VITTORIA!!!!, a cura di Giuseppe Germinario

Siamo all’apoteosi!

Lo spegnimento degli altiforni dell’ILVA procede inesorabilmente. Pochi sanno che il loro raffreddamento definitivo può compromettere l’integrità stessa dell’impianto. A giudicare dalla sicumera con la quale Mittal sta procedendo nell’azione legale e alla chiusura dello stabilimento, nel contratto di affitto non sarà stata inserita nemmeno una clausola che obblighi l’affittuario a restituire il bene nella sua piena funzionalità in caso di rinuncia. La ciliegina sulla torta di una serie di atti culminati con la sottoscrizione del contratto di affitto da parte di Renzi, Gentiloni e compagni e completata con la parodia grillina che ha generosamente offerto su un piatto d’argento il miglior pretesto per liquidare definitivamente il problema. Una mistura di connivenze e incompetenze letale. Rimane da chiedersi quale sia stato il supporto professionale dei grand commis di stato a questa tragicommedia. Gli unici ad affermare con spregiudicata sicumera le proprie prerogative sono stati i magistrati i quali, oltre ad attribuire le responsabilità penali e civili sugli antefatti, riescono a dettare dietro le quinte tempi e modi della conduzione futura degli impianti, salvo esporre per le conseguenze al pubblico ludibrio i politici più o meno inetti e consapevoli. Per rimediare parzialmente il danno dovranno andare a Canossa.

Si è cominciato con la liquidazione delle partecipazioni statali, si è proseguito con le cessioni e l’esodo del controllo della grande industria privata (chimica, auto, cavi e pneumatici, elettrodomestici), si sta rinunciando da tempo al prodotto finito; adesso è la volta della migrazione all’estero (Polonia, Repubblica Ceca e ormai anche Francia) della componentistica. Dopo aver addestrato per un paio di anni in Italia tecnici ed operai polacchi e cechi, adesso stanno migrando gli impianti e i macchinari. Cornuti e mazziati. Intanto l’avveniristica FCA (per gli anziani FIAT), la famiglia patriota degli Agnelli di essa proprietaria, hanno già ceduto la Magneti Marelli (batterie) e si accingono a cedere COMAU (automazione industriale). Debora Serracchiani (Partito Democratico)  intanto al di là del tempo continua  a recitare il mantra della “politica che deve assecondare il mercato” Quale? Quello le cui regole e modalità sono stabilite altrove e da altri centri politici?

Il generale Stano, ex comandante appena nominato della base di Nassirya ai tempi dell’attentato, è stato condannato dalla Giustizia Civile a risarcire le famiglie delle vittime dell’attentato. In altri tempi lo Stato avrebbe dovuto risarcire, salvo eventualmente rivalersi nel confronto del proprio funzionario; e in effetti lo ha già fatto. In una situazione di decisione politica, quella di guerra è la più classica delle situazioni discrezionali, il criterio di responsabilità civile diretta del funzionario porta direttamente all’inazione e alla paralisi dell’azione politica. Non è ovviamente un giudizio di merito anche se sono convinto che il generale Stano sia la vittima sacrificale del comportamento poco sportivo dei suoi superiori e dei decisori politici di allora.

Oggettività del mercato e riduzione del politico al diritto sono il binomio che sta portando all’inettitudine e alla paralisi dell’attuale classe dirigente e ceto politico e all’impossibilità di crearne una nuova  ed efficiente sul campo. Crollate le gerarchie e la divisione di competenze rimane lo stillicidio delle contrapposizioni fratricide e delle lotte di potere fini a se stesse.

Tangentopoli da una parte e le dismissioni come salvacondotto nell’Unione Europea in ossequio al mercato sono stati gli strumenti di questo scempio irreparabile e senza fine. E’ l’agonia senza fine di una nazione. Giuseppe Germinario

Qui sotto un articolo di analisi e difesa che tratteggia bene alcuni aspetti

https://www.analisidifesa.it/2019/09/nassirya-se-il-generale-stano-diventa-il-capro-espiatorio-per-i-caduti/?fbclid=IwAR3WR4X9-BJ_RHm4tDVfk7u2oRQ9imVQXSgm8CPy0fPaBkrrjrakJOe1EyQ

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino, di George Soros

Qui sotto un articolo particolarmente significativo apparso su https://www.project-syndicate.org/commentary/open-societies-new-enemies-by-george-soros-2019-11?fbclid=IwAR1u2gIpvkQs4x1TJxdAaGYAVMlgqNB6E3xh0a5daGuvLpHkklSPE8oS-jw Un segnale che la sua battaglia ha incontrato numerosi ed imprevedibili ostacoli, lungi però da scoraggiarlo. Il filantropo appare però un po’ distratto. Segnala i pericoli di manipolazione, di totalitarismo e di controllo sociale. Li vede però esclusivamente nei suoi avversari; tra di essi, con sua somma delusione, la Cina. L’azione di richiamo all’ordine dei GAFA, da lui largamente preannunciata circa tre anni fa, le cui pesanti attività censorie sono ormai talmente evidenti, rientrerebbero invece in una bonaria campagna di rieducazione. Il destino paradossale dei filantropi passa appunto per l’imposizione del bene anche a coloro che non lo vogliono. Gli manca l’ultima fase di questa maturazione psicologica: quella del vittimismo da incompreso. Lo strumento di imposizione del bene comune, il monocratismo imperiale americano, si sta rivelando inadeguato, annaspa e qualcuno, purtroppo, negli stessi Stati Uniti comincia a prenderne atto saggiamente. La veneranda età potrebbe risparmiare a Soros quest’ultima frustrazione. Per l’umanità sarebbe un enorme sollievo._Giuseppe Germinario

