Oltre a sconvolgere il partner algerino sostenendo la giunta di Bamako nel suo tentativo di mettere alle strette i tuareg maliani, la Russia ha appena scoperto tragicamente la “complessità” della questione del Sahel. Tra giovedì 25 e sabato 27 luglio, nella regione di Tinzawaten, vicino al confine tra Algeria e Mali, una colonna dell’esercito maliano accompagnata da mercenari russi è stata annientata dai combattenti tuareg. Era chiaro che, dopo l’umiliazione della caduta della loro roccaforte di Kidal lo scorso novembre, i combattenti del Quadro Strategico Permanente per la Difesa del Popolo dell’Azawad (CSP-DPA), il nuovo nome della coalizione armata tuareg e moresca, avrebbero contrattaccato. Sebbene sia difficile fornire un bilancio definitivo delle vittime, i video ampiamente diffusi suggeriscono che sono stati uccisi forse una dozzina di russi, tra cui il comandante del settore settentrionale, oltre a diverse decine di soldati maliani. Dopo un arrivo trionfale, reso possibile solo dalla somma degli errori politici della Francia, i russi hanno scelto l’opzione peggiore di tutte: aiutare il Mali meridionale a conquistare il Mali settentrionale, in altre parole, tornare alla situazione esistente prima del 2011, quando è iniziata la guerra. La Russia ha quindi appena scoperto che nel Sahel qualsiasi soluzione approfondita richiede che si tenga conto delle realtà locali… cosa che la Francia si è rifiutata di fare e che spiega il suo fallimento. La radice del problema, la cui genesi spiego nel mio libro Histoire du Sahel des origines à nos jours (Storia del Sahel dalle origini ai giorni nostri), è che insistere sul fatto che i contadini neri sedentari del sud e i berberi nomadi o gli arabi del nord vivano nello stesso Stato è un’utopia che crea tensioni, poiché l’etnomatematica elettorale dà automaticamente il potere ai più numerosi, in questo caso i neri del sud, cosa che i settentrionali non possono accettare. Come nuovo arrivato nella regione, la Russia non ha capito che l’unica via d’uscita dalla crisi è riconoscere una realtà che spiega tutto, ovvero che un Mali “unitario” non è mai esistito – e che quindi è urgente pensare a una nuova organizzazione costituzionale e territoriale. Qualsiasi altro approccio è destinato a fallire, e alla fine porterà alla coagulazione etnica attraverso un califfato islamico regionale… come è successo alla fine del XIX secolo… fino a quando la colonizzazione non ha liberato il popolo…
In Africa, tutto sembra andare a favore della Russia. Giorno dopo giorno, accumula un capitale di simpatia senza promettere sviluppo o democratizzazione, accontentandosi di affermare la propria non ingerenza negli affari interni e il riconoscimento della sovranità degli Stati africani. Dal 2018-2019 le relazioni della Russia con l’intero continente africano si sono intensificate, anche se tre Paesi – Egitto, Libia e Algeria – rappresentano ancora l’80% del fatturato del commercio estero russo con l’Africa. La base del successo della Russia in Africa è la cooperazione militare: Mosca ha firmato accordi di cooperazione tecnico-militare con 40 Stati africani. Il metodo russo è noto: i suoi rappresentanti propongono l’invio della milizia Wagner, ribattezzata Africa Corps, in Paesi in grave crisi di sicurezza, dove il governo centrale non controlla più ampie porzioni di territorio nazionale. È quello che è successo nella RCA e nel Mali, e che è attualmente in corso in Niger e Burkina Faso. Sconfortati dai successi di Mosca, alcuni osservatori parlano di una “politica delle iene”, con la Russia che si comporta, a loro avviso, come uno Stato “divoratore di carogne” che offre aiuti a Stati la cui situazione militare è disperata. Forse, ma i risultati ci sono, almeno per il momento, perché la Russia ha estromesso sia i francesi che gli americani dalla fascia sahelo-sahariana… In realtà, questa presentazione negativa serve ancora una volta a cercare di scagionare i leader “occidentali” dai loro errori. Infatti, anche se la politica della Russia in Africa non è chiaramente guidata dall’altruismo, ci si potrebbe chiedere se lo sia stata quella dell'”Occidente”. Il realismo dovrebbe portare gli osservatori a porsi un’unica domanda: siamo di fronte a una realtà di lungo periodo o siamo in presenza di una sorta di “tutto nuovo, tutto bello”? È a queste domande che è dedicato il presente dossier.
IL GRANDE RITORNO DELLA RUSSIA
Dal 2009, dopo due decenni di assenza, dalla Libia alla Repubblica Centrafricana, dal Burkina Faso al Mozambico, dal Niger al Sudan e al Mali, la Russia ha fatto il suo ritorno in Africa.
Stretta nel cerchio ostile che la NATO sta chiudendo ogni giorno di più intorno a sé, la Russia ha deciso di rompere il proprio isolamento definendo una propria politica africana, ponendosi al centro delle vere strutture di potere e di influenza, ovvero le forze armate, e fornendo loro gli equipaggiamenti e i tecnici responsabili dell’addestramento e della manutenzione. Nel 2018, attraverso Rosoboronexport, la Russia è diventata il principale fornitore di armi all’Africa e sono stati firmati accordi militari con tre quarti dei Paesi africani. La Russia ha inoltre firmato accordi di estrema importanza con il Mozambico, che prevedono il “libero ingresso” delle navi militari russe nei porti del Paese. Mosca ha ora una base nell’Oceano Indiano, che garantisce alla sua flotta una presenza diretta sulle principali rotte di rifornimento petrolifero dell’Europa, ed è in fase di finalizzazione un accordo per la cessione di un porto del Mar Rosso da parte del Sudan (si veda più avanti nella recensione). La Russia ha stabilito o ristabilito relazioni diplomatiche con tutti i Paesi africani e nel 2019, 2022 e 2023 si sono tenuti diversi vertici Russia-Africa, l’ultimo dei quali ha riunito a San Pietroburgo 49 Paesi africani, 17 dei quali rappresentati dai rispettivi capi di Stato. In ogni occasione, Vladimir Putin ha confermato il ritorno della Russia in Africa, ribadendo tre idee che fanno la differenza con l’approccio occidentale: 1) la Russia non viene in Africa per saccheggiare il continente, essendo essa stessa ricca di risorse minerarie; 2) non ha un passato coloniale; al contrario, in passato l’URSS ha aiutato le lotte di liberazione; 3) non viene a dare lezioni morali agli africani. Non viene nemmeno a imporre loro diktat politici o economici, né le “singolarità” sociali promosse dall’ideologia LGBT o dalla “teoria del gender”. In questo modo, Vladimir Putin ha preso la strada opposta alla politica imposta da François Mitterrand nel 1990 a La Baule, una politica che ha provocato una crisi senza fine nel continente instaurando un disordine democratico duraturo. Per la Russia, nessuno sviluppo è possibile senza stabilità, il che significa sostenere regimi forti, e quindi eserciti… e non il cosiddetto “buon governo”. La Russia ha capito chiaramente che non ha senso imbarcarsi in questi progetti grandiosi e costosi in cui solo gli europei credono o fingono di credere.
TRA ALGERIA E MALI, LA RUSSIA DEVE SCEGLIERE
In Mali, le scelte politiche della Russia si scontrano con le priorità di sicurezza dell’Algeria. Eppure l’Algeria è il principale partner di Mosca nel Maghreb. Quanto all’esercito algerino, dipende dagli armamenti russi…
In Mali, ma anche in Libia [1] , gli interessi della Russia e dell’Algeria sono contrapposti. Fino alle ultime settimane, la questione era stata discretamente taciuta, ma il 2 maggio 2024 la diplomazia algerina ha rotto il tabù quando il ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, ha detto chiaramente al suo omologo russo, Sergei Lavrov, che la politica del suo Paese nel Sahel e in Libia era contraria ai suoi interessi. Sentito il messaggio, i russi hanno deciso di cercare di appianare le divergenze. La domanda è: come può Algeri continuare a essere un alleato strategico di Mosca quando i suoi interessi sono minacciati dalla politica russa? Basta uno sguardo alla mappa per capire che la questione sahelo-sahariana riguarda direttamente l’Algeria. I Tuareg, nomadi berberi che in passato non sono mai stati dipendenti da Stati regionali, vivono nelle vaste distese del Sahara che la Francia ha donato loro nel 1962. I Tuareg algerini appartengono a tre confederazioni, di cui solo una, l’Hoggar, ha il suo territorio, cioè le sue ex aree nomadi, interamente in Algeria. Non è così per i Kel Adrar (gli Ifora), che si estendono oltre l’attuale Algeria fino a coprire tutto il nord dell’attuale Mali, e per i Kel Ajjer, il cui territorio si trova in parte in Libia. Separati dai loro fratelli algerini, i Tuareg libici si sono divisi in tre gruppi (Oubari, Ghat e Targa).
L’Algeria segue gelosamente tutto ciò che accade nella zona saharo-saheliana perché, per essa, la logica del caos che vi sviluppa i centri di instabilità è una minaccia diretta alla sua stabilità e sicurezza. Tanto più che nel 2003, braccati dalle forze di sicurezza algerine, alcuni gruppi islamisti hanno trovato rifugio nel Sahara, nella zona tuareg. Nel 2007 si sono affiliati ad “Al-Qaida nel Maghreb islamico” (AQIM), un movimento nato dal GSPC (Groupe Salafiste pour la Prédication et le Combat) fondato in Algeria nel 1998. L’Algeria è impegnata nella regione fin dall’indipendenza. Nel 1963-1964, durante la prima guerra tuareg in Mali, il presidente Ben Bella autorizzò l’esercito maliano a inseguire i ribelli tuareg del Mali fino a 200 km all’interno del territorio algerino, cioè fino ai limiti settentrionali del Kel Adrar. Nel gennaio 1991, durante la seconda guerra tuareg in Mali, l’Algeria ha organizzato i negoziati tra il generale Moussa Traoré e il MPA (Mouvement populaire de l’Azawad) di Iyad ag Ghali, che hanno portato alla firma dell’Accordo di Tamanrasset del 5-6 gennaio 1991. Questa mediazione portò alla firma del Patto Nazionale l’11 aprile 1992, ma la pace non tornò, poiché il nord del Mali si trasformò gradualmente in una “zona grigia” in cui si rifugiarono i sopravvissuti del maquis jihadista algerino, collegandosi a trafficanti di ogni tipo e ad alcuni irriducibili della causa tuareg.
Il 23 maggio 2006 è scoppiata la terza guerra tuareg del Mali. Ancora una volta è stata l’Algeria a facilitare la firma degli Accordi di Algeri per il ripristino della pace e dello sviluppo nella regione di Kidal. Questi accordi sono stati firmati il 4 luglio 2006 tra l’Alliance démocratique du 23 mai pour le changement (ADC), movimento fondato da Iyad Ag Ghali, Ibrahim Ag Bahanga e dal tenente colonnello Hassan Ag Fagaga, e il governo maliano. La quarta guerra tuareg (2007-2009) è scoppiata l’11 maggio 2007, su iniziativa di Ibrahim Ag Bahanga, che aveva ripreso le armi. Ferito in combattimento, è stato curato in Algeria. Nel settembre 2007, si è staccato dall’ADC per fondare l’Alliance Touareg du Nord-Mali pour le changement (ATNMC) [2]. È seguito un apparente ritorno alla calma, che è durato fino al 2012, quando è scoppiata l’ultima guerra. E ancora una volta, l’Algeria era lì per cercare di porvi fine. Il 15 maggio 2015 è stato firmato l’Accordo di pace e riconciliazione di Algeri, ma le armi hanno continuato a parlare, poiché le autorità di Bamako si sono rifiutate di prendere veramente in considerazione le richieste dell’MNLA Tuareg. Poiché questi accordi non affrontavano i problemi fondamentali, ossia la questione della condivisione del potere tra Nord e Sud, congelavano solo temporaneamente gli antagonismi. Tuttavia, la partenza delle forze francesi da Barkhane ebbe l’effetto di scongelare la questione. Con l’aiuto di Wagner e poi dell’Africa Corps, i sudisti al potere a Bamako hanno avviato una riconquista del nord del Mali, conquistando la città di Kidal dopo che la giunta maliana aveva dichiarato di abbandonare l’accordo di pace di Algeri, firmato nel 2015 tra il governo di Bamako e i gruppi ribelli del Coordination des mouvements de l’Azawad. Di fronte a questa sconfitta, le varie fazioni del Coordinamento dei movimenti dell’Azawad si sono riorganizzate con l’appoggio di Algeri e, il 2 maggio 2024, hanno dato vita a una nuova coalizione, il Cadre stratégique permanent pour la défense du peuple de l’Azawad (CSP-DPA). D’ora in poi, con gli interessi contrastanti di Algeri e Mosca chiaramente esposti, la Russia dovrà fare una scelta. Poiché è difficile per la Russia tagliarsi fuori dall’Algeria, potrebbe scegliere di frenare l’ardore dei suoi alleati nella giunta maliana. Ma in questo caso, nasceranno delusioni che getteranno una nuvola sulla “luna di miele” tra Bamako e Mosca…
1-[Anche in Libia gli interessi di Algeri si scontrano con la politica della Russia. Anche in questo caso, il problema è chiaro: l’Algeria rifiuta la presenza di membri dell’Africa Corps che combattono a fianco del maresciallo Khalifa Haftar, il sovrano della Cirenaica, la cui ostilità nei confronti dell’Algeria è forte.
Sostenuto dalla Russia e non dagli Emirati Arabi Uniti, il comandante in capo dell’Esercito Nazionale Libico sta sfidando la legittimità del governo di Tripoli, sostenuto da Algeri.
SUDAN: LA RUSSIA COSTRETTA A CAMBIARE SCHIERAMENTO
Il Sudan è un alleato tradizionale, un tempo dell’URSS, oggi della Russia. Ma nell’aprile 2023 è scoppiata la guerra civile tra le Forze armate sudanesi (SAF) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhane e la Forza di sostegno rapido (RSF) guidata da Mohamad Hamdane Dagalo, alias Hemedti. La Russia si trovò così stretta tra i due belligeranti e fu costretta a cambiare radicalmente la propria posizione.
Allo scoppio della guerra civile, la Russia era dalla parte di Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemedti”. Tuttavia, al di là del conflitto tra due generali, l’attuale guerra civile sudanese contrappone due grandi gruppi etnici. Da un lato, i nubiani che vivono lungo il Nilo, che costituiscono la spina dorsale del Paese e controllano l’esercito sotto il generale Abdel Fattah al-Burhane. Nel 2018, il presidente Omar Hassan al-Bashir ha firmato un accordo segreto con la Russia per stabilire una base militare a Port Sudan, sul Mar Rosso. Da quel momento gli Stati Uniti hanno iniziato a sovvertire il suo regime e nel 2019, proprio mentre stava per festeggiare i suoi tre decenni di potere e candidarsi per un nuovo mandato presidenziale, la protesta si è trasformata in rivoluzione. Nell’agosto 2019 l’esercito, che non voleva affrontare direttamente le folle, ha acconsentito alla partenza di Omar Hassan al-Bashir. Questo accordo di condivisione del potere tra il cosiddetto Consiglio militare di transizione e l’Alleanza per la libertà e il cambiamento, una miriade eterogenea di gruppi politici e ONG, non era altro che una costruzione artificiale. Così, nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 2021, il generale Abdel Fattah al-Burhane ha preso il potere, che già esercitava in larga misura attraverso il Consiglio di sovranità.
In seguito a questo colpo di Stato, forti manifestazioni di protesta scossero Khartoum e la RSF svolse un ruolo chiave nella loro feroce repressione. Poi, il 15 aprile 2023, è scoppiata la guerra civile tra il numero due del regime, Mohamed Hamdane Dagalo, detto “Hemedti”, capo delle Forze di sostegno rapido (Rsf), e l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al-Burhane, al potere dal colpo di Stato dell’ottobre 2021. Mosca si è trovata di fronte a una situazione complessa. Inizialmente, scommettendo sulla vittoria dell’Rsf, la Russia, che ha legami di lunga data con le Forze armate sudanesi (SAF), ha sostenuto l’Rsf, che controlla i giacimenti d’oro in Darfur e i confini con il Ciad e la Libia, attraverso i quali passano il contrabbando e il flusso di cercatori di fortuna verso l’Europa. Il sostegno al generale ribelle Hemedti ha creato ostacoli alla creazione di una base russa a Port Sudan, sul Mar Rosso. La morte di Prigozhin ha permesso alla Russia di cambiare politica, abbandonando la Rsf e sostenendo la Rsf. Questo riallineamento avvicinerà Mosca alla linea di Teheran nella regione. Dalla fine del 2023, infatti, l’Iran ha rafforzato le sue relazioni bilaterali con il SAF, in particolare attraverso la fornitura di armi e droni. A fine aprile 2024, durante una visita a Port Sudan, l’inviato speciale della Russia per il Medio Oriente e l’Africa, il viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, ha dichiarato che la Russia riconosceva il Consiglio di Sovranità Transitorio (TSC) guidato dal SAF come “legittimo rappresentante del popolo sudanese”. In seguito, la Russia si è impegnata a sostenere militarmente il SAF, facendo rivivere il progetto di una base navale permanente sul Mar Rosso. A dimostrazione dell’importanza del Sudan per la Russia, il ministro degli Esteri russo Sergueï Lavrov, nel 2023-2024, ha visitato il Paese due volte.
Somalia-Etiopia, un precedente cambio di campo da parte di Mosca
Nel 1969 sale al potere il capo dell’esercito somalo, il generale Siyad Barre, che, nel tentativo di superare il tribalismo che stava ipotecando il futuro del Paese, trova un diversivo nel nazionalismo pan-somalo, che prevede un conflitto con l’Etiopia per strappare a quest’ultima la regione dell’Ogaden, popolata da somali. L’URSS, che cercava di destabilizzare l’Etiopia, Paese alleato degli Stati Uniti, capì di avere un’opportunità in questo senso e diede alla Somalia i mezzi per attuare la sua politica fornendo equipaggiamenti militari. La Somalia, fino ad allora filo-occidentale, si rivolse al blocco sovietico e nel 1977, grazie alle armi fornite, il generale Siyad Barre lanciò il suo esercito nella guerra nella regione dell’Ogaden. Inizialmente l’esercito etiope fu spazzato via, ma ad Addis Abeba il colonnello Mengistu Haile Mariam, che aveva preso il potere, era marxista. Mosca si rese conto che era meglio ancorare la sua presenza regionale in un vecchio Stato, l’Etiopia, piuttosto che in Somalia, uno Stato in via di formazione, così l’URSS invertì le sue alleanze e abbandonò Mogadiscio a favore di Addis Abeba. L’offensiva somala nell’Ogaden fu quindi bloccata dalle forze etiopi, grazie al sostegno fornito senza la minima remora dall’URSS, che abbandonò la Somalia nel bel mezzo della battaglia.
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In un primo momento avevo pensato che il Cio, per calmare le acque, avesse pensato di offrire qualcosa al pugile algerino Imane Khelif, che si batte contro le donne. purché perdesse contro qualche avversaria e salvasse il comitato olimpico dalla grossolana insipienza che lo ha portato ad ammettere un maschio nelle competizioni femminili, con argomentazioni grottesche e confuse tipiche dello scientismo ignorante che affligge i nostri tempi. Poi ci si sono messe di mezzo le minacce dell’Algeria che forse dovrebbe migliorare le sue attribuzioni di sesso alla nascita e così Imane che è maschio senza se e senza ma, visto che, come ha stabilito l’ Iba, ovvero l’Associazione pugilistica internazionale, possiede i cromosomi XY, ha conquistato l’oro olimpico.
Ma al di là della cronaca per così dire sportiva, questo evento è di fatto la campana a morto per le competizioni femminili: infatti basta avere sul passaporto la dicitura “femmina” per poter gareggiare nei tornei femminili. E questo può accadere a causa di un errore di registrazione alla nascita, abbastanza raro, ma non rarissimo e poi non corretto, oppure potrebbe derivare da una legislazione o un sistema di regole che consente a un maschio genetico di cambiare sesso sui documenti qualora si senta donna. In più questo esempio assieme a quello del pugile taiwanese Lin Yu-Ting, potrebbe portare a “errori” e “cambiamenti” intenzionali in vista delle competizioni, tanto più che dietro di esse generalmente c’è anche un cespite economico di qualche tipo. Del resto già oggi nei campus americani, dove lo sport è spesso più importante dello studio, succede sempre più spesso che gli uomini si dichiarino donne, gareggiano con loro e vincono premi: il caso più noto è quello di “Lia” Thomas che battendosi inizialmente con gli uomini era al 452 posto in classifica dei nuotatori maschili, mentre ora che si è dichiarato donna vince tutte le gare in stile libero e i relativi premi. Insomma basta la parola visto che il comitato olimpico non fa più controlli, in nome dell’ inclusività. che poi è in realtà l’esclusione delle donne. Caso strano non si trova mai una donna che vuole vedersela con gli uomini.
Questa cosa la si intuisce quando l’ orrendo Cio, per bocca del suo presidente, tale Thomas Bach sostiene che “non esiste alcun metodo scientifico per identificare una donna“. Il che è abbastanza strano visto che le olimpiadi e lo sport in genere dividono da sempre maschi da femmine per la differenza di forza fisica. Senza dire che conosciamo le differenze genetiche e fisiologiche tra i due sessi. Possiamo capire che a Bach, con quella faccia da tedesco ligio agli ordini, sfugga la differenza, ma è chiaro che da ora in poi regnerà il caos nello sport occidentale e altre manifestazioni atletiche internazionali finiranno per prendere il posto delle olimpiadi che peraltro suscitano sempre minor interesse e sono in via di diventare una gazzarra alla wrestling, come dimostrano bene gli stadi vuoti di Parigi, salvo quello riempito fino all’orlo per assistere all’ultimo incontro di Imane. Le parole del Cio ci dicono anche come sia stato strumentalmente introdotto il concetto di intersessualità, che in questo caso non c’entra proprio nulla e che riguarda comunque pochissime persone.
Ciò che si vuole negare è semplicemente la realtà, ovvero il fatto che la biologia prevale sul genere il quale riguarda invece la percezione di sè. Se uno si percepisce femminile – e ha tutto il diritto di farlo – non per questo diventa realmente femmina e non lo diventa nemmeno con la più ardita chirurgia, come dimostrano i frequentissimi suicidi di queste persone che sono preda di una vera e propria mafia medica che fa soldi sfruttando in maniera criminale queste situazioni. Se uno si percepisce come Napoleone, per fare il classico esempio barzellettiero di pazzia, non per questo può pretendere di essere imperatore dei francesi in nome dell’inclusività Anche perché c’è già Macron che ha occupato quel posto nel manicomio europeo.
Tutto ciò è una conseguenza della sub cultura in cui nuotiamo: già da decenni la percezione ha preso il posto dell’essere in ogni campo, come è naturale in una società basata sul narcisismo individuale, tanto che ormai sembrano non contare più le condizioni oggettive. Molti misuratori economici puntano sulla percezione degli operatori, altri sulla percezione delle temperature oppure del grado corruzione o di libertà. E via dicendo, compreso il mondo stesso: in quanto percezioni esse non hanno solo un blando legame con la realtà, ma non sono nemmeno oppugnabili in quanto soggettive. L’unica realtà “dura” che viene presentata come tale è la volontà del potere come la psicopandemia ha perfettamente dimostrato: in quel caso ogni percezione o ogni dubbio viene bandito e diventa reato .
Le dinamiche politiche interne degli Stati Uniti sono cambiate dall’inizio dell’operazione speciale russa.
Il vice ministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov ha dichiarato al canale televisivo Rossiya 1 che gli Stati Uniti hanno ascoltato la richiesta del suo paese il mese scorso di costringere l’Ucraina a sospendere una grande provocazione che il suo paese riteneva avesse il sostegno americano e che avrebbe fatto aumentare drasticamente le tensioni se fosse accaduta. Ha lasciato intendere con forza che questo avrebbe dovuto essere un tentativo di assassinio contro Putin e il nuovo ministro della Difesa Andrey Belousov alla parata del Naval Day di San Pietroburgo il 28 luglio per generare un “effetto mediatico”.
Le osservazioni di Ryabkov seguono la chiamata di Belousov al suo omologo americano Lloyd Austin del 12 luglio, il cui contenuto è stato riportato per la prima volta dal New York Times (NYT) il 26 luglio, dove ha trasmesso la richiesta della Russia agli Stati Uniti di costringere l’Ucraina a revocare i suoi piani. Un giorno dopo, il 13 luglio, che per coincidenza era lo stesso giorno in cui è stato compiuto un tentativo di assassinio contro Trump, il capo dell’intelligence militare ucraina Kirill Budanov ha confermato che il suo paese aveva effettivamente tentato di uccidere Putin in passato ma che ovviamente aveva fallito.
La sua sincera ammissione ha spinto la portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ad accusare gli USA di aver finanziato tali tentativi e ad affermare che anche i paesi occidentali vi avevano partecipato direttamente. Questo scandaloso sviluppo non ha ricevuto l’attenzione che meritava a causa delle ricadute del tentato assassinio di Trump, che ha avuto la priorità nel ciclo mediatico globale, motivo per cui la maggior parte degli osservatori non era nemmeno a conoscenza dell’ammissione di Budanov e della risposta di Zakharova.
Il NYT non ha nemmeno menzionato alcun dettaglio del complotto che l’Ucraina ha pianificato contro la Russia e che gli Stati Uniti alla fine l’hanno costretta ad annullare, quindi è rimasto nel regno delle speculazioni fino alle dichiarazioni di Ryabkov. Visto come Kiev ha rispettato le richieste del suo patrono, questo dimostra che è indiscutibilmente una marionetta americana, indipendentemente da ciò che affermano i media mainstream, ma dimostra anche che gli Stati Uniti non vogliono una seria escalation, nonostante ciò che affermano molti nella comunità dei media alternativi .
Per essere chiari, c’è davvero una fazione guerrafondaia guidata ideologicamente di decisori politici americani che non teme le conseguenze dell’escalation delle tensioni con la Russia, ma le osservazioni di Rybakov mostrano che forze relativamente più moderate hanno prevalso e hanno impedito questa particolare provocazione. Questa intuizione suggerisce che le dinamiche interne di definizione delle politiche degli Stati Uniti sono cambiate dall’inizio dell’operazione speciale della Russia , sollevando così caute speranze che Washington potrebbe riscaldarsi per la pace in Ucraina.
È stato spiegato qui nel weekend che l’articolo di Bloomberg contro il capo dello staff di Zelensky, Andrey Yermak, può essere interpretato come l’inizio di una campagna di pressione volta a dividere i due in modo che il primo non ascolti il consiglio del secondo di rifiutarsi di riprendere i negoziati con la Russia. Considerando quanto rivelato da Ryabkov più o meno nello stesso periodo, ci sono ragioni per credere che ora a comandare a Washington siano forze relativamente più moderate, non guerrafondai radicali.
Se è davvero così, allora significa che la pace potrebbe essere possibile, anche se ovviamente non può essere data per scontata. Detto questo, la fazione guerrafondaia guidata dall’ideologia potrebbe sempre organizzare una falsa bandiera o qualche altra provocazione per rovinare qualsiasi progresso possa essere fatto su questo, ma potrebbe non accadere o generare i risultati desiderati. Tuttavia, l’importanza delle osservazioni di Ryabkov è che forniscono la prova che le dinamiche interne di definizione delle politiche degli Stati Uniti stanno cambiando e si stanno muovendo nella giusta direzione.
Queste lezioni potrebbero ridefinire il modo in cui i decisori politici percepiscono l’operazione speciale e quindi migliorare il modo in cui è stata condotta.
L’attacco furtivo dell’Ucraina contro la regione russa di Kursk sembra aver penetrato con successo il confine, secondo l’aggiornamento di RT di mercoledì, che ha seguito l’ affermazione del Ministero della Difesa secondo cui i combattimenti si stavano svolgendo solo sul lato ucraino del confine. Anche se sembra destinato a fallire e ad essere visto a posteriori come la “battaglia delle Ardenne” di questa generazione, come molti commentatori sociali l’hanno descritta, ha comunque insegnato alla Russia cinque lezioni molto importanti che farebbe bene a considerare di attuare:
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* Forse è finalmente giunto il momento di distruggere tutti i ponti sul Dnepr
La Russia è stata finora riluttante a distruggere i ponti sul Dnepr, ma potrebbe finalmente essere giunto il momento di farlo per impedire che armi e equipaggiamenti occidentali raggiungano i suoi confini pre-2014 in preparazione di possibili ulteriori attacchi furtivi. Continuare a dare priorità agli obiettivi politici rispetto a quelli militari, come restare avversi a creare disagi ai civili attraverso i mezzi proposti per evitare di perdere altri cuori e menti, ha presumibilmente dimostrato di avere più svantaggi che vantaggi.
* Un migliore ISR e meno pensiero di gruppo possono ridurre i punti ciechi della Russia
La NATO ha dimostrato di avere capacità tattiche impressionanti dopo aver mascherato con successo l’attacco furtivo del suo proxy, ma la Russia è pari al blocco e quindi non avrebbe dovuto essere ingannata. Una migliore intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR) avrebbe potuto impedirlo, così come l’ottimizzazione dei cicli di feedback dal fronte. Secondo quest’ultimo, i piani alti potrebbero non aver preso sul serio i resoconti di un rafforzamento militare poiché avrebbero potuto considerarlo “irrazionale”, ma avrebbero dovuto ascoltare se fosse stato così.
* Un reinsediamento preventivo e maggiori difese fisiche ai confini sarebbero stati di grande aiuto
Col senno di poi, forse sarebbe stato saggio reinsediare preventivamente le persone che vivevano in prossimità del confine e trasformare queste aree in una zona di sicurezza con molte più difese fisiche. Due motivi per cui ciò non è stato fatto potrebbero essere stati il timore che i suoi nemici lo spacciassero per una “zona cuscinetto” all’interno della Russia e il non voler creare disagi alla gente del posto. Il primo non dovrebbe mai influenzare i decisori politici, mentre il secondo potrebbe essere mitigato da una pianificazione e un finanziamento adeguati (con possibili contributi “oligarchi”).
* Le milizie di confine potrebbero non essere una cattiva idea se fossero supervisionate dallo Stato
Il defunto fondatore di Wagner, Prigozhin, ora rinominato, aveva precedentemente proposto di creare una milizia di confine nella regione di Belgorod, ma alla fine si è rivelato l'” idiota utile ” dell’Occidente, come spiegato nell’analisi con collegamento ipertestuale precedente, quindi potrebbe essere stata una pessima idea all’epoca se ci fosse riuscito. Tuttavia, milizie di confine adeguatamente supervisionate potrebbero in effetti essere una buona idea, come se ci fossero agenti dell’FSB incorporati al loro interno per garantire la continua lealtà di questi attori non statali allo Stato.
* La “difesa attiva” è migliore della “difesa passiva”
Anche in assenza di un’adeguata ISR, l’Ucraina avrebbe comunque avuto difficoltà a radunare le forze necessarie per il suo attacco furtivo e poi a irrompere oltre confine se la Russia si fosse impegnata in una politica di “difesa attiva” (regolari attacchi di basso livello) invece che di “difesa passiva” (stare seduti e aspettare un attacco). Andando avanti, la Russia dovrebbe considerare i meriti dell’implementazione di una “difesa attiva” lungo tutto il fronte, che terrebbe l’Ucraina in bilico e forse la costringerebbe a creare volontariamente le proprie “zone cuscinetto”.
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Le cinque lezioni sopra elencate potrebbero rimodellare il modo in cui i decisori politici percepiscono l’operazione speciale e quindi migliorare il modo in cui è stata condotta, in particolare per quanto riguarda l’affrontare alcune delle critiche costruttive che sono state condivise in questa analisi qui da novembre 2022. Mantenere la stessa mentalità rischia di causare più attacchi furtivi. È solo attraverso l’evoluzione pragmatica dei punti di vista dei decisori politici in risposta agli eventi degli ultimi 2,5 anni che si può ottenere il successo al meglio.
In parole povere, l’Ucraina non solo ha “spaventato” la Russia, ma ha anche manipolato magistralmente le sue percezioni dopo essersi resa conto molto tempo fa (o dopo che l’Asse anglo-americano glielo aveva detto) di quanto fosse fortemente influenzata dal pensiero di gruppo.
Sono successe così tante cose dalle fughe di notizie del Pentagono della primavera del 2023 che pochi ricordano nemmeno che siano accadute, ma sono più rilevanti che mai nel mezzo dell’invasione in corso dell’Ucraina nella regione russa di Kursk, poiché hanno dimostrato che Zelensky stava tramando da gennaio 2023. Il Washington Post ha riferito di questo aspetto di quelle fughe di notizie a maggio 2023, scrivendo che gli Stati Uniti erano già a conoscenza a quel tempo che Zelensky pensava che questa mossa avrebbe “dato a Kiev una leva nei colloqui con Mosca”.
Questo non è sfuggito neanche ai russi, dato che RT ha prontamente pubblicato un articolo a riguardo, che è stato analizzato qui all’epoca, sollevando così domande sul perché non ci fossero migliori difese di confine in atto per ogni evenienza. Questi resoconti sono circolati proprio prima della controffensiva dell’Ucraina, alla fine fallita , quindi è possibile che il confine sia stato fortificato come precauzione prima che ciò accadesse, ma poi la Russia si è adagiata sui suoi guadagni sul campo nel Donbass nell’ultimo anno e ha abbassato la guardia.
A questo proposito, questa analisi della scorsa settimana ha sottolineato che l’invasione della regione di Kursk da parte dell’Ucraina dovrebbe incentivare la Russia a eliminare finalmente il pensiero di gruppo. È difficile credere che non ci fossero state segnalazioni di alcun tipo di accumulo lungo il confine in anticipo, il che significa che i piani alti potrebbero aver liquidato qualsiasi cosa fosse stata loro raccontata in via speculativa dai loro subordinati come “irrazionale”. Lì sta il problema, poiché l’Ucraina finisce sempre per sorprendere la Russia, ma le lezioni rilevanti devono ancora essere apprese.
Che si tratti di attacchi di droni a lungo raggio contro i suoi aeroporti strategici , sistemi di allerta precoce e persino il Cremlino o attacchi di droni navali contro la sua flotta del Mar Nero , tutti supportati dall’Asse anglo-americano , la Russia avrebbe dovuto aspettarsi ormai che ognuno dei suoi punti deboli fosse un probabile bersaglio. Tuttavia, viene regolarmente colta con i pantaloni calati, anche se la gente non dovrebbe dimenticare che intercetta ancora molti droni e sventa anche molti complotti imminenti.
Detto questo, si sarebbe potuto fare di più per proteggere il confine dall’invasione che Zelensky stava progettando da un anno e mezzo. Prima degli ultimi eventi, aveva impiegato terroristi per scopi transfrontalieri.raid nella regione di Belgorod, che potrebbero aver ingannato la Russia facendole credere che l’Ucraina avesse abbandonato i suoi piani per un’invasione convenzionale. Ciò potrebbe spiegare perché le uniche forze che ha schierato lungo il confine erano unità di contro-sabotaggio che non erano preparate a respingere una vera invasione.
Una decisione del genere rappresenta comunque un errore di giudizio, se si ricorda che il capo dell’intelligence militare ucraina Budanov ha attirato l’attenzione sulla regione di Kursk a metà maggio, poco dopo l’inizio dell’avanzata della Russia nella regione di Kharkov del suo paese. All’epoca ha affermato che “stanno trattenendo un piccolo gruppo di forze nell’area di confine, nella città di Sudzha. Da parte nostra, è la direzione di Sumy, ma la situazione non ha ancora permesso loro di agire attivamente e iniziare, diciamo, a implementare il loro piano”.
A quanto pare, la Russia non ha mai rafforzato il suo “piccolo gruppo di forze nell’area di confine”, spiegando così perché l’Ucraina è stata in grado di violare il confine e ora sta lottando per il controllo di Sudzha. La Russia potrebbe aver liquidato le forze che l’Ucraina ha radunato in preparazione di questo come una reazione eccessiva al timore di Budanov di una spinta nella regione di Sumy. Se non altro, alcuni politici russi potrebbero essere stati persino contenti di vederli, pensando che fosse meglio per loro essere schierati lì che nel Donbass.
