il potere dell’ipocrisia, di Teodoro Klitsche de la Grange

PREMESSA

Questo breve saggio, scritto circa vent’anni orsono per la rivista francese “Catholica” (n. 72) e pubblicato in italiano da “Libro aperto” (n. 23) ha ancora attualità e non solo perché l’ipocrisia è uno dei mezzi (eterni) per l’esercizio del potere politico (rientra nelle astuzie – forse la principale – della volpe machiavellica) ma perché è spesso sintomo e causa di decadenza e dissoluzione delle élite, delle comunità e delle sintesi politiche (Pareto).

C’è l’ipocrisia del governante, ma anche quella dei governati, in particolare quando anche questi se ne servono per agire per il loro privato interesse, servendosi del “pubblico”.

In conclusione il pericolo che gli ipocriti costituiscono per lo Stato (come ovviamente, anche per la religione) sottolineato da Moliere anche nella prefazione all’opera è una costante non della sua epoca, ma di sempre.

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Il potere dell’ipocrisia

TRA CONSIGLIO EUROPEO e CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una piccola raccolta di note e considerazioni di FF e Giuseppe Masala_Giuseppe Germinario

GIUSEPPE MASALA

Davvero ma come fa qualcuno a credere che le norme del trattato istitutivo del Mes possano essere sospese/abrogate con la letterina di due commissari europei? E magari una legge dello stato italiano o direttamente una norma di rango costituzionale possono essere abrogate con una dichiarazione di Conte scritta da Casilino. Ma per favore, levate la scolarizzazione di massa, dite che all’Università possono andare solo coloro che hanno conto in banca in Svizzera, ditta con domicidio fiscale in Olanda e possibilmente doppio cognome nobiliare. Dite che dobbiamo andare a zappare e non fate più studiare nessuno. Però non provate a prenderci per il culo così. PS L’Unione Europea va abbattuta.

<<The ESM will also implement its Early Warning System to ensure timely repayment of the Pandemic Crisis Support.>> (Punto 5 Eurogrup Statement). Post sorveglianza. Ecco, l’ombrello di Altan

https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/05/08/eurogroup-statement-on-the-pandemic-crisis-support/?fbclid=IwAR1pBZr0RTe3QNKjLgoCdNxG89xfMfuI12lsQtdmEOgVBJcFzPO4efNybYI

traduzione (con traduttore):

Dichiarazione dell’Eurogruppo sul sostegno alla crisi pandemica

1. Il 23 aprile 2020, Leaders ha approvato l’accordo dell’Eurogruppo in formato inclusivo del 9 aprile 2020 sulle tre importanti reti di sicurezza per lavoratori, imprese e sovrani, pari a un pacchetto del valore di 540 miliardi di EUR, e ha chiesto la loro attuazione da parte del 1 ° giugno 2020. I leader hanno anche convenuto di lavorare per istituire un fondo di risanamento e hanno incaricato la Commissione di analizzare le esigenze esatte e di presentare urgentemente una proposta commisurata alla sfida. L’Eurogruppo in un formato inclusivo continuerà a monitorare attentamente la situazione economica e preparerà il terreno per una solida ripresa.

2. L’Eurogruppo accoglie con favore gli sforzi ben avviati in seno al Consiglio sulla proposta SURE e negli organi direttivi della BEI sull’istituzione del fondo di garanzia paneuropeo a sostegno dei lavoratori e delle imprese europee e conferma l’accordo per l’istituzione di ESM Pandemic Crisis Support per sovrani.

3. Oggi abbiamo concordato le caratteristiche e le condizioni standardizzate del sostegno alla crisi pandemica, disponibili per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro per importi del 2% del PIL dei rispettivi membri alla fine del 2019, come parametro di riferimento, per sostenere il finanziamento interno di e i costi indiretti dell’assistenza sanitaria, della cura e della prevenzione dovuti alla crisi COVID-19. Abbiamo inoltre accolto con favore le valutazioni preliminari delle istituzioni sulla sostenibilità del debito, le esigenze di finanziamento, i rischi di stabilità finanziaria, nonché sui criteri di ammissibilità per l’accesso a questo strumento. Concordiamo con l’opinione delle istituzioni che tutti i membri ESM soddisfano i requisiti di idoneità per ricevere supporto nell’ambito del supporto per crisi pandemiche. Con riserva del completamento delle procedure nazionali, prevediamo che il consiglio dei governatori del MES adotti una risoluzione che confermi questo ben prima del 1 ° giugno 2020. Seguiranno le disposizioni del Trattato MES.

4. L’Eurogruppo ricorda che l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti al COVID 19 crisi. Questo impegno sarà dettagliato in un singolo piano di risposta pandemica da preparare sulla base di un modello, per qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica.

5. Concordiamo sul fatto che il monitoraggio e la sorveglianza dovrebbero essere commisurati alla natura dello shock simmetrico causato da COVID-19 e proporzionati alle caratteristiche e all’utilizzo del sostegno per la crisi pandemica, in linea con il quadro dell’UE [1] e le pertinenti linee guida ESM . Accogliamo con favore l’intenzione della Commissione di applicare un quadro di monitoraggio e monitoraggio semplificato, limitato agli impegni dettagliati nel piano di risposta pandemica, come indicato nella lettera del vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis del 7 maggio e del commissario Paolo Gentiloni indirizzata al presidente dell’Eurogruppo . L’ESM implementerà inoltre il suo sistema di allarme rapido per garantire il rimborso tempestivo del sostegno alla crisi pandemica.

6. Concordiamo con la proposta ESM sui termini e le condizioni finanziarie comuni applicabili a qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica. Ciò include una scadenza media massima di 10 anni per i prestiti e modalità di prezzo favorevoli adattate alla natura eccezionale di questa crisi [2].

7. L’Eurogruppo conferma che il sostegno alla crisi pandemica è unico, dato il diffuso impatto della crisi COVID-19 su tutti i membri del MES. Le richieste di sostegno alla crisi pandemica possono essere presentate fino al 31 dicembre 2022. Su proposta del direttore generale dell’ESM, il consiglio dei governatori dell’ESM può decidere di comune accordo di adeguare tale termine. La proposta dell’amministratore delegato si baserebbe su prove oggettive sull’andamento della crisi. Successivamente, gli Stati membri dell’area dell’euro rimarrebbero impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa l’eventuale flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell’UE.

8. Il periodo di disponibilità iniziale per ciascuna struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica sarà di 12 mesi, che potrebbe essere prorogato due volte per 6 mesi, conformemente al quadro ESM standard per gli strumenti precauzionali.

9. A seguito di una richiesta nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica, le istituzioni dovrebbero confermare le valutazioni con il minor preavviso possibile e preparare, insieme alle autorità, il singolo piano di risposta pandemica, basato sul modello concordato.

10. Fatte salve le procedure nazionali relative a ciascuna richiesta, gli organi direttivi del MES approveranno i singoli piani di risposta pandemica, le singole decisioni di concessione dell’assistenza finanziaria e gli accordi relativi alle strutture di assistenza finanziaria, in conformità dell’articolo 13 del trattato MES.

[1] In particolare il considerando 4 del regolamento (UE) n. 472/2013: “l’intensità della sorveglianza economica e di bilancio

FF

Molti si chiedono che avrebbe da guadagnare la Germania a sfasciare l’UE.
Per rispondere a questa domanda si dovrebbe tener presente che gli strateghi tedeschi del capitale ragionano in modo simile ai generali tedeschi della I e della II guerra mondiale, ossia nessuna autentica strategia ma solo efficienza tattico-operativa. Perfino Erich von Manstein, considerato il miglior generale tedesco della II guerra mondiale, nelle sue memorie, “Vittorie Perdute”, e che pure ambiva a dirigere tutte le operazioni sul Fronte orientale, si occupa solo del settore del Fronte di cui era responsabile. Di strategia e dei complessi problemi, non solo militari, di un Paese che combatteva pure nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nel Nord Europa contro gli anglo-americani, non vi è traccia nel suo libro.
Certo, sotto il profilo tattico-operativo i tedeschi furono sempre superiori agli Alleati (ma a partire dal 1944 non ai russi, anche se questo aspetto della II guerra mondiale è poco conosciuto) in entrambe le guerre mondiali.
Anche sotto l’aspetto economico ragionano quindi soprattutto in termini di organizzazione, di efficienza e di dominio, anziché in termini di egemonia, di intelligence e perfino di mero interesse (nel senso di business).
Da qui si dovrebbe dunque partire per capire il comportamento della Germania.

GIUSEPPE MASALA

Le linee di credito sanitarie del Mes soprannominate Mes Light stanno diventando un caos completo.

Conte dice che non ne abbiamo bisogno (Renzi sì così come tutto l’apparato piddin-confindustriale) ma che lo approveremo per non far dispetto alla Spagna che lo vuole.
La Spagna oggi risponde che manco per nulla lo vuole.
La Francia oggi fa sapere che manco loro sono interessati.
Ma ieri Gentiloni ha detto che non c’è condizionalità.
Però oggi Donbrovskis dice che c’è condizionalità ma light.
Alla fine parla il Direttore Generale del Mes che dice che c’è una novità: un Meccanismo di Allerta Rapido per la restituzione tempestiva del prestito. Tasso al 0,115%. E se uno non caccia i soldi gli mandano la Banda della Magliana.

Insomma, a me pare che siamo in pieno caos. Al di là delle battute caustiche, secondo voi come potrà agire un qualsiasi governo a Roma se avrà sopra la testa una mannaia che ti impone la restituzione dei trentasei miliardi del Mes a semplice chiamata da Bruxelles e dunque con la necessità di fare a tamburo battente una manovra aggiuntiva che copra la cifra da restituire? E’ chiaro che qualsiasi governo sarà eterodiretto da Bruxelles indipendentemente da quello che sarà il voto degli italiani. E temo che tutta questa tarantella del Mes presunto Light (ma molto hard) abbia proprio quello di ingabbiare qualsiasi maggioranza che possa formarsi a Roma e renderla docile rispetto ai voleri di Bruxelles.

FF

La Germania ha chiaramente rinunciato a sfruttare la pandemia per rifondare l’UE secondo una prospettiva geopolitica ed economica autenticamente europea, preferendo invece, come sempre, una politica fondata sulla sottomissione degli altri Paesi europei anziché sulla cooperazione tra i diversi Paesi europei.
In questo contesto, il futuro del nostro Paese appare disastroso. Si prevede difatti un crollo del PIL di quasi il 10% e un debito pubblico superiore al 150% del PIL, ma nel malaugurato caso di una nuova ondata di Covid-19 la situazione potrebbe essere perfino peggiore.
E’ evidente, pertanto, che se l’Italia dovesse cercare di porre rimedio a questa recessione con gli strumenti attualmente messi a disposizione della UE, ossia eseguendo le direttive di Berlino, le conseguenze per il nostro Paese sarebbero catastrofiche.
Una classe dirigente che accettasse questi diktat non sarebbe dunque diversa da una classe dirigente che dichiara guerra al proprio Paese. Del resto, le guerre oggi non si combattono solo con le armi da fuoco. Si possono impiegare altre armi, ma gli effetti, nella sostanza, sono analoghi a quelli delle guerre in cui si impiegano le armi da fuoco.
Tuttavia, le guerre si sa come iniziano ma non come finiscano.
Di questo dovrebbe comunque essere consapevole perfino una classe dirigente di infimo livello come quella italiana notoriamente incapace di agire strategicamente, giacché da decenni si limita ad eseguire le direttive di centri di potenza stranieri, pur di difendere i propri privilegi.

In realtà la Corte Costituzionale tedesca ha posto dei limiti precisi all’acquisto dei titoli di Stato da parte della BCE lanciando a quest’ultima un ultimatum. Pertanto, perfino Repubblica ammette che “la Bce ha tre mesi di tempo per dimostrare che ‘gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal programma di acquisto di titoli pubblici non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica fiscale ed economica derivanti dal programma’. Al momento, questo il cuore del verdetto, quegli acquisti sono sproporzionati”.
In sostanza, nessuna “monetizzazione” del debito da parte della BCE o se si preferisce nessun “whatever it takes”.
In altri termini, ossia in termini politici, comanda la CC tedesca, cioè la Germania, e la BCE deve eseguire quel che Berlino ordina.