 

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino

BERLINO – La caduta del muro di Berlino nella notte dell’8 novembre 1989 ha improvvisamente e drammaticamente accelerato il crollo del comunismo in Europa. La fine delle restrizioni sugli spostamenti tra la Germania dell’est e la Germania dell’ovest ha dato il colpo di grazia alla società chiusa dell’Unione Sovietica. Allo stesso tempo, la caduta del muro ha segnato un punto fondamentale per la crescita delle società aperte.

Dieci anni prima della caduta del muro, fui coinvolto in quella che io definisco la mia filantropía política. Diventai un sostenitore del concetto di società aperta che mi conferì Karl Popper, il mio mentore alla London School of Economics. Popper mi insegnò che la conoscenza perfetta non è realizzabile e che le ideologie totalitarie, che affermano di possedere la verità assoluta, possono prevalere solo attraverso misure repressive. Negli anni ’80, sostenni i dissidenti contro l’impero sovietico e nel 1984 riuscii a creare una Fondazione nella mia nativa Ungheria che garantiva fondi ad attività promosse non da stati monopartitici. L’idea di fondo era che incoraggiando le attività esterne alle formazioni partitiche, i cittadini avrebbero avuto maggiore consapevolezza delle falsità dei dogmi ufficiali e in effetti questo sistema ha funzionato alla meraviglia. Con un budget annuale di 3 milioni di dollari, la Fondazione è diventata più forte del Ministero della Cultura. Da parte mia io sono rimasto affascinato dalla filantropia politica e, con il crollo dell’impero sovietico, ho creato diverse fondazioni in vari paesi. Il mio budget annuale è passato da 3 milioni a 300 milioni di dollari in pochi anni. Era un periodo esaltante in quanto le società aperte erano in ascesa e la cooperazione internazionale era il credo dominante. A trent’anni di distanza la situazione è ben diversa. La cooperazione internazionale ha trovato diversi ostacoli sul suo cammino e il nazionalismo è diventato il nuovo credo dominante. Inoltre, finora il nazionalismo si è rivelato essere ben più potente e distruttivo dell’internazionalismo. Non era tuttavia un risultato prevedibile. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, gli Stati Uniti erano diventati l’unica superpotenza che non è tuttavia riuscita a essere all’altezza delle responsabilità che la sua posizione le aveva conferito. Gli Stati Uniti erano infatti più interessati a godersi i frutti della vittoria della Guerra Fredda e non hanno quindi pensato a dare una mano ai paesi dell’ex blocco sovietico che si trovavano in gravi difficoltà. Pertanto, il paese ha aderito alle prescrizioni delle politiche neoliberali denominate “Washington Consensus”.

    Nello stesso periodo, la Cina si è imbarcata nel suo incredibile viaggio verso la crescita economica facilitato dalla sua adesione all’Organizzazione Mondiale per il Commercio e alle istituzioni finanziarie anche grazie al sostegno degli Stati Uniti. Con il tempo, la Cina ha finito per rimpiazzare l’Unione Sovietica quale potenza rivale degli Stati Uniti.

    In questo contesto, il “Washington Consensus” ha dato per scontato che i mercati finanziari sarebbero stati in grado di correggere i propri eccessi e, in caso contrario, le banche centrali avrebbero gestito eventuali crisi delle istituzioni fondendole per creare delle istituzioni più grandi. Tuttavia queste erano evidentemente false convinzioni come ha poi dimostrato la crisi finanziaria del 2007-08.Il crollo del 2008 ha messo fine alla indiscussa predominanza globale degli Stati Uniti e ha dato una grande spinta al nazionalismo cambiando inoltre in negativo l’atteggiamento nei confronti delle società aperte. La protezione che le società aperte avevano ricevuto dagli Stati Uniti è sempre stata indiretta e a volte insufficiente, ma l’assenza totale del sostegno le ha evidentemente lasciate vulnerabili alla minaccia del nazionalismo.

    Mi ci è voluto del tempo per realizzarlo, ma le prove sono inconfutabili ed è evidente che le società aperte sono state spinte a mettersi sulla difensiva a livello mondiale. Credo che il picco negativo sia stato raggiunto nel 2016 con il referendum sulla Brexit nel Regno Unito e l’elezione del Presidente statunitense Donald Trump, ma il verdetto è ancora incerto.

