battaglioni, dispiegata intorno a Kiev, potrebbe essere una tipica opzione “media”. Ma aspettate: una tale forza dovrebbe essere inserita, probabilmente su rotaia, attraverso ponti che potrebbero o meno essere intatti. Molti degli effettivi dovrebbero essere trasportati in aereo in aeroporti o campi d’aviazione a rischio permanente di attacco. Non si potrebbe fare affidamento sugli ucraini per il supporto logistico (o per qualsiasi altra cosa), che dovrebbe arrivare attraverso le stesse ferrovie e gli stessi ponti. E non basta inviare un paio di battaglioni: occorrerebbe un quartier generale con comunicazioni strategiche, un’unità logistica, un’unità di trasporto, un’unità di ingegneri, interpreti, cuochi, probabilmente elicotteri e una squadra per i movimenti aerei. E tutto ciò che si otterrebbe sarebbe una forza incapace di svolgere attività serie, esistente come bersaglio per i russi e ostaggio per gli ucraini. Potrei continuare, ma credo che sia sufficiente.

Il che ci porta all’ultimo punto. L’Occidente si nutre ancora del grasso degli investimenti tecnologici della Guerra Fredda. Non è un caso che anche i carri armati più moderni e gli altri sistemi di combattimento inviati in Ucraina siano progetti degli anni ’70 e ’80 (anche se modificati), oppure sviluppati per essere utilizzati in Paesi come l’Afghanistan. Non è scontato che l’Occidente abbia ancora la base tecnologica e le persone qualificate per concepire, progettare, sviluppare, produrre, dispiegare, far funzionare e mantenere nuove e sofisticate attrezzature per le guerre ad alta tecnologia. Ci sono interi tipi di tecnologia, come i missili di precisione a lunga gittata, per i quali l’Occidente non ha ancora una capacità, e in termini pratici sembra improbabile che la sviluppi. (Ci sono troppe storie di recenti disastri della tecnologia militare occidentale per elencarle qui). Né è chiaro che gli Stati occidentali possano attrarre il numero e la quantità di reclute di cui hanno bisogno, e pochi si arruoleranno con entusiasmo per essere fatti a pezzi dai missili russi.

In questo senso, l’Occidente farebbe meglio a mettere a frutto le risorse che ha, perché stanno diminuendo e sostituirle richiederebbe molto tempo, ammesso che si possa fare. Questo è forse l’argomento più forte contro il “coinvolgimento” della NATO.

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Le truppe dovranno essere inviate in Ucraina, Jean-Baptiste Noé

Le truppe dovranno essere inviate in Ucraina
Jean-Baptiste Noé

Le truppe francesi dovranno probabilmente essere inviate in Ucraina, ma non per i motivi citati dal Presidente Macron. È difficile che l’esercito francese si metta in mezzo alla Russia per sostenere l’esercito ucraino. A prescindere dai meriti dei suoi soldati, l’esercito francese non ha l’equipaggiamento o le armi per un’operazione del genere. Le scorte sono vuote e i reggimenti sono stati spogliati, in particolare per aiutare l’esercito ucraino. Di fronte all’offensiva russa in corso, Kiev è da sola e non può essere aiutata.

Tuttavia, sarà probabilmente necessario inviare truppe francesi in Ucraina per mettere in sicurezza il Paese e, soprattutto, la Francia e il resto d’Europa. Con la fine della guerra in corso, o almeno con la fine dei combattimenti, l’Ucraina sperimenterà due fenomeni che tutti i Paesi in guerra hanno sperimentato prima di lei: il rischio di disintegrazione e la vendita di armi in circolazione. Questo fenomeno si è verificato in Afghanistan, Jugoslavia e Libia. Non c’è motivo per cui non debba accadere anche in Ucraina.

Disintegrazione

Con l’aiuto della guerra, c’è stata una totale unità nazionale intorno a Volodymyr Zelensky. Una volta terminati i combattimenti, questa unità è scomparsa e le tensioni politiche e sociali sono state elevate. Abbiamo già visto le tensioni tra l’attuale Presidente e il suo Capo di Gabinetto, che hanno portato alla sua estromissione e sostituzione. Tutto il malcontento della popolazione, la sconfitta, le frontiere mal negoziate, la disoccupazione e i morti saranno imputati a Zelensky. A ciò si aggiunge lo stato endemico di corruzione del Paese, che era già diffuso prima del 2022 e che il conflitto ha solo esacerbato, e il decadimento delle strutture sociali.

Non è escluso che alcuni generali vogliano intraprendere una carriera politica e fare cessioni parziali di territorio, sostenuti dai loro reggimenti. O che bande criminali attacchino le zone di guerra, terrorizzando i civili. O che scoppi una guerra civile, facendo precipitare il Paese nel caos. Questi scenari, per quanto improbabili, non possono essere esclusi. È quello che è successo in Jugoslavia e in Libia, è quello che è quasi successo in Egitto ed è quello che si sta consumando in Libano. Un Paese debole, con una debole unità nazionale, può facilmente crollare dopo lo shock della guerra. Più indietro nella storia, la guerra civile postbellica ha colpito la Grecia nel 1945 e la Germania nel 1918 (si veda I reprobi di Ernst von Salomon).

Certo, c’era un’ideologia concorrente (il comunismo) che era in grado di strutturare i movimenti di opposizione e organizzare la guerra civile. Questo non è il caso dell’Ucraina ed è ciò che potrebbe salvare il Paese. Perché scoppi una guerra civile, la popolazione deve essere così divisa che la guerra sembra essere la soluzione meno peggiore. Questa divisione può essere basata su principi etnici (Libia, Jugoslavia) o politici (Germania, Grecia).

In Afghanistan, c’è stata una combinazione di principi etnici (Pashtun/Tajik) e politici (islamismo). Anche la guerra in Ucraina oggi è una forma di guerra civile, tra l’ovest di lingua ucraina e l’est di lingua russa, ed è anche una guerra civile basata su principi politici, tra gli ucraini attratti dall’Occidente e quelli che si schierano con la Russia. La parte dell’Ucraina non occupata dalla Russia ha il vantaggio dell’omogeneità etnica, religiosa e linguistica, oltre che politica, che limita i rischi di guerra civile. Ma in ogni caso, per garantire la sicurezza interna del Paese e combattere le bande criminali e mafiose che potrebbero abbattersi sulla popolazione civile, non si può escludere il dispiegamento di contingenti francesi.

Destabilizzazione

Il secondo problema posto dall’Ucraina, di cui abbiamo parlato fin dall’inizio dell’invasione russa, è quello degli stock di armi in circolazione nel Paese. Anche in questo caso, come in Afghanistan, Jugoslavia e Libia, il problema è sempre stato lo stesso: le armi vengono recuperate da reti criminali che le rivendono ad altre reti. Dato lo stato di corruzione del Paese, c’è da temere che le pistole in circolazione vengano vendute a reti europee e poi utilizzate dalla criminalità organizzata e dalle reti mafiose. Questo sta già accadendo in Francia. Una sparatoria a Marsiglia nel maggio 2023 è stata effettuata con armi provenienti dall’Ucraina. Fenomeni simili sono stati osservati a Grenoble. Nel giugno 2023, i24 News ha riferito che le armi sono state dirottate e vendute all’Iran, ad Hamas e ad Hezbollah. Sarebbe interessante sapere se qualcuna di queste armi è stata utilizzata nell’attacco del 7 ottobre 2023. Non si può escludere che i fucili d’assalto utilizzati nell’attacco al furgone della prigione provenissero dall’Ucraina. L’indagine potrebbe essere in grado di determinare la loro origine.

Date le grandi scorte e il bisogno di denaro, la vendita illegale di queste armi non potrà che aumentare una volta terminati i combattimenti, inondando il mercato europeo. È quindi urgente mettere al sicuro le scorte, distruggerle e proteggere i confini ucraini per limitare il deflusso di queste armi. Questa potrebbe essere una missione per l’esercito francese. L’Ucraina sarà l’avamposto della sicurezza in Francia e in Europa. L’esercito francese potrebbe avere un ruolo da svolgere nel contribuire a rendere sicuro il territorio ucraino e quindi quello francese.

Non si tratta di fantascienza. Ciò che è stato descritto è accaduto in tutti i Paesi che hanno vissuto una guerra. Lo stesso vale per la Francia, dove una delle prime azioni del generale de Gaulle fu quella di recuperare le armi dai comunisti per evitare che guidassero una rivolta civile (cosa che avvenne nel 1947, costringendo il socialista Paul Ramadier a usare l’esercito contro gli scioperanti). Anche in questo caso, come spesso accade, l’anticipo è essenziale per evitare la destabilizzazione.

Autore: Jean-Baptiste Noé

Jean-Baptiste Noé ha conseguito un dottorato in storia economica. È direttore di Orbis. School of Geopolitics. È autore di diversi libri: Géopolitique du Vatican. La puissance de l’influence (Puf, 2015), Le défi migratoire. L’Europe ébranlée (2016) e, recentemente, un libro dedicato alla Monarchia di luglio: La parenthèse libérale. Dix-huit années qui ont changé la France (2018).

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Dalla Storia del conflitto israelo-palestinese: La prima Intifada palestinese contro lo Stato di Israele (1987-1993) e le sue conseguenze politiche, di Vladislav B. Sotirovic

Dalla Storia del conflitto israelo-palestinese: La prima Intifada palestinese contro lo Stato di Israele (1987-1993) e le sue conseguenze politiche

Il significato di intifada

La parola araba intifada significa “scrollarsi di dosso”, ma nel linguaggio politico come termine significa “rivolta”. Più precisamente, questo termine si riferisce alle due rivolte palestinesi nei territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Questi due territori sono stati occupati da Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Israele e la coalizione degli Stati arabi nella regione del Medio Oriente. Entrambe le intifade sono durate dal 1987 al 2000.

