sinistra e impunità, di Paolo di Remigio e Fausto Di Biase

Per una storia filosofica dell’impunità

 

Prima ancora che entrasse in vigore la Costituzione nel 1948, l’indipendenza della Repubblica italiana era stata compromessa dal traumatico trattato di pace dell’anno precedente, con il quale le potenze occidentali vincitrici avevano stabilito un protettorato sull’Italia impedendovi l’avvicendamento dei partiti di sinistra al governo, controllandone gli apparati di sicurezza interni, la politica estera e la politica economica[1]. La politica italiana del dopoguerra è così determinata dall’intersecarsi di due scissioni: quella visibile tra destra e sinistra carica di contenuto classista, quella invisibile tra chi ha accettato la riduzione a provincia dell’Italia e chi non vi si è rassegnato.

 

Benché distinte, le due scissioni si sono rafforzate a vicenda. Che la NATO non sia stata sciolta dopo la fine dell’Unione Sovietica, ma abbia anzi esteso il suo campo di intervento, dimostra che la guerra fredda tra USA e URSS è nata dall’aspirazione geopolitica statunitense a rimuovere l’ostacolo dell’URSS e a stabilire un impero mondiale, e ha assunto l’aspetto della lotta di classe tra borghesia e proletariato per il solo fatto che l’URSS affermava di seguire un modello economico socialista. Per questo motivo l’anticomunismo non è stato soltanto una scelta di classe, è stato anche un atto di subalternità all’impero statunitense; viceversa, il comunismo è stato non solo una difesa degli interessi dei lavoratori, ma anche un’alleanza con l’Unione Sovietica. Quanto più esasperati i sentimenti della lotta di classe, tanto più condannati a essere semplici coperture del conflitto geopolitico e dunque della dipendenza dello Stato dall’uno o dall’altro impero. Viceversa, il settore del mondo politico italiano meno sensibile all’isteria anticomunista o alle velleità insurrezionali è stato il più leale alla Costituzione democratica e ha tentato sin da principio il recupero di spazi di indipendenza nazionale.

Se gli estremisti dell’uno e dell’altro campo hanno solitamente tacciato i moderati di debolezza o di connivenza con il nemico, oggi il moderatismo interclassista appare non solo la scelta più nobile in quanto era la sola via per emancipare lo Stato italiano dalla condizione di paese sconfitto, ma anche la scelta più eroica, l’unica che sia stata pagata con l’assassinio politico. In questo senso vanno lette la capacità di De Gasperi e di Togliatti di evitare la guerra civile in Italia e l’impresa di Mattei di garantire con un’audace politica energetica le basi dello sviluppo industriale e l’attenuazione del conflitto di classe; anche il tentativo di costruire l’alleanza con i socialisti prima e con i comunisti poi, di cui Moro, Nenni e Berlinguer sono stati protagonisti, ha un significato che sfugge a chi legga la storia del dopoguerra secondo la sola dimensione della lotta di classe e trascuri il compito di pagare il debito storico che la guerra fascista aveva caricato sugli italiani. Che lo sviluppo industriale sia stato caotico, che il centro-sinistra sia stato deludente sotto il profilo delle riforme sociali ed economiche e si sia risolto in un logoramento dei partiti di sinistra, nulla toglie al loro significato più profondo: De Gasperi, Togliatti, Mattei, Nenni, Berlinguer, Moro hanno cercato la pacificazione dell’Italia così da attenuarne la scissione di classe e da riguadagnarle spazi di sovranità nazionale.

Dalla metà degli anni Sessanta la reazione delle potenze occidentali all’emancipazione dell’Italia si è servita però non solo dei conflitti di classe, ma anche di quelli generazionali. Se il Sessantotto fosse stato un semplice conflitto generazionale quale si verifica dalla notte dei tempi, la maschera classista e il velleitarismo politico sarebbero caduti subito ed esso si sarebbe ridotto a una fiammata come il maggio francese. Non è stato così perché la sua spontaneità è stata soltanto un’apparenza, perché è stato uno strumento dello scontro profondo tra Europa e Stati Uniti, e in particolare tra Italia e paesi europei, per mutare le posizioni di forza che tenevano quella assoggettata alla potenza imperiale, questa assoggettata a tutti. Così il movimento studentesco e la nascita del partito armato hanno reso superflua la cosiddetta violenza neofascista per realizzare la strategia della tensione e riportare l’Italia al 1947: subito infiltrato, in seguito protetto e aiutato dai servizi occidentali e dalle loro propaggini italiane, fu il partito armato con l’ampio sostegno del movimento studentesco lo stupido carnefice che alimentò per conto dell’impero la tensione sociale ed eliminò Moro e il suo progetto. La mancata coscienza della natura dello scontro tra estremismo e moderatismo ha effetti ancora devastanti in Italia: gli eredi dell’estremismo non hanno ancora capito la funzione storica dell’estremismo né quale progetto sia stato interrotto con l’uccisione di Aldo Moro; perciò il rifiuto della colpa si accompagna a una pratica di irresponsabile sacrificio degli interessi nazionali e a un’ideologia universalistica di inaudita ipocrisia.

 

Ha notato Giorgio Bocca: “L’aspetto più misterioso delle vicende dei circoli giovanili che daranno vita a Prima Linea è la loro lunga impunità o comunque la tolleranza che li circonda. A Torino già nel ’75 la polizia conosce benissimo chi sono i giovani che frequentano il Centro Lafargue in via della Consolata dove c’è la redazione di Senza Tregua. Sa che una delle più assidue frequentatrici ha partecipato ad un assalto al Centro Studi Donati perché ci ha trovato un suo paio di guanti, sa che circa ottanta giovani frequentatori del circolo provengono dai servizi d’ordine di Lotta Continua e di Potere Operaio, eppure non fa arresti anche se gli attentati proseguono. Ma anche quando la polizia e i carabinieri li colgono in flagrante e devono ammanettarli, si trova sempre il modo di scarcerarli nel giro di pochi mesi… Baglioni… arrestato nel ’77 perché sorpreso mentre si esercita con le armi sulle Prealpi lombarde, rientra in fabbrica portato in trionfo. Marco Donat Cattin continua indisturbato a fare il bibliotecario all’Istituto Galileo Ferraris, chiedendo ed ottenendo regolari permessi per partecipare alle azioni armate. Roberto Sandalo, notissimo alla polizia, può frequentare la scuola allievi ufficiali alpini, diventare ufficiale e come tale impadronirsi di armi e trasportarle per l’organizzazione clandestina. Rosso e Libardi, due altri esponenti, saranno liberati addirittura durante il sequestro Moro. Perché…?”[2]

Alla domanda di Bocca si risponde non solo osservando che le file dei contestatori e dei rivoluzionari erano frequentate dai figli degli ottimati; c’è anche una ragione più sgradevole, evidente nelle parole di Giannettini al convegno dell’Istituto Alberto Pollio di una decina d’anni prima: “E… se gli anticomunisti avessero maggiore sensibilità politica, approfitterebbero della situazione per sfruttare in senso anticomunista la naturale tendenza alla ribellione delle nuove generazioni culturali contro il conformismo delle dottrine ufficiali.”[3] La contestazione giovanile e gli anni di piombo sono stati prima provocati e poi tollerati dai poteri contro cui lottavano; per tutti gli anni ’70 al movimento studentesco è stato consentito fare cortei, scontrarsi con la polizia, assaltare i supermercati, spadroneggiare nelle scuole e nelle università, darsi alla tossicodipendenza, assumere come valore la negazione dei valori, perché l’esasperazione della tensione sociale favoriva il consolidamento del regime utile alle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale.

Infine sulle responsabilità nella strategia della tensione, su quelle del movimento studentesco come su tutte le altre, è passato il silenzio che ha coperto l’impunità e agli alimentatori delle velleità rivoluzionarie, come premio per avere svolto un lavoro utile contro il loro popolo, sono state consentite brillanti carriere nel mondo della cultura e nell’amministrazione pubblica. È così entrato in crisi lo stesso senso di giustizia: il disprezzo della legge positiva e l’esaltazione del perdono sono diventati a tal punto costume delle élite, che mentre si ingigantiscono i reati di opinione per limitare la libertà di espressione, mentre diventa imputabile non tanto l’atto quanto l’inconscio, nelle scuole si concepisce la valutazione negativa come un abuso dei docenti e l’atto di indisciplina del discente come sempre tollerabile; l’umanitarismo dei giornali sorvola sul contesto illegale del fenomeno dell’immigrazione; la stessa repressione del crimine appare così illegittima che i rappresentanti del popolo si precipitano a visitare in carcere i rei confessi. Ma l’effetto più ampio della crisi del senso di giustizia è stato la nascita di un intero movimento politico che si esaurisce nell’invocare la punizione dei corrotti e resta senza fiato davanti al compito di emarginare il ceto dirigente che lavora per gli interessi stranieri.

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Il castigo appare ormai come un prodotto dell’odio, come una seconda violenza della società contro quelli che la prima violenza della sua ingiustizia ha costretto a sbagliare. Viceversa, il perdono da sentimento privato diventa un termine giuridico, addirittura politico. Con la vittoria del sentimentalismo del perdono si perde la capacità di pensare la realtà sociale secondo il concetto di giustizia per diluire ogni cosa nell’atmosfera commossa dell’amore. C’è però differenza tra amore, che è il legame positivo verso qualunque essere, perfino inanimato, e giustizia, che è il legame positivo tra liberi. Il sentimentalismo fa della libertà un caso particolare dei legami positivi; ma la libertà è il concetto supremo; la sua particolarizzazione è anche la sua fine. Di qui la necessità di studiare il concetto di pena nella sua peculiare relazione al concetto della libertà, quale lo fissano i ‘Lineamenti di filosofia del diritto’ di Hegel[4].

La libertà non è soltanto l’astrazione del potersi distaccare da ogni esistente, è anche capacità di collocarsi nell’esistenza, innanzitutto nel corpo vivente (il mio corpo), poi nelle cose; questo collocarsi nell’esistente è la proprietà. È nota l’avversione che da Rousseau in poi la proprietà provoca, ma è altrettanto nota la deriva totalitaria del suo rifiuto; questa si genera perché il rifiuto della libertà esistente comporta la regressione alla libertà astratta, che sente sé stessa soltanto nella distruzione dell’esistente. In ogni caso, quanto più si colloca nell’esistente, nella proprietà, tanto più la libertà può essere violata. Essendo l’espressione di una volontà che annulla l’espressione di una volontà, la violenza è però il proprio distruggersi; la sua intima nullità si manifesta nel fatto che la violenza è annullata dalla violenza, che la violenza prima è violata da una violenza seconda.

Dal punto di vista sentimentale alla colpa si lega il rimorso, il bisogno di dolore, perché solo il dolore sofferto può cancellare il dolore inflitto e consentire il perdono. Il perdono non può dunque essere affatto inteso come un atto gratuito di amore verso chi ha violato la persona o la sua proprietà; esso è piuttosto l’attesa di serenità perché il dolore dell’offensore ha cancellato il dolore dell’offeso. Viceversa, il perdono a chi non prova rimorso è indifferenza alla giustizia analoga all’indifferenza alla giustizia del criminale.

Che provi o meno rimorso, chi viola la libertà esistente 1. ha negato il diritto universale, quindi anche il proprio diritto; 2. essendo inoltre un essere razionale, con la sua violazione egli ha affermato per sé stesso il suo diritto, alternativo al diritto universale. La violazione della sua violazione, cioè il castigo, avendo come doppia negazione un risultato positivo, da un lato ristabilisce il diritto universale, diritto che è proprio anche di chi lo ha violato; dall’altro, come violenza seconda, applica al delinquente il diritto che lui stesso ha stabilito con la sua violenza. – Chi, per esempio, ruba, rende valida la legge che la proprietà privata non è un diritto, una legge alternativa alla legge universale: la proprietà privata è un diritto. Rubare è però rendere mia proprietà una cosa che è proprietà di un altro. Conformemente alla natura contraddittoria del crimine, la legge affermata (la proprietà privata non è un diritto) è anche negata (non è vero che la proprietà privata non sia un diritto): vale per tutti eccetto che per il ladro. Ma una legge che a parità di condizioni è valida per tutti eccetto che per chi la pone è una legge nulla. La nullità di questa legge consiste nel suo rovesciamento, cioè che essa vale per nessuno eccetto che per lui (tutti hanno diritto alla proprietà eccetto il ladro, che quindi non solo restituisce ciò che ha preso, ma perde ciò che ha), e che valga soltanto per il criminale è appunto il castigo. La violazione della violazione, cioè il castigo contro il delitto, la giustizia come contrappasso, non solo ristabilisce il diritto di tutti, ma onora il criminale come liberamente agente secondo una legge, non lo squalifica come irresponsabile.

 

La forma elementare del contrappasso è la vendetta. Che la vendetta non sia sentita come male è testimoniato dalla letteratura universale che l’ha tra i suoi temi principali. Essendo però l’atto con cui è l’offeso stesso a ristabilire la sua libertà più che la libertà in generale, essa contiene a sua volta l’offesa; l’unità di annullamento della violazione e violazione, questa combinazione di violenza prima e violenza seconda in un unico atto, scatena l’infinità della faida. A differenza della vendetta, finalizzata a ripristinare soltanto l’infinità dell’offeso, la pena ripristina il valore del diritto, dunque la libertà e la dignità di tutti; il giudice, terzo tra offensore e offeso, essendo dalla parte della giustizia, è dalla parte non solo dell’offeso a cui dà la riparazione, ma anche dell’offensore, a cui dà l’espiazione. A dispetto della letteratura anarchica, punire il delitto è dunque in sé giusto: possono esserci pene sbagliate, ripugnanti, abnormi; questi difetti appartengono però alla realizzazione del concetto e non compromettono il concetto stesso. In altri termini, in un mondo più giusto del nostro ci sarebbero giudici e pene, perché anche ogni mondo è composto di individui che devono fronteggiare il loro lato naturale, la cui volontà può dunque diventare schiava del desiderio, violare l’esistenza della libertà altrui e infrangere la giustizia. Viceversa, un mondo senza pene non sarebbe affatto un mondo giusto, perché sarebbe un mondo in cui gli uomini sarebbero irresponsabili dei loro atti, non sarebbero più liberi.

Che la responsabilità delle proprie azioni sia per l’individuo identica alla sua libertà, che non vi si possa rinunciare senza perdere tutto, è già stato un tema della tragedia greca. L’eroe tragico ha voluto qualcosa senza avere previsto le conseguenze di ciò che ha voluto, dunque senza averle volute; di fronte alla realtà delle conseguenze non volute, egli è nel dilemma se disconoscerle affermando la propria irresponsabilità, cioè il proprio abbandono al destino, o se rivendicare la propria responsabilità, quindi la propria libertà, accettando il contrappasso anche di ciò che non ha voluto. Il suo eroismo è, come notò Hegel, il rivendicare ogni responsabilità, di ciò che ha voluto come di ciò che ne è seguito, preferendo la rovina al dominio del destino; accettandola muto, non recriminando contro le conseguenze non volute delle sue scelte, la sua libertà si estende sulla regione che prima ignorava; così il destino è svuotato e solo allora le Erinni possono trasformarsi in Eumenidi.

Lo sforzo di dimenticare e l’impunità comprata con il silenzio hanno ucciso il senso della giustizia e della libertà degli italiani, ne hanno paralizzato per molto tempo ogni reazione a una servitù sempre più soffocante. Dal delitto Moro in poi il loro ceto dirigente è infatti diventato preda della colpa inespiata: è cessata ogni apparenza di dignità del partito armato che non ha voluto accorgersi di essere stato il sicario dell’impero; è cessata anche la dignità della Democrazia Cristiana che ha prestato il definitivo atto di omaggio alle potenze vincitrici; ed è cessata infine la dignità del Partito Comunista che dal vecchio padrone è passato a ‘padron miglior’[5]. A Moro prigioniero non sfuggì il significato politico della fermezza nei confronti del suo caso; egli scrisse nel memoriale che per il PCI “il rigore, il rifiuto della flessibilità ed umanità è un certificato di ineccepibile condotta”; se “si guardano le cose che stanno accadendo e la durezza senza compromessi (come per scansare il sospetto) della posizione di Berlinguer (oltre che di altri) sull’odierna vicenda delle Brigate rosse, è difficile scacciare il sospetto che tanto rigore serva al nuovo inquilino della sede del potere in Italia per dire che esso ha tutte le carte in regola, che non c’è da temere defezioni, che la linea sarà inflessibile e che l’Italia e i paesi europei nel loro complesso hanno più da guadagnare che da perdere da una presenza comunista al potere.”[6] Infine l’orgia del servilismo, che la prima repubblica dissimulava e che solo l’occhio acuto di Moro poteva scorgere anche dove sembrava assente, è diventata manifesta come seconda repubblica.