    La prospettiva delle società aperte è infatti aggravata dallo sviluppo incredibilmente rapido dell’intelligenza artificiale che può produrre strumenti di controllo sociale in grado di sostenere i regimi repressivi e di rappresentare un pericolo letale per le società aperte. Ad esempio, il Presidente cinese Xi Jinping ha iniziato a creare il cosiddetto sistema di credito sociale. Se dovesse riuscire a completarlo, lo stato avrebbe il controllo totale sui suoi cittadini. E’ preoccupante che i cittadini cinesi siano affascinati da questo sistema di credito sociale che, d’altra parte, garantisce loro dei servizi che prima non avevano, promette di perseguire i criminali e offre loro una guida su come stare lontano dai guai. Cosa ancor più preoccupante, la Cina potrebbe vendere il sistema di credito sociale ad aspiranti dittatori a livello mondiale che diventerebbero a loro volta politicamente dipendenti dalla Cina.

    Per fortuna la Cina di Xi ha un tallone di Achille, ovvero dipende dagli Stati Uniti per i microprocessori di cui le aziende 5G, come Huawei e ZTE, hanno bisogno. Purtroppo però, Trump ha dimostrato di voler mettere i suoi interessi personali prima degli interessi nazionali e il 5G non fa eccezione. Sia lui che Xi sono in difficoltà a livello nazionale e, nelle negoziazioni commerciali con Xi, Trump ha messo sul tavolo anche Huawei convertendo i microchip in merce di scambio. Il risultato è imprevedibile in quanto dipende da una serie di decisioni che non sono ancora state prese. Viviamo in tempi rivoluzionari in cui la gamma delle possibilità è ben più ampia del solito e il risultato è ancora più incerto rispetto ai tempi normali. Possiamo solo dipendere dalle nostre convinzioni. Personalmente mi sono impegnato a raggiungere gli obiettivi perseguiti dalle società aperte. Questa è la differenza tra lavorare per una fondazione e cercare di fare soldi in borsa. Traduzione di Marzia Pecorari

    Gli incendi del 4GW stanno bruciando il Messico, di Larry Kummer

    Gli incendi del 4GW stanno bruciando il Messico

    Riepilogo: ho scritto per dieci anni sul deterioramento dello stato messicano e le sue terribili implicazioni per l’America. Mi sono fermato perché troppo poco curato. Quest’anno il declino del Messico ha subito un’accelerazione. La sua gente sta fissando un futuro sanguinoso. Qualunque cosa accada, gli effetti su di noi saranno immensi. Dobbiamo prestare attenzione.

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    ID 43125507 © Agsandrew | Tempo di sognare.

    Messico: una grande vittoria per 4GW

    Di William S. Lind a Traditional Right, 8 novembre 2019.
    Inserito con il suo generoso permesso.

    Un recente evento a Culiacan, in Messico, avrebbe dovuto attirare molta attenzione ma non lo ha fatto: un’entità di quarta generazione, il cartello Sinaloa, ha preso lo stato messicano e lo ha battuto, non solo strategicamente ma tatticamente. Lo ha fatto dimostrando un ciclo OODA notevolmente rapido, molto più veloce di quello dello stato. Questo è un segno di cose a venire, non solo in Messico ma in molti luoghi.

    Il pezzo più percettivo che ho visto in questi eventi è stato nel 20 ottobre Cleveland Plain Dealer , ” La battaglia con le armi che coinvolge il figlio di El Chapo evidenzia le sfide al governo ” di Mary Beth Sheridan del Washington Post. Si afferma …

    “Quello che è successo la scorsa settimana è stato senza precedenti. Quando le autorità messicane hanno cercato di trattenere uno dei figli di El Chapo, centinaia di uomini armati con armi automatiche hanno spazzato la città, sigillando le sue uscite, prendendo in ostaggio i funzionari della sicurezza e combattendo le autorità. Dopo diverse ore, le forze governative assediate rilasciarono Ovidio Guzman, ricercato con l’accusa di traffico di droga da parte della Confederazione americana.

    “L’offensiva a Culiacan. … esponeva uno dei principali problemi del paese: il controllo del governo che scivolava su parti del territorio. Vi è un numero crescente di aree “in cui si ha effettivamente una presenza statale, ma a condizioni negoziate con chi gestisce lo spettacolo localmente”, ha affermato Falko Ernst, analista senior del Messico per l’International Crisis Group.

    “L’attacco di giovedì pomeriggio è arrivato a seguito di numerosi incidenti che hanno messo in luce la capacità dei gruppi criminali organizzati di sfidare il governo. Lunedì, alcuni uomini armati hanno teso un’imboscata a un convoglio della polizia di stato nello stato occidentale di Michoacan, uccidendo 14. Il mese scorso, il cartello nord-est ha ordinato alle stazioni di servizio nella città di confine di Nuevo Laredo di negare il servizio alla polizia o ai veicoli militari, lasciandoli alla disperata ricerca di carburante “.

    Tutto ciò non sta accadendo nel Hindu Kush ma sul nostro confine meridionale immediato. Solo questo avrebbe dovuto attirare una maggiore attenzione da un istituto di difesa fissato sulle non minacce della Russia e della Cina. Ma qui c’è più di quello che sembra.