La Prima Intifada

La Prima Intifada fu, di fatto, la rivolta spontanea del 1987 che durò fino al 1993. Iniziò come una rivolta dei giovani palestinesi che lanciavano pietre contro le forze dell’occupazione israeliana, ma divenne presto un movimento diffuso che prevedeva la disobbedienza civile con manifestazioni periodiche su larga scala sostenute da scioperi commerciali. Di solito si ritiene che l’inizio della Prima Intifada sia stata una risposta a:

1. La consapevolezza che la questione palestinese in Medio Oriente, insieme al conflitto arabo-israeliano, non era presa seriamente in considerazione dai governi degli Stati arabi.
2. Il fatto che i palestinesi nei cosiddetti Territori occupati (dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967) dovessero prendere in mano la situazione.
I palestinesi della Cisgiordania e di Gaza hanno iniziato una rivolta nel dicembre 1987 contro la politica di occupazione del governo israeliano. Va notato chiaramente che la Prima Intifada non fu né iniziata né diretta dalla leadership dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che all’epoca aveva sede a Tunisi. Si trattò in realtà di una mobilitazione popolare organizzata da organizzazioni e istituzioni palestinesi locali in Palestina. Il movimento divenne rapidamente di massa, coinvolgendo diverse centinaia di migliaia di palestinesi, molti dei quali non avevano mai partecipato alle precedenti azioni di resistenza e molti di loro erano adolescenti e persino bambini. La risposta delle forze di sicurezza israeliane fu una brutale repressione dell’intera popolazione palestinese dei Territori occupati.

Durante i primi anni della rivolta, il movimento ha scelto una forma simile alla lotta del Mahatma Gandhi (1869-1948) in India contro le autorità coloniali britanniche: disobbedienza civile, dimostrazioni di massa, scioperi generali, rifiuto di pagare i taxi, boicottaggio dei prodotti israeliani, scrittura di graffiti politici o creazione di scuole clandestine, le cosiddette “scuole della libertà”. In seguito, la rivolta ha assunto alcune forme di azioni “terroristiche” come il lancio di pietre, di bombe molotov o l’apposizione di barricate per fermare le forze militari israeliane.

Le azioni della Prima Intifada sono state organizzate nell’ambito della Direzione Nazionale Unita della Rivolta, che comprendeva diversi comitati popolari. Il fatto è che l’Intifada è riuscita ad attirare la massima attenzione della comunità internazionale, soprattutto di coloro che si occupano di diritti umani e delle minoranze, sulla situazione dei palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. L’occupazione israeliana di questi territori è stata criticata come mai dal 1967.

La strategia del ministro della Difesa israeliano Yitzhak Rabin per affrontare l’Intifada è stata quella di usare la forza militare e il potere di sicurezza. Negli anni dal 1987 al 1991, secondo fonti palestinesi, l’esercito israeliano ha ucciso oltre 1.000 palestinesi. Tra questi, circa 200 adolescenti di età inferiore ai 16 anni. Le azioni dell’esercito includevano arresti massicci, tanto che durante la Prima Intifada, Israele aveva il più alto numero di prigionieri pro capite al mondo. A causa di queste azioni brutali, nel 1990 la maggior parte dei leader palestinesi dell’Intifada era in prigione e, quindi, la rivolta perse la sua forza coesiva, ma continuò comunque fino al 1993.

I negoziati, i colloqui di Washington e gli accordi di Oslo

Durante la prima guerra del Golfo, nel 1990-1991, i palestinesi e la loro organizzazione nazionale, l’OLP, si opposero all’attacco degli Stati Uniti contro l’Iraq. Dopo questa guerra, l’OLP fu isolata diplomaticamente e il Kuwait e l’Arabia Saudita smisero di finanziarla, portando l’OLP alla crisi finanziaria e politica.

Dopo la prima guerra del Golfo, l’amministrazione statunitense decise di rendere più solida la propria posizione in Medio Oriente, promuovendo diplomaticamente il ruolo cruciale di Washington nel processo di risoluzione del cancro regionale – il conflitto arabo-israeliano. Fu organizzata una conferenza multilaterale a Madrid nell’ottobre 1991, alla quale parteciparono da un lato i rappresentanti palestinesi e degli Stati arabi e dall’altro i rappresentanti di Israele, guidati dal premier Yitzhak Shamir, praticamente costretto a partecipare alla conferenza dalle pressioni del presidente statunitense George H. W. Bush (Bush senior). Tuttavia, dietro la delegazione israeliana, era in realtà Washington a dettare le condizioni israeliane per negoziare. Più precisamente, Y. Shamir richiese che:

1) l’OLP fosse esclusa dalla conferenza (in quanto considerata un’organizzazione terroristica); e
2) i palestinesi non avrebbero sollevato “direttamente” la questione dell’indipendenza e della statualità della Palestina.
I colloqui dopo Madrid sono proseguiti a Washington, dove la delegazione palestinese era composta da negoziatori dei Territori occupati. Tuttavia, ai rappresentanti di Gerusalemme Est non è stato permesso di partecipare ai negoziati da Israele, in quanto Gerusalemme Est fa parte dello Stato di Israele. Formalmente, i rappresentanti dell’OLP sono stati esclusi dalla conferenza, ma in realtà i suoi leader politici hanno regolarmente consultato e consigliato la delegazione ufficiale palestinese, ma i progressi ottenuti nel processo negoziale sono stati scarsi. Secondo il premier israeliano Y. Shamir, l’obiettivo principale della delegazione e della politica negoziale israeliana era quello di bloccare i colloqui di Washington per circa 10 anni, poiché dopo di ciò l’annessione israeliana della Cisgiordania sarebbe stata semplicemente un fatto compiuto per la comunità internazionale.

Ben presto, nel 1992, quando Yitzhak Rabin divenne il nuovo premier israeliano, i diritti umani dei palestinesi nei Territori occupati (Striscia di Gaza e Cisgiordania) peggiorarono enormemente – un fatto che minò drammaticamente la legittimità della delegazione palestinese ai colloqui di Washington e spinse alle dimissioni diversi delegati. Le ragioni del fallimento dei colloqui di Washington furono molteplici: le violazioni dei diritti umani e il declino economico nei Territori occupati, la crescita dell’islamismo radicale come sfida all’OLP, le azioni violente contro le forze di sicurezza israeliane e i civili da parte di Hamas e della Jihad islamica e, infine, il primo attentato suicida (nel 1993).

Le ragioni principali che spinsero il premier israeliano Y. Rabin a proseguire i negoziati con i rappresentanti palestinesi furono due:

1) la reale minaccia alla sicurezza di Israele rappresentata dall’Islam radicale e dai fondamentalisti islamici; e
2) lo stallo dei colloqui di Washington.
Questi due fattori contribuirono anche a far sì che il governo di Y. Rabin invertisse il tradizionale rifiuto israeliano di negoziare con l’OLP (almeno non direttamente). Come conseguenza di una situazione politica così drasticamente cambiata, fu Israele ad avviare colloqui segreti direttamente con i rappresentanti palestinesi dell’OLP a Oslo, in Norvegia. I colloqui sfociarono nella Dichiarazione di principi israelo-OLP, firmata a Washington nel settembre 1993. I punti principali della dichiarazione erano:

1. Il fatto che fosse fondata sul riconoscimento bilaterale di Israele e dell’OLP come parti negoziali legittime.
2. La dichiarazione stabiliva che le forze israeliane si sarebbero ritirate dalla Striscia di Gaza e da Gerico.
3. Sono stati concordati ulteriori ritiri di Israele da territori non specificati della Cisgiordania durante un periodo intermedio di cinque anni.
4. Tuttavia, le questioni chiave delle relazioni israelo-palestinesi sono state accantonate per essere discusse in alcuni colloqui sullo status finale, come l’estensione della terra che Israele deve cedere, lo status della città di Gerusalemme, la risoluzione del problema dei rifugiati palestinesi, la natura dell’entità palestinese da istituire, la questione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania o i diritti sull’acqua.
Con gli accordi di Oslo del 1993, la prima Intifada palestinese contro lo Stato di Israele era finita.

Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex professore universitario
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com © Vladislav B. Sotirovic 2024
Disclaimer personale: l’autore scrive per questa pubblicazione a titolo privato e non rappresenta nessuno o nessuna organizzazione, se non le sue opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di altri media o istituzioni.

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Ultimi passi al ballo dei vampiri: l’Ovest cerca risposte alla sua fine, di SIMPLICIUS

La realtà dell’imminente vittoria russa sul Leviatano combinato della NATO si è fatta strada lentamente in Occidente; ha generato un toccante cambiamento nella narrativa sempre più acuta. La classe d’élite compradora si è resa conto del fatto che il suo ordine globale è sull’orlo della dissoluzione, in seguito allo smantellamento dei suoi progetti da parte della Russia. I molti decenni di Gladio e altre sovversioni si stanno disfacendo davanti ai nostri occhi, mentre i sogni di una certa linea di architetti d’élite che risale a molte generazioni vengono spazzati via dalla nascita discontinua di un nuovo mondo.

Ovunque ti giri, questo panico morale delle élite si sta manifestando in prima linea e al centro. Mentre le loro industrie muoiono, la loro gente digrigna e ribolle, e le istituzioni flirtano con il collasso, i compradores dalla voce rauca si accalcano gli uni sugli altri per cantare litanie di frenetici avvertimenti su come salvare se stessi e la loro classe:

Il Sud del mondo vede chiaramente la scritta sul muro: l’ordine occidentale sta crollando.

Mentre l’Occidente è alle prese con il suo lento passo oltre il limite, i suoi segnalatori e canarini si sono affrettati a rintracciare le radici del problema con la speranza di capire come fermarlo o dove potrebbe portare.

Il problema con le soluzioni dei tecnocrati è che sono più o meno le stesse. Stanno usando la crisi del loro imminente collasso come un modo per usurpare il controllo sulla sovranità di tutte le nazioni europee. Prendiamo l’insidioso articolo di Draghi sopra citato, sulla necessità di un “cambiamento radicale” per competere con la Cina e con il nuovo ordine globale in cambiamento. Ciò che prescrive urgentemente sembra un copione dei suoi amici controllori di Davos: un appello all’azione per “integrare” i paesi dell’UE con il pugno di ferro, costringendoli a cedere i loro punti di influenza individuali a una burocrazia superiore e non eletta.

La dialettica è sempre la stessa: creare uno spauracchio per unire artificialmente le persone sotto un’unica bandiera per motivi di “sicurezza”: è il complotto di 1984 e molte altre opere preveggenti.