Fausto Di Biase

Paolo Di Remigio

 

[1] Cfr. Giovanni Fasanella, Il puzzle Moro, Chiarelettere, Milano 2018, cfr. il capitolo La frontiera e la sconfitta, soprattutto la parte intitolata L’umiliazione dell’Italia.

[2] G. Bocca, Gli anni del terrorismo, Curdo, Milano, 1988-1989, pp. 174-175.

[3] G. Giannettini, La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria, disponibile al seguente indirizzo: http://www.misteriditalia.it/strategiatensione/nascita/interventi/14.pdf.

[4] Nei §§ 90-103. Cfr. anche i §§ 499-500 dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche.

[5] Don Giovanni, Atto II, Scena ultima.

[6] Citato in A. C. Moro, Storia di un delitto annunciato, Editori Riuniti, Roma 1998, pp. 257-258.

Fine del (primo?) Governo Conte_con Augusto Sinagra

Il (primo?) Governo Conte pare proprio essere giunto all’epilogo. Paradossalmente il più determinato a trarre le estreme conseguenze del gesto di Salvini appare proprio il Presidente del Consiglio. Una situazione che nel male che pare profilarsi costringerà quantomeno ad una demarcazione netta degli schieramenti tra i partiti prima e all’interno di essi dopo sulla base di orientamenti ed opzioni più nette e chiare. Potrebbe essere il prodromo al nascere di nuove formazioni dai programmi e dai proclami più corrispondenti al proprio orientamento di fondo. Buon ascolto _Giuseppe Germinario

IL FIGLIO DI BERNARDO MATTARELLA, di Augusto Sinagra
Il responsabile dell’attuale caos politico e istituzionale è solo lui, sempre lui: il figlio di Bernardo Mattarella il cui fragoroso silenzio si fa sentire in ogni circostanza. È lui che in tutti i modi cerca di deviare l’azione del governo dalla cura degli interessi nazionali alla difesa parossistica degli interessi delle oligarchie monetarie, del pareggio di bilancio, della finanza senza volto, dell’euro e di questa Unione europea.
Egli agisce attraverso i Ministri che lui ha imposto. Agisce attraverso inedite iniziative in alcun modo costituzionalmente compatibili come le aberranti interpretazioni che lui indica al governo a proposito dei provvedimenti del Ministero dell’Interno. Lui che è il Capo del CSM in questo modo ipoteca l’interpretazione da parte dei giudici, interpretazione da lui voluta di provvedimenti legislativi.
Io non ho capito se viviamo in un momento di crisi governativa, anche se ancora non parlamentarizzata, o meno. Quel che è certo è che l’azione del governo, indipendentemente dai giudizi che se ne danno, non potrà svolgersi compiutamente in conformità alla volontà popolare, se non verranno allontanati soggetti come Moavero Milanesi, Tria (Ministro perché amico del figlio del figlio di Bernardo Mattarella) e della Trenta che, in modo eccentrico, ha rifiutato la firma per il nuovo decreto di ingresso della Open Arms nelle acque territoriali italiane, e pare che abbia mandato navi militari italiane a scortarla con il suo carico di “naufraghi paganti” cioè di clandestini.
Non si capisce cosa sia capace di coordinare il giovanotto pugliese Giuseppe Conte.
La crisi è cominciata non l’altro giorno per volontà del Ministro Matteo Salvini, ma nel momento stesso in cui è nato questo governo.
I tempi prossimi saranno tempi duri: l’immigrazione clandestina continuerà sempre più massiccia. L’Italia sarà sempre più sbeffeggiata nel mondo.
Bisogna tenere i nervi saldi. Prima o poi si tornerà a votare e allora ci sarà la resa dei conti e sperabilmente il nuovo Presidente della Repubblica sarà espressione di una diversa maggioranza parlamentare.
Il peggio deve ancora venire ma, come diceva Eduardo De Filippo: “ha da passà ‘a nuttata”.
Perché una cosa è certa: l’Italia è immortale nonostante i piccoli e squalificati personaggi, falsari e traditori, che affollano la attualità.
Nonostante tutto, auguro un sereno ferragosto a tutti.

EPSTEIN docet: Scritto anni ed anni fa…, di Danilo Fabbroni

Riceviamo e pubblichiamo

EPSTEIN docet: Scritto anni ed anni fa…

Il Gioco dell’Oca

«Gianfranco Sanguinetti […] nel suo libro Del terrorismo e dello Stato, distingue le azioni terroristiche in due categorie: offensive e difensive. Egli considera il terrorismo palestinese e irlandese offensivo e quello italiano difensivo.

“Ricorrono al terrorismo offensivo i disperati e gli illusi; al terrorismo difensivo ricorrono invece sempre e solo gli Stati, o perché sono al fondo di qualche grave crisi sociale o […] perché la temono. Sanguinetti aggiunge che era facile per i servizi segreti controllare i veri gruppi terroristici e […] manipolarli per i propri scopi. “Tutti i gruppetti terroristici segreti sono organizzati e diretti da una gerarchia clandestina agli stessi militanti della clandestinità […]”

La carriera di Ievno Azev, agente della polizia segreta zarista che si infiltrò all’interno del gruppo rivoluzionario socialista tanto abilmente da far dubitare della sua vera fede, è esemplare nel mostrare come sia difficile valutare la credibilità del singolo in un ambiente così oscuro come quello dei servizi […].

Un mistero rimangono invece gli anni trascorsi da Toni Negri negli Stati Uniti, dove usufruì di una borsa di studio della Fondazione Rockefeller. Vi ritornò diverse volte, e non sembra abbia mai incontrato difficoltà nell’ottenere il visto. Questo è molto strano: in un momento in cui si negava il visto ai membri del PCI, il leader di un’organizzazione politica di estrema sinistra andava e veniva a suo piacimento»

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Philip Willan, I burattinai. Stragi e complotti in Italia, Tullio Pironti Editore, Napoli, 1993, p. 19, 20, 30 e 205
Sappiamo che il pandemonium squadernato dalla rete, dal web, può essere endless, infinito. Un gioco dell’oca di antica memoria. In questo labirinto di Arianna dei giorni nostri una ricerca può trovare facilmente una mancanza pressoché totale di costrutto. Specie se si capita in una casella che ci rimanda agli inizi del gioco stesso.

Il nome – la citazione – di Ted Gunderson, detective che ha servito nell’FBI per molti anni specie in California, scatena una ridda, un’autentica panoplia, di rimandi, di piste, di link. Uno dei tanti ci porta ai cosiddetti Finders.

Se si digita infatti il lemma Finders vengono fuori – a fiorire come tante ninfe impazzite – una valanga sconfinata di voci le quali costituiscono solamente un vacuo “rumore bianco” indistinto.

Il link più gettonato che evidentemente pesca l’algoritmo del motore di ricerca ci riporta ad una serie televisiva americana appunto dal nome The Finders.

Ma altre voci, sebbene rare, ci portano dritti dritti ai Finders così intesi come un gruppuscolo tardo hippie.

Ab initio confessiamo di non cavarci da ciò il classico ragno dal buco. La storyboard è così convulsa, così intricata che è come star a pescare il classico ago nel pagliaio.

Nondimeno ci proviamo.

Chissà che la fortuna non arrida agli audaci.

Nell’ottobre del 1977 la TV statunitense NBC-TV[1] manda in onda un programma intitolato The Children and the CIA adombrando possibili collegamenti tra la CIA e certi campi estivi di soggiorno per la gioventù. Lo zampino della CIA stava legato a doppia mandata sia nell’attività di finanziamento a tali campi sia nel classico lavorio di reclutamento degli elementi giudicati “migliori” dall’agenzia…

Il particolare che ci ha colpito è stato l’emergere nella vicenda descritta dalla TV di due nomi che ebbero un ruolo nella costruzione dell’Arte della Magia nelle vicende sessantottine, e quindi da noi descritti nel nostro Sessantotto.[2]

Stiamo parlando del dottor Cameron che era a libro paga durante quel periodo alla Society for the Investigation of Human Ecology e che, di nuovo, nel periodo riportato dalla NBC-TV fungeva da erogatore dei fondi per i campi estivi.

Una coincidenza veder agir protagonisti sempiterni nell’Arte dei Vincoli e dei Legami?

Forse.

Ma stiamo a sentire che impressione ne ebbe Ted Gunderson a proposito di questa strana accolita chiamata The Finders:

«I Finders sono stati un “fronte operativo” fondato dalla CIA negli anni Sessanta che ebbe il lasciapassare di massimo grado nel precipuo compito di rapire e torturare giovani in tutti gli Stati Uniti d’America. I membri di tale gruppo erano stati scelti in quanto  devianti sessuali pronti a coinvolgere forzatamente i giovani “reclutati” in orge e omicidi rituali.

Marion David Pettie, il leader di questo “culto” era un omosessuale, pedofilo nonché appartenente ai ranghi della CIA. Il suo figlio militò nell’Air America, la compagnia aerea nota per aver fatto la spola per conto dei servizi americani tra il Triangolo d’Oro e Saigon durante la guerra del Vietnam al solo scopo di trafficare in stupefacenti».

Gunderson: un mitomane?

Staremo a vedere.

Fatto sta che la classica telefonata anonima scatenò un controllo della polizia nel febbraio del 1987 a Meyers Park, Tallahassee, Florida, in un gruppo di persone. L’indagine rivelò che un gruppo di giovani erano tenuti in stato di semi schiavitù da due adulti, membri dei Finders.

Da qui il detective Jim Bradley della polizia metropolitana di Washington, DC, si adoperò a fare un controllo simile nelle proprietà dei Finders della zona che ebbe la conseguenza di far scattare numerose accuse di sequestro di persona e circonvenzione di incapaci.

Un dettaglio interessante rivelato tramite il ritrovamento di un telex provava la “compera” di due adolescenti di Hong Kong da effettuare tramite un contatto dei Finders presente nella locale ambascita cinese.

Un altro elemento che combinava i Finders a quell’astrolabio della rivolta – il Sessantotto[3] – era la loro cristallina asserzione di voler rompere, come gruppo coeso, ogni paradigma sociale costituito.

Ed in effetti ci sono tutti gli elementi per farci intravedere questi Finders come almeno una propaggine di quel movimento che ha portato il Partito della Dissoluzione al potere in Occidente … e non solo lì.

I Finders – stando sempre a Pettie – erano prossimi a Dick Dabney, un beatnik della prima ora; erano versati nelle pratiche del taoismo, ammantati dall’ideologia pansessista di Wilhelm Reich, in consonanza con tematiche situazioniste, e in caudam semper stat venenum, a braccetto coi servizi segreti.

È lo stesso Pettie che millanta d’esser stato “corteggiato” dalla CIA ma lui a suo dire ha sempre opposto un netto rifiuto in quanto si riteneva non manovrabile in toto da quegli ambienti.

Deliri di un invasato?

Dichiarazioni di un paranoide come ce ne son tanti su internet?

Magari alla ricerca dei famosi 5 minuti di notorietà concessi a tutti seconda la nota massima warholiana?

Non sappiamo dirlo di preciso.

Stiamo a sentire ancora questa ricerca del tempo perduto di Pettie.

Ad un certo punto rammenta d’aver incontrato un tale che rispondeva apparentemente al nome di Joseph Chiang, un agente dei servizi cinesi operante sotto una copertura giornalistica. Con questo contatto sbocciarono “vicinanze” agli uomini dell’OSS e soprattutto a Charles E. Marsh il quale, a sua volta, aveva avuto come mentore nient di meno che il Colonnello Edward M. House, a lungo tempo éminence gris del presidente americano Woodraw Wilson. Marsh fece sì che Pettie potesse acquistare vasti appezzamenti di terreno ove far sorgere basi dei Finders anche e soprattutto con l’aiuto dell’accademico William Yandell Elliott dell’Università di Harvard.

Vi suona come un dejà vu?

Lo stupefacente abbraccio mortale tra Mondo della Sovversione Dissolutoria e Mondo Accademico era già venuto alla luce prepotentemente nel nostro studio del Sessantotto.[4]

Non finiscono qui le mirabilia a cui stiamo andando incontro.

Abbiamo pure la consonanza col mondo farmaceutico! Chi incontra Pettie se non un certo dottor Keith Arnold, basato (guarda caso!) ad Hong Kong per conto della Fondazione Roche?

Ci ricordiamo che l’LSD fu sintetizzata dalla Sandoz svizzera: svizzera come la Roche e farmaceutica appunto come la Hoffman-Roche.

Curioso no?

Non basta però ad esaurire la derivazione prettamente sessantottina di questo subcomandante dei Finders.

Il pilota privato di Billy Hitchcock era Wait Schneider, intimo amico di Pettie…[5]

Vale la pena di perseverare nell scandaglio di questo mare monstrum chiamato The Finders.

Se veniamo più verso i giorni nostri sarà facile accomunare per certi versi le vicende misteriose dei Finders con quelle altrettanto misteriose date dalla copertura che il “Washington Times” nell’articolo datato giugno del 1989 così intitolava: “Homosexual prostitution inquiry ensnares VIPs with Reagan, Bush: ‘Call boys’ took midnight tour of White House”.

L’articolo faceva riferimento agli echi suscitati da una estesissima indagine condotta da John DeCamp – ex senatore dello stato del Nebraska – su uno dei maggiori leader del partito Repubblicano coinvolto, a dire del DeCamp, in un pesantissimo giro di ricatti e sfruttamento sessuale ai danni di giovani di ambo i sessi.

Stessa identica cosa, mutatis mutandis, in Europa, con lo scandalo di Marc Dutroux in Belgio e recentissimamente con quello attinente alla figura del famoso presentatore della BBC, Jimmy Savile.

Oltre al Savile erano coinvolti il famoso comico Freddie Star e il cantante Gary Glitter, tanto che il responsabile della BBC George Entwistle ha definito l’accadimento come uno “tsunami di sporcizia” e “un pozzo senza fondo”.[6]

Ci par di vedere l’Esercizio di Vincoli e Legami nella gestione sapiente[7] di questi reti cultuali pedofile al servizio della Jet Society o è solo un miraggio di semplici ed insignificanti coincidenze, abbacinante quanto ingannatorio?

Cercheremo di vederlo nel prossimo capitolo.

E vedremo se questo presunto miraggio sarà o no la Lex Potentior.

Legge che gli iniziati oligarco-finanziari vogliono rendere quale minimo comune denominatore per chicchessia.[8] Abyssus vocat abyssum.

[1] Servizio le cui tematiche furono riprese più tardi dal “Washington Post” il 7 febbraio 1987.

[2] La punta dell’iceberg di quella lotta furibonda scatenata a partire dal ’68 per una presunta (quanto proditoria innanzitutto per il genere femminile) emancipazione della donna la si può toccar con mano ad esempio nelle vicenda delle due ragazzine romane che – si badi bene – di loro sponte, senza nessuna azione coercitiva da parte di nessun Padre Padrone, di nessuna opera da parte della Famiglia-Fascista-Reazionaria, hanno scelto liberamente di votarsi all’esercizio professionale della prostituzione. Le due minorenni, una delle quali in acerrima lotta con la sua madre che voleva costituire un argine contro tale débauche, hanno dichiarato di volersi emancipare, di gestire la propria vita, prostituendosi e spendendo i loro emolumenti così guadagnati in borse griffate e in stupefacenti! Come non ricordarsi di uno dei tanti slogan “vincenti” del ’68? La fantasia al potere! A questo proposito basta ricordare un testo come quello di Morton Schatzman dal titolo emblematico – La famiglia che uccide – Feltrinelli, Milano, 1974,  per delineare con quanto furore si sia scagliato l’attacco mortale contro l’istituzione familiare colpevole per questi figuri di ogni male possibile ed immaginabile.