    Normalmente, quando gli stati combattono forze non statali nella guerra di quarta generazione, lo stato perde strategicamente ma vince tatticamente. Qui, anche le forze non statali hanno vinto tatticamente e hanno vinto alla grande. Erano equipaggiati almeno quanto le forze statali messicane. Ma ciò che è stato davvero impressionante è stata la loro velocità nel Loop OODA. Apparentemente colti di sorpresa dal sequestro statale di uno dei loro leader, furono in grado di rispondere in modo massiccio entro poche ore. Assunsero il controllo completo di una città di circa un milione di persone, isolando e circondando l’unità che aveva catturato Ovidio Guzman. Il presidente del Messico è stato costretto a ordinare il suo rilascio.

    La capacità del cartello di osservare, orientare, decidere e agire molto più rapidamente di quanto lo stato non sia una sorpresa. Anni fa, quando John Boyd era ancora vivo, un mio amico che era un ufficiale della Marina era in Bolivia in missione contro la droga. Gli ho chiesto in che modo l’OODA Loop dello stato boliviano ha confrontato con i trafficanti. Ha detto: “Lo attraversano sei volte nel tempo che ci serve per attraversarlo una volta”. Quando ho detto a Boyd che, ha detto: “Allora non sei nemmeno nel gioco.”

    La velocità superiore delle forze 4GW attraverso l’OODA Loop, a sua volta, ha diverse cause. Stanno combattendo i militari di seconda generazione, in cui il processo decisionale è centralizzato e quindi lento. Gli stati sono entità burocratiche e i burocrati evitano di prendere decisioni e agire perché possono mettere in pericolo la loro carriera. La motivazione delle forze statali è spesso scarsa perché hanno poca lealtà verso gli stati corrotti e incompetenti che servono; soprattutto, per loro è un lavoro che offre uno stipendio. Al contrario, la maggior parte delle forze 4GW non ha burocrazia, decentralizza il processo decisionale perché deve farlo e ha combattenti con vera lealtà a ciò che rappresentano. Perché? Denaro, oltre a ciò che le donne locali citate nell’articolo del PD hanno spiegato …

    “Ha riconosciuto che i membri del cartello facevano parte del tessuto sociale, a volte più efficace nel risolvere i problemi rispetto alle autorità. Ad esempio, se la tua auto viene rubata, è più probabile che la riavresti contattando i membri del cartello tramite un conoscente piuttosto che aspettando che la polizia risolva il caso, ha detto. “

    I cartelli della droga rappresentano il futuro sotto molti aspetti. Non cercano di sostituire lo stato o catturarlo apertamente, il che li renderebbe vulnerabili ad altri stati; piuttosto, si nascondono all’interno delle sue strutture scavate e sono protetti dalla sua sovranità formale. Guadagnano un sacco di soldi mentre gli stati chiedono l’elemosina. Forniscono servizi sociali che lo stato dovrebbe offrire, ma non lo è. Le loro forze altamente motivate con strutture di comando piatte hanno un OODA Loop più veloce di quello dello stato. E a livello locale, spesso appaiono più legittimi dello stato.

    Ancora una volta, tutto ciò sta accadendo proprio accanto. Perché il nostro istituto di sicurezza nazionale non può leggere le parole già scritte sul muro di frontiera di cui abbiamo così disperatamente bisogno? Quelle parole sono “Guerra di quarta generazione”.

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    Postfazione del redattore

    Sono d’accordo con tutto ciò, tranne per un aspetto della conclusione di Lind. Gli obiettivi di individui e organizzazioni contano poco. Gli eventi ci spingono verso futuri inaspettati. La natura detesta i vuoti di ogni tipo, compresi i vuoti del potere politico. I cartelli potrebbero essere felici come criminali di successo, ma la debolezza dello Stato potrebbe costringerli ad espandere il loro potere. Ciò costringerà inevitabilmente un incontro in gabbia con il governo messicano. In tal caso, solo uno può sopravvivere. I leader dei cartelli sanno che è bello essere re.

    Qualunque cosa accada, gli effetti sugli Stati Uniti saranno immensi. La nostra influenza su questi eventi in Messico sarà lieve.

    Domanda: .. “Quale nazione rappresenta la più grande minaccia alla sovranità degli Stati Uniti?”
    Risposta: … “Messico”.
    – Briefing intorno al 1994 di un esperto geopolitico presso la CIA. Erano increduli allora; oggi probabilmente capiscono.

    Circa l’autore

    William S. Lind è direttore dell’American Conservative Center for Public Transportation . Ha conseguito un Master in Storia presso la Princeton University nel 1971. Ha lavorato come assistente legislativo per i servizi armati per il senatore Robert Taft, Jr., dell’Ohio dal 1973 al 1976 e ha ricoperto una posizione simile con il senatore Gary Hart del Colorado dal 1977 al 1986. Guarda la sua biografia su Wikipedia .

    William Lind

    Lind è l’autore del Maneuver Warfare Handbook (1985), coautore con Gary Hart of America Can Win: The Case for Military Reform (1986), e coautore con William H. Marshner di Cultural Conservatism: Toward a New National Agenda (1987). Ancora più importante, è uno dei co-autori di ” Into the Fourth Generation “, l’articolo dell’ottobre 1989 nella rivista Marine Corps Gazette che descrive la guerra di quarta generazione.