Ciò a cui stiamo assistendo è la morte straziante di un sistema di sfruttamento colonialista secolare. Si tratta del dominio estrattivo corrotto dell’economia globale da parte dell’egemonia europea e dell’impero anglo-europeo, a beneficio di una classe di famiglie mercantili e bancarie d’élite il cui potere e influenza abbracciano secoli.

Il modo in cui questo ordine occidentale ha cartellizzato e gamificato l’economia globale è ovviamente attraverso il controllo del monopolio bancario, che media il flusso della finanza e del commercio mondiale a cui possono applicare arbitraggi e signoraggi senza fine attraverso il controllo dell’offerta di moneta attraverso emissione delle valute di riserva dominanti. Ad oggi rimangono questi: il dollaro e l’euro, che insieme rappresentano quasi il 90% dello scambio globale.

Questo sistema è la diretta conseguenza delle fusioni mercantili predatorie di poteri statali, bancari e aziendali che hanno visto organizzazioni come le Compagnie olandesi e britanniche delle Indie Orientali devastare il mondo. Ma quando il sole tramontò sull’Impero britannico, in particolare all’inizio del XX secolo, la Corona iniziò a diventare sempre più irrequieta nei confronti delle potenze emergenti di Cina e Russia.

Privo ora di mezzi militari o industriali per sopraffare questi concorrenti, il decadente impero britannico fu costretto a ricorrere a tattiche progressivamente subdole e subdole per “truccare” il gioco invariabilmente a suo favore, ostacolando i giganti orientali ad ogni turno. Nel corso del tempo ciò ha portato gli osservatori a chiedersi: cosa c’è dietro la percepita animosità infernale che la Gran Bretagna nutre nei confronti della Russia? Dopotutto, entrambi i monarchi regnanti erano strettamente imparentati:

Recentemente, Jeffrey Sachs ha dato un interessante resoconto di questa stessa domanda allo show dei Duran:

“Voglio riportarlo al 1840, alle vere radici dell’egemonia, che è la Gran Bretagna. Non c’è mai stato un egemone con una tale ambizione e una visione del mondo così curiosa . Ma la Gran Bretagna voleva governare il mondo nel 19° secolo. secolo e ha insegnato all’America tutto ciò che sa . Recentemente ho letto un libro affascinante di uno storico di nome JH Gleason, pubblicato dalla Harvard University Press nel 1950. È un libro incredibilmente interessante intitolato “La genesi della russofobia in Gran Bretagna”. La domanda è: da dove viene l’odio dell’Inghilterra nei confronti della Russia? Perché in realtà è un po’ sorprendente . 1850: perché odiava la Russia . Quindi, questo autore cerca di capire da dove provenisse questo odio, perché era lo stesso tipo di odio iterativo che abbiamo adesso. E a proposito, odiavamo l’Unione Sovietica perché era comunista, ma in seguito odiammo la Russia quando non era comunista . Non importa . Quindi, è un fenomeno più profondo, e lui cerca di risalire all’origine di questo odio. Il punto affascinante è che Russia e Gran Bretagna erano dalla stessa parte Guerre napoleoniche dal 1812 al 1815, dalla battaglia di Mosca in Russia alla sconfitta di Napoleone a Waterloo. Erano dalla stessa parte, e in effetti, per molti anni, i rapporti non furono grandiosi, ma erano abbastanza normali , questo storico legge ogni frammento dei giornali, di quello che c’è scritto, dei discorsi, per cercare di capire da dove nasce l’odio. Il punto chiave è che non c’era alcuna ragione per farlo. La Russia non ha fatto nulla . La Russia non si è comportata in modo perfido. Non era il male russo; non è che lo zar fosse in qualche modo fuori dai binari . Non c’era altro che una schiuma che si autoavvera accumulata nel tempo perché la Russia era una grande potenza e quindi un affronto all’egemonia britannica . Questo è lo stesso motivo per cui gli Stati Uniti odiano la Cina: non per qualcosa che la Cina fa effettivamente, ma perché è grande . È lo stesso motivo per cui, fino ad oggi, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna odiano la Russia: perché è grande . L’autore giunge quindi alla conclusione che l’odio in realtà è nato intorno al 1840 perché non è stato istantaneo e non c’è stato un unico evento scatenante. Gli inglesi si erano messi in testa che la Russia avrebbe invaso l’India attraverso l’Asia centrale e l’Afghanistan – una delle idee più bizzarre, false e sbagliate che si possano immaginare – ma la presero alla lettera. E si sono detti questo: ‘Noi siamo gli imperialisti. Come osa la Russia presumere di invadere l’India?’ quando non aveva intenzione di farlo. Quindi, il punto è che è possibile avere odio fino al punto della guerra e ora fino al punto dell’annientamento nucleare senza una ragione fondamentale . Parlate tra di voi .”

Il libro a cui fa riferimento:

Come afferma, Russia e Gran Bretagna erano dalla stessa parte all’inizio del 1800, durante le guerre napoleoniche, poi qualcosa iniziò a cambiare intorno al 1840. C’è una sfumatura in tutto: la Gran Bretagna ha creduto a lungo che la Russia avesse l’obiettivo di rubarle l’India, che all’epoca veniva divorata dalla Compagnia delle Indie Orientali, con – come alcuni credono – il maggiore sostegno del clan Rothschild:

Ma secondo Sachs, l’autore conclude che non c’era una vera ragione scintillante per l'”odio” oltre all’opportuna esigenza geopolitica sotto forma di una Russia che rappresentava una grave minaccia emergente per l’ordine britannico. Ciò seguì la corsa del Grande Gioco verso l’Asia centrale, non molto tempo dopo il quale Mackinder espose la sua teoria del “Cuore” .

All’epoca l’Impero Ottomano stava morendo e le paure della Gran Bretagna erano ancora una volta alimentate, poiché la Russia stava per acquisire un peso geopolitico eccessivo conquistando gran parte del territorio ottomano, che, dal punto di vista della Gran Bretagna, avrebbe spinto la Russia al vertice come Grande Potenza.

Questo articolo di Forbes entra nei dettagli su come il primo ministro britannico Benjamin Disraeli – fino ad oggi l’ unico primo ministro ebreo nella storia britannica – abbia fatto di tutto per sostenere il fallito impero ottomano il più a lungo possibile semplicemente per mantenere le sue periferie fuori dalla portata russa. L’autore, James Kaplan, conclude tuttavia che tutto ruotava ancora per impedire alla Russia di ottenere l’accesso all’India, che gli inglesi continuavano a credere fosse l’obiettivo della Russia.

L’escalation continuò fino all’era precedente la Prima Guerra Mondiale, quando la Gran Bretagna colse un’altra freccia nella sua faretra contro la Russia sotto forma della diaspora ebraica. A quel tempo, i pogrom russi avevano causato un’ondata di reinsediamento di ebrei russi nel “Pale of Settlement”, che consisteva principalmente nella moderna Polonia, nell’Ucraina occidentale, nei Paesi Baltici, ecc.

Ed è qui che è iniziato il duplice attacco alla Russia. Benjamin Disraeli è citato da molti come uno dei padri del sionismo, non solo per aver presentato una delle prime visioni “sioniste” nel suo libro The Wondrous Tale of Alroy , ma anche per essersi posizionato come il Messia del popolo ebraico attraverso creando Israele:

Il tentativo britannico di creare una colonia in Medio Oriente sotto gli auspici del “sionismo” fu sempre legato al mantenimento degli interessi britannici nell’Heartland, tenendo la Francia lontana dalla regione, come quando Napoleone conquistò l’Egitto, così come la Russia dall’invadere il territorio. ex terre ottomane.

Per citare Mao:

All’epoca dell’ascesa del sistema bancario veramente internazionale, Rothschild e molti altri banchieri ebrei erano in ascesa. Quindi era il momento perfetto per utilizzare questi vettori combinati come un nuovo attacco alla Russia. Ecco perché Jacob Schiff finanziò sia i giapponesi nella guerra russo-giapponese, sia i bolscevichi che portarono alla rivoluzione del 1917. Da quando le dinastie più potenti come quella dei Rothschild stabilirono la loro sede in Gran Bretagna, il paese divenne un unico punto di coordinamento contro la Russia. Tuttavia, non è così bianco e nero come sembra. Dopo che i bolscevichi presero il potere e iniziarono a spogliare le banche occidentali e altri beni, Schiff e la sua covata si rivoltarono rapidamente contro di loro, ritirando i suoi soldi. Allo stesso modo, la Gran Bretagna inviò un corpo di spedizione a fianco delle forze bianche contro i bolscevichi, che avevano effettivamente cooptato il piano occidentale.

Leggi quanto segue con molta attenzione, quindi leggilo due volte:

I bolscevichi avevano infatti ostacolato i piani occidentali, in particolare stringendo un accordo con la Germania per far uscire la Russia dalla guerra, cosa che il Regno Unito e gli Stati Uniti non volevano assolutamente. guerra.

Vedete, tutto ciò che volevano veramente era una vendetta contro lo Zar, da qui questa cartolina dal sito ufficiale della Biblioteca Nazionale d’Israele raffigurante un rabbino mentre agita un pollo con la faccia dello zar Nicola durante il rituale Kapparot, dove i propri “peccati” vengono trasferiti all’animale prima della macellazione:

Ma queste potenze in seguito si resero conto che i bolscevichi erano altrettanto sgradevoli, in particolare dopo che Stalin vinse contro Trotsky, che era il principale tra i bolscevichi ad essere finanziato dagli interessi bancari occidentali. Ma come ha sottolineato in precedenza Jeffrey Sachs, in ogni incarnazione della Russia, l’élite britannica ha trovato una nuova ragione per odiare il suo rivale di lunga data. E ogni volta il tutto si riduceva alla stessa cosa: una Russia ribelle che rappresentava una potente minaccia che l’Occidente non poteva piegare alla sua volontà.