In parole povere, l’Ucraina non solo ha “spaventato” la Russia, ma ha anche manipolato magistralmente le sue percezioni dopo aver realizzato molto tempo fa (o dopo che l’Asse anglo-americano glielo ha detto) quanto sia fortemente influenzata dal pensiero di gruppo. Di volta in volta, un po’ di pensiero creativo da parte della Russia avrebbe fatto la differenza nel contrastare le innumerevoli trame dell’Ucraina, eppure mentalità obsolete continuano a prevalere nonostante tutto quello che è successo. Ciò deve cambiare, e con urgenza, affinché lo specialeoperazione per raggiungere i suoi obiettivi.
Kiev è disperata nel tentativo di allentare la pressione lungo il fronte del Donbass, dove la Russia ha continuato a guadagnare gradualmente terreno quest’anno e potrebbe presto essere sull’orlo di una svolta.
La Russia sta lottando per respingere l’attacco furtivo dell’Ucraina nella sua regione di Kursk, sebbene siano emersi resoconti contrastanti sulla posizione di questi scontri. Il Ministero della Difesa russo ha affermato che tutti i combattimenti hanno avuto luogo sul lato ucraino del confine, mentre Rybar , che vanta quasi 1,2 milioni di abbonati e funziona come una specie di think tank, ha affermato che si sta svolgendo all’interno dei confini della Russia. Qualunque sia la verità, questo ultimo sviluppo è comunque immensamente importante.
In parole povere, potrebbe essere l’ultimo urrà dell’Ucraina, poiché rappresenta una scommessa enorme aprire un nuovo fronte all’interno dei confini russi pre-2014 con l’intento di far sì che i suoi nemici ridistribuiscano alcune delle loro truppe a Kursk dal Donbass, dove hanno continuato a guadagnare gradualmente terreno quest’anno. Finora la Russia si era preparata per un altro attacco contro la vicina regione di Belgorod, ergo la difficile ma necessaria decisione di imporre un rigido regime di sicurezza lì alla fine del mese scorso, quindi è stata colta di sorpresa.
Prima di allora, c’era una seria preoccupazione che l’Ucraina potesse prepararsi a lanciare un’offensiva in Bielorussia, che avrebbe potuto espandere il conflitto e forse servire da pretesto per il coinvolgimento polacco . Presi insieme alla luce di quanto appena accaduto nella regione di Kursk, le mosse dell’Ucraina in quelle due direzioni potrebbero essere state pensate, a posteriori, per “smarrire” la Russia, facilitando così il suo ultimo attacco. A differenza dei precedenti raid transfrontalieri , anche questo coinvolge truppe ucraine in uniforme, non terroristi per procura.
Nessuno ha preso sul serio l’Ucraina quando ha annunciato che intende lanciare un’altra controffensiva entro la fine dell’anno, anche se ciò che sta accadendo potrebbe essere ciò che i suoi decisori politici avevano in mente. Detto questo, la portata non è minimamente paragonabile a quella della controffensiva fallita dell’anno scorso , e non è una vera controffensiva, dato che la Russia non stava attaccando l’Ucraina da Kursk. Tuttavia, è ancora il più grande attacco transfrontaliero finora, ed è stato chiaramente pianificato da tempo, invece di essere un raid improvvisato.
Queste osservazioni non implicano che avrà successo, tuttavia, poiché le dinamiche strategico-militari sono state orientate a favore della Russia per tutto l’anno. Dopo tutto, l’Ucraina sta dirottando truppe e equipaggiamenti limitati dal fronte del Donbass a quello di Kursk, e questo potrebbe facilmente ritorcersi contro creando un’apertura che la Russia potrebbe sfruttare. Inoltre, è improbabile che conservino ciò che potrebbero aver catturato a Kursk, precludendo così la possibilità di “scambiarlo indietro” durante i colloqui di pace.
Tuttavia, il fatto stesso che quella che si è trasformata in una battaglia lunga due giorni al momento della pubblicazione di questa analisi sia potuta accadere in primo luogo dimostra che l’Ucraina ha ancora qualche asso nella manica, vale a dire la sua continua capacità di eludere la sorveglianza, l’intelligence e la ricognizione della Russia. La Russia non ha rilevato alcun notevole accumulo vicino al confine di Kursk in anticipo, solo quelli di Bielorussia e Belgorod, altrimenti avrebbe lanciato attacchi preventivi e imposto un regime di sicurezza lungo il confine.
Non si tratta di criticare la Russia, ma di richiamare l’attenzione sulle impressionanti capacità tattiche della NATO nel riuscire a mascherare con successo l’attacco furtivo del suo proxy. Ciò ha contribuito al crescente numero di vittime civili che la portavoce del Ministero degli Esteri russo Zakharova ha condannato come prova del terrorismo di Kiev. Potrebbe andare molto peggio di così prima di migliorare se l’Ucraina riuscisse a ottenere una svolta nella regione di Kursk che la porti a minacciare l’omonima centrale nucleare nelle vicinanze.
Le probabilità che ciò accada sono basse, secondo il maggiore generale Apty Alaudinov, che è il vice capo del dipartimento militare e politico delle forze armate russe e comandante dell’unità delle forze speciali Akhmat, secondo TASS . Un altro punto da sottolineare, tuttavia, è che il precedente rapporto ipertestuale di Rybar affermava che l’Ucraina aveva preso il controllo di una stazione di transito del gasdotto, il che, se fosse vero, potrebbe finire per vedere quella struttura distrutta e quindi tagliare fuori il gas russo dai suoi clienti dell’Europa centrale.
Kiev ha interesse a punire Ungheria e Slovacchia per le loro posizioni anti-guerra, ecco perché ha recentemente sanzionato una compagnia petrolifera russa che aveva una deroga UE per continuare a rifornire quelle due, quindi potrebbe di conseguenza voler infliggere loro il massimo danno distruggendo la suddetta struttura del gas. Per essere chiari, il rapporto di Rybar non è stato confermato e potrebbe essere falso, ma la sua importanza e le osservazioni di Alaudinov sulla vicina centrale nucleare si basano sul mettere in evidenza le enormi poste in gioco coinvolte in Kursk.
Per queste ragioni, si può concludere che questo era in lavorazione da un po’ e quindi è probabile che sia l’ultimo urrà dell’Ucraina, che sta solo tentando ora per disperazione di ricevere un po’ di sollievo lungo il fronte del Donbass, dove la Russia continua a guadagnare terreno e potrebbe essere sull’orlo di una svolta. La Russia probabilmente riconquisterà presto il suo territorio perduto, se ne è stato davvero catturato dall’Ucraina, cioè, e poi farà pagare a Kiev questo vile attacco furtivo.
Questa ultima affermazione rappresenta un’escalation narrativa nella già tesa crisi tra Ungheria e Unione Europea.
Il leader del “Partito Popolare Europeo” Manfred Weber ha inviato una lettera al Presidente della Commissione Europea, in cui ha diffuso il panico dicendo che la decisione dell’Ungheria di estendere il suo programma di “carta nazionale” a russi e bielorussi minaccia la sicurezza dell’UE e potrebbe portare a più spionaggio da parte di quei due. Il portavoce ungherese ha condannato questo attacco come ipocrita, poiché sono eurocrati come Weber a promuovere le politiche di “frontiere aperte” e ha ribadito che tutti i richiedenti di “carta nazionale” devono sottoporsi a controlli di sicurezza.
La lettera di Weber è stata poi seguita dalla Commissaria per gli Affari Interni dell’UE Ylva Johansson che ha ufficialmente chiesto all’Ungheria di spiegare la sua decisione di includere russi e bielorussi nel suo programma “carta nazionale”. La sua lettera si basava sul suo allarmismo, ma vi ha aggiunto una nuova svolta affermando anche che “potrebbe portare a un’elusione di fatto” delle sanzioni dell’UE. Tuttavia, pochi tra i cittadini si preoccupano molto delle violazioni delle sanzioni, rimanendo invece molto più influenzati dalle teorie cospirative sulle spie russe.
Questo ultimo scandalo si aggiunge ad altri tre: 1) l’UE ha in programma di boicottare il vertice degli affari esteri che l’Ungheria ospiterà più avanti questo mese; 2) l’Ucraina ha tagliato alcune esportazioni di petrolio russo all’Ungheria che erano state esentate dalle sanzioni dell’UE; e 3) la Polonia si è finalmente divisa con l’Ungheria per i suoi continui legami con la Russia. Tutti e tre sono stati preceduti dalla missione di pace del Primo Ministro Viktor Orban a Kiev, Mosca, Pechino, DC e Mar-a-Lago per esplorare la possibilità di mediare un cessate il fuoco nel conflitto ucraino.
È quindi ovvio che gli scandali sopra menzionati e l’ultimo appena inventato da Weber sono tutti progettati per punire l’Ungheria per aver rotto i ranghi con la politica pro-guerra dell’Occidente. Lo scandalo più recente è destinato ad aggiungere un elemento di urgenza agli sforzi multilaterali per punire più formalmente questo paese ribelle sulla falsa base che sta per far entrare tacitamente spie russe nell’UE. Lo scenario più estremo è la minaccia di sospendere l’Ungheria dalla zona Schengen.
Questi quattro sviluppi dimostrano l’esistenza di un ibrido concertato Guerra all’Ungheria che viene condotta per spingerla ad abbandonare la sua missione di pace e poi capitolare alle richieste dei suoi praticanti di invertire la rotta armando l’Ucraina. Lo scandalo ucraino rappresenta una seria pressione economica mentre il vertice degli affari esteri e quelli polacchi sono una pressione politica. Per quanto riguarda l’ultimo scandalo della “carta nazionale”, l’insinuazione di Weber secondo cui Orban sta deliberatamente minando la sicurezza dell’UE rappresenta un’escalation narrativa.
I suoi avversari non ci girano più intorno dicendo che lui sarebbe una minaccia, ma ora lo descrivono esplicitamente come tale, il che dovrebbe giustificare una pressione più concertata con l’obiettivo immediato di costringerlo a revocare la nuova idoneità alla “carta nazionale” di russi e bielorussi. Sanno che Orbán probabilmente non si muoverà, dato che è un sovranista di principio, quindi questa mossa può essere interpretata come la creazione del pretesto per escalation economiche e politiche più significative.
Questa intuizione riporta tutto allo scenario estremo menzionato sopra riguardo alle minacce di sospendere l’Ungheria dalla zona Schengen. Sebbene sia improbabile che ciò accada, non si può escludere che le principali figure politiche possano ancora discuterne apertamente come un’ulteriore forma di pressione. In tal caso, nessuno può prevedere come reagirebbe l’Ungheria, ma dipenderà dal fatto che la sua leadership creda che tali minacce siano serie o solo un bluff per convincerla a mettere in atto alcune delle concessioni politiche richieste.
In ogni caso, l’importanza di questa ultima narrazione di fake news sull’Ungheria che si starebbe preparando a far entrare tacitamente spie russe nell’UE è che aggiunge una nuova dimensione alla loro crisi già complessa, che infonde al blocco un falso senso di urgenza per intensificare ulteriormente la sua campagna di pressione. L’esito di questa crisi porterà o l’Occidente post-nazionale a erodere ulteriormente la sovranità dell’Ungheria o lo stato-nazione più orgoglioso dell’UE a mantenere con successo la propria posizione e a ispirare stati che la pensano allo stesso modo a seguire il suo esempio.
Questa politica è egoistica e giustificata con falsi pretesti, ma l’Iran ha il diritto sovrano di promulgare in anticipo ciò che la sua leadership considera come interessi nazionali.
La Guida suprema iraniana ha twittato la scorsa settimana che “La Repubblica islamica dell’Iran ritiene che il corridoio #Zangezur sia a scapito dell’Armenia e riaffermiamo la nostra ferma posizione su questa questione”. Ciò è seguito al suo incontro con il Primo Ministro armeno Pashinyan di martedì, che si trovava a Teheran per partecipare all’insediamento del Presidente Pezeshkian , nonché alle recenti segnalazioni secondo cui quei due Paesi hanno firmato segretamente un accordo sulle armi da 500 milioni di dollari all’inizio di quest’anno per droni e difese aeree.
A quanto pare, l’Iran sembra armare l’Armenia (nonostante le smentite di entrambe le parti) con il pretesto che l’Azerbaijan rappresenti una minaccia alla sua integrità territoriale, presumibilmente a causa delle sue richieste che Yerevan implementi il corridoio Zangezur. A questo proposito, questo concetto è stato deliberatamente travisato dalle forze avversarie nel modo appena descritto, ma la realtà è che la sua essenza è stata sancita nell’ultima clausola del cessate il fuoco mediato da Mosca del novembre 2020 tra Armenia e Azerbaijan:
“Tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione saranno sbloccati. La Repubblica di Armenia garantirà la sicurezza delle comunicazioni di trasporto tra le regioni occidentali della Repubblica di Azerbaigian e la Repubblica autonoma di Nakhichevan al fine di organizzare il movimento senza ostacoli di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni. Il controllo sulle comunicazioni di trasporto sarà esercitato dagli organi del Border Guard Service dell’FSS della Russia.”
L’Iran lo sa, ma fa di proposito finta di essere stupido perché ci guadagna di più. Per spiegare, condannare pubblicamente il corridoio Zangezur con il pretesto falsamente implicito che sia una minaccia all’integrità territoriale dell’Armenia serve a incoraggiare Yerevan a rimanere ostinata. Questo a sua volta crea un mercato fertile proprio accanto a cui possono essere esportate armi iraniane e giustifica la Repubblica islamica che facilita anche l’ esportazione correlata di quelle indiane in un tentativo congiunto di aiutare il goffo atto di bilanciamento dell’Armenia.
Finché l’Armenia rimarrà ufficialmente all’interno della CSTO e quindi sotto l’ombrello di difesa della Russia nonostante abbia sospeso la sua appartenenza a quel gruppo, allora è improbabile che l’Azerbaijan ricorra alla forza per far sì che il suo vicino rispetti l’ultima clausola del cessate il fuoco del novembre 2020. Di conseguenza, l’Azerbaijan potrebbe quindi diventare dipendente dal corridoio parallelo dell’Iran verso Nakhichevan e Turkiye, concordato in ottobre e analizzato qui insieme ad altri sviluppi associati all’epoca.
Per riassumere, la continua opposizione dell’Iran al corridoio Zangezur è egoistica e giustificata con falsi pretesti, ma una tale politica è il diritto sovrano della Repubblica islamica di promulgare. I suoi interessi nazionali sono promossi trasformando l’Armenia in un nuovo mercato di armi e aumentando le probabilità che l’Azerbaijan conduca il suo previsto commercio transarmene attraverso il corridoio parallelo che attraversa l’Iran settentrionale. L’Azerbaijan ovviamente disapprova la politica dell’Iran, ma non abbastanza da interrompere le relazioni con esso.
Ciò smentisce la fake news secondo cui si tratterebbe di “innocenti americani presi in ostaggio dalla Russia”.
Il governo degli Stati Uniti (USG) ha insistito per tutto il periodo di prigionia di Evan Gershkovich e Paul Whelan in Russia con l’accusa di spionaggio che questi due erano stati “ingiustamente detenuti”, ma i filmati appena pubblicati dall’FSB dimostrano che erano effettivamente spie americane. Le persone possono vedere i filmati di Gershkovich qui e Whelan qui , entrambi con una breve analisi video di Murad Gazdiev di RT incorporata in fondo che vale la pena guardare per mettere tutto nel contesto.
Gershkovich include un audio che dimostra che sapeva di aver sollecitato segreti di difesa classificati per conto del Wall Street Journal e poi ha pianificato di trarre in inganno i lettori affermando di aver parlato solo con una “fonte anonima” senza menzionare che avevano anche ottenuto documenti a riguardo. Ha anche provato a nascondere la chiavetta USB che aveva ottenuto durante l’incontro con la sua fonte in un ristorante di Yekaterinburg quando è stato arrestato, cosa che il video evidenzia specificamente per richiamare l’attenzione.
Quanto a Whelan, non c’è audio nel suo video, ma lo si vede mentre riceve una chiavetta USB nel bagno di un hotel da un amico che, secondo lui, durante l’interrogatorio gli avrebbe presumibilmente dato foto di chiese. Il breve video analitico di RT prende in giro in modo divertente la sua storia come assurda. Dopotutto, Gazdiev ha ricordato a tutti che gli amici condividono le foto tramite e-mail o SMS, non tramite chiavette USB nei bagni degli hotel. Proprio come Gershkovich, anche lui sapeva ovviamente di aver sollecitato illegalmente segreti classificati, in questo caso su ufficiali dell’FSB.
Tuttavia, la CNN ha prontamente trasformato questo filmato appena rilasciato in una presunta prova di “intrappolamento”, ignorando completamente il fatto che entrambi gli uomini avevano consapevolmente accettato delle chiavette USB dalle loro fonti russe che, a loro dire, contenevano informazioni riservate sulla sicurezza nazionale del loro paese ospitante. È nel complesso un prodotto informativo molto scadente che puzza di disperazione per distrarre dalla prova visiva che quei due sono stati letteralmente colti in flagrante mentre ricevevano segreti di stato russi.
Si può solo ipotizzare se Nathan Hodge della CNN, il loro Senior Row Editor di Londra che era il capo dell’ufficio di Mosca dell’emittente e la cui biografia ufficiale rivela che era “ampiamente integrato con l’esercito statunitense”, stia interferindo per conto dell’USG per conto proprio o per fare un favore agli amici. In ogni caso, il fatto che qualcuno con tali “credenziali impressionanti” dal punto di vista dei media mainstream abbia prodotto un prodotto informativo così scadente dimostra quanto l’Occidente sia nel panico.
Anche la reazione della CNN è letteralmente orwelliana, dal momento che non si può fare a meno di ricordare ciò che scrisse nel 1984 su come “Il Partito vi ha detto di respingere le prove dei vostri occhi e delle vostre orecchie. Era il loro comando finale e più essenziale”. È esattamente ciò che sta accadendo qui, dal momento che agli occidentali medi viene detto che né Gershkovich né Whelan sono stati colti in flagrante, il primo dei quali ha persino ammesso su nastro di sapere che stava sollecitando segreti e che aveva intenzione di ingannare il suo pubblico sull’origine di quelle informazioni.
La realtà è che le agenzie di intelligence straniere hanno sempre avuto alcune delle loro spie che si travestivano da giornalisti e turisti, e gli Stati Uniti non sono l’unico paese che lo fa, ovviamente. Comunque sia, ogni volta che le loro spie vengono beccate dopo essersi nascoste sotto queste coperture, gli Stati Uniti fingono sempre di essere stupidi e negano che fossero coinvolti in attività di spionaggio. Si affidano a una combinazione di atteggiamento generalmente amichevole del pubblico nei confronti di giornalisti e turisti, nonché di quello negativo nei confronti degli stati rivali, per mantenere in piedi la farsa.
Ironicamente, questo gaslighting finisce per ritorcersi contro ogni volta che le spie detenute dagli Stati Uniti vengono scambiate con quelle presunte di un altro paese, come è successo durante lo storico scambio della scorsa settimana . Qualunque partito sia all’opposizione in quel momento può affermare, come ha appena fatto Trump, che delle vere spie russe sono state scambiate per “ostaggi americani”, il che potrebbe presumibilmente “incoraggiare un maggior numero di prese di ostaggi” e quindi non avrebbe mai dovuto accadere. Anche così, non è chiaro quanta parte della popolazione sia ricettiva a tali affermazioni.
L’importanza del filmato che l’FSB ha appena condiviso sugli arresti di Gershkovich e Whelan è che smentisce le fake news che sostengono che fossero “americani innocenti presi in ostaggio dalla Russia”. Erano spie in buona fede che sapevano i rischi che stavano correndo, in particolare Gershkovich, che ha sfruttato la sua copertura di giornalista per dedicarsi allo spionaggio e ha quindi rischiato di mettere in pericolo i suoi colleghi in altri paesi. Nessuno dei due merita la simpatia che ha ricevuto dai suoi connazionali americani fuorviati.
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Entriamo subito nel vivo dell’offensiva del Kursk, che si è riscaldata e rimane tesa. Ci sono molte informazioni da trattare, quindi eviterò ogni stravaganza e contestualizzazione, scendendo invece nei dettagli.
In primo luogo, ciò che è stato chiarito è che si tratta di un’offensiva seria, piuttosto che di un “raid di confine TikTok” come quelli di maggio e giugno dello scorso anno, nella regione di Belgorod. Non solo le unità ucraine stanno utilizzando protocolli Opsec piuttosto rigidi, ma è chiaro che è stata assemblata un’intera taskforce operativa multi-brigata preformata, composta da diverse unità d’élite, alcune delle quali hanno preso parte all’offensiva di Zaporozhye del 2023.
Alcuni hanno pubblicato questa lista, ma prendetela con le molle perché non c’è praticamente nessuna prova del coinvolgimento della maggior parte di queste brigate:
Elenco delle formazioni delle Forze Armate dell’Ucraina, compresa la Difesa Territoriale e il Servizio di Guardia di Frontiera dello Stato, coinvolte nella regione di Kursk.
Il 22° è stato impiegato nella battaglia di Bakhmut, mentre l’82° è una famosa brigata d’élite che ha ricevuto i Marder tedeschi, gli Stryker americani e i Challenger britannici per l’offensiva di Zaporozhye. E ora abbiamo visto molti Stryker e alcuni Marder a Kursk – cosa che, tra l’altro, ha suscitato polemiche, dato che i “carri armati” tedeschi sono ufficialmente tornati sul vecchio territorio russo – e proprio a Kursk – per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale:
Se l’Ucraina utilizzerà carri armati di fabbricazione tedesca durante l’invasione della regione di Kursk, ciò non susciterà l’indignazione di Berlino, ha dichiarato il capo della commissione Difesa del Bundestag tedesco, Markus Faber.
Eccoli colpiti quando ieri i Lancet russi hanno decimato le colonne ucraine nella regione di Kursk:
Tornare indietro:
Le brigate elencate in precedenza non sono, al momento, completamente dotate di personale, ma piuttosto un’accozzaglia di vari battaglioni, distaccamenti, elementi, ecc. Quindi, non si tratta di decine di migliaia di truppe, come si potrebbe pensare, ma forse di 2000 al massimo per ora, secondo il MOD russo.
Le due domande più importanti sono quindi: come ha fatto l’Ucraina a procurarsi così tanti uomini freschi e come ha fatto a violare così gravemente il confine? Esaminiamolo:
In primo luogo, sembra che la Russia stia pianificando da tempo la propria incursione a Sumy. Per questo motivo, si dice che stesse per sgomberare la maggior parte delle miniere della regione, per facilitare le proprie avanzate future. Questa è la prima grande differenza con l’offensiva di Zaporozhye del 2023, che fu fermata in gran parte, come si ricorderà, dal vasto sistema di mine della Russia.
La penetrazione ucraina a Kharkov non ha avuto campi minati da attraversare, anche se in seguito i corrispondenti russi hanno notato la presenza del sistema di sminamento a distanza ISDM Zemledeliye “Agriculture”, che sparge mine nelle retrovie dell’Ucraina sparandole in stile MLRS.
Secondo quanto riferito, la Russia ha grandi riserve nell’area, ma non erano vicine al confine per evitare che le loro concentrazioni venissero prese di mira da potenziali attacchi a lungo raggio come HIMARS/ATACMS, ecc. Pertanto, la penetrazione iniziale ucraina è stata apparentemente affrontata solo da guardie di frontiera, una qualche combinazione di guardie della Rosgvardia, dell’FSB e potenzialmente da soldati di leva. In questo modo l’Ucraina ha inizialmente catturato decine di sfortunate guardie di frontiera direttamente al primo posto di blocco, che è stato geolocalizzato qui:
Scarica
Guardate qui sotto: la tattica descritta dalle fonti dell’AFU è stata quella di bombardare inizialmente il checkpoint di confine con droni FPV, come si può vedere nel video, facendo arrendere in massa le guardie intrappolate:
Secondo:
Questa offensiva è stata, a detta di tutti, estremamente ben pianificata e coordinata, con “fonti” che affermano il coinvolgimento dell’MI6 britannico, il che è solo da aspettarsi. Ci sono molti scritti sulle tattiche precise utilizzate dalle forze AFU in avanzata, di cui ne posterò un paio:
Primo: perché proprio Kursk e non un’offensiva in un’altra regione? Questa è una conclusione sensata con cui non posso non essere d’accordo:
Perché Kursk?
Tutti ricordiamo l’azione bielorussa, che non abbiamo comprato. Non c’è stato alcun trasferimento di truppe in Bielorussia.
Dove altro possono essere dispiegate le truppe russe?
Bryansk è una zona paludosa con fitte foreste. Non ci andranno.
Belgorod – ci sono molte truppe russe nella regione. Se ci si reca lì, si può ricevere rapidamente un calcio nei denti + la parte attiva del fronte è proprio in direzione di Belgorod.
Fronte orientale – problemi costanti in direzione delle forze armate ucraine, anch’esse parte attiva del fronte.
Crimea – la forza di sbarco via acqua sta per essere affogata, e via terra è necessario occupare la riva sinistra – anche questo non è realistico.
Quindi cosa rimane? Kursk. L’Oblast di Kursk confina con l’Oblast di Sumy. Abbiamo già visto attività qui, quando la RDC* ha assaltato Tyotkino, senza successo.
Ora il nemico è andato a Sudzha. L’idea principale della manovra è quella di spezzare le truppe russe, ridurre l’intensità in altre direzioni.
Ricordiamo anche le prossime elezioni negli Stati Uniti, dove i curatori stanno già parlando di fermare il conflitto. Dobbiamo mostrare con urgenza le vittorie. Risultati come Krynki non sono più interessanti, tali notizie non avranno risonanza in Occidente, ma attraversare il confine e controllare i territori della Federazione Russa, almeno per un breve periodo, potrebbe diventare un nuovo, buon motivo per “lasciarmi difendere attivamente”.
*un’organizzazione terroristica vietata in Russia.
Arcangelo degli Spetsnaz.
In generale, l’avanzata è stata descritta come molto ben coordinata, dove le squadre di droni ucraini hanno aperto la strada con raffiche di FPV, che hanno messo fuori gioco gli “occhi e le orecchie” della Russia nel cielo, prendendo di mira non solo le fortificazioni ma anche i droni di sorveglianza russi. Il tutto è stato coperto da un’efficace rete EW che si dice abbia causato molti problemi alle comunicazioni russe nella regione, che si sono verificati in concomitanza con un massiccio attacco DDOS che ha messo fuori uso la rete internet della regione:
Le risorse Internet della regione di Kursk sono state sottoposte a un massiccio attacco DDoS, molti servizi erano fuori uso e temporaneamente non disponibili, hanno riferito le autorità regionali.
Dal momento che molti gruppi russi utilizzano varie applicazioni del tipo WhatsApp/Discord/ecc. per coordinarsi, è probabile che questo abbia influito sulle comunicazioni insieme al disturbo EW. Come riferito l’ultima volta, tutto questo è stato anche programmato con una campagna psyop di massa, come i falsi profondi del governatore della regione di Kursk che ho postato l’ultima volta, destinati a seminare confusione in un momento critico.
In breve: è un’aggressione da manuale, di cui non si può dire nulla di male. L’Ucraina ha scelto una regione che era un ventre molle e ha accumulato una disparità di forze contro un gruppo di guardie di frontiera e coscritti russi quasi indifesi. Tuttavia, non appena le forze ucraine hanno iniziato a combattere, sono state colpite senza pietà dal complesso di fuoco russo.
La cosa notevole è che, a parte la cattura del primo checkpoint di confine da parte delle truppe russe, le unità ucraine non hanno registrato quasi nessun’altra perdita russa. I russi, invece, hanno registrato un numero verificabile di decine di veicoli blindati distrutti di tutti i tipi.
Ieri il Ministero della Difesa russo ha rivendicato oltre 600 perdite di uomini per l’AFU. Anche se supponiamo che questo numero sia esagerato, le perdite di veicoli del Ministero della Difesa si aggirano intorno ai 60-80, il che è per lo più in linea con le perdite verificate. Quindi, se non hanno mentito sui veicoli colpiti, perché avrebbero dovuto mentire sul numero di uomini?
Sono state colpite intere colonne di veicoli ucraini, ma questo non significa che siano stati tutti distrutti: sono apparse immagini di veicoli di ingegneria che tentano di recuperare alcuni dei veicoli danneggiati, quindi è probabile che una percentuale sia stata salvata.
Ho postato un video precedente di Marders che vengono colpiti, ma ce ne sono molti altri di vari carri armati e IFV, IMV, APC, ICV, ecc. Per esempio:
Ecco un’altra mini colonna distrutta:
Attacco a grappolo Iskander o Tornado-S su colonna:
Ci sono almeno altri 4-6 video che mostrano la distruzione di veicoli, così come una dozzina o più che mostrano i lanci di droni sulla fanteria, compreso questo con i feriti evacuati:
Se si aggiungono i video di ieri sui colpi di massa degli Iskander sulle colonne, con alcuni che hanno contato ~20 o più veicoli colpiti, possiamo arrivare ad almeno 40-60 colpi contati finora.
Il problema è che l’Ucraina sta usando molti veicoli leggeri e sacrificabili, in particolare i tipi di cui non ha praticamente carenza, ovvero gli IMV (Infantry Mobility Vehicles), che comprendono oggetti come MRAPS, Humvees e autoblindo Novator.
Ora vediamo richieste frenetiche di donazioni di sangue negli ospedali di Sumy, che di solito segnalano pesanti perdite:
L’Ucraina ha anche utilizzato un’ottima tattica inviando i DRG, gruppi di sabotaggio e di ricognizione, con largo anticipo per creare il caos nelle “retrovie” delle unità russe, intercettando i rinforzi in arrivo sulle strade, il tutto evitando grandi raggruppamenti di truppe russe e aggirando essenzialmente gli insediamenti piuttosto che “catturarli” completamente. C’è persino un rapporto in cui i DRG si travestono da truppe russe per conquistare i posti di blocco, cosa che hanno già usato molte volte in passato.
Una parte significativa delle informazioni sugli sfondamenti nemici in profondità nel nostro territorio si basa sulle azioni di piccoli gruppi mobili, il cui compito è quello di sfondare più lontano dal confine, seminare il panico, disorganizzare le retrovie e interferire con la creazione di un coordinamento delle azioni delle unità sul posto con le riserve in avvicinamento. Da qui i vari rapporti contraddittori sull’osservazione di forze nemiche in profondità nel nostro territorio, dove gruppi mobili fingono di essere presenti e creano le condizioni per bloccare le strade. Allo stesso tempo, laddove i gruppi mobili del nemico rivelano l’assenza delle nostre forze e il vuoto operativo, cercano di far passare altri veicoli blindati con la fanteria motorizzata per consolidare il controllo del territorio. Non appena si formerà una linea del fronte continua (e questo non accadrà immediatamente), l’efficacia di questi gruppi inizierà a diminuire.
Altri due post illuminanti sulle tattiche dell’AFU:
Tuttavia, ora che i pesanti rinforzi russi stanno iniziando ad arrivare nella regione, le cose sono rallentate e si sono stabilizzate per ora. Ma prima di arrivare alla prossima direzione, rispondiamo alla seconda domanda di prima:
Dove ha preso l’Ucraina tutta quella manodopera?
Avevo iniziato a parlarne l’ultima volta, ma ora ci sono prove sempre più evidenti che Zelensky ha deliberatamente privato le brigate di prima linea di rinforzi e rifornimenti per costruire queste brigate di combattimento nelle retrovie per l’offensiva del Kursk. Ora abbiamo un scioccante nuovo articolo dell’Economist, che afferma apertamente che interi battaglioni sul fronte di Pokrovsk sono presidiati da appena 20 persone – si tenga presente che un battaglione dovrebbe avere almeno 800 uomini:
Ora ci sono rapporti da diverse fonti che sostengono che l’astuto Zelensky ha effettivamente utilizzato tutte quelle nuove brigate 8-14 che ha recentemente affermato di aver messo da parte, ma che secondo lui non erano ancora sufficientemente armate:
Per l’attacco nella regione di Kursk, il comando dell’esercito ucraino ha utilizzato tutte le riserve accumulate nell’ultimo anno.
È stata riconosciuta come prioritaria l’apertura di un varco in profondità nel territorio russo, invece di mantenere le posizioni nel Donbass.
Diverse risorse ucraine lo hanno riferito contemporaneamente.
Ricorderete che l’ultima volta ho pubblicato un’opinione secondo cui la sua dichiarazione “non sufficientemente armata” era un bluff, un deliberato depistaggio.
Se questo è davvero il caso, allora significa che questa potrebbe essere l’offensiva finale dell’Ucraina, quella che hanno tenuto da parte per molto tempo come ultimo tentativo di influenzare i “prossimi negoziati”. Se queste brigate verranno sconsideratamente gettate via come è stato fatto con il 10° e l’11° Corpo durante l’offensiva di Zaporozhye del ’23, allora la signora grassa potrebbe cantare per l’AFU nel suo complesso, poiché non ci saranno più riserve, in particolare per contenere i prossimi sfondamenti della Russia in direzione del Donbass.
E abbiamo diverse nuove indicazioni sul fatto che il miglioramento della posizione negoziale sia in realtà l’obiettivo operativo. Il primo è quello del consigliere presidenziale Mikhail Podolyak:
Noterete che, alla fine del video, egli giunge alla conclusione che l’operazione in corso ha lo scopo di influenzare la Russia ad abbassare le sue richieste nel processo negoziale.
Rob Lee sembra essere d’accordo:
Il pericolo è che l’Ucraina possa rafforzare la sua posizione in un modo molto più pericoloso della semplice conquista di una zona rurale disabitata. È sempre più probabile che il vero obiettivo dell’Ucraina sia la centrale nucleare di Kursk, dato che le forze dell’AFU hanno virato bruscamente in quella direzione oggi, prima di essere fermate pericolosamente a Kromskie Byki, secondo le mappe ucraine:
Non sappiamo ancora se si tratta di una forza più numerosa o solo di piccoli attacchi DRG, ma se l’Ucraina è riuscita a portare la cavalleria lassù, questo li pone a soli 25 km dalla centrale nucleare. E come si è detto l’ultima volta, questo metterebbe la centrale a portata di artiglieria, più o meno.
Il pericolo maggiore
Il pericolo di gran lunga maggiore risiede nell’altissima possibilità che l’Ucraina possa introdurre astutamente altre brigate in una direzione secondaria o addirittura terziaria. Ci sono alcune voci e indicazioni in tal senso, tra cui avvistamenti di truppe, ecc.
Il probabile vettore sarebbe più a ovest, intorno a Glukhov (Hlukhiv sulla mappa), per tagliare verso Rylsk, dove incontrerebbero la forza iniziale proveniente da Sudzha, per tagliare completamente quella “piattaforma”, che darebbe loro il controllo totale di una buona porzione di territorio russo da cui potrebbero successivamente organizzare avanzate a livello di brigata verso l’impianto di Kursk:
Da più parti si sussurra che l’AFU abbia costituito anche un altro raggruppamento di brigate in direzione di Belgorod che si sta preparando ad aprire una nuova direzione, ma non è specificato dove, a Belgorod. Immagino nella vecchia area di Grayvoron a partire dal 2023, per cercare di mettere in difficoltà il raggruppamento russo di Volchansk.
Al momento, si sostiene che le forze ucraine siano state fermate a Korenevo dopo l’arrivo dei rinforzi russi:
Ma non ci sono ancora indicazioni definitive se le forze russe possano resistere o meno, e quanto siano lontani i rinforzi più pesanti. Entrambe le parti si stanno sorprendentemente attenendo a un Opsec più grande del normale.
Perché non ci sono foto/video delle Forze armate ucraine?
Al momento possiamo osservare un’igiene informativa da parte del nemico. Il tutto perché si attiene a un certo piano d’azione, ovvero:
1. Vuoto di informazioni;
2. Questa non è un’operazione di TikTok;
3. Ci sono video e fotografie preparati in anticipo;
4. Modalità silenzio (come a Rabotino).
Perché toglierla se poi si deve uscire e accettare la sconfitta, e tutti ne rideranno.