    È forse più noto per i suoi articoli sulla lunga guerra, ora pubblicati come On War: The Collected Columns di William S. Lind 2003-2009 . Guarda i suoi altri articoli su una vasta gamma di argomenti …

    1. I suoi post su TraditionalRight .
    2. I suoi articoli sulla geopolitica al The American Conservative .
    3. I suoi articoli sui trasporti al The American Conservative .

    Per maggiori informazioni

    Idee! Per alcune idee di shopping, consulta i miei libri e film consigliati su Amazon .

    Ti preghiamo di noi su Facebook e seguici su Twitter . Vedi anche altri post sul Messico , sulla guerra di quarta generazione (in particolare sulla teoria del 4GW ), e in particolare su questi post …

    1. STRATFOR offre un nuovo modo di pensare al crimine organizzato messicano.
    2. Stratfor esamina l’insurrezione del cartello della droga contro il Messico.
    3. Stratfor: gli imprenditori messicani forniscono il fentanil che l’America vuole!
    4. Trump vuole difendere i nostri confini. Protesta dei democratici.

    Due libri sui cartelli del Messico

    Libri di Ioan Grillo, giornalista di base a Città del Messico. Ha coperto l’America Latina dal 2001 per i principali media. Era affascinato da queste figure che guadagnavano $ 30 miliardi all’anno, erano idolatrate in canzoni popolari e sfuggivano all’esercito messicano e alla DEA. Ha visitato infinite scene di omicidio in strade piene di proiettili, montagne in cui le droghe nascono come bei fiori e criminali sfregiati in celle di prigione e condomini di lusso. Vedi il suo sito web . Vedi le sue colonne sul New York Times .

    La rotonda, crocevia di lotte sociali e politiche. Rassegna di un anno di movimento di “Gilet gialli” di Jacques Sapir

    https://www.les-crises.fr/russeurope-en-exil-le-rond-point-carrefour-des-luttes-sociales-et-politiques-bilan-dun-an-de-mouvement-des-gilets-jaunes-par-jacques-sapir/

    CRISI SOCIALE

    10 novembre.2019 // Le crisi

    [RussEurope-in-Exile] La rotonda, crocevia di lotte sociali e politiche. Rassegna di un anno di movimento di “Gilet gialli” di Jacques Sapir

    Così quasi un anno fa, pochi giorni fa, iniziò quello che era chiamato il movimento Yellow Vest . Questo movimento ha profondamente cambiato il panorama politico in Francia. Ha segnato in modo permanente la nostra immaginazione.

    Questo movimento ha avuto anche conseguenze sulla scena internazionale. Vari movimenti popolari di rivendicazione e protesta hanno afferrato il simbolo del giubbotto. Questo movimento ha dato alla luce vari libri [1] e vari [2] . Alcuni sono stati pubblicati molto (troppo?) Early [3] . I documenti che hanno prodotto sono stati parzialmente modificati [4] . Alcuni, e questo è altrettanto importante, sono stati scritti da portavoce del movimento, come nel caso di François Boulo [5] o di Priscilla Ludosky [6]. Mentre questo movimento, sebbene abbia perso la sua grandezza, sopravvive organizzando eventi regolari ogni sabato, sotto forma di “atti” diversi, è opportuno tornare alle origini di questo movimento, cambiato e ciò che ha portato.

     

    L’origine del movimento

     

    Questo movimento, va ricordato, è iniziato come un rifiuto dell’aumento del prezzo del gasolio. Inizialmente, era la petizione “online” contro questo aumento, la petizione lanciata il 29 maggio 2018 da Priscilla Ludoski, che ha aggregato il movimento. Questo aumento, giustificato dal governo in nome dell’emergenza ecologica, non sembrava importante. Tuttavia, ha innescato le polveri e ha causato la più grande esplosione sociale dagli scioperi del 1995. Il motivo è l’importanza delle “spese limitate” nel bilancio delle famiglie, in particolare le famiglie più modeste . Queste spese, che INSEE chiama anche “spese preimpegnate”, rappresentano ciò che tutte le famiglie devono spendere. Introduce le spese abitative, servizi finanziari e quote di abbonamento per i vari servizi. Queste spese, che rappresentavano il 12,5% del budget di una famiglia media nel 1960, rappresentano ora oltre il 30%[7] .

    Ma molte altre spese sono in realtà vincoli: non si può evitare di mangiare, vestirsi, guarire, trasferirsi al lavoro. Le stime che vengono fatte pongono quindi l’asticella per queste spese preimpegnate più vicine al 60% che al 30%. Aggiungiamo che la proporzione è tanto più forte quanto i redditi sono modesti. Per le famiglie con redditi inferiori al reddito mediano, la percentuale aumenta probabilmente al 70-80%. In effetti, il CREDOC [8]ha stimato nel 2005 che la quota di spese “inevitabili” (che è una definizione più ampia) potrebbe raggiungere l’87% nel 2005. Si noti che non vi è stata alcuna indagine più recente, il che è un peccato. Alla fine, ciò che resta “vivere”, un termine preferito dal Consiglio nazionale delle politiche per combattere la povertà e l’esclusione sociale (CNLE), è in realtà molto disomogeneo secondo le famiglie. Se prendiamo la definizione di CREDOC, nel 2005 è rimasta 80 € al mese al decimo più povero dopo i vincoli di spesa e inevitabile contro 1.474 € al decile più ricco, un rapporto di 18 a 1. E ancora Come osserva il CNLE, il “riposo per vivere” dei più poveri di solito è solo di pochi euro quando non è negativo.