Un approccio più ampio al tema dell’egemonia occidentale è stato recentemente proposto da Arnaud Bertrand su Twitter , che ha pubblicato un video dell’ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine in cui spiega come l’Occidente sia stato posseduto da uno spirito duraturo di “proselitismo”, che ha portato a questo inestricabile senso di rettitudine morale ed eccezionalismo che hanno usato per giustificare gli infiniti spargimenti di sangue e l’interventismo globale:

Questa è di gran lunga una delle questioni più profonde e importanti che l’Occidente dovrà affrontare nei prossimi decenni.

A parlare è Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri francese e segretario generale della presidenza francese sotto il presidente Mitterrand. Secondo lui l’Occidente, “discendente della cristianità”, è “consumato dallo spirito di proselitismo”. Che il “andate ed evangelizzate tutte le nazioni” di San Paolo è diventato “andate e diffondete i diritti umani in tutto il mondo”… E che questo proselitismo è profondamente radicato nel nostro DNA: “Anche i meno religiosi, totalmente atei, hanno ancora questo in mente, [anche se] non sanno da dove viene.”

Secondo lui questa è “una delle più grandi domande che sovrasta la questione quotidiana della vita diplomatica”: possiamo immaginare un Occidente che riesce a preservare le società che ha generato ma che “non fa proselitismo, non è interventista?” . In altre parole, un Occidente che sa accettare l’alterità, che sa convivere con gli altri e accettarli per quello che sono. Secondo lui questo “non è un problema delle macchine diplomatiche, è una questione filosofica, è un problema di pensatori, analisti, storici, filosofi”.

In breve, è una questione di profonda ricerca interiore, un profondo cambiamento culturale che deve avvenire. Non sembra essere particolarmente ottimista su questo cambiamento: “Tra le élite, [o almeno] le persone che hanno accesso al dibattito pubblico, solo il 5 o il 10% di loro non pensa che la nostra missione principale sia diffondere i nostri valori in tutto il mondo attraverso conferenze, sanzioni e bombardamenti.”

Lui dice però che non c’è scelta perché “non diventeremo i padroni del mondo che verrà. Quindi siamo costretti a pensare oltre, siamo costretti a immaginare un nuovo rapporto per il futuro tra il mondo occidentale e la famosa globalizzazione”. Sud.” Possiamo accettare di vivere con gli altri, senza cercare di trasformarli in noi? Domanda estremamente profonda. E cosa succede se non riusciamo ad accettarlo? Allora continueremo a essere emarginati, sempre più tagliati fuori dal resto del mondo e sempre più disprezzati per il nostro mal riposto senso di superiorità.

Ciò racchiude lo spirito del tempo più profondo del momento: l’Occidente che inavvertitamente guida la nascita di un nuovo mondo in virtù della sua opposizione ad esso; più cercano di spingere dentro il bambino, più lo fanno strillare, costringendo la madre a spingerlo fuori con maggiore forza.

L’Occidente ha tradizionalmente fatto affidamento su manipolazioni del gioco non solo contro tutti i concorrenti, escludendoli dai mercati redditizi e dallo stesso sistema bancario, ma anche contro i suoi stessi dipendenti e vassalli. Gli Stati Uniti, ad esempio, utilizzano da tempo il Memorandum sulla Sicurezza Nazionale 200 , spesso oscurato , che sostanzialmente chiede agli Stati Uniti di arrestare la crescita dell’intero terzo mondo al fine di mantenerlo deliberatamente limitato e non sviluppato nell’interesse di controllo:

Tali politiche continuarono anche nel periodo successivo alla Guerra Fredda:

Questo è ciò che riguarda l’attuale trasformazione globale: il mondo che si sta rendendo conto del fatto che è stato artificialmente privato di una possibilità di fecondità dall’Occidente coloniale come intrinseco a una tradizione che risale a centinaia di anni fa.

Questo nuovo articolo di RT approfondisce molto di più l’equivalente britannico di quanto sopra:

Gli stessi doppi standard ora impiegati senza limiti sia contro i vassalli che contro i rivali hanno risvegliato una nuova generazione di leader globali alla verità dietro l’insensibile “leadership” dell’Occidente. Lo abbiamo visto di recente con la Cina, quando gli apparatchik occidentali hanno coordinato una ridicola menzogna di “eccesso di capacità”, citando disonestamente che le aziende cinesi ricevono “sussidi” ingiusti quando in realtà quelle occidentali sono ancora più colpevoli di questo. Prendiamo Tesla, che riceverà un totale enorme di 41 miliardi di dollari in sussidi governativi fino al 2032:

Tuttavia, sono i produttori cinesi di veicoli elettrici a essere colpiti dalle tariffe per il presunto vantaggio “ingiusto”.

Allo stesso modo, nella saga in corso sulla Palestina, il capo della Corte penale internazionale Karim Khan ha rivelato che alti dirigenti occidentali gli hanno detto che la Corte penale internazionale è stata creata esclusivamente per criminalizzare solo i leader africani disobbedienti, sebbene “teppisti come Putin” possano apparentemente fornire una rara eccezione:

Allo stesso modo, Lindsey Graham ha rivelato che la controversia principale dell’establishment con la sentenza della Corte penale internazionale ruota intorno al fatto di impedire ai leader statunitensi di essere i “prossimi” nella lista dei ricercati della Corte penale internazionale:

E in effetti, si scopre che solo gli africani sono stati storicamente processati dalla Corte penale internazionale, che è servita diligentemente a insabbiare i crimini occidentali:

Questo è il volto nudo di un imperialismo occidentale grottescamente razzista che perde ogni grammo di pretesa mentre lentamente appassisce e muore. E l’ipocrisia non verniciata viene messa a nudo affinché tutto il nascente Sud del mondo possa vederla, stimolando una resistenza anticolonialista sempre crescente; vedi: Nuova Caledonia, Niger e molti altri paesi recenti.

Pensateci, gli Stati Uniti hanno delegittimato praticamente ogni istituzione globale di rilievo in “virtù” della propria grave cattiva condotta unilaterale nei confronti dei poteri e delle responsabilità santificati di quelle istituzioni:

  • Ha distrutto la sacralità delle istituzioni finanziarie globali sequestrando illegalmente i fondi sovrani russi, imponendo infinite sanzioni unilaterali e ingiustificate contro quasi tutti i paesi del mondo, per non parlare dell’uso del dollaro come arma in generale
  • Fiducia sradicata in istituzioni come la Corte penale internazionale con sentenze ipocrite, che gridano che la Cina sta “genocidando gli uiguri” e Putin i bambini del Donbass, mentre Israele ottiene un lasciapassare gratuito
  • Ha sovvertito ogni autorità morale spingendo selettivamente le perversioni dell’ingegneria culturale come parte del “pacchetto” di accettazione egemonica dell’appartenenza all’”Ordine”
  • Ha completamente mandato in bancarotta le Nazioni Unite utilizzando come arma i veti contro le questioni più scioccanti in bianco e nero, come la condanna del nazismo, l’adozione della soluzione palestinese dei due Stati e degli aiuti umanitari, ecc.
  • Ha sperperato ogni autorità morale bombardando attivamente dozzine di paesi, favorendo le guerre in corso di altri come l’Arabia Saudita contro lo Yemen e occupando illegalmente territori sovrani come quello della Siria, il tutto mentre pontificava ipocritamente sulla presunta violazione da parte della Russia dello “Stato di diritto” misticamente opaco

Si va avanti all’infinito: nessuna singola istituzione globale è rimasta esente dalla sovversione e dall’utilizzo di armi da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati complici.

Ma il motivo per cui ho scelto di divagare prima sull’odio della Gran Bretagna verso la Russia è per mostrare quanto sia intrinsecamente legata l’attuale caduta dell’Occidente all’odio totalmente irrazionale e autolesionista che l’Impero nutre non solo per la Russia, ma anche per la Cina e qualsiasi altro potenziale paese. concorrenti del Sud del mondo.

Il fatto è che Russia e Cina hanno lavorato duramente per preservare le loro culture native, tenendo a freno le influenze esterne ostili con varie leggi anti-ONG, come attualmente si riflette in Georgia. L’Occidente, d’altro canto, si è gettato a capofitto in una sovversione culturale totale che, ironicamente, divora la sua stessa civiltà dall’interno.

Si può sostenere che l’arma della cultura in Occidente sia iniziata con le “guerre culturali” della CIA della Guerra Fredda: una glorificazione di carta bianca di tutto ciò che è liberale e progressista, non importa quanto scioccante, perverso o antitetico allo sviluppo sociale a lungo termine. Nelle mani della CIA, quest’arma ha detronizzato da sola l’URSS, ma ironicamente è diventata così potente che si può rivendicare lo sviluppo di poteri emergenti che hanno definitivamente sfondato il coperchio del suo stesso vaso di Pandora. Ora, lo stesso abominio scatenato contro i suoi nemici si è scatenato e si è rivoltato contro il suo creatore, banchettando attualmente con i suoi resti scheletrici.

Ciò porta alle ultime riflessioni pertinenti.

Questo thread affascinante è molto appropriato e ne copierò la maggior parte di seguito per impostare la scena:

“Le civiltà muoiono per suicidio, non per omicidio”, secondo lo storico del XX secolo Arnold Toynbee. Egli sosteneva che ogni grande cultura crolla internamente a causa di una divergenza di valori tra la classe dirigente e la gente comune…

L’autore del thread inizia:

Toynbee è stato uno storico inglese esperto di affari internazionali che ha pubblicato l’opera in 12 volumi “A Study of History“, che traccia il ciclo di vita di circa due dozzine di civiltà mondiali. Attraverso il suo lavoro ha sviluppato un modello di come le culture si sviluppano e infine muoiono…

Toynbee sosteneva che le civiltà nascono come società primitive in risposta a sfide uniche: pressioni da parte di altre culture, terreni difficili o “paesi difficili”, o guerre.

Toynbee scrive: “Le civiltà, credo, nascono e crescono rispondendo con successo a sfide successive”. Ma ogni sfida deve essere una “media aurea” tra l’eccessiva difficoltà, che schiaccerà una cultura, e la facilità, che le permetterà di ristagnare.

Egli riteneva che le civiltà continuassero a crescere finché incontravano e risolvevano nuove sfide, una dopo l’altra, in un ciclo che chiama “Sfida e Risposta”. Pertanto, ogni civiltà si sviluppa in modo diverso perché ognuna affronta e supera sfide diverse.