GIUSEPPE MASALA

La Frankfurter Allgemeine Zeitung ci informa che il Servizio Studi del Bundestag ha chiarito che il Governo federale e lo stesso Bundestag (che sarebbe la camera bassa del parlamento tedesco, come la nostra Camera) in ottemperanza a quanto sentenziato dalla Corte di Karlsruhe dovranno adoperarsi per controllare che la Bce si attenga a quanto stabilito. A partire dal rispetto del principio di proporzionalità negli acquisti di assets (Capital Key). Come se non bastasse il controllo – sempre per l’Ufficio Studi del Bundestag – non sarà relativo solo al piano ordinario di acquisti di assets (Pspp) ma anche a quelli straordinari dovuti all’emergenza pandemica (Pepp).

Tutto questo significa che la Politica Monetaria dell’Euro sarà fatta secondo i principi stabiliti dalla Corte di Karlsruhe e verrà controllata dal Senato tedesco. Voi avete votato i vostri rappresentanti al Senato tedesco? No? Allora avete cittadinanza presso una colonia tedesca. Tipo la Namibia e il Camerun dei tempi di Guglielmo II. Era già così da prima ma ora la condizione è cristallizzata giuridicamente.

Rimane da parte mia la stima per la Corte di Karlsruhe che ha indicato chiaramente la via d’uscita. Gli stati sono padroni dei trattati e non i trattati padroni degli stati. Ergo, chi non accetta la condizione di colonia tedesca può tranquillamente stracciare i trattati.

PS Chiaro e palese che in Italia sarebbero pronti ad accettare la condizione di colonia. Altri paesi io non credo. Traete voi la conclusione del tutto.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-faz_bce_sotto_osservazione_rafforzata/11_34811/?fbclid=IwAR3sXHL84pA0s4Dq7JKwlOQlyWrYwdx_LdXcAyHs_ttS_ROAeSiQgbgIE1s

Il vice Presidente della Bce, lo spagnolo Luis de Guindos dice che la Banca Centrale Europea è sotto la giurisdizione della Corte di Giustizia Europea e non della Corte di Karlsruhe e che entro fine anno il programma di acquisto di titoli arriverà a 1000 mld di euro. Bene, vanno allo scontro frontale con Karlsruhe fino al punto di continuare anche se la Bundesbank decidesse di interrompere il programma. Del resto la sentenza di Karlsruhe ha prescrizioni talmente stringenti tali da rendere impossibili i soliti trucchi per aggirare trattati e sentenze varie. Sembra che Parigi sia disposta a prendersi il rischio della rottura dell’Euro nel medio periodo

Scusate se ci ritorno ancora, ma lascia abbastanza stupefatti il coro di critiche degli europeisti alla sentenza della Corte di Karlsruhe. Credo sia emblematica di come in Italia e in Europa sia completamente saltato il sistema di valori e dunque di valutazione dei fatti. Secondo i dettrattori di Karlsruhe saremmo di fronte ad una “sentenza nazionalista”. Niente di più sbagliato. Siamo di fronte ad una sentenza che ristabilisce i più elementari principi di democrazia. E che ridà ai miei occhi la massima stima dovuta al popolo tedesco e alle sue istituzioni. Se la Cancelleria ormai da qualche lustro occupata dalla Merkel ha accarezzato grazie all’Euro e all’Unione Europea di ridare vita sotto mentite spoglie al Septemberprogramm di Theobald von Bethmann-Hollweg se non direttamente al funesto piano di Walther Funk dell’epoca del Terzo Reich con una sentenza coraggiosissima la severa Corte di Karlsruhe tiene il punto. I beni primari del Popolo tedesco sono la Democrazia e la Sovranità. Beni primari da tutelare ad ogni costo. Anche a costo di perdere danaro se questo significa ricadere nell’errore secolare dell’Imperialismo tedesco di sottomettere gli altri popoli europei.

La Corte lo dice chiaramente, l’Eu non è uno stato federale conseguentemente la Corte stessa fa da guardia alla Sovranità dello Stato tedesco democratico e alle regole sancite nella sua Legge Fondamentale, di fatto, ingabbiando i demoni di epoche che speriamo siano per sempre passate alla Storia. Ogni qualvolta che le istituzioni europee non rispetteranno quanto scritto tassativamente nei trattati e porranno in essere politiche Ultra Vires la Corte interverrà con un fuoco di sbarramento. Anche se si tratta della Banca Centrale Europea. Anche se la Corte di Giustizia Europea la pensa diversamente. Karlsruhe richiamerà le istituzioni tedesche al rispetto dell’ordine costituzionale, qualunque sia il costo economico e politico.

E’ vera, nella concretezza delle cose a noi ci dice male quello che ha stabilito la Corte. Ma il rispetto della Costituzione è fondamentale: nessuno ha dato alle istituzioni UE potere di porre in essere politiche fiscali. Le politiche fiscali sono in capo ai singoli stati e la Corte lo ribadisce. Certo, dicevo, ci dice male sotto l’aspetto pratico: significa che l’Italia (ma non solo l’Italia) per sostenere la crisi in corso nell’ambito della Ue dovrà accedere al Mes, firmare un Memorandum, svendere la democrazia, e sottoporsi a sacrifici speventosi. Ma quelle sono le regole dei Trattati liberamente accettati dai contraenti. Non c’è via di scampo. La Corte forse sa che le regole dei trattati in materia di finanza pubblica sono state scritte male, o più probabilmente nascondono un patto faustiano tendente a demolire gli stati e il welfare in una logica neoliberista? Probabilmente sì. Lo sanno. Sanno anche che ciò che è stato fatto alla Grecia è un crimine. E hanno posto un punto. Un punto storico e dirimente. La Corte sottolinea con forza – lanciando di fatto un appello a tutti gli stati e popoli europei – che gli stati sono i padroni dei Trattati (testuali parole) e non i Trattati padroni degli stati e della democrazia e della libertà dei popoli. La Corte tedesca ha detto chiaro e tondo ciò che con forza finalmente qualcuno doveva avere il coraggio di dire: ogni stato è libero di uscire dalla Ue rompendo i trattati e riconquistando la libertà da una organizzazione tecnocratica, fondata sulla menzogna e sull’inganno. Questo è il punto storico. La Corte di Karlsrhue non ha emesso una sentenza nazionalista, ma una sentenza che ristabilisce la democrazia e il diritto di ogni popolo di essere artefice del proprio destino. Bello o brutto che sia, ma il proprio.

FF

Da ascoltare attentamente l’intervista al prof. Pastrello, che spiega bene la sentenza della CC tedesca e le disastrose conseguenze che può avere per l’Italia

GIUSEPPE MASALA

Davvero è stucchevole questa polemica sul Mes. Non se ne può più. Eppure è giusto controbattere con le povere armi che abbiamo al profluvio ignobile di menzogne da parte di chi vuole a tutti i costi rinchiuderci in questa gabbia.
Ricapitoliamo:

➡️La cifra di 37 miliardi è sovradimensionata per le spese sanitarie, ed è buona solo per consentire ad una banda di malfattori di prodursi in una operazione di saccheggio. Allo stesso tempo è una cifra risibile per rimettere in carreggiata un’economia da 1800 mld di euro di pil.

➡️Tema delle condizionalità ovvero di come ti fregano con le parole. I gerarchi del regime dicono che non ci sono condizionalità tranne quella banale di spendere i soldi nel settore sanitario. Vero e falso contemporaneamente. L’Eu intende per “condizionalità” una richiesta di “aggiustamenti preventivi” all’erogazione della cifra richiesta. Bene questi aggiustamenti preventivi non sono richiesti perchè ieri l’Eurogruppo ha sancito che tutti i debiti dei paesi europei sono sostenibili. Dove sta il trucco? Il trucco sta nel fatto che sono previste azioni correttive ovvero aggiustamenti su deviazioni future che per ora non ci sono ma che sicuramente ci saranno. Secondo voi ci saranno scostamenti rispetto a quanto ad oggi previsto in un’economia che crolla del -9,5% del pil (stima Commissione Europea)? Si andrà molto peggio, per esempio Uk prevede un -14% e i dati che escono sono terrificanti e -9,5% per noi sarà un miracolo irrealizzabile.

➡️Cosa succederà quando ci saranno queste deviazioni rispetto alle previsioni ottimistiche (si, per quanto possa sembrare strano un -9,5% è ottimistico)? Si attiverà (come da comunicato di ieri dell’Eurogruppo) un Early Warning System ovvero un meccanismo di controllo stringente delle politiche fiscali del nostro Governo da parte del Mes (che è una società di diritto privato lussemburghese). In pratica le scelte di governo saranno dettate non dalla volontà democraticamente espressa dal popolo ma da questo Moloch lussemburghese.

➡️Non basta, tenete anche conto che dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe la possibilità della Bce di chiudere gli spread e calmierare i tassi sui titoli del debito pubblico di paesi come l’Italia, nella migliore delle ipotesi, si riduce notevolmente.Quindi entreremo in crisi finanziaria netta.

➡️Entrare in crisi finanziaria significa che dovremmo fare una scelta: rimanere appesi all’Unione Europea che ci condannano alla fame pur avendo fondamentali sanissimi (Niip, Saldo partite correnti, Bilancia Commerciale) per dover rispettare regole ideologiche ormai fuori tempo massimo e condannate dalla storia e avendo come unica colpa quella di esserci indebitati in Euro, una moneta straniera che ha i principi di politica monetaria dettati dalla Corte Costituzionale tedesca e controllati dal Bundestag tedesco, oppure dire – una volta per tutte – leviamo il disturbo e magari accettiamo la il Memorandum propostoci dagli Usa.

➡️Ecco, questo bocconcino da 37 miliardi che tanto ingolosisce i nostri politici serve a legarci una volta per tutte al Moloch Europoide.

➡️Evito di ironizzare peraltro sul fatto che 14 miliardi di questi 37 li abbiamo dati noi al Mes qualche anno fa. In realtà si stanno comprando (conncedendoci un prestito netto da 23 miliardi da restituire in comode rate decennali) giusto il tempo per farci ingoiare la riduzione a Romania post caduta del comunismo.

➡️Faccio infine notare che da questa crisi sono in arrivo altri 5 milioni di poveri assoluti che si aggiungono ai 5 milioni creatisi dopo la manovra di aggiustamento strutturale del governo Monti. Bene, si tenga conto che a questi 10 milioni di persone nessuno potrà chiedere di farsi espiantare un rene da vendere al mercato degli organi per risanare (sic) i conti dello stato. A questo giro l’onere dell’aggiustamento non ricade sui disgraziati ma sull’eletta schiera delle classi medie generalmente benpensanti e garantite.

Per quel poco che vale questo è quanto.

Covid 19? No grazie!, a cura del dr Giuseppe Imbalzano

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi. Oggi consulente della Federazione Russa per la gestione dell’epidemia di Covid19

http://CVBreveImbalzano

Covid 19? No grazie!

Febbre, stanchezza e tosse secca, indolenzimento e dolori muscolari, congestione nasale, naso che cola, mal di gola o diarrea. Generalmente i sintomi sono lievi, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti, e a inizio lento. Circa 1 su 5 persone con COVID-19 si ammala gravemente e presenta difficoltà respiratorie, richiedendo il ricovero in ambiente ospedaliero. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e portare sino alla morte. Le persone anziane e quelle con patologie quali ipertensione, problemi cardiaci o diabete e i pazienti immunodepressi (per patologia congenita o acquisita o in trattamento con farmaci immunosoppressori, trapiantati) hanno maggiori probabilità di sviluppare forme gravi di malattia. Il periodo di incubazione rappresenta il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi clinici. Si stima attualmente che vari fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni.

Cosa fare per evitare di ammalarsi?

Si raccomanda a tutte le persone anziane o affette da una o più patologie croniche o con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.

Il nuovo Coronavirus può essere trasmesso da persona a persona.

Il nuovo Coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente mediante il contatto stretto con una persona malata.

La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette e tramite la saliva, tossendo e starnutendo e con contatti diretti personali

Le mani, ad esempio toccando con le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi

Il nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente mediante il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio quando starnutiscono o tossiscono o si soffiano il naso. È importante perciò che le persone ammalate applichino misure di igiene quali starnutire o tossire in un fazzoletto o con il gomito flesso e gettare i fazzoletti utilizzati in un cestino chiuso immediatamente dopo l’uso e lavare le mani frequentemente con acqua e sapone o usando soluzioni alcoliche

 

Un elemento di grande utilità è la mascherina che limita la diffusione nell’ambiente di particelle potenzialmente infettanti.

Deve diventare un gesto automatico – prima di uscire di casa ci si mette la mascherina. Perché se io sono asintomatico ma ho l’infezione con le mascherine posso bloccare le mie goccioline di saliva e proteggere gli altri. E allo stesso tempo difendermi evitando che le goccioline di respiro o di tosse vengano in contatto con le mie mucose o aspirate tramite il naso o la bocca.  La mascherina, insieme alle altre misure di protezione, deve essere utilizzata in contesti in cui c’è un’elevata circolazione del virus, in cui si presume che molti di noi siano infetti.