    Priscilla Ludoski , promotore della petizione sul prezzo del carburante

     

    L’aumento delle disuguaglianze dall’elezione di Emmanuel Macron e la reazione delle donne

     

    Un fattore a breve termine potrebbe aver avuto un ruolo: l’aumento della disuguaglianza dall’elezione di Emmanuel Macron. Perché Emmanuel Macron aveva voluto distinguersi dai suoi predecessori. Così ha rapidamente approvato importanti riforme, in materia di diritto del lavoro, che ha parzialmente smantellato, anche in materia fiscale, con l’eliminazione dell’ISF, nei servizi pubblici, infine, con la riforma della SNCF. Due anni e mezzo dopo, questa politica ha peggiorato la povertà e portato a 566 persone a morire per strada nel 2018 rispetto ai 511 del 2017.

    Quando osserviamo gli effetti della politica fiscale ed economica di Emmanuel Macron, è chiaro che i principali vincitori sono stati i proventi da finanza e capitali.

    Figura 1

    Fonte: INSEE

     

    È sorprendente notare che nel 2018, il primo anno in cui si sono avvertiti gli effetti delle “riforme” di Emmanuel Macron, i ricavi finanziari, rappresentati da interessi e dividendi, sono aumentati dell’8,3%. . I lavoratori autonomi, i contadini o i lavoratori autonomi sono stati i peggiori trattati e il loro reddito è effettivamente aumentato meno dei salari. Non sorprende che li abbiamo trovati sulle rotonde durante il movimento dei gilet gialli. Allo stesso tempo, le disuguaglianze hanno continuato ad allargarsi negli ultimi due anni. L’abolizione o la riduzione delle prestazioni abitative (APL) ha avuto un effetto molto dannoso. Ma, anche senza tener conto di questo calo, il numero di persone sotto la soglia di povertà (calcolato al 60% del reddito mediano) nonché le disuguaglianze, misurate qui dal coefficiente di Gini (che è 0 per una distribuzione perfettamente egualitaria e 1 in una distribuzione perfettamente ineguale), sono aumentati.

    Figura 2

     

    L’innesco del movimento dei gilet gialli non è una sorpresa. Riflette in realtà la reazione di una popolazione, la maggioranza in Francia, che lavora, che pertanto riceve poca assistenza sociale e che ha visto il suo deteriorarsi della situazione economica nei 18 mesi successivi all’elezione di Emmanuel Macron. Possiamo quindi considerare che il previsto aumento dei prezzi del carburante è stata l’ultima goccia che ha spezzato la schiena del cammello. L’importanza della questione del “potere d’acquisto” spiega anche il movimento dei giubbotti gialliera molto più “femminilizzata” dei soliti movimenti di protesta sociale. Uno dei contributi importanti di questo movimento è stato anche il forte coinvolgimento delle donne al suo interno, sia nelle rotonde che nelle manifestazioni. Le donne, purtroppo, sono anche una percentuale molto più grande di feriti e spesso gravemente feriti rispetto ai soliti movimenti di protesta.

    Jerome Rodrigues, one of the leaders of the yellow vest movement, lies on the street after getting wounded in the eye during clashes with riot police in Paris during an anti-government demonstration called by the Yellow Vests “Gilets Jaunes” movement on January 26, 2019. (Photo by Zakaria ABDELKAFI / AFP)

    Jerome Rodrigues, uno dei leader del movimento della maglia gialla, sulla strada dopo essere rimasta incinta di fronte alla polizia durante una manifestazione antigovernativa chiamata dal movimento “gilet gialli” dei gilet gialli il 26 gennaio, 2019. (Foto di Zakaria ABDELKAFI / AFP)

    Jérôme Rodrigues,

    Portavoce del movimento, affondato dalla polizia il 26 gennaio 2019

     

    La frattura spaziale e territoriale

     

    Va ricordato che si sono verificati cambiamenti significativi anche nella distribuzione spaziale della società francese e che questi cambiamenti possono anche spiegare il movimento dei giubbotti gialli perché hanno reso una parte della popolazione tanto più sensibile a un aumento di carburante.

    Spinto dai centri cittadini dall’aumento del prezzo degli appartamenti e degli affitti, a sua volta legato al fenomeno della “metropoli” che alcune città stanno vivendo, i più modesti francesi si sono ritirati nei sobborghi più periferici, quindi nei cosiddetti sobborghi “Countrymen” [9] . Si stima che quasi un francese su tre viva in uno dei 33000 comuni la cui densità è inferiore a 64 abitanti per km2 [10] . Viceversa, i 609 comuni più densamente popolati (oltre 2969 abitanti / km2) comprendono anche un ampio terzo della popolazione. L’ultimo terzo vivrebbe nei circa 3000 comuni a densità intermedia (410 abitanti / km2 in media).

    Oggi, quindi, il numero di francesi che vivono nelle piccole città o nelle città rurali, ma che lavorano ancora in città, supera il 60% della popolazione.