[3] «Il momento più prossimo e più carico di significato a partire dal quale iniziare le nostre riflessioni è il 1968. Il Sessantotto è definibile come la più grave rivoluzione della storia in quanto alla rivoluzione religiosa di Lutero (che altera il rapporto fra uomo e Dio); alle rivoluzioni politiche del Seicento e del Settecento (che alterano e rescindono il rapporto tra Stato e Dio, fra politica e religione); alla rivoluzione sociale ed economica del 1917-8 che altera e sovverte alla radice il rapporto fra soggetto, famiglia, lavoro, Stato), a queste rivoluzioni – che rappresentano in realtà un unico processo – il Sessantotto si unisce come rivoluzione che sovverte l’ordine interiore del soggetto rovesciando l’alto e il basso, ponendo la sfera pulsionale, il desiderio, l’istinto come momenti normativi in grado di orientare il tutto della vita. Affetti, passioni, sentimenti, il mondo acefalo e irrazionale della pura istintualità, diventano sovrani e producono la prima non-civiltà istituzionalizzata, il primo luogo cioè in cui è impossbile educare, il primo luogo che pensa il disciplinamento della sfera pulsionale come male, come negazione dell’ordine stesso del valore», Matteo D’Amico, Sessualità, piacere, matrimonio: il Sessantotto come sovversione gnosticawww.effedieffe.com, accesso del 10 maggio 2013.

[4] Si avrà fatto caso che in seguito allo sciamare dell’ideologia psico-sociale sessantottina l’uso, il consumo e l’abuso di droghe non desta quasi più notizia, se non quella ricorrente della loro piena, aperta, cristallina legalizzazione urbi et orbi. Ciò si riflette anche nel linguaggio comune dei media. Il termine “tossico”, ad esempio, è del tutto scomparso. Non è più cool, come si suol dire. Essere tossico, appare, quasi lo standard, non è l’essere out come ai tempi della borghesia… Ad ogni incidente stradale mortale – un altro esempio – c’è l’immancabile sottolineatura del conducente ebbro sotto l’effetto dell’alcol ma raramente si presta attenzione che in realtà l’ebbrezza è data dal cocktail alcol più stupefacenti… Il culmine del doppiopesismo, della mistificazione lo raggiunge certamente l’ultimissimo tam-tam in ordine di apparizione dei media che vorrebbe il fumo della cannabis legalizzata en plein air. Dopo tante battaglie per la demonizzazione del fumo di sigaretta quale giustificazione si addita a favore del sano fumo della marijuana e dell’hascisch quando lo stesso fumare in caso del tabacco normale scatena le nevrastenie più radicali? Forse perché digià un anticipatore ante litteram del ’68, Walter Benjamin, cantava le lodi della morfina, della mescalina e dell’hascisch appunto, nel suo Sull’hascisch?

[5] Cfr. www.prisonplanet.com, accesso del 30 ottobre 2013.

[6] Tsunami di sporcizia che sta assumendo connotati spaventosi. In Svizzera ad esempio il governo ha respinto la legge che proibisce ai pedofili di lavorare coi bambini. Vedi anche Vogliono sdoganare la pedofilia, Italo Romano, www.stampalibera.com, accesso del 3 novembre 2013.

[7] Gestione sapiente dei “legami” che si dispiegò anche nel nostro Paese quando ad esempio fu arrestato in USA  Alessandro Moncini nel lontano 1988. Moncini fu colto in flagrante, stante a registrazioni effettuate dalle forze di polizia, mentre chiedeva il “recapito” di giovani ragazze destinate ad esser preda di efferate violenze. Al che un coro di “fraterna” solidarietà si elevò da Trieste, città da cui proveniva il Moncini, comprendente anche l’Arcivescovo locale, Monsignor Bellomi. Vedi Mark Burdman, The Case of Trieste Satanist Moncini, in “Executive Intelligence Review”, Volume 16, 27 gennaio 1989.

[8] L’affermazione non ha nulla di peregrino. L’esperienza de Il Forteto, di cui abbiamo già accennato, è la riprova che questa marea montante trova sponde accoglienti in vasti strati sia della popolazione che degli alti ranghi. Nei paesi scandinavi (vedi il gruppo femminista svedese Feminist Initiative che propugna addirittura la poligamia) esiste una forte propensione ad incentivare di pari passo la distruzione millimetrica di quel poco che rimane di sano nel concetto di famiglia e la costruzione dell’Impero della Dissoluzione: vedi l’infamante proposta di abolire dai documenti ufficiali la denominazione di padre e madre sostituendola con quella di genitore #1 e genitore #2.

Non solo.

Si sta promuovendo l’idea di obbligare i maschietti agli asili nido ed alle materne ad urinare da seduti come le femminucce onde non dar adito a “discriminazioni”. Di recente un padre, guarda caso: un italiano!, è stato punito con alcuni giorni di carcere per un semplice schiaffo dato a suo figlio in seguito ad una bizza di quest’ultimo: questo per sancire l’odio feroce per ogni potere costituito.

La Svezia non è nuova ad aberrazioni del genere. Già negli anni Trenta i coniugi Alva e Gunnar Myrdal, entrambi eletti nella fila del Partito socialdemocratico, furono convinti assertori di una aperta politica di sterilizzazione coatta degli individui considerati “inadeguati” o economicamente “improduttivi”.

Del resto, come sempre, l’America – per lo meno quell’America basata sui (dis)valoridifesi dalle Oriane Fallaci di turno… – ha fatto da battistrada in questo campo. Già nel 1993 “Time” dava conto del culto dei Children of God, chiamati anche The Family, che contava adepti in più di 70 paesi e membri stimati attorno alle 15.000 unità. Tale culto prevedeva l’uso del sesso smodato e senza limitazioni né freni di sorta per una schiera vastissima di adolescenti resi letteralmente schiavi. Barbara Rudolph, Family of Fear, “Time”, 13 settembre, 1993, p. 46.

L’EUROPA E LA QUESTIONE TEDESCA, di Fabio Falchi

L’EUROPA E LA QUESTIONE TEDESCA

Il nuovo scontro tra Stati Uniti e Germania sulla missione marittima nello Stretto di Hormuz (missione pianificata da Washington per impedire che gli iraniani possano minacciare la libera navigazione in quello Stretto, attaccando o sequestrando delle petroliere come ritorsione per il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano del luglio 2015 – ossia dal Joint Comprehensive Plan of Action – nonché per le sanzioni adottate dagli americani contro l’Iran), è certamente un altro segno del deterioramento dei rapporti tra l’America e Unione Europea. Anche se Berlino afferma che questa missione (cui, se ci sarà, non è escluso che anche la Germania possa parteciparvi) non farebbe altro che gettare benzina sul fuoco, in realtà questo scontro tra la Germania e gli Stati Uniti ha un significato che va ben oltre la questione del nucleare iraniano. In gioco, infatti, vi sono interessi economici e questioni geopolitiche più importanti che la divergenza di opinioni sulla strategia da adottare nei confronti della Repubblica islamica dell’Iran. Per capirlo però occorre fare “qualche passo indietro”.
È noto che l’Unione Europea (e in particolare l’euro) avrebbe dovuto essere lo “strumento” politico-economico mediante il quale ancorare saldamente la Germania all’Atlantico dopo il crollo del Muro di Berlino e la scomparsa dell’Unione Sovietica. Invero, la Germania, ottenendo che l’Unione Europea fosse una “unione competitiva europea” anziché una vera “unione politica europea”, ha saputo usare questo “strumento” per diventare una grande potenza economica, caratterizzata da un enorme surplus della propria bilancia commerciale. Si tratta però di una mera crescita economica che, oltre a creare ogni genere di squilibri all’interno della stessa Unione Europea, ha danneggiato non solo i Paesi dell’area mediterranea ma pure l’economia degli Stati Uniti. In pratica, il cosiddetto “neomercantilismo” della Germania ha contribuito a trasformare l’Unione Europea in un mero “aggregato di Stati nazionali” in lotta tra di loro e al tempo stesso ha reso più tesi i rapporti tra l’UE e l’America. Una situazione resa ancora più complicata dalla vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane del novembre 2016, tanto che perfino l’attuale “attrito” tra l’Unione Europea e l’America è – almeno in parte – un “semplice riflesso” del durissimo scontro ai vertici del potere pubblico della grande potenza d’Oltreoceano (peraltro, anch’esso, come l’abnorme espansione della finanza rispetto alle forze produttive, un “segnale dell’autunno” della potenza egemone e indice di quella crisi di “sovraesposizione imperiale” dell’America già ben analizzata, sia pure nei suoi aspetti essenziali, dallo storico Paul Kennedy nel suo famoso libro “Ascesa e declino delle grandi potenze” pubblicato negli Ottanta del secolo scorso).
D’altra parte, è innegabile che sia ancora la NATO, ossia l’America, a garantire la sicurezza dei Paesi europei e che se l’UE è una nullità geopolitica e militare anche la Germania è pur sempre un nano geopolitico e militare. Insomma, se sotto il profilo economico l’UE è “egemonizzata” dalla Germania, sotto il profilo geopolitico e militare è ancora l’America che “detta legge” in Europa (né il direttorio franco-tedesco può cambiare granché al riguardo, nonostante la megalomania dell’inquilino dell’Eliseo che si illude che la Francia da sola possa controbilanciare la potenza economica della Germania, dato che la Francia è solo una media potenza, non certo una grande potenza, né militare né economica, da circa un secolo – d’altronde, la stessa force de frappe non è che una forza di “dissuasione nucleare”). Facile quindi capire perché Washington non sia disposta a tollerare una politica economica tedesca che danneggi l’America e che non perda occasione per rammentare alla Germania la sua condizione di “Stato vassallo”.
Invero, è la questione dell’atlantismo che è mutata di senso in questi ultimi anni. I dirigenti americani si rendono conto, infatti, che gli Stati Uniti non hanno i mezzi e le risorse per dominare l’intera scacchiera globale ovverosia per dominare l’America Latina, il continente africano, l’area del Pacifico, il Medio Oriente e l’Europa, allo scopo di contrastare l’ascesa della Russia e la Cina (ritenuta ormai anche dai “dem”, ossia i “circoli democratici” del deep State americano, una “potenza maligna”). In questo senso, il neoatlantismo (o neoimperialismo) di Trump si differenzia dall’euro-atlantismo, che è incentrato sul rapporto privilegiato tra America ed UE soprattutto in funzione antirussa. Tuttavia anche Trump, che verosimilmente non è ostile per principio nei confronti della Russia di Putin, sembra “prigioniero” dei falchi del gigantesco Warfare State americano che, come i “dem, ritengono ancora la Russia il nemico principale dell’America e quindi considerano i Paesi dell’UE alleati di fondamentale importanza. In effetti, uno degli scopi principali della NATO è quello di garantire che la Germania non possa varcare la “linea rossa” che separa l’UE dalla Russia. Il rischio, pertanto, secondo i “dem” e gran parte degli “strateghi” americani, è che la politica di Trump possa indebolire la posizione geostrategica dell’America in Europa e al tempo stesso impedire agli Stati Uniti di potere giocare la carta della “pax americana” in Medio Oriente (non si deve dimenticare che sono stati proprio “dem” a volere l’accordo sul nucleare iraniano), creando così una situazione di “caos geopolitico” di cui si potrebbe avvantaggiare solo la Russia.
In questo contesto, però è ovvio che il neoatlantismo di Trump costituisca pure una minaccia per la Germania, che grazie all’euro-atlantismo ha potuto conquistare la supremazia economica in Europa ma che non ha certo la “stazza” per confrontarsi direttamente con le grandi potenze (Stati Uniti, Russia, e Cina) e nemmeno la potenza militare per difendere i suoi interessi economici nel caso di un conflitto internazionale “ad alta intensità”. La strategia economica della Germania, imperniata non sulla crescita economica e geopolitica dell’Europa ma solo sulla crescita economica della Germania e sull’espansione ad Est della NATO, si sta pertanto imbattendo nei propri limiti, tanto che la Germania rischia di finire in una “trappola strategica”. Difatti, la stessa espansione ad Est della NATO rende praticamente impossibile la formazione di un asse geopolitico russo-tedesco, mentre la russofobia che caratterizza l’euro-atlantismo ha favorito la formazione di un asse russo-cinese. In sostanza, la Germania sembra ritenere di potere da un lato “inglobare” la Russia nello spazio geo-economico egemonizzato dai tedeschi (che si può definire il loro Lebensraum) e dall’altro “condizionare” la politica di Mosca mediante la NATO. Un disegno geopolitico che per realizzarsi esigerebbe non solo che la Russia cedesse alla pre-potenza della NATO ma che la potenza militare dell’America fosse “al servizio” degli interessi della Germania.
Ovviamente, sebbene non si possa certo affermare che i tedeschi dopo Bismarck si siano distinti per acume politico-strategico, anche i dirigenti tedeschi sono consapevoli dei rischi che corre la Germania per la sua debolezza geopolitica e militare. Tuttavia, questo non significa affatto che la Germania sia pronta a “smarcarsi” dagli Stati Uniti per trasformare l’Unione Europea in una grande potenza economica e militare. Questo è solo il “sogno” di coloro che pensano che le lancette della storia si siano fermate nell’agosto del 1939, cioè allorché fu firmato il patto Molotov-Ribbentrop. Di fatto, la Germania in questi anni si è solo limitata  a trarre il maggior profitto possibile dal declino relativo della grande potenza d’Oltreoceano, cercando sì di fare “affari” anche con la Russia, ma nel contempo adoperandosi in ogni modo per rafforzare l’area baltica, notoriamente la più russofoba d’Europa, a scapito di quella mediterranea (tanto da osteggiare il gasdotto South Stream per potere raddoppiare il gasdotto Nord Stream e diventare così l’unico Paese europeo in cui possa arrivare il gas russo). D’altro canto, non è certo un segreto che Berlino non ne vuole nemmeno sapere di una “visione geopolitica” europea, proprio come non ne vuole sapere di unico debito pubblico europeo (presupposto essenziale per una unione politica europea). Non a caso, perfino per quanto concerne l’accordo sul nucleare iraniano la Germania ha voluto ad ogni costo distinguere nettamente la sua posizione non solo da quella della Francia ma da quella della stessa UE. Ed è anche noto che la Germania vorrebbe, per sé non certo per l’UE, un posto tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Pare lecito dunque affermare che il neoatlantsimo di Trump o, meglio, l’inizio di una fase geopolitica multipolare ha messo in luce la miopia politico-strategica della Germania che in questi anni ha buttato al vento l’occasione per diventare davvero egemone in Europa. Vale a dire che la Germania pare incapace di distinguere tra mero dominio (o supremazia) ed egemonia (nel senso forte del termine, ossia “gramsciano”), mentre la storia dell’Europa prova che nessuna potenza europea è in grado di “dominare” l’Europa (e si badi che senza il rafforzamento dell’area mediterranea non è possibile neppure creare uno spazio geopolitico “eurasiatico”, sia pure multipolare e in sé differenziato), mentre i conflitti o, se si preferisce, la “competizione” tra i vari Paesi europei non può che avvantaggiare una potenza non europea, ovvero gli Stati Uniti. Le conseguenze del fallimento politico-strategico della Germania (che sarebbe il terzo nel giro di un secolo!) potrebbero quindi avere conseguenze disastrose anche per gli altri Paesi europei.
Ciononostante, bisogna vedere anche l’altro lato della medaglia, dato che, se il declino relativo degli Stati Uniti sul piano geopolitico ha già portato alla formazione di nuovi centri di potenza sia a livello mondiale (Russia e Cina) che a livello regionale (India, Israele Turchia, Iran, ecc.), la crisi del sistema neoliberale occidentale ha portato alla nascita di forze politiche “populiste” (giacché il “populismo” non è che un effetto della crisi di un sistema politico che non sa risolvere i problemi che esso stesso genera), che hanno già messo forti radici in America e in Europa, benché non si possano definire, a differenza della Russia  e della Cina che sono centri di potenza anti-egemonici, delle forze politiche “anti-egemoniche”. In altri termini, si è in presenza di una fase di transizione egemonica, che è appena cominciata e che, anche se nessuno sa come finirà, probabilmente sarà di lunga durata e contrassegnata da aspri conflitti e perfino da nuove forme di guerra.
In definitiva, si può ritenere che anche la questione tedesca sia solo un aspetto di una questione ben più grande, ossia quella della civiltà europea, che verosimilmente si deciderà in questa fase di transizione egemonica. Non si deve ignorare, infatti, che geo-politica non è sinonimo di politica estera o di relazioni internazionali ma che in primo luogo designa il fatto che l’uomo non può che “abitare politicamente la terra”, ragion per cui non vi è transizione egemonica che non sia contraddistinta dalla nascita di nuovi “paradigmi” culturali e dalla scomparsa di altri. Del resto, che la crisi geopolitica dell’Europa sia anche una crisi della civiltà europea è ormai sotto gli occhi di chiunque, ad eccezione di coloro che non vogliono vedere o che pensano che i problemi si possano risolvere negando la realtà.