Attualmente si sta registrando un problema nel funzionamento delle comunicazioni satellitari nelle Forze Armate ucraine.
Arcangelo degli Spetsnaz.
Altri hanno avuto la stessa idea, come ho visto questa mappa postata altrove, che fa anche riferimento alle voci di accumuli sul lato di Glukhov:
Ci sono altre possibili direzioni, ma questa è quella che avrebbe più senso strategicamente per inserire le altre brigate. Non si sa con certezza quante unità siano già in uso, anche se alcuni hanno ipotizzato che solo 3-5 delle brigate – o piuttosto elementi di esse – siano state utilizzate nella direzione di Sudzha.
Il comando nemico sta lanciando un’offensiva con tre brigate di fanteria a piena forza: la 103esima Teroborona, la 22esima e l’88esima Brigata meccanizzata delle Forze Armate dell’Ucraina sono armate con equipaggiamento NATO e sono attivamente supportate dalla difesa aerea e dall’artiglieria. All’avanguardia ci sono il 54° battaglione delle Forze speciali della Direzione principale dell’intelligence dell’Ucraina e due unità di mediazione degli UAV Wings to Hell e Black Swift.
Quindi, se è vero che Zelensky è andato all-in in stile hail mary con le riserve rimanenti, allora ci potrebbe essere una mezza dozzina di brigate in più da utilizzare, anche se probabilmente non sono completamente equipaggiate, e possono contribuire solo un buon battaglione o due ciascuno.
Ancora una volta. Non si tratta di una ricognizione in forze, né di una provocazione o di terrorismo. Si tratta di una vera e propria invasione militare di armi combinate, ben preparata. A cui partecipano circa 20 diverse unità delle creste, riunite in vari BTG. Nei territori occupati si scava, si stabiliscono le comunicazioni, si attrezzano i punti di tiro e si introducono nuove riserve. Le strade sono minate, i territori adiacenti sono saturati da gruppi di sabotaggio e di ricognizione. Se non vengono cacciati subito, tutto si trasformerà in una guerra di posizione. Il loro principale obiettivo tattico è la centrale nucleare di Kursk. Strategico – sono sicuro che lo scambio di territori.
Quindi: la conclusione è che, a seconda di quanto sia preparata la parte russa, di quanto sia buona la sua intelligence, di quante forze di riserva riesca a portare e di quanto velocemente riesca a posizionarle, determinerà se questa offensiva sarà fermata e contenuta più o meno dove si trova ora, o se potranno verificarsi nuove evasioni che andranno fuori controllo come la famigerata debacle di Balakleya-Izyum-Kharkov del settembre 2022.
Ci sono storie di ogni tipo su varie unità d’élite russe che stanno affluendo nella regione, dai 45° Spetsnaz delle Forze aviotrasportate, alle forze speciali Aida dell’unità Akhmat, ai presunti Wagner e all’esperta brigata Pyatnashka.
L’osservatore militare ucraino Kostyantyn Mashovets ha riferito il 7 agosto che un’unità non specificata del 71° Reggimento Fucilieri Motorizzati con sede a Chechyna (58° Esercito d’Armi Combinate [CAA], Distretto Militare Meridionale [SMD]) si è dispiegata direttamente nel Raion Sudzhenskyi – in linea di massima coerente con alcuni rapporti provenienti da fonti ucraine e russe, secondo cui i filmati dei social media mostrano le unità cecene “Akhmat” nell’area di Sudzha da oltre una settimana.
E:
È stato appena confermato che dopo aver incontrato il distaccamento Aida SpN Akhmat del Ministero della Difesa russo a Sudzha, l’82ª brigata “d’élite” delle Forze armate ucraine ha deciso di ritirarsi. Ma non tutta. Una parte è rimasta a terra lungo il fiume. Aida non ha subito perdite.
Nella notte entreranno in battaglia anche i distaccamenti dei veterani Wagner, che divideranno la difficile direzione con Pyatnashka.
Non c’è bisogno di inventare altro. Venerdì e il fine settimana mostreranno tutto. Chi è capace di fare cosa.
C’è la possibilità che questa operazione si trasformi in una catastrofe senza fine per l’Ucraina. Ricordiamo che dall’anno scorso all’inizio di quest’anno, molte figure di spicco da entrambe le parti – tra cui Budanov per l’Ucraina e il comandante russo del Gruppo di Centro, generale Mordvichev – hanno affermato che “le battaglie decisive della guerra saranno combattute nell’estate del 2024” e che la guerra sarà effettivamente risolta in quel momento. Sembrava che tutti loro sapessero qualcosa che noi all’epoca non sapevamo. Forse queste previsioni si stanno finalmente avverando, e forse l’Ucraina sta gettando tutto nel fuoco per un ultimo disperato tentativo di disarcionare la Russia in qualche modo decisivo.
Se è così, è certamente uno sforzo valoroso e ha più senso che lanciare semplicemente ondate di carne contro le fortezze altamente rinforzate del Donbass. Da tempo sostengo che le uniche carte vincenti rimaste all’Ucraina sono alcuni obiettivi piccoli e relativamente facili da raggiungere, che possono avere un grande impatto simbolico o di pubbliche relazioni: l’impianto di Zaporozhye, il ponte di Kerch, la Crimea, ecc. Tutte queste cose sono più facili che sconfiggere l’intero esercito russo nei dettagli. Ma sembra che l’Ucraina possa aver trovato un’altra alternativa che non avevamo considerato nell’impianto di Kursk, la cui traiettoria inaspettata era poco difesa.
Tuttavia, non fraintendetemi, c’è anche un grosso pericolo per la Russia. Come ho detto, tutto dipende dall’adeguatezza e dalla competenza con cui lo Stato Maggiore russo è in grado di valutare il vero pensiero strategico dietro l’operazione. Se riusciranno a prevedere correttamente i nuovi vettori secondari e a preparare adeguatamente le forze per rispondervi, prendendo l’iniziativa per ostacolare i piani dell’AFU, allora potrebbe essere inutile per l’Ucraina. Ma se continueranno a farsi prendere con le braghe calate e a funzionare solo in modo passivo o reattivo, lasciando che l’Ucraina mantenga l’iniziativa di combattimento, allora l’Ucraina potrebbe fare due passi avanti e far precipitare l’assalto in un altro crollo in stile Kharkov, che si trasformerebbe in un enorme grattacapo per la Russia.
Un simile grattacapo sarebbe molto costoso dal punto di vista della reputazione, dato che degraderebbe la fiducia dei cittadini russi nel loro governo, nella leadership di Putin, ecc. Questo è particolarmente vero perché molti si sono già lamentati del fatto che la gestione russa degli eventi in corso è stata carente, con scarso preavviso ai civili per l’evacuazione, causando molti feriti e un numero crescente di morti. Secondo quanto riferito, è già apparso un video in cui i residenti di Sudzha fanno un appello a Putin:
Infine, una riflessione: per il momento, ci sono molti sventurati che si lamentano di un disastro russo di massa di dimensioni senza precedenti. Sappiamo così poco dei dettagli in corso che, per ora, non posso in buona fede giudicare oggettivamente la situazione.
Ora non ci ricordiamo nemmeno più di quel raid, un mero incidente storico che ha lasciato dietro di sé solo cadaveri sparsi dell’AFU.
Pertanto, dobbiamo aspettare e vedere con quale rapidità e competenza le forze russe sapranno rispondere all’attuale incursione. Se riusciranno a prevenire la seconda fase, potenzialmente astuta, che li attende, e ad espellere l’AFU nel giro di poche settimane, sarà difficile definirla, a posteriori, un “disastro” di qualsiasi tipo.
Questo è particolarmente vero perché finora l’Ucraina ha oggettivamente subito molte più perdite, a parte le catture iniziali di prigionieri di guerra, e quindi finora l’offensiva è molto più costosa per l’Ucraina. Ma questo può sempre cambiare, quindi, come ho detto, tutto dipende da come il comando russo gestirà la situazione.
Anche lo scenario peggiore per la Russia non porrà fine alla guerra, ma si limiterà a creare un grosso mal di testa. Ma lo scenario peggiore per l’Ucraina potrebbe potenzialmente essere un errore di estensione eccessiva che porterebbe alla fine della guerra, dato che l’Ucraina rischia di sprecare le sue ultime riserve, il che potrebbe portare a una catena di crolli nel Donbass da cui l’Ucraina non si riprenderebbe mai.
E a proposito di questi, mentre la fuga da Kursk è in corso, la Russia ha continuato a conquistare diverse nuove zone nel Donbass, con la direzione di Pokrovsk che sente particolarmente la pressione.
Una delle notizie più eclatanti è che i russi hanno iniziato a prendere d’assalto Hrodivka, che, come si può vedere qui sotto, si sta già avvicinando a Pokrovsk e si trova all’interno dell’agglomerato urbano di Pokrovsk:
Nella foto qui sopra, anche Serhivka e Zhelanne sono in procinto di essere catturate, o lo sono già state, secondo alcune notizie non ancora verificate.
Primo piano su Zhelanne di ieri:
L’ufficiale ucraino Tatarigami ha scritto un intero articolo che, nonostante i “successi” a Kursk, continua a mostrare scetticismo nei confronti dell’operazione, dato che il fronte del Donbass sta crollando per l’AFU:
Egli cita in particolare la mancanza di manodopera e di riserve nelle direzioni di Pokrovsk e Toretsk, come evidenziato dal precedente articolo dell’Economist.
Scrive:
Come le forze ucraine si ritirano lentamente in direzione di Pokrovsk, non ci sono riserve di stabilizzazione attualmente disponibili in loco.
Finora non ci sono prove che la Russia stia spostando le sue unità principali dall’Oblast’ di Donetsk a Kursk, mettendo in dubbio la teoria secondo cui questa incursione potrebbe alleviare la pressione su Donetsk. Detto questo, potrebbe essere troppo presto per trarre conclusioni, dato che tali movimenti potrebbero verificarsi in futuro.
Tuttavia, ad oggi, non c’è alcuna informazione pubblica o indicazione che la Russia abbia spostato le sue forze principali o diminuito la pressione in direzione di Pokrovsk.
Quindi, anche se non possiamo essere assolutamente certi per ora, c’è un’alta possibilità che l’evasione dal Kursk sia una mossa fatale di Zelensky, un ultimo lancio di dadi, per cercare di evitare che il fronte del Donbass crolli causando qualche dilemma nelle retrovie russe.
Via WeebUnion (Warmapper/blogger)
Deciso di discutere la situazione con la mia fonte russa.
Ecco i punti principali.
Non si tratta di una trappola russa, gli ucraini hanno semplicemente fatto una buona offensiva. I russi stavano sgombrando le mine per la loro offensiva di Sumy e gli ucraini ne hanno approfittato per lanciare la loro.
Il movente degli ucraini è anch’esso messo in discussione, ma l’idea generale è quella di “colpire per primi”, per evitare un collasso da parte ucraina hanno portato il combattimento dalla parte russa prima che fossero pronti.
Considerando che la Russia stava preparando la propria offensiva, aveva effettivamente soldati pronti. Questi sono stati dislocati lontano dal fronte per evitare di essere scoperti e di essere colpiti da fpv e artiglieria.
Questo significa che la Russia probabilmente risponderà molto rapidamente a questa offensiva ucraina e non vivrà per molto tempo ancora.
La parte russa non è affatto nel panico, ma è molto impegnata a rispondere alla situazione attuale.
–
Un paio di altre cose “strane” o interessanti da sottolineare.
In primo luogo, potrebbe esserci qualcosa che bolle in pentola negli alti ranghi dell’AFU, dato che Sarah Ashton-Cirillo ha recentemente ritirato le “gravi accuse” contro Syrsky, sostenendo che si tratta di una spia russa. Oggi si è diffusa la notizia che il Ministro della Difesa Umerov è sopravvissuto a un attentato, in quanto la sua auto sarebbe esplosa, anche se sembra che sia rimasto illeso. Questa storia non è ancora stata verificata, ma se c’è del vero, la tempistica di queste due storie sembra coincidere in modo interessante con il lancio dell’offensiva. Non sono ancora sicuro di cosa ne pensi, ma è qualcosa da tenere d’occhio.
In secondo luogo, c’è un’altra strana storia da tenere d’occhio che riguarda l’improvvisa recrudescenza delle operazioni in Siria. Secondo alcuni rapporti, le tribù locali hanno iniziato ad attaccare i curdi nella regione di Deir-Ezzor, sostenendo di aver catturato alcuni dei primi giacimenti di petrolio dalle forze americane. Gli americani sono stati colpiti giorni fa da attacchi che hanno provocato una mezza dozzina di feriti.
Ora, improvvisamente, riceviamo questo rapporto non corroborato:
“Nelle ultime ore sono stati avvistati aerei da carico e da trasporto militari russi e iraniani diretti in Siria, carichi di armi avanzate. Uno sviluppo importante che potrebbe rimodellare il panorama militare della regione”. – I media siriani riportano
Sembra che siano riusciti a far arrabbiare Putin con l’attacco a Kursk, le armi avanzate russe stanno andando nelle mani di Hezbollah.
Il motivo per cui tutto questo si intreccia in modo intrigante è che Putin potrebbe aver finalmente scelto di “escalation” asimmetrica contro gli Stati Uniti alla luce degli attacchi al Kursk. Ricordiamo le sue parole:
Tra le altre notizie in corso, secondo cui la Russia starebbe fornendo una grande quantità di attrezzature di difesa aerea all’Iran, potrebbe esserci il potenziale per un’escalation guidata dalla Russia in questa regione come “vendetta” per il superamento di una linea rossa nell’attacco al Kursk.
A proposito di quella “linea rossa”: non solo vengono utilizzate attrezzature occidentali nella Russia vera e propria, ma ora si dice che le forze d’invasione siano piene di mercenari occidentali – si sentono lingue polacche e francesi nelle comunicazioni radio, oltre ad avvistamenti di mercenari georgiani:
L’invasione terroristica della regione di Kursk è stata comandata dal militante della “Legione georgiana” Georgy Partsvania.
Sono stati i suoi militanti ad attaccare per primi le guardie di frontiera russe, hanno riferito i media occidentali, citando uno dei leader del gruppo georgiano, Vano Nadiradze.
Partsvania è andato a combattere in Ucraina due anni fa. È stato arruolato nell’unità di Vano Nadiradze e ha combattuto in prima linea per due mesi, anche a Irpen, nella regione di Kyiv.
Da Kursk:
Articoli vari:
L’affermazione che gli F-16 sono stati avvistati sopra Kakhovka, per ora non verificata:
Avvistati per la prima volta degli F-16 sopra il distretto di Kakhovka, controllato dai russi, nella regione di Kherson.
Lo ha riferito il capo dell’amministrazione distrettuale, Pavel Filipchuk.
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Apti Alaudinov spiega come l’AFU sia riuscita a bypassare il confine così rapidamente:
Cita le risorse: ci sono state voci e affermazioni pesanti che, proprio come le famigerate malversazioni al confine ucraino, la costruzione delle fortificazioni di difesa del confine russo è stata infarcita di enormi frodi e non è mai stata completata correttamente.
Ci sono molte altre voci, che includono un vero e proprio tradimento da parte di un comandante di artiglieria russo che ha “lasciato passare il nemico” e poi è scomparso:
Non ci sono prove, ma tutto è possibile.
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L’aviazione russa e i missili a lunga gittata hanno colpito le retrovie del raggruppamento AFU Kursk, con notizie non verificate di vari comandanti già eliminati:
Infine, il noto comandante ad interim di Azov, Bogdan Krotevych, invita i nemici della Russia ad approfittare della mossa di Kursk per riconquistare i loro territori:
Nel frattempo, l’ex ministro ucraino delle Infrastrutture Omelyan afferma che se avessero avuto solo qualche volontario in più, avrebbero già preso Mosca
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Negli ultimi giorni, due dichiarazioni sono arrivate a ridefinire il Medio Oriente, anche se non sono state rilasciate da Israele o da Hamas, ma dai belligeranti in un conflitto a più di mille miglia di distanza. La prima è arrivata da Mosca, che ha dichiarato che il conflitto in Ucraina sarà risolto entro la fine del 2024. L’altro è arrivato da Kiev, che ha fornito un calendario simile per la risoluzione del conflitto.
La strategia della Russia all’inizio dell’invasione era di schiacciare l’Ucraina in modo rapido e deciso. La strategia dell’Ucraina era di resistere abbastanza a lungo da esaurire la volontà russa di combattere. Nessuna delle due ha avuto successo e la guerra è andata avanti per oltre due anni. L’annuncio che il conflitto sarebbe presto finito, quindi, è stato un problema più per la Russia che per l’Ucraina, poiché la sua reputazione di avere un esercito formidabile è andata in frantumi. In guerra, il successo può trasformarsi in un fallimento nel giro di pochi giorni e le due dichiarazioni non sono sembrate uno sforzo coordinato. Nulla è certo finché non viene fatto. Tuttavia, la logica alla base di entrambe le dichiarazioni sembra valida, considerando la storia e lo stato attuale della guerra.
Nel frattempo, l’Ucraina deve ricostruire un’economia che non solo si sostenga da sola, ma che metta l’Ucraina su un piano di parità con il resto dell’Europa, generando al contempo rapidamente forniture militari in grado di scoraggiare ulteriori azioni russe. Il compito della Russia è un po’ diverso. Ha invaso l’Ucraina per darsi una profondità strategica rispetto alla NATO. Non essendo riuscita a occupare il Paese, Mosca ha lo stesso imperativo, ma deve ora cercare altre zone cuscinetto meno ottimali. Ciò potrebbe spingere il Cremlino a rafforzare la propria influenza, e forse a stabilire una migliore deterrenza, in altre potenziali vie d’accesso alla Russia: i Paesi baltici, la Polonia, l’Ungheria e i Balcani, solo per citarne alcuni. Per Mosca, queste possono essere gestite politicamente ed economicamente, quindi non si tratta di una questione esclusivamente militare, ma la geografia impone che la minaccia militare rimanga.
La Russia deve mantenere l’equilibrio anche nel Caucaso, da dove possono provenire le minacce alla Russia meridionale e dove sono in agguato gli Stati Uniti e la NATO. Forse la nazione più importante in questa regione è l’Iran, che è legato per religione e cultura all’Azerbaigian, una nazione caucasica che rappresenta una potenziale minaccia per la Russia se sostenuta da una nazione significativamente potente. L’Azerbaigian ha fatto da cuscinetto tra Russia e Iran e ora è alleato della Russia. Dominare il Caucaso è difficile, ma si è aperta una potenziale opportunità in Medio Oriente.
Esiste una minaccia credibile di guerra tra l’Iran da una parte e Israele e gli Stati Uniti dall’altra. Gli Stati Uniti hanno poco da guadagnare da una guerra ma molto da perdere. La Russia è favorevole a una guerra di questo tipo, perché intrappolerebbe gli Stati Uniti molto più a sud della Russia e aprirebbe la porta al sostegno e all’influenza russi. Si aprirebbe anche la possibilità di joint venture con l’Iran nel Caucaso attraverso l’Azerbaigian. Russia e Iran hanno lo stesso nemico negli Stati Uniti e una rete di nazioni amiche di entrambi. Insieme, costituiscono una forza formidabile. Se la Russia avesse influenza su uno Stato con cui in precedenza non aveva forti relazioni, si troverebbe in una posizione di forza, soprattutto dopo il colpo subito in Ucraina. La Russia metterebbe al sicuro il suo fianco meridionale e si posizionerebbe bene per le operazioni future.
Allo stato attuale, sembra che Mosca stia inviando armi all’Iran mentre Israele si sta preparando per una grande offensiva a cui Washington si oppone. Questa spaccatura è un ulteriore regalo ai russi, poiché indebolisce le relazioni tra Stati Uniti e Israele, che sono state una minaccia costante per gli interessi russi in Medio Oriente. Da parte sua, l’Iran diffida di una relazione con la Russia e del bagaglio che potrebbe portare con sé. Ma una guerra potrebbe avvicinare Teheran a Mosca, nonostante le sue perplessità.
Questo è il legame tra la guerra in Ucraina e la guerra arabo-israeliana. Gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a combattere una guerra contro l’Iran quando non lo vorrebbero. Ma la Russia, dominando il Caucaso e avendo l’Iran come alleato, compenserebbe i suoi scarsi risultati in Ucraina. Renderebbe la Russia una potenza in Medio Oriente e metterebbe gli Stati Uniti nella posizione di abbandonare il campo di battaglia (e apparire sconfitti) o di entrare in una guerra brutale e pericolosa (sulla quale la Russia, grazie alla sua relazione con l’Iran, avrebbe un certo grado di controllo).
Tutto ciò potrebbe non verificarsi, ovviamente. Ma Israele è su tutte le furie, gli Stati Uniti sono in ritardo, la Russia ha bisogno di una vittoria dopo l’Ucraina e l’Iran vuole essere un attore importante. Questo scenario non è così improbabile come potrebbe sembrare.
La politica estera iraniana è notoriamente difficile da comprendere. Quando Leonhart Rauwolf, medico e viaggiatore tedesco, visitò la Persia nel 1573, descrisse i negoziati con gli iraniani come un’esperienza scoraggiante. Dal XVI secolo ai tempi moderni, i leader iraniani hanno trattato con il mondo in modo ambiguo, sviluppando una reputazione di evasività e procrastinazione strategica. La chiave per comprendere la politica estera iraniana è il riconoscimento della centralità della regione araba. Sebbene il perseguimento dei propri interessi da parte dell’Iran porti spesso a scontrarsi con gli Stati Uniti e Israele, per l’Iran si tratta di nemici solo nominali. Piuttosto che lo scontro, ciò che Teheran desidera maggiormente da loro è il riconoscimento del suo status di potenza regionale.
Ossessione per la regione araba
L’Iran non si considera un Paese normale, ma una rivoluzione in corso. Come tale, nonostante l’assenza di guerre di confine o di minacce esistenziali, tende all’espansionismo. La geopolitica ha guidato la sua attenzione verso ovest, nel mondo arabo. Il nord era chiuso a causa della Russia, una potenza grande e pericolosa con cui l’Iran non voleva litigare. A est si trovava l’India, un Paese grande, relativamente ricco e con diverse identità con cui gli iraniani potevano entrare in contatto. Nonostante la profondità dei contatti culturali, tuttavia, la capacità dell’Iran di influenzare l’India rimaneva molto limitata. Il Golfo di Oman, a sud, era privo di potenti rivali, ma l’Iran non è mai stato un impero marittimo. Pertanto, se l’Iran voleva diffondere la rivoluzione oltre i suoi confini, capì che doveva dirigersi verso ovest.
Trovare una giustificazione per la sua ostilità nei confronti degli arabi non era difficile. L’Iran è ancora risentito con gli arabi per la battaglia di al-Qadisiyah del 636, che portò alla distruzione dell’Impero sasanide, all’occupazione della Persia e alla rovina della civiltà persiana. L’introduzione dell’Islam in Iran da parte degli arabi, che i persiani guardavano con condiscendenza e rabbia, ha rappresentato un dilemma per la coscienza culturale iraniana che è durato secoli. Pur avendo arricchito notevolmente la civiltà islamica, l’Iran rimase lontano dai centri decisionali, che fino al XVI secolo si trovavano esclusivamente nel mondo arabo.
Dopo il successo della Rivoluzione iraniana del 1979, l’allora Guida suprema Ruhollah Khomeini pensava che la rivoluzione avrebbe ispirato milioni di arabi a chiedere un analogo governo islamico. Una volta che l’Islam politico avesse conquistato i Paesi arabi, Khomeini riteneva che l’Iran avrebbe assunto un ruolo di leadership di primo piano in tutto il mondo islamico. La sua fede nella transitorietà dell’attuale Stato iraniano e dei suoi confini è stata sancita dall’articolo 5 della Costituzione iraniana, secondo cui il Guardiano del Giurista e lo Stato iraniano hanno aperto la strada all’avvento dell’Imam dell’Era. Khomeini morì nel 1989, ma il suo sogno sopravvisse. Quando nel 2011 sono iniziate le rivolte arabe, l’Iran le ha definite rivoluzioni islamiche.
L’inganno come strumento di politica estera
Per gli arabi – soprattutto sunniti – l’Iran era un Paese musulmano che differiva da loro solo per quanto riguardava chi dovesse presiedere la comunità musulmana più ampia e i rituali relativi ai doveri religiosi. I leader della rivoluzione iraniana hanno dimostrato che si sbagliavano. Hanno usato la “taqiyya” (inganno o, meglio, dissimulazione) per diffondere la loro influenza straniera in Medio Oriente.
Gli sciiti osservano due tipi di taqiyya. La prima è lodevole e ha lo scopo di allontanare il male, evitare i conflitti e preservare la fede. La seconda implica l’elusione, nel linguaggio o nella pratica, per facilitare il raggiungimento di un obiettivo. L’Impero Safavide, che ha governato la Persia tra il 1501 e il 1736, ha abbracciato questa seconda forma di taqiyya, che gli ha dato la licenza di rompere patti e promesse, persino trattati vincolanti. Questa tradizione è rimasta inalterata, tanto che l’Iran di oggi è noto per la sua competenza nella diplomazia evasiva.
Alla fine del 2012, l’Iran si era assicurato la sua influenza sul governo siriano, ma insisteva sul fatto di avere nel Paese solo consiglieri militari, non forze di combattimento. Quando i rapporti dei media contenenti i nomi e le foto degli iraniani uccisi combattendo in Siria sono diventati troppo numerosi e diffusi per essere ignorati, l’Iran ha affermato che stava solo proteggendo i santuari sciiti a Damasco. Non ha riconosciuto la morte di migliaia di suoi soldati, né la presenza in Siria di milizie sciite libanesi, irachene e afghane che aveva inviato per sostenere il regime di Assad.
Gli inganni dell’Iran non avrebbero potuto funzionare così bene senza un certo grado di indifferenza araba, in particolare in Paesi influenti come l’Egitto, il Marocco e i membri del Consiglio di cooperazione del Golfo. La loro inazione ha permesso a Teheran di imporre la sua volontà e di interferire palesemente nei loro affari interni. A un certo punto, un legislatore troppo zelante, strettamente legato alla Guida suprema ayatollah Ali Khamenei, Ali Reza Zakani, si è rallegrato del fatto che quattro capitali arabe – Beirut, Damasco, Baghdad e Sanaa – fossero sotto il controllo dell’Iran. L’ondata di Houthi in Yemen, ha detto, è un’estensione della rivoluzione del 1979.
L’Iran ha invocato la taqiyya anche in altre occasioni. Ad esempio, in risposta alle critiche interne all’accordo nucleare del 2015, Khamenei ha dichiarato di aver accettato l’accordo atomico in base al concetto di taqiyya, ossia di nascondere le proprie vere intenzioni e convinzioni ai nemici. Ha detto che a volte è necessario essere eroicamente flessibili senza abbandonare il proprio obiettivo strategico. Di certo, l’accordo non ha fatto deragliare i test missilistici dell’Iran o la sua ambiziosa politica nella regione, che ha portato l’amministrazione Trump a ritirarsi dall’accordo nel 2018 e a imporre severe sanzioni all’Iran.
In un altro esempio, i funzionari iraniani affermano di promuovere l’unità islamica anche se reprimono i sunniti in Iran e impediscono loro di svolgere liberamente i propri doveri religiosi. Dopo l’insediamento di Masoud Pezeshkian come presidente iraniano il 28 luglio, un importante predicatore sunnita gli ha rivolto un appello affinché affronti le discriminazioni e le ingiustizie in modo che i sunniti si sentano liberi e sicuri nello svolgimento dei loro rituali religiosi, compresa la preghiera congregazionale.
Debolezza intrinseca
Quando ha affrontato una seria resistenza, l’Iran ha avuto la tendenza ad arretrare. Dopo che nel 2020 gli Stati Uniti hanno ucciso il generale Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds d’élite del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, hanno negoziato con Teheran le modalità di risposta. La rappresaglia iraniana ha preso di mira una base statunitense in territorio iracheno e nessun soldato americano è rimasto gravemente ferito. Allo stesso modo, da quando l’Iran ha iniziato il suo intervento diretto nella guerra siriana, Israele ha lanciato attacchi contro la sua presenza militare nel Paese. Gli attacchi israeliani hanno distrutto le basi della Guardia Rivoluzionaria, ucciso i suoi agenti sul campo e fatto saltare in aria i depositi di armi iraniane vicino agli aeroporti di Damasco e Aleppo, oltre alle spedizioni militari a Hezbollah. L’Iran pubblicizza i funerali dei suoi ufficiali uccisi in questi attacchi, ma non commenta mai gli attacchi israeliani in Siria. Al contrario, contrasta le voci sulla sua debolezza nei confronti di Israele ripetendo la vecchia frase che risponderà quando la situazione lo consentirà.
Ad aprile, Teheran si è sentita in imbarazzo per l’attacco di Israele al suo consolato a Damasco e per l’uccisione di uno dei suoi generali più anziani, responsabile delle operazioni di combattimento della Forza Quds in Siria. L’Iran voleva mettere a tacere i critici che lo accusavano di codardia e dimostrare al mondo di essere in grado di scoraggiare Israele. Teheran ha scelto di colpire direttamente il territorio israeliano, il che ha comportato un’enorme dose di sensibilità perché, nonostante le capacità nucleari di Israele, la sua società è fragile e teme gli attacchi degli attori regionali, indipendentemente dalla loro efficacia. Alla fine, la rappresaglia iraniana non è stata altro che una mascherata. Una coalizione guidata dagli Stati Uniti ha distrutto la maggior parte dei droni e dei missili iraniani prima che raggiungessero lo spazio aereo israeliano; sono apparsi sugli schermi televisivi come costosi fuochi d’artificio. I pochi droni e missili che hanno raggiunto Israele hanno avuto un impatto trascurabile. Ciononostante, la leadership iraniana ha annunciato che i suoi attacchi missilistici avevano raggiunto i loro obiettivi. I suoi seguaci arabi sciiti, sistematicamente perseguitati dai loro stessi regimi oppressivi e inondati di propaganda iraniana per 45 anni, difficilmente lo hanno messo in dubbio. La stampa filo-iraniana di Beirut ha affermato che Teheran ha ristabilito la deterrenza e ha dato a Israele una lezione che non dimenticherà. In realtà, Israele sa cosa osa l’Iran e l’Iran sa che una guerra con Israele gli costerebbe il controllo dei Paesi arabi che domina. Potrebbe persino portare alla caduta del regime iraniano, che è ampiamente disprezzato.
La recente uccisione a Teheran del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che i funzionari iraniani hanno attribuito a Israele, ha nuovamente messo in imbarazzo la Repubblica islamica. Teheran ha considerato l’assassinio come una violazione della sua sovranità e un colpo al suo onore e si è impegnata a rispondere con una forza senza precedenti. Contrariamente a quanto diffuso dalla macchina propagandistica iraniana, tuttavia, è improbabile che l’Iran rischi un attacco a Israele che scatenerebbe una risposta militare israeliana al di là della sua capacità di contenimento.
L’obiettivo strategico dell’Iran è ottenere l’accettazione da parte di Stati Uniti e Israele del suo status di legittima potenza regionale. L’Iran e le sue ambizioni regionali possono sfidare gli Stati Uniti, ma gli americani riconoscono che Teheran è un potenziale partner regionale grazie al suo pragmatismo. L’Iran ha appoggiato la causa palestinese con il pretesto di difendere la Palestina ed eliminare Israele, ma il suo vero scopo era quello di aggirare i regimi arabi e affermare il proprio potere nella regione. Nel 2014, il suo viceministro degli Esteri ha avvertito che la caduta del regime del presidente siriano Bashar Assad per mano dello Stato Islamico avrebbe distrutto la sicurezza di Israele. Dall’invasione statunitense dell’Iraq, l’Iran ha cercato il coordinamento e la coesistenza con Washington, e lo stesso vale per la presenza iraniana in Siria, che non è entrata in conflitto con la presenza statunitense nel nord-est della Siria. L’Iran vuole costruire sulle conquiste regionali degli ultimi 45 anni, non perpetuare la sua reputazione di Stato paria e di mente dell’asse del male.
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C’è una risata come quella delle fontane in quel volto che tutti gli uomini temono,
agita l’oscurità della foresta, l’oscurità della sua barba,
arriccia la mezzaluna rosso sangue, la mezzaluna delle sue labbra,
Perché il mare più profondo di tutta la terra è scosso dalle sue navi.
Hanno sfidato le bianche repubbliche su per i promontori d’Italia,
Hanno spinto l’Adriatico intorno al Leone del Mare.
Così inizia la poesia di GK Chesterton Lepanto – un’ode alla colossale battaglia combattuta tra la marina ottomana e un’armata cristiana coalizzata al largo della Grecia nel 1571. .
Lepanto è una battaglia molto famosa, che ha un significato diverso per persone diverse. Per un devoto cattolico romano come Chesterton, Lepanto assume la forma romantica e cavalleresca di una crociata – una guerra della Lega Santa contro il turco predone. All’epoca in cui fu combattuta, a dire il vero, questo era il modo in cui molti della fazione cristiana pensavano alla loro battaglia. Chesterton, da parte sua, scrive che “il Papa ha gettato le sue armi per l’agonia e la perdita, e ha chiamato i re della cristianità per le spade sulla Croce”. .
Per gli storici, Lepanto è una sorta di requiem per il Mediterraneo. Collocata saldamente nella prima età moderna, combattuta tra le potenze cattoliche del mare interno e gli Ottomani, all’epoca sulla cresta dell’onda della loro ascesa imperiale, Lepanto segnò un epilogo culminante del lungo periodo della storia umana in cui il Mediterraneo era il perno del mondo occidentale. Le coste dell’Italia, della Grecia, del Levante e dell’Egitto – che per millenni erano state il terreno acquatico dell’impero – furono oggetto di un’altra grande battaglia prima che il mondo mediterraneo fosse definitivamente eclissato dall’ascesa di potenze atlantiche come quella francese e inglese. Per gli appassionati di storia militare, Lepanto è famosa per essere stata l’ultima grande battaglia europea in cui le galee – navi da guerra alimentate principalmente da rematori – hanno giocato un ruolo fondamentale.
C’è del vero in tutto questo. Le marine in guerra a Lepanto combatterono un tipo di battaglia che il Mediterraneo aveva già visto molte volte: linee di navi da guerra a remi che si scontravano da vicino in prossimità della costa. Un ammiraglio romano, greco o persiano poteva non capire i cannoni girevoli, gli archibugieri o i simboli religiosi delle flotte, ma da lontano avrebbe trovato intimamente familiari le lunghe linee di navi che spumeggiavano sulle acque con i loro remi. Questa fu l’ultima volta che una scena così grandiosa si sarebbe svolta sulle acque blu del mare interno; in seguito le acque sarebbero appartenute sempre più a velieri con cannoni a canna larga.
Lepanto è stata tutto questo: un simbolico scontro religioso, una ripresa finale dell’arcaico combattimento tra galee e l’epilogo dell’antico mondo mediterraneo. Raramente, tuttavia, viene pienamente compresa o apprezzata nei suoi termini più innati, ossia come un impegno militare ben pianificato e ben combattuto da entrambe le parti. Quando Lepanto viene discussa per le sue qualità militari, spogliata del suo significato religioso e storiografico, viene spesso liquidata come una vicenda sanguinosa, priva di immaginazione e primitiva – un’inutile battaglia (lo stereotipo della “battaglia terrestre in mare”) con un tipo di nave arcaica che era stata relegata all’obsolescenza dall’ascesa della vela e dei cannoni.
Vogliamo dare a Lepanto, e agli uomini che la combatterono, il giusto riconoscimento. L’uso continuato delle galee fino al XVI secolo non rifletteva una sorta di primitività tra le potenze del Mediterraneo, ma era invece una risposta intelligente e sensata alle particolari condizioni di guerra su quel mare. Mentre le galee sarebbero state abbandonate a favore dei velieri, a Lepanto rimasero potenti sistemi d’arma che si adattavano alle esigenze dei combattenti. Lungi dall’essere un’orgia di violenza insensata, Lepanto fu una battaglia caratterizzata da piani di battaglia intelligenti in cui sia il comando turco che quello cristiano cercarono di massimizzare i propri vantaggi. Lepanto fu davvero il canto del cigno di una forma molto antica di combattimento navale nel Mediterraneo, ma fu ben concepita e ben combattuta, e le flotte turche e cristiane resero giustizia a questa venerabile e antica forma di battaglia.