Se si usa una mascherina è bene sapere che non tutte proteggono allo stesso modo; che bisogna rispettare regole precise di igiene per indossarla e smaltirla; che non bisogna per questo tralasciare la regola aurea della distanza tra le persone. Ad esempio, molti toccano la parte esterna con le mani rischiando poi di contagiarsi una volta che la tolgono o si credono invulnerabili una volta indossata la protezione e abbassano la guardia sulle altre misure.

Se non viene indossata e usata correttamente, la mascherina può essere lei stessa un veicolo di trasmissione del virus, in particolare se ci si continua a toccare il volto con le mani per sistemarla o la si riutilizza più volte.

Come indossare in maniera corretta una mascherina

Come abbiamo detto, la mascherina se non viene indossata correttamente può essere a sua volta veicolo di trasmissione inconsapevole del contagio. Mascherine chirurgiche. Sono mascherine rettangolari fatte di tre strati di tessuto-non-tessuto plissettato che si indossano sul volto grazie a un nasello, elastici o lacci. Devono soddisfare alcuni requisiti tecnici stabiliti per legge e passare alcuni test specifici che verificano se la mascherina blocca le goccioline contaminate da batteri.

Le procedure corrette sono: prima di indossarla, bisogna lavarsi le mani con acqua e sapone o strofinarle con una soluzione alcolica. Poi bisogna indossarla prendendola dall’elastico, evitando di toccarla. Deve coprire naso e bocca. Quando diventa umida, va sostituita con una nuova e non riutilizzata. Per toglierla vale la stessa regola: prendetela dall’elastico ripiegandola su se stessa ed evitando di toccare la parte anteriore con le mani. Una volta buttata è necessario lavarsi nuovamente le mani.

Quali sono le regole per la disinfezione / lavaggio delle mani- uso di guanti?

Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione. Dovresti lavarti le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi. Se non sono disponibili acqua e sapone, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcool (concentrazione di alcool di almeno il 70%).

Possiamo usare guanti monouso che vanno sfilati rientrando a casa, in modo da non toccare la parte esterna degli stessi. E, dopo averli eliminati nella spazzatura, lavarsi le mani.

Con i guanti è anche più facile evitare di toccarsi il viso, il naso o gli occhi.

Quanto tempo sopravvive il nuovo Coronavirus sulle superfici?

Le informazioni preliminari suggeriscono che il virus possa sopravvivere alcune ore, anche se è ancora in fase di studio. L’utilizzo di semplici disinfettanti è in grado di uccidere il virus annullando la sua capacità di infettare le persone, per esempio disinfettanti contenenti alcol (etanolo) al 70% o a base di cloro all’0,1% (candeggina). Ricorda di disinfettare sempre gli oggetti che usi frequentemente (il tuo telefono cellulare, gli auricolari o un microfono) con un panno inumidito con prodotti a base di alcol o candeggina (tenendo conto delle indicazioni fornite dal produttore).

Raccomandazioni di carattere generale:

Evitare la presenza-frequenza in luoghi affollati;

Indossare la mascherina (di comune uso, quali quelle chirurgiche) fuori dal domicilio, in particolare quando si rendano necessarie visite in ospedale per visite, esami e/o trattamenti;

E’ altrettanto utile proteggere gli occhi;

Eseguire un’accurata e frequente igiene delle mani (si vedano anche le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sul lavaggio delle mani);

Evitare di toccarsi con le mani il viso, gli occhi, il naso e la bocca;

Evitare le visite al proprio domicilio da parte di familiari o amici con sintomi respiratori e/o provenienti da aree a rischio;

Contattare il medico curante non appena compaiono sintomi riconducibili a infezioni delle vie respiratorie (febbre, tosse, rinite);

Attivare, ogni qualvolta possibile, visite in telemedicina per evitare il più possibile, salvo necessità cliniche e/o terapeutiche, gli accessi ai pronto soccorso degli ospedali;

Non sospendere la terapia immunosoppressiva in atto, salvo diversa indicazione formulata da parte del medico curante;

Al fine di evitare contagi in ambito lavorativo si raccomanda di attivare quanto più possibile procedure di smart working e di evitare assolutamente attività lavorative in ambienti affollati;

In caso di situazioni per le quali è, imprescindibilmente, necessario partecipare di persona a incontri di lavoro mantenere una distanza di almeno un metro (meglio due) dai colleghi, indossando e invitandoli a indossare una mascherina e a eseguire le corrette norme igieniche prima del contatto, compresa la sanificazione degli ambienti.

 

 

Il Coronavirus e la separazione tra città e campagna, di Antonia Colibasanu_a cura di Piergiorgio Rosso

Il Coronavirus e la separazione tra città e campagna.

La pandemia approfondirà le differenze tra mondo urbano e rurale

di Antonia Colibasanu -25 marzo 2020

La crisi del coronavirus è una fonte di preoccupazione comune in tutto il mondo e un nemico invisibile condiviso. Ma man mano che si sviluppa, la crisi spingerà verso una risistemazione globale. La distribuzione del potere nel mondo era diventata più diffusa prima dello scoppio del coronavirus, con paesi come la Cina e la Russia che aumentavano il loro ruolo a livello globale e il nazionalismo che cresceva a spese delle autorità delle istituzioni multilaterali. Ma con la pandemia da coronavirus, le crescenti differenze tra le classi e tra le società rurali e urbane non stanno solo diventando più visibili in tutto il mondo, ma stanno ristrutturando le società e rimodellando le strategie nazionali.

Nell’ultimo capitolo del mio libro “Redrawing the World Map: Contemporary Geopolitics and Geoeconomics” (che uscirà più avanti quest’anno in rumeno e poi in inglese), scrivo di come i cambiamenti sociali portati dalla digitalizzazione, anche se diversi da luogo a luogo, alla fine ristruttureranno tutti gli stati-nazione e il sistema globale. I cambiamenti sociali rimodellano anche il modo in cui vediamo il mondo geopoliticamente. La mia argomentazione si riferiva al modo in cui le risorse – comprese le risorse umane – cambiano e si evolvono nel tempo a seconda dell’ecosistema di cui fanno parte e in base alla geografia e ai modelli sociali di quel sistema.

Sostengo che la globalizzazione e l’accesso alla digitalizzazione hanno permesso a persone che vivono in luoghi molto diversi, di considerarsi pari. Nel processo, le persone che lavorano dai computer portatili nei loro uffici, o indipendentemente da casa o in qualche bar, hanno unito le zone urbane del mondo. Sostengo anche che mentre le aree “urbane” inizieranno a condividere caratteristiche comuni in tutto il mondo, le aree rurali non solo rimarranno distinte da un paese all’altro, ma nel loro insieme diventeranno sempre più diverse dai centri urbani all’interno di ogni nazione. La geografia sociale delle aree rurali, a seconda della struttura specifica di ogni stato-nazione, avrà un grande impatto sulle strategie degli stati-nazione. Le caratteristiche della realtà rurale di uno stato – e le sue interconnessioni, somiglianze e tensioni con le controparti rurali di altri stati – determineranno in che misura tale stato coopera o si oppone ad altri stati. L’ambiente urbano è dove avverrà il dialogo, è un’ambiente fatto per la comprensione reciproca.

Città e zone di pendolarismo in Europa, 2018

Ciò significa che la società e l’ambiente in cui agisce diventeranno più importanti per gli imperativi strategici dello stato – non meno, indipendentemente dalle promesse della tecnologia. I dati demografici contano perché sono il nucleo stesso della società e perché sono in continua evoluzione, a ritmi diversi, all’interno di ciascuna società. Le comunità, attraverso i loro livelli di istruzione e specializzazione, nonché i loro ambienti di vita, determinano lo sviluppo economico del Paese e, con ciò, i suoi imperativi. Ho scritto l’introduzione del mio libro troppo presto per considerare gli effetti del nuovo coronavirus sulla demografia e sulla società in generale, anche se ho riconosciuto il suo potenziale di indurre cambiamenti significativi.

Ora sto cominciando a vedere cosa potrebbe succedere. Al momento della stesura di questo documento, il coronavirus ha già chiuso l’Europa. Stanno accadendo cose straordinarie. L’Italia è in completo blocco, Parigi è tranquilla per la prima volta nella storia. I confini sono stati resuscitati: i punti di controllo sono tornati in uso. Le merci possono circolare attraverso di essi, mentre possono passare solo i cittadini che rientrano nei loro paesi di origine. Gli stati-nazione hanno vietato le esportazioni di attrezzature mediche essenziali per combattere il virus. In questa crisi, gli stati membri dell’UE sono prima di tutto e visibilmente nazionali. Cercano soluzioni nella nazionalizzazione delle imprese e l’esercito nazionale è chiamato a dare una mano.

Vi sono diverse dimensioni da discutere quando si parla di resilienza dell’UE alla crisi del coronavirus. In primo luogo, il coordinamento tra gli stati membri è ciò che rende rilevante l’UE: gli stati amministrano le frontiere e il traffico commerciale essenziale. In secondo luogo, si coordinano a livello bilaterale, inviando tempestivamente risorse e assistenza medica. La salute è una prerogativa dello stato-nazione. Tuttavia, il modo in cui ciascun paese reagisce alle esigenze dell’altro determinerà le relazioni intracomunitarie. In terzo luogo, il modo in cui le istituzioni dell’UE coordinano le azioni nazionali a seguito della crisi, determineranno il futuro dell’UE. Il pubblico percepisce l’UE attraverso ciò che Bruxelles fa per aiutare. Quindi, sapremo come l’UE si evolve in base a come agisce di fronte al suo pubblico.

In definitiva, il futuro dell’UE e quello del mondo dipendono da come la società è modellata dalla pandemia da coronavirus.

Siamo tutti soggetti alle politiche di “distanziamento sociale” imposte dagli stati nazionali nella lotta al contagio. Molto è stato detto e scritto su come il distanziamento sociale influenzerà le catene di approvvigionamento e l’economia – perché le persone possono scegliere di lavorare o non lavorare, perché possono ribellarsi alle disposizioni considerando la necessità di sostenersi. I costi finanziari sono elevati. Molto è stato anche detto e scritto su come cambierà il lavoro: il telelavoro, per coloro che possono lavorare da remoto, stabilirà potenzialmente nuovi standard. Anche le opportunità possono essere elevate. Tutti gli scritti che ho letto indicano anche che cambiamenti inevitabili ma incerti si avvicinano, incluso il potenziale per una depressione.

Tuttavia, il distanziamento sociale, in pratica, non influisce solo sulle abitudini di lavoro. Si riferisce a sentimenti personali, di cui il più importante è la paura. Temi il virus, quindi mantieni le distanze. Non lo fai perché qualcuno te lo ha detto; lo fai perché senti di doverlo fare, per il tuo bene. È personale, anche se è imposto. La paura di ammalarsi per qualcosa che non è necessariamente mortale dipende dalla fiducia che hai nel sistema sanitario. La paura di ammalarsi insieme a molti altri dipende dalla fiducia nella capacità del tuo paese di far fronte a una situazione in cui molte persone si ammalano e molte altre sono economicamente inattive. Le due sono questioni molto distinti, paure distinte.

Gli antropologi ci insegnano come gli esseri umani e l’umanità si sono evoluti e sono stati modellati dalle loro paure. Sono le paure e le azioni intraprese per affrontare le paure che creano cambiamenti sociali. La geografia in cui vivono le persone fa avere loro paure diverse e quindi le porta a rispondere diversamente alle sfide. La geopolitica prende in considerazione il comportamento della gente di montagna, che è diverso da quello delle altre persone, perché temono cose diverse. Allo stesso modo, nella pandemia da coronavirus, la popolazione urbana, sebbene più connessa attraverso la digitalizzazione, in un ambiente molto più chiuso, si comporta in modo diverso rispetto a coloro che vivono nei villaggi.

Le persone che vivono in ambienti urbani hanno un migliore accesso ai servizi medici rispetto a quelle che vivono nei villaggi. È molto importante per le aree urbane se il sistema sanitario è sotto pressione; per la maggior parte delle aree rurali, il sistema sanitario è scarso o inesistente. È vero, esistono differenze tra i paesi: l’ambiente rurale in Germania è diverso da quello della Francia, con le persone che hanno più accesso alle strutture mediche in Germania che in Francia. Ma nel complesso, l’assistenza medica per la popolazione urbana è molto più accessibile di quanto non lo sia per la popolazione rurale. Allo stesso modo, il ruolo dello stato e il suo potere economico sono percepiti in modo diverso nelle aree rurali rispetto alle aree urbane, che non sono create uguali.