    Tuttavia, nelle zone rurali, a causa della mancanza di mezzi di trasporto pubblico o di inadeguati bisogni, che si riferisce a politiche pubbliche che hanno favorito i servizi inter e intra-metropolitani a scapito di una copertura equilibrata del territorio, Diventa indispensabile possedere un’auto per adulto sia per le famiglie che per i pensionati. Nella città media, diventa indispensabile possedere un’auto per famiglia , indipendentemente dal fatto che sia attiva o meno e che abbia figli o meno [11]. Per le famiglie con due adulti, la necessità di mobilità è spesso integrata da un abbonamento al trasporto pubblico. Viene misurata anche la follia di far dipendere gran parte della popolazione dall’auto per il trasporto.

    Tuttavia, queste esigenze comportano costi per l’acquisto di veicoli, ma anche costi di carburante, costi di manutenzione, assicurazione e ispezione tecnica. I costi di trasporto rappresentano quindi il 10,3% della spesa per consumi. Come rispondere alla promozione della mobilità quando i prezzi del carburante aumentano e dipendiamo dall’auto? Questa è una delle chiavi del movimento dei giubbotti gialli .

    giubbotti gialli erano quindi in difficoltà in una società in cui i bisogni si moltiplicano. È particolarmente significativo sapere che il 76% dei giubbotti gialli afferma di poter gestire solo con difficoltà e dichiarare che impongono regolarmente restrizioni al proprio budget. Il dato è contro il 55% per la popolazione media e il 35% per coloro che non nascondono la loro ostilità nei confronti del movimento. Solo il 33% dei giubbotti gialli afferma di essere in grado di far fronte a una spesa imprevista di 2000 euro dalle loro riserve, contro il 53% in media e il 70% delle persone ostili al movimento [12]. In caso di afflusso in contanti imprevisto, un terzo delle giacche gialle mobiliterebbe questa voce per rimborsare un debito, contro solo il 14% dei più ostili. Il movimento dei gilet gialli rappresentava un divario di classe nella società francese.

    Maxime Nicole dice “Fly Rider”

    Portavoce del movimento

     

    L’euro, la ragione nascosta della sordità del governo per le affermazioni dei giubbotti gialli

     

    Questo movimento mise in discussione non solo il governo ma anche il presidente della Repubblica. Ma il governo e il Presidente della Repubblica non hanno avuto una risposta esaustiva su questo tema, fatta eccezione per la repressione che era di una portata e un grado insoliti di fronte a un movimento sociale. magnitudine [13]. L’uso sistematico di LBD, un’arma proibita in molti paesi europei e che è stato affidato a personale non addestrato, ma anche la comparsa di un addestramento di polizia non identificabile ha portato a un livello insolitamente alto di violenza, dall’impunità virtuale di cui godevano questi stessi poliziotti. Il numero di condanne emesse dai tribunali, oltre 3.000, parla anche della paura del potere e della sua incapacità di rispondere a questo movimento sociale con qualcosa di diverso dalla repressione. Certamente, il Presidente della Repubblica ha fatto dichiarazioni, in particolare quella del 10 dicembre 2018. Il 13 gennaio 2019 ha inviato una lettera a tutti i francesi [14] , che, pur riconoscendo alcuni dei problemi, ha eluso le risposte [15] .

     

    C’era, tuttavia, un’ammissione in questa “lettera”: ” perché i salari sono troppo bassi per alcuni per vivere degnamente con i frutti del loro lavoro …” [16] . Questa era, infatti, una delle fonti di rabbia che si esprimeva attraverso il movimento dei gilet gialli accanto alle richieste di democrazia. Si noterà, tuttavia, che non ha mai scritto le parole “potere d’acquisto”. La questione di un aumento del SMIC era tuttavia centrale per tutte le richieste dei giubbotti gialli . Il presidente pensò, senza dubbio, di aver risposto nel suo discorso del 10 dicembre [17]. Ma non è stato così, anche se il supplemento di reddito (perché è quello di cui si tratta) circa 90 euro, che è stato poi annunciato, è stato il benvenuto in case molto numerose. C’è un blocco qui sul problema di SMIC. Tuttavia, dalla “svolta del rigore” del 1982-1983, lo SMIC, il principale strumento di garanzia per i salari bassi, non si è evoluto con la produttività. Vale la pena ricordare un principio qui: se i salari si evolvono allo stesso ritmo della produttività, la condivisione del valore aggiunto tra salari e profitti non cambia. Quando la produttività cresce più rapidamente dei salari, la quota degli utili aumenta a scapito dei salari. Il divario tra l’evoluzione di SMIC e quello degli incrementi di produttività è importante oggi.