Languore medievale
La battaglia di Lepanto è stata combattuta nel 1571, mentre l’ultimo articolo di questa serie di saggi si è concluso con una considerazione sulla battaglia di Azio del 31 a.C.. L’osservatore attento potrebbe notare che tra questi due eventi è trascorso un periodo di tempo significativo e chiedersi se sia possibile che in questo lasso di tempo sia accaduto qualcosa di interessante. In effetti, tra il I e il XVI secolo dell’era comune accaddero molte cose, ma relativamente poche di queste furono quelle che potremmo definire battaglie navali.
Dopo la vittoria di Ottaviano nelle guerre civili romane, il Mediterraneo tornò a essere una zona interna pacificata dell’Impero romano, che per diversi secoli non rese necessarie grandi operazioni navali. Solo dopo la disintegrazione della potenza romana pan-mediterranea, nel V secolo, l’Europa meridionale e il mare interno tornarono a essere un teatro di contesa, ma l’intensa competizione geopolitica del periodo medievale non portò a una significativa ripresa dei combattimenti navali. Tuttavia, vale la pena di considerare la guerra navale medievale, così com’era, come un preludio alla prima guerra moderna e a Lepanto. Sebbene frasi come “periodo medievale” e “Medioevo” possano assumere un significato un po’ nebuloso, ho sempre preferito datare l’epoca medievale dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 alla sconfitta di Bisanzio nel 1453, chiudendo il periodo con le due morti di Roma.
Per una serie di ragioni, la guerra navale ebbe un’importanza relativamente scarsa durante l’epoca medievale. Le battaglie navali erano relativamente rare e generalmente di dimensioni più ridotte rispetto al mondo arcaico: in quei molti secoli, ci furono poche operazioni navali anche solo lontanamente paragonabili alle grandi battaglie antiche di Salamina, Capo Ecnomus o Azio. L’Europa medievale disponeva di navi, naturalmente, le più numerose delle quali erano le modeste imbarcazioni a fondo piatto che costituivano la colonna portante delle flotte mercantili. In tempo di guerra, tuttavia, queste navi erano usate principalmente per trasportare gli eserciti e i loro rifornimenti, e di solito lo facevano senza contestazioni. Quando si verificavano battaglie navali, queste tendevano a essere questioni accessorie e non erano decisive per le guerre più grandi – in netto contrasto con l’epoca classica, in cui molti conflitti importanti erano decisi dal teatro navale.
La de-prioritizzazione della guerra navale in questo periodo deriva da un intreccio di fattori e preferenze strategiche. In primo luogo, c’era una carenza di capacità statale: gli Stati medievali non avevano i poteri estrattivi e le burocrazie di vasta portata che caratterizzavano i potenti Stati arcaici come Roma o la Persia. La debolezza e l’incertezza dello Stato si ripercuoteva su molti aspetti della vita politica e della competizione geopolitica, in particolare nell’arena navale, in misura sproporzionata rispetto all’impatto sul potere terrestre.
La differenza fondamentale tra la generazione di potenza di combattimento su terra e su mare nel periodo medievale risiedeva nel decentramento della preparazione militare e nel potere latente della società in tempo di pace. Ciò significa che, mentre le società medievali avevano il potere di creare rapidamente eserciti con le loro risorse in tempo di pace, questa capacità non si estendeva alle navi da guerra. Una classe di servitori militari terrieri (che chiamiamo popolarmente cavalieri) forniva una potenza di combattimento pronta, mentre i contadini potevano essere chiamati a combattere in caso di necessità. Inoltre, la lunga minaccia rappresentata dalle incursioni dalla periferia – vichinghi, magiari e così via – portò alla devoluzione della responsabilità difensiva. L’autorità reale centralizzata non era assolutamente in grado di reagire tempestivamente a tali minacce, e così la difesa divenne essenzialmente un affare localizzato, delegato de facto ai signori locali e alle risorse di combattimento della regione immediata. .
Poiché la maggior parte delle società medievali era organizzata per generare potenza difensiva terrestre dalle proprie risorse, gli Stati non erano, di norma, organizzati burocraticamente per mantenere flotte permanenti capaci, in quanto si trattava di forze che richiedevano un elevato dispendio di risorse, conoscenze specialistiche (sia per la costruzione che per il funzionamento) e spese significative anche in tempo di pace. Quando il supporto navale era necessario per una guerra, richiedeva una quantità significativa di tempo per essere accumulato e di solito faceva uso di navi mercantili, in quanto appaltare o requisire navi civili esistenti era più economico e molto più facile che creare una flotta da guerra appositamente costruita. Di conseguenza, le navi utilizzate nelle battaglie navali medievali – quando si svolgevano – tendevano a essere navi mercantili e chiatte, modificate per il combattimento.
Di conseguenza, le società medievali erano orientate alla guerra di terra, anche di fronte alle minacce provenienti dal mare. L’esempio più importante di questo fenomeno è rappresentato dai Vichinghi. Le rappresentazioni popolari dei vichinghi tendono a enfatizzare la loro straordinaria ferocia in battaglia, ma la vera “risorsa strategica” degli scandinavi che si scatenarono in Europa nel IX e X secolo era la loro straordinaria abilità marinaresca. La nave vichinga era un artefatto culturale sorprendente, in grado di navigare in mare aperto, pur essendo abbastanza maneggevole e poco profonda per risalire i fiumi e spiaggiarsi per un assalto anfibio. La capacità dei Vichinghi di attraversare il tumultuoso Mare del Nord e persino di avventurarsi nell’Atlantico settentrionale fino alla Groenlandia e alla costa nordamericana con galee a scafo aperto e a un solo ponte era davvero eccezionale.
Una cosa che la nave vichinga non era, tuttavia, era una buona piattaforma per combattere sull’acqua. Priva di qualsiasi armamento, si trovava troppo in basso nell’acqua per poter abbordare facilmente le navi nemiche, e ci sono pochi riferimenti a quelle che potremmo definire battaglie campali che coinvolgono le flotte vichinghe. Laddove tali battaglie si verificarono, come nella Battaglia di Svoldernel 999, il combattimento sembra aver riguardato l’unione delle navi per formare una fortezza galleggiante immobile, piuttosto che le manovre di una flotta riconoscibile. Sebbene l’abilità marinaresca e la costruzione di navi fossero un elemento essenziale per la diffusione e il potere dei Vichinghi, il mare aveva il ruolo di garantire alle forze vichinghe un’enorme mobilità e raggio d’azione, piuttosto che essere un’arena di combattimento. Tutti gli scontri più critici tra i Vichinghi e i loro avversari, come le battaglie di Brunanburh, Rochester, Edington, Maldon e Stamford Bridge, avvennero sulla terraferma. L’esempio dei Vichinghi è molto istruttivo, in quanto dimostra che anche in scenari in cui il mare era l’unico vettore di attacco per il nemico, le operazioni di flotta su vasta scala non erano semplicemente un ricorso strategico favorito. .
Il semplice fatto che nell’Europa medievale mancassero istituzioni dedicate alla guerra navale significava una corrispondente mancanza di ingegneria, addestramento e competenze specializzate. Di conseguenza, le marine medievali non disponevano di un sistema di armi che uccidesse le navi. Non si hanno notizie dell’uso di arieti, come quelli usati nelle marine arcaiche. Ci sono episodi in cui si registra l’uso di armi da fuoco – il più famoso è quello dei Bizantini, che usavano una miscela chimica di calce viva, nafta e zolfo per creare l’equivalente di un lanciafiamme medievale – ma in quasi tutte le circostanze il combattimento navale medievale si concentrava su azioni di abbordaggio e sullo scambio di colpi d’arco.
Poiché le navi da guerra medievali erano generalmente armate solo con le armi personali dei combattenti sul ponte, le metodologie tattiche favorirono gli sforzi per fortificare la nave, piuttosto che per eseguire sofisticate manovre in mare. Alcune di queste tendenze tattiche meritano di essere enumerate.
In una battaglia tra navi da guerra medievali, il pericolo più pressante e immediato proveniva dalle armi missilistiche degli uomini sul ponte nemico, comprese le balestre, i tiri di prua tradizionali, i giavellotti e, occasionalmente, le giare piene di calce caustica. Poiché all’inizio le battaglie erano uno scambio di armi missilistiche personali, uno dei modi più semplici ed economici per aumentare l’efficacia del combattimento era semplicemente aumentare l’altezza della nave, in modo che i propri uomini puntassero verso il basso sul ponte nemico e fossero protetti dai missili nemici dal parapetto della nave. Per tutto il periodo medievale, quindi, si verificò una tendenza concertata a fortificare le navi costruendo piattaforme di combattimento sempre più alte con una ringhiera protettiva in legno, in particolare a prua e a poppa della nave. Tali piattaforme di combattimento divennero l’origine dei termini forecastle e aftercastle come nomi per i ponti anteriori e posteriori, che rimasero in uso molto tempo dopo la scomparsa dell’utilità di tali “castelli” in combattimento. .
Considerati i parametri ristretti di un combattimento navale medievale come uno scambio di armi missilistiche e azioni di abbordaggio, l’altezza relativa e la qualità protettiva di queste piattaforme da combattimento erano spesso decisive in battaglia. L’esempio forse più significativo è la battaglia di Malta del 1283, che ebbe luogo nella “Guerra dei Vespri Siciliani”. Si tratta di una di quelle guerre medievali esoteriche che è quasi impossibile comprendere senza una grande quantità di letture specialistiche – combattuta tra Stati che non esistono più (principalmente la Corona d’Aragona, con sede nella Spagna sudorientale, e il Regno angioino di Napoli nell’Italia meridionale) per scopi che sono essenzialmente incomprensibili per noi.
Un’esposizione completa e doverosa di questo opaco conflitto esulerebbe dai nostri compiti in questo saggio. Ciò che è interessante ai nostri fini è che questa fu una delle poche guerre medievali in cui ci fu un teatro navale significativo, dato che si trattava essenzialmente di una guerra tra Stati spagnoli e italiani per la Sicilia e, in misura minore, per Malta, a circa 50 miglia a sud. Nel 1283, una flotta aragonese arrivò al largo di Malta e riuscì a intrappolare una flotta angioina di dimensioni simili all’interno del Porto Grande di Malta. La flotta aragonese aveva due fattori distintivi a suo favore: in primo luogo, era guidata da un ammiraglio molto capace di nome Ruggero di Lauria e, in secondo luogo, le sue navi erano state costruite con piattaforme di combattimento eccezionalmente alte (“castelli”).
Quando la flotta di Lauria giunse all’imboccatura del Porto Grande, egli la dispose in linea attraverso l’imboccatura e procedette a sferrare le sue navi con pesanti catene, formando una barriera unificata attraverso l’uscita. Diffidando di rimanere intrappolata nel Porto Grande, la flotta angioina sbarcò immediatamente dal suo ancoraggio protetto a Forte Sant’Angelo e si mise a remare per dare battaglia. De Lauria, tuttavia, contava sulla superiore altezza dei suoi ponti per riparare i suoi uomini dai proiettili nemici e ordinò ai suoi uomini di rispondere solo con un piccolo fuoco di balestra. Il caldo della giornata trascorse con la flotta angioina che scagliava inutilmente dardi di balestra, vasi di calce e giavellotti contro le alte piattaforme da combattimento aragonesi, provocando pochi danni e poche vittime. Una volta che gli angioini ebbero esaurito tutte le loro munizioni, de Lauria ordinò alla sua flotta di attaccare e i suoi uomini furono in grado di sparare sui ponti inferiori degli avversari, ormai inermi.
La battaglia di Malta è un’illustrazione molto utile del combattimento navale medievale, che contiene in miniatura molti dei principi più universali. Innanzitutto, la battaglia fu decisa tatticamente dall’uso di armi leggere come giavellotti e balestre, dato che le navi coinvolte erano disarmate, a parte le armi personali dei loro equipaggi. In questo caso, l’unico fattore determinante per la vittoria fu che le navi aragonesi erano più alte. La battaglia dimostrò anche che, sebbene rari e di solito su scala ridotta, i combattimenti navali medievali erano estremamente sanguinosi, poiché la parte vincitrice tendeva a massacrare gli equipaggi nemici. A Malta, gli Aragonesi uccisero circa 3.500 uomini angioini, prendendone solo una piccola parte come prigionieri.
Questa era una pratica standard dell’epoca. Nella battaglia di Sluys del 1340, ad esempio, una flotta francese tentò senza successo di replicare la tecnica di blocco di de Lauria, incatenando le proprie navi per impedire agli inglesi di entrare nel fiume Schelda. Sfortunatamente per i francesi, un forte vento iniziò a disordinare la loro formazione e la flotta inglese li attaccò mentre stavano lottando per mantenere la loro linea. Gli inglesi massacrarono i francesi fino all’ultimo uomo, uccidendone circa 16.000 in un solo giorno.
La battaglia di Malta, tuttavia, illustra anche i limiti della scala e dell’importanza operativa dei combattimenti navali in quest’epoca. Le due flotte che si scontrarono nel Porto Grande erano molto piccole, circa 20 navi per parte. Tuttavia, anche un ingaggio così piccolo – una scaramuccia per gli standard della Prima Guerra Punica – fu sufficiente a mettere in ritirata gli Angioini e a consolidare la reputazione di Lauria come miglior ammiraglio del Mediterraneo. Ancora oggi è generalmente considerato il più grande ammiraglio dell’epoca medievale, sulla base di una carriera in cui le sue flotte raramente superavano le 30 navi.
È diventato sempre più comune respingere il motivo precedentemente diffuso del periodo medievale come “età oscura” di sviluppo umano bloccato in Europa. Nonostante la frammentazione dell’autorità statale dopo la caduta di Roma, il Medioevo vide l’emergere di nuovi filoni dell’alta cultura europea, il consolidamento di embrioni di Stati moderni e importanti progressi nelle pratiche agricole e nelle tecnologie militari. Molti Stati europei, come l’Inghilterra del XIII secolo, godettero di periodi prolungati di notevole stabilità e prosperità.
Questo periodo, tuttavia, fu un’epoca buia per la scienza della guerra in mare. Con la devoluzione dell’apparato militare europeo per dare priorità alla prontezza della difesa locale, gli Stati non disponevano dell’apparato fiscale-militare centralizzato, delle competenze tecniche e delle infrastrutture logistiche per mantenere sofisticate marine militari permanenti. Ciò rendeva la battaglia navale una questione di convenienza, utilizzando varianti modificate degli ingranaggi civili. Le battaglie potevano essere estremamente sanguinose e avevano la tendenza a trasformarsi in un massacro totale delle parti sconfitte, ma questi impegni rimanevano misericordiosamente piccoli, con flotte che contavano decine di unità, piuttosto che le centinaia che si vedevano spesso nelle battaglie arcaiche.
La guerra navale come scienza e arte languì per secoli in Europa, in attesa della perfetta miscela di ingredienti che la rinvigorisse. Le esigenze della marina erano tre: sistemi fiscali-militari in grado di finanziare la costruzione di flotte, una logica economica che rendesse tali flotte un uso ragionevole dei fondi, e un sistema di armi in grado di distruggere le navi nemiche in modo definitivo, senza ricorrere a un raccapricciante combattimento ravvicinato. Avrebbero tutte e tre le cose: lo Stato, la Spezia e i cannoni.
L’avvento della vela e del tiro
Lo sviluppo dei sistemi d’arma altamente efficaci che conosciamo come navi di linea dell’epoca classica dei velieri fu il risultato di sviluppi sincroni nella tecnologia della navigazione e dei cannoni, insieme ai sistemi economici necessari per rendere fattibili queste navi complesse e costose. L’insieme di queste innovazioni ha prodotto il più potente sistema di proiezione di potenza mai visto, con navi che avevano il raggio d’azione e la navigabilità necessari per raggiungere un raggio d’azione globale e la potenza di fuoco e la capacità di portare una forza di combattimento flessibile e formidabile ovunque andassero.
Il segnale che ha dato il via al rapido sviluppo della marineria europea è stata la riconquista dell’Iberia nel XIII e XIV secolo. Questo lungo periodo di guerra prolungata contro l’occupazione musulmana stimolò il consolidamento di monarchie altamente militarizzate e assertive in Portogallo, Aragona e Castiglia, fungendo da esempio ideale del principio secondo cui, sebbene lo Stato faccia la guerra, la guerra fa anche lo Stato. La reconquesta produsse Stati con un nesso molto particolare di caratteristiche: erano mobilitati e avevano una capacità statale insolitamente elevata per l’epoca, possedevano un orientamento espansivo e assertivo motivato dal senso di una guerra cosmica in corso con l’Islam e – cosa più importante – si trovavano sulla prua atlantica dell’Europa, rendendo il mare il loro vettore naturale di espansione.
Non sorprende quindi che l’Iberia (il Portogallo in particolare) sia stata teatro di innovazioni particolarmente dinamiche nella progettazione delle navi e nella navigazione. All’inizio del XV secolo, i portoghesi stavano esplorando sempre di più la costa africana sotto la guida del principe Henrique, duca di Viseu, noto alla storia semplicemente come “Enrico il Navigatore”. L’imbarcazione preferita per queste spedizioni annuali era la caravella – un progetto indigeno portoghese caratterizzato da un basso pescaggio e vele lateen (triangolari). La caravella era ideale per l’esplorazione lungo la costa: poteva navigare in sicurezza in acque poco profonde e in prossimità del vento, e si rivelò un cavallo di battaglia ideale per percorrere la costa occidentale dell’Africa, con i navigatori portoghesi che elaboravano costantemente la forma del continente e misuravano costantemente la profondità. .
La caravella era tuttavia un’imbarcazione limitata. Era precaria (per usare un eufemismo) in mare aperto, sia a causa del suo sartiame triangolare (che in mare aperto era inferiore al sartiame quadrato caratteristico delle navi più grandi), sia per le sue dimensioni relativamente ridotte, che la rendevano angusta e pericolosa in caso di mare mosso. Soprattutto, però, si trattava fondamentalmente di una nave da esplorazione e scouting, che non aveva lo spazio di carico necessario per funzionare come nave commerciale a lungo raggio. La caravella poteva costeggiare la costa e tracciare le rotte verso i mercati stranieri, ma non poteva trasportare grandi quantità di merci preziose una volta raggiunti.
È un fatto storico ben noto che le esplorazioni spagnole e portoghesi in quest’epoca erano motivate dal desiderio di ottenere un accesso diretto ai ricchi mercati dell’est, condito dal fervore religioso di proiettare la cristianità in tutto il mondo. Situati all’estremità occidentale dell’Europa, gli Stati iberici erano tagliati fuori dai profitti delle vie della seta sia dalle potenze islamiche, che controllavano la costa levantina, sia dagli imperi mercantili di Genova e Venezia, che dominavano il commercio nel Mediterraneo. Quasi tutti sanno che gli spagnoli e i portoghesi volevano aggirare questi intermediari e procurarsi un accesso diretto al mercato.
Quello che è meno compreso, o almeno meno apprezzato, è che fu l’accesso a questi mercati a rendere finanziariamente possibile la rivoluzione navale europea. La costruzione di velieri più grandi e più resistenti al mare, come le pesanti navi a vele quadrecarrack, era astronomicamente costosa. Erano tra i prodotti ingegneristici più complessi allora esistenti e richiedevano un’enorme quantità di manodopera altamente specializzata (e costosa) per la progettazione, la costruzione, la manutenzione e il funzionamento. Quando la corona portoghese finanziò la costruzione di due grandi caraccai e di una nave da rifornimento da 200 tonnellate per il primo viaggio di Vasco de Gama in India, il navigatore Duarte Pacheco Pereira scrisse semplicemente: “Il denaro speso per le poche navi di questa spedizione fu così grande che non entrerò nei dettagli per paura di non essere creduto”. .
L’enorme spesa di questi vascelli era sopportabile per lo Stato solo grazie ai profitti straordinariamente elevati che si potevano ricavare dalle spezie, dai beni esotici e dalle specie come l’oro e l’argento che si potevano trovare in Africa (e presto nelle Americhe). Quando Sir Francis Drake circumnavigò il globo e tornò sano e salvo in Inghilterra nel 1580, il valore del suo carico (in gran parte saccheggiato dalle navi spagnole) era più del doppio delle entrate della corona inglese per quell’anno. Non c’è da stupirsi, quindi, se gli inglesi puntarono tutto sul progetto dell’impero marittimo.
Forse questo sembra ovvio ed elementare, ma sottolinea un aspetto strategico cruciale del potere marittimo nella storia. La proiezione di potenza navale, in modo piuttosto unico, ha il potenziale di autoperpetuarsi economicamente. Il raggio d’azione e la capacità di carico offerti dalla navigazione rendono l’oceano una via unica per sfruttare risorse economiche lontane e penetrare nei mercati esteri. Un imperium terrestre storicamente non ha offerto un sistema di sfruttamento economico scalabile altrettanto efficace dal punto di vista dei costi. Solo con l’invenzione della ferrovia – uno sviluppo tardivo nella storia dell’umanità – le potenze continentali come gli Stati Uniti e la Russia hanno avuto un modo economicamente vantaggioso per sfruttare le vaste risorse dei loro spazi interni. Gli imperi marittimi, al contrario, non hanno mai avuto a che fare con questo problema, e così la proiezione di potenza navale e la ricchezza hanno creato un singolare ciclo di feedback per gli Stati dell’Europa occidentale, in cui ognuno rendeva possibile l’altro.
L’età dell’esplorazione, guidata dagli spagnoli e dai portoghesi, ebbe quindi l’effetto di spalancare l’oceano agli europei, non solo nel senso che dimostrarono la possibilità di una navigazione globale, ma anche nello stabilire il circuito di retroazione economica che poteva consentire a uno Stato della prima età moderna di assumersi l’enorme onere fiscale e logistico di mantenere una marina. Una possibile allegoria moderna potrebbe essere lo sviluppo di metodi fantasmagorici per sfruttare economicamente lo spazio esterno – come la generazione di energia solare dallo spazio o l’estrazione di risorse minerarie dagli asteroidi – che potrebbero improvvisamente rendere la costosa esplorazione spaziale finanziariamente autosufficiente.
L’arrivo di velieri più grandi e più stabili coincise storicamente con la comparsa dell’artiglieria a polvere da sparo, fornendo la piattaforma definitiva per questo nuovo potente sistema d’arma. Le armi a polvere da sparo iniziarono a diffondersi in Europa alla fine del 1300, inizialmente sotto forma di cannoni di dimensioni irregolari che sparavano frecce, saette e pallini di pietra. Alla fine del secolo avevano acquisito un ruolo chiaro in battaglia come armamento difensivo che poteva essere montato in cima alle fortificazioni; i Bizantini usarono cannoni primitivi con grande effetto e sconfissero un tentativo dei Turchi di catturare Costantinopoli nel 1396; i Turchi avrebbero poi notoriamente usato decine di loro artiglierie di grandi dimensioni durante la conquista definitiva della città nel 1453. All’alba della prima età moderna, tuttavia, questo era ancora un sistema d’arma embrionale: letale, ma ingombrante, difficile da spostare e terribilmente costoso da produrre.
Non è un fatto di poco conto che le armi a polvere da sparo si stavano affermando come potente espediente sul campo di battaglia proprio quando l’età delle esplorazioni iberiche diede il via a una colossale espansione della costruzione navale. Le grandi navi a vela e i cannoni erano, dal punto di vista tecnico, un binomio perfetto, in quanto fornivano soluzioni ai rispettivi problemi. I primi cannoni moderni erano tremendamente pesanti e laboriosi da spostare e richiedevano grandi magazzini di polvere da sparo e pallini per funzionare. Questo poteva essere un problema logistico per le forze in marcia via terra, che potevano richiedere decine di cavalli per trasportare un singolo cannone. Per una nave di centinaia di tonnellate di stazza, tuttavia, anche una batteria di cannoni di dimensioni ragguardevoli non rappresentava un peso eccessivo. Il cannone, a sua volta, risolse il problema principale del combattimento navale medievale, fornendo finalmente un’arma per uccidere le navi.
Non deve quindi sorprendere che l’adozione di cannoni massicci in mare sia stata un’inevitabilità che si è verificata molto rapidamente. La nave ammiraglia di Vasco de Gama, la São Gabriel, trasportava venti cannoni nel suo viaggio del 1497, nonostante fosse solo una modesta caracca di 100 tonnellate, mentre l’inglese Mary Rose, varata nel 1511, aveva circa 80 cannoni di vario calibro. In combinazione con l’abilità dei combattenti a bordo – affinati da secoli di intense guerre intraeuropee e crociate – si trattava di un prototipo riconoscibile del sistema d’armamento che avrebbe esteso il potere europeo praticamente in ogni angolo della terra. La vela e il tiro erano arrivati. .
Questi sviluppi, lo ribadiamo, dipendevano totalmente dal loro contesto economico. Questi vascelli, sempre più grandi e sempre più armati, erano tra le imprese ingegneristiche più complesse e gli investimenti più costosi che uno Stato della prima età moderna potesse fare, e si giustificavano creando proprio l’espansione economica che rendeva possibili queste spese. Questo, tuttavia, non era universalmente vero. La Cina, ad esempio, raggiunse imprese straordinarie nella navigazione e nella costruzione navale, ma possedeva un vasto mondo interno e mercati colossali, che la rendevano in definitiva disinteressata (sia in senso economico che spirituale) ad andare all’estero in cerca di terre e ricchezze straniere. Nel frattempo, nel Mediterraneo, non c’era alcuna possibilità di una rapida espansione economica. Si trattava di un mare chiuso, con un perimetro completamente esplorato e intimamente conosciuto, con rischi e ricompense consolidati. In questi confini familiari, una forma di guerra più familiare avrebbe prevalso ancora per un po’.
Vecchia affidabilità: La galea nel primo periodo moderno
La prima cosa che salta subito all’occhio della battaglia di Lepanto come grande battaglia di galee è il ritardo con cui fu combattuta. Lepanto fu disputata nel 1571, quasi ottant’anni dopo che gli spagnoli avevano raggiunto le Americhe con Colombo e i portoghesi erano arrivati in India circumnavigando l’Africa. Lepanto ebbe luogo esattamente 60 anni dopo il varo della famosa nave da guerra inglese Mary Rose – un vascello a vela riconoscibilmente avanzato armato con circa 80 cannoni. .
Lepanto si colloca quindi temporalmente all’interno della prima età della vela. A quell’epoca, le navi a vela attraversavano interi oceani; la spedizione di Ferdinando Magellano aveva circumnavigato il globo e le navi a vela con cannoni a canna larga stavano diventando una presenza fissa in molte marine europee. Eppure, quando gli Ottomani e i loro avversari cattolici si scontrarono al largo della Grecia, lo fecero con navi a remi e con una metodologia di combattimento in gran parte simile a quella utilizzata da Romani, Cartaginesi, Greci e Persiani. Questo è evidentemente molto strano: in termini cronologici, sarebbe come se la marina americana lanciasse sortite in Vietnam con biplani d’epoca della Prima Guerra Mondiale.
Questo può dare l’impressione di una primitività o di una mancanza di immaginazione da parte dei praticanti della guerra di galea del XVI secolo. Mentre una caracca ben armata come la Mary Rose era irta di molte decine di cannoni pesanti, una galea mediterranea dell’epoca sarebbe stata armata al massimo con tre cannoni pesanti, puntati a prua della nave – dato che la fiancata di una galea era occupata da centinaia di rematori, era ovviamente impossibile montarvi dei cannoni. Sicuramente una nave così debolmente armata rappresentava un ritorno obsoleto e arcaico, un dinosauro nautico in attesa di estinzione? .
In realtà, la galea mantenne la sua utilità fino al XVI secolo a causa di una serie di fattori economici, strategici e geografici in gioco nel Mediterraneo. Gli uomini che combatterono a Lepanto non erano stupidi, ma stavano semplicemente praticando una forma di guerra ben consolidata che aveva dato prova di sé nell’arena unica del mare interno, e la galea come sistema di armi può essere apprezzata solo nel contesto di un più ampio sistema di guerra che prevaleva in quel tempo e in quel luogo. Nel 1526, ad esempio, l’ufficio bellico veneziano decise esplicitamente di sperimentare ulteriormente i progetti di galee, piuttosto che perseguire le caracche a vela in uso nell’Europa occidentale. Sarebbe necessario essere molto arroganti per presumere che Venezia, all’epoca uno degli Stati più istruiti, ricchi e sofisticati d’Europa, avrebbe preso una decisione del genere per ignoranza, piuttosto che per fondate preoccupazioni tattiche e strategiche.
Per iniziare a capire questo, dobbiamo vedere il Mar Mediterraneo come lo vedevano gli strateghi dell’epoca: come un unico e vasto litorale, o zona costiera. Il Mediterraneo è essenzialmente privo di coste, disseminato di isole e circondato da spiagge sabbiose, porti naturali e approcci poco profondi. Ciò ha creato un orientamento tattico fondamentalmente anfibio e in questo contesto la galea è rimasta il sistema d’arma preferito per secoli dopo l’avvento dell’artiglieria a cannone. Il punto cruciale è che i sistemi d’arma non esistono nel vuoto: non si trattava semplicemente di sostituire le galee con navi da guerra a vela, ma piuttosto di utilizzare queste imbarcazioni per portare avanti sistemi di guerra completamente diversi.
I vascelli a vela e con cannoni a sponde larghe che avrebbero finito per predominare nel mondo offrivano una nuova potente opportunità strategica: permettevano di controllare il mare.Questo non solo grazie al loro potente armamento (ogni nave possedeva la potenza di fuoco di una batteria d’artiglieria massiccia, e potevano quindi frantumare le flotte nemiche e affondare le navi da carico con facilità), ma anche grazie alla loro capacità di carico. Un veliero a grande profondità può trasportare centinaia di tonnellate di carico, consentendo di rimanere in mare per mesi e mesi: ciò fornisce una proiezione di forza permanente ed estremamente potente in mare. L’ultima manifestazione di questo controllo del mare è il blocco: dopo aver allontanato la flotta di superficie nemica, un’armata di velieri può esercitare un controllo soffocante sull’accesso all’oceano. .
Una galea non può fare questo. Con la maggior parte dello spazio dello scafo dedicato agli equipaggi dei vogatori, le galee hanno un rapporto carico/equipaggio molto scarso rispetto alle navi a vela e non sono quindi in grado di rimanere in mare per lunghi periodi di tempo. La galea non era quindi uno strumento per controllare il mare, ma un’arma per proiettare la potenza di combattimento dal mare alla terra, e viceversa. Nel Mediterraneo, la capacità della galea a basso pescaggio di operare contro la costa, di penetrare nei corsi d’acqua e di arenarsi sulla spiaggia era estremamente preziosa. .
La galea continuò quindi a ricoprire un ruolo critico in un sistema mediterraneo di guerra navale molto diverso da quello prevalente nell’epoca della vela. Si trattava di un sistema di combattimento che non si concentrava sulle grandi azioni di flotta e sui blocchi, ma sulla proiezione del potere verso terra, con l’oggetto principale di queste operazioni che erano le reti di basi che supportavano le operazioni delle galee a lungo raggio. Si trattava di uno schema intimamente familiare ai Romani, che vedevano la maggior parte dei loro conflitti navali risolversi attraverso il controllo di tali basi. Cartagine fu sconfitta nella Prima guerra punica attraverso la cattura o l’isolamento dei suoi porti e depositi, e nelle successive guerre civili romane furono Cesare Augusto e il suo ammiraglio, Marco Agrippa, a sconfiggere Antonio e Cleopatra colpendo la loro catena di basi di rifornimento e fortezze. Questa formulazione operativa di base non era cambiata molto all’inizio del periodo moderno e le reti di basi insulari rimanevano ancora l’oggetto principale dei combattimenti navali.
C’era però un’altra considerazione importante che manteneva la galea in vita: il costo e la disponibilità dei cannoni. Nel XVI secolo, i cannoni non erano ancora soggetti a una facile produzione di massa. I metodi di fusione dei cannoni (che producevano la canna in un unico pezzo fuso da uno stampo) stavano iniziando a comparire verso la metà del secolo, ma gran parte dell’artiglieria europea continuava a essere prodotta con varianti del metodo del cerchio e della doga, che saldavano faticosamente la canna insieme a più strisce di metallo, in modo simile al modo in cui una canna di legno sarebbe stata prodotta con assi. Sebbene i dettagli dei processi metallurgici siano forse interessanti per alcuni, il risultato era che i cannoni erano ancora molto costosi e in quantità limitata. Dato che le potenze mediterranee dovevano fornire cannoni sia per le navi che per le loro fortezze, conservando al contempo un numero sufficiente di pezzi per le loro forze terrestri in caso di assedio (sia gli spagnoli che gli ottomani, in particolare, mantenevano grandi forze terrestri che competevano con le loro marine per i cannoni), non sorprende che le galee armate in modo più modesto con una manciata di cannoni di prua siano rimaste in uso comune, mentre le navi a largo pesantemente armate hanno impiegato molto più tempo per entrare in gioco.
Così, quando le flotte si scontrarono a Lepanto, le imbarcazioni erano una variante raffinata ma intimamente familiare delle galee arcaiche che avevano solcato le acque del Mediterraneo per migliaia di anni. Tenendo conto di alcune variazioni tra le nazioni combattenti (di cui parleremo tra poco), una galea “standard” del XVI secolo era lunga circa 136 piedi e larga circa 18, spinta da circa 200 rematori che manovravano circa 24 banchi di remi. Le tecniche di costruzione navale notevolmente migliorate resero queste galee dei primi tempi molto più resistenti al mare rispetto ai loro predecessori antichi (a differenza delle galee ateniesi, non imbarcavano acqua e quindi non dovevano essere trascinate sulla spiaggia per asciugarsi), e naturalmente si distinguevano per la presenza di armi a polvere da sparo. Le galee di Lepanto possedevano una piccola batteria di cannoni pesanti che puntavano direttamente dalla prua e che, una volta sparati, si riavvolgevano sui loro supporti a ruota nello spazio tra i banchi di voga. Per la protezione dei fianchi contro gli abbordaggi, una serie di piccoli cannoni girevoli erano montati sui fianchi della nave e, naturalmente, una compagnia di fanteria di marina si aggirava sul ponte.
Il punto importante da sottolineare, tuttavia, è che gli aspetti di manovra di queste navi erano essenzialmente immutati dai tempi antichi. Questo sia perché continuavano a essere spinte dai rematori (e quindi si muovevano essenzialmente nello stesso modo delle navi arcaiche), ma anche perché la batteria di cannoni puntava in avanti dalla prua della nave – e quindi poteva essere puntata solo ruotando la nave in combattimento. Poiché il cannone puntava staticamente in avanti – proprio come gli arieti delle antiche navi greche e persiane – la nave si muoveva più o meno allo stesso modo in combattimento, mirando a sferrare un attacco d’urto sui fianchi e sulla poppa vulnerabili della nave nemica. Quindi, anche se i cannoni sono ovviamente molto più potenti di un ariete, queste navi erano ancora progettate per attaccare frontalmente. L’odore della polvere da sparo e lo scoppiettio dei cannoni erano nuovi, ma un antico ammiraglio che osservava da lontano avrebbe trovato i remi spumeggianti e le manovre della flotta confortevolmente familiari.
Fuori con un botto: La battaglia di Lepanto
Lo sfondo del grande scontro di Lepanto fu la lenta e inesorabile espansione del potere ottomano intorno al Mediterraneo orientale, che lo portò a scontrarsi con l’impero marittimo di Venezia. La posizione strategica e l’orientamento di Venezia erano molto simili a quelli dell’antica Cartagine: il loro “impero” consisteva in una rete di colonie e di basi disseminate lungo le coste e le isole dell’Adriatico e del Mediterraneo. La funzione critica di queste posizioni era principalmente quella di controllare la rotta marittima tra Venezia e la costa levantina, con una catena di basi e porti fortificati che proteggevano la navigazione che era la linfa vitale della ricca economia veneziana.