NOTIZIE DA UN ALTRO PIANETA, di Pierluigi Fagan

NOTIZIE DA UN ALTRO PIANETA. La NASA ha pubblicato su Nature uno studio incredibile. Tramite osservazione satellitare, si sono accorti che il pianeta Terra è più verde di venti anni fa. Se ne sono accorti dopo un po’ dall’inizio del monitoraggio appunto venti anni fa, ed avevano pensato che questa ripresa del verde planetario fosse un prodotto inaspettato dell’esubero di CO2, una sorta di effetto benefico collaterale all’effetto ritenuto malefico dell’eccesso di emissioni, una applicazione della logica Zichichi, un maitre à penser che ultimamente ha molto seguito qui da noi.

Col tempo però, comparando le rilevazioni su mappe, hanno scoperto che tutto il rinverdimento planetario era concentrato in due zone di questo strano altro pianeta, le zone dette “Cina” ed “India”. Caramba, che sorpresa! Hanno poi scoperto che i gli abitanti di questo strano altro mondo, i cinesi, usano quello che chiamano “Esercito Popolare” per piantare alberi che contrastino l’avanzata dei deserti interni ed anzi, pare che questi strani esseri si siano messi in testa di rubare spazio al deserto stesso, piantando alberi a ripetizione. Un esercito di vangatori, che buffa idea, no? Mettete dei fiori nei vostri cannoni, diceva una antica canzone … . Si sono anche detti sorpresi del fatto che, alla stessa NASA, avevano letto i giornali che mostravano quanto pazzi fossero questi cinesi che si auto-soffocavano con l’emissione di CO2 a causa della dissennata idea di far avanzare il loro sviluppo. Ma allora non erano così pazzi se il satellite dotato addirittura di un Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer, o Modis (un po’ di auto-pubblicità su gli effetti meravigliosi degli investimenti in tecnologia ci vuole sempre, no?), mostrava questa massiccia avanzata del bosco cinese.

Quanto a quegli altri alieni degli indiani, alla NASA hanno scoperto che a furia di fare figli che chiedevano di mangiare, si sono messi a coltivare sempre più spazio con culture multiple. Insomma, i bizzarri indiani continuando pervicacemente a volersi nutrire con i vegetali, con l’agricoltura invece che le manipolazioni molecolari driven by biotecnologie di società quotate in borsa (creazione di valore dogma centrale della nostra forma di civiltà avanzata), piantano cose che poi crescono aumentando il verde. Che buffo, no?

Certo, che i cinesi siano strani visto che si ostinano a definirsi addirittura “comunisti”, si sa, ma gli indiani sarebbero pure “democratici”. Cose dell’altro mondo …

E dire che invece, qui nel nostro pianeta, il nostro campione del nuovo Sud America liberato dalla presa dell’illiberismo chavista-lulista, Bolsonaro, il verde lo sta eliminando. Mah, comunque in quell’altro strano pianeta del quale non avremmo notizie senza l’occhio vigile della NASA, anche gli etiopi stanno piantando alberelli, 350 milioni per la precisione in meno di dodici ore, giusto ieri. Su quell’altro pianeta sottosviluppato, deve esserci una strana epidemia di ragion pratica …

Mano umana (nome della strana specie che abita questo altro pianeta di esseri strani), non mano invisibile. La mano invisibile il verde lo distrugge per creare valore salvo poi mandare ragazzine con l’aria truce in giro per le grandi assemblee dei potenti a far da coscienza infelice che ammonisce. Qui da noi, allora, si scrivono corposi libri sull’Antropocene, usando carta che è presa dagli alberi che Bolsonaro sta buttando giù. Lì invece nell’altro pianeta, non scrivono libri ma prendono zappe e vanghe e piantano semi.

Chissà, magari invece che lo scontro delle civiltà e la guerra dei mondi, ci converrebbe copiare questi alieni animati da una ragione strumentale così diversa dalla nostra? Chissà, forse è una fake news della sezione orientalista della NASA …

[“Richiede una mente davvero insolita intraprendere l’analisi dell’ovvio” A. N. Whitehead]

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L’ETA’ DELL’EMPATIA, di Piero Visani

RATING SEMI-SILLOGISTICO di PIERO VISANI

Carabiniere morto accoltellato: va beh, ci può stare e – al limite – se l’è cercata.
Presunto colpevole ammanettato e bendato: violenza gravissima, da Stato di polizia, che nega i diritti fondamentali a chi non è ancora stato giudicato da un tribunale
Ergo: la vita NON è un diritto fondamentale, perché “chi muore giace e chi vive si dà (molta) pace”.
E’ morto, fine della storia. La storia dei Diritti Umani, invece, continua spedita e la sua falce cerca nuove vittime innocenti. Ma volete mettere la teoria alle prese con la pratica? Dopo tutto, sì, il carabiniere è morto, ma – a parte che siamo “affranti dal dolore” – mica era un parente o un affine mio…
Comunque – e questo va detto con estrema, assoluta chiarezza – chi ha fatto la foto e chi l’ha diffusa non ha capito NULLA di guerra ibrida e ha colto un unico obiettivo: far dimenticare il collega ucciso e far diventare un eroe il presunto colpevole. Complimenti, ennesima grande impresa di chi combatte (e male, molto male) le guerre passate e SA NULLA di quelle presenti e future! E, a quanto pare, pure se ne compiace.
Continuate così, fatevi del male…

L’ETA’ DELL’EMPATIA

In un’epoca altamente empatica come l’attuale, dove tutte le emozioni (anche quelle da poco, per dirla con Anna Oxa…) suscitano reazioni incredibilmente sopra le righe da parte di persone in preda ad assoluta sovraeccitazione, è del tutto EVIDENTE che la notizia nuova scaccia quella vecchia e che, se la notizia nuova riesce a produrre nuova EMPATIA, viene cancellata buona parte dell’effetto di quella vecchia.
Io non so e tanto meno pretendo di sapere se il ragazzo bendato e ammanettato sia colpevole, e neppure tocca a me stabilirlo. A me tocca capire – questo è il mio compito, anche se della cosa non interessa ad alcuno, visto che da decenni faccio un altro mestiere – come mai AD OGNI AZIONE SUBENTRA MEDIATICAMENTE UNA REAZIONE, spesso non meno efficace, a fini di innesco di emotività, dell’evento precedente.
Quello che mi chiedo – e si tratta di domande cruciali:
1) chi ha fatto le foto?
2) Perché le ha fatte? Pensava di giovare all’Arma? Allora, per essere eufemistici, è incredibilmente ingenuo.
3) Pensava di nuocere all’Arma e di farci un discreto gruzzoletto? Allora è come minimo un infiltrato, che agiva per conto terzi, oltre che per lucro personale.
Nell’ipotesi 2), il fotografante non sapeva NULLA di guerra ibrida e di conflitto mediatico, ma – nell’ipotesi 3) – la conosceva fin troppo bene e stava agendo per conto di ottimi professionisti del settore.
Al di là del dolore per il caduto, tutte le questioni si combattono e si risolvono in quest’ambito, e sono meno complicate della fisica dei quanti, se solo qualcuno avesse voglia di dedicarvisi. Ovviamente per puntare a risultati metapolitici di lungo periodo, perché i sondaggi d’opinione sono ingannevoli e al massimo producono fiammate. NON SERVE AD ALCUNCHé VOTARE IN UNA CERTA DIREZIONE, OCCORRE INVECE PENSARE PERMANENTEMENTE IN QUELLA DIREZIONE E ACQUISIRE VISIONI E VALORI STABILI E STRUTTURATI, NONCHé DOTARSI DI STRUMENTI ATTI A COMBATTERE I CONFLITTI PRESENTI E FUTURI.
In Senato siede un signore che ha avuto un consenso del 42%, poco tempo fa. Quale è la sua credibilità attuale?

ROBERTO BUFFAGNI _CI SEI O CI FAI?

Ho notato che anche nel caso di Carola è uscita una sua foto scattata in questura. L’ipotesi più semplice mi pare questa: che i giornalisti abbiano le loro fonti all’interno delle questure e delle stazioni dei carabinieri, che le suddette fonti si facciano meno scrupoli che in passato a passare informazioni riservate (motivi ce ne sono tanti, dallo svaccamento generale al “chi me lo fa fare” innescato dalla magistratura nelle FFOO). Chi ha scattato la foto al ragazzo bendato è poi molto sciocco, perchè dalla posizione di scatto è facile risalire a lui, infatti pare l’abbiano già beccato.

IL VERO E IL FALSO di Piero Visani

In riferimento alle molte polemiche sull’uccisione del carabiniere a Roma e alla “tempestiva” pubblicazione di una foto che non giova particolarmente alle pratiche adottate dagli inquirenti, mi è venuto in mente il documento che segue, che il professor Virgilio Ilari, senza ombra di dubbio il massimo storico militare italiano attuale, ha pubblicato a pagina 8 del saggio – da lui curato – “Future Wars. Storia della distopia militare”, Roma – Milano 2016.
In esso si riproduce un documento “segreto” dello Stato Maggiore Generale del 21 luglio 1940, in cui, un mese dopo la capitolazione della Francia, il maresciallo Badoglio rimanda al mittente un rapporto sulle tattiche adottate nel corso della recentissima campagna di Francia dalle forze corazzate tedesche, che gli era stato trasmesso dall’Ufficio Operazioni, con la “brillante” notazione: “lo studieremo a guerra finita”. Il documento – chiosa con malizia e ironia lo stesso Ilari – è ovviamente falso, ma “se non è vero, è ben trovato”…
Mi è venuto in mente leggendo certi “dotti” commenti sulla fuoriuscita di una fotografia che non sarebbe mai dovuta uscire dalle “segrete stanze” e mi sono chiesto come queste ultime continuino ad essere occupate non solo dai “marescialli Gargiulo”, ai quali certe sottigliezze non possono essere chieste, ma anche da supergallonati che combattono SEMPRE le guerre precedenti, rinviando forse – come fece il loro illustre predecessore citato qui – l’analisi di quanto accaduto a guerra finita, E OVVIAMENTE PERSA, senza in apparenza rendersi conto che la distinzione tra vero e falso, nella società della virtualità reale, non ha più alcun senso, perché OGGI ” E’ ” SOLO CIO’ CHE APPARE. E se questo accade per trascuratezza o per pura insipienza, cambia davvero poco rispetto agli esiti finali, a meno che non accada per dolo, ipotesi che per il momento non vogliamo prendere in considerazione, per quel microscopico residuo di “carità di patria” che resta a chi scrive.

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Una terapia filosofica per una psicoterapia, di Paolo Di Remigio

Una terapia filosofica per una psicoterapia

 

Sulle vicende di Bibbiano Claudio Foti, direttore scientifico del centro studi ‘Hansel (sic!) e Gretel’, ha pubblicato una nota[1] redatta in un registro espressivo vago, generico, volto a rassicurare il lettore distratto; è però sufficiente una minima attenzione e sotto ogni riga si scorgerà un brulicare di infrazioni di ogni legge naturale e umana.

Vi si legge: “Piovono minacce quotidiane” su quanti sono “impegnati sul fronte dell’allontanamento dei bambini.” Mentre la pioggia cade alla cieca sugli uomini, le minacce sono un’espressione umana; se però piovono, le minacce cessano di essere umane, diventano un fenomeno naturale cieco, privo di razionalità, quindi di diritto. Le minacce piovono poi non su chi protegge i bambini e in casi estremi li allontana dalle famiglie, ma su chi li allontana semplicemente. Ne segue che nel mondo in cui Foti vive è così giusto, così razionale allontanare i bambini dalle madri e dai padri, che la reazione della gente agli allontanamenti è degradata a un fenomeno inanimato come la pioggia: la razionalità psicoterapeutica di Foti si erge sulla razionalità della gente come l’intelligenza dell’uomo si eleva sulla sorda materialità della cosa.

Le reazioni di odio, prosegue Foti, “si sono generate e sono cresciute mano a mano che crescevano gli interventi sociali e psicologici per sostenere i genitori, ma anche per limitare la loro onnipotenza (della serie “come ti ho fatto, ti disfaccio”).” Qui si presenta un doppio errore, fattuale e logico. Le reazioni di odio non sono affatto proporzionali agli interventi sociali e psicologici, ma sono nate da qualche settimana, dopo che la divulgazione di precisi documenti ha scosso l’incredulità verso fatti sì enormi e ha colpito nel profondo i punti più delicati di ogni individuo, il rapporto con i suoi genitori e quello con i suoi figli. La frase è dunque falsa. – È però anche illogica. Se le reazioni negative a una terapia, in questo caso gli interventi sociali e psicologici, sono tanto maggiori quanto più la si applica, allora la terapia è sbagliata; e un medico che non vede il prodursi di un rapporto proporzionale diretto tra applicazione della sua cura e aggravarsi della malattia del paziente è per lo meno un incapace. Constatando la proporzionalità diretta tra interventi sociali e psicologici e odio, da un lato Foti confessa di fatto l’errore, dall’altro non lo riconosce: egli si sente in errore ma non si sente in errore, si colloca cioè come coincidentia oppositorum al di là del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto. In quanto poi egli non è solo un teorico, ma anche un terapeuta, il suo sentirsi nel vero quando si sente nel falso si trasforma in sentimento di sovranità assoluta. Il lettore stesso potrebbe però sentire questa conseguenza, sentire che è stato superato il limite umano e si è compiuto il salto nell’infinità. Prima che il lettore focalizzi l’onnipotenza e gliela imputi, Foti la evoca e la sposta da sé alle vittime: ciò che gli doveva essere rinfacciato lo rinfaccia ai genitori in generale; e così la sua pretesa di onnipotenza diventa l’essenza della condizione genitoriale.

Come potrebbe il lettore non lasciarsi sviare da una mossa così astuta? Chi non ricorda che da bambino ha considerato i suoi genitori come dèi infallibili e per tutta l’adolescenza si è sforzato di sottrarsi alla loro onnipotenza? Foti ha dalla sua parte l’esperienza generale: tutti dobbiamo riconoscere l’onnipotenza dei genitori, ed è raro essere dei dialettici così esercitati da comprendere che tutti dobbiamo riconoscere anche l’assoluta impotenza dei genitori.