Ma le società non rispondono alle sfide nel loro insieme; piuttosto, è una classe unica di élite all’interno di una società a risolvere i problemi. Egli li chiama “minoranze creative” che trovano soluzioni alle sfide e ispirano – anziché costringere – gli altri a seguire il loro esempio.

Le masse seguono le soluzioni delle minoranze creative per “mimesi” o imitazione, soluzioni che altrimenti non sarebbero state in grado di scoprire da sole. Questa sincronia tra le minoranze creative e le masse porta la civiltà al suo apice.

Toynbee non attribuisce il crollo delle civiltà a forze ambientali o ad attacchi esterni di altre civiltà. Piuttosto, è il declino della minoranza creativa che porta alla rovina di una cultura.

A causa del decadimento morale o della prosperità materiale, la minoranza creativa degenera. Non sono più i grandi uomini che risolvono i problemi della società, ma sono semplicemente una classe dirigente intenta a preservare il proprio potere. Diventano ciò che Toynbee chiama “minoranza dominante”.

Toynbee evidenzia una sorta di autocelebrazione che si impossessa della minoranza dominante. Essi diventano orgogliosi delle loro posizioni di autorità, ma sono del tutto inadeguati ad affrontare le nuove sfide della cultura.

Alla fine la minoranza dominante, incapace di risolvere i problemi reali della propria cultura, forma uno “Stato universale” per rafforzare il proprio potere, ma questo soffoca la creatività e sottomette il proletariato (la gente comune). Toynbee ha usato l’Impero romano come esempio classico.

Toynbee scrive: “Prima la minoranza dominante cerca di mantenere con la forza – contro ogni diritto e ragione – una posizione di privilegio ereditata che ha smesso di meritare; e poi il proletariato ripaga l’ingiustizia con il risentimento, la paura con l’odio e la violenza con la violenza”.

Con il deterioramento della società, all’interno del proletariato esistono quattro sentimenti: Arcaismo – idealizzazione del passato Futurismo – idealizzazione del futuro Distacco – allontanamento da un mondo in decadenza Trascendenza – confronto con il mondo in decadenza con una nuova visione del mondo.

La disunione tra la minoranza dominante e il proletariato, e tra le diverse disposizioni del proletariato, rende impossibile una cultura unitaria e la civiltà finisce.

Toynbee riassume i tre aspetti del fallimento delle culture: “… un fallimento del potere creativo nella minoranza, un ritiro della mimesi (imitazione) da parte della maggioranza e una conseguente perdita di unità sociale nella società nel suo complesso”.

In sostanza, la convincente teoria può essere riassunta come segue: la gente comune forma uno Stato sano quando è ispirata dalle visioni dei suoi leader, che rispecchia simbioticamente. Ma quando la leadership diventa decadente e inizia a decadere, invariabilmente si irrigidisce con un crescente totalitarismo dopo aver percepito il progressivo scollamento dei suoi cittadini. Segue una cascata di disgregazione della società, con la formazione di una sfiducia reciproca tra l’élite della classe dirigente e i cittadini.

Chiudendo il cerchio, è proprio questo l’ aspetto che viene rilevato con sempre maggiore frequenza dagli osservatori globali di entrambe le parti. Anche l’ultimo articolo di RAND affronta con urgenza questa crisi:

Scrivono subito che gli imperi che iniziano la loro spirale discendente dopo aver raggiunto l’apice, storicamente non sono mai riusciti a riconquistare il dominio di un tempo:

La storia è piena di grandi potenze che raggiungono un picco di potenza competitiva per poi ristagnare e infine declinare. Sono meno numerosi i casi di grandi potenze che hanno affrontato tali venti contrari e sono riuscite a generare una ripetuta traiettoria ascendente, rinnovando il proprio potere e la propria posizione sia in termini assoluti che relativi. Probabilmente, è proprio questa la sfida che gli Stati Uniti devono affrontare. La sua posizione competitiva è minacciata sia dall’interno (in termini di rallentamento della crescita della produttività, invecchiamento della popolazione, sistema politico polarizzato e ambiente informativo sempre più corrotto) sia dall’esterno (in termini di crescente sfida diretta da parte della Cina e di diminuzione della deferenza nei confronti del potere statunitense da parte di decine di Paesi in via di sviluppo). Se non controllate, queste tendenze minacceranno le fonti interne e internazionali di competitività, accelerando così il declino relativo della posizione degli Stati Uniti.

L’attenzione è rivolta alle prospettive di rinnovamento, pur ammettendo la mancanza di speranze in base ai precedenti storici:

In questo rapporto, gli autori fanno luce su questa sfida esaminando il problema del declino e del rinnovamentonazionale .

Il rapporto è ottimista nella sua ultima riga. Gli Stati Uniti non conservano “enormi forze residue e una comprovata capacità di… rinnovamento” né “le dimensioni e le basi industriali e scientifiche e un ricco serbatoio di attori sociali per rimanere una delle grandi potenze all’apice della politica mondiale”.

Con gli immigrati che sminuzzano l’economia del Paese, l’istruzione superiore in declino terminale dopo essere stata devastata dalle politiche progressiste di Woke, gli Stati Uniti ora si affidano quasi interamente ai visti stranieri H1-B provenienti da Cina, India e Russia per alimentare la loro cosiddetta “innovazione”. Il problema è che, mentre il dollaro e il tenore di vita degli Stati Uniti continuano a crollare, i lavoratori H1-B sono incentivati a emigrare. In realtà, sta già accadendo:

Per decenni, gli Stati Uniti sono stati la terra promessa per gli scienziati cinesi che puntavano a raggiungere i vertici mondiali nelle loro professioni. La marea, tuttavia, è cambiata. Molti scienziati di talento stanno tornando in patria, dove i pascoli sono diventati palesemente più verdi.

E anche se rischia di gonfiare questo articolo fino a raggiungere proporzioni sgraziate, non posso fare a meno di includere l ‘ultimo pezzo di uno dei miei autori preferiti, il sempre incisivo e perspicace Alastair Crooke :

Tocca molti degli stessi temi del declino culturale e del folletto dei due pesi e delle due misure che ora minaccia di inghiottire l’Occidente. Sebbene Crooke si concentri sulla questione di Gaza, continua a tessere abilmente un filo conduttore delle forze corruttive che affogano l’Occidente nell’agonia dell’ipocrisia autoinflitta.

La diagnosi più incisiva dei mali dell’Occidente è rappresentata dalle prese di posizione contrarie di Crooke su una serie di pilastri filosofici occidentali. In primo luogo, egli mette in discussione l’individualismo di base di John Stuart Mill:

Se è vero che in On Liberty (1859) Mill sosteneva che la libertà di parola deve includere la libertà di offendere, nello stesso saggio insisteva anche sul fatto che il valore della libertà risiede nella sua utilità collettiva Specificava che “deve essere un’utilità nel senso più ampio del termine, fondata sugli interessi permanenti dell’uomo come essere progressivo“.

La libertà di parola ha poco valore se facilita il discorso dei “deplorevoli” o della cosiddetta destra.

In altre parole, “come molti altri liberali del XIX secolo”, sostiene il professor Gray, “Mill temeva l’ascesa del governo democratico perché riteneva che significasse dare potere a una maggioranza ignorante e tirannica. Più volte ha vilipeso le masse torpide che si accontentavano di modi di vita tradizionali”. Si può sentire qui il precursore del totale disprezzo della signora Clinton per i “deplorevoli” che vivono negli Stati Uniti “fly-over”.

In altre parole: gran parte del vantato liberalismo, del progressismo e dell’individualità dell’Occidente è costruito sulla reale sfiducia della maggioranza – ilpopolo, il sangue e la terra, il sale della terra , il volk e il narod e le loro fastidiose e invadenti “tradizioni” .

Allo stesso modo, egli sfalda il ritratto eroico di Rousseau:

Rousseau vedeva piuttosto le associazioni umane come gruppi sucui agire, in modo che tutti i pensieri e i comportamenti quotidiani potessero essere ricondotti alle unità affini di uno Stato unitario.

L’individualismo del pensiero di Rousseau, quindi, non è l’affermazione libertaria di diritti assoluti di libertà di parola contro lo Stato onnipotente. Non è l’innalzamento del “tricolore” contro l’oppressione.

Al contrario! L’appassionata “difesa dell’individuo” di Rousseau nasce dalla sua opposizione alla “tirannia” delle convenzioni sociali; le forme, i rituali e gli antichi miti che legano la società – religione, famiglia, storia e istituzioni sociali. Il suo ideale può essere proclamato come quello della libertà individuale, ma si tratta di una “libertà”, tuttavia, non nel senso di immunità dal controllo dello Stato, ma nel nostro ritiro dalle presunte oppressioni e corruzioni della società collettiva.

“Liberali classici”, attenzione! Crooke vi ha bolliti.

Questi sono i pilastri fondanti su cui si basa la società occidentale.

Eppure, perversamente, dietro il linguaggio della libertà si nascondeva la de-civilizzazione.

L‘eredità ideologica della Rivoluzione francese, tuttavia, fu una radicale de-civilizzazione. Il vecchio senso di permanenza, di appartenenza a un luogo nello spazio e nel tempo, è stato cancellato per lasciare il posto al suo esatto contrario: la transitorietà, la temporaneità e l’effimero.

Vi invito a leggere anche l’ultima parte della sua stroncatura del liberalismo occidentale, perché non è meno toccante.

Il percorso che ho intrapreso è quello di mettere a nudo il marcio che sta alla base della disintegrazione dell’ordine occidentale. Scegliendo pratiche e filosofie anti-civilizzanti, amoralità, ipocrisia non etica e concentrandosi su nient’altro che l’estrazione di risorse e vedendo ogni altra nazione attraverso la lente materiale meramente corporativo-statalista – come nodi di estrazione delle risorse, concorrenti, ecc. e mai come alleati o culture da rispettare a pieno titolo – l’Occidente ha creato una rete egemonica globale di tirannia fuorilegge che può essere considerata solo anti-umana e anti-culturale.