La posizione chiave che divenne la base della guerra ottomano-veneziana fu l’isola di Cipro. Da un punto di vista geostrategico, l’importanza di Cipro è di facile comprensione. Essendo l’isola più orientale sotto il controllo di Venezia, era il nodo critico che garantiva l’accesso veneziano alla costa levantina. Cipro, tuttavia, si trovava anche direttamente sulle linee di comunicazione marittime tra il cuore dell’Anatolia e le province ottomane in Egitto. In sostanza, Cipro si trovava all’intersezione di due rotte marittime critiche: una linea nord-sud tra l’Anatolia e l’Egitto e una linea est-ovest tra Venezia e il Levante. Non è quindi particolarmente difficile capire perché gli Ottomani la desiderassero.
Quando nel 1570 un’armata ottomana arrivò a Cipro, Venezia si trovò di fronte a una prospettiva strategica inquietante. Venezia era una potenza mercantile ricca ma scarsamente popolata, mal costruita per una lotta prolungata con i ben più potenti Ottomani. L’abilità navale dei turchi era ormai un fatto assodato: nel 1538, la marina ottomana aveva distrutto una flotta cristiana coalizzata nella Battaglia di Preveza (combattuta, tra l’altro, esattamente dove la Battaglia di Azio aveva avuto luogo circa 1600 anni prima). Un’altra decisiva vittoria ottomana, nella Battaglia di Djerba del 1560, aveva portato i turchi sul 2-0 nelle grandi azioni di flotta. Un terzo round non sarebbe stato una cosa da ridere e Venezia aveva bisogno di alleati.
Fu grazie all’intenso ed energico intervento di Papa Pio V che Venezia si assicurò l’assistenza della Spagna asburgica e dei suoi satelliti, con la formazione nel 1571 della “Lega Santa”. I termini dell’alleanza prevedevano che le flotte degli alleati si incontrassero a fine estate a Messina, sulla costa siciliana, per una campagna congiunta nel Mediterraneo orientale. Il comando della flotta congiunta sarebbe spettato a Don Giovanni d’Austria, fratellastro illegittimo del re spagnolo Filippo II.
E così arriviamo a Lepanto, il canto del cigno della galea, violento codicillo di una forma di guerra mediterranea vecchia di tremila anni. La battaglia fu plasmata e resa possibile da una serendipità spesso rara in guerra: entrambe le parti erano fortemente motivate a cercare una battaglia decisiva, il che significa che entrambe le parti avevano uno schema operativo accuratamente concepito e pensato in anticipo. Lepanto fu una battaglia voluta e pianificata da entrambe le parti, e sia i Turchi che la Lega Santa riuscirono a mettere in atto i loro piani di battaglia e a raggiungere lo schieramento desiderato.
La motivazione turca a combattere è facile da capire: avevano l’ordine esplicito del Sultano Selim II di portare in battaglia la flotta cattolica e distruggerla. Per quanto riguarda la Lega Santa, la loro dinamica era più sfumata e sottile e aveva molto a che fare con i tentativi di Don Giovanni di mediare un’alleanza scomoda.
I vari alleati costituenti avevano motivazioni diverse per entrare in guerra e, di conseguenza, diversi sensi di urgenza. Per gli spagnoli, la guerra con i turchi era soprattutto una questione religiosa, un altro capitolo della loro lunga lotta cosmica con l’Islam. Venezia, invece, combatteva per concreti interessi geostrategici, in particolare per salvare la sua colonia di Cipro. I Veneziani combatterono anche con un importante handicap. Poiché Venezia aveva una popolazione relativamente scarsa, la mobilitazione della flotta richiedeva il prelievo di pescatori, marinai mercantili e altri lavoratori civili. L’entrata in guerra comportava quindi un blocco totale dell’economia veneziana ed era estremamente costosa da mantenere. I Veneziani erano quindi fortemente motivati a concludere rapidamente la guerra. Don Giovanni doveva anche preoccuparsi dei vari alleati accessori, in particolare di Genova, che aveva aderito alla Lega Santa pur continuando a commerciare con gli Ottomani.
Don Giovanni dovette quindi pianificare una campagna intorno ai disaccordi strategici della sua coalizione, con la possibilità molto concreta che parte della sua flotta si ritirasse dall’alleanza o addirittura disertasse. Più la campagna si trascinava, più era probabile che questi aggravamenti si aggravassero; pertanto, anche lui, come l’ammiraglio turco Müezzinzade Ali Pasha, era determinato a condurre una battaglia decisiva il prima possibile.
Dopo essersi riunita in Sicilia alla fine dell’estate, la flotta della Lega Santa – circa 212 navi in tutto – attraversò l’Adriatico e arrivò all’isola di Cefalonia, al largo della costa occidentale della Grecia, il 6 ottobre. La massa della flotta turca, 254 navi in tutto, era di stanza a sole 65 miglia a est nella loro base navale di Nafpaktos, nel Golfo di Corinto. Il nome veneziano di Nafpaktos è Lepanto. Il giorno seguente, entrambe le armate uscirono per incontrarsi all’ingresso del golfo. Era il 7 ottobre 1571.
Per comprendere le considerazioni tattiche in gioco a Lepanto, dobbiamo innanzitutto capire che, sebbene entrambe le flotte fossero composte da galee, la forma di questi vascelli variava ampiamente, a causa delle considerazioni economiche e strategiche che le varie potenze dovevano affrontare. Lepanto diventa quindi un ottimo esempio della contingenza contestuale dei sistemi d’arma – lo vedremo esaminando le differenze tra le galee spagnole, veneziane e turche che combatterono la battaglia.
Possiamo iniziare con gli spagnoli. Nel XVI secolo, la Spagna asburgica aveva bisogno di mantenere una flotta permanente di galee in grado di difendere i porti spagnoli del Mediterraneo dai pirati e dai corsari che operavano dalla costa nordafricana, i famosi corsari di Barberia che all’epoca terrorizzavano il Mediterraneo occidentale, la cui portata e il cui potere divennero così grandi da costringere gli Stati Uniti a pagare un tributo per garantire un passaggio sicuro alle navi mercantili americane. Ma stiamo divagando.
In ogni caso, gli spagnoli dovevano mantenere una flotta permanente a scopo difensivo, ponendosi su un piano di guerra semipermanente nel Mediterraneo. Questo, ovviamente, è costoso, anche per uno Stato molto ricco come la Spagna del XVI secolo. Inoltre, il costo di una flotta di galee permanenti crebbe rapidamente nel XVI secolo. A causa di una serie di fattori intersecati, tra cui la ripresa demografica dell’Europa dopo la peste nera e l’afflusso di oro e argento dalle Americhe, i prezzi e i salari crebbero molto rapidamente nel XVI secolo, al punto che gli economisti a volte parlano di una “rivoluzione spagnola dei prezzi“. Questa rapida inflazione rendeva le flotte di galee molto costose da mantenere in modo permanente, in quanto faceva lievitare i costi dei salari degli equipaggi dei vogatori. .
Gli spagnoli aggirarono il crescente costo dei rematori rinunciando del tutto a quelli pagati, scegliendo invece di equipaggiare le loro navi con galeotti non pagati. Ciò risolse in gran parte l’onere dei costi della flotta, ma introdusse una nuova complicazione al problema del combattimento. I galeotti possono remare una nave quasi gratis (a parte i costi di cibo e acqua), ma per ovvie ragioni non possono essere armati. In un’epoca in cui era comune (come vedremo) che gli equipaggi dei vogatori fossero armati e si impegnassero in combattimenti ravvicinati durante le azioni di abbordaggio, l’uso di vogatori galeotti rischiava quindi di annullare gran parte del potere combattivo della flotta spagnola. Per ovviare a questo problema, gli spagnoli dotarono le loro navi di un consistente contingente di fanteria regolare spagnola, che all’epoca era tra le migliori d’Europa.
La presenza di grandi compagnie di regolari spagnoli a bordo conferiva alle galee spagnole un’enorme potenza in battaglia e un vantaggio significativo nelle azioni di abbordaggio, ma a scapito della velocità e della manovrabilità, poiché queste truppe aggiungevano ovviamente un peso significativo alla nave. Si può notare, quindi, come la progettazione della flotta crei una sequenza di compromessi: i salari elevati per i rematori spinsero gli spagnoli a impiegare i galeotti, i rematori galeotti li costrinsero a loro volta a riempire le loro navi di fanteria regolare, e il peso di questa fanteria rese la nave più lenta in combattimento.
Gli spagnoli scelsero di accettare semplicemente questi compromessi e di massimizzare la potenza di combattimento delle loro navi a scapito della mobilità, rendendo le loro navi più grandi, più alte in acqua e con un equipaggio molto più numeroso. A Lepanto, quindi, le navi spagnole erano di gran lunga le più grandi, le più potenti dal punto di vista tattico e le più deboli in termini di manovrabilità e resistenza. Per quanto riguarda la loro funzione in battaglia, servivano come enormi piattaforme d’assalto per la fanteria – con il rischio di essere superate dalle navi nemiche più leggere, ma letali quando si scontravano con il nemico.
A differenza degli spagnoli, Venezia non manteneva una flotta di galee in perenne assetto di guerra, e in effetti non poteva permetterselo data la sua base demografica molto più ridotta. Venezia – per convenzione “a corto di uomini, lungo di denaro” – non poteva certo permettersi di dedicare migliaia di uomini agli equipaggi di voga in tempo di pace. Invece, l’Arsenale veneziano – un prodigioso e avanzato complesso di cantieri navali e armerie – costruì e mantenne una grande flotta di galee che venivano tenute in deposito per i tempi di guerra. Mentre gli spagnoli tenevano la loro flotta sempre pronta, i veneziani mantenevano solo una piccola forza in tempo di pace e si appoggiavano invece a un’ondata di forza combattiva chiamando pescatori, contadini e braccianti a servire come rematori.
Essendo così svincolata dalle grandi spese di approvvigionamento permanente di grandi equipaggi di vogatori, Venezia non ebbe bisogno di adottare la misura di riduzione dei costi di trovare manodopera gratuita tra i coscritti, e le galee veneziane erano vogate da cittadini veneziani liberi che dovevano combattere in corpo a corpo quando necessario. Tuttavia, data la minore popolazione di Venezia e la mancanza di un grande esercito permanente da cui attingere la fanteria, era naturale che la flotta veneziana fosse meno entusiasta delle risse ravvicinate rispetto agli alleati spagnoli. Il punto di forza delle galee veneziane era quindi la loro artiglieria, che era di gran lunga la migliore del Mediterraneo, essendo più precisa e più leggera della concorrenza.
Si può quindi facilmente capire come fattori economici e strategici abbiano creato navi da combattimento nettamente diverse, pur condividendo la stessa forma di base di una galea a remi con cannoni a prua. La necessità di difendere costantemente le coste dalla pirateria portò gli spagnoli a mantenere una flotta permanente di navi pesanti remate da galeotti, che compensavano la loro immobilità con l’enorme forza combattiva della fanteria spagnola sul ponte. Al contrario, Venezia risparmiava tenendo la propria flotta in magazzino durante il periodo di pace, e metteva in campo navi più veloci e più piccole che si appoggiavano alla loro superiore artiglieria in combattimento. La Spagna asburgica era una potenza grande e popolosa con un corpo permanente di fanteria veterana; Venezia era uno stato ricco e tecnologicamente sofisticato con una popolazione più sottile. Le navi a Lepanto riflettono fortemente queste differenze.
Naturalmente, qualsiasi discussione sulle navi che combatterono a Lepanto sarebbe vuota senza menzionare la flotta avversaria degli Ottomani. La marina ottomana si differenziava in questo periodo per il semplice fatto che i turchi, a differenza dei veneziani e degli spagnoli, erano all’offensiva nel Mediterraneo. Le galee ottomane avevano quindi caratteristiche progettuali che le rendevano più adatte alle operazioni anfibie. Erano più basse nell’acqua e avevano un pescaggio inferiore rispetto alle navi cattoliche, il che consentiva loro di operare facilmente in acque poco profonde e di incagliarsi per sganciare le forze per le operazioni di terra. Essendo più leggere e più basse, tendevano a essere più manovrabili delle navi veneziane e soprattutto di quelle spagnole, e si distinguevano per il fatto che traevano gran parte della loro forza combattiva dal tiro con l’arco.
L’uso continuo di arcieri può sembrare strano, a questo punto del gioco, ma l’arcieria turca rimase letale fino al XVI secolo. Gli archi ricurvi preferiti dai turchi – retaggio dell’eredità della steppa ottomana – mantenevano un chiaro vantaggio in termini di gittata, precisione e cadenza di fuoco rispetto alle primitive armi da fuoco a polvere da sparo dell’epoca, e la presenza di un consistente contingente di arcieri sulle galee turche dava loro sia una solida forza sull’acqua sia un potente gruppo di fanteria che poteva essere sbarcato durante le operazioni anfibie. Anche le navi turche, come quelle veneziane, erano remate da uomini liberi, in questo caso soprattutto da volontari arabi che potevano combattere in caso di emergenza. Il solito motivo della schiavitù turca non si applicava a Lepanto.
Lepanto, quindi, nonostante fosse una battaglia di navi, tutte nominalmente note come “galee”, coinvolgeva navi con differenze significative nella capacità di combattimento e nella progettazione. Le navi spagnole erano navi a remi, pesanti e massicce, letali in azioni ravvicinate dove potevano abbordare con la loro potente fanteria. Le galee veneziane erano più veloci e favorivano la loro superiore artiglieria, mentre le navi turche erano le più manovrabili a Lepanto, più adatte a una mischia libera e vorticosa in cui potevano sfrecciare con disinvoltura intorno alla battaglia, scatenando il fuoco di prua e presentando un bersaglio in rapido movimento. Il compito dei comandanti a Lepanto sarebbe stato quello di organizzare la battaglia in modo da massimizzare i punti di forza delle loro navi.
Ali Pasha sapeva che avrebbe combattuto in netto svantaggio in una mischia congestionata con le navi cristiane più grandi e più pesantemente armate. Se la battaglia si fosse trasformata in uno scontro ravvicinato, la massa superiore dell’artiglieria cristiana e le marine spagnole pesantemente equipaggiate avrebbero lentamente ma inesorabilmente fatto a pezzi la sua flotta. La vittoria turca dipendeva quindi dall’apertura della battaglia disordinando la linea cristiana. Se le linee si sfaldavano e la battaglia diventava una mischia libera e vorticosa, le galee turche, più maneggevoli, potevano fare a pezzi la flotta cristiana, come avevano fatto due volte in passato a Preveza e a Djerba.
Il progetto turco per la battaglia si basava quindi su due diversi meccanismi per dividere la linea cristiana e aprire la battaglia, da realizzare facendo leva sulle due caratteristiche distintive della galea turca: il suo basso pescaggio e la sua superiore manovrabilità. Sull’ala destra turca (quella a terra, adiacente alla costa greca), l’intenzione era di portare la battaglia il più vicino possibile alla costa, sperando che nelle acque basse il pescaggio più profondo delle navi cristiane impedisse loro di allinearsi alla linea ottomana. Se l’ala destra dei Turchi fosse riuscita a spingere la battaglia nelle acque basse, avrebbe avuto buone probabilità di superare la linea cristiana e di raggiungere le retrovie della flotta. Poiché le galee, con il loro cannone puntato direttamente a prua, erano essenzialmente indifese se attaccate da dietro, la penetrazione delle agili navi turche nelle retrovie sarebbe stata una catastrofe per Don Giovanni.
Sull’ala sinistra turca (l’ala al largo, con il fianco sul mare aperto), c’era un’evidente opportunità di disordinare o girare il fianco della linea cristiana. È qui che Ali Pasha posizionò la preponderanza della sua flotta. In altri punti della linea, le due flotte erano in gran parte simmetriche nei numeri. Le ali a terra (destra turca, sinistra cristiana) contenevano rispettivamente 54 e 53 navi, mentre i centri contavano 62 navi per i cristiani e 61 per i turchi. Al largo, tuttavia, i Turchi avrebbero avuto un vantaggio numerico significativo, con 87 galee contro le 53 navi dell’ala sinistra cristiana. Così, mentre la formazione cristiana era essenzialmente simmetrica (con 53 navi in ciascuna delle sue ali), i turchi erano pesantemente appesantiti verso il mare aperto. Con navi più numerose e più veloci in mare aperto, Ali Pashi poteva contare su una ragionevole possibilità di girare il fianco cristiano o di separare l’ala sinistra dal centro; in entrambi i casi, si sarebbe aperta l’opportunità di penetrare nelle retrovie.
I turchi potevano quindi sperare di spezzare o disordinare la flotta nemica su una, o preferibilmente su entrambe le ali. In questo modo avrebbero probabilmente rotto la coesione della flotta cristiana e trasformato la battaglia in un corpo a corpo in cui le navi turche manovrabili avrebbero avuto un netto vantaggio. Il prezzo di questo schieramento, tuttavia, fu quello di costringere Ali Pasha ad accettare uno scontro frontale al centro, in cui sarebbe stato gravemente svantaggiato contro le potenti galee cristiane, soprattutto le massicce navi spagnole. Non c’erano prospettive realistiche di vincere il combattimento al centro: i turchi potevano solo sperare di resistere mentre le loro ali lavoravano per aprire la battaglia. Per avere le migliori possibilità di resistere al centro, Ali Pasha tenne una riserva di 52 navi, la maggior parte delle quali erano galee leggere (chiamate galeotte). Lo scopo della riserva turca era essenzialmente quello di sostenere il centro, colmando le lacune e reintegrando le perdite.
Qualsiasi studio corretto del piano di battaglia turco concluderà che era ben progettato e offriva ad Ali Pasha le migliori possibilità di vincere la battaglia con le risorse a sua disposizione, date le diverse qualità delle navi coinvolte. La vittoria turca dipendeva dal disordine della flotta nemica e dalla frammentazione dell’integrità della sua linea, e Ali Pasha fornì una ridondanza, con due opportunità di aprire i fianchi del nemico, sfruttando il basso pescaggio delle sue navi nell’ala di terra e confezionando un pugno sovradimensionato di galee veloci sul lato di mare. Accettò il rischio di scontrarsi con il potente centro spagnolo come costo del suo piano e prese le misure necessarie per far fronte alla situazione dotandosi di una riserva per rinforzare il proprio centro. Nel complesso, si trattava di un piano di battaglia intelligente, che dimostrava una forte comprensione delle qualità relative della flotta e bilanciava l’aggressività con la prudenza. Ali Pasha si è dato una buona possibilità di vincere la battaglia, facendo del suo meglio per mitigare le sue peggiori vulnerabilità. Il piano e l’uomo sono da lodare.
Sfortunatamente per Ali Pasha e la sua flotta, anche Don Giovanni aveva un piano che sfruttava in modo intelligente le sue risorse tattiche. Dallo schema di schieramento di Don Giovanni (è sopravvissuta una copia del suo ordine di battaglia che ci dà uno sguardo dettagliato all’organizzazione della flotta cristiana) è chiaro che egli comprendeva perfettamente le minacce alle sue ali e prese misure intelligenti per mitigarle.
Nell’ala a terra (la sinistra cristiana), egli ponderò la sua formazione in modo che le navi più leggere e manovrabili fossero più vicine alla costa. Soprattutto, l’ala sinistra era sotto il comando dell’ammiraglio veneziano Agostino Barbarigo, che comandava la sua ala dal bordo più a sinistra, più vicino alla riva. Normalmente, un comandante di sezione dovrebbe posizionarsi al centro della sua linea – ad esempio, Ali Pasha e Don Juan comandavano entrambi dal centro dei loro centri. Barbarigo, invece, mise la sua nave ammiraglia all’estremità della linea più vicina alla riva, collocandosi nel punto decisivo dell’azione. Questo dimostra chiaramente che i cristiani avevano previsto la manovra ottomana di girare il fianco nell’acqua bassa, e Barbarigo era sul posto per impedirlo. .
Don Juan, come Ali Pasha, aveva previsto una riserva per sé, con 38 galee al comando dello spagnolo Alvaro de Bazan. A differenza della riserva turca, però, che aveva il compito specifico di sostenere il centro, la riserva cristiana aveva più in generale il compito di rispondere a qualsiasi rottura della linea o fuga dei turchi nelle retrovie. Sia Don Giovanni che Ali Pascià accettavano e si aspettavano che le galee cristiane, tatticamente potenti, avrebbero prevalso nello scontro al centro; Ali Pascià aveva quindi bisogno della sua riserva per alimentare i rinforzi al centro. Don Juan, al contrario, era preoccupato per i suoi fianchi, e quindi la riserva cristiana doveva rimanere disimpegnata in modo da poter rispondere a eventuali sfondamenti su entrambi i lati.
Entrambe le flotte si presentarono quindi alla battaglia con piani di schieramento ben studiati e con una comprensione realistica di come avrebbero potuto vincere e perdere la battaglia. Non sorprende quindi che Lepanto sia stata una battaglia combattuta.
Le ali a terra si scontrarono per prime, verso mezzogiorno del 7 ottobre, e i combattimenti furono eccezionalmente feroci. La destra ottomana fece una corsa aggressiva per accartocciare il fianco cristiano lungo la riva, cercando di scivolare e raggiungere le retrovie. Barbarigo si oppose con un’incredibile dimostrazione di comando, facendo arretrare l’estremità sinistra della sua linea, in modo che si arricciasse lungo la riva per bloccare la corsa dei fiancheggiatori turchi.
Questa manovra da parte dell’ala cristiana sarebbe stata incredibilmente difficile: fare marcia indietro mentre si era impegnati in un combattimento estremamente violento senza perdere l’integrità della linea. È chiaro che le perdite cristiane in quest’ala furono pesanti e che il tiro con l’arco turco fu micidiale. Lo stesso Barbarigo fu ucciso a un certo punto della giornata, ma il suo controllo della linea e il suo decisivo movimento per bloccare l’attacco turco furono cruciali. L’estremità sinistra della linea di Barbarigo finì per ruotare il fronte di ben 90 gradi, in modo da trovarsi di fronte alla costa: il risultato fu che, invece di utilizzare le acque basse della costa per affiancare i cristiani, gran parte dell’ala ottomana si trovò intrappolata contro la costa, e alla fine della giornata la maggior parte della loro ala destra era stata annientata.
Al centro, la battaglia si svolse come previsto. Le galee turche si scontrarono con le massicce navi spagnole, con la nave ammiraglia di Don Giovanni, la Real che combatteva duramente al centro dell’azione. I turchi combatterono duramente, come fecero ovunque quel giorno, ma i cristiani avevano ponti più alti, più cannoni e i micidiali e pesantemente armati marines spagnoli per avere la meglio, e la superiore massa cristiana (non è un gioco di parole) macinò lentamente il centro ottomano. Poiché sia Don Giovanni che Ali Pasha comandavano dal centro delle loro linee, la scena fu messa in scena per un momento particolarmente cinematografico. La Real di Don Juan si bloccò con la nave ammiraglia di Ali Pasha, la Sultana, e un gruppo di abbordaggio di spagnoli riuscì a sopraffare il ponte dell’ammiraglio turco. Müezzinzade Ali Pasha fu ucciso e la sua testa fu consegnata a Don Giovanni mentre la battaglia infuriava tutt’intorno. .
I cristiani stavano conquistando il centro, ma questo era uno sviluppo previsto. Ali Pasha era morto, ma il suo piano era ancora operativo. I turchi avevano ancora un’opportunità concreta di vincere la battaglia sul fianco destro, dove la loro potente ala sinistra si dirigeva in mare aperto. Le ali su questo lato impiegarono molto più tempo a scontrarsi rispetto al resto delle linee; il comandante ottomano a sinistra, Uluj Ali, si impegnò in una lunga serie di manovre che attirarono l’ala cristiana, comandata da Giovanni Andrea Doria, sempre più al largo, mentre lottava per adeguarsi al suo fronte. Di conseguenza, si aprì lentamente un pericoloso varco tra la destra e il centro cristiano. Era il varco che Ali Pasha sperava di ottenere e la possibilità per i turchi di vincere la battaglia.
Dopo aver attirato l’ala cristiana fuori posizione, Uluj Ali lanciò tutte le navi che poteva nel varco della linea cristiana. Il momento di massimo pericolo per Don Giovanni si avvicinava, con le navi turche che si abbattevano violentemente sul fianco e sul retro del centro cristiano. Per un momento sembrò che l’attacco turco potesse iniziare a estendersi e a disordinare il centro, ma la situazione fu salvata dall’arrivo di rinforzi. Alcuni di questi provenivano dall’ala destra cristiana, dove molti capitani videro che Andrea Dorea era stato ingannato e decisero di staccarsi autonomamente per seguire i turchi verso il centro. Ma l’aiuto maggiore, che salvò la battaglia, fu l’arrivo della riserva cristiana. Il comandante della riserva, de Bazan, aveva osservato da lontano come Doria era stato messo fuori posizione, ed era perfettamente all’erta per entrare in battaglia all’arrivo dell’attacco turco.
Con la riserva cristiana che si abbatteva su di lui, Uluj Alì vide la scrittura sul muro e si diede alla fuga con il maggior numero di navi possibile. Le sue forze costituiranno la maggior parte delle navi turche fuggite da Lepanto. Il resto dell’imponente armata turca fu in gran parte spazzato via. Delle oltre 250 navi che Ali Pasha portò in battaglia, circa 190 furono distrutte o catturate.
E questa fu Lepanto. I Turchi avevano elaborato un piano di battaglia intelligente che dava loro reali prospettive di vittoria, ma Don Giovanni fece un uso altrettanto brillante delle proprie risorse e alcune dimostrazioni critiche di comando sotto pressione portarono alla vittoria della flotta cristiana. L’eccezionale gestione della battaglia a terra da parte di Barbarigo, che diede la vita pur mantenendo l’integrità della sua linea, impedì ai turchi di aggirare i cristiani lungo la costa. Al centro, le galee cristiane, tatticamente più potenti, e Ali Pasha furono uccise. Sul fianco di destra, i turchi riuscirono a incrinare l’integrità della linea cristiana mettendo fuori posizione Andrea Dorea, ma non riuscirono a sfruttare questo successo grazie alla tempestiva reazione della riserva cristiana. Mentre i fuggiaschi turchi scomparivano all’orizzonte, il sole tramontava sia sul giorno della battaglia sia sull’antica e venerabile era della guerra delle galee.
La battaglia di Lepanto fu senza dubbio una grande vittoria per la Lega Santa, che ebbe un effetto straordinario sul morale e sulla fiducia dei cristiani. Era la prima volta in un secolo che gli Ottomani venivano sconfitti in una grande azione di flotta. La battaglia era stata pianificata in modo eccezionale da entrambi gli ammiragli al comando, i comandanti di entrambi gli schieramenti avevano dato prova di una fermezza e di una competenza esemplari durante la battaglia (in particolare Barbarigo nell’ala di terra e Uluj Ali in quella di mare), e i soldati avevano combattuto duramente e con grande coraggio. Lepanto era stata una grande impresa delle armi cristiane, ma era stato un affare gestito da vicino che dimostrava che questo sistema di guerra mediterranea aveva raggiunto uno stadio molto avanzato.
Purtroppo per la vittoriosa flotta cristiana, la Lega Santa non fu in grado di sfruttare la vittoria, soprattutto a causa delle tensioni insite nell’alleanza. La vittoria a Lepanto non riuscì a salvare la colonia veneziana di Cipro, che cadde in mano agli Ottomani, e la flotta si disperse per tornare ai suoi vari porti d’origine. Quando l’armata si riunì l’anno successivo, gli Ottomani (una grande potenza con notevoli capacità statali) avevano già ricostruito la loro flotta con oltre 200 navi. Nel 1572, tuttavia, Don Giovanni non riuscì a portare gli Ottomani in battaglia e la flotta turca rimase indenne sotto la protezione della loro fortezza di Metone (la stessa Metone che Agrippa aveva catturato così brillantemente nella guerra di Azio). Nel 1573, dopo la morte di Papa Pio V, la Lega Santa non riuscì a schierare alcuna flotta e Venezia avviò trattative di pace unilaterali con la Porta Ottomana.
Gli Ottomani presero bene la sconfitta, ricostruendo la loro flotta e continuando lentamente a intaccare la periferia del Mediterraneo. Il Gran Visir turco commentò addirittura (si dice) all’ambasciatore veneziano:
Siete venuto a vedere come sopportiamo le nostre disgrazie. Ma vorrei che sapeste la differenza tra la vostra e la nostra perdita. Strappandovi Cipro, vi abbiamo privato di un braccio; sconfiggendo la nostra flotta, ci avete solo rasato la barba. Un braccio tagliato non può ricrescere; ma una barba rasata crescerà tanto meglio quanto il rasoio.
Duro, ma vero. Alla lunga, Venezia, con le sue ristrette risorse demografiche e la sua posizione geografica compatta, non avrebbe mai potuto competere con le potenze in ascesa che la circondavano, e oggi rimane nota soprattutto per le sue conquiste culturali e la sua bellezza fisica, piuttosto che per il suo impero.
Le flotte di galee della Lega Santa non erano tuttavia il problema strategico più pericoloso per gli Ottomani. Il vero pericolo si aggirava per l’Atlantico, sotto forma di vascelli a vela pesantemente armati che diventavano sempre più grandi e pericolosi a ogni passaggio.
Nel 1616, una flotta ottomana riuscì a tendere un’imboscata a una piccola armata spagnola che si aggirava nei pressi di Cipro. Gli spagnoli avevano solo 6 navi nel loro piccolo convoglio, che si trovarono ad affrontare non meno di 55 galee ottomane. Il problema, tuttavia, era che queste navi spagnole erano galeoni da battaglia, irti di cannoni e carichi di moschettieri. Sciamati dalle navi da guerra ottomane, più piccole e poco armate, gli spagnoli le fecero a pezzi con facilità, come leoni attaccati da tanti sciacalli. Al costo di soli 34 morti, gli spagnoli fecero naufragare 35 galee ottomane e uccisero 3.200 marinai turchi. Un insuperabile vantaggio tecnologico trasformò la battaglia in un tiro al tacchino.
Le galee erano diventate obsolete in un periodo di tempo relativamente breve. Quello che ho cercato di dimostrare in questa sede, tuttavia, è che all’epoca di Lepanto la galea conservava un ruolo importante in un sistema di guerra mediterraneo più ampio. I confini geografici del Mediterraneo continuavano a favorire le galee più economiche e più piccole, che potevano operare vicino alla costa, sostenere le operazioni anfibie e combattere all’interno di una rete di isole e basi costiere che costituivano la base della guerra mediterranea. Gli Ammiragli che combatterono a Lepanto non erano inequivocabilmente dei primitivi che si sfidavano con un sistema di armi obsoleto, né la battaglia fu una mischia insensata e caotica. Sia la flotta turca che quella cristiana si presentarono alla battaglia con piani elaborati con intelligenza e con una chiara comprensione delle proprie vulnerabilità e opportunità; inoltre, la battaglia fu ben gestita e ben combattuta. Lepanto fu, in tutti i sensi, una coda adeguata a questa antica forma di battaglia.
In ultima analisi, il vero nemico della galea era l’economia mondana. Le navi da guerra a vela a vela a fusoliera arrivarono a dominare i mari come batterie d’artiglieria galleggianti con una potenza di combattimento impareggiabile, ma l’esistenza di queste navi era dovuta al fatto che avevano creato le opportunità economiche che ne rendevano possibile la costruzione. La galea aveva sempre avuto senso nei confini del Mediterraneo, ma le nuove opportunità economiche create dall’Età dell’Esplorazione lasciarono l’economia e il mondo mediterraneo alle spalle, e la venerabile galea con essa.
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Detto questo, questi saggi saranno sempre gratuiti. Potete sostenere il mio lavoro mettendo un like e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina “Buy Me A Coffee”, che potete trovare qui.☕️.
E grazie ancora a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano, per le quali ha creato un sito web dedicato qui. Grazie infine ad altri che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue. Sto ora esaminando una seconda traduzione in francese di uno dei miei saggi da parte di Hubert Mulkens, che spero di pubblicare la prossima settimana. Sono sempre felice che ciò accada: chiedo solo che me lo diciate in anticipo e che mi forniate un riconoscimento. Quindi, ora ….
Negli ultimi due anni ho scritto diversi saggi sui possibili sviluppi della crisi ucraina. Non si tratta di previsioni – non faccio previsioni qui – ma piuttosto di tentativi di definire criteri e limiti, di descrivere ciò che potrebbe essere possibile e ciò che non lo sarà. La realtà e l’esperienza storica hanno suggerito alcune cose: L’Ucraina non potrebbe vincere, nel senso di recuperare i confini del 1991. Nessuna quantità di equipaggiamento e addestramento militare occidentale avrebbe potutocompensare questa situazione. Non c’era alcuna possibilità di ricostruire le forze militari ucraine per un ipotetico “secondo round”. Le forze della NATO non potrebbero intervenire utilmente nel conflitto, o comunque in qualsiasi momento ragionevole del futuro. E i discorsi sulla ricostruzione della capacità di difesa della NATO, compresa la reintroduzione della coscrizione, erano semplici fantasie.
Con il passare del tempo e il contributo di altri, queste proposizioni non sono più, a mio avviso, oggetto di grandi sfide o dibattiti. Non sorprende quindi che si stia rivolgendo l’attenzione alla domanda più fondamentale di tutte: come finirà la guerra? È di questo che si occupa il presente saggio e, in quanto vero e proprio studioso di letteratura e osservatore veterano delle atrocità inflitte alle parole nei negoziati e nelle dichiarazioni politiche, avrò qualcosa da dire sulle parole in questa formulazione apparentemente semplice. Non tenterò nemmeno di fare profezie: questo saggio è essenzialmente una spiegazione di testo su tutte le difficoltà e le complessità contenute in questa semplice domanda. Ancora una volta, il diavolo si nasconde nella profondità dei dettagli, come la storia suggerisce abbastanza bene.
La prima cosa da fare è prendere la frase al contrario, e chiedersi cosa intendiamo per “fine”. Ci sono almeno tre domande separate ma collegate. Sono:
a che punto i russi decideranno che ulteriori operazioni militari offensive non sono necessarie?
a che punto i russi insisteranno (con successo) sulla cessazione delle ostilità, sulla resa e sull’evacuazione delle forze ucraine e su un cessate il fuoco alle loro condizioni?
a che punto ci sarà un’intesa chiara, sostenuta da accordi ma anche dalla forza, sul futuro dell’Ucraina e sul coinvolgimento occidentale nel Paese?
(Naturalmente ci sono altre parti in movimento oltre a queste, ma queste sono le principali e dobbiamo tracciare una linea di demarcazione da qualche parte).
Vedrete che la risposta alla domanda “quando finirà la guerra?” ha un diverso tipo di risposta in ogni caso. Il primo punto non riguarda la “fine” della guerra in senso proprio, ma solo della sua fase cinetica immediata. Non esclude una successiva ripresa delle ostilità. Ci ricorda le facili affermazioni su “vincere la guerra e perdere la pace” in vari conflitti, come se le due cose potessero essere in qualche modo separate, e come se lo scopo della guerra non fosse quello di produrre una situazione in cui segua il tipo di pace che si desidera. I lettori superficiali di Clausewitz possono trarre l’idea che lo “scopo” della guerra sia la sconfitta dell’esercito nemico. Sebbene Clausewitz sia vissuto in un’epoca in cui le guerre venivano spesso vinte (nel senso di ottenere gli obiettivi politici generali) come risultato di questo tipo di sconfitta, egli era attento a non dare per scontato che l’una fosse una condizione sufficiente per l’altra. Dopotutto, come diceva Clausewitz, ci vogliono due parti per fare una guerra, e quindi due parti per fare una pace, e anche una sconfitta eclatante potrebbe non porre fine alla resistenza della parte perdente: Clausewitz sarebbe stato consapevole del fallimento finale di Napoleone nel pacificare la Spagna e della sua sconfitta finale per mano degli inglesi nel 1813, e non sarebbe stato sorpreso dalla continua resistenza dei francesi nel 1870-71 dopo la sconfitta dell’esercito imperiale.