Nella crisi del coronavirus, considerando il potenziale di sovraccarico del sistema medico e la vicinanza imposta dagli ambienti urbani, la paura di vivere in un appartamento è intensa. Riconoscere che non si ha accesso ai servizi a cui si era abituati significa riconoscere che alcune delle proprie esigenze non saranno soddisfatte. E quando il distanziamento sociale include l’isolamento imposto (come nel caso di Italia, Spagna e Francia in questo momento), dover rimanere in casa per più di qualche giorno e compilare moduli da mostrare all’autorità di polizia locale solo per portare a spasso il cane, ha certamente alcuni effetti sul tuo stile di vita e sul tuo stato psicologico. Combattere gli effetti negativi della quarantena può includere cantare sul balcone, come abbiamo visto in Italia, ma questo significa solo che ci sono effetti negativi da combattere.

Nel processo di distanziamento sociale, stiamo testando i legami tra i gruppi sociali. I benestanti si comporteranno diversamente dai poveri, i giovani diversamente dai vecchi. In una città, tutti i gruppi hanno accesso agli stessi servizi – in modo disuguale. Osservare il cibo acquistato nelle ore di punta per la quarantena è una lezione su quanto siano diversi sia lo stile di vita che, in definitiva, il reddito delle persone urbanizzate. La loro tolleranza, la loro accettazione per l’altro non si riferisce alla loro disponibilità ad aiutare. Per quanta vicinanza fisica esista tra le persone urbanizzate, c’è altrettanta distanza. Vivere in un appartamento non significa che parli con i tuoi vicini per dire “ciao”. Non parlare deresponsabilizza, sei troppo occupato, ma serve anche a non sapere. Se non sai che un vicino ha bisogno di aiuto, non hai la responsabilità di aiutarlo. La rete sociale urbana è quella di classe e, una volta inserito in una classe, in un gruppo, le relazioni con gli altri gruppi sono minime.

Per la campagna, le cose sono diverse. Ci sono i gruppi anche nei villaggi e persone che hanno influenza. Ma le regole della rete sociale sono diverse. Sono i legami familiari che contano, prima delle classi economiche. I legami tra le persone sono ben stabiliti e sono gli stessi da una generazione all’altra. Quando vivi in campagna, sei generalmente più consapevole della geografia e della vicinanza, di quanto lo saresti in città.

Sai molto dei tuoi vicini perché devi avere relazioni con loro più o meno quotidianamente. Gli appezzamenti di terreno attorno alle case degli abitanti del villaggio non impongono la distanza umana, poiché il buon vicinato include l’aiuto reciproco. Lo stato non è in gran parte presente – ma lo è Dio. Religione e famiglia sono concetti chiave per ciò che costituisce la base della fiducia nelle aree rurali.

Durante la pandemia, la paura nelle aree rurali dipende dalla loro connessione e dalla loro dipendenza dalle città. In questo senso, più sono distanti, meno ne risentono. Tuttavia, considerando le modalità del contagio, una volta che qualcuno viene infettato, l’ambiente rurale facilita l’infezione. Imporre il distanziamento sociale in tali comunità è difficile – considerando il loro scarso accesso ai servizi di sanità pubblica, le popolazioni rurali si considerano condannate fin dall’inizio. Vivono non nella paura, ma nella speranza che Dio li aiuti di nuovo. Perché nessun altro li ha davvero aiutati prima. Non hanno bisogno di capire che i servizi medici sono disponibili, perché è solo in lontani ospedali che possono accedere a tali servizi – in teoria. La digitalizzazione, quando disponibile, è solo per comunicare e conoscere il resto del mondo. Si affidano principalmente ai servizi religiosi e ai propri.

La crisi del coronavirus crea paure diverse per diverse aree geografiche. Mentre la digitalizzazione offre a tutte le persone accesso alle informazioni, i timori dell’ignoto – che includono non solo il virus ma anche il modo in cui è e potrebbe essere affrontato a tutti i livelli – approfondiscono le differenze tra ambiente urbano e rurale. Mentre non è chiaro come l’UE uscirà da questa nuova crisi e mentre è urgente che gli stati nazionali agiscano e dimostrino di poter combattere il coronavirus, è chiaro che l’epidemia influenzerà anche la distanza tra la città e la campagna e tra le classi sociali. In effetti, la crisi sta accelerando un processo che stava già accadendo, poiché le paure creano cambiamenti sociali che incidono sulla struttura della società, ovunque nel mondo. Le reazioni urbane sono simili, anche i loro problemi. Potrebbero riunire il mondo. Ma le reazioni rurali non sono simili – e non le conosciamo ancora.

tratto da https://geopoliticalfutures.com/the-coronavirus-and-the-rural-urban-divide/

ECCEZIONE E CORTE COSTITUZIONALE, di Teodoro Klitsche de la Grange

ECCEZIONE E CORTE COSTITUZIONALE

Nell’intervista data qualche giorno orsono al “Corriere della Sera” la Presidente della Corte costituzionale ha ribadito considerazioni sull’emergenza da Coronavirus e tutela dei diritti costituzionali consolidate da tempo nell’establishment italiano. E che inducono ad un esame critico.

La prima, sostiene la prof. Cartabia è che la Costituzione italiana non prevede alcuna normazione sullo stato di eccezione. Su ciò non si può non concordare.

Ma se è vero ciò non si comprende come, qualche anno fa, si descriveva soprattutto dal centrosinistra, quella italiana come “la costituzione più bella del mondo”, mentre quelle racchie prevedono (quasi) tutte norme e procedure per lo stato d’eccezione. Anche perché, incidendo lo stato d’eccezione su diritti costituzionalmente garantiti, è opportuno che la Costituzione (o almeno un atto equiparato come una legge costituzionale) preveda organi, competenze, procedure e situazioni che legittimino le deroghe alla normativa costituzionale. Ha ragione Agamben a scrivere “che lo stato di eccezione moderno è una creazione della tradizione democratico-rivoluzionaria e non di quella assolutista”; perché fino a quando non vigevano diritti garantiti da una Costituzione (quasi sempre scritta) non era necessario neppure prevedere specifiche prescrizioni su se, quando e come derogarvi.

Questo senza voler introdurre la tesi (da ultimo, in particolare, di Santi Romano) che la necessità è fonte del diritto, superiore alla legge, la quale ha precedenti illustri: dal romano salus rei publicae suprema lex allo scolastico necessitas legem non habet. Onde il criterio per valutare la validità delle misure d’emergenza non è la conformità alle norme ma la congruità allo scopo, non essendo previsti organi, competenze, procedure, situazioni.

Secondariamente la Presidente sostiene che anche in situazioni di crisi valgono i principi (costituzionali) di sempre. Si noti parla di principi e non di norme o precetti. E aggiunge che la diversità delle situazioni a poter giustificare l’applicazione e in che misura di detti principi. Così nella terminologia impiegata (e nel concetto espresso) esprime una concezione riconducibile al neo costituzionalismo allo “Stato di diritto costituzionale” nelle università italiane largamente condivisa, e di cui un acuto giurista argentino, Luis Maria Bandieri ritiene che abbia sostituito il neopositivismo, basato sulla norma e sulla Stufenbau (ossia un positivismo di norme) con un positivismo di principi e di valori.

In terzo luogo, e sempre coerentemente al neo-costituzionalismo, la Presidente ritiene che giudicare se la normativa emergenziale è o meno conforme se non alle norme almeno ai principi costituzionali e in che misura, è la Corte costituzionale, attraverso la tecnica del bilanciamento e della ragionevolezza onde se un diritto costituzionale è sacrificato la congruità e proporzionalità del sacrifico è giudicabile, come per qualsiasi altro caso, anche non riconducibile allo stato d’eccezione, dalla Corte Costituzionale. Per cui, con ciò, risponde anche all’interrogativo: quis judicabit?

Non si può non concordare anche se parzialmente, su quanto affermato e compiacersi che, anche nell’emergenza, valgano le tutele (e le procedure di garanzia) ordinarie.

Tuttavia la ricostruzione della prof. Cartabia si presta a qualche obiezione.

In primo luogo lo stato d’eccezione può essere originato da crisi del più vario tipo: terremoti, inondazioni, pandemie, guerre (e altro). C’è una differenza essenziale però tra quelle causate da eventi naturali ovvero dalla volontà umana, come la guerra (internazionale o civile) o le situazioni acute di ostilità (embarghi, blocchi economici) e le altre, causate da eventi naturali.

A proposito delle quali non è comprensibile quanta sia l’utilità dei Tribunali laddove la causa è la volontà ostile, dato che i mezzi per contrastarla non sono nella disponibilità dei giudici, ma dei governi (dalla bomba atomica in giù). Il fatto che un Tribunale giudichi lesivo del diritto di proprietà che l’esercito abbia requisito un fondo per farne un bunker è confortante ma poca cosa rispetto al fatto che il nemico sia respinto. Nella crisi che stiamo vivendo, si fa abuso delle metafore del virus come nemico, della malattia come battaglia (ecc.) ma comunque a un “nemico” siffatto manca il connotato principale: la volontà ostile.

Nelle situazioni di emergenza la tutela dei diritti è bene vi sia, ma, nell’economia generale, diritti e giustizia hanno un ruolo secondario se non marginale. Nell’emergenza contano di più i doveri di solidarietà “politica, sociale ed economica”, come dispone l’art. 2 della Costituzione. Ma soprattutto rileva il conseguimento dell’obiettivo: superare la crisi con il minimo danno possibile.

Secondariamente bisogna chiedersi perché le disposizioni delle costituzioni degli Stati democratico-liberali, almeno da quello che mi è capitato di leggere, affidino ad organi politici legittimati democraticamente (in via diretta o indiretta) dichiarazione e gestione degli stati d’eccezione. Nessuna che ci risulti, lo ha affidato alle Corti Costituzionali: si può rispondere che è ovvio, per quanto appena scritto.

Le Corti possono decidere delle controversie, ma per affrontare la crisi occorre il potere governativo-amministrativo, con mezzi e personale adatto non solo a conoscere ma soprattutto ad agire. Ma sul punto è più interessante notare che i suddetti organi sono stati investiti non solo perché hanno i mezzi (e le responsabilità) ma perché sono politici e soprattutto legittimati democraticamente.

Già dai primi decreti e atti legislativi francesi dell’epoca rivoluzionaria e napoleonica a dichiarare lo stato d’eccezione erano, a seconda dei regimi, gli organi (come il Direttorio o l’Imperatore) legittimati democraticamente (eletti o plebiscitati). Per cui il giudizio politico – che è quello che maggiormente conta – è dato dal popolo che giudica se i propri governanti abbiano affrontato la crisi in modo soddisfacente. A ciò deve aggiungersi il corollario, per la verità più evidente in alcuni saggi di neo-costituzionalisti che nell’intervista del Presidente, che un allargamento dei poteri della Corte costituirebbe una deriva verso lo “Stato dei giudici” (Justizstaat). Poco auspicabile a meno di non politicizzare le Corti costituzionali – più di quanto non sia – trasformandole nelle repliche del Consiglio dei dieci di Venezia, che Machiavelli riteneva avesse, oltre a quelle giurisdizionali (anche) le funzioni di fronteggiare le situazioni eccezionali (Discorsi, I, XXXIV).

In terzo luogo, se indubbiamente il richiamo a “principi” e “valori” costituzionali e non a norme ha il pregio di rendere la decisione più adattabile alla situazione, conformandola alla necessità contingente, e così generando un “diritto flessibile”. è assai dubbio se, il pregio, spesso richiamato, del carattere “neutro” della Corte ma ancor più la struttura del processo e la razionalità attribuita alla decisione in contraddittorio siano ragioni produttive di consenso, più delle elezioni alle cariche pubbliche, tipico degli organi democratici.

Come scrive Bandieri, esponendo (e sintetizzando) le concezioni di scrittori neo-costituzionalisti “la politica odierna non sarebbe più capace di mediare i conflitti concernenti valori essenziali, né d’esprimere un qualsiasi «consenso razionale», mentre la politica giudiziaria col suo strumentario tecnico ricolmo d’imparzialità, è presentata come la sola capace di padroneggiarlo1.

Sarebbe così, scrive il giurista argentino, necessario per superare “l’insufficienza del principio maggioritario” (ovviamente rinunciando al medesimo).

Ma a parte il fatto che se non c’è il principio maggioritario l’alternativa reale è che decide una minoranza (l’unanimità è in diritto interno praticamente esclusa), è realistico supporre che il consenso a dei principi o valori (più facilmente) sia preventivo e antecedente rispetto all’organizzazione del potere, almeno a quella compiuta.