Ora i polli sono tornati al pollaio:

Questo è l’ultimo urgente appello dell’Economist. Il giornale di proprietà dei Rothschild non usa mezzi termini:

In ogni diagnosi c’è la politica arrogante, ostile, inutilmente conflittuale e odiosamente egoista dell’Occidente:

Come riferiamo, la disintegrazione del vecchio ordine è visibile ovunque. Le sanzioni sono quadruplicate rispetto agli anni ’90; l’America ha recentemente imposto sanzioni “secondarie” alle entità che sostengono gli eserciti russi. È in corso una guerra dei sussidi, in cui i Paesi cercano di copiare i vasti finanziamenti statali della Cina e dell’America per la produzione verde. Sebbene il dollaro rimanga dominante e le economie emergenti siano più resistenti, i flussi di capitale globali stanno iniziando a frammentarsi, come spiega il nostro rapporto speciale.

E:

Le istituzioni che salvaguardavano il vecchio sistema sono già defunte o stanno perdendo rapidamente credibilità.

Hanno seminato i semi del caos, della sovversione e della decadenza, e ora piangono mentre raccolgono.

Almeno una cosa l’hanno azzeccata:

Agli occhi del Partito Comunista Cinese, di Vladimir Putin o di altri cinici, un sistema in cui il potere è giusto non sarebbe una novità. Vedono l’ordine liberale non come un’attuazione di nobili ideali, ma come un esercizio del crudo potere americano, che ora è in relativo declino.

Concludono con una nota triste, pietosamente supplichevole, esortando gli ascoltatori a supporre che, sebbene l’America abbia approfittato della sua superpotenza per custodire il globo e per aderire predatoriamente ai suoi interessi, ha comunque “beneficiato il resto del mondo”… eliminando la povertà, o qualcosa del genere. Che magnanimità! Un cri de coeur davvero poco convincente, devo dire. L’ipocrisia sfacciata è come sempre sorda a queste proteste:

Il mondo è stufo e non vuole più portare con sé l’acqua contaminata dell’Impero.

Un’ultima, troppo brillante per essere esclusa, sintesi dell’agonizzante disfatta dell’Occidente arriva daGerry Rose, legato a Larouche, in questa imperdibile polemica che evoca le stesse leggi elementari della natura per tratteggiare l’usurpazione da parte dell’Occidente dei principi fondamentali dell’umanità, della realtà e dell’ordine che, di conseguenza, ha portato l’Occidente collettivo a un delirio di follia terminale:

Gerry Rose (EIR): “Chi gli dei vogliono distruggere, prima lo fanno impazzire”. Ora stiamo assistendo alla rottura delle regole arbitrarie che non corrispondono ad alcuna realtà. Il tentativo di imporle sta portando una certa fazione all’interno degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale alla vera e propria follia. L’ordine basato sulle regole è una violazione della legge naturale e dell’intera umanità. Ciò che intendono fare non può essere fatto e non sarà fatto. C’è una qualità di genio in Russia e in Cina. L’Antigone di Sofocle fu recitata davanti a un pubblico ateniese che poté rivivere l’orrore di ciò che si fa quando si violano le leggi della natura.

Infine, sotto l’ombrello generale della scomparsa dell’ordine occidentale, la Russia si è mossa nella direzione opposta: una società galvanizzata e unificata che trabocca di una rinascita del patriottismo e della fraternità – unpercorso verso un “nuovo senso di sé”, come recita l’articolo qui sotto:

Dmitry Trenin racconta il riemergere del senso di orgoglio nazionale sulla scia dell’OMU, anche se sottolinea doverosamente che il movimento è nato ancora prima:

La cultura popolare russa sta abbandonando – forse lentamente, ma costantemente – l’abitudine di imitare ciò che va di moda in Occidente. Al contrario, le tradizioni della letteratura russa, tra cui la poesia, il cinema e la musica, sono state recuperate e sviluppate. Un’impennata del turismo interno ha aperto ai russi comuni i tesori del proprio Paese, fino a poco tempo fa trascurati, mentre la sete di viaggi all’estero veniva placata. (I viaggi all’estero sono ancora possibili, ma le difficoltà logistiche rendono molto meno facile raggiungere altre parti d’Europa).

Continua notando come anche l’élite russa stia assistendo a una rivitalizzazione, un fatto che non sfugge alle pubblicazioni occidentali. La stampa ha recentemente sottolineato come Putin abbia “spezzato” l’élite liberale che pensava di poter essere ricompensata per la sua vigliaccheria di fuggire verso i pascoli più verdi dell’Europa; ora tornano a casa in massa, traditi e disillusi dall’establishment occidentale che pensavano li avrebbe accolti a braccia aperte, osannandoli per aver “sfidato Putin”.

Trenin sottolinea che:

La dichiarazione di Putin sulla necessità di una nuova élite nazionale, e la sua promozione dei veterani di guerra come nucleo di tale élite, è più un’intenzione che un piano reale in questa fase, ma l’élite russa sta sicuramente attraversando un massiccio ricambio. Molti magnati liberali essenzialmente non appartengono più alla Russia; il loro desiderio di mantenere i loro beni in Occidente ha finito per separarli dal loro Paese natale.

In Russia sta emergendo un nuovo modello di imprenditore di medio livello: quello che combina il denaro con l’impegno sociale (non il modello ESG) e che costruisce il proprio futuro all’interno del Paese.

Conclude con intelligenza con la necessità di una nuova ideologia russa, che possa distinguerecon maggiore audacia e sicurezza il percorso russo da quello occidentale:

Credo che sia miope e non sufficiente essere semplicemente “anti-occidentali”, perché non è altro che la negazione della negazione: l’Occidente stesso è già anti-vita, anti-morale e anti-civiltà. La Russia ha bisogno di costruire una visione dinamica di principi concreti e conquiste culturali come pilastri per una nuova società del futuro post-occidentale. Ho già criticato Putin in passato per una certa tiepidezza su questo fronte: dov’è il suo audace discorso del 1961 di JFK? –Non chiedetecosa il vostro Paese può fare per voicon i contorni degli sbarchi sulla Luna che tracciano un entusiasmante percorso verso lo zenit della civiltà.

Ma quando Putin ha recentemente annunciato la sua visione per quella che sembrava una Russia post-Putin, che sarebbe stata ereditata dalla nuova e brillante classe di veterani dell’OMU – fedeltà forgiata attraverso il crogiolo purificatore della guerra – è stata la prima volta che ho percepito un cambiamento, una vera e propria visione per qualcosa di tangibilmente nuovo che si stava formando nei fuochi formativi della continua e incostante rinascita della Russia. Come conclude Dmitry Trenin:

La maggior parte degli attuali titolari dei posti più importanti ha circa 70 anni. Entro i prossimi sei-dieci anni queste posizioni andranno a persone più giovani. Assicurare che l’eredità di Putin continui a vivere è un compito importante per il Cremlino. La successione non è solo una questione di chi emerge alla fine nella posizione di vertice, ma anche di che tipo di “generazione al potere” arriva.

Non è una coincidenza che la depravata disintegrazione dell’Occidente arrivi in un momento di risveglio della Russia; è stata la sfida della Russia a piegarsi all’oppressione massimalista dell’Occidente che ha piantato il primo cuneo fatale nel cuore dell’Ordine. Quando Putin ha tracciato una linea rossa in Siria, salvando il governo di Assad dalla liquidazione da parte del progetto ISIS della CIA, ha dato inizio a una cascata di resistenza simile a un domino che ha portato al precipizio di oggi.

Proprio come un tempo l’Unione Sovietica guidava gli sforzi di decolonizzazione globale, la Russia – dopo una breve pausa – ha ora raccolto i pezzi e portato il mantello del fatidico progetto di porre fine alla schiavitù egemonica dell’Occidente sul globo una volta per tutte. Nell’arco della nostra vita potremmo essere testimoni di un mondo più equo e giusto, poiché i vuoti catechismi dell'”ordine basato sulle regole” vengono inceneriti nel fuoco di fucina della nuova fonderia globale di Russia e Cina, che costruisce partnership eque, non prediche unilaterali e ordini imperiali.

La guerra in Ucraina è destinata a essere l’ultimo momento di rottura della diga che sgretola il castello di carte – e i tiranni dell’establishment lo sanno, ed è per questo che stanno lottando esistenzialmente, con le unghie e con i denti, per racimolare qualche ultima resistenza in Ucraina. Ma quando la fine scontata arriverà, sarà l’esercito russo a dover ringraziare per essere stato il baluardo che ha sfidato e spezzato la schiena dell’Impero egemone.

Come commiato struggente, ci vengono in mente le recenti e profetiche parole di Putin:

“Il ballo dei vampiri sta finendo”. – Putin


Sei arrivato alla fine dell’unico articolo dell’abbonato a pagamento. Non è bello non dover leggere un nuovo appello sporco e lamentoso per i soldi? Hai già promesso! Ed è per questo che sei qui, a sfogliare gli scarabocchi davvero esclusivi e privilegiati di questo sancta sanctorum dei VIP. Quindi, invece di una supplica, che ne dici di un grande ringraziamento a te?

The Tip Jar rimane un anacronismo, un pezzo arcaico e spudorato di double-dipping, per coloro che proprio non possono fare a meno di elargire i loro umili autori preferiti.

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Governare dietro le quinte, a cura di Guido Melis e Alessandro Natalini, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

A.A.V.V.  Governare dietro le quinte, a cura di Guido Melis e Alessandro Natalini, edizioni il Mulino, Bologna 2023, pp. 201, € 20,00.