Quindi la fase puramente cinetica della guerra sarà messa in pausa quando i russi riterranno di aver ottenuto il massimo possibile con l’uso della forza militare. Dico “pausa” perché è chiaro che i russi non hanno né la capacità né il desiderio di cercare di occupare l’intero Paese. Poiché gli ucraini hanno la capacità di spostare le loro forze rimanenti nella parte occidentale del Paese, lontano dalle forze di terra russe, e poiché senza dubbio ci sarà ancora un flusso costante di consegne di aerei dai musei dell’aviazione e dai taxi londinesi convertiti per rafforzare l’UAF, sarà impossibile dire in qualsiasi momento che le forze ucraine sono state completamente “distrutte”. Inoltre, ci saranno sempre esseri umani e armi, quindi una sorta di resistenza sporadica potrebbe continuare per un po’, almeno nominalmente. È quindi necessario che i russi valutino quando la distruzione è sufficiente e che a quel punto mettano in pausa la guerra, sperando che la pausa sia permanente.
Ora, la situazione non è così complessa nella pratica. Le forze militari devono essere organizzate, guidate ed equipaggiate, altrimenti non hanno alcun valore militare. Migliaia, o addirittura decine di migliaia di truppe ucraine che vagano in piccoli gruppi possono essere un fastidio e persino un problema di sicurezza interna, ma non sono una minaccia. Un’UAF che ha perso mobilità e comunicazioni, anche se conserva qualche arma pesante qua e là, sarà stata sconfitta.
Quindi, la vittoria? Ricordiamo l’altra osservazione di Clausewitz: la guerra è “un atto di violenza per costringere il nostro nemico a fare la nostra volontà”. Ai suoi tempi, la perdita di una battaglia importante spesso costringeva la parte perdente a chiedere la pace, almeno per qualche anno. Ma oggi la guerra è molto più complessa e non è scontato che esista un meccanismo di trasmissione infallibile che trasformi la vittoria militare in vittoria politica. Ci sono diversi modi in cui questo potrebbe andare storto.
Il primo modo è se non c’è un interlocutore concordato, un’autorità politica riconosciuta che dica alle truppe ucraine di deporre le armi. Questa figura (o le figure ipotizzabili) avrà bisogno sia della legittimazione politica della popolazione, sia del rispetto dei militari. Anche i russi dovranno essere convinti di entrambe le qualifiche. (Allo stato attuale, i russi rifiutano di accettare Zelensky come interlocutore perché, sostengono, il suo mandato è scaduto. Non è ancora chiaro fino a che punto persisteranno con questa argomentazione). È molto probabile che emergeranno diverse figure, comprese alcune figure militari che svolgono un ruolo politico, e che non ci sarà un facile accordo per accettare che la guerra è di fatto persa. Questo è importante perché, come ho spiegato in un precedente saggio, ci sono una serie di accordi pratici da prendere per assicurare la resa ordinata degli UA, e qualcuno deve dare l’ordine di farli accadere tutti, e nominare i responsabili.
E gli ordini devono essere obbediti, che è il secondo modo in cui le cose potrebbero andare male. Non è chiaro se, anche se l’UA è ancora una forza coerente, lo rimarrà ancora a lungo. I singoli comandanti a tutti i livelli potrebbero rifiutarsi di obbedire agli ordini: le unità potrebbero finire per combattersi tra loro. Potrebbero sorgere forze paramilitari di “resistenza”, il cui obiettivo potrebbe essere la leadership politica e militare ucraina, più che i russi. Non sarebbe sorprendente se ci fosse qualcosa che si avvicina ai livelli di amarezza della Prima Guerra Mondiale tra i soldati ucraini di ritorno, e si può presumere che presto appariranno leggende di “pugnalate alle spalle”.
Quindi i russi dovranno decidere a un certo punto che il combattimento militare ha fatto tutto il possibile e che è ora di chiedere la resa. (Si noti che l’uso del potere militare nel suo ruolo di intimidazione e applicazione continuerà ancora per qualche tempo). La questione, naturalmente, è in cosa consisterebbe questa “resa”. Ora, una richiesta di resa incondizionata di tutte le forze degli UA in stile 1918 mi sembra improbabile. Sarebbe più difficile da concordare e di fatto impossibile da attuare. A differenza del 1945, i russi non avranno il controllo di tutto il territorio, quindi non potranno fisicamente accettare la resa di tutte le unità, e difficilmente vorranno inviare forze, ad esempio a Lvov, per cercare di farlo. Con ogni probabilità, chiederanno agli EAU di lasciare il territorio che ora fa formalmente parte della Russia e di ritirarsi su una linea geografica definita, lasciando indietro tutte le attrezzature pesanti. Le forze ucraine intrappolate in sacche da cui non c’è scampo avranno probabilmente poca scelta se non quella di arrendersi davvero. Vale la pena aggiungere che un numero consistente di prigionieri è una leva politica per i russi, che senza dubbio useranno, ma comporta anche grandi oneri amministrativi e politici, ed è probabile che il loro uso principale sarà come garanzia per la restituzione dei prigionieri russi. Inoltre, una resa negoziata che permettesse ai soldati ucraini di tornare a casa sarebbe molto meno dirompente dal punto di vista politico e più facile da vendere per qualsiasi governo sia al potere a Kiev.
Queste, per ripetere, sono le precondizioni per un cessate il fuoco, non per un trattato di pace. A questo punto, è probabile che i russi mantengano tutte, o almeno la maggior parte, delle loro forze in Ucraina. In parte perché ci saranno nuove città da presidiare e una nuova frontiera da proteggere. Ma anche perché è molto più facile rimpatriare le truppe e smobilitarle che non rimuoverle e riportarle indietro. Possiamo anche supporre che, in linea di principio, tutto il personale militare occidentale dovrà lasciare l’Ucraina entro una certa data e tutto il materiale militare occidentale dovrà essere distrutto sotto la supervisione russa. D’altra parte, gli addetti alla difesa saranno probabilmente autorizzati a rimanere e potrebbero effettivamente essere utilizzati come intermediari dai russi.
Dopo di ciò, si pone la questione dello status finale dell’Ucraina e delle conseguenze per le relazioni più ampie tra Russia e Occidente. Non ho intenzione di fare previsioni, perché non sono qualificato per farlo. (Voglio piuttosto concentrarmi su alcune questioni generiche che sono alla base di tutte le situazioni di questo tipo, sui problemi che esse comportano e sulle decisioni che la leadership russa dovrà prendere.
La prima di queste decisioni riguarda il modo in cui garantire la stabilità, che è ragionevole considerare come la principale preoccupazione russa. Contrariamente a quanto si crede, raramente le nazioni promuovono deliberatamente l’instabilità in aree importanti, poiché rischiano di perdere rapidamente il controllo delle conseguenze, e il problema dell’incertezza, ovviamente, è che non si può mai dire cosa accadrà. Gli imperi hanno certamente cercato di creare problemi alle reciproche periferie (il famoso Grande Gioco tra Gran Bretagna e Russia ne è un esempio) e durante la Guerra Fredda, l’Est e l’Ovest fornivano assistenza militare alle diverse parti delle periferie. A volte si trattava di truppe da combattimento (i cubani in Angola, per esempio), ma più spesso di armi e addestramento. I russi e i cinesi hanno inondato l’Africa di armi leggere e di piccolo calibro negli anni Settanta e Ottanta e l’Occidente ha fornito ai mujahidin afghani alcune limitate forniture di equipaggiamento. Sotto Gheddafi, la Libia ha attuato una politica di creazione di instabilità in tutti i Paesi che riteneva legati all’Occidente (il Ciad ne è stato un esempio particolare), anche se questa politica è morta con la Guida stessa. Ma tutto questo era roba da poco.
In generale, quindi, possiamo ipotizzare che sia la Russia che l’Occidente abbiano un interesse comune in un’Ucraina stabile, nella misura in cui ciò sia possibile. Dal punto di vista russo questo è ovvio, poiché l’instabilità ai propri confini è sempre una cattiva idea. Per gli ucraini, l’instabilità sarà un costante invito ai russi a intervenire, o almeno sarà difficile. Dal punto di vista occidentale, l’Ucraina sarà qualcosa da dimenticare, come il Vietnam ma con diversi ordini di grandezza peggiori. L’Occidente si renderà conto che non può più aspettarsi di influenzare molto gli eventi in quel Paese e non ha certo la possibilità di riavviare il conflitto. L’Occidente è già stato gravemente indebolito dalla crisi e sarà preoccupato dalla possibilità di essere trascinato nuovamente in qualche futura iterazione della stessa. Anche nel caso di una guerra civile o di una violenza politica di massa nel Paese – nessuna delle due ipotesi può essere esclusa – l’Occidente si troverà trascinato da una parte o dall’altra o (il che sarà molto peggio) da più parti contemporaneamente. Naturalmente, ci saranno sostenitori irriducibili di Kiev, così come ci saranno ucraini in esilio che sperano di tornare un giorno vittoriosi. Ma questa non è la Guerra Fredda e queste persone saranno solo un fastidio per i governi occidentali. Gli inviti ad aderire all’UE e alla NATO saranno sospesi “per il momento” e i cittadini ucraini saranno rimpatriati. Per l’Occidente, tutte queste saranno misure di elementare prudenza, di fronte a una Russia arrabbiata, risentita e potente.
Come si fa, dunque, a creare stabilità? La prima cosa da dire è che i trattati e gli accordi non funzionano da soli. Come ho detto in precedenti occasioni, i trattati funzionano solo quando sono una messa per iscritto di ciò che le parti sono disposte a fare in ogni caso e che sono effettivamente in grado di eseguire. La tendenza moderna è stata quella di cercare di usare i trattati del dopoguerra come un’arma, per imporre regole morali e normative, e di fare pressione per obbligare le parti a firmare cose che non avrebbero mai potuto mantenere. Ne ho già parlato in precedenza, ma mi soffermerò ancora una volta sui famigerati accordi di Arusha del 1993, destinati a portare la pace tra il Fronte Patriottico Ruandese invasore e l’instabile governo di coalizione di Kigali. L’Occidente ha imposto a un classico conflitto socio-economico una logica etnica e razzista, costringendo il governo ad accettare cose che non era in grado di fare e che hanno portato alla ripresa della guerra e a livelli di violenza terrificanti. Se ci pensate, l’idea di cercare di raggiungere un accordo di pace tra una fazione esiliata della classe dirigente tutsi, che tradizionalmente aveva mantenuto il potere con la violenza, e i contadini hutu che avevano rovesciato il potere tutsi dopo l’indipendenza, era davvero folle, anche perché escludeva la maggior parte delle forze politiche del Paese. Immagino che sarebbe come un accordo di condivisione del potere tra le forze russe bianche e rosse nel 1919, con Lenin come primo ministro e lo zar ripristinato al potere.
Pertanto, qualsiasi concessione venga imposta all’Ucraina dovrà essere politicamente e praticamente in grado di essere attuata, oltre che, naturalmente, accettabile per l’opinione pubblica russa, il che potrebbe essere una differenza difficile da dividere. (Il fatto che l’Occidente avrà poca o nessuna influenza su queste condizioni è in realtà una cosa positiva). Si dovrà tollerare un po’ di disordine: ci saranno sporadici atti di violenza e persino di terrorismo, si scopriranno depositi di armi nascosti e unità militari illegali. Ma, in ultima analisi, la stabilità è l’unica cosa che potrà preservare l’Ucraina come entità politica di qualsiasi tipo e darle una speranza per il futuro, e qualsiasi governo ucraino sano di mente, per quanto risenta e tema la Russia, dovrà arrivare a riconoscerlo.
Quindi, senza pretendere di discutere dottamente di un futuro che nessuno può ancora prevedere, la logica suggerisce che entrambe le parti hanno interesse a richieste che non siano impossibilmente difficili da soddisfare. Dal punto di vista russo, mentre i risultati devono sembrare degni del sangue e dei sacrifici coinvolti, non ha senso forzare accordi così dettagliati e complessi da costringere un numero enorme di truppe russe a stazionare nel Paese per anni, nel tentativo di assicurarne l’applicazione.
Allo stesso modo, non ha senso imporre all’Ucraina promesse che potrebbe non essere in grado di mantenere. Questo, a mio avviso, è stato il principale punto debole del quasi-accordo emerso nell’aprile 2022, che sembra aver effettivamente comportato la fine delle ostilità e il ritiro di gran parte dell’esercito russo, in cambio di impegni politici, tra cui l’adesione alla NATO. Il problema degli impegni politici è che possono essere annullati o addirittura non attuati, come la storia dimostra abbondantemente. I governi possono denunciare i trattati, e lo fanno di continuo: molti trattati contengono infatti disposizioni specifiche su come farlo. Chiaramente, un articolo del trattato che promette di non aderire mai alla NATO sarebbe di per sé privo di significato. Allo stesso modo, un impegno a rimuovere i nazionalisti dalle posizioni di potere avrebbe potuto essere effettivamente rispettato, ma avrebbe sempre potuto essere revocato in seguito. Per questo motivo, i russi sarebbero stati molto riluttanti a smobilitare e ritirare le loro truppe, e questa riluttanza avrebbe a sua volta minato la posizione politica del governo di Kiev.
Si torna al punto in cui dicevo che gli accordi riflettono la realtà, non la creano. Nell’aprile del 2022, la promessa di massicci aiuti occidentali, unita all’opinione universale che l’economia e lo sforzo militare russo non potessero durare ancora a lungo, rendeva la decisione di Kiev di continuare a combattere del tutto razionale, basata su ciò che si sapeva e si credeva in quel momento. Qualsiasi accordo sarebbe stato, da parte ucraina, aperto alle accuse di resa quando la vittoria era una possibilità. (Forse non sapremo mai cosa ha detto esattamente Boris Johnson, ma nelle circostanze non è certo che sia stato decisivo).
Ora, ovviamente, la situazione è totalmente cambiata. Per esempio, a parte il puro simbolismo, l’Ucraina non ha alcun vantaggio nell’essere un membro della NATO, ma molti svantaggi. Sarebbe soggetta a pressioni politiche da parte dei suoi alleati su vari argomenti, si troverebbe a firmare comunicati e a partecipare a esercitazioni che infastidirebbero i russi, e soprattutto si identificherebbe con un’alleanza che non solo non ha facilitato la vittoria promessa, ma ha portato il Paese a una cocente sconfitta. Il realismo politico suggerisce, piuttosto, che l’Ucraina dovrebbe tranquillamente rinunciare all’idea di entrare nella NATO e concentrarsi sulla costruzione di un rapporto cautamente stabile con la Russia. Come spesso accade, non si tratterebbe di una relazione basata sull’affetto o sul calore, ma su un freddo calcolo politico. Alla fine, l’Occidente non ha nulla da offrire all’Ucraina, mentre la Russia ha una serie di bastoni e carote da usare.
Questo tipo di relazione rende secondaria l’esatta collocazione dei confini e l’esatta estensione del controllo formale russo. Se esistono le giuste relazioni politiche, queste cose possono essere gestite, più o meno. In caso contrario, anche il più elaborato schema di delimitazione e monitoraggio fallirà. Significa anche che alcune persone rimarranno deluse e grideranno al tradimento quando verranno definiti i dettagli delle frontiere e delle aree di controllo. Il tema delle frontiere e dei popoli è troppo complesso per essere approfondito in questa sede e richiederà un saggio a parte, ma è sufficiente dire che il “diritto dei popoli all’autodeterminazione” porta quasi sempre a conflitti e ingiustizie, perché le persone hanno l’irritante abitudine di non essere distribuite secondo i potenziali confini nazionali. Il più delle volte, l’autodeterminazione di un gruppo va a scapito dell’autodeterminazione di altri, e i gruppi che si autodeterminano con maggior successo tendono a essere i più numerosi. Non vale quindi la pena di cercare confini “equi” o “storici” per l’Ucraina e aree di controllo per la Russia. Anche se si potessero teoricamente trovare, convincerebbero solo una parte e sarebbero praticamente inapplicabili. (D’altra parte, non ha molto senso creare gratuitamente problemi ponendo confini che rischiano di fare danni e causare ulteriori conflitti).
Lo status finale dell’Ucraina sarà quindi il risultato di una combinazione di politica di potere e pragmatismo. Un governo ucraino ragionevole non cercherà di aderire alla NATO o di mantenere stretti rapporti con l’Occidente. Cercherà relazioni economiche strette (anche se probabilmente non calorose) con la Russia e sosterrà tranquillamente Mosca a livello politico. Da parte sua, un governo russo ragionevole dichiarerà presto la vittoria ed eviterà di farsi trascinare in infinite complicazioni burocratiche sul rispetto delle clausole degli allegati agli accordi. Finché la situazione strategica sarà sostanzialmente stabile, i russi probabilmente non si opporranno al tentativo dell’Ucraina di entrare nell’UE: anzi, Mosca potrebbe trarre un po’ di cupo divertimento dalle convulsioni politiche che ne deriverebbero.
Infine, c’è la questione se e come i russi decideranno di affrontare la questione delle future relazioni con l’Occidente. (La difficoltà, evidentemente, è che la sfiducia tra la Russia e l’Occidente è ormai quasi totale (anche in questo caso, poco importa chi gli storici, tra cento anni, decideranno che aveva “ragione”). Di conseguenza, è difficile che la situazione attuale si chiarisca rapidamente. Ci vorrà un po’ di tempo prima che l’Occidente digerisca la sconfitta e probabilmente ci saranno diversi cambi di governo.
L’Occidente probabilmente continuerà per qualche tempo a credere, o almeno a dire, che le discussioni dovranno essere portate avanti secondo la sua agenda e con una serie di precondizioni occidentali. Questa è la naturale conseguenza della classica cattiva gestione della crisi fin dall’inizio. Dopo anni di posizioni sempre più estreme, l’Occidente non può semplicemente scrollare le spalle e dire: “Oh, era allora. Le geremiadi dei leader occidentali, le loro richieste di distruzione totale della Russia e di punizione del suo governo, sono sotto gli occhi di tutti, in tutta la loro furia nociva e sputacchiante. Ora si trovano all’estremità di un ramo molto lungo, senza un’ovvia via di ritorno e con tutte le possibilità di cadere. Poiché c’è stata una competizione informale tra i leader politici occidentali per vedere chi può essere il più rabbioso ed estremo, nessun leader può ora iniziare a sembrare anche solo lontanamente realistico senza scatenare l’ira degli altri. Nessuno vuole essere il primo a far notare che c’è un buco nella fiancata del Titanic, e non c’è nessun politico in Occidente ora al potere che possa anche solo dire plausibilmente “te l’avevo detto”. In ogni caso, data l’intrinseca complessità della situazione e gli interessi selvaggiamente diversi degli Stati occidentali, è difficile persino sapere da dove cominciare, se si vuole sviluppare una politica più realistica.
Ma alla fine la questione potrebbe essere meno complessa di quanto sembri a prima vista, a causa della realtà sul campo. Ciò che di solito accade in questi casi è che, un po’ alla volta, la realtà si insinua nel pensiero e nel discorso politico, che inizia lentamente a colmare il divario con la vita reale. Nel migliore dei casi, questo richiede anni, compromessi strazianti e discussioni violente. Le politiche in genere cambiano quando diventa chiaro che non corrispondono più, non solo alla realtà, ma a qualsiasi direzione plausibile che la realtà potrebbe prendere. Così, dopo aver fatto finta per vent’anni che la capitale della Cina fosse a Taipei, alla fine l’Occidente ha dovuto ammettere che il Partito Comunista Cinese era saldamente in sella e che non aveva più senso fingere che non lo fosse. Allo stesso modo, la maggior parte dei governi occidentali ha finito per riconoscere il governo islamista dell’Iran.
Per lo meno, qualsiasi ripensamento che possa portare a un accordo avverrà in un contesto inequivocabilmente cupo. Nessuna leadership occidentale crede davvero che l’attuale governo di Mosca sarà rovesciato e sostituito da uno più favorevole all’Occidente in tempi ragionevoli: anzi, le stesse azioni occidentali hanno di fatto eliminato questa possibilità. L’Occidente dovrà piuttosto abituarsi a convivere con una Russia arrabbiata, potente e risentita, che non crede di doverle alcun favore. Inoltre, non avrà nulla da minacciare alla Russia e poco da offrire per placare il suo grande vicino. Non bisogna sottovalutare il tempo e il disagio mentale che occorrerà ai leader occidentali per interiorizzare questi fatti, né l’agonia che sarà causata dalla necessità di rispondere a popolazioni arrabbiate che chiedono come i leader nazionali li abbiano portati in questo pasticcio.
Ma la realtà è che l’Occidente è già stato gravemente indebolito, economicamente, politicamente e militarmente dalla crisi. Si è cercato di sostenere che la NATO è “più forte” e “più unita” di prima, ma questo vale solo a livello di gesti e parole. L’acquisizione di nuovi membri ha valore solo se porta qualche vantaggio netto. La NATO si è abilmente dotata di nuovi grandi territori e lunghi confini da proteggere, in un momento in cui non è mai stata così debole militarmente. Allo stesso modo, non ci sono particolari vantaggi nell’avere decine di leader nazionali che vivono tutti uniti nella stessa fantasia collettiva. L’Europa non è mai stata militarmente più debole nella storia moderna, ed è tormentata da crisi politiche ed economiche. Gli Stati Uniti, a loro volta in declino, non hanno più la capacità di influenzare in modo significativo le questioni di sicurezza in Europa e la capacità militare di cui dispongono è di scarsa rilevanza per la situazione del Paese.
Se ci pensate, ironia della sorte, ci siamo già passati. Alla fine degli anni ’40, l’Europa era esausta e in rovina dopo la Seconda Guerra Mondiale. I suoi sistemi politici erano distrutti e le sue economie distrutte. Per accelerare il processo di ricostruzione, gli Stati europei avevano rapidamente smobilitato i loro eserciti e riportato la produzione industriale a scopi di pace. I governi europei andavano e venivano tra crisi politiche ricorrenti, c’era il potenziale ribollente di una guerra civile in Italia e persino in Francia, e una vera e propria guerra civile in Grecia. Nel frattempo, a poche centinaia di chilometri di distanza, l’Armata Rossa era presente in forze e l’intimidazione politica aveva portato al potere governi comunisti in Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia. Sebbene le truppe sovietiche fossero di basso livello e non realmente adatte all’offesa, erano estremamente numerose: come disse il generale Montgomery quando gli fu chiesto come l’Armata Rossa avrebbe potuto avanzare verso Parigi: “A piedi”. In questo stato di collasso nervoso, una classe politica europea che temeva la propria debolezza molto più della forza sovietica, e guidata dagli inglesi, iniziò a chiedersi se la potenza degli Stati Uniti non potesse essere usata per bilanciare in qualche modo il potenziale effetto intimidatorio dell’Unione Sovietica. (Il realismo di questi timori sarà discusso all’infinito dagli storici: l’esistenza del timore, tuttavia, non è in dubbio). Il resto è, più o meno, la storia della Guerra Fredda.
Naturalmente, ci sono anche differenze fondamentali. L’elemento ideologico, pur esistendo, non è dello stesso tipo e della stessa intensità. L’Europa occidentale non è stata devastata dalle lotte e le crisi politiche di oggi, pur essendo abbastanza reali, non sono così gravi come quelle di ottant’anni fa. Le economie europee sono in cattive acque, ma non come lo erano allora. Le élite occidentali sono più unite rispetto ad allora e hanno una maggiore capacità di risolvere le controversie tra le nazioni occidentali. Ma non tutte le differenze sono positive. L’Europa poteva essere in uno stato di collasso morale dopo il 1945, ma la coscrizione era universale, e c’erano milioni di uomini in età da combattimento con esperienza di lotta in riserva, e massicce scorte di equipaggiamento. I governi erano composti per la maggior parte da persone che avevano vissuto la guerra. L’industria si stava modernizzando e, dopo lo shock dello scoppio della guerra di Corea, fu in grado di iniziare a produrre rapidamente equipaggiamenti militari. Gli Stati Uniti, non toccati e anzi rafforzati dalla guerra, mantenevano ancora forze consistenti e disponevano di armi nucleari.
La debolezza dell’Europa di oggi è di altro ordine e, a differenza degli anni Quaranta, non c’è alcuna prospettiva di ricostruire e rafforzare il continente. Sebbene la Russia di oggi non abbia certamente progetti territoriali sull’Europa occidentale, i due attori hanno un rapporto molto peggiore di quello che avevano alla fine degli anni Quaranta, quando almeno di recente erano stati dalla stessa parte, mentre oggi sono quasi nemici. Stalin era cauto e paranoico, e sembra chiaro che si tenne fuori dai conflitti e dalle crisi in Grecia, Francia e Italia non perché fosse un uomo gentile, ma perché non era disposto ad assistere alla vittoria di forze di sinistra che non controllava: una continuazione della sua politica in Spagna. D’altra parte, possiamo essere abbastanza certi che i russi oggi useranno la loro relativa forza contro la relativa debolezza dell’Europa nel tentativo di ottenere ciò che vogliono, e che gli Stati Uniti, questa volta, non sono un attore che può essere invocato per bilanciare la loro superiorità. Così, le élite europee, grazie alla loro incompetenza, sono riuscite a ricreare la stessa situazione che ha spinto alla formazione della NATO nel 1949, solo che questa volta la Russia non è stremata dalla guerra e l’Europa è più debole di quanto sia mai stata. Un’idea intelligente.
Ma cosa potrebbero volere i russi? È importante ancora una volta distinguere tra documenti e realtà. La tendenza russa al legalismo suggerisce che Mosca non può e non vuole permettere che la situazione si evolva senza un qualche tipo di trattato o accordo. Ma – soprattutto in considerazione dell’ormai velenoso livello di sfiducia tra le due parti – un tale documento potrebbe richiedere molto tempo e non aggiungere necessariamente molto. Non è nemmeno chiaro se le due parti abbiano la stessa idea di ciò che dovrebbe essere oggetto dei negoziati. Anzi, non è nemmeno certo che l’Occidente sarebbe una “parte” nei negoziati, perché le varie nazioni sarebbero in contrasto tra loro.
Facciamo quindi un passo indietro rispetto alla burocrazia e chiediamoci quale sia, dal punto di vista russo, la situazione di negoziazione che un tale accordo dovrebbe incarnare. Qui, credo, la risposta è relativamente chiara. I russi vogliono stabilità sul loro fianco occidentale per il prossimo futuro. Ciò va ben oltre la castrazione dell’Ucraina e comprende la fine del dispiegamento di forze avanzate al di fuori del proprio Paese e la fine effettiva di qualsiasi presenza militare americana importante in Europa. Ma si tratta di una serie di obiettivi essenzialmente negativi. L’idea di un Nuovo Ordine di Sicurezza in Europa sulla carta, piuttosto che sul terreno, mi sembra molto ambiziosa, se non addirittura impossibile, perché è improbabile che gli Stati occidentali accettino per molto tempo una formulazione che rifletta effettivamente la debolezza della loro posizione. Da parte loro, mi chiedo quanto siano interessati i russi, dato che la svolta strategica verso l’Europa non sarà rivisitata in meno di una generazione.
Ma forse questo non ha molta importanza. Gran parte di ciò che un Nuovo Ordine di Sicurezza potrebbe realizzare è già in atto. La NATO e l’UE sono irrimediabilmente divise su qualsiasi questione che vada oltre l’odio anti-russo, e lo diventeranno sempre di più. Le forze europee rimarranno deboli e probabilmente diventeranno sempre più deboli. La Russia continuerà ad avere un effettivo monopolio dei missili ipersonici con attacco di precisione e un vantaggio schiacciante nella difesa aerea, oltre a una seria industria della difesa e a grandi forze armate. Gli Stati Uniti non saranno in grado di rafforzare in modo significativo le loro esigue forze di combattimento in Europa. Alla fine, la NATO si limiterà a dichiarazioni, piani d’azione e presentazioni in Powerpoint che, a dire il vero, le competono abbastanza. La situazione sul campo potrebbe essere tale che i russi possono prendere tempo in attesa che l’Occidente si decida a firmare un documento di qualche tipo.
Durante la Guerra Fredda si parlava di “finlandizzazione” come di un rischio per l’Europa. La Finlandia, che dopo tutto aveva combattuto in tandem con la Germania nella Seconda Guerra Mondiale, era obbligata dalla sua storia e dalla sua geografia a condurre un delicato gioco di equilibri tra la neutralità formale e il rispetto per il suo grande vicino. L’idea era che un’Europa intimidita dalla potenza sovietica avrebbe potuto scivolare nella stessa configurazione. Quarant’anni dopo, potremmo essere arrivati esattamente lì. Non ultima tra le tante ironie squisitamente dolorose di questa fantomatica farsa tragica è che l’adesione della Finlandia alla NATO potrebbe essere stata essa stessa, in ultima analisi, un passo importante verso la finlandizzazione della NATO stessa.
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Gli eventi si sono accelerati oggi in Ucraina e altrove.
Oggi Zelensky ha deciso di lanciare quello che alcuni commentatori russi definiscono il più grande assalto terrestre in territorio russo dell’intera SMO. Ciò che lo distingueva dai precedenti raid di medio livello nella regione di Belgorod e simili, è che questa volta non si trattava del gruppo paramilitare “Legione Russa” – composto da russi traditori scontenti – ma piuttosto dell’intera forza dell’AFU stessa, attraverso il 22° Ponte Meccanizzato, da quanto ho visto finora. I dettagli stanno ancora arrivando, ma si dice che la forza sia stata di circa 3 battaglioni o 1 brigata, anche se alcuni riferiscono di diverse centinaia di truppe per ora.
L’attacco è stato decentemente ben coordinato e ha utilizzato l’intera gamma di armi combinate, con le forze ucraine che hanno condotto un attacco di massa con droni FPV e che hanno messo in campo difese aeree mobili per coprire l’avanzamento. Una di queste, un Buk-M1, è stata colpita da munizioni a grappolo russe, probabilmente dai Tornado-S GMLRS:
Inizialmente è stato riferito che si trattava di due Buk, ma in realtà sembra che il video mostri lo stesso che viene colpito due volte e poi finito.
Gli Iskanders erano in gioco, colpendo intere colonne di blindati leggeri ucraini:
Mentre i Lancet e altre munizioni li stavano finendo, con potenzialmente un paio di dozzine o più di veicoli AFU distrutti, tra cui alcuni carri armati, Stryker e altri MRAPS leggeri:
Un drone russo ha individuato alcuni veicoli dell’AFU in un bosco nell’oblast di Kursk e si è deciso che un missile Iskander era il modo migliore per fargliela pagare. Tutti i militanti che si trovavano nelle vicinanze dell’esplosione saranno stati uccisi o feriti.
Un bilancio avrebbe contato decine di veicoli distrutti:
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Uno dei cimiteri di veicoli geolocalizzati:
Le mappe di calore FIRMS della NASA:
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Come si può vedere, il raid si è spinto a circa 6 km dal confine.
Lo sfondamento nella regione di Kursk è stato il primo utilizzo di massa dei veicoli corazzati Stryker delle forze armate ucraine.
Il nemico aveva precedentemente salvato e nascosto tali veicoli nelle brigate che coprivano Kiev da nord, al confine con la Bielorussia. Anche se diversi “Stryker” sono stati bruciati durante le loro rare apparizioni in prima linea.
Ma oggi le forze armate ucraine hanno apparentemente deciso di fare il passo più lungo della gamba. Hanno srotolato due dozzine di veicoli, fornito copertura con carri armati e droni FPV e si sono precipitati con quasi un intero battaglione su Stryker gommati lungo l’autostrada Rylsk-Sudzha, nella speranza di arrivare da qualche parte. Il calcolo è semplice: l’M1128 può accelerare fino a 121 km/h in autostrada. Nella foto, tra l’altro, uno Stryker con una rete di mine per superare le barriere di confine.
Ma nei pressi del villaggio di Nizhniy Klin (a 5-6 chilometri dal confine) la colonna delle Forze armate ucraine è caduta in un’imboscata ed è stata distrutta. La maggior parte dei veicoli blindati è stata lasciata bruciare dopo i colpi di artiglieria e di aria. I resti dell’esercito ucraino potrebbero nascondersi nelle foreste vicino al confine.
Nel frattempo, nei villaggi vicini, sul versante ucraino, si sta registrando un accumulo di forze – apparentemente per cercare di colpire una seconda volta.
Notizie ANNA
Anche i Su-25 russi sono scesi in picchiata in risposta sulle autostrade della regione di Kursk, dove si trovano i veicoli distrutti dai droni ucraini:
Tuttavia, non sono mancate le perdite per la parte russa, poiché un Ka-52 è stato colpito dalla difesa aerea, così come un altro elicottero, non ancora determinato, forse un Mi-8. Inoltre, due carri armati russi T-62M trasportati su HETS sono stati abbattuti dagli FPV avanzati. Sono stati catturati anche diversi soldati russi di frontiera.
Abbattuto un Ka-52, anche se i piloti sarebbero sopravvissuti.
Queste perdite hanno fatto sì che alcuni filo-russi andassero in crisi, sostenendo che la Russia fosse impreparata e dando la colpa al Ministero della Difesa. In realtà, per quanto posso dire, la Russia sapeva molto bene in anticipo di questo assalto. Non solo ci sono stati scontri transfrontalieri di recente, ma è stato notato che un gran numero di truppe ucraine si stavano accumulando a Sumy da parte di osservatori, come il commentatore filo-russo “Masno”, che vive nella regione di Sumy e ha notato l’accumulo fino a una settimana fa.
Inoltre, per coloro che hanno letto il mio ultimo articolo a pagamento di ieri sera, noterete che ho fatto riferimento a una voce secondo cui Zelensky potrebbe lanciare un attacco di depistaggio a nord prima del vero vettore a sud, verso Energodar – anche se questa voce aveva parlato di Kharkov, piuttosto che di Sumy nello specifico. Dall’articolo di ieri:
Naturalmente, questo non era previsto prima di circa 2 mesi, ma l’attuale violazione potrebbe essere solo un test o un precursore di qualche tipo.
Il canale Rezident UA sembra supportare questa teoria:
#Inside
La nostra fonte nello Stato Maggiore ha detto che l’attacco delle Forze Armate dell’Ucraina alla regione di Kursk è stato organizzato come una manovra di distrazione per preparare una controffensiva alla centrale nucleare di Zaporizhzhya.La seconda fase sarà un colpo alle posizioni russe nella direzione di Belgorod per costringere il nemico a trasferire le riserve per mantenere le posizioni e solo allora seguirà l’operazione offensiva principale.
E le fonti russe sono che indicano che quello che abbiamo visto finora oggi potrebbe essere solo l’antipasto, poiché le forze ucraine stanno ritirando altre riserve e si dice che domani raddoppieranno l’attacco.
Un rapporto di conferma:
Siamo attualmente in contatto con coloro che sono direttamente coinvolti nei combattimenti al confine con la regione di Kursk. Dicono che le creste stanno conducendo un’operazione di armi combinate su larga scala. Non si stanno ritirando, ma stanno solo organizzando le truppe per continuare l’attacco e trasferendo nuove riserve. Il nostro Mi-8 è stato abbattuto, ma l’equipaggio è riuscito ad atterrare e a sopravvivere. Ritengono che quanto accaduto oggi sia solo una ricognizione in forze, e che le battaglie principali siano ancora in corso.
Da dove prendono queste forze, se l’Ucraina dovrebbe essere così a corto di uomini? È difficile dirlo perché non conosciamo ancora tutti i dettagli, ma da poche centinaia a un migliaio di uomini non sono poi così tanti per un’operazione secondaria disperata. Inoltre, alcuni, come Apti Alaudinov, affermano che questo è l’ultimo urrà dell’Ucraina, e che dopo questa operazione saranno spacciati. Non credo che sia così, ma staremo a vedere.
Inoltre, un nuovo articolo della rivista tedesca Tagesspiegel sembra avere la risposta:
Secondo loro, l’Ucraina si limita a inviare tutte le nuove reclute alle brigate di nuova costruzione, invece di rifornire le brigate sul fronte, che stanno perdendo drasticamente uomini. Sintesi:
L’Ucraina ha affrontato problemi critici sul – fronte, ovvero stanchezza militare, perdite tra il personale qualificato, mancanza di munizioni e veicoli blindati, nonché vulnerabilità agli attacchi delle bombe di pianificazione russe. Lo ha dichiarato l’esperto militare tedesco dell’European Council on Foreign Relations, Gustav Gressel.
Kiev invia i soldati mobilitati a nuove brigate invece di rimpolpare quelle esistenti, cita il quotidiano Der tagesspiegel. Di conseguenza, “i combattenti esausti nelle unità assottigliate al fronte non vedono rinforzi”, e le nuove brigate hanno un basso livello di allerta a causa della mancanza di personale di comando, ha detto Gresel.