Usando la terminologia di Maurice Hauriou un Gouvernament de fait diventa Gouvernement de droit, perché organizza in istituzioni l’idea di diritto già condivisa nella comunità. La constitution sociale precede la constitution politique. O per dirla nel lessico di Rudolf Smend realizza l’integrazione materiale (oltre alle altre forme d’integrazione) non tanto perché produce consenso, ma perché il consenso ai principi e valori applicati dai governi, dai parlamenti come dai Giudici già c’è, e, in generale, si mantiene nei limiti in cui non vengano traditi. “Principi e valori” devono essere già condivisi nella comunità, come d’altra parte, per qualsiasi regime politico.

La storia insegna come sia difficile governare, ove l’èlite sia decisa a far valere un “insieme” di principi e valori diversi, o peggio contrapposti a quello dei governati. Spesso gli ordinamenti degli imperi sono stati più tolleranti delle diversità dei popoli e delle culture, anche prevedendo giudici “di comunità” e leggi personali. Ma nel mondo globalizzato la tendenza è proprio il contrario: a espandere una particolare “tavola dei valori” (diritti umani-mercatismo universale) e regimi democratici (almeno fino a una certa data, e non si sa con quanta convinzione), a chi di democrazia non voleva saperne.

Onde è più difficile, se non impossibile che l’ “imparzialità” e la procedura possano surrogare la diversità fondamentale di opinioni ed interessi meglio di organi politici, democraticamente scelti. Come d’altra parte è chiaro che, a proteggere i diritti sono più adatte le Corti che i governi.

In conclusione e sintetizzando argomenti degni di più diffusa trattazione: nello stato d’eccezione, a qualunque causa dovuto, la protezione dei diritti fondamentali è un bene. Le Corti costituzionali che lo fanno, anche. Ma uscire dall’emergenza, con i meno danni possibili è il meglio. Per cui vale per le Corti (e per i Tribunali) quanto diceva de Gaulle per l’intendenza: che segue.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 v. in Behemoth on-line n. 54.

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?, di Bernard Lugan

Il più grande merito dello storico ed analista Bernard Lugan, grande studioso delle vicende politiche del continente africano, è stato nel corso degli anni quello di aver smontato sistematicamente la costruzione retorica ed ideologica degli aiuti umanitari e di sostegno allo sviluppo legati ad una condizione di sottosviluppo. Questo breve articolo ci offre un ulteriore tassello della sua costruzione analitica e della sua denuncia politica. Il conflitto politico in Africa non è dovuto in prevalenza al sottosviluppo, ma ai colossali cambiamenti socioeconomici indotti da interventi esterni e con nuovi grandi attori i quali stanno spingendo sempre più i paesi africani nel circuito commerciale internazionale delle materie prime; ma anche a dinamiche interne a quei paesi quali quelle illustrate in questo articolo.Buona lettura_Giuseppe Germinario

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?
I conflitti nel Sahel centrale non sono una conseguenza della scarsità di risorse alimentari
poiché, tra il 1999 e il 2016, la produzione di cereali è ivi aumentata di tre volte a seguito dell’incremento del 25% della superficie coltivata. Allo stesso tempo, il terrorismo ha travolto la regione.
Perché?
Se le risorse alimentari si sono moltiplicate per tre, è perché le aree coltivate sono aumentate del 25%. Un risultato ottenuto essenzialmente per la messa a coltivazione dei terreni da pascolo. Quindi a spese dei pastori. Sulle loro antiche terre di transumanza, i Fulani hanno visto così l’insediamento di coloni non nativi i cui antenati, prima della colonizzazione, erano vittime a loro volta di razzie. Minacciati nel loro modo di esistenza, loro si sono rivolti ai jihadisti.
Più in generale, se osserviamo i microfenomi e non più unicamente i macrofenomi,
scopriamo che non è tanto attorno ai vecchi punti di acqua che avvengono gli scontri,
quanto attorno ai nuovi pozzi
scavati dalle ONG e alle superfici irrigate grazie alle sovvenzioni dell’Unione Europea. Alcuni progetti di bonifica realizzati dai “salvatori del pianeta” equivalgono a veri e propri fattori di guerra. Recintano zone umide ora vietate ai pastori ma che sono vitali per loro.
La religione dello “sviluppo” quindi sconvolge i sottili equilibri tradizionali di quella terra. Da qui il motivo della maggior parte degli attuali scontri etnici a Macina, Soum
e a Liptako.
Come spiego nel mio libro “Le guerre del Sahel dalle origini Oggi”, a causa dell’etnomatematica elettorale, gli Stati
del Saheliani controllati con il sostegno degli agricoltori sedentari favoriscono questi a spese dei pastori.
Le persone arricchite e sedentarie investono nel bestiame, competendo così direttamente con i pastori.
Questo è particolarmente vero nel Soum-Macina. Da qui lo scontro tra Peul e Dogon.
Il risultato di questa doppia espropriazione dei pastori comporta che il sedentario arricchito e possidente di bovini, assume come
pastori i giovani proletari Peuhl.
Pertanto, è gioco facile per i jihadisti suggerire loro di uscire dalla loro condizione umiliante con la legge delle armi. La stessa dei loro antenati quando erano dominanti.
Un altro esempio, il Soum dove, come non ho smesso di scrivere da tempo per anni, l’introduzione della coltivazione del riso avvenuta a spese della pastorizia è una delle chiavi di comprensione dell’attuale jihadismo.
Questa novità ha davvero attratto nuove popolazioni nella regione. I coloni coltivatori di riso mossi o fulsé-kurumba hanno inizialmente cacciato i pastori Peuhl dalle terre di transumanza. In nome dell’etno-matematica, perché localmente più numerosi
dei Fulani hanno combattuto contro i loro capi-clan per cambiare le regole di assegnazione del territorio.
Anche qui lo sviluppo ha quindi aperto una autostrada ai jihadisti …

http://bernardlugan.blogspot.com/

SPILLOVER, a cura di Pierluigi Fagan

SPILLOVER. (Post consigliato a grandi e piccini ) Questo è un post di servizio ovvero riepilogare i tratti salienti del libro di D. Quammen uscito sei anni fa ed oggi assurto agli onori della cronaca per via dell’argomento trattato. Il libro di Q. è l’opera divulgativa più completa esista su i virus. Ne riproduco le tesi non per consigliare la lettura del libro che per i miei gusti è stata noiosa parecchio. Ahimè ormai da parecchi anni leggo solo saggi e questo non è un saggio ma un reportage di un giornalista scientifico il cui contenuto duro sta in cinquanta pagine affogate in altre quattrocento di descrizioni di posti esotici ed indomabile spirito scientifico di questo o quel ricercatore. Ma a chi invece non dispiace questa parte preponderante, il libro piacerà e parecchio perché è interessante e scritto bene. Detto ciò passiamo al succo.

A premessa, “spillover” sta per salto da una specie animale (in genere selvatica) a quella umana di un batterio o virus, direttamente o tramite una specie intermedia. “Zoonosi” sta per malattia provocata da virus proveniente da animale, circa il 60% delle malattie infettive sono zoonosi. “Virus”sta per tratto abbastanza corto di codice genetico semplice RNA (ma ve ne sono anche a DNA), circondato da proteine ed a volte da una pellicola che tiene coeso il tutto. Un Nobel del campo l’ha definito “cattive notizie avvolte in una proteina”. Se siano “viventi” c’è dibattito perché certo ha codice genetico, si riproduce e quindi è oggetto di selezione naturale, ma non ha metabolismo. Com’è noto, si riproducono scassinando cellule dell’ospitante, penetrano, usano il DNA per replicarsi, poi escono a vanno in cerca di un’altra cellula. Finito con un ospite ne cercano un altro, entrano ed escono da questi attraverso sangue, feci, sperma, saliva, i più “evoluti” tramite goccioline emesse dal contagiato col fiato, starnutendo, tossendo. Poiché si replicano facendo occasionali errori di scrittura del codice, mutano nel tempo, sono le cose più mutevoli della biologia. Poiché sono semplici mutano e poiché mutano spesso sono molto adattivi, dovrebbero avere miliardi di anni. Possono non dare effetti, dar qualche fastidio o essere una piaga biblica. Ad una conferenza del 1997 (ricordo che il libro esce in lingua originale nel 2012, è ignaro degli eventi contemporanei), il massimo esperto in materia affermò che i virus più “pericolosi” per loro varie caratteristiche erano i coronavirus. Dopo decenni di circolazione virale, negli ultimi trenta-venti anni, i virologi di tutto il mondo hanno condiviso la comune preoccupazione per quello che chiamavano Next Big One, ovvero l’avvento dell’inevitabile Grande Pandemia il cui effetto poteva esser solo in parte la mortalità, più ampio è l’effetto sanitario (collasso del sistema sanitario), poi quello sociale ed economico, politico e geopolitico.

Il succo arriva a pagina 445: 1) Gli esseri umani hanno avuto una crescita esponenziale da 2,5 a 7,7 mld in soli settanta anni (9/10 tra trenta anni). La natura avrebbe dovuto fare lockdown per evitare la circolazione della specie infestante ma purtroppo ha seguito la strategia dell’immunità di gregge con risultati, al momento, problematici (per la natura ed in subordine per noi stessi); 2) il disordine ecologico provocato dagli uomini (disboscamento, terra bruciata, inquinamento atmosferico, allevamenti intensivi, manipolazione animali ed aumento del loro consumo alimentare, commercio di specie esotiche prelevate direttamente nel mondo selvatico) ha portato sempre più spesso a contatto uomini ed animali selvatici sia perché noi invadiamo i loro spazi, sia perché a quel punto loro si adattano a penetrare i nostri; 3) il passaggio dei virus da animali selvatici ad uomini, diretto o intermediato da specie semi-domestica, ha poi esito diverso se gli uomini contagiati vivono in villaggi al limite dello spazio selvatico o se poi arriva a megalopoli di milioni di abitanti. Il bacino di primo contagio cambia il gioco e la semplice fortuna di intercettarlo all’inizio della diffusione epidemica o meno, cambia il risultato finale passando da caso annotato in letteratura scientifica a epidemia; 4) nel caso arrivi in grandi città riproducendosi in svariate copie, dipende poi se lì c’è un aeroporto e quanto questo sia collegato al resto del mondo. Se il virus in trasferta arriva altrove ed è prontamente intercettato avremo epidemia, altrimenti pandemia. La faccenda è quindi un sistema con variabili demografiche, ecologiche, biogeografiche, di zoonosi, biologia molecolare ed ovviamente interazioni tra queste. Tante variabili? Cosa complessa!

Il virus più noto è quello dell’influenza, virus mutante in tre tipi principali che ogni anno fa il giro del mondo contagiando tre milioni di persone e uccidendone 250.000 l’anno (morti SCoV2 in due mesi: dichiarati 235.000, stimabili 400-500.000). Molto noto anche HIV la cui malattia AIDS ha fatto più di trenta milioni di morti in 38 anni. I coronavirus si sono affacciati alla nostra attenzione già due volte, SARS 2003 e MERS 2012, il primo con mortalità al 10%, il secondo al 34%, fortunatamente contenuti ai primi passi di diffusione, 774 morti il primo, 322 il secondo. Gran parte dei patogeni da raffreddore sono coronavirus. I virus sono in migliaia di tipi in natura e nel mondo umano rientrano nelle dinamiche della “teoria degli eventi” che studia i pettegolezzi, i meme, il panico, le infezioni. Le pandemie virali sono infezioni in cui al panico sanitario si somma quello dei “pettegolezzi” mainstream o su Internet, colpisse le pecore sarebbe solo sanitario. Con le pecore simbolico-parlanti la faccenda si complica ovvero la complessità aumenta.