Questa raccolta di saggi ha quale oggetto i gabinetti ministeriali (o meglio gli uffici di staff), cioè quegli uffici composti da “una rete di persone provenienti da grandi corpi dello Stato che per periodi significativi della loro carriera hanno occupato le posizioni di capo del gabinetto e – specialmente – dell’ufficio legislativo”, in genere (ma non sempre) non appartenenti alla burocrazia del ministero al quale sono addetti. Dati la collocazione, il carattere, il trattamento e il sistema di “reclutamento” costituiscono un’eccezione all’ordinamento normale delle amministrazioni: la scelta è fiduciaria (da parte del ministro), la durata è, di solito, quella del Ministro, la nomina non comporta avanzamenti di “carriera”. Accanto a ciò e a conferma del carattere “eccezionale” di queste figure sono collocati sulla linea di confine tra diversi ordini, organi e poteri: nei crocevia tra amministrazione e politica, Parlamento e Governo, potere amministrativo, governativo e legislativo. Il tutto in uno Stato, come quello contemporaneo che è, sul piano materiale uno Stato amministrativo, ossia connotato della prevalenza per funzione, ampiezza dei poteri, dei compiti e delle risorse e così dal primato del potere governativo-amministrativo. Primato il quale sul piano formale, compete al Parlamento, tenuto conto del principio di legalità e della riserva di legge. Proprio questa collocazione nei crocevia, poco o punto “regolati” è alla radice del potere dei gabinetti, alimentato e connotato proprio dai caratteri delle rette che vi s’intersecano. Così dalla politica prendono la temporaneità e dall’amministrazione la “professionalità”, mentre non è detto che la stessa scelta discrezionale del Ministro renda “stabili” coppie ricorrenti tra Ministri a capi degli “uffici di staff” (con politicizzazione del capo di gabinetto). Succede, ma capita anche l’inverso: ossia che capi di gabinetto abbiano collaborato con ministri diversi, talvolta provenienti da diverse forze politiche: i c.d. “gabinettisti professionisti”. Sempre dal connotato di Stato amministrativo materiale, consegue l’importanza degli uffici legislativi dei ministeri, che di fatto sono i “veri” legislatori, tenuto conto che gran parte delle norme legislative (decreti legislativi delegati e decreti-legge) sono redatte da questi, e l’altra attentamente dagli stessi “controllata” nell’iter di formazione.

Nei saggi è considerato anche il ruolo differente (e crescente) dei gabinetti e dei loro dirigenti dall’Unità d’Italia in poi; suddiviso in cinque fasi.

Nelle prime due (la liberale e la fascista) il ruolo di tali uffici era limitato e i capi erano tratti dalla stessa burocrazia ministeriale. Con la Repubblica, data la diffidenza nei confronti della burocrazia, ereditata dal fascismo, prevale la nomina di elementi tratti dai grandi corpi della Repubblica (Consiglio di Stato, Avvocatura dello Stato, Corte dei Conti); nella quarta e quinta fase (da fine anni ’60 in poi) l’estrazione è la stessa ma cresce la fidelizzazione al vertice politico. Ora si prevedono “due effetti negativi: il primo consiste in quella che si potrebbe definire come la supplenza nei confronti della dirigenza amministrativa (che risulta depressa e ulteriormente emarginata); il secondo come la supplenza nel confronti della politica: una politica che, all’atto pratico, priva com’è di conoscenza approfondita della macchina amministrativa, finisce sovente sotto tutela dei suoi principali collaboratori”.

Dato l’assetto della competenza e il carattere gerarchico dell’organizzazione amministrativa, l’influenza di tali uffici non si esercita tanto con provvedimenti, quanto con consigli, suggerimenti, indicazioni. I consigli vengono dati verso il basso, ma soprattutto verso l’alto: cioè al vertice politico (dove possano tradursi in comandi).

Proprio il particolare carattere del rapporto tra gabinetti e Ministro in carica ricorda l’argomento del saggio di Carl Schmitt, tradotto in italiano da Antonio Caracciolo e pubblicato sul Behemoth n. 2 nel 1987 (cui sono seguite altre due diverse traduzioni pubblicate nei decenni successivi), dal titolo Colloquio sul potere e sull’accesso presso il potente.

In tale breve saggio, scrive Schmitt che, “anche il principe più assoluto deve affidarsi a informazioni e relazioni e dipende dai suoi consiglieri… Chi fa una relazione al detentore del potere o lo informa, partecipa di già al potere, indipendentemente dal fatto che egli sia un ministro che controfirma responsabilmente o che sappia in modo indiretto farsi da lui ascoltare… Così ogni potere diretto diventa subito soggetto ad influenze indirette. Ci sono stati detentori del potere che hanno avvertito questa dipendenza e sono andati per questo in collera”. Per cui “In altre parole: davanti ad ogni luogo del potere diretto si forma un’anticamera di influenze e poteri indiretti, un accesso all’orecchio, un corridoio verso l’anima del detentore del potere. Non c’è potere senza questa anticamera e senza questo corridoio”. E ricordava come esempio storico di controversia sull’accesso al potente la caduta di Bismarck e, in letteratura, il Don Carlos da Schiller. Per cui i capi di gabinetto possono essere considerati una specie, rapportata all’organizzazione dello Stato moderno, e con caratteristiche peculiari, di potere indiretto (in altri tempi e contesto attribuito al Papa).

Teodoro Klitsche de la Grange

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Putin-Xi: autopsia di una rotta americana, di EdouardHusson

La settimana scorsa abbiamo pubblicato il comunicato congiunto particolarmente significativo seguito al vertice Putin-Xi. Qui sotto un ulteriore commento della stampa francese più avveduta all’avvenimento. Giuseppe Germinario

Putin-Xi: autopsia di una rotta americana

I risultati dei primi colloqui tra Vladimir Putin e Xi Jinping danno una prima idea della sconfitta strategica subita dagli Stati Uniti. Per l’Europa si tratta di sapere se vuole affondare con gli Stati Uniti, svolgendo il ruolo di quelle unità che il comando sacrifica per ritardare il momento fatidico della sconfitta; oppure se ha l’intelligenza di preservare il proprio futuro e negoziare, a condizioni che possono essere ancora favorevoli, il proprio posto nella nuova organizzazione del mondo.

Il nostro amico Simplicius lo dice in termini semplici:

Non solo si tratta del primo viaggio all’estero simbolico del suo ultimo mandato presidenziale, ma scavando un po’ sotto il cofano si scopre che questo viaggio ha un significato ancora maggiore e si distingue dalla semplice routine.

In primo luogo, Putin ha portato con sé praticamente tutte le principali figure del governo russo, in particolare il nuovo ministro della Difesa Belousov, anche se Shoigu è rimasto al suo fianco in modo significativo.

Blog di Simplicio il Pensatore, 17 maggio 2024

Della delegazione fanno parte diversi leader d’impresa: Oleg Deripaska, fondatore di RUSAL; Igor Sechin, CEO di Rosneft; Herman Gref, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Sberbank; Andrey Kostin, Presidente del Consiglio di Amministrazione di VTB Bank; Kirill Dmitriev, CEO del Fondo russo per gli investimenti diretti; Leonid Mikhelson, Presidente di NOVATEK; Igor Shuvalov, Presidente di VEB.RF; Alexander Shokhin, Presidente dell’Unione russa degli industriali e degli imprenditori (RSPP).

La sconfitta strategica americana in 8000 parole

Un messaggio X/twitter riassume la dichiarazione congiunta dei due capi di Stato al termine di una giornata di scambi:

Ieri Cina e Russia hanno pubblicato una straordinaria dichiarazione congiunta, lunga quasi 8.000 parole se tradotta in inglese, e per molti versi più importante della famosa dichiarazione di partenariato “senza esclusione di colpi” del febbraio 2022.

Ecco i punti che mi hanno colpito di più.

COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE
La dichiarazione afferma che è un “fattore oggettivo” il fatto che “lo status e la forza dei principali Paesi e regioni emergenti del ‘Sud globale’ [sono] in continua crescita” e che “la tendenza verso il multipolarismo globale [sta accelerando]”. Questa tendenza “accelera la ridistribuzione del potenziale di sviluppo, delle risorse e delle opportunità in una direzione favorevole ai mercati emergenti e ai Paesi in via di sviluppo, promuovendo la democratizzazione delle relazioni internazionali e l’equità e la giustizia internazionali”.

Sottolineano che “i Paesi che abbracciano l’egemonismo e la politica di potenza sono in controtendenza, tentando di sostituire e sovvertire l’ordine internazionale basato sul diritto internazionale con un cosiddetto “ordine basato sulle regole””.

Per quanto riguarda la sicurezza, la dichiarazione afferma che “le due parti sono convinte che il destino dei popoli di tutti i Paesi sia legato e che nessun Paese debba cercare la propria sicurezza a spese di quella degli altri”. Le due parti esprimono la loro preoccupazione per le attuali sfide alla sicurezza internazionale e regionale e sottolineano che nell’attuale contesto geopolitico è necessario studiare la creazione di un sistema di sicurezza sostenibile nello spazio eurasiatico, basato sul principio della sicurezza uguale e indivisibile”.

Hanno aggiunto che Cina e Russia “sfrutteranno appieno il potenziale delle relazioni bilaterali” per “promuovere la realizzazione di un mondo multipolare equo e ordinato e la democratizzazione delle relazioni internazionali, e unire le forze per costruire un mondo multipolare giusto e ragionevole”.

Per quanto riguarda la visione di questo ordine mondiale, questi due principi sembrano essere i più importanti:
1) Un ordine senza “neocolonialismo ed egemonismo” di alcun tipo: “Tutti i Paesi hanno il diritto di scegliere autonomamente i propri modelli di sviluppo e i propri sistemi politici, economici e sociali sulla base delle proprie condizioni nazionali e della volontà dei propri popoli, di opporsi all’ingerenza negli affari interni dei Paesi sovrani, di opporsi alle sanzioni unilaterali e alla “giurisdizione delle armi lunghe” senza una base nel diritto internazionale o un’autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e di opporsi alla creazione di linee ideologiche”. Entrambe le parti hanno sottolineato che il neocolonialismo e l’egemonismo sono totalmente contrari alla tendenza attuale e hanno chiesto un dialogo paritario, lo sviluppo di partenariati e la promozione di scambi e apprendimento reciproco tra le civiltà”.
2) Un ordine basato sulla Carta delle Nazioni Unite: “Entrambe le parti continueranno a difendere fermamente le conquiste della Seconda guerra mondiale e l’ordine mondiale postbellico stabilito dalla Carta delle Nazioni Unite”.

CONDANNA ESTREMAMENTE FORTE DA PARTE DEGLI STATI UNITI
Questa condanna inizia con il paragrafo evidenziato sopra, secondo cui “i Paesi che aderiscono all’egemonismo e alla politica di potenza sono contrari [alla tendenza verso un ordine mondiale multipolare]”, e la dichiarazione condanna anche il fatto che questi “Paesi” (cioè principalmente gli Stati Uniti) “stanno cercando di sostituire e sovvertire l’ordine internazionale basato sul diritto internazionale con un cosiddetto ‘ordine basato sulle regole'”.