Come ogni rapporto umano, il rapporto tra genitori e figli sottostà al principio del riconoscimento, l’Anerkennen hegeliano per cui il mio io si costituisce sdoppiandosi in un io altro: per il genitore, il figlio è il suo sé esistente in un corpo fuori di lui, che egli ha generato perché viva dopo la sua morte. Il loro rapporto è complesso; contiene addirittura una doppia contraddizione: io sono mio figlio, dunque non sono me stesso, sono altro da me – questa è la mia totale impotenza e la sua onnipotenza; viceversa, mio figlio è me, non è sé stesso, è altro da sé – questa è la sua totale impotenza e la mia onnipotenza. Foti vede soltanto questa seconda contraddizione; esce dunque dalla realtà dell’intero rapporto, e meno che mai può comprendere che la sua doppia contraddizione si risolve: sapendo che mio figlio è me stesso, sicuro cioè della mia onnipotenza, accetto la sua separazione e la mia impotenza, e sono me stesso nella mia alterità; viceversa, mio figlio mi conserva nella sua separazione. È vero dunque che i genitori sono onnipotenti in quanto il figlio è il loro sé, ma è altrettanto vero che sono impotenti in quanto sono sé stessi nel figlio, e questo vivere oltre sé stessi nella piena indipendenza dei figli, l’eternità della specie, l’Ἔρως platonico, è esattamente il motivo per cui si mette insieme una famiglia e si fanno bambini. Non occorre allora che una psicoterapia pelosa si insinui tra genitori e i figli a limitare l’onnipotenza di quelli e a tutelare l’impotenza di questi; onnipotenza e impotenza sono poste come soppresse dalla notte dei tempi; il problema è risolto da sempre e se la psicologia vuole avere qualche utilità oltre la correzione dei propri errori deve limitarsi a dare consigli sui casi eccezionali, quelli in cui l’idea della famiglia nell’attuarsi entra in contrasto con il proprio concetto.

Cercando di nascondere con una concessione generosa la sua radicale incomprensione dell’idea di famiglia, Foti arriva a pronunciare la blasfemia che essa “rappresenta la più straordinaria risorsa educativa dei bambini”. È del tutto illegittimo parlare di bambini come di esseri autonomi che frequentano la famiglia per farsi educare[2]; a questo mondo non c’è nulla di simile, ma ci sono figli che nei primi anni della loro vita sono bambini; in altre parole: il bambino è sostanzialmente figlio di qualcuno e il figlio può essere bambino per accidens; parlare di bambini come se non fossero figli equivale a strapparli già nel concetto alla famiglia. La famiglia non ha inoltre proprio nulla di straordinario, è anzi l’ordinarietà della riproduzione umana; altrettanto impropria è l’espressione che la famiglia sia la più straordinaria risorsa educativa dei bambini, innanzitutto perché la famiglia educa i bambini, certo, ma questa sua funzione non è l’unica, e poi perché non è in concorrenza con altre ‘risorse’ educative, di cui sarebbe migliore, ma è sic et simpliciter il mondo del bambino che da sempre, dunque molto prima che arrivassero gli psicoterapeuti e le altre risorse educative, lo allarga e infine se ne allontana crescendo.

Come se fosse il guru di una setta, Foti rafforza la compattezza del suo gruppo esaltando la propria generosità e la sua armonia interna ed esasperando la malignità del mondo esterno. Nel suo mondo gli istituti e le famiglie a cui sono affidati i bambini tolti ai genitori sono un’oasi di pace; i genitori sono invece membri di una minacciosa congiura per la restaurazione del diritto romano, in cui veramente i figli erano proprietà dei padri. Egli deplora quindi che per “una parte della comunità sociale la famiglia (sia) sacra e intoccabile… (sia) sempre e comunque un microcosmo idealizzato (sic!) dove i bambini (sarebbero) protetti e benvoluti”. ‘Come si può pensare – sembra dire Foti – che la famiglia sia sacra quando la cronaca quotidiana ci racconta di genitori sciagurati che abusano dei loro figli, che li picchiano a morte?’ E invece non soltanto lo si può, lo si deve pensare, perché le due frasi che Foti esprime come se fossero identiche, sono separate da un abisso: dire che la famiglia è sacra non equivale affatto a dire che la famiglia è sempre e comunque un microcosmo ideale. In primo luogo, già nel concedere la possibilità che essa sia un microcosmo ideale Foti riconosce, senza accorgersene, proprio la sacralità dell’idea di famiglia: l’idea di famiglia è sacra, e lo è anche se non sempre e non ovunque le famiglie empiriche proteggono i bambini e vogliono loro bene. Di ogni idea esistono infatti esemplari imperfetti, ma il cattivo esemplare non dimostra affatto il difetto dell’idea: il fatto che le persone abusino della libertà non è un argomento a favore del totalitarismo, come pure non è un motivo per abolire le leggi il fatto che i delinquenti le infrangono. La limitatezza dell’idea non può essere mostrata a livello fattuale, deve essere dimostrata dalla critica a priori: non gli operatori che si occupano dei singoli casi, ma solo il filosofo morale può mostrare il limite della famiglia; esso consiste non nel fatto che ci sono cattive famiglie, ma nella possibilità che essa si sciolga con il mutare del sentimento dei coniugi e nella necessità che con il diventare adulti dei figli essa si sciolga in una pluralità di famiglie tra loro estranee.

“Laddove c’è un processo di cambiamento sociale (Foti intende la nuova attenzione al tema della tutela dei bambini) si crea sempre una reazione sociale ostile.” La vaghezza della frase non impedirà al lettore attento di vedervi una dichiarazione di guerra. La famiglia è essenzialmente tutela dei bambini: i genitori si preoccupano innanzitutto e spesso esageratamente di proteggere i figli assicurando loro la salute e la crescita fisica, desiderandone la libertà e la felicità. E non lo fanno per bontà o per generosità – se così fosse la famiglia sarebbe un’istituzione non meno pericolosa delle ‘risorse educative’ –, ma perché vedono sé stessi nei figli, perché non possono distinguere il proprio interesse da quello dei figli, quindi per un egoismo allargato. La nuova attenzione alla tutela dei bambini, l’espressione astratta usata da Foti, tradotta in forma concreta, significa dunque che ci sono nuove entità interessate a tutelare i bambini. È interesse di queste nuove entità diffondere l’opinione che la famiglia non sia in sé stessa tutela dei bambini, per farsi riconoscere il potere insindacabile di sottrarle i figli. ‘So bene – così dobbiamo tradurre il discorso di Foti – che voi famiglie reagirete in modo ostile a questa operazione, ma il cambiamento sociale è già un processo, cioè è già avviato e non può essere né fermato né riportato indietro’ – troppi gli interessi che alimenta, troppi i complici che lo coprono all’interno delle istituzioni. Così Foti dichiara la sua guerra alla famiglia.

Il completo rovesciamento etico che traspare da tutta la nota era in fondo già suggerito dal nome del centro, ‘Hansel e Gretel’, di cui Foti è direttore scientifico. Innanzitutto il primo dei due nomi offende l’ortografia tedesca, che è Hänsel o, se si vuole, Haensel; la scelta della favola in cui i fratellini sono abbandonati nel bosco su istigazione della matrigna e sono accolti da una strega che li vuole divorare offende poi il buon senso. Soltanto degli adepti della psicanalisi direbbero che vi si manifestano due desideri inconsci, quello di mutare l’anima del bambino e quello di sfruttare situazioni familiari difficili per impossessarsi dei figli altrui, suggestionarli e annientarli; è però stupefacente che al centro studi che ne ha usato il titolo come sua denominazione sia sfuggito il finale della fiaba: Hänsel e Gretel tornano a casa dopo aver bruciato la strega.

 

 

[1] Consultabile al seguente indirizzo:  https://www.facebook.com/claudio.foti.583/posts/1507426572744281

[2] L’ideologia progressista non ha problemi ad affermare con la stessa forza la totale dipendenza del feto e la totale indipendenza del bambino.

affidamenti e scomode verità, di Andrea Zhok e Roberto Buffagni, Marco della Luna

ANDREA ZHOK

Con le ultime passerelle politiche il tasso di strumentalizzazione della vicenda di Bibbiano mi pare stia superando la soglia di guardia. Sotto le apparenze di una tenzone simbolica e di una grande battaglia culturale direi che si stia giocando al solito giochino nazionale del lancio del secchio di letame per uno zero virgola nei sondaggi.

I dati accertati che abbiamo sulla vicenda non sono molti.
Sembra accertato:
– che vi sia stato un utilizzo strumentale e disonesto di tecniche diagnostiche da parte di operatori dei servizi sociali nell’area di Bibbiano;
– che tale utilizzo sia stato volto a sottrarre i figli a famiglie in difficoltà per darli in affidamento;
– che l’onlus di Moncalieri “Hansel e Gretel”, cui sono stati affidati gli interventi psicoterapeutici, ci abbia guadagnato in maniera sproporzionata;
– che il sindaco di Bibbiano, del PD, sia accusato di abuso d’ufficio per aver assegnato senza concorso alla onlus l’incarico di prendersi cura dei minori;
– che una dirigente dei servizi sociali e un assistente sociale abbiano brigato illegalmente per affidare i bambini a coppie conosciute personalmente.
– Se ci siano stati anche guadagni o accordi in cui sono coinvolte le famiglie affidatarie per il momento è un’illazione.

Ora, perché questo caso è diventato così centrale nella discussione pubblica?

C’è naturalmente una componente di ben motivato schifo di fronte all’intervento di gente che dovrebbe prendersi cura dei bambini e che invece li ha manipolati per toglierli alle proprie famiglie. L’idea che una falsa accusa con dietro la forza pubblica possa toglierti un figlio è un’immagine sufficientemente potente da muovere allo sdegno chiunque abbia sangue nelle vene.

Però se fosse stato solo questo, la vicenda si sarebbe esaurita secondo il classico ciclo dello sdegno mediatico: 48-72 ore e poi si sarebbe passati oltre.

A rendere invece la questione un ‘caso esemplare’ sembra essere stata una ghiotta coincidenza, ovvero la presenza di soggetti coinvolti di area PD, e la possibilità di intravedervi le tracce di una specifica cultura ‘di sinistra’ tradizionalmente critica verso l’istituzione della famiglia.

Ora però questa sovrapposizione è sì politicamente golosa, ma anche abbastanza raffazzonata.

In primo luogo il PD, che è dalla sua nascita uno scatolone elettorale senza anima, non ha abbastanza anima neppure per nutrire nel suo seno quell’antifamilismo sessantottardo di cui qui lo si sospetta: per ogni Boldrini c’è una Binetti, in un partito che nasce e vive per lisciare il pelo ‘a Franza o Spagna, purché se magna’.

Quanto alla minaccia all’istituzione famigliare rappresentata dalle svariate teorie uscite dalle elucubrazioni della vecchia ‘Nuova Sinistra’, nel contesto italiano si tratta di una minaccia abbastanza modesta. La presenza conservatice del Vaticano, a mio avviso spesso eccessivamente ingombrante, ha fatto da freno in Italia al diffondersi incontrollato di quelle corbellerie travestite di pseudodignità scientifica che vedevano nella famiglia la matrice di tutti i mali. Non che non ci siano, dunque, ottime ragioni per contestare quelle idee quando riemergono, ma è difficile credere che nel contesto italiano esse siano posizioni di massa (e grazie al cielo).

Di contro, come non è da trascurare l’antifamilismo beota di cui sopra, nel contesto italiano bisogna anche stare attenti a non creare santini aprioristici de ‘La Famiglia’.
La famiglia è la più importante delle istituzioni sociali, dunque ogni attacco scomposto ad essa è, prima ancora che refutabile, semplicemente stupido; e tuttavia esistono davvero famiglie gravemente disfunzionali, ed esistono davvero situazioni in cui per il bene dei bambini la strada giusta è l’allontanamento.
In questioni così delicate andarci giù a colpi di mazzate ideologiche non fa davvero bene a nessuno.

Detto questo, proprio perché la famiglia è la più importante delle istituzioni umane, magari spostare un po’ il fuoco della questione potrebbe risultare utile.

Le famiglie non esistono in una realtà separata e parallela.
In esse si scaricano le tensioni e contraddizioni dell’intera società.
I bambini di cui oggi ci preoccupiamo sono quelli lasciati a balia presso la TV perché i genitori lavorano più ore dell’orologio;
o sono i bambini che crescono in ambienti instabili perché la glorificata ‘flessibilità’ esige che ci si sposti ovunque c’è lavoro (sarai mica ‘choosy’);
o sono i bambini a cui è richiesto di ‘crescere onesti’ mentre l’intero mondo intorno canta le lodi di ‘chi ha la grana’, non importa come ottenuta.

Vi vedo, politici di ogni colore, ora affastellati nella viva preoccupazione per la ‘sorte dei bambini’.
Beh, per ogni bimbo coinvolto in quel di Bibbiano ce ne sono decine di migliaia di cui, senza clamori, il futuro si sta compromettendo ora, nelle quotidiane difficoltà delle loro famiglie.
Mettere su famiglia in Italia è infatti, e non da oggi, una scommessa che rema contro tutto ciò che lodate giorno e notte: competitività, mobilità, benessere economico.

E poi se infine è proprio solo l’osso di Bibbiano che volete rodere, beh, allora chiedetevi perché diavolo un’attività che rientra nelle finalità tipiche dell’interesse pubblico debba essere esternalizzata a privati, introducendo la motivazione del profitto in un’area dove essa non ha cittadinanza. (E solo adesso, se vi era rimasto in tasca qualche uovo marcio per il PD, potete legittimamente tirarlo fuori).

Breve aggiunta al post su Bibbiano.

Con poche eccezioni, la discussione seguita al post è stata molto interessante e personalmente istruttiva.

Alla luce di alcune informazioni che ignoravo, che mi sono state gentilmente segnalate, e di cui riporto gli estremi più sotto, credo sia opportuno aggiungere questa considerazione.

Anche dopo tali informazioni, il senso del post rimane quello che intendeva essere e ne rivendico integralmente i contenuti, e precisamente:
1) non credo affatto che ci sia una ‘congiura ideologica del PD’ dietro ai fatti di Bibbiano;
2) credo che la strumentalizzazione politica e l’eco mediatica non sarebbero state le stesse senza il coinvolgimento di politici del PD;
3) credo che la questione di gran lunga più importante da affontare in questo paese sia l’aiuto alle famiglie nel loro complesso, aiuti che implicano una riflessione su come vogliamo che crescano i nostri figli, che domani non saranno solo ‘figli delle loro famiglie’, ma ‘figli di tutti’, concittadini.

Detto questo, da quanto è emerso, credo si debba aggiungere, su un piano differente, quanto segue:

Il caso di Bibbiano, se usato non per fare polemica politica spicciola, ma per focalizzare su un macroscopico problema relativo agli affidi forzosi, può essere utile. E’ importante però uscire dalla logica della ‘congiura di indole politica’, che finisce solo per offuscare il problema, creando i soliti blocchi contrapposti che lasciano tutto come prima.

Sembra chiaro (anche sulla scorta di quanto mi è stato detto in via privata da lavoratori sul campo), che esista davvero una situazione di malfunzionamento drammatico e perdurante dell’istituto dell’affido e dei relativi meccanismi di intervento legale.

Il ruolo ambiguo dei giudici onorari in frequente conflitto di interesse è inammissibile, la non appellabilità delle decisioni di allontanamento è kafkiana, l’esternalizzazione dei servizi crea talora circuiti infernali di sfruttamento e ricerca del profitto.
Se non si vuole che questi problemi travolgano definitivamente l’istituto stesso dell’affido e l’esistenza dei servizi sociali, essi devono esssere affrontati senza indugio.

Una riflessione a parte la merita infine il ruolo della magistratura.
Ciò che colpisce in molti dei resoconti in oggetto è la debolezza, farraginosità e imperdonabile inerzia dell’intervento della magistratura pertinente, che ha permesso (vedi sotto caso ‘Forteto’) il perdurare di abusi con un livello di tolleranza del tutto asimmetrico rispetto alla scarsissima tolleranza avuta in precedenza verso le famiglie d’origine.