Il libro poi illustra fattori quali il tasso di infezione, di guarigione, di mortalità, densità di soglia, super untori, competenza di serbatoio, carica virale, numero riproduttivo di base (R > o < 1 detto “erreconzero”) che confluiscono in una scienza detta epidemiologia teorica la cui nascita formale è negli anni ’50, negli studi sulla malaria. Uno dei casi peggiori non per gli effetti ma per la potenzialità, fu la prima SARS. Spuntato fuori il virus nel Guangdong cinese (più a sud di Wuhan) proveniente dai pipistrelli e per via delle strane abitudini alimentari della zona (i famosi wet market, gastronomia del selvatico detta “yewei”), arrivato a diffondersi in settanta ospedali pechinesi (gli ospedali sono il primo amplificatore di contagio sorprattutto per via della pratica di intubazione da evitare se non si hanno condizioni di massima sicurezza), poi imbarcatosi in volo da Hong Kong e sbarcato in Canada. Per fortuna fu preso all’inizio dell’evento, circolò poco e poi scomparve per mancanza di rete di replicazione. Venne cioè trattato con quello che noi chiamiamo oggi “modello Sud Corea” che però in realtà proviene proprio dalla Cina, non è un modello politico è un modello sanitario-epidemiologico che si può usare solo se si arriva all’inizio della diffusione, dopo c’è solo il lockdown. Poiché aveva mortalità del 10% si fece notare presto, paradossalmente il nostro che ha minor mortalità lo ha reso inizialmente meno evidente. Dava sintomi che potevano esser facilmente scambiati per influenza fino alla polmonite, il che lo rendeva infido poiché -come detto- per questo tipo di virus tutto sta a quanto presto lo si diagnostica. Era proprio un coronavirus il virus temuto come causa dell’aspettato Next Big One, per sue specifiche caratteristiche potenziali di diffusione e contagio, a prescindere dalla mortalità che nel caso del SC2 è infatti bassa, ma il cui tasso di infettività è alto.

Oggi noi sorridiamo degli antichi che quando ignoravano la cause materiali di qualche fenomeno inventavano Grandi Spiriti agenti sopra il teatro umano. Ma continuiamo a fare lo stesso. Oggi chi nulla sa di demografia, ecologia generale e virologica, biogeografia, zoonosi, statistica e biologia molecolare, inventa altri tipi di Grandi Spiriti agenti, cause misteriose, intrighi internazionali, cospirazioni. Non è detto del tutto queste cose non esistano, anzi esistono senz’altro, ma si dovrebbe discriminare caso per caso ove applicare queste cause ipotetiche, finezza del discorso da cui siamo molti lontani per ignoranza diffusa. Solo chi ha la conoscenza completa potrebbe passare all’analisi dell’ipotesi “cospirazione intenzionale” la quale non è negata in via di principio ma solo a coloro che partono da questa a priori senza nulla sapere del ciò su cui andrebbe applicata.

A chiusura, si potrebbero far tre considerazioni in forma di domande: 1) perché nel discorso pubblico chiunque voglia esprimere giudizi su qualsivoglia argomento sa di doversi procurare qualche conoscenza minima sullo stesso se non vuol far la figura del cretino, mentre nel caso in oggetto nessuno sa quasi niente di biologia ed ecologia e tuttavia parla di tutto ed il suo contrario? 2) perché nessun intellettuale fa notare che il problema non è se debbano decidere i biologi sulle cose sociali o i politici di biologia stante che nessuno dei due sa niente dell’altro argomento e non invece si nota la mancanza di una cultura ampia e diffusa che permetta a gli specialisti di esser utili a i generalisti e viceversa arrivando addirittura a “filosofi” che parlano di bio-politica e non sanno nulla di biologia? In filosofia, il trattato forse più importate di Politica è stato scritto forse non a caso dal primo proto-biologo dell’Antichità (Aristotele); 3) perché nessuno si domanda il perché del fatto che da più di venti anni i virologi temevano l’arrivo di una pandemia probabilmente di un qualche coronavirus e nessuno ha fatto nulla per approntare delle difese preventive?

Del senno di poi, come si dice in questi casi “son piene le fosse”. Quelle fosse che se potessero parlare chiederebbero di riaprire, non i negozi, la mente.

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10220942167599513

SULLE STRATEGIE DA CORONAVIRUS, di Andrea Zhok

SULLE STRATEGIE DA CORONAVIRUS

Il livello della discussione pubblica, già usualmente bassissimo, è crollato nelle ultime settimane con riferimento alle tematizzazioni relative alla corrente pandemia.
Come ho provato a spiegare in un precedente post, credo che le ragioni siano da ricercare nelle condizioni di oggettivo disagio, legate sia alla clausura sia alle preoccupazioni economiche, che hanno scatenato la ricerca psicologica di ogni giustificazione possibile che si conformasse ai propri desideri.
Se la dinamica del wishful thinking è una dinamica comune, in periodi di stress intenso e collettivo essa può divenire ‘epidemica’.
Siccome per i più – del tutto comprensibilmente – l’unico desiderio dominante ora è quello di ritornare alla ‘normalità’, qualunque straccio di argomento, qualunque pezza d’appoggio, che sembri utile a questo fine viene brandita con la forza dell’esasperazione.
E’ umano.
Non lo rende di per sé né giusto, né intelligente, ma è umano.

Ora, rispetto a questo tipo di discorsi, con le connesse polemiche, vorrei provare a fare un passo indietro, sollevando una serie di argomenti, uno alla volta, senza pretese di sistematicità, intorno all’analisi della situazione e alle strategie adottabili alla luce di ciò che sappiamo (o non sappiamo) dell’attuale epidemia.

Partiamo da un primo interrogativo. Qual è il problema rappresentato dal Covid-19? Si tratta di diversi problemi, stratificati. Il primo, più ovvio, è quello della capacità del virus di uccidere.

I) Mortalità e letalità.

La letalità, come noto, non è la mortalità, ed è per questa ragione che il 90% degli argomenti comparativi che circolano sono carta straccia.
La letalità è il rapporto tra contagiati e deceduti, ed è l’unico dato che si può cercare di avere nel corso di un’epidemia.
La mortalità è il rapporto tra popolazione totale e i deceduti totali, ed è un dato che si può valutare solo a consuntivo (per questo tutti gli argomenti che formulano comparazioni di mortalità generale sono sciocchezze: il dato sulla mortalità lo avremo tra anni).

Quanto alla letalità, essa dipende innanzitutto da cosa mettiamo al numeratore (la rilevazione dei contagiati) e poi anche da quanto affidabile è la nostra rilevazione del denominatore (chi è davvero morto per quella malattia).
Entrambi i dati per il Covid-19 sono oscillanti e instabili (siamo piuttosto sicuri che siano entrambi sottostimati, ma chi sia più sottostimato e di quanto è ignoto).
Inoltre, nel caso Covid-19, non sono comunque dati che definiscono univocamente la “pericolosità letale della malattia”, visto che tale pericolosità dipende certamente anche da:
1) quale gruppo è colpito (giovani, anziani, con o senza patologie, ma anche possibili varianti di resistenza o sensibilità etnica);
2) qual è la capacità di risposta del sistema sanitario;
3) se tutte le varianti del virus abbiano le medesime caratteristiche patogene (che il virus muti in più ceppi è certo);
4) se tutte le condizioni ambientali producano le medesime condizioni di virulenza.

La maggior parte delle comparazioni che facciamo corrono il serio rischio di essere comparazioni tra mele e pere, tra unità del tutto incommensurabili.

Finora il principale dato solido su cui c’è unanime consenso (almeno di quelli di cui vale la pena di avere il consenso) è che il virus corrente è in condizioni di incrementare la propria pericolosità toccando il punto 2), cioè oberando il sistema sanitario sino alla creazione di gravi inefficienze o paralisi. Nei casi in cui ciò è avvenuto (in due focolai lombardi e a Madrid) gli esiti fatali della malattia sono incrementati enormemente.

Inoltre la paralisi del sistema ospedaliero può naturalmente incrementare anche la pericolosità di altri malanni e incidenti.

Sul piano strategico credo che almeno questo punto possa essere dato per acquisito: crisi acute che compromettano la funzionalità della risposta del sistema sanitario vanno evitate.

Il punto 4) è un punto spesso sottostimato. Alcuni segni oggi sembrano indicare che anche il Covid-19, come molti virus respiratori, abbia un andamento stagionale. E’ interessante osservare come le ragioni per cui molti virus abbiano carattere stagionale sono ancora oggetto di mere congetture: si ipotizza che possa dipendere da un’oscillazione climatica delle difese immunitarie, o da condizioni di temperatura e umidità (o smog) che favoriscono la replicabilità e la trasmissione del virus. Ma appunto, si tratta di congetture prive di una chiara prova scientifica.
Quello che è certo è che se il virus ha un andamento legato a condizioni ambientali specifiche, allora può ben darsi che in certi luoghi e in certi momenti possa diffondersi con molto maggiore violenza che in altri, senza che noi si sia in grado di spiegare chiaramente perché.
Un dato invece oramai consolidato è che la contagiosità del Covid-19, in assenza di contenimento, è distintamente maggiore di quello dell’influenza stagionale (R0 di 1,3 per l’influenza, R0 oscillante tra il 2 e il 4 per il Covid-19).

II) Dannosità

Concentrarsi sulle implicazioni fatali del virus è tuttavia in parte fuorviante. Non sappiamo ancora molto, ma quello che sembra chiaro è che a fronte di un numero di decessi circoscritto abbiamo un numero di soggetti seriamente colpiti (bisognosi di ricovero ospedaliero) che (calcolo personale, fatto sulla base dei dati italiani) supera di 15 volte il numero dei decessi (in ospedale).
Che si tratti di un tasso di ricoveri incommensurabile con qualunque influenza a noi nota è evidente.

Che accade a chi passa attraverso una forma grave di coronavirus? Non è ancora chiaro. Premesso che solo una piccola parte muoiono, se la malattia lasci strascichi, in quale misura, e in chi, è oggetto di studio ora. Lascia sicuramente gli strascichi tipici delle polmoniti virali, il che significa un paio di mesi circa per il pieno recupero. In alcuni casi sembra colpire altri organi (reni, apparato cardio-circolatorio, sistema nervoso centrale). Ci sono sospetti che possa incrementare altre patologie (è di pochi giorni fa l’associazione fatta in UK con una forma della sindrome di Kawasaki, nei bambini).

In questo campo, parlando di un virus fino ad oggi ignoto, lo spazio per le ipotesi è sgradevolmente vasto. Può darsi che nella stragrande maggioranza dei casi tutto si risolva senza alcuna conseguenza duratura, o può darsi che non sia così. Questo spazio di variabilità lascia libero gioco all’espressione delle propensioni caratteriali delle singole persone: c’è chi è più propenso alla scommessa, all’azzardo, e chi è più propenso ad un atteggiamento prudente, conservatore. Qui non c’è purtroppo un modo per dirimere la questione sul piano razionale. L’unica cosa che però è doveroso tener ferma è appunto l’ampiezza dello spazio delle opzioni, che non giustificano né un terrorismo preliminare, né una liquidazione con un’alzata di spalle.

Una delle variabili più importanti che sembra sia necessario prendere in considerazione nel caso di Covid-19 (come e più che in altri virus) è la questione della cosiddetta “carica virale”. Per molti virus la quantità di virus con cui si viene a contatto incide in modo significativo sulla gravità del decorso. Recenti osservazioni sul Covid-19 fanno ritenere che questo fattore sia qui molto rilevante (questo spiegherebbe la maggiore gravità nell’incidenza sul personale ospedaliero, esposto a quantità maggiori di virus). L’ipotesi che è stata fatta da alcuni ricercatori è che il virus abbia due decorsi radicalmente differenti a seconda se superi o meno le vie aeree superiori. Un organismo con buone difese immunitarie e in presenza di una modesta carica virale nell’aria contiene l’infezione nell’area superiore, dando luogo ad una malattia non dissimile dalle influenze stagionali. Se invece la carica virale è elevata (e/o le difese sono basse) si scatena una polmonite, cambiando repentinamente il livello di gravità della malattia.
Questo è un aspetto di cui bisogna tenere attentamente conto quando si prendono in considerazione le ‘strategie di contenimento’.

Riassumendo provvisoriamente, prima di dedicare un post a parte alle strategie di contenimento, quello che mi pare sia possibile usare come base di partenza intorno all’aspetto medico del Covid-19 è questo:

1) Il virus ha caratteristiche chiaramente più gravi delle influenze stagionali.
2) L’entità precisa di tale gravità non è al momento precisamente quantificabile, né sono certi gli effetti di lungo periodo;
3) Gli esiti fatali sono solo un aspetto della gravità della malattia da prendere in considerazione;
4) La contagiosità del coronavirus è comparativamente elevata;
5) Il virus ha la capacità di mettere in crisi il sistema sanitario;
6) In una valutazione di ‘riduzione del danno’ non solo il fattore della diffusione dei contagi, ma anche quello della concentrazione delle cariche virali dev’essere attentamente considerato;
7) Vista l’enormità degli spazi di ignoranza relativi alla presente epidemia, bisogna rigettare sia allarmismi terroristici sia minimizzazioni consolatorie: entrambi gli estremi vanno espulsi da qualunque dibattito che si voglia produttivo.

Una volta fissati i dati da cui partire con riferimento alla minaccia rappresentata dal Covid-19 (vedi post precedente) possiamo provare ad affrontare alcuni scenari relativi alle strategie adottate o adottabili.