Scrivono inoltre che “le due parti invitano i Paesi e le organizzazioni interessate a smettere di adottare politiche conflittuali e di interferire negli affari interni di altri Paesi, di minare l’architettura di sicurezza esistente, di creare ‘piccoli tribunali con alti steccati’ tra i Paesi, di provocare tensioni regionali e di sostenere il confronto tra le parti”.

Hanno aggiunto che “entrambe le parti si oppongono alle azioni egemoniche degli Stati Uniti volte ad alterare l’equilibrio di potere nella regione dell’Asia nord-orientale, espandendo la propria presenza militare e formando blocchi militari”. Gli Stati Uniti, con la loro mentalità da Guerra Fredda e il loro modello di confronto unilaterale, pongono la sicurezza di un “piccolo gruppo” al di sopra della sicurezza e della stabilità regionale, mettendo in pericolo la sicurezza di tutti i Paesi della regione. Gli Stati Uniti dovrebbero fermare queste azioni”.

Inoltre, la dichiarazione rileva “serie preoccupazioni per i tentativi degli Stati Uniti di minare la stabilità strategica al fine di mantenere una superiorità militare assoluta, tra cui la costruzione di un sistema di difesa missilistica globale e il dispiegamento di sistemi di difesa missilistica in tutto il mondo e nello spazio, il rafforzamento della capacità di neutralizzare le azioni militari avversarie con armi di precisione non nucleari e colpi di “decapitazione””, rafforzare gli accordi di “condivisione nucleare” della NATO in Europa e fornire una “deterrenza estesa” a specifici alleati, costruire infrastrutture in Australia, membro del Trattato sulla zona libera nucleare del Pacifico meridionale, che potrebbero essere utilizzate per supportare le forze nucleari di Stati Uniti e Regno Unito, impegnarsi in una cooperazione tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia in materia di sottomarini nucleari e attuare piani per dispiegare e fornire missili terrestri a raggio intermedio e a corto raggio agli alleati dell’Asia-Pacifico e dell’Europa. “

La dichiarazione ha anche condannato “la politica ostile e non costruttiva di ‘doppio contenimento’ degli Stati Uniti nei confronti della Cina e della Russia”: “Le azioni degli Stati Uniti nel condurre esercitazioni congiunte con i loro alleati, apparentemente rivolte alla Cina e alla Russia, e nell’intraprendere iniziative per dispiegare missili terrestri a raggio intermedio nella regione dell’Asia-Pacifico hanno sollevato serie preoccupazioni da entrambe le parti. Gli Stati Uniti affermano che continueranno queste pratiche con l’obiettivo finale di stabilire dispiegamenti missilistici di routine in tutto il mondo. Entrambe le parti condannano fermamente queste azioni, che sono estremamente destabilizzanti per la regione e rappresentano una minaccia diretta alla sicurezza di Cina e Russia, e rafforzeranno il coordinamento e la cooperazione in risposta alla politica ostile e non costruttiva di ‘doppio contenimento’ degli Stati Uniti nei confronti di Cina e Russia”.

Per quanto riguarda l’Asia-Pacifico in particolare, scrivono che “entrambe le parti si oppongono alla creazione di strutture di gruppo esclusive e chiuse nella regione Asia-Pacifico, in particolare alleanze militari di terzi”. Entrambe le parti sottolineano che la “strategia indo-pacifica” degli Stati Uniti e i tentativi della NATO di intraprendere azioni distruttive nella regione Asia-Pacifico hanno un impatto negativo sulla pace e sulla stabilità della regione.

Essi “chiedono che gli Stati Uniti si astengano dall’intraprendere attività militari biologiche che minacciano la sicurezza di altri Paesi e regioni” e si oppongono “all’uso dello spazio esterno per il confronto armato e all’attuazione di politiche e attività di sicurezza volte a ottenere un vantaggio militare e a definire lo spazio esterno come un ‘dominio di guerra’”.

Infine, la dichiarazione condanna “le azioni militari deterrenti degli Stati Uniti e dei loro alleati, che provocano il confronto con la Repubblica Popolare Democratica di Corea ed esacerbano le tensioni nella penisola coreana, portando potenzialmente ad un conflitto armato”, e chiede che “gli Stati Uniti e la NATO, in quanto responsabili dell’invasione e dell’occupazione ventennale dell’Afghanistan, non tentino di dispiegare strutture militari in Afghanistan, non tentino di dispiegare nuovamente strutture militari in Afghanistan e nelle aree circostanti, ma si assumano la responsabilità primaria delle attuali difficoltà economiche e di sostentamento dell’Afghanistan, si facciano carico dei maggiori costi della ricostruzione dell’Afghanistan e prendano tutte le misure necessarie per scongelare i beni nazionali dell’Afghanistan”. “

NOTEVOLE ESPANSIONE DELLA COOPERAZIONE TRA LA CINA E LA RUSSIA
La dichiarazione contiene un elenco enorme – decine e decine di punti – di aree di cooperazione allargata tra i due Paesi.

Ecco alcuni dei più importanti:

  • Cooperazione militare: “[le due parti] approfondiranno la fiducia e la cooperazione militare reciproca, amplieranno la portata delle attività di addestramento congiunte, condurranno regolarmente pattugliamenti marittimi e aerei congiunti, rafforzeranno il coordinamento e la cooperazione in ambito bilaterale e multilaterale e miglioreranno continuamente la capacità e il livello di risposta congiunta ai rischi e alle sfide”.
  • Aumentare gli scambi commerciali, gli investimenti reciproci e il sostegno reciproco allo sviluppo economico: “Espandere continuamente la portata del commercio bilaterale, migliorare continuamente il livello di cooperazione degli investimenti tra i due Paesi, sviluppare congiuntamente le industrie ad alta tecnologia, rafforzare la cooperazione tecnica e produttiva, soprattutto nell’industria dell’aviazione civile, nella cantieristica navale, nell’industria automobilistica, nella produzione di attrezzature, nell’industria elettronica, nell’industria metallurgica, nell’industria mineraria del ferro, nell’industria chimica e nell’industria forestale”.
  • Cooperazione energetica: “consolidare la cooperazione energetica strategica tra Cina e Russia e raggiungere uno sviluppo di alto livello, garantendo la sicurezza economica ed energetica di entrambi i Paesi. Impegnarsi per garantire la stabilità e la sostenibilità del mercato energetico internazionale e mantenere la stabilità e la resilienza della catena industriale e di approvvigionamento energetico globale”. Anche l’energia nucleare: “approfondire la cooperazione nel campo dell’energia nucleare civile sulla base dell’esperienza dei progetti di successo e di quelli in corso, tra cui la fusione termonucleare, i reattori a neutroni veloci e i cicli chiusi del combustibile nucleare”.
  • Promuovere le rispettive valute e infrastrutture finanziarie: “Aumentare la quota della valuta locale nel commercio bilaterale, nei finanziamenti e in altre attività economiche. Migliorare l’infrastruttura finanziaria di entrambi i Paesi, facilitare i canali di regolamento tra le entità commerciali di entrambi i Paesi, rafforzare la cooperazione normativa nei settori bancario e assicurativo di Cina e Russia, promuovere il solido sviluppo delle banche e degli istituti assicurativi stabiliti in entrambi i Paesi, incoraggiare gli investimenti bilaterali ed emettere obbligazioni nei mercati finanziari di entrambi i Paesi in conformità con i principi di mercato”.
  • Cooperazione approfondita nel campo dell’istruzione e della scienza: “Promuovere l’espansione e il miglioramento qualitativo dei reciproci programmi di studio all’estero, far progredire l’insegnamento della lingua cinese in Russia e della lingua russa in Cina, incoraggiare le istituzioni educative a sviluppare gli scambi, la cooperazione nella gestione delle scuole, condurre una formazione congiunta di talenti di alto livello e la ricerca scientifica, sostenere la cooperazione nei campi della ricerca di base tra le università, sostenere le attività delle alleanze di università e scuole superiori simili e approfondire la cooperazione nell’istruzione professionale e digitale”. “
  • Cooperazione con i media e formazione dell’opinione pubblica: “Rafforzare gli scambi mediatici tra i due Paesi, promuovere le visite reciproche a vari livelli, sostenere i dialoghi pragmatici e professionali, perseguire attivamente la cooperazione sui contenuti di alta qualità, esplorare in profondità il potenziale di cooperazione dei nuovi media e delle nuove tecnologie nel campo dei mass media, riferire in modo obiettivo e completo sui principali eventi mondiali e diffondere informazioni veritiere nel campo dell’opinione pubblica internazionale”.
  • Cooperazione all’interno delle istituzioni globali: “approfondire la cooperazione bilaterale [nell’] Assemblea Generale e nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, “sostenere il ruolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità”, “rafforzare la cooperazione all’interno dell’OMC”, “cooperare all’interno dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO)”, “sostenere lo spirito dei BRICS, rafforzare la voce del meccanismo dei BRICS negli affari e nell’agenda internazionale”, ecc.

L’entità della cooperazione che descrivono è assolutamente sbalorditiva, con entrambi i Paesi che si impegnano a fondo l’uno per l’altro.

Questa dichiarazione è assolutamente straordinaria e probabilmente plasmerà il mondo per i decenni a venire. Russia e Cina dichiarano esplicitamente di unire le forze per creare un nuovo “mondo multipolare equo e ordinato e per democratizzare le relazioni internazionali” e per porre fine al comportamento egemonico degli Stati Uniti. Non c’è più bisogno di fingere, sta accadendo.

Conto X Arnaud Bertrand @RnaudBertrand; 17 maggio 2024

Chi dubita ancora della sconfitta strategica degli Stati Uniti?

È tempo che l’Europa si chieda se vuole continuare a essere l’unico Paese a lasciarsi soggiogare dagli Stati Uniti mentre il resto del mondo si emancipa, nella speranza di stabilire un ordine internazionale orizzontale senza egemoni.

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