Visto il ruolo fondamentale ed ineludibile della magistratura, questo punto non deve essere lasciato cadere come marginale, proprio per evitare che si diffonda ulteriore discredito sull’operato dei magistrati, già sotto scrutinio dopo quanto emerso con il caso Palamara.
Se non si vuole che il discredito e la diffidenza esplodano, qui c’è davvero la necessità civile di fare chiarezza.
Non per meschine vendette politiche, ma perché si tratta di un confronto simbolicamente intollerabile: da un lato la massima fragilità (quella di bambini in contesti di difficoltà) e dall’altro il maggior potere di uno Stato di diritto, la Magistratura.
Non ci può essere neppure l’ombra del dubbio che il più forte qui sia sostegno, e non minaccia, per il più debole.

https://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_Forteto

https://it.wikipedia.org/wiki/Diavoli_della_Bassa_modenese

http://www.corrieredicalabria.com/articolo.php…

ROBERTO BUFFAGNI

 Distinguerei fra strumentalizzazione politica e analisi del fatto. La strumentalizzazione politica è inevitabile, come il sorgere del sole a est. Un politico che si rifiutasse di usare strumentalmente questi fatti sarebbe un suicida e un incapace. Si può e si deve chiedere che la strumentalizzazione non passi il segno, per esempio che non traduca alla lettera le pulsioni emotive che i fatti suscitano (“Impicchiamoli tutti!”). A quanto mi risulta questo non è accaduto. Quanto al clima ideologico e al contesto culturale generale, mi pare evidente che influisce parecchio. In un contesto culturale dove la famiglia sia un’istituzione solida, si verificheranno abusi di segno opposto al presente; vale a dire che i panni sporchi si laveranno in casa. Piccolo esempio: il fratello maggiore di Gianni Agnelli, Giorgio, che aveva seri problemi di dipendenza dall’eroina, è stato fatto sparire in una clinica e non se ne è mai più saputo nulla. Il figlio maggiore di Gianni, Edoardo, che manifestava le stesse faglie esistenziali dello zio (karma inesorabile), è stato prima ridotto agli arresti domiciliari, e poi forse pure suicidato (problema successorio). In questo caso, l’importanza sociale della famiglia surroga un contesto culturale assente (“famiglia al primo posto”). La famiglia è un dispositivo di estrema potenza, perchè nelle sue diverse forme, sin dalla notte dei tempi garantisce la riproduzione della specie umana all’interno della cultura. Ogni dispositivo di estrema potenza è anche un dispositivo di estrema pericolosità. Basta leggere le tragedie greche per capire che quando qualcosa va storto in famiglia le conseguenze possono essere devastanti, all’interno e all’esterno della centrale nucleare familiare. In astratto, io capisco chi della famiglia vede anzitutto gli abusi, le distorsioni, le pericolosità, e si propone di sostituirla con qualcosa di più razionale, scientifico, controllabile e pulito. Purtroppo, sono persuaso che la toppa sia peggio, MOLTO peggio del buco, perchè nessuno, ripeto nessuno è in grado di sostituire per via scientifico/tecnica qualcosa che non “affonda le radici” ma E’ la radice dell’uomo. Mi sbalordisce e mi preoccupa parecchio, ad esempio, che ci sia gente così disinvolta e superficiale da pensare che pratiche quali utero in affitto o addirittura clonazione degli esseri umani (di recente resa giuridicamente lecita in Francia), pratiche insomma che incardinano la riproduzione della specie umana nella cultura nella tecnica invece che nell’incontro psichico e corporeo tra genitori, si possano implementare restando totalmente al buio sulle conseguenze. (Sulle conseguenze si resta nel buio totale perchè Dio solo sa quali possono essere; la letteratura suggerisce alcune idee, nessuna allegra). Questa vicenda degli affidi e della loro degenerazione a quanto pare sistemica mi pare vada compresa tenendo conto sia del suo aspetto sistemico (costellazione magistratura-servizi sociali-terzo settore-ideologia) sia del contesto culturale illuminista o postilluminista, con la sua passione per l’ingegneria sociale, il costruttivismo, e il ruolo taumaturgico dei tecnici competenti.

MARCO DELLA LUNA

http://marcodellaluna.info/sito/2019/07/24/il-business-giudiziario-sulla-pelle-dei-bambini/

IL BUSINESS GIUDIZIARIO SULLA PELLE DEI BAMBINI

La regola generale del comportamento economico è confermata: dove è possibile realizzare un business, lecito o illecito, anche sui bambini, qualcuno lo realizza, e col profitto così ricavato acquisisce rapporti politici e il controllo anche di coloro che non vorrebbero partecipare agli abusi.

Già nel 2013 il dottor Francesco Morcavallo si era dimesso da giudice del Tribunale dei Minori di Bologna (quello competente per Bibbiano) denunciando traffici che osservava nei tribunali e intorno ad essi, con sistematiche violazione della legge finalizzate ad assecondare il traffico dei bambini da parte dei servizi sociali, e particolarmente la prassi dei tribunali di accettare come oro colato e non mettere mai in discussione le affermazioni (indimostrate e spesso palesemente inverosimili) poste dai servizi sociali a fondamento delle richieste di togliere i bambini alle famiglie per collocarli in strutture a pagamento:  https://www.panorama.it/news/in-giustizia/scandalo-affidi-minori-bologna/ Questo è avvenuto anche nei casi di Bibbiano, proprio con provvedimenti emessi dal Tribunale dei Minori di Bologna, quello segnalato sei anni fa dal giudice Morcavallo!

Fino ad ora, tutti gli scandali della Giustizia minorile, come quello sollevato allora da Morcavallo, sebbene autorevolmente dimostrati e denunciati, sono stati sottaciuti dai mass media; ora però uno è stato fatto scoppiare mediaticamente – chissà perché – forse è una decisione collegata a quella di far scoppiare lo scandalo del Consiglio Superiore della Magistratura.

L’inchiesta-scandalo partita dal Comune di Bibbiano, provincia di Reggio Emilia, porta all’opinione pubblica la conoscenza di un sistema affaristico in cui i servizi sociali costruiscono, con la collaborazione di psicologi e  psichiatri compiacenti, mediante premeditate menzogne, false diagnosi e accuse di abusi e inadeguatezza a carico dei genitori, allo scopo di portare loro via i minori e poterli gestire per profitto, collocandoli in struttura private che li tengono a caro prezzo pagato dai contribuenti o dai genitori stessi (200-400 euro al giorno) e di farli curare pure a pagamento.

La realtà non ancora annunciata dai mass media, è che questo sistema opera in tutta Italia, che fattura circa 2 miliardi all’anno su circa 50.000 fanciulli sottratti, e non solo col collocamento dei minori in strutture private, ma anche con terapie a pagamento imposte senza bisogno e col traffico delle adozioni.

La realtà non ancora annunciata è anche che tutte queste cose vengono disposte, direttamente o indirettamente, dai Tribunali dei Minori, dai Tribunali ordinari in materia di famiglia, dalle procure della Repubblica presso i Tribunali dei Minori; e che quindi il guasto non è da cercare solo nei servizi sociali, nelle onlus, nelle cooperative e tra psicologi e medici, bensì anche negli uffici giudiziari, proprio come segnalava il dr Morcavallo.

La realtà è anche che non pochi giudici onorari che si occupano dei minori hanno cointeressenze con le suddette strutture private in cui i tribunali e i servizi sociali collocano i minori a lauto pagamento. Hanno interessenze sia come direttori sanitari, sia come soci, sia come consulenti a fattura. Inoltre partecipano (anche magistrati togati) alla rete dell’aggiornamento professionale a pagamento, obbligatorio per medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali; rete della quale accade che, per esempio, il giudice, il medico e lo psicologo che si occupano del collocamento dei minori e delle adozioni sono ingaggiati e pagati da associazioni o società private che organizzano i corsi di aggiornamento, e questi soggetti privati sono diretti va avvocati che si occupano di minori nei Tribunali per cui lavorano quei giudici, medici e psicologi.

Pertanto, vi è il problema sistematico nazionale (di una minoranza) di magistrati e loro consulenti, che hanno interessenze economiche nella sottrazione e gestione economica dei minorenni.

Come avvocato mi occupo anche di questi casi e ho visto e appreso cose incredibili e, come il caso di un padre astemio -ripeto: astemio– di tre bambini, che una mattina se li vide asportare per ordine della procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori, poi confermato dal Tribunale Minorile, in base al rapporto mendace dei servizi sociali comunali che lo descrivevano come “dedito all’alcol e violento quando ubriaco”. Per anni combattemmo davanti al Tribunale dei Minori e alla Corte di Appello affinché ascoltassero i numerosi testimoni che avrebbero riferito che il padre era astemio da sempre, nonché per ottenere una perizia che avrebbe accertato che in lui non vi era traccia di alcool. Insistemmo invano: ogni volta i giudici rifiutarono di assumere che avrebbero smascherato le menzogne e il complotto dei servizi sociali, col quale i medesimi, oltre a distruggere la famiglia del pover’uomo, avevano ottenuto di far guadagnare molto denaro alla struttura privata a cui il tribunale affidò i tre bambini. Portavamo ai giudici plichi di analisi di laboratorio per dimostrare che il padre non assumeva alcolici e altri documenti clinici per dimostrare che le botte le aveva prese e non date, ma i giudici non ne tenevano conto. Fecero fare una consulenza tecnica d’ufficio sul padre e anche il consulente si rifiutò di esaminare le prove che il padre era astemio.

Alla fine, provvidenzialmente, mi capitò in mano su un fascicolo riservato del Tribunale e riuscii a fotocopiare documenti piuttosto compromettenti per il Tribunale stesso, con i quali feci reclamo. Solo grazie a ciò ottenni in appello la riabilitazione del padre, ma il danno era ormai fatto.

Questo è un caso tipico in cui i giudici che si occupano di bambini proteggono le attività del personale dei servizi sociali, delle strutture private, e degli psicologi e medici complici. Sicuramente molte volte i giudici non lo fanno con l’intenzione di coprire o consentire attività illecite, ma piuttosto per obbedienza ai superiori e solidarietà istituzionale: adottano la regola di credere sempre e solo ai servizi sociali e di non permettere che le loro affermazioni vengano sottoposte a prove contrarie; così, oltre a tutelare l’autorevolezza della pubblica amministrazione, si semplificano anche il lavoro. I servizi sociali sgravano i giudici del lavoro di accertamento della realtà, e i giudici coprono i servizi sociali con la loro autorità, così nessuno è responsabile, anzi nessuno può essere colto in fallo.

Questo è il focus: i tribunali di regola impediscono ai genitori di portare prove per smentire le false accuse dei servizi sociali.

Appunto per questo motivo la prima misura legislativa da prendere per porre fine al business sulla pelle dei bambini e delle famiglie è quella di imporre ai tribunali di verificare le accuse, e di ammettere le prove richieste dai genitori, cioè testimonianze, documenti, perizie, per verificare o confutare le affermazioni dei servizi sociali e dei loro consulenti.

Come seconda misura legislativa, bisogna proibire che i magistrati e i medici, psicologi e assistenti sociali che si occupano di minori prestino servizi (di consulenza, formazione o altro) pagati da soggetti privati.

Ben venga, naturalmente, anche la commissione di inchiesta invocata da Salvini.

Tuttavia, la storia mostra che, se si riformano le regole ma si lasciano le persone, le prassi non cambiano. Un mio professore universitario reperì l’equivalente del nostro detto “fatta la legge trovato l’inganno” in ben 72 lingue, incominciando col sumero, su tavolette di argilla di 5.000 anni or sono. L’apparato giudiziario che si occupa di minori comprende una grande quantità di persone -giudici e non giudici- che sono abituati ad avere un reddito dalle attività economiche suddette, lo considerano un loro diritto, sicché troverebbero il modo di aggirare le regole, come le hanno sempre aggirate, ignorandole o interpretandole a modo loro– lo descrive l’ex giudice Morcavallo nell’articolo sopra linkato. Perciò bisognerebbe -lo dico consapevole che è irrealizzabile dati i troppi pingui interessi in gioco- mettere nei ruoli riguardanti i minori gente nuova, sostituendo tutto il personale attuale: sceverare chi ha effettivamente colpe e chi no, sarebbe troppo complicato; inoltre, anche coloro che si sono comportati o hanno cercato di farlo, e sono ovviamente molti, si sono in qualche modo sottomessi alla prassi in questione, quindi hanno acquisito abitudini incompatibili.

Per concludere, faccio presente un problema ulteriore e moralmente più inquietante, perché va al di là dei normali abusi di potere compiuti per profitto.  Mi vengono segnalati non pochi casi, e di qualcuno sono anche testimone diretto, in cui c’era una madre che richiedeva ai magistrati competenti di sentire testimoni su abusi sessuali subiti dalla figlia piccola da parte del padre, e i magistrati rifiutavano od omettevano tacitamente di indagare, di sentire i testimoni e le bambine, di ascoltare le registrazioni.

In un caso, non solo si sono rifiutati di ascoltare i testimoni degli abusi ma, di fronte alla madre che continuava a raccogliere prove e indizi seri degli abusi sessuali, segnalati a lei dalla scuola, e alla stessa bimba che riferiva e disegnava contatti intimi col padre, il tribunale, davanti a me, per bocca del suo presidente, ingiunse alla madre apertis verbis, però senza metterlo a verbale, di smettere di raccogliere queste prove e di ritirare la denuncia perché altrimenti le avrebbero tolto la figlia e l’avrebbero messa in una struttura dichiarandola madre conflittuale, quindi nociva alla figlia e inidonea come madre.

So che spesso cose simili vengono segnalate anche in altri paesi europei. Sembra che esista, nell’Europa occidentale, un ordine di scuderia, una direttiva generale, di chiudere un occhio, di scoraggiare e non prestar fede a denunce per atti sessuali di questo tipo, a condizione che gli abusi avvengono senza violenza o eccessivo turbamento per i minori. Forse è una direttiva finalizzata a creare un clima culturale più accettante nei confronti di certi rapporti tra genitori e figli nell’ambito di una complessiva riforma della moralità e dei costumi della vita familiare e riproduttiva, portata avanti dal Movimento LGBT, e proiettata verso il superamento della famiglia tradizionale, quella composta da genitori di sesso diverso e regolata da determinati tabù sessuali come quello dell’incesto, dopo il già avvenuto superamento dei tabù delle nozze gay, dell’affitto di utero e delle adozioni da parte di coppie omosessuali.