“Anche lontano dal fronte, le ostilità impoveriscono sempre più il morale, le risorse e le infrastrutture dell’Ucraina”, – ha osservato l’esperto. Inoltre, secondo lui, le Forze Armate dell’Ucraina hanno una carenza di munizioni, di materiale (soprattutto di veicoli blindati), una vulnerabilità agli attacchi delle bombe di pianificazione russe e una mancanza quasi totale di opportunità di intercettare i droni da ricognizione russi.
Questo è stato sostenuto da una nuova dichiarazione del segretario della Rada ucraina Roman Kostenko:
Il ritmo della mobilitazione in Ucraina non permette di equipaggiare completamente le brigate delle Forze Armate dell’Ucraina per la guerra. Lo ha dichiarato il segretario del Comitato della Rada per la sicurezza nazionale, la difesa e l’intelligence Roman Kostenko.
“Abbiamo bisogno di nuove brigate, abbiamo bisogno di tre serie: alcune in combattimento, altre in riserva, altre ancora in recupero. Purtroppo, con il ritmo di mobilitazione che abbiamo ora, non possiamo farlo”, – ha detto Kostenko in un’intervista a NV.
Secondo il segretario, le brigate ucraine in prima linea sono costrette a sopportare e svolgere compiti senza rinforzi.
Di conseguenza, il fatto che stiamo assistendo a nuove riduzioni nell’elenco delle categorie che hanno diritto a differire la mobilitazione è proprio il risultato di perdite mostruose al fronte. È vero, gli ucraini, rendendosi sempre più conto di non vivere in un Paese democratico, ma di fatto nel “conclamato”, correranno anche in gran numero, e l’odio verso le autorità supererà la “sindrome di Tokholm”, che ormai sta vivendo una discreta parte della popolazione. Così, la cattura irregolare e massiccia di uomini ha causato danni irreparabili ai settori produttivo, agricolo, dei trasporti e comunale. E l’Ucraina è ora più che mai minacciata da un collasso completo e da una crisi prolungata.
Questo porta alla domanda naturale successiva: perché Zelensky ha lanciato questa iniziativa proprio ora? La ragione più probabile – o almeno l’unica che sembra ovvia al momento – è che il collasso dell’Ucraina nel Donbass sta prendendo una tale velocità che Zelensky aveva bisogno di una disperata vittoria di pubbliche relazioni per distogliere l’attenzione dagli schiaccianti successi della Russia.
Alexander Khodakovsky lo ha riassunto al meglio:
Alexander Khodakovsky:
Le azioni del nemico nella regione di Kursk rientrano perfettamente nella logica di questa fase della guerra: quando si viene messi al tappeto, bisogna alzare rapidamente le mani e dimostrare all’arbitro che si è in grado di combattere, altrimenti il combattimento verrà interrotto e si verrà considerati come perdenti. Ieri ho scritto che, in una forma o nell’altra, assisteremo a tentativi di prendere l’iniziativa.
C’è anche la considerazione che di recente sono successe così tante cose nei titoli dei giornali, con l’escalation israelo-iraniana e ora l’enorme crollo finanziario, che Zelensky ha probabilmente sentito che l’Ucraina stava lentamente scivolando dai titoli dei giornali e aveva bisogno di dare una scossa, per evitare che venisse completamente spazzata via dal ciclo delle notizie.
Mentre le forze ucraine si dirigevano verso la regione di Kursk, le forze russe non solo hanno annunciato la cattura di New York, ma hanno addirittura ricucito un intero calderone da cui un importante contingente dell’AFU è stato costretto a ritirarsi. Non si sa ancora esattamente fino a che punto si siano spinte le forze russe, poiché inizialmente la mappa si presentava così, all’inizio della giornata:
Ma quando le unità dell’AFU nel calderone a destra hanno iniziato a fuggire, si è detto che era stato chiuso:
E questo dovrebbe avvenire presto:
Quindi, possiamo solo ipotizzare che il collasso in corso stesse iniziando a essere un tale problema per la capacità di Zelensky di mantenere le apparenze per la sua galleria di noccioline, che è stato costretto a cercare di creare una qualche trovata simbolica per la vittoria. Alcuni ritengono che il vero obiettivo di questa offensiva sia quello di colpire a nord-est e “catturare” la centrale nucleare russa di Kursk, che si trova a circa 55 km dal confine ucraino.
Sebbene ciò appaia logico in teoria, sembra troppo irrazionalmente impraticabile date le forze rimaste all’Ucraina, poiché comporterebbe una massiccia rottura delle difese russe. Più realistico, invece, sarebbe forse semplicemente avvicinarsi abbastanza da mettere la centrale sotto i ferri, cioè a portata di artiglieria e di droni. A sostegno di questa tesi, c’è il fatto che durante la violazione in corso, i droni ucraini hanno effettivamente iniziato a colpire Kurchatov, proprio accanto alla centrale, a circa 2 km di distanza.
In rosso è cerchiato Kurchatov, in giallo l’impianto nucleare. È chiaro che l’Ucraina vuole innervosire la Russia e tenerla sotto tiro nel modo più delicato possibile, in particolare prima di qualsiasi negoziato percepito come forzato nel futuro a breve e medio termine.
Sulla situazione nell’Oblast’ di Kursk alla fine del 6 agosto.
1. Il nemico non è stato spinto fuori dalle zone di confine dell’Oblast’ di Kursk entro sera, nonostante le perdite subite.
2. Continuano gli intensi combattimenti nelle zone di confine. L’artiglieria opera attivamente da entrambe le parti.
3. Si nota che il nemico sta ritirando le riserve dalla zona di Shostka. Il nemico cercherà di prendere piede nelle zone di confine.
4. L’attacco in sé è già ovviamente non solo un “raid di gruppi di sabotaggio e ricognizione”, ma un’operazione su larga scala, in cui il nemico sta attualmente utilizzando forze fino a due brigate, che sono coperte da un numero significativo di sistemi di difesa aerea (2 sistemi di difesa aerea sono stati distrutti dai nostri militari durante la giornata).
5. La difesa aerea operava nell’area di Kurchatov. Hanno abbattuto tutto.
Come si legge sopra, le forze ucraine non sono state spinte fuori dal primo insediamento oltre il confine dove si sono trincerate. Prima si sono spinti oltre, poi sono stati respinti, ma secondo le ultime notizie, alcuni sono ancora trincerati a Sverdlikovo:
Quindi, potenzialmente rappresenta ancora un guadagno interessante per l’AFU. Se si dice che questa è la più grande incursione in territorio russo dell’intera SMO, allora significa che, per impostazione predefinita, è la più grande invasione terrestre di territorio russo effettivo dall’Operazione Barbarossa della Seconda Guerra Mondiale. Per quanto sciocco possa sembrare, questo rappresenta comunque una sorta di memoria ancestrale per i russi, in particolare nella regione di Kursk.
Ciò è raddoppiato dal fatto che le forze ucraine, durante le ostilità, hanno attaccato in maniera indiscriminata i civili della regione. Ieri hanno ucciso una donna anziana nel suo appartamento con un drone, in un chiaro caso di omicidio deliberato di civili:
Oggi altri droni hanno colpito un’auto con bambini e un’ambulanza vicino alla regione di Kursk, uccidendo un medico e un altro uomo.
Tutto ciò è ovviamente frutto di una scelta e di un progetto, con l’obiettivo secondario di seminare il malcontento tra la popolazione per destabilizzare l’autorità di Putin.
Molti analisti di spicco della parte filo-ucraina sono tuttavia molto irritati da quello che considerano l’ennesimo di una lunga serie di attacchi insensati che alla fine porteranno a perdite inutili:
Le Forze Armate ucraine si trovano in una situazione molto difficile e rischiano di rimanere senza risorse! – Butusov sulla pericolosa offensiva nella regione di Kursk
Il propagandista ucraino – caporedattore di “Censor.net” Yu. Butusov dubita dell’opportunità di un’offensiva nella regione di Kursk nel contesto della difficile situazione delle Forze armate ucraine in altre parti del fronte.
“Non ho tutte le informazioni, ma se abbiamo iniziato ad attaccare da qualche parte, allora dovremmo sperare che il Quartier Generale del Comandante Supremo in Capo abbia preso le misure necessarie per rafforzare la difesa di Mirnograd, Chasy Yar, Toretsk e New York, città importanti dove attualmente si combatte, con le riserve. Ciò significa che nel prossimo futuro vi si concentreranno le munizioni, si costruiranno linee affidabili, si migliorerà l’uso dei droni e della guerra elettronica”, scrive Butusov, lasciando intendere che nulla di tutto ciò è stato fatto.
Dopo tutto, senza organizzare una difesa permanente nelle direzioni strategiche dell’offensiva delle Forze Armate della RF e senza distruggere la capacità di combattimento dei gruppi d’attacco, “c’è il rischio di esaurire le nostre riserve e poi non avere nulla con cui contrastare nuovi attacchi”.
“Come è successo nel 2023, quando le nostre riserve si sono esaurite, portando alla perdita di Avdiivka”, scrive.
Sembra che siano alcuni degli ultimi rimasti con un po’ di buon senso.
Il più grande di tutti è stato il famigerato David Axe di Forbes, che si è infuriato per l’apparente abbaglio ucraino:
L’ufficiale della riserva ucraina, Tatarigami, ha anche smentito le affermazioni secondo cui l’attacco ucraino a Kursk sarebbe stato un’operazione di aggiustamento come quella che la Russia ha effettuato a Volchansk, per dissanguare le riserve dell’AFU da Pokrovsk. Al contrario, egli afferma che la Russia ha da tempo abbondato di riserve nella regione di Kursk e non avrà bisogno di prenderne altre da nessun altro fronte:
Questo è vero, infatti credo di aver parlato di alcuni dei suoi precedenti rapporti su questo tema specifico, in cui lui e il suo team hanno utilizzato informazioni satellitari e altre informazioni HUMINT per indagare sull’accumulo di riserve russe nella regione generale di Belgorod-Kursk.
Si dà il caso che ci sia anche un gasdotto che attraversa proprio questa regione:
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Un soldato ucraino di nome “Alex” della 53ª Brigata scrive un’affascinante descrizione delle tattiche di assalto russe dalla direzione di New York:
Una migliore traduzione di quanto sopra:
Ufficiale+.
La situazione in direzione di New York – Toretsk dai ragazzi della 53ª Brigata (AFU):
“Gli attacchi sono continui. È tutta fanteria. Non c’è quasi nessun equipaggiamento, si può sorvolare con un drone FPV l’intero battaglione e non trovare nulla. La fanteria fa**a non è facile: carne. Non è carne, non lo so, ma, per esempio, questo è un episodio deludente. Sette fa***otti raggiungono una posizione, ingaggiano un combattimento.
Liberano prima una posizione e poi l’altra, e noi abbiamo 200, 300 e prigionieri. Quei farabutti non avevano nemmeno un ferito. Ve lo dico per farvi capire che non bisogna sottovalutare il nemico.
Quello che sta dicendo è che la nuova tattica di avanzamento russa è costituita da squadre di combattimento su scala così piccola che gli FPV ucraini non riescono letteralmente a trovare alcun bersaglio da colpire.
La Russia ha rinunciato a grandi spinte corazzate in alcune aree, e si limita ad avanzare con 4-7 fanterie alla volta, che si insinuano rapidamente nei tratti di foresta e nelle siepi, scomparendo dalla vista.
Si lamenta del fatto che i russi accumulano un maggior numero di uomini attraverso questo lento flusso di squadre di fuoco, poi, una volta accumulati, saltano nelle trincee e distribuiscono 200 e 300 uomini verso i difensori dell’AFU, senza subire alcuna perdita – una nuda ammissione delle basse perdite della Russia durante molti assalti.
In breve, sono frustrati dal fatto che queste tattiche impediscono alle truppe ucraine di fermare l’avanzata graduale, simile a un boa constrictor.
Prosegue:
La brigata è arrivata quasi pronta a combattere, ma col tempo la brigata si sta riducendo a zero(( E i fa***lo sanno bene, come se stessero aspettando. In breve, stanno combattendo lì ora molto. Hanno trovato un sistema che funziona, e lo stanno usando.È molto difficile per la nostra arte (artiglieria) lavorare. Ci sono sempre 10-15 aquile (ndr: droni Orlan che individuano l’artiglieria per eliminarla) o una camera (ndr: drone Zala) nel settore. Per supportare la fanteria è come giocare alla roulette. Ti coprono con l’FPV o con una controbatteria”.
E’ dura per i ragazzi, ma stanno mantenendo le loro posizioni molto bene, Dicono che se potessero aggiungere un po’ di intelligence a certi comandanti anziani, resisterebbero ancora più a lungo).
Qui sta dicendo che gli Orlan e gli Zala russi sono onnipresenti sopra le loro teste e che non appena l’artiglieria ucraina tenta di lavorare su questi piccoli plotoni, la controbatteria russa li individua; quindi temono che sia molto difficile usare l’artiglieria o i droni.
Questo è l’unico modo per combattere l’attuale overmatch dei FPV sul campo di battaglia: disperdere le forze in gruppi così piccoli da assottigliare efficacemente la capacità dei FPV di attaccare i vostri accumuli di forza lavoro.
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Tra l’altro, l’incursione ucraina è stata accompagnata da una serie di trucchi, tra cui un falso del governatore della regione russa di Kursk, Alexey Smirnov, che recluta uomini per “unirsi a una milizia armata”, con l’obiettivo di diffondere la paura e causare il panico tra la popolazione. Roba da matti.
Guardate i due video, quello falso e quello originale, uno accanto all’altro:
❕ ATTENZIONE ❕
Un falso video del capo della regione di Kursk Alexey Smirnov che recluta uomini per unirsi alla milizia è stato diffuso online.
Il deepfake è stato creato sulla base di un vero video di Smirnov, che è stato pubblicato sul canale ufficiale del capo della regione.
Attenzione, fidatevi solo delle fonti ufficiali di informazione!
Un’ultima parola dall’analista russo Starshe Eddy:
I prossimi giorni e anche un paio di settimane saranno un periodo di combattimenti molto duri sia in direzione di Kursk che di Belgorod. Il nemico ha ammassato grandi forze e la linea di confine dello Stato, o più precisamente la linea del fronte, è molto lunga, quindi è possibile colpire quasi ovunque. .
Ora probabilmente assisteremo a massicci attacchi missilistici su tutto il territorio ucraino, che saranno chiamati sia ad aiutare le nostre truppe a respingere l’offensiva del nemico, distruggendolo nella zona operativo-tattica (attacchi con missili e bombe), sia a colpire le lontane retrovie. Il nemico ha messo insieme non solo uomini e carri armati con veicoli da combattimento blindati, ma ha anche cercato di coprire il più possibile il cielo sopra il gruppo che avanza. Quindi presto vedremo le installazioni Patriot distrutte e, come penso, anche i primi F-16 saranno abbattuti dai nordisti. Semmai il mio post non è dolce come il miele, ma esattamente il contrario. Stiamo affrontando una dura battaglia, ma il suo esito sarà la sconfitta e la distruzione del nemico. Abbiamo sufficiente volontà politica e i militari faranno il loro lavoro, nonostante alcune carenze della fase iniziale. .
Per il primo giorno di battaglia, possiamo dire solo una cosa, che lo sfondamento è stato costoso per il nemico, la prossima notte aggiungerà ancora più perdite. Anche noi stiamo subendo perdite, è stupido negarle, ma aspettiamo qualche giorno e poi cominciamo a fare qualche confronto.
In un’altra notizia dell’ultima ora, in una visita molto chiacchierata, Shoigu è atterrato in Iran, dove i titoli dei giornali hanno dato vita a ogni sorta di speculazione. Il NY Times, in particolare, ha affermato che “fonti” interne hanno dichiarato che l’Iran ha chiesto radar e difesa aerea, e la Russia li ha forniti, come da nostri recenti rapporti che mostrano i voli heavy lift verso Teheran:
Due funzionari iraniani che hanno familiarità con la pianificazione della guerra, uno dei quali membro del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, hanno confermato che l’Iran ha fatto la richiesta e hanno detto che la Russia ha iniziato a consegnare radar avanzati e attrezzature di difesa aerea – rivela Publication, citando funzionari anonimi.
Ricordiamo che Putin ha recentemente promesso agli Stati Uniti che la Russia armerà i nemici degli Stati Uniti in cambio di armi.
In effetti, a questo proposito, è stato piuttosto sorprendente vedere l’ex ministro della Difesa russo con le sue controparti iraniane nello stesso momento in cui lo stato maggiore americano si incontrava con la sua controparte israeliana: il conflitto per procura è in pieno svolgimento:
Inoltre, questo interessante thread sulla visita ha evidenziato alcuni dettagli inediti. In particolare, gli incontri sembravano fortemente orientati verso negoziati per lo scambio di armi, dato che erano presenti sia il responsabile iraniano delle esportazioni di UAV in Russia, sia il responsabile della cooperazione tecnica militare russa: .
Durante l’incontro con Bagheri, tra i principali funzionari russi c’erano il vice di Shoigu, Venediktov, e anche Dmitry Shugaev. Shugaev è direttore del Servizio federale per la cooperazione tecnico-militare, responsabile della cooperazione tecnico-militare tra la Russia e i Paesi stranieri.
La parte iraniana comprendeva il Gen. di Brig. Mehrabi (e Ghoreishi), che era presente anche quando Shoigu visitò l’Iran nel 2023 come Ministro della Difesa. Gli Stati Uniti hanno sanzionato il Brig. Gen. Ghoreishi nel 2023 (mentre ricopriva un’altra carica), accusandolo di aver negoziato l’esportazione di UAV verso la Russia.
Un rapporto sostiene che l’atteso attacco dell’Iran potrebbe essere più grave dell’ultima volta:
Israele valuta che l’asse iraniano possa prendere di mira siti di alto profilo come la Knesset, l’ufficio del Primo Ministro, il quartier generale dell’esercito israeliano, il quartier generale del Mossad e/o le basi di intelligence dell’aeronautica e dell’esercito israeliano; altri potenziali obiettivi includono centrali elettriche, porti marittimi e aeroporti.
Putin è sembrato anche dare una tacita approvazione all’Iran per l’attacco, quando si è limitato a esortare l’Iran a “evitare vittime civili”, che in pratica si traduce in: “Fate il diavolo a quattro, ma mirate a obiettivi legali”.
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Dalla sua successiva tappa in Azerbaigian, Shoigu ha fornito un breve aggiornamento, che ha incluso la sorprendente affermazione che l’Ucraina ha perso 120.000 uomini solo negli ultimi due mesi:
Gerasimov si è anche recato in prima linea per consegnare i premi:
⚡️Chief dello Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa / Primo Vice Ministro della Difesa della Federazione Russa, Generale dell’Esercito️ Valery Gerasimov visita le unità del Gruppo di Forze Tsentr nella zona di operazioni militari speciali .
Durante la visita, il Capo di Stato Maggiore è stato informato sulla situazione nelle aree di responsabilità dai comandanti delle formazioni che svolgono compiti nelle direzioni di Krasnoarmeysk e Aleksandro-Kalinovo. Il generale dell’Esercito Gerasimov ha riassunto i risultati e ha fissato i compiti per le seguenti azioni. .
Inoltre, nel corso dei lavori, il generale dell’Esercito Valery Gerasimov ha consegnato riconoscimenti statali ai militari che hanno dimostrato valore e coraggio durante i compiti di combattimento.
Ed ecco il discorso di Apti sull’incursione dell’AFU di cui si parlava prima:
Un paio di ultimi elementi disparati:
Alcuni ricorderanno che nell’ultimo rapporto ho anche descritto l’enorme quantità di uomini ucraini che ogni giorno fuggono oltre i confini. Ora c’è un nuovo incidente che lo dimostra: oltre 40 giovani ucraini sono stati arrestati dalle guardie di frontiera mentre cercavano di fuggire in Transnistria:
A Stanislavka, nella regione di Odessa, è stato fermato oggi un camion Kamaz con uomini in età da combattimento, che era diretto in Transnistria. I coscritti stavano cercando di evitare di essere inviati sul campo di battaglia. C’erano 42 persone nel camion.
L’aspetto interessante è che i rapporti affermano che l’SBU sta preparando queste trappole intenzionalmente. Utilizzano gruppi online per invogliare gli uomini che vogliono fuggire a unirsi a un gruppo numeroso in un camion, in modo da poterli catturare tutti in una volta sola. Pertanto, agli uomini che vogliono fuggire si consiglia di limitarsi a carovane di 3-4 persone alla volta o meno.
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Il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha finalmente chiarito il grande mistero della cosiddetta “telefonata di emergenza” intercorsa tra il ministro degli Esteri russo Belousov e quello statunitense Lloyd Austin. In breve, ha dichiarato che l’Ucraina stava pianificando di colpire la parata della flottiglia della Giornata della Marina russa a San Pietroburgo la scorsa settimana, la stessa alla quale Putin e Belousov stavano rendendo gli onori, il che può essere letto solo come un potenziale tentativo di assassinio dei due:
Storia completa:
Il vice ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergei Ryabkov ha dichiarato che i servizi speciali ucraini stavano preparando un attacco in Russia in occasione della Giornata della Marina. L’attacco è stato sventato dopo la telefonata di Belousov al Segretario alla Difesa degli Stati Uniti. .
Secondo Ryabkov, l’attacco è stato preparato appositamente il 28 luglio per “infliggere il massimo danno e ottenere il massimo effetto mediatico”. Ryabkov non ha rivelato i dettagli dell’attacco pianificato; nella trasmissione “Russia-1” è stato detto che si trattava di un segreto di Stato. .
Il 12 luglio, il Ministro della Difesa russo Andrei Belousov ha telefonato al Segretario della Difesa statunitense Lloyd Austin, dopo di che il New York Times ha affermato che le parti hanno discusso dell’operazione pianificata dall’Ucraina in Russia. In seguito, gli Stati Uniti avrebbero contattato l’Ucraina invitandola a non effettuare l’operazione se davvero l’aveva pianificata.
Come si può vedere, anche gli Stati Uniti non erano abbastanza suicidi da permettere all’Ucraina di portare avanti un piano così sfacciato, e hanno immediatamente messo fine all’operazione.
Questo ricorda che i servizi segreti russi e la CIA hanno raggiunto accordi prima dell’inizio della guerra su molte “linee rosse”, al fine di portare avanti una sorta di conflitto tra gentiluomini:
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Qualche ultimo video di contrasto:
Per la prima volta, l’Ucraina mostra come i suoi Su-24 lanciano i missili Storm Shadow, con un vecchio filmato di attacco tagliato alla fine per puro effetto:
Nel frattempo, la Russia ha mostrato come i suoi Su-24 lanciano bombe con paracadute ritardato sul Mar Nero per colpire i droni della marina ucraina:
È interessante vedere lo stesso aereo utilizzato contemporaneamente da entrambe le parti.
Infine, la Russia ha anche rilasciato un raro filmato dell’uscita delle sue nuovissime bombe a collisione UMPB D-30SN, una versione più elegante e avanzata delle UMPK dall’aspetto primitivo che siamo abituati a vedere:
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L’assistente presidenziale russo Nikolai Patrushev, che supervisiona la politica marittima nazionale, ha parlato in un’intervista a Rossiyskaya Gazeta delle minacce dell’espansione della NATO nel Mar Nero e degli sforzi di Kiev per tornare nel Mar d’Azov, nonché delle prossime elezioni americane e del nuovo look della Marina russa.
Nikolay Patrushev: l’Ucraina ha perso di fatto e di diritto l’accesso alle acque dell’Azov. / Ivan Egorov
Nikolay Platonovich, che si fa chiamare Presidente Zelensky, ha approvato una nuova strategia di sicurezza marittima per l’Ucraina, che definisce la presenza di forze NATO nel Mar Nero ed esercitazioni e missioni congiunte nel Mar d’Azov e nel Mar Nero. Come può commentare questo fatto?
Nikolai Patrushev: Come lei ha detto, Zelensky, che si fa chiamare Presidente, sta ancora una volta cercando di convincere il popolo ucraino e la comunità internazionale della legittimità delle autorità neonaziste di Kiev firmando tali documenti. Nella strategia adottata, ha fatto dichiarazioni che non corrispondono alla realtà esistente. Di quali missioni ed esercitazioni della Marina ucraina nel Mar d’Azov si può parlare, se attualmente il Mar d’Azov è un mare interno della Federazione Russa, il che significa che l’Ucraina ha effettivamente e legalmente perso l’accesso al Mar d’Azov. Allo stesso tempo, i piani della NATO di stabilire una base navale nel Mar d’Azov e di condurre avventure militari utilizzando la flotta sono stati sventati. Nel tentativo di garantire la presenza delle proprie navi nei porti del Mar d’Azov, la NATO stava cercando di compensare il fallimento dei piani di dieci anni fa, che prevedevano la creazione di una base navale a Sebastopoli e la trasformazione della penisola di Crimea in un luogo di dispiegamento permanente di truppe americane e alleate.
Nota che la cosiddetta “conferenza di pace” in Svizzera ha chiesto la libera navigazione internazionale nel Mar d’Azov.
Nikolai Patrushev: Data la natura aggressiva dei Paesi occidentali che sostengono direttamente il regime di Kiev nel condurre azioni militari e terroristiche contro la Russia, il passaggio senza ostacoli delle loro navi nei porti dell’Azov è al momento fuori questione.
La menzogna è un principio di base di lunga data dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e dei suoi leader, Washington e Londra.
A proposito, nella stessa Svizzera, solo nel 1936 a Montreux, si tenne una conferenza internazionale che adottò la Convenzione che per molti anni determinò il regime di permanenza degli Stati non appartenenti al Mar Nero nel Mar Nero.
Nikolai Patrushev: Kiev preferisce non ricordare questo documento. Washington le vieta semplicemente di farlo. Nel perseguire il proprio obiettivo di militarizzazione su larga scala del Mar Nero, gli Stati Uniti hanno da tempo messo in discussione la Convenzione di Montreux, che regola il passaggio delle navi attraverso gli stretti. La NATO non è soddisfatta del fatto che questo documento, ormai collaudato, dia la priorità alle navi degli Stati litoranei del Mar Nero rispetto agli altri. Va notato che negli anni ’90, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, senza aspettare l’espansione della NATO, gli Stati Uniti hanno iniziato uno sviluppo sistematico delle acque del Mar Nero con navi da guerra dei principali tipi e navi di supporto. In condizioni di restrizioni fissate dalla Convenzione sui termini di permanenza, sulla stazza e su alcune classi di navi, questa attività della Marina statunitense ha richiesto diversi anni. È caratteristico che una delle prime navi ad essere inviate nel Mar Nero sia stata l’allora nuovissima nave di soccorso americana Grapple, progettata, tra l’altro, per addestrare i sommergibilisti e assistere i sottomarini in emergenza. È interessante notare che questo accordo vieta ai sottomarini di Stati non appartenenti al Mar Nero di entrare nel Mar Nero. E ora questa nave visita regolarmente la regione. Di recente ha condotto esercitazioni nelle acque territoriali georgiane.
I Paesi della NATO hanno per qualche motivo iniziato a considerare il Mar Nero “loro”, utilizzando, ad esempio, il territorio della Romania e della Bulgaria per ospitare basi di rifornimento e prendere di mira la Crimea per mano del regime di Kiev.
Nikolai Patrushev: Dopo aver dichiarato all’ultimo vertice della NATO di voler mantenere la libertà di navigazione nel Mar Nero, l’ardente blocco anti-russo ha in realtà dimostrato i suoi ambiziosi piani per costruire la sua presenza militare in questa regione e intensificare il confronto. Nei Paesi del bacino del Mar Nero, gli Stati Uniti intendono stabilire centri logistici per accelerare le consegne di armi all’Ucraina e dispiegare moderne armi a lungo raggio. Con il pretesto di garantire la sicurezza nel Mar Nero, l’alleanza lo ha già inondato di armi che rappresentano un pericolo sia per la Russia che per i Paesi della regione. Lo sminamento indiscriminato delle acque costiere da parte della Marina ucraina controllata dall’Occidente ha portato alla deriva spontanea di mine marine, che minacciano sempre più le imbarcazioni civili. Un pericolo imprevedibile per la navigazione e le infrastrutture costiere è causato anche da imbarcazioni senza equipaggio che perdono la rotta a causa di un errore di navigazione GPS.
L’impressione del vertice NATO di Washington è stata generalmente contraddittoria. Stoltenberg, riassumendo l’evento, ha affermato che l’alleanza rimarrà una struttura regionale. Allo stesso tempo, al vertice è stata prestata molta attenzione alla crescente influenza nella regione Asia-Pacifico e alle consuete dichiarazioni aggressive contro la Russia e la Cina. A chi credere?
Nikolai Patrushev: La menzogna è un principio di base di lunga data dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico e dei suoi leader – Washington e Londra, quindi non ci si può fidare dell’alleanza.
Nel tentativo di smorzare l’attenzione dell’URSS e poi della Russia, in diversi periodi storici la NATO ha promesso al capo dell’URSS Mikhail Gorbaciov negli anni ’80-’90 di non espandersi verso est, ha cercato di essere amica di Boris Eltsin, negli anni 2000 ha parlato della possibilità che la Russia si unisse ai suoi ranghi, e così via. E ora i membri della NATO definiscono apertamente la Russia come la principale minaccia. Definita come una struttura regionale interessata alla stabilità della regione del Nord Atlantico, in realtà è in continua espansione e ora la sua attenzione è rivolta alla regione Asia-Pacifico. Qui, l’alleanza ha designato il Giappone, a lungo controllato da Washington, anche attraverso il dispiegamento di basi militari americane, come suo pilastro principale. Dall’inizio del 2024, il numero di esercitazioni bilaterali tra la marina giapponese e le flotte dei Paesi della NATO e di altri alleati militari statunitensi è stato 30 volte superiore al numero di manovre di addestramento nello stesso periodo dell’anno scorso.
Ma non è solo il Giappone che stanno attivamente trascinando nel loro abbraccio, vero?
Nikolai Patrushev: Non si può ignorare il progetto di rafforzare ulteriormente i cosiddetti “Quattro Indo-Pacifici” (IP4), che comprendono Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. La leadership della NATO ha dichiarato che le attività del Quartetto saranno apparentemente non militari nel settore marittimo e nel cyberspazio. In realtà, il Dipartimento della Difesa statunitense è interessato alla produzione congiunta di armi con questi Paesi, nonché alla manutenzione di navi e aerei della NATO. Le intenzioni di Washington restano quelle di sostenere le mini-alleanze militari esistenti e di crearne di nuove sotto il suo controllo. Ad esempio, la partnership militare con l’Inghilterra e l’Australia, AUKUS, che ha come obiettivo principale la creazione di una flotta di sottomarini nucleari australiani. L’organizzazione sta progressivamente perseguendo una politica di deterrenza contro la Russia e la Cina, anche nel quadro della strategia navale statunitense denominata “Maritime Advantage”. Essa prevede una maggiore integrazione della Marina statunitense con le marine dei suoi satelliti per usare la forza principalmente contro le navi russe e cinesi.
La Marina sarà ulteriormente equipaggiata con armi moderne e nuove navi entro la fine di quest’anno. Foto: Ministero della Difesa russo
La Russia e molti altri Paesi interessati alla stabilità globale hanno ripetutamente richiamato l’attenzione dei leader della NATO sull’inammissibilità e la distruttività di una politica che porta al confronto, alimentando nuove guerre e conflitti militari. Ma la maggior parte dei politici occidentali si sputa negli occhi e dice che questa è la rugiada di Dio.
Potrebbe esserci un cambiamento nella politica estera occidentale dopo le elezioni presidenziali americane? Biden si è ritirato dalla corsa alle presidenziali, il che significa che alla Casa Bianca potrebbe arrivare un politico più pacifico. Secondo voi, chi potrebbe prendere la poltrona di capo degli Stati Uniti? Kamala Harris, Donald Trump o qualcun altro? O cambiare i luoghi dei vertici americani fa sì che la somma non cambi per noi in nessun caso?”.
Nikolai Patrushev: Vediamo i cambiamenti nel processo elettorale negli Stati Uniti. Per noi è importante che sia Washington ad avere un’influenza decisiva sul comportamento del regime ucraino. Anche il modo in cui gli Stati Uniti continueranno a influenzare il regime è di grande importanza. Le elezioni presidenziali americane sono una questione interna per gli Stati Uniti. Gli elettori americani decideranno da soli chi ritengono sia una figura degna di guidare il loro Paese. La Russia non interferisce nella vita politica interna di altri Stati. A differenza della stessa Washington, che considera l’ingerenza negli affari interni di altri Paesi come un elemento abituale della sua politica estera.
Al tempo stesso, gli Stati Uniti e i loro alleati si coprono di slogan sulla promozione della democrazia e di una sorta di “ordine mondiale basato sulle regole”.
Nikolai Patrushev: I politici occidentali ripetono la parola “democrazia”, ignorandone il significato lessicale. È stata trasformata a tal punto che, sotto la bandiera della democrazia, i Paesi della NATO provocano conflitti militari distruttivi in tutto il mondo e mostrano la loro palese natura aggressiva definendosi un’organizzazione di difesa. Continuando ad aumentare audacemente il numero di basi navali al di fuori dei loro territori, i Paesi della NATO cercano di limitare gli interessi nazionali degli Stati sovrani e di trasformare gli oceani in una sfera di loro controllo e influenza.
I leader occidentali, nascondendosi dietro il paravento della democrazia, perseguono in realtà una politica fascista. Demoliscono i monumenti ai vincitori del fascismo, falsificano la storia, sbianchettano i criminali nazisti e applaudono il nazista Gunko nel parlamento canadese. Non ammettono opinioni diverse da quelle approvate a Washington e Bruxelles, criticando, ad esempio, la missione di pace della presidenza ungherese dell’Unione Europea. Oggi i “democratici” occidentali, cercando di sconfiggere strategicamente la Russia, stanno aumentando l’assistenza finanziaria e tecnica al regime neonazista di Kiev. Di fatto, stanno cercando di fare ciò che il fascismo hitleriano, alimentato negli anni ’30 del secolo scorso con i fondi delle grandi imprese anglosassoni, che, per inciso, esistono ancora oggi, non è riuscito a fare. Giocando con il fuoco, ignorano i fatti storici dell’inevitabile fallimento dei tentativi di aggressione alla Russia.
A questo proposito, la dura presa di posizione di Vladimir Putin, espressa in occasione di un incontro a giugno sullo sviluppo della cantieristica per garantire la difesa e la sicurezza dello Stato, è del tutto comprensibile. A quanto mi risulta, non si è parlato solo di problemi e minacce per la flotta russa, ma anche di modi specifici per risolverli?”.
Nikolai Patrushev: In effetti, la prossima fase dello sviluppo della Marina è alle porte. Lo Stato deve garantire la qualità della nostra flotta, che ci permetterà di essere all’avanguardia rispetto alle capacità tecniche di altri Paesi marittimi.
La Russia, essendo una grande potenza marittima, deve avere una potente marina militare, che comprenderà navi progettate per svolgere compiti nelle zone di mare vicino e lontano e nelle aree oceaniche, oltre a disporre di un sistema sviluppato di basi e di supporto.
A seguito dei risultati dell’incontro, il Presidente ha stabilito compiti su larga scala per l’industria, al fine di organizzare la costruzione di navi in serie. Allo stesso tempo, è stato posto l’accento sulla necessità di garantire un finanziamento tempestivo della costruzione navale. Il Capo dello Stato ha delineato le direttrici per lo sviluppo di sistemi e campioni avanzati di armi, equipaggiamenti militari e speciali, compresi i sistemi robotici marini e le tecnologie per contrastare le navi senza equipaggio. Alcune delle istruzioni del Presidente riguardano il rafforzamento del potenziale delle risorse umane dell’industria, anche attraverso la revisione del livello di retribuzione dei principali addetti alla produzione, degli ingegneri, dei tecnici e di altre categorie di dipendenti. Particolare attenzione è rivolta alla scienza russa, dalla quale lo Stato si aspetta modi innovativi per migliorare la flotta, incrementare il lavoro di ricerca e sviluppo nell’interesse della Marina. È importante raggiungere l’indipendenza tecnologica nella produzione di apparecchiature di bordo e di componenti elettronici.