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I) Eradicazione o riduzione del danno?

La prima questione da discutere riguarda la strategia di fondo che è possibile o sensato adottare nei confronti dell’attuale epidemia. Le strategie di fondo sono due: la prima contempla l’eradicazione e il ritorno alla situazione precedente, la seconda contempla una convivenza con riduzione del danno nel lungo periodo.
La prima strategia è quella adottata con successo in Cina e Corea del Sud. Eradicazione non significa che non ci sia mai più nessun caso (cosa che ovviamente nessuno può mai garantire), ma che una volta azzerato per qualche giorno il contagio ci si può limitare ad una sorveglianza pronta ad intervenire prontamente, mentre il sistema riprende a funzionare come prima (salvo per maggiori controlli rispetto alle relazioni con merci e persone provenienti dall’estero). L’eradicazione non è affatto una prospettiva impossibile in Italia o in Europa. Molte regioni italiane sono a un passo dall’eradicazione (una settimana a casi zero può essere considerata una soglia che rappresenta l’effettiva eradicazione e circa metà delle regioni italiane potrebbero raggiungerla in 2-3 settimane). Una volta raggiunta quella soglia si potrebbe riaprire tutto senza particolari precauzioni, mantenendo solo un’elevata sorveglianza e limitazioni agli spostamenti rispetto a regioni che non sono a livello zero. Il problema è che per alcune regioni, in particolare Lombardia e Piemonte, l’eradicazione appare come un orizzonte assai lontano, e la prosecuzione di condizioni restrittive come le presenti per un tempo lungo e sostanzialmente indefinito è insopportabile (oltre alla questione economica, di cui sotto, si finirebbe per minare altrimenti la salute psicologica e organica della stessa popolazione che si cerca di preservare).

Questo significa che ci possono essere in Italia due strategie possibili. Premesso che perseguire attraverso un blocco perdurante una strategia di eradicazione per tutto il paese è impercorribile, delle due l’una: o si adotta una strategia di riduzione del danno (convivenza) per tutto il paese, o si adotta una strategia differenziata a livello regionale (Molise e Basilicata, ed esempio, potrebbero essere ritenute Covid-free in pochi giorni, e riprendere una vita normale, salvo che per gli spostamenti interregionali; Sardegna, Calabria e Valle D’Aosta sono ad un passo; Sicilia, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Puglia potrebbero fare la stessa scelta tenendo duro qualche giorno in più; altre ancora si rassegnerebbero da subito ad una strategia di riduzione del danno). Naturalmente in tutte le regioni prossime all’eradicazione, anche una strategia di riduzione del danno può portare all’eradicazione, solo su tempi un po’ più lunghi.

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II) Trade-off ‘economia-vita’?

Si è sentito e si sente spesso parlare della necessità di bilanciare le esigenze della sicurezza con quelle dell’economia. Questa impostazione però, così definita, è sbagliata. È sbagliata sia perché le esigenze di sicurezza non limitano soltanto le ragioni dell’economia, ma anche quelle di una buona vita per molti (i costi della clausura non sono solo economici), sia perché né l’economia, né una buona vita possono funzionare semplicemente tappandosi il naso e ‘sacrificando la salute/sicurezza’. Si tratta di un’impostazione priva di senso.

Da un lato, le persone non possono restare in gabbia all’infinito, dall’altro è completamente illusorio pensare che un ‘via libera’ governativo possa far riprendere magicamente le transazioni economiche sui livelli precedenti. È terribilmente ingiusto e amaro, ma è un dato di fatto che per molte attività non ci sarà nessun ritorno alla normalità, quali che siano le disposizioni ministeriali. Soprattutto nei settori del turismo e della ristorazione, e in molti settori del commercio, una riduzione durevole della circolazione è da mettere in conto. Questo perché i calcoli ‘costi benefici’ (sui generis) non li fanno solo le aziende, ma anche le persone. Per le cose necessarie o essenziali si può correre un rischio, per quelle inessenziali o di diporto, molto meno. Dunque, dopo il danno dei mesi scorsi, per molti settori non ci si può aspettare nessuna ripartenza col botto. E qualunque recrudescenza dei contagi porterebbe, che il governo intervenga o meno, ad una rarefazione delle uscite. Va da sé che una eventuale ripresa di diffusione del contagio su grande scala – con conseguente compromissione del servizio sanitario – non potrebbe che richiedere un ritorno a Square 1, con ripristino di blocchi estesi nel tempo e nello spazio. Ovvero una catastrofe.

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III) Strategie

Quali sono le strategie disponibili e, rispetto a quanto proposto finora dal governo, ci sono dei correttivi possibili e consigliabili?

III.1) Il governo propone aperture circoscritte, scaglionate nel tempo, in modo da poter controllare l’insorgere di eventuali nuovi focolai. Di per sé, nelle sue linee generali, questa strategia è l’unica sensata, e scommette sulla possibilità di conservare, attraverso le precauzioni imposte (mascherine, distanziamento) il tasso di contagio R0 al di sotto di 1. È una scommessa sensata. Con il conforto della bella stagione, visto che è certo che la diffusione dei virus respiratori in spazi aperti è rara, e visto che il Covid-19 sembra mostrare le caratteristiche di un virus stagionale, è ben possibile che queste aperture scaglionate consentano di proseguire una tendenza positiva, arrivando all’autunno con livelli di contagio molto bassi su tutto il territorio nazionale.

III.2) Rispetto a quanto deciso dal governo, questo scaglionamento sarebbe potuto avvenire in modo differenziato a livello regionale. Invece che porre delle date generiche, che di per sé non hanno molto senso, si sarebbe potuto far dipendere i livelli di apertura dal tasso di contagi. Per quanto l’iniziativa dalla Regione Calabria sia da stigmatizzare per le forme, è vero che nelle regioni prossime a zero contagi almeno le attività all’aperto (che non implicano assembramenti) potrebbero riaprire subito.

III.3) Rispetto a quanto deciso dal governo, i sistemi di intervento sanitario precoce e domiciliare dovrebbero essere attivati sistematicamente, su tutto il territorio nazionale, e dovrebbero essere accompagnati da direttive precise sulle procedure di contenimento in caso di necessità di spegnere un focolaio. Non è chiaro se qualcosa in questo senso sia stato fatto. Se è stato fatto non è stato comunicato. Sono stati commessi errori gravi con la prima ondata del virus, ma in qualche misura scusabili per la scarsa conoscenza delle caratteristiche del medesimo; ma un secondo errore sul piano degli interventi sanitari sarebbe imperdonabile.

III.4) Rispetto a quanto deciso dal governo, la famosa ‘app’ per rintracciare i contatti dovrebbe essere resa obbligatoria. La debolezza oggettiva dell’esecutivo si vede in questo come in altri comportamenti: di fronte alle pressioni abbozza e cede. Questa app, nelle forme ampiamente descritte sui media, presenterebbe rischi per la privacy infinitamente inferiori a quelli che corriamo da anni davanti all’uso commerciale delle nostre informazioni. Va bene richiedere cautele e controlli pubblici, ma qui La levata di scudi libertaria è e resta una pagliacciata. Quella app, se adeguatamente funzionante e di uso generalizzato, sarebbe una garanzia di poter spegnere qualunque nuovo focolaio. E una volta superata la crisi la si può disinstallare (oppure cambi lo smartphone, se ritieni che la Spectre brami conoscere i tuoi spostamenti). Qui limitarsi alla ‘moral suasion’ renderà la app inutile e renderà molto più probabile la necessità di procedere a blocchi più estesi.

III.5) Rispetto a quanto finora detto dal governo manca un importante chiarimento. Non sappiamo come evolverà la situazione da qui all’autunno. Potrebbero essere scoperte cure miracolose, o il virus potrebbe magicamente scomparire da sé. Oppure no. Potremmo avere una tendenza al riaccendersi stagionale dell’infezione sul modello dell’influenza, senza la disponibilità di cure efficaci. In questo secondo scenario dobbiamo mettere in conto una ripresa dell’attività a settembre, quando con il peggioramento delle condizioni atmosferiche la tendenza agli assembramenti in luoghi chiusi crescerà esponenzialmente. Dovrebbero riprendere scuole ed università a pieno ritmo. Tutte le attività che nei mesi estivi hanno potuto approfittare del bel tempo, svolgendosi all’aperto (dalle attività sportive ai bar) si ritroveranno a dover giocare indoor. L’uso di mezzi di trasporto personale a scarso impatto (piedi, bicicletta, motorino) si ridurrà a favore dei mezzi pubblici.
Se arriveremo a settembre con livelli di circolazione del virus ancora elevati sarà un bel problema. In quest’ottica dovrebbero essere avviati sin d’ora progetti per trasferire tutto ciò che può essere trasferito in ‘smart working’.

Per quanto riguarda la scuola, bisognerebbe prendere in considerazione la possibilità che si ripresentino condizioni emergenziali. Visto l’enorme impatto sugli spostamenti e sugli assembramenti che scuola e università hanno, bisognerebbe studiare attentamente piani alternativi che non compromettano la preparazione degli alunni (come di fatto è avvenuto, nonostante gli sforzi dei docenti, in questi mesi), e che non si limitino a scommettere sul fatto che “andrà tutto bene”. Il tema è enorme e non ci provo neppure a impostarlo qua, ma è assolutamente cruciale. Sanità e scuola sono i due settori che sono stati tagliati di più negli scorsi anni, nel nome di un efficientamento delle risorse – che vuole dire fare i miracoli con risorse scarse. Per la scuola questo ha significato ridurre e concentrare le sedi, diminuire il rapporto tra docente e studenti, stipare gli studenti in aule inadeguate. Tutto questo e molto altro sarà da ripensare, ed il momento per farlo è ora.

III.6) Nota finale. Gli interventi del governo sono migliorabili. Sono soprattutto enormemente migliorabili sul piano degli aiuti economici, dove però interviene il Moloch della questione europea.
Ma chiunque in questa fase, per l’usuale tornaconto elettorale, gioca al gioco del ‘liberi tutti’, del ‘riapriamo tutto’ purchessia, senza farsi carico di spiegazioni dettagliate su quali scenari prefigura per gli italiani, è un irresponsabile, indegno di esprimersi sulla scena pubblica, da cui dovrebbe scomparire.

https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1525015561013171

UN GIURISTA EUROSCOMODO, di Teodoro Klitsche de la Grange

UN GIURISTA EUROSCOMODO

Il 17 aprile scorso è venuto a mancare Giuseppe Guarino, illustre giurista ed avvocato, oltre che deputato e più volte ministro. In tempi di MES e di euro-furberie, buona parte dei commenti a caldo (specie sui media ad elevata diffusione) hanno voluto ricordare che era un europeista. Dato che purtroppo oggigiorno l’aggettivo non accomuna tanto ad Adenauer, Martino, Monnet e ai “padri fondatori”, ma a qualche grigio euroburocrate o a governanti nazionali euroasserviti , il rischio di equivocare il pensiero di Guarino, strumentalizzandone la figura, è alto. Per la verità, scendendo nell’audience, i “coccodrilli” sul giurista sono più equilibrati, e ricordano come avesse criticato l’andazzo preso dall’Unione europea nell’ultimo trentennio, che aveva tradito – in larga parte – la visione dei fondatori.

E lo fece da giurista, sostenendo l’invalidità di atti dell’U.E., contrari ai trattati e alla “funzione” dell’Unione europea.

Il saggio che sviluppa in modo più completo le tesi critiche di Guarino è “Cittadini europei e crisi dell’euro”, pubblicato nel 2014 dall’Editoriale Scientifica. La recensii quasi subito nel numero 55 (on-line) di “Behemoth”. Dopo poco tempo l’editore (mi si disse su segnalazione del prof. Guarino) chiese l’autorizzazione a pubblicarla anche (in stampa) sulla rivista “Diritto comunitario e degli scambi internazionali”.

In tempi in cui pompose mediocrità, per lo più affette da complesso euroancillare cercano di perseverare (anzi di aggravare) negli errori che il prof. Guarino con tanto acume (giuridico e politico) stigmatizzava, mi sembra utile riproporla ai lettori.

Teodoro Klitsche de la Grange

Giuseppe Guarino, Cittadini europei e crisi dell’euro, Editoriale scientifica, Napoli 2014, pp. 185, € 14,00.

 

Questo è un libro denso di idee, E quel che parimenti interessa, aderenti alla realtà: quella da cui molti giuristi, in specie quelli più à la page, rifuggono.