 

NB http://italiaeilmondo.com/2019/06/29/affidamento-di-minori-tra-tutela-ed-abusi_-una-conversazione-con-paolo-roat/

BORRELLI E L’IPOCRISIA, di Augusto Sinagra

Tangentopoli non fu solo questo. Fu molto altro, politicamente anche molto più importante. Ne abbiamo scritto più volte. Fu però anche quanto scritto qui sotto. Non è poco.Ancora dopo una chiosa apparentemente non correlata alla prima_Giuseppe Germinario

BORRELLI E L’IPOCRISIA

Verso chiunque muore va dato lo stesso rispetto. Ai familiari di chiunque muore va manifestata la stessa comprensione.
È morto Francesco Saverio Borrelli. Ne parlo ora con lo stesso rispetto che ho per chiunque muore, anche l’ultimo degli ultimi.
Il solo tacere sarebbe ipocrisia. La morte non deve impedire di dire la verità con riguardo a chi è morto. Diversamente sarebbe mistificazione o atto di bassa politica.
È giusto allora ricordare che Francesco Saverio Borrelli fu artefice, ispiratore e coordinatore di quella vicenda ancora non chiara che fu “Mani pulite”.
Nei confronti dei suoi collaboratori alla Procura della Repubblica e alla Procura Generale di Milano, si è detto che era un buon capo perché “proteggeva i suoi”. Così forse fa un buon “capo” ma non un buon magistrato che deve prevenire e reprimere gli abusi commessi dai “suoi”. E in quell’epoca, in quell’intreccio di vicende giudiziarie e politiche, di abusi ne furono commessi tanti.
Non so se Francesco Saverio Borrelli sia stato artefice consapevole o inconsapevole di quello che è stato definito un “colpo di Stato”. Forse un giorno lo si saprà. Quel che è certo è che le indagini, i processi, le persecuzioni giudiziarie furono smaccatamente “selettive” con franchigia per l’area comunista e i suoi esponenti. E viene ora da ridere a proposito della bufala dei soldi russi alla Lega quando l’allora PCI ricevette finanziamenti dall’URSS per 989 miliardi di lire, e lo sapevano tutti: cani e porci.
Si disse che i “valorosi” magistrati di Milano (la cui Procura della Repubblica ora come allora pretende competenza territoriale universale in spregio del codice di procedura penale), combatterono la corruzione. Il risultato fu che la corruzione è aumentata in modo esponenziale e Partiti, che pure avevano fatto la storia d’Italia, furono disintegrati (la DC e il PSI).
Io non so se Francesco Saverio Borrelli professionalmente sia stato un buon magistrato o meno. Certamente come lui ce n’erano e ce ne sono tanti.
Quel che non gli perdono è la morte in terra d’esilio di Bettino Craxi: il migliore Capo di Governo dal dopo guerra ad oggi per lungimiranza, cura degli effettivi interessi nazionali, attenzione alla classe lavoratrice, che di lui fecero un vero statista.
Mi auguro che Francesco Saverio Borrelli abbia capito prima di morire cosa intendeva il Presidente Bettino Craxi quando diceva che “la libertà vale più della vita”.
Ma una cosa soprattutto non gli perdonerò mai: di avere utilizzato e immiserito nel contesto di una non commendevole lotta politico-giudiziaria le parole del Presidente della Vittoria, Vittorio Emanuele Orlando che dopo la tragedia di Caporetto, dal banco della Presidenza della Camera dei Deputati, rivolgendosi ai ragazzini di diciassette e diciotto anni attestati sulla riva occidentale del Fiume Sacro, gridò disperatamente: “Resistete, resistete, resistete!!!”.
Ecco, questo a Francesco Saverio Borrelli non glielo perdonerò mai.
Ora lui è morto e ora conoscerà la vera giustizia.
Che Dio abbia misericordia di lui.

DIFENDO LUCA PALAMARA!

È notizia dell’attualità che il noto Luca Palamara è stato sospeso dalle funzioni e da metà stipendio dalla Sezione disciplinare del CSM.
Non giudico le ragioni del provvedimento perché non conosco gli atti. Lo trovo tuttavia sommamente ingiusto sul piano di una giustizia che dovrebbe essere uguale per tutti. Altrimenti non è giustizia ma è discriminazione.
Mi riferisco a quell’ineffabile personaggio di Riccardo Fuzio, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, indagato per rivelazione di notizie e di atti secretati, proprio a Luca Palamara.
A parte la deplorevoleza del fatto che sia stato il coindagato Riccardo Fuzio in quanto “sodale” di Luca Palamara, a chiedere la sospensione dalle funzioni proprio di Luca Palamara, il CSM, che sembra agire secondo criteri che nulla hanno a che fare con la legge e con la giustizia, avrebbe dovuto sospendere dalle funzioni e dallo stipendio anche e soprattutto il detto Riccardo Fuzio non fosse che per le più importanti e sovraordinate funzioni da lui svolte rispetto al Luca Palamara.
Al contrario, è stata accolta la richiesta di prepensionamento dell’ineffabile Riccardo Fuzio ma con decorrenza dal 20 novembre 2019.
Capisco che il Riccardo Fuzio voglia trascorrere le ferie a intere spese dello Stato, ma non si capisce cosa abbia tale soggetto da sistemare prima del prepensionamento, e cioè dal 1° settembre al 20 novembre p.v. (e cioè a ferie “godute”). Mistero!
Non è tutto: Luca Palamara è stato esposto al pubblico ludibrio (cui lui ha dato causa) e viceversa il Fuzio Riccardo ha ricevuto complimenti e ringraziamenti indovinate da chi? Dal solito figlio di Bernardo Mattarella!
E ancora: se la giustizia ha ancora un senso, perché non si svolgono indagini approfondite anche nei confronti di quegli altri grossi personaggi (Magistrati di vertice della Corte dei conti e Ufficiali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri) che, come ha dichiarato Luca Palamara al CSM, hanno avuto rapporti con quell’imprenditore Fabrizio Centofanti?
È stata aperta la procedura per la nomina del successore di Riccardo Fuzio: se ne occuperà ancora Luca Palamara o quale altra “cordata” di giudici, politici, trafficanti e marchettari?

PUO’ ESISTERE OGGI UNA SINISTRA SOVRANISTA?, di Giuseppe Angiuli

PUO’ ESISTERE OGGI UNA SINISTRA SOVRANISTA?

 

 

L’attuale fase che stiamo vivendo è contrassegnata da una crisi generale e irreversibile del processo di globalizzazione neo-liberista e da uno scontro frontale in atto fra un capitalismo produttivo e manifatturiero, desideroso di affermare la sua centralità e che in ambito politico trova espressione nel campo cosiddetto “populista” ed un capitalismo finanziario e speculativo, di carattere trans-nazionale, che trova sponda politica nei vertici della U.E. e nelle forze della “sinistra” globalista ed arcobalenata, in tutte le sue forme.

A partire dall’avvento di Mr. Trump alla Casa Bianca, abbiamo avuto davanti ai nostri occhi la materializzazione evidente di una previsione che in tanti avevano formulato già da diverso tempo su come le forze del campo cosiddetto “populista” siano le uniche oggigiorno a volere realmente candidarsi alla guida del processo di fuoriuscita dell’occidente dalla globalizzazione; d’altro canto, ci sembra di potere legittimamente rilevare che tutto ciò che oggi da “sinistra” mostra di contrapporsi con virulenza al cosiddetto “populismo” altro non è che un’espressione più o meno diretta – e più o meno velata – degli interessi del capitalismo finanziario speculativo e globalista.

Sul teatro dello scontro politico qui in occidente, le forze sovraniste e anti-globaliste sono riuscite in misura sempre più crescente ad occupare la scena e l’immaginario dei popoli europei facendosi alfiere del recupero di concetti come la nazione, la patria, la difesa dei confini, la famiglia naturale, il protezionismo in economia, la difesa dei valori della tradizione, ecc.: non può sottacersi che ad imprimere tali concetti sull’agenda politica dei sovranisti abbia assunto un ruolo oltremodo decisivo la figura di Steve Bannon, leader carismatico del movimento mondiale Alt Right (ossia Alternative Right, “destra alternativa”), una locuzione in cui l’alternatività è da intendersi affermata in contrapposizione alle correnti Neocons che per almeno un quindicennio avevano dominato il campo conservatore-repubblicano negli Stati Uniti.

In tale contesto generale, la messa in crisi dello schema della globalizzazione avrebbe potuto teoricamente fornire l’occasione anche alle malconce soggettività della “sinistra” post-marxista novecentesca di provare a riconquistare un po’ di spazio politico caratterizzando la propria azione attorno ad un rilancio dei bisogni delle classi popolari lavoratrici, che in questi ultimi decenni contraddistinti dal dominio assoluto dell’ideologia neo-liberista e dall’avvento delle istituzioni anti-democratiche della U.E. hanno assistito inermi ad una umiliante e sistematica opera di smantellamento delle principali conquiste sociali storiche del movimento operaio.

Si sarebbe infatti potuto legittimamente prevedere che le classi subalterne – unitamente ai partiti di “sinistra” ed ai sindacati che di tali classi sociali da sempre si dicono espressione – potessero cogliere finalmente l’occasione storica di ritornare protagoniste della scena politica, approfittando degli effetti di rottura sistemica indotti dall’ondata “populista”, interpretando in tale contesto un proprio ruolo originale e attivo e magari differenziandosi in qualche modo dai tratti politico-culturali ritenuti meno accettabili del sovranismo di marca “populista”.

Sfortunatamente, l’osservazione della realtà di questi ultimi tempi ci dice che nulla di tutto ciò è avvenuto: anzi, al contrario, tutte le soggettività storicamente appartenenti al campo della “sinistra” stanno mostrando paradossalmente proprio in questa decisiva congiuntura storica la loro natura di strumento posto a difesa del vecchio ordine globalista in fase di decomposizione per via dell’azione dei “populisti”.

In altre parole, come affermavo in un mio intervento di circa un anno fa, tutte le odierne forze sedicenti progressiste o di “sinistra” ossia tutte quelle forze organizzate che nell’attuale quadro politico italiano si collocano in uno spazio che va dal Partito Democratico post-renziano fino alla galassia antagonista dei centri sociali, costituiscono la componente “sinistrata” della globalizzazione neo-liberista[1].

E come affermavo sempre nel citato intervento, l’ideologia della odierna “sinistra” arcobalenata è un impasto demenziale di liberismo economico, europeismo acritico, omosessualismo corporativo, femminismo isterico, immigrazionismo fanatico e, dulcis in fundo, di antifascismo ossessivo-paranoico in assenza di fascismo.

La prova della strutturale inettitudine dell’odierna “sinistra” a sapere leggere correttamente l’attuale fase di messa in crisi della globalizzazione neo-liberista possiamo ricavarla dall’osservazione per cui tutte le residue ed attuali forze sedicenti progressiste – per l’appunto, dal P.D. fino all’ultimo dei centri sociali – sembrano oggigiorno mosse da un unico obiettivo tattico o di breve periodo che è quello di contrapporsi strenuamente – e spesso con toni virulenti – al “populismo” in ascesa e, in particolare in Italia, facendo della demonizzazione di Matteo Salvini (un po’ come nei decenni scorsi avveniva per Silvio Berlusconi) il proprio unico motivo di esistere.

Di forze politiche dichiaratamente filo-globaliste o e sfacciatamente eterodirette dalla tecnocrazia U.E. come il Partito Democratico o la + Europa di Emma Bonino non mette conto finanche parlarne, giacchè tutti possono dare per scontata la loro strutturale funzionalità al capitale finanziario speculativo ed alla fazione americana lib-dem impersonata da Mr. Obama, Hillary Clinton e dal grande speculatore-finanziatore “filantropo” George Soros.

Quanto agli epigoni post-dalemiani raccolti attorno a figure scialbe e prive di carisma quali Nicola Fratoianni o Stefano Fassina, essi si apprestano quasi certamente, il primo nel breve periodo il secondo forse nel medio periodo, a fare rientro alla chetichella nella casa-madre P.D., così palesando la natura chiaramente strumentale (molto probabilmente ispirata fin dall’inizio da un’intuizione del sempiterno “baffino” malefico) della loro manovra di differenziarsi in questi anni dallo stesso P.D. fingendo di fargli la guerra ma in realtà coprendolo a “sinistra”[2].

Quanto alle sparute forze della “sinistra” ultra-radicale, una mesta menzione la meritano i fautori del cartello elettorale Potere al Popolo, presto sostanzialmente dissoltosi dopo il pessimo risultato riportato alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 e i cui padri fondatori vanno identificati nella rete dei centri sociali dell’area antagonista, nel piccolo ma ben determinato gruppo di ideologi marxisti-leninisti riuniti nella Rete dei Comunisti e in quei settori del sindacalismo radicale espressi dall’U.S.B. e dalla figura un tempo carismatica ed oggi alquanto patetico-eversiva di Giorgio Cremaschi.

Con il lancio dell’operazione Potere al Popolo, alcune menti raffinatissime hanno provato – apparentemente fallendo nell’impresa – a livellare ideologicamente e poi ad assorbire in un unico contenitore di marca radical-globalista la maggior parte delle sigle e siglette di quel poco che rimane nel panorama della disastrata area marxista-leninista post-novecentesca.

Col pretesto di indicare a propri modelli sociali di riferimento le esperienze storiche del mutualismo tardo-ottocentesco e brandendo il seducente slogan del controllo popolare “dal basso”, gli ideologi di Potere al Popolo hanno in realtà provato a forgiare un nuovo soggetto politico che, incline ad una nozione “liquida” di popolo tanto cara a Toni Negri, riuscisse a rendere la “sinistra” radicale italiana del tutto compatibile con i principali desiderata della finanza globale e del cosmopolitismo contemporaneo, sterilizzando su binari morti di velleitarismo parolaio il malessere popolare verso le politiche di austerità U.E. ed irridendo in modo blasfemo al concetto di sovranità nazionale, non a caso definito dalla portavoce Viola Carofalo “un feticcio”[3].

Un discorso a parte lo meritano altri gruppuscoli politicamente più lucidi ma inesorabilmente auto-referenziali della stessa area radicale, animati da intellettuali che almeno apparentemente ci tengono a presentarsi come distinti e contrapposti a tutte le principali formazioni dell’odierna “sinistra” filo-globalista ed arcobalenata ma il cui operato lascia tuttavia molto perplessi non già per la loro copiosa produzione teorica – che è assolutamente apprezzabile e degna di nota – bensì per le modalità alquanto ambigue e contraddittorie del loro consueto modo di agire.

Da diversi anni a questa parte, attorno al gruppo dei due fini politologi Moreno Pasquinelli e Leonardo Mazzei ha preso vita un’agguerrita micro-area di sedicente sinistra no euro al cui interno si è sviluppato un fecondo dibattito teorico di altissimo spessore, senza dubbio quello qualitativamente più elevato in tutto ciò che è stato dato vedersi in quest’ultimo decennio a “sinistra”.

Ai numerosi convegni di Chianciano Terme susseguitisi sempre per iniziativa del duo Pasquinelli-Mazzei e dei loro sparuti seguaci riuniti attorno al noto blog politico dal nome Sollevazione[4], in questi ultimi anni si sono affacciate le più brillanti intelligenze del mondo sovranista italiano, dall’attuale Presidente della Commissione Finanze al Senato Alberto Bagnai (il quale proprio in quei convegni ha iniziato ad avere un po’ di visibilità come uomo pubblico impegnato sui temi della critica alla moneta unica) all’attuale sottosegretario agli Affari Europei Luciano Barra Caracciolo, dal prof. Antonio Maria Rinaldi (oggi eletto deputato europeo con la Lega) all’economista keynesiano Nino Galloni.

Moreno Pasquinelli

Riflessioni di altissimo livello hanno accompagnato per anni gli appuntamenti convegnistici del gruppo di Sollevazione, nel corso dei quali non è mancato di assistere alla più severa e rigorosa critica verso la grave collusione ideologica dell’odierna “sinistra trans-genica” (una sagace definizione dello stesso Pasquinelli) con i poteri oligarchici dell’attuale Europa a trazione franco-tedesca: fatto sta che, a fronte di un livello analitico indubbiamente elevato espresso da questa piccola ma agguerrita area e nonostante il costante coinvolgimento nelle sue iniziative di alcuni fra i migliori cervelli della cultura sovranista del nostro Paese, alle innumerevoli kermesse di Pasquinelli e Mazzei ha sempre fatto seguito un sistematico e tragicomico fallimento politico-organizzativo di qualsiasi annunciato tentativo volto a trasformare tale collage di idee euroscettiche ed anti-liberiste in una vera e propria forza politica organizzata ed attiva nella società.

L’ultimo e il più clamoroso di questi fallimenti si è consumato alla vigilia delle elezioni politiche del marzo 2018, per via del capotico tentativo dello stesso Pasquinelli e del suo sodale Mazzei di coinvolgere a tutti i costi nell’erigendo cartello elettorale della neonata Confederazione per la Liberazione Nazionale[5] un coacervo di gruppi e gruppuscoli – dal Movimento Roosevelt diretto dal massone progressista Gioele Magaldi ai Forconi Siciliani di Mariano Ferro, dal Fronte Sovranista Italiano del prof. Stefano D’Andrea ai post-brigatisti dei CARC, senza disdegnare un collegamento a distanza perfino con la galassia della Fratellanza Musulmana protagonista delle note Primavere Islamiste nei primi anni di questo decennio – dal carattere talmente variopinto ed eterogeneo da non potere (ovviamente) mantenersi in piedi per più di una settimana.

Pertanto, per diretta responsabilità di Pasquinelli, per via della sua clamorosa inettitudine a sapere scegliere con cura i soggetti da mettere assieme al fine di assemblare un cartello politico-elettorale della “sinistra” patriottica, alle elezioni del 4 marzo dello scorso anno tutti gli elettori con una formazione “di sinistra” e sensibili alle tematiche della sovranità nazionale, non trovando sulle schede elettorali alcuna offerta politica credibile, hanno finito per convogliare inevitabilmente i loro voti nella Lega salviniana o nel Movimento 5 Stelle.