Il passaggio senza ostacoli delle navi occidentali ai porti d’Azov del mare interno russo è attualmente fuori questione.
Questo nel lungo periodo. E cosa attende i marinai militari nel prossimo futuro, ad esempio quest’anno?
Nikolai Patrushev: In tutto il Paese si stanno sviluppando attivamente impianti di produzione navale ad alta tecnologia e i cantieri navali stanno ricevendo ulteriori ordini governativi. Entro la fine di quest’anno, la marina sarà ulteriormente equipaggiata con armi moderne e nuove navi.
La nave di salvataggio statunitense “Grapple” visita regolarmente il Mar Nero, destinata, tra l’altro, ad addestrare i sommergibilisti.Foto: Ministero della Difesa russo
Domenica prossima la Russia celebrerà la Giornata della Marina. Cosa augura ai marinai militari?
Nikolai Patrushev: Innanzitutto, vorrei sottolineare che la Giornata della Marina è considerata una delle feste più significative nella vita del nostro Stato. La spina dorsale della capacità di difesa del Paese, della sua libertà e della sua sovranità è costituita dalla forza della Marina, dalla professionalità, dall’eroismo e dal coraggio di tutti coloro che presidiano le frontiere del mare. Auguro di cuore ai marinai militari e ai dipendenti delle imprese da cui dipende la prontezza di combattimento della flotta russa buona salute, prosperità e nuovi successi per la gloria della nostra Madrepatria!
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Cina: dove Giorgia Meloni si trovava per la sua prima visita ufficiale da quando è diventata Presidente del Consiglio.
Un viaggio carico di significati, che arriva dopo l’abbandono della tanto discussa Via della Seta.
Ma non illudiamoci: questo non è un ritorno al passato, bensì un tentativo di riscrivere le regole del gioco. Nulla è scontato in geopolitica.
Meloni porta con sé una delegazione d’imprenditori italiani, rappresentanti di quelle oltre 1.600 aziende che in Cina hanno piantato radici. Un esercito economico che ora chiede nuove garanzie, nuovi spazi di manovra. E la premier lo sa bene, il Paese passa da questi asset. Italia che quest’anno cresce ancora più di Francia e Germania e soprattutto a livello di export surclassa Parigi e Berlino.
Il suo obiettivo dichiarato? Rilanciare quel partenariato strategico globale voluto da Berlusconi nel lontano 2004. Una mossa astuta e complessa, che mira a compensare la fine della Via della Seta senza perdere la faccia. Ma attenzione: questo non è un gioco per principianti.
I numeri parlano chiaro, e sono impietosi. Gli investimenti cinesi in Italia sono circa un terzo di quelli italiani in Cina. Un divario che grida vendetta, che Meloni stessa ha definito come qualcosa da “colmare nel modo giusto”. Ma quale sarebbe questo modo giusto?
La risposta sembra essere il nuovo Piano triennale d’Azione, firmato durante questa visita.
Un documento che tocca punti cruciali: – Investimenti – Tutela della proprietà intellettuale e delle indicazioni geografiche – Agricoltura e sicurezza alimentare – Ricerca e formazione – Ambiente – Cultura e turismo – Contrasto della criminalità organizzata
Un elenco ambizioso, non c’è che dire. Ma quanto di tutto ciò si tradurrà in azioni concrete? Quanto peserà davvero sulla bilancia dei rapporti Italia-Cina?
Meloni parla di “relazioni commerciali equilibrate e reciprocamente vantaggiose”, di “parità di condizioni” e “concorrenza leale”. Parole nobili, certo, ma che devono essere seguite da un forte campo legislativo, la potenza economica cinese non scherza.
Non dimentichiamo che l’adesione dell’Italia alla Via della Seta, firmata dal governo Conte, fu vista come un tradimento dagli alleati occidentali. Una mossa che non portò i vantaggi sperati: le esportazioni italiane non crebbero come previsto, mentre quelle cinesi in Italia aumentarono notevolmente. Fu un patto al contrario, estremamente deleterio per l’immagine dell’Italia che pago un dazio doppio: porte chiuse o quasi in Occidente, chiuse in Asia (nel patto infatti non erano previste aree di scambio commerciale da far gestire all’Italia, nonostante il nostro Paese sia, ad esempio, molto presente nelle Filippine).
Ora Meloni si trova a dover ricucire queste relazioni incrinate, a dover trovare un nuovo equilibrio. Da una parte, deve proteggere gli interessi delle aziende italiane in Cina. Dall’altra, deve rassicurare l’Occidente sulla distanza dell’Italia da Pechino, in un momento in cui la diffidenza verso i prodotti cinesi è alle stelle.
Il premier cinese Li Qiang parla ancora dello “spirito della Via della Seta”. Ma quale spirito? Quello di un’espansione economica che rischia di trasformarsi in egemonia?
Il nuovo piano triennale toccherà diversi aspetti dei rapporti economici e politici tra Italia e Cina. Si parla di investimenti, di tutela della proprietà intellettuale, di agricoltura e sicurezza alimentare. Si menzionano ricerca e formazione, ambiente, cultura e turismo. Persino il contrasto alla criminalità organizzata trova spazio in questo documento.
Ma la domanda rimane: sarà sufficiente? Sarà in grado questo piano di raddrizzare decenni di squilibri? Di garantire davvero quella “parità di condizioni” di cui parla Meloni?
La verità è che ci troviamo di fronte ad una partita complessa, dove ogni mossa può avere conseguenze imprevedibili. L’Italia si muove su un terreno scivoloso, tra la necessità di preservare i propri interessi economici e l’esigenza di non alienarsi gli alleati occidentali.
Meloni può anche parlare di “nuova fase” e di “rilancio della cooperazione”. Ma la realtà è che l’Italia si trova in una posizione di debolezza, costretta a un difficile gioco di equilibrismo diplomatico ed economico, con una deterrenza militare non sufficiente ed una Ue insensibile all’espansionismo economico italiano in Asia. Del resto furono Parigi e Berlino i veri interlocutori di Pechino in Europa.
Solo il tempo ci dirà se questa strategia pagherà. Se il nuovo Piano triennale di Azione sarà davvero in grado di riequilibrare i rapporti tra Italia e Cina, o se rimarrà lettera morta come tanti altri accordi internazionali.
Una cosa è certa: in questo grande scacchiere della geopolitica mondiale, l’Italia rischia ancora una volta di essere più pedina che giocatore. E Giorgia Meloni, che lo voglia o no, si trova ora a dover dimostrare di essere all’altezza di una sfida che va ben oltre i confini nazionali.
“Sono molto contenta di essere qui per il primo viaggio ufficiale di questo governo”, aveva dichiarato Meloni all’inizio della visita, “a dimostrazione della volontà di iniziare una fase nuova, di rilanciare la nostra cooperazione bilaterale nell’anno in cui ricorre il ventesimo anniversario della nostra partnership strategica globale”. Parole che suonavano come un tentativo di voltare pagina, di ridefinire le regole del gioco.
Nel mentre quello che sembra un “Piano Mattei globale” prende forma, l’Italia punta al Sahel (che ad oggi è in mano cinese e russa, forse il vero scopo della visita di Meloni è avere mani libere in Africa) per questioni energetiche e di geostrategia (la Francia è fuori dal 2023). Sahel ed Africa Equatoriale sono a forte trazione russa (Mosca ha fatto imbufalire Macron proprio per averlo estromesso, tanto che ora è in bilico anche il Franco Coloniale) e cinese (soprattutto a livello d’infrastrutture). L’Italia (dopo aver parlato con gli Usa) si è posta in Cina come nazione-ponte tra Brics e Occidente, per parlo però serve avere buoni rapporti con Pechino, che in questo momento sorregge le potenze orientali. Stesso gioco degli Usa, che però non riescono più ad incidere in alcune zone del mondo, in altre si sono ritirati ed in altre ancora “appaltano” terzi.
Il viaggio di Meloni in Cina ha quindi avuto un obiettivo primario ben lontano da quello narrato dai maggiori media: un ruolo di primo piano nell’Africa delle materie prime (che però abbiamo scoperto d’avere anche in Italia). I prossimi mesi risulteranno decisivi, soprattutto dopo l’elezione del nuovo presidente Usa avremo un “effetto farfalla” geopolitico che investirà gli schieramenti in gioco.
di Marco Pugliese
Piano d’azione per il rafforzamento del Partenariato Strategico Globale Cina-Italia (2024-2027)
In occasione del 20° anniversario del Partenariato Strategico
Globale tra Cina e Italia, il 28 luglio, 2024, si è svolto a Pechino
un incontro tra il Primo Ministro della Repubblica Popolare
Cinese Li Qiang e il Presidente del Consiglio dei Ministri della
Repubblica Italiana Giorgia Meloni. Le due parti hanno
concordato che le relazioni Cina-Italia hanno raggiunto negli
ultimi anni importanti risultati di cooperazione e godono di un
positivo momento di sviluppo, testimoniato anche dal successo
dell’incontro tra il Presidente Xi Jinping e il Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni durante il Vertice G20 di Bali nel 2022
e di quello fra i Capi di Governo delle due Nazioni al Vertice G20
di Nuova Delhi nel 2023.
Italia e Cina intendono mantenere lo slancio delle loro
relazioni bilaterali, anche nello spirito della antica Via della Seta
che da millenni, a partire dalle antiche rotte commerciali, incarna
l’apertura al dialogo e la reciproca conoscenza fra civiltà orientale
e occidentale, e promuoverne lo sviluppo ad un livello più elevato,
perseverando nella pace e nella cooperazione. In tale contesto, le
due parti hanno ribadito la volontà di rafforzare la fiducia
reciproca e di mantenere gli scambi di alto livello istituzionale
sulla base del rispetto dei principi della sovranità e dell’integrità
territoriale. Riconfermano l’impegno a prevedere un incontro
annuale tra i due Primi Ministri, con modalità flessibile, e
concordano di attuare il presente Piano d’azione, di rafforzare il
coordinamento delle loro rispettive strategie di sviluppo e di
approfondire la cooperazione in vari campi rafforzando gli
scambi culturali e tra le rispettive società civili e sviluppando
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pienamente il potenziale del Partenariato Strategico Globale.
Le parti esprimono apprezzamento per lo svolgimento del
24mo Vertice Cina-Ue il 7 dicembre 2023, che ha costituito
l’occasione per promuovere la fiducia reciproca, rafforzare la
cooperazione bilaterale e intensificare il coordinamento
multilaterale, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di relazioni
stabili, costruttive, reciprocamente vantaggiose e di portata
globale tra Cina e Ue. Le parti sostengono la prosecuzione e
l’intensificazione dei dialoghi di alto livello Cina-Ue nei settori
strategico, economico-commerciale, ambientale, digitale e dei
rapporti tra le società civili, affrontando congiuntamente, con uno
spirito aperto e collaborativo, sfide globali come il cambiamento
climatico e la transizione energetica, la salute pubblica, la
sicurezza e la pace internazionali e la stabilità. Le parti
continuano inoltre a sostenere il dialogo Ue-Cina in materia di
diritti umani, in uno spirito di reciproco rispetto.
Le parti riconoscono l’importanza che Cina e Ue si
impegnino per rendere le relazioni commerciali bilaterali più
certe, prevedibili, equilibrate e reciprocamente vantaggiose ed a
tal fine intendono continuare a lavorare per assicurare parità di
condizioni per le rispettive aziende.
Le parti ribadiscono altresì l’importanza che l’Ue e la Cina
osservino le regole dell’OMC e i principi di mercato, aderiscano
al commercio libero, alla concorrenza leale, all’apertura e alla
cooperazione, si oppongano al protezionismo e all’unilateralismo,
gestendo gli attriti commerciali attraverso il dialogo e la
consultazione, in conformità ai meccanismi previsti dall’OMC.
Cina e Italia intendono intensificare ulteriormente lo
scambio di vedute e il coordinamento sui temi multilaterali,
nonché promuovere una migliore coesione della comunità
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internazionale per rispondere a tali sfide globali nei fori
appropriati. Si impegnano a valorizzare e sostenere il ruolo di
primo piano svolto dal G20 nel migliorare la governance
economica globale, supportando anche il suo funzionamento
nell’affrontare le sfide globali. Continueranno inoltre a
promuovere un efficace contributo del G20 alla stabilità e alla
fluidità delle catene di approvvigionamento globali, alla ripresa
dell’economia mondiale e alla promozione di una crescita stabile
e sostenibile. Le parti ribadiscono il loro sostegno al ruolo
centrale delle Nazioni Unite nel sistema multilaterale globale,
sulla base del rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite,
riconoscendone altresì il contributo positivo alla promozione
della pace, dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile, e
continueranno a rafforzare la loro collaborazione riguardo alla
riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per
renderlo più democratico, efficiente, trasparente, ed inclusivo. Le
parti sono disposte a rafforzare il coordinamento in tale ambito e
ad assicurare un contributo sostanziale all’attuazione degli
obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030.
Le parti convengono di dare priorità alla cooperazione nei
seguenti settori: 1) commercio e investimenti; 2) finanziario; 3)
innovazione scientifica e tecnologica, istruzione; 4) sviluppo
verde e sostenibile; 5) medico-sanitario; 6) rapporti culturali e
scambi people-to-people.
1. Collaborazione economico-commerciale e investimenti
Sistema commerciale multilaterale. Le parti sostengono
un sistema commerciale multilaterale basato sulle regole, libero,
equo, aperto, trasparente, inclusivo e non discriminatorio, con
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) al suo centro.
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Le parti sostengono il processo di riforma dell’OMC, compreso
il ripristino della piena operatività del meccanismo di risoluzione
delle controversie, il rafforzamento del ruolo deliberativo e il
rilancio della funzione negoziale dell’OMC. Inoltre le parti
ribadiscono la necessità di rafforzare la resilienza e la stabilità
delle catene del valore e di approvvigionamento globali. Le due
parti accolgono i risultati raggiunti in occasione della 13°
conferenza ministeriale dell’OMC, e continueranno a lavorare
insieme al conseguimento di risultati positivi nell’ambito della 14°
conferenza ministeriale dell’Organizzazione. Promuovono una
globalizzazione economica aperta, inclusiva, equilibrata e a
beneficio di tutti, la liberalizzazione e la facilitazione del
commercio e degli investimenti. Le parti si impegnano a
rafforzare le discussioni sull’agevolazione degli investimenti, sul
commercio digitale, nonché sul tema commercio-ambiente.
Promozione commerciale e investimenti. Le parti
concordano sull’importanza di intensificare e riequilibrare gli
scambi commerciali, esplorare il potenziale del commercio
bilaterale e continuare ad incentivare i flussi di investimento nei
due sensi, in un contesto trasparente e a parità di condizioni.
Sottolineano la necessità di rafforzare ulteriormente il ruolo della
Commissione Economica Mista per favorire la cooperazione
imprenditoriale e il dialogo sulle rispettive politiche economiche
nell’ambito di tale meccanismo. Le due parti concordano anche di
valorizzare il ruolo innovativo e complementare del Business
Forum Italia-Cina, volto a fornire una piattaforma per
promuovere gli scambi tra governi e imprese e favorire lo
sviluppo economico e commerciale bilaterale.
Le parti continueranno a sostenere il lavoro del Consiglio
Cinese per la Promozione del Commercio Internazionale
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(CCPIT), dell’Agenzia ICE e dei loro uffici di rappresentanza a
favore della promozione del commercio e degli investimenti, in
conformità con le loro funzioni. Si impegnano a continuare a
discutere in modo costruttivo della questione dello status degli
uffici dell’Agenzia ICE in Cina.
In questo spirito, forniranno il necessario supporto alle
attività svolte in Italia dalla Camera di Commercio Cinese e in
Cina dalla Camera di Commercio Italiana, sostenendo il ruolo
degli enti di promozione del commercio e degli investimenti e
delle associazioni imprenditoriali dei due Paesi nel rafforzamento
del dialogo e della cooperazione, nella prevenzione dei rischi e
nella risoluzione delle controversie.
Le parti annettono inoltre grande rilevanza allo sviluppo
delle fiere internazionali che hanno luogo in Italia e in Cina e
continueranno a promuovere la partecipazione delle proprie
aziende, riconoscendo le manifestazioni fieristiche come un
volano cruciale per l’internazionalizzazione dei rispettivi mercati
e per la promozione dell’interscambio commerciale bilaterale.
Accesso al mercato. Le parti concordano sulla necessità di
garantire reciprocamente un migliore accesso al mercato e
un’effettiva parità di condizioni tra gli operatori economici, e di
promuovere congiuntamente lo sviluppo equilibrato e stabile del
commercio bilaterale, sfruttandone appieno il potenziale. Le parti
continueranno a collaborare per eliminare gradualmente le
barriere non tariffarie che ostacolano indebitamente il commercio
e offrire un ambiente imprenditoriale e di investimento aperto,
equo, trasparente e non discriminatorio affinché le rispettive
imprese possano investire e svolgere attività commerciali.
Concordano inoltre di sfruttare appieno il ruolo del gruppo di
lavoro per la collaborazione sugli investimenti e di approfondire
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la collaborazione tra Cina e Italia sugli investimenti nello
sviluppo verde e in altri settori, lavorando per un maggiore
sviluppo degli investimenti fra i due Paesi, anche attraverso la
discussione di specifici progetti di comune interesse.
Crescita sostenibile. Le parti concordano sull’importanza
di conciliare la crescita e lo sviluppo economico con gli obiettivi
globali della transizione energetica ed ecologica, in linea con gli
ambiziosi impegni assunti da entrambe le Nazioni. Intendono a
tal fine incrementare le collaborazioni nel settore delle energie
rinnovabili e delle tecnologie ad esse associate.
Proprietà intellettuale. Le parti riconoscono che la
proprietà intellettuale svolge un ruolo importante per supportare
la competitività delle imprese e i processi di innovazione,
convengono di rafforzare ulteriormente gli scambi e la
cooperazione in tale ambito, con l’obiettivo di fornire servizi più
efficienti e convenienti per le entità innovative nei due paesi e
assicurare la tutela della proprietà intellettuale per le imprese di
entrambe le parti, con particolare attenzione alle esigenze delle
piccole e medie imprese e delle start-up. In questo spirito, le parti
si impegnano ad avviare un meccanismo di dialogo bilaterale fra
le competenti Autorità sul tema della tutela della proprietà
intellettuale, finalizzato alla condivisione di informazioni sulle
rispettive politiche settoriali e migliori pratiche e alla facilitazione
degli scambi riguardo ad eventuali criticità o problematiche di
particolare rilevanza.
Indicazioni geografiche (IG). Le parti esprimono la
volontà di collaborare ulteriormente nel campo delle indicazioni
geografiche, convenendo di rafforzare lo scambio di informazioni
e la cooperazione nel quadro dell’Accordo sulle Indicazioni
Geografiche tra Cina e Unione Europea. Accolgono con favore
7
l’adozione di due Protocolli d’Intesa volti a rafforzare la
cooperazione per la tutela delle Indicazioni Geografiche e a
facilitare scambi di informazioni, expertise ed eventi congiunti di
promozione in materia.
E-commerce. Nell’ambito dell’e-commerce fra i due Paesi,
le parti concordano di migliorare ulteriormente le capacità delle
piccole e medie imprese di proporsi nelle piattaforme di ecommerce e promuovere i prodotti nazionali assicurando la
necessaria assistenza alla tutela delle indicazioni geografiche e
della proprietà intellettuale. Le parti sono disposte a rafforzare
ulteriormente il dialogo e la cooperazione nella logistica, al fine
di migliorare la qualità e la tempestività del servizio e
promuovere lo sviluppo dell’E-commerce tra i due Paesi.
Agricoltura. Le parti concordano di approfondire la
cooperazione tra i due Paesi in ambito agricolo, anche favorendo
gli scambi di personale, con particolare attenzione al commercio
agroalimentare, allo sviluppo delle aree rurali, alla ricerca e allo
sviluppo tecnologico. Le parti si impegnano a continuare nel
negoziato dei protocolli per l’esportazione di prodotti
agroalimentari con l’obiettivo di favorire l’accesso dei prodotti al
mercato.
Cooperazione sulla sicurezza alimentare. Le parti
intendono rafforzare gli scambi e la cooperazione sulla
regolamentazione della sicurezza alimentare ed esprimono
apprezzamento per la sottoscrizione del Piano d’Azione (2024-
2026) tra l’Amministrazione Statale per la Regolamentazione del
Mercato della Repubblica Popolare Cinese e il Ministero della
Salute della Repubblica Italiana.
Collaborazione nei mercati terzi. Sulla base del
memorandum d’intesa sulla cooperazione nei mercati terzi
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sottoscritto nel 2018, le parti continueranno a offrire sostegno agli
elenchi di progetti prioritari concordati e a supportare le rispettive
aziende che intendono realizzare progetti di cooperazione in Paesi
terzi.
2. Cooperazione economica e settore finanziario
Le parti sostengono lo svolgimento a rotazione del Dialogo
Finanziario tra i Ministri delle Finanze dei due paesi, intendono
approfondire la comunicazione e la cooperazione nei settori della
politica macroeconomica, della governance globale e delle
finanze, continuando ad ampliare le relazioni economiche e
finanziarie sino-italiane.
Le parti condividono l’interesse a sfruttare appieno il
potenziale di cooperazione in materia di investimenti di
portafoglio e ad incoraggiare varie forme di cooperazione, con
particolare riferimento al commercio, all’industria dei servizi e
alla protezione e sviluppo del patrimonio culturale.
Le parti riconoscono l’importanza della Banca Asiatica di
Investimento per le Infrastrutture (AIIB) e delle altre banche
multilaterali di sviluppo nel sostegno agli investimenti in
infrastrutture e connettività e nella promozione di uno sviluppo
sostenibile.
Le parti sono disposte a sostenere la cooperazione e gli
scambi tra gli istituti di credito e di investimento e del relativo
personale. Nel rispetto dei requisiti legali e relativi regolamenti
di vigilanza dei due Paesi, le parti supportano – a condizione di
reciprocità – la creazione di nuove banche e istituti finanziari e
filiali nei rispettivi Paesi e lo svolgimento delle relative attività.
Finanza verde. Le parti esprimono interesse a rafforzare la
cooperazione finanziaria per accelerare la transizione verde,
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facilitare una maggiore aderenza delle rispettive istituzioni
finanziarie ai principi internazionali per la finanza sostenibile, e
promuovere i finanziamenti delle istituzioni finanziarie
internazionali per il contrasto ai cambiamenti climatici e per
ridurre la perdita di biodiversità, nel quadro dei principi
concordati a livello internazionale e nell’ambito della G20
Sustainable Finance Roadmap.
Supervisione dell’audit. Sulla base del rispetto reciproco
della sovranità e delle rispettive leggi e regolamenti interni, le
parti esploreranno la possibilità di negoziare e firmare accordi
bilaterali di cooperazione per la supervisione dell’audit.
Industria. Le parti attribuiscono grande importanza agli
scambi e alla cooperazione nel settore dell’industria e sono
disponibili ad approfondire la cooperazione nei settori di maggior
rilievo per lo sviluppo dell’economia digitale. Esprimono
apprezzamento per la firma del Memorandum d’intesa sulla
cooperazione industriale tra i due Paesi.
3. Innovazione scientifica e tecnologica, istruzione
Le parti sottolineano l’importanza dell’innovazione
scientifica e tecnologica per promuovere lo sviluppo economico
e sociale e valutano con apprezzamento i risultati della
cooperazione bilaterale nel campo dell’innovazione scientifica e
tecnologica, sostengono lo svolgimento con cadenza annuale
della “Settimana Italia-Cina della Scienza, della Tecnologia e
dell’Innovazione”, anche quale occasione per favorire incontri
regolari tra i Ministri competenti per l’innovazione scientifica e
tecnologica.
Concordano sull’opportunità di rafforzare ulteriormente il
ruolo della Commissione mista Cina-Italia per la cooperazione
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scientifica e tecnologica e la cooperazione nella ricerca congiunta
in aree di comune interesse, oltre che sull’importanza di attuare
progetti di formazione superiore congiunti su specifici ambiti
quali ambiente, energia, ricerca polare e sviluppo sostenibile.
Ricerca scientifica. Le parti intendono continuare a creare
condizioni favorevoli per gli scambi di ricercatori in ambito
scientifico e d’istruzione e a facilitare la nascita di nuove
opportunità per la formazione congiunta di talenti di alto livello e
la ricerca scientifica che coinvolgano le rispettive università e gli
istituti di ricerca. Proseguiranno l’attuazione del Programma
esecutivo fra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale e il Ministero della Scienza e Tecnologia cinese, e
della Dichiarazione Congiunta per la cooperazione scientifica e
tecnologica fra il Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale e la National Natural Science
Foundation of China (NSFC). Le parti continueranno a
promuovere la cooperazione per la manifattura avanzata, le
tecnologie aeronautiche verdi e altri settori di comune interesse.
Le parti concordano sull’opportunità di rafforzare la
cooperazione in ambito polare, soprattutto nell’area del Mare di
Ross in Antartide dove è situata la Stazione di Ricerca italiana
“Mario Zucchelli” e la Stazione di Ricerca cinese “Qin Ling”.
Le parti intendono continuare a collaborare, tanto in ambito
bilaterale, quanto a livello multilaterale, nel settore “mari e oceani”
e in quello afferente alla protezione della biodiversità.
Spazio. Le parti riconoscono l’importanza della
cooperazione nel campo spaziale, anche per affrontare sfide
globali quali il cambiamento climatico, la protezione dagli
asteroidi e la gestione dei detriti spaziali, e concordano
sull’importanza di confrontarsi in materia con particolare
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riferimento alla collaborazione in atto tra la China National Space
Administration (CNSA) e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Le
parti riconoscono l’importanza del Memorandum d’Intesa sulla
cooperazione per il monitoraggio elettromagnetico del satellite
CSES-02 in vista del lancio nel 2024, e della cooperazione nella
missione di esplorazione degli asteroidi TianWen 2.
Istruzione e rapporti accademici. Le parti concordano di
continuare a rafforzare gli scambi e la cooperazione nel campo
dell’istruzione e della formazione superiore, universitaria e
artistico-musicale, ed esprimono apprezzamento per la firma del
«Programma esecutivo di collaborazione nell’ambito
dell’istruzione tra il Ministero dell’Istruzione Cinese e il
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
italiano (2024-2027)». Intendono discutere sull’istituzione del
meccanismo di consultazione periodica tra Ministri
dell’Istruzione, incoraggiano le università dei due Paesi ad
organizzare il Forum dei Rettori delle Università Cina-Italia in
Cina e a rafforzare la cooperazione tra le università dei due Paesi
nella coltivazione di talenti, nella co-organizzazione di corsi
universitari e nella ricerca scientifica congiunta. Concordano di
tenere consultazioni periodiche tra esperti sull’istruzione dei due
Paesi. Sostengono inoltre l’ulteriore espansione degli scambi
reciproci di studenti e studiosi e continueranno a promuovere
l’insegnamento della lingua cinese in Italia e della lingua italiana
in Cina, e a discutere l’introduzione futura dell’italiano negli
esami cinesi. Le parti intendono rafforzare ulteriormente la
cooperazione nel campo dell’istruzione professionale, che
consente di formare tecnici specializzati di alto livello.
4. Sviluppo verde e sostenibile
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Le parti ribadiscono la loro volontà di rafforzare la
cooperazione nell’attuazione della «Convenzione Quadro delle
Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici» e dell’«Accordo di
Parigi», riconoscendo gli ambiziosi obiettivi e le importanti
misure concrete già adottate nei rispettivi Paesi.
Le parti esprimono apprezzamento per lo svolgimento del
primo Global Stocktake alla COP28 di Dubai e ribadiscono
l’obiettivo dell’«Accordo di Parigi» di contenere l’aumento della
temperatura globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli
preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento
della temperatura a 1.5°C al di sopra dei livelli pre-industriali,
riconoscendo che ciò possa ridurre significativamente i rischi e
gli impatti dei cambiamenti climatici. Nel contempo sottolineano
l’importanza di intraprendere con urgenza azioni di sostegno per
il raggiungimento di tale scopo. A tal fine, le parti concordano di
lavorare insieme per contribuire agli obiettivi globali identificati
al fine di attuare una transizione energetica che consenta di
superare il ricorso ai combustibili fossili giusta, ordinata ed equa,
con particolare attenzione agli sforzi per triplicare l’energia
rinnovabile installata a livello globale e raddoppiare il tasso
medio annuo a livello globale di miglioramento dell’efficienza
energetica entro il 2030.
Le parti concordano di promuovere la cooperazione in settori
quali le politiche e le tecnologie di protezione ambientale, le
materie prime e le tecnologie per l’energia pulita, l’efficienza
energetica, la risposta ai cambiamenti climatici, la conservazione
della biodiversità, l’economia circolare e il capacity-building, e
intendono promuovere congiuntamente la formazione sinoitaliana nell’ambito della protezione dell’ambiente, del contrasto
al cambiamento climatico, dell’abbattimento delle emissioni di
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gas serra e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione
alle giovani generazioni. Le parti concordano sulla necessità di
continuare ad agire per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030
delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e sono pronte a
cooperare nei relativi settori correlati.
5. Cooperazione medico-sanitaria
Le parti intendono promuovere lo sviluppo di contatti tra gli
istituti di ricerca medica e le organizzazioni professionali
sanitarie dei rispettivi Paesi, nonché a rafforzare gli scambi di
personale e la cooperazione pratica nei settori della prevenzione,
del trattamento e della riabilitazione delle malattie croniche
(come i tumori e le malattie cardiovascolari), della formazione
del personale sanitario, della gestione ospedaliera, della salute
digitale e della telemedicina, della prevenzione e del controllo
delle malattie infettive e della risposta alle emergenze sanitarie,
dell’assistenza sanitaria di base e della medicina generale, nonché
della salute degli anziani.
Le parti intendono rafforzare la cooperazione nell’ambito del
Piano d’azione per la cooperazione sanitaria 2024-2026 e del
“Memorandum di Intesa tra il Ministero della Salute della
Repubblica Italiana e l’Agenzia Italiana del Farmaco e
l’Amministrazione Nazionale dei Prodotti Sanitari della
Repubblica Popolare Cinese sulla collaborazione normativa in
materia di medicinali, dispositivi medici e cosmetici”. Sono
altresì disposte a rafforzare ulteriormente la cooperazione nella
supervisione dei prodotti farmaceutici.
Le parti sostengono il ruolo centrale delle Nazioni Unite e
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella salvaguardia
della salute globale e sono pronte a collaborare per promuovere il
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rafforzamento della governance della salute pubblica globale.
6. Rapporti culturali, scambi people-to-people,
patrimonio culturale e collaborazione nel contrasto a
criminalità e nella gestione delle calamità naturali.
Collaborazione culturale. Le due parti convengono
sull’importanza di rafforzare la cooperazione tra le istituzioni
culturali al fine di promuovere la conoscenza reciproca tra le due
civiltà e lo sviluppo di collaborazioni nella creatività
contemporanea. In occasione del 700° anniversario della morte di
Marco Polo, grande promotore della conoscenza reciproca e del
dialogo tra le civiltà italiana e cinese, le parti rinnovano
l’intenzione di dare ulteriore slancio alle relazioni culturali tra le
due Nazioni, dopo il successo dell’Anno della Cultura e del
Turismo Cina-Italia nel 2022. Concordano di lavorare insieme per
accrescere la cooperazione tra musei, siti archeologici, archivi,
teatri d’opera e orchestre sinfoniche, e per sviluppare i rapporti tra
le rispettive accademie d’arte e scuole di musica.
A tal fine, concordano di firmare al più presto un nuovo
protocollo esecutivo della cooperazione culturale tra i due
Governi, che includa anche il settore dell’editoria. Italia e Cina
collaboreranno inoltre alla realizzazione di eventi culturali che
rendano omaggio alla figura di Marco Polo e al suo ruolo nella
storia delle relazioni bilaterali.
Le due parti continueranno a sostenere il ruolo positivo
svolto dal Forum culturale sino-italiano, quale importante
piattaforma di dialogo e cooperazione tra le rispettive istituzioni
culturali e turistiche.
Le parti riconoscono l’importanza della collaborazione nel
campo del cinema-audiovisivo e favoriranno la diffusione delle
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opere cinematografiche e audiovisive della controparte sul
proprio territorio, la partecipazione di artisti ed operatori del
settore ai rispettivi festival del cinema e la collaborazione tra le
due industrie cinematografiche e audiovisive. Concordano inoltre
di accelerare la negoziazione dell’accordo sulle co-produzioni
cinematografiche.
Tutela del patrimonio culturale. Italia e Cina continueranno
a lavorare insieme per intensificare la cooperazione tra musei,
istituti archeologici e siti di patrimonio e altre istituzioni culturali
e museali. Incoraggeranno la cooperazione nei settori della lotta
al traffico illecito di reperti archeologici e del recupero e
restituzione degli stessi, della loro conservazione e restauro, dei
progetti congiunti e della organizzazione di mostre sui
ritrovamenti archeologici.
Si impegnano a promuovere la collaborazione nella tutela e
conservazione del patrimonio culturale materiale e immateriale,
anche attraverso la condivisione di esperienze nel settore
dell’innovazione tecnologica.
Concordano di sviluppare la collaborazione nell’ambito
dell’educazione, della formazione e della ricerca applicata al
patrimonio culturale, favorendo lo scambio di informazioni ed
esperienze nonché organizzando convegni su temi di comune
interesse.
Gemellaggi. Le parti convengono sull’importanza della piena
attuazione del progetto di gemellaggio tra la Cina e l’Italia sui siti
del patrimonio mondiale dell’UNESCO e sono disposte a
promuovere attivamente i gemellaggi tra i siti del Patrimonio
Mondiale dei due Paesi, dando impulso ai nuovi gemellaggi tra il
Palazzo d’Estate di Pechino e Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli,
in Italia, e tra i Giardini Classici di Suzhou e Venezia e la sua
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laguna.
Turismo. Le parti ribadiscono l’importanza del turismo nel
migliorare la comprensione reciproca tra i due popoli e nel
promuovere la ripresa economica post-pandemia. Concordano di
promuovere la crescita sostenibile di alta qualità dei flussi
turistici tra i due Paesi, anche attraverso l’organizzazione di
iniziative di promozione turistica, e la cooperazione tra gli enti e
le industrie del turismo, continuando anche a lavorare,
nell’ambito dei rispettivi quadri normativi, per migliorare
l’efficienza delle procedure in materia di rilascio dei visti.
Nell’ambito delle iniziative finalizzate al rilancio del
turismo, si impegnano a sostenere le rispettive compagnie aeree
al fine di incrementare ulteriormente i collegamenti aerei diretti,
anche attraverso l’ampliamento dei punti di destinazione nei due
Paesi.
Patenti di guida. Le parti confermano il reciproco interesse
a proseguire il negoziato per un accordo sul riconoscimento
reciproco delle patenti di guida.
Sport. La Cina sostiene l’organizzazione da parte dell’Italia
delle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali di Milano-Cortina
D’Ampezzo del 2026 e le parti sono disposte a cogliere questa
occasione per approfondire ulteriormente la cooperazione nel
settore sportivo. Incoraggiano in questo contesto i rispettivi
dipartimenti ed organizzazioni sportive a rafforzare i contatti e
sviluppare la loro collaborazione, anche nei preparativi per le
Olimpiadi invernali.
Contrasto a criminalità organizzata. Le parti sono
disposte a rafforzare ulteriormente gli scambi e la cooperazione
nei settori della lotta contro le sostanze stupefacenti, le frodi (sia
nelle telecomunicazioni che in rete), i reati economici e finanziari,
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l’immigrazione clandestina e la criminalità organizzata
transnazionale.
Cooperazione sulla gestione delle calamità. Le due parti
intendono rafforzare la cooperazione nei settori della prevenzione
e mitigazione delle catastrofi e del soccorso in caso di emergenza,
nonché lavorare congiuntamente per migliorare le capacità di
gestione delle catastrofi.
7. Comitato Governativo Cina-Italia
Le parti riconfermano l’importanza del lavoro del Comitato
Governativo Cina-Italia, in raccordo con gli altri meccanismi di
collaborazione e coordinamento bilaterale, ai fini della
realizzazione degli obiettivi previsti dal presente Piano d’azione.
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