È scritto da un giurista dotato di visione non limitata al proprio ambito scientifico (in genere strettamente inteso). La cui tesi di fondo è che i guai provocati dall’euro (che siano guai è sicuro, e Guarino cita – all’uopo – ripetutamente i dati, drammaticamente sconfortanti, della stagnazione dei paesi dell’area “euro”), siano dovuti ad un regolamento, illegale perché contrario al TUE (Maastricht), che ha realizzato un vero e proprio golpe. Scrive l’autore “Il golpe è stato attuato a mezzo del reg. 1466/97. Per la formazione del regolamento, come si è detto, si è fatto ricorso alla procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE che, nello stesso momento in cui è stata utilizzata, è stata anche violata perché ce se ne è avvalsi per uno scopo diverso dall’unico previsto.

La procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE in nessun modo avrebbe potuto essere impiegata per modificare norme fondamentali del Trattato. L’essersene avvalsi configura una ipotesi non di semplice illegittimità, bensì di incompetenza assoluta. Gli atti adottati sono di conseguenza non illegittimi, ma nulli/inesistenti”. Il che comporta, a ragionare con precisione e consequenzialità giuridiche, la responsabilità degli organi dell’Unione e delle persone fisiche che lo hanno posto in essere. Per cui abrogare il predetto regolamento attraverso un contrarius actus non è nulla di illegale o illegittimo, ma è semplicemente il ripristino di una situazione di legalità internazionale, perché le norme mutate dal regolamento 1466/97 sono disposizioni di Trattato internazionale. Ma cosa ha prescritto il regolamento 1466/97 in violazione sia delle norme dei Trattati sia degli obiettivi dell’Unione, come dei diritti degli Stati. Scrive Guarino: “Quanto all’Unione è stato modificato, in modo radicale ed irreversibile, l’obiettivo principale, consistente (artt. 2 e 3 TUE) nel conseguimento di uno sviluppo dalle caratteristiche e secondo le modalità previste nei suddetti articoli e nell’aver abrogato, per aver regolato in modo diverso la intera materia, l’art. 104 c) TUE, contenente la disciplina dei mezzi di cui gli Stati si sarebbero potuti avvalere per l’adempimento all’obbligo di promuovere sviluppo.

Quanto agli Stati la illecita variazione consiste nell’averli privati, con l’abrogazione degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE, nonché degli altri connessi, a mezzo di norme (quelle del reg. 1466/97) regolanti in modo diverso l’intera materia , degli unici poteri politici ad essi attribuiti in funzione alla conduzione economica dell’Unione”, e aggiunge l’autore che ciò “ha inciso sul carattere fondamentale dell’Unione, in assenza del quale gli Stati non sarebbero stati legittimati a parteciparvi, quello della democraticità. È l’affermazione che tra tutte genera la massima incredulità”.

L’acuto giurista sostiene che, per rimediare, e data la comprovata dannosità dell’attuale disciplina dell’euro, tra l’altro non conforme al TUE, ma in violazione dello stesso, occorre,per i paesi a rischio, un’uscita concertata dalla moneta unica, che non ha nulla di illegale, dato che significa il passaggio da paese senza deroga a paese con deroga, come ce ne sono – allo stato – undici nell’U.E. La soluzione migliore sarebbe che lo facessero di concerto quattro o cinque Stati. Meglio se tra i promotori ci fossero la Francia e l’Italia.

Ci sono tante cose in questo libro, e con dispiacere il recensore, ratione officii le  deve tralasciare per concentrarsi su due che colpiscono più di altre i giuristi, e che sottolinea per i lettori.

La prima che Guarino, a proposito della disciplina dell’euro, la definisce robottizzata: ossia di una moneta che non ha – sopra – un vertice politico decidente e decisivo, ma solo una regolazione normativa. Ma se è così (e così è) la regolamentazione dell’euro ha un pregio: verificare sul piano fattuale la non praticabilità di un assetto fondato sulla perfezione (bontà, saggezza) della normazione, senza un potere che diriga e all’occorrenza ne deroghi. L’idea del nomos basileus applicata, nel caso, alla moneta comune, si è rivelata illusoria . Il pensiero va a de Maistre e al suo giudizio tranchant  “il n’est pas au pouvoir de l’homme de créer une loi qui n’ait besoin d’alcune axception”. L’eccezione  serve di tanto in tanto: ma la necessità di adeguarsi ai cambiamenti è costante. E la regolamentazione dell’euro non ne ha tenuto conto; essendo stato pensato (e ri-pensato) in un periodo di cambiamento, ha una disciplina che poteva essere congrua in periodi di stabilità – come quello dalla fine del secondo conflitto mondiale al crollo del comunismo – non lo è quando la situazione si “mette in movimento” (ossia negli ultimi vent’anni), per cui occorrono flessibilità, adeguamenti; cioè decisioni. Il tutto ricorda la critica che un altro acuto giurista, Hauriou, rivolgeva ad Hans  Kelsen e al normativismo: che il giurista austriaco aveva immaginato un sistema statico, e per ciò inadatto alla vita, che è movimento ed alla quale il diritto si deve adeguare.

Ma come ci si può adeguare se il potere “adeguatore”, cioè quello politico, manca? Essere guidati dall’impersonalità della norma, piuttosto che dalla personalità della decisione è una prospettiva forse seducente, ma del tutto irreale, come salire su un automobile senza conducente:prima o poi si va a sbattere. É quello che hanno constatato gli europei. Si è sognata – nel XX secolo, la “Costituzione senza sovrano” (Kirkheimer – e tanti altri, dopo) per verificare che senza sovrano  non può funzionare neppure la moneta.

La seconda: a prescindere dalla lettera della normativa, farcita di buone ed appetibili intenzioni è al contenuto effettivo, e al senso delle norme che deve guardarsi. Come scrive Guarino “la modifica introdotta dal reg. 1466/97 rispetto al TUE (Maastricht), sul piano formale, è consistita nell’abrogazione di un diritto-potere, quello degli Stati di concorrere alla crescita con la propria “politica economica”, concorrendo così anche alla crescita dell’Unione, sostituendola con un obbligo/obbligo, gravante sugli Stati, avente come contenuto il pareggio del bilancio a medio termine, da conseguirsi nel rispetto di un programma predeterminato. Gli elaboratori delle norme non si sono resi conto delle conseguenze che sarebbero derivate dall’aver messo a base del sistema, un “obbligo” al posto di un “potere”. Di conseguenza il sistema ha leso la libertà degli Stati, ossia delle comunità di decidere come, quanto e in quali direzioni crescere. La libertà politica comunitaria è in primo luogo quella di scegliere scopi, mezzi e forme del vivere comune e si chiama sovranità; adesso non “va di moda” ma non se ne può prescindere, ancor meno di quanto si possa fare a meno della libertà individuale.

Nel complesso un libro che si consiglia di leggere dato il surplus di idee che lo connota. In un coro di banali cortigianerie agli idola ed ai potenti (economici, burocratici e politici) di turno sentire qualcuno che non canta nel coro (ed è molto intonato) è salutare e necessario.

Teodoro Katte Klitsche de la Grange

Ipoteche, di Giuseppe Masala

Diciamocela tutta siamo di fronte ad un bivio in questo disastro epocale. O continuare in Eu sapendo che ogni stato usa i suoi margini fiscali per far ripartire la propria economia o uscire dall’Eu perchè noi, margini fiscali non ne abbiamo e abbiamo urgente necessità di attingere ai margini monetari che la Banca d’Italia può garantirci e diciamocelo pure, anche grazie agli aiuti che Trump (certo, lo ha fatto guardando agli interessi geostrategici americani non certo perchè è un francescano) compresa l’opportunità che ha la Banca d’Italia di accendere uno swap con la Federal Reserve.
Badate, fa davvero rabbia andare nel sito della Bce (pagina “Open Market Operations”) e vedere il continuo profluvio di operazioni in dollari che fanno con la Banca d’Italia che garantisce tutto per salvare le banche tedesche e olandesi in piena dollar trap mentre non può far nulla per dare una mano al suo popolo. Uno schifo immenso. Ma cosa volete, questa è la situazione: la bce garantisce il debito privato sull’unghia ma sul debito pubblico fa troppo poco favorendo dunque le nazioni con forte debito privato.

Qualunque scelta comporta sacrifici ed è piena di rischi. Ma quella di rimanere nell’Eu porta ad un esito fatale per noi. Io mi chiedo che diritto hanno le persone della mia generazione, o della generazione precedente a ipotecare la vita di figli e nipoti sull’altare dell’idea piccolo borghese e provincialotta di “sentirsi europei”? Che diritto si ha di dare un futuro alle prossime generazioni da rumeno o da polacco post caduta del Muro di Berlino? Io credo nessun diritto.

Certo, lo so, è difficilissimo da comprendere, le persone sono state educate a considerare l’Europa come il non plus ultra delle magnifiche sorti e progressive. Decine di esperti e di tecnici appaiono in tv a farci la paternale sulla giustezza del destino europeo. Ma lo fanno per voi? Lo fanno in piena coscienza? Oppure parlano pensando alla loro reputazione, alle loro entrate ed al loro personale futuro? Cioè, secondo voi, Prodi può apparire in tv a chiedere scusa e dire che non sa nulla di economia e che ci ha buttato nel baratro? Chiaro che non può dirlo, ne vale anche della sua sicurezza fisica. E così vale per i tanti gerarchi che in trenta anni non hanno fatto altro che chiederci sacrifici per le nuove generazioni che avrebbero beneficiato del paradiso europeo. Se va bene ora sarà un paradiso da camierere magari con una laurea in ingegneria presa in un’inutile università italiana ormai di terza fascia. A voi in questi 20 anni ve n’è fottuto qualcosa della laurea in ingegneria del rumeno che vedevate impegnato nella raccolta di pomodori? Sarà uguale per la nuova generazione di italiani. E forse questa è la Nemesi.

Chi vuole continuare in questa follia sappia che sta ipotecando la vita di figli e nipoti.

 

I dati ferali del mercato automotive in Italia (ma nel resto del mondo non cambia poi molto), dovrebbe indurre a profonde riflessioni i decisori politici. La cosiddetta ripartenza non è una vera ripartenza se si inizia dalle aziende che hanno un enorme peso politico come appunto quella dei produttori di automobili. In questo momento non c’è domanda e riaprire questo settore significa farli lavorare un mese e poi assistere alla richiesta di cassa integrazione straordinaria da parte delle aziende. Bisogna ripartire da quelle aziende che si ha certezza abbiano una domanda sicura. Può sembrare una scemenza, ma barbieri e parrucchieri hanno una domanda certa inevasa che viene soddisfatta costringendoli a farli lavorare in nero a domicilio (non li biasimo, fanno bene, in tempo di guerra ognuno s’arrangia). Si potrebbe farli aprire su prenotazione, almeno riprendono a fatturare e possono garantire Iva all’Erario e stipendi ai propri dipendenti, butta via di questi temi maledetti! Idem il calcio. Si lo so, voi dite che sono un appassionato e lo dico per quello. Ma non è così, il settore è la decima industria del paese, i diritti tv sono già pagati ed è giusto che i contratti siano rispettati, a porte chiuse certamente, facendo i tamponi ai calciatori certamente. Ma devono ripartire per non perdere fatturato. Uguale i negozi d’abbigliamento, devono ripartire, magari anche qui su prenotazione, magari consentendo di fare saldi per svuotare i magazzini non perdendo così la stagione (si tenga conto che se perdono la stagione poi l’anno prossimo le nuove collezioni le comprano in quantità minore rallentando la ripartenza del settore tessile).
Per paradosso è il minuto che può consentire un minimo di ripartenza. E’ inutile far lavorare gli operai dell’alluminio e dell’acciaio se poi l’automotive non chiede alluminio e acciaio per le sue carrozzerie e i suoi motori perchè nessuno compra auto. Ripartire dal tetto dei grandi produttori, lasciando chiusa la base del commercio minuto e dei servizi necessari ci porterà solo ad un doom loop per assenza di domanda.

E’ altrettanto evidente che per riattivare il commercio minuto, le spese di tutti i giorni, è poi necessario mettere in tasca soldi alle persone. Anche con politiche monetarie non convenzionali come sta facendo la Banca del Giappone che sta accreditando soldi freschi sui c/c dei giapponesi. A crisi non convenzionale devono esserci risposte non convenzionali. Qui si sta sbagliando tutto. Mi pare che questa commissione di economari diretta dal Manager Colao sia troppo incentrata sul Big Business ma non riesce a comprendere che le case non si riedificano dal tetto. Bisogna partire dalle fondamenta.

tratti da facebook: https://www.facebook.com/bud.fox.58?epa=SEARCH_BOX

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