Uno degli innumerevoli convegni della “sinistra no euro” organizzati da Pasquinelli

da cui non è mai emersa alcuna seria iniziativa politica a carattere aggregativo.

 

A tale risultato ha contribuito altresì il catastrofico fallimento politico-organizzativo della microscopica Lista del Popolo per la Costituzione guidata in modo più che dilettantesco dalle due figure ormai consumate di Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia (un’esperienza politico-elettorale dagli esiti davvero tragicomici alla quale anche il sottoscritto, suo malgrado, ha avuto la sventura di partecipare, sia pure per un brevissimo periodo).

Ma per tornare a Pasquinelli e Mazzei, non può sottacersi che questa loro metodologia politico-organizzativa clamorosamente bizzarra e caotica – che in qualche occasione non aveva mancato di fare infuriare il suscettibile prof. Bagnai – costantemente diretta ad assemblare micro-forze così ideologicamente eterogenee e così palesemente incompatibili fra loro al punto da non potere (ovviamente) dare vita ad alcun gruppo dirigente coeso e credibile, è stata da essi messa in atto talmente tante volte nel recente passato al punto da lasciarci sospettare a giusta ragione che i due politologi di formazione trozkista, la cui intelligenza sopraffina non può certo essere messa in dubbio da chicchessia, in questi anni possano avere agito scientemente con una finalità maliziosa e perversa in quanto rivolta deliberatamente ad impedire in ogni modo – anzichè a favorire – la costruzione e la discesa nell’agone elettorale di un’autentica “sinistra” patriottica o sovranista, di cui in realtà il nostro Paese avrebbe un grande bisogno.

La conferenza stampa di presentazione del Manifesto per la Sovranità Costituzionale

 

Da ultimo, fra tutte le micro-iniziative di questi ultimi tempi sorte nell’area della sedicente “sinistra” euro-scettica, merita di essere menzionata quella che ha visto in Stefano Fassina, nell’ex deputato bolognese di Rifondazione Comunista, Ugo Boghetta e nello scrittore Thomas Fazi i suoi più significativi fautori.

A tale iniziativa aggregativa, che ha preso vita in questi ultimi mesi con la pubblicazione del Manifesto per la Sovranità Costituzionale e che più di recente, dopo la rottura registratasi fra Fassina e il duo Fazi-Boghetta, annuncia di sfociare nel lancio di un soggetto politico denominato Nuova Direzione, hanno aderito diversi fini intellettuali come gli accademici Carlo Formenti, Alessandro Visalli e Andrea Zhok.

Spiace molto dovere rilevare che questa nuova area che si auto-definisce socialista e patriottica, a dispetto delle aspettative suscitate in alcuni attivisti speranzosi e in buona fede, sta mostrando fin dai suoi primi passi di risentire di un eccessivo pregiudizio ideologico verso l’azione del Governo giallo-verde e, ciò che è ancor più discutibile, sembra volere caratterizzarsi per una tattica politica tutta basata sulla contrapposizione frontale non già al PD ed ai poteri eurocratici (come ci si attenderebbe in questa particolare congiuntura) bensì alla Lega di Salvini con il non celato auspicio di favorire una quanto più rapida disarticolazione/decomposizione dell’attuale quadro politico “populista” ed una contestuale caduta in disgrazia dell’attuale maggioranza di Governo.

In buona sostanza, anche questa neo-componente di sedicente “sinistra” social-patriottica, da quel che sembra guidata da Fazi e Boghetta, nei fatti sta dimostrando di volere agire secondo il più classico schema cripto-globalista: di fatti, essa non nasconde di lavorare nel breve periodo per far sì che il Movimento 5 Stelle – ossia quello stesso soggetto che di recente a Strasburgo ha generosamente messo a disposizione i voti dei suoi parlamentari per garantire l’elezione della “kapò” tedesca Von der Leyen alla Presidenza della Commissione Europea – rompa il prima possibile il suo patto di Governo con la Lega di Salvini e dia vita ad una nuova alleanza politica e parlamentare col PD post-renziano, con la benedizione dall’alto di Papa Bergoglio e del figlio di don Bernardo Mattarella.

Al fine di manipolare i loro ingenui attivisti sinistrati colti ed euroscettici (siamo certi che Gianfranco la Grassa in questo caso preferirebbe l’aggettivo semicolti), attratti dalla lettura del Manifesto per la Sovranità Costituzionale, Thomas Fazi e Ugo Boghetta, in un primo momento agendo d’intesa con Stefano Fassina, fin dall’atto dell’insediamento del Governo Conte sono ricorsi ad una tecnica solo apparentemente fine e sofisticata di camuffamento e velamento della realtà.

Ossia, non potendo plaudere alle iniziative governative messe in campo (d’intesa con Trump) per liberare il nostro Paese dalla gabbia dell’austerità – perché ove lo avessero fatto, ciò li avrebbe costretti a considerare le forze di Governo come dei loro legittimi interlocutori politici – essi hanno preferito negare la realtà oggettiva dei fatti e dunque hanno provato a sostenere il presunto carattere fittizio e asseritamente teatrale dello scontro andato in scena in questo ultimo anno fra Palazzo Chigi e la Commissione Europea, della serie: Salvini, Borghi, Bagnai e Savona fingono soltanto di fare i sovranisti ma i veri sovranisti siamo noi!

E’ bene precisare che da certi ambienti politico-culturali dichiaratamente keynesiani ed anti-liberisti, come quelli facenti capo a Boghetta, Fazi e a Fassina, ci si potrebbe legittimamente attendere che essi sostengano l’attuale processo politico di liberazione del Paese dal giogo dell’austerità U.E. e che, al contempo, magari si differenzino dal Governo giallo-verde prendendo le distanze da certi suoi aspetti più discutibili, come il regionalismo differenziato o la privatizzazione dell’acqua pubblica; in alternativa, ci si potrebbe attendere che essi, pur sostenendo l’esecutivo nella sua battaglia campale contro Bruxelles, Berlino e Francoforte, colgano occasione per rimarcare i bisogni più essenziali delle classi popolari, magari reclamando una maggiore attenzione dell’esecutivo verso un piano di investimenti pubblici ovvero verso l’adozione di politiche di spesa sociale ovvero ancora l’integrale abolizione della legge Fornero o del JOB’S ACT.

Questo ci si attenderebbe dall’azione politica di gente come Boghetta, Fazi e Fassina e, se così fosse, saremmo ben lieti di aprire con loro un serio dibattito costruttivo sui limiti dell’azione del Governo giallo-verde.

E invece no, colpo di scena!

Fin da quando si è insediato il Governo Conte, soprattutto Fassina e Fazi, spesso accompagnandosi in convegni pubblici con economisti di chiara scuola bocconiana e in qualche caso con la partecipazione di ex consiglieri economici dei Governi Renzi e Gentiloni[6], in tutti questi mesi non hanno perso tempo per bersagliare quasi ogni giorno l’esecutivo giallo-verde proprio sul terreno decisivo dello scontro in atto con la Commissione Europea e con la BCE, artificiosamente negando l’effettiva esistenza di tale scontro.

Agendo in tal modo, sia Fassina che Fazi, in questa loro azione demolitrice accompagnati dalla complicità passiva del forse inconsapevole Boghetta, hanno palesato la loro implicita funzionalità ai piani strategici dei poteri globalisti, desiderosi di accantonare il prima possibile l’attuale stagione del “populismo” in salsa italiana e smaniosi di aprire la strada ad un nuovo governo tecnico a guida Mattarella-Draghi-Cottarelli ovvero, come sta emergendo più di recente, ad un Governo Conte bis che possa godere del sostegno di un’inedita alleanza fra il PD e un Movimento 5 Stelle ormai del tutto normalizzato attorno al sacro rispetto dei vincoli europei.

Se sul pedigree politico di Stefano Fassina – e sulle ragioni per le quali noialtri non abbiamo mai creduto alla sua sincera intenzione di operare politicamente per contrastare il mostro tecnocratico dei tempi odierni, chiamato U.E. – ci siamo già espressi in un già citato articolo alla cui lettura vi rimandiamo[7], forse qualche parola merita di essere espressa per inquadrare il personaggio emergente Thomas Fazi, attese anche le sue recenti comparsate televisive (specie su La7) che testimoniano come molto probabilmente alcuni ambienti abbiano deciso di puntare sulla sua figura per favorirne la repentina ascesa a ruoli visibili di leader mediatico o comunque di soggetto influencer di una certa area politica di sedicente “sinistra” sovranista.

Tipica aria da esponente navigato della “sinistra” romana radical chic, Thomas Fazi è il rampollo del noto editore Elido Fazi ed entrambi – padre e figlio – non possono certo nascondere una qualche contiguità rispetto all’area politica che fa capo alle fondazioni del magnate George Soros, prova ne è che molti interventi del più piccolo dei Fazi hanno spesso trovato spazio sul sito del noto network globalista/dirittumanista Open Democracy[8], un organismo alla cui creazione non ha concorso il solo Soros ma anche altri ben noti soggetti finanziatori come la Fondazione Ford ed il fondo Rockfeller, come apprendiamo da una semplice lettura di Wikipedia[9].

Negli anni 2013 e 2014, allorquando i temi dell’uscita dall’eurozona stavano faticosamente iniziando ad acquisire notorietà ed i movimenti sovranisti iniziavano a creare una prima significativa massa critica di seguaci, Fazi padre e figlio avviavano una campagna virulenta di attacco politico alla figura di Alberto Bagnai, ad esempio denigrandolo, con i toni sprezzanti tipici di un certo ambiente accademico-salottiero, per il fatto che il professore-divulgatore dei temi no euro insegnasse in un modesto ateneo di provincia quale quello di Pescara anzichè a Oxford o a Cambridge.

Nell’apice della polemica con l’attuale Presidente della Commissione Finanze al Senato, Thomas Fazi in una circostanza arrivava perfino a dichiarare dal suo profilo twitter che Bagnai lo avrebbe “minacciato di morte“.

In quegli stessi anni, proprio mentre prendeva sistematicamente di mira l’attività divulgativa del prof. Bagnai, lo stesso Thomas Fazi investiva il suo impegno di attivista nell’organizzazione di tavole rotonde sul tema del salvataggio dell’eurozona, con la partecipazione di esponenti di spicco della “sinistra” finanziaria come Varoufakis, dell’allora vice-Governatore della BCE, di economisti del FMI e, almeno in un caso, con la chiusura dei lavori affidata all’allora Ministro per le Riforme Costituzionali, la belloccia Maria Elena Boschi (all’epoca, come tutti ricorderanno, molto vicina a Renzi)[10].

Particolare molto importante, è significativo che detti convegni organizzati da Fazi in alcuni casi avvenissero col contributo economico della Commissione Europea, come apprendiamo da una dettagliata ricostruzione a suo tempo offertaci dallo stesso Alberto Bagnai sul suo noto blog Goofynomics, allorquando quest’ultimo cercava di difendersi con le unghie dagli attacchi pubblici ricevuti dallo stesso Fazi[11].

Thomas Fazi

 

E’ forse ancora più significativo ricordare che nell’autunno 2015, a margine della conclusione della tragica estate greca, quello stesso Thomas Fazi che oggi dagli studi di La7 si propone quale rappresentante della sedicente “sinistra” euroscettica, ebbe a pubblicare un pamphlet a quattro mani con l’eurodeputato piddino Gianni Pittella, il quale – lo ricordiamo ai più smemorati – nel 2014 era stato fra i principali sponsors del golpe nazi-atlantista di Piazza Majdan, allorquando non aveva avuto remore nel recarsi a Kiev ad aizzare la folla che in quel momento stava assediando il Parlamento costringendo alla fuga il legittimo Presidente ucraino Viktor Janukovyč.

E dunque, nell’autunno del 2015, quando la Grecia di Tsipras era stata da poco umiliata dalla Troika, mentre per le strade di Atene si cominciavano a vedere le prime mense pubbliche allestite per sfamare i poveri disoccupati e i senzatetto, Thomas Fazi e Gianni Pittella trovavano le energie per dare alle stampe il libro La notte dell’Europa. Perche’ la Grecia deve restare nell’euro (sic)[12].

La grande contiguità del piddino Pittella alla famiglia Fazi è di vecchia data ed è dimostrata anche dal fatto di avere egli scritto nel 2013, a quattro mani col padre-editore di Thomas, il libro Breve storia del futuro degli Stati Uniti d’Europa[13].

 

Poi arrivarono la BREXIT e l’avvento di Trump alla Casa Bianca e dunque è probabile che certi ambienti del mondo salottiero globalista abbiano nel frattempo mutato linea strategica ed oggi dunque abbiano interesse ad accreditarsi in Italia insinuandosi nelle odiate fila nemiche, dando vita a raggruppamenti che assumano le sembianze esterne di una “sinistra sovranista” ma che di fatto, nei momenti cruciali della lotta politica – come quello che sta vivendo l’Italia in questa politicamente calda estate 2019 – risultino funzionali ai disegni tattico-strategici dei poteri globalisti.

 

Concludendo quest’analisi dura e cruda sul mondo della “sinistra” contemporanea e sul mesto ruolo che essa sta recitando nell’attuale fase storica contraddistinta dall’ascesa del “populismo”, vi invitiamo a guardare sempre con attenzione e cautela alla reale natura della merce che siete interessati ad acquistare, specie nel settore cosiddetto di “sinistra”: spesso le apparenze ingannano e, perfino quel nuovo prodotto appena presentato sui banchi del supermercato della politica col fine di intercettare un certo pubblico di consumatori con idee sovraniste, magari munito di un marchio seducente ed inneggiante al patriottismo, sotto la confezione esterna tricolore, gratta gratta, nasconde quasi sempre surrettiziamente i colori della bandiera arcobaleno.

 

 

Giuseppe Angiuli

 

[1] Cfr. G. Angiuli, Il patriottismo costituzionale: per la costruzione di un’area politica di ispirazione popolare, socialista e patriottica, pubbl. in https://patriottismocostituzionale.blog/2018/07/01/il-patriottismo-costituzionale-per-la-costruzione-di-unarea-politica-di-ispirazione-popolare-socialista-e-patriottica/?fbclid=IwAR1vFwHmQqxjOWPGiI7qicCtloqc9ot-l5Jy5de21NDKW8MJOa5E9okoqAw.

 

[2] Sulla figura e sul ruolo politico assai ambigui di Stefano Fassina, mi permetto di rimandare ad un mio scritto del gennaio 2019, Stefano Fassina, il furbo incantatore della sinistra (quasi) euroscettica, pubbl. in https://italiaeilmondo.com/2018/12/30/3201/.

[3] http://temi.repubblica.it/micromega-online/carofalo-potere-al-popolo-noi-sinistra-dal-basso-vogliamo-ridare-speranza-ai-delusi-dalla-politica/.

[4] https://sollevazione.blogspot.com/.

[5] http://confederazioneperlaliberazionenazionale.it/.

[6] http://www.economiaumanista.it/2019/01/il-riscatto-dello-stato-presentazione-del-libro-sovranita-o-barbarie-di-thomas-fazi/.

[7] Stefano Fassina, il furbo incantatore della sinistra (quasi) euroscettica, cit.

[8] https://www.opendemocracy.net/en/author/thomas-fazi/.

[9] https://it.wikipedia.org/wiki/OpenDemocracy.

[10] http://www.eunews.it/how-can-we-govern-europe.

[11] http://goofynomics.blogspot.com/2014/12/una-pacata-risposta.html.

[12] https://www.ibs.it/notte-dell-europa-perche-grecia-libro-gianni-pittella-thomas-fazi/e/9788897931621.

[13]https://www.amazon.it/Breve-storia-futuro-degli-dEuropa/dp/8864118829/ref=tmm_pap_title_0?ie=UTF8&qid=1390920712&sr=8-4.

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