     

    Questo blocco non era, inoltre, specifico del potere. Anche l’Assemblea nazionale, ex FN, ha rifiutato, preferendo un complesso sistema di esenzioni dai contributi sociali [18] . Nicolas Dupont-Aignan, nel frattempo ha collegato un possibile aumento della SMIC a un calo dei contributi dei datori di lavoro (ciò che viene erroneamente chiamato “accuse”) [19]. Jean-Luc Mélenchon stava proponendo un forte aumento dell’SMIC, ma sembrava essere meno preoccupato per l’impatto sulla competitività dell’economia francese di tale misura. Le ragioni di questo blocco si riferiscono all’inserimento della Francia nelle istituzioni dell’Unione europea, ma anche nell’euro. È a causa del fanatico attaccamento all’euro che il Presidente evoca così poco, e indirettamente, la questione dello SMIC e quella del potere d’acquisto. D’altra parte, ciò significa che la questione del potere d’acquisto per le “classi popolari” può essere affrontata seriamente solo ponendo la questione dell’uscita della Francia dall’euro. Tuttavia, i vari studi condotti dall’FMI hanno dimostrato che la Francia soffre di una sopravvalutazione della sua economia nel contesto dell’euro e che non è nemmeno l’unica,

     

    Tabella 1

    Entità della sopravvalutazione (+) e della sottovalutazione (-) dei risparmi dovuti all’euro [20]

    Valore medio Valore massimo Differenza con la Germania

    (Mid-High)

    Differenza con la Francia

    (Mid-High)

    Francia + 11,0% + 16,0% 26-43%
    Italia + 9,0% + 20,0% 24-47% -2 / + 4%
    Spagna + 7,5% + 15,0% 22.5 al 42% -3.5 / -1%
    Belgio + 7,5% + 15,0% 22.5 al 42% -3.5 / -1%
    Paesi Bassi – 9,0% -21,0% 6-6% -20 / -37%
    Germania -15.0% -27.0% -26 / -43%

    Fonte: differenziale del tasso di cambio reale nel rapporto del settore esterno dell’FMI 2017

     

    Finché siamo intellettualmente nel contesto dell’euro, è davvero molto difficile, se non impossibile, pensare a un aumento della SMIC che possa ripristinare un potere d’acquisto significativo.

    Quindi riprendiamo i termini del dibattito. Un aumento dello SMIC accompagnato da un ritiro dall’euro e un deprezzamento della valuta avrebbe avuto un forte effetto ridistributivo sui ricavi, restituendo al contempo il potere d’acquisto ai redditi più modesti. Non era questa una delle esigenze principali dei giubbotti gialli ? Ma capiamo anche perché, non appena abbandoniamo la prospettiva di un’uscita dall’euro e una ripresa da parte della Francia della sua sovranità monetaria, diventa impossibile pensare a un aumento dello SMIC e dei suoi effetti sull’economia. economia. E questo è il motivo per cui Emmanuel Macron, che non vuole toccare l’euro in nessuna circostanza, non ha parlato della SMIC o del potere d’acquisto nella sua lettera.

     

    Richieste politiche

     

    Il movimento Yellow Vests , che inizialmente si concentrava su questa questione del potere d’acquisto, ha rapidamente sollevato problemi politici. La crisi della rappresentatività politica che ha portato alla luce è ora flagrante. Conduce alla nascita del referendum dell’Iniziativa per i cittadini e alla richiesta di un’alta proporzione nel sistema elettorale francese come una delle maggiori richieste del movimento dei gilet gialli . Queste richieste sono state ampiamente supportate dall’opinione pubblica e ho avuto l’opportunità di parlare su questo argomento [21]. Queste due misure, l’introduzione della RIC e la proporzionale, possono certamente contribuire a migliorare la nostra democrazia. Va sottolineato che, in linea di principio, il RIC non è una “rivoluzione” [22] , ma un’estensione della procedura di referendum come esiste oggi, in particolare tramite il PIR o il referendum di iniziativa. Condiviso [23] , ma la cui mobilitazione è molto più pesante e molto meno democratica della RIC . Queste procedure esistono nella costituzione della Quinta Repubblica e esistevano già sotto la Quarta e la Terza Repubblica. Ci sono stati molti dibattiti su questo argomento [24] .

    Questa crisi di rappresentatività si riflette in una più debole partecipazione alle elezioni. Si traduce quindi in un sentimento di alienazione dei cittadini dal sistema politico. Invece e al posto del “bene comune” e della “cosa pubblica” (la Res Publica [25] ) viene fatta una distinzione tra “loro” e “noi”. Il primo termine, “loro”, tende a designare rappresentanti del “sistema”, in altre parole un insieme che comprende personale politico, ma anche alti funzionari e giornalisti, che si costituiscono, in una visione crescente della popolazione, come strapiombante, poi esternamente con quest’ultimo, che è riconoscibile nel “noi”. Questa rappresentazione ha più di uno sfondo di verità.

     

    Le condizioni di esistenza, e queste non si limitano alle questioni di reddito – spesso indecente, va detto – ma includono anche l’ambiente di vita, i luoghi frequentati, di coloro che sono designati come “loro “Diverge massicciamente da quelli della maggioranza della popolazione. Quando questa distinzione assume la forma di prova, l’autorità non è più legittima e il sistema collassa, sia pacificamente che in convulsioni violente. Bisogna sapere che nessuna democrazia, questo famoso potere del popolo, da parte del popolo e del popolo, di usare le parole di Abraham Lincoln [26] , può sopravvivere a una tale divisione della società.

    La crisi della rappresentatività è quindi anche una crisi della democrazia [27] . Questa crisi della democrazia si manifesta anche con sempre più frequenti smentite della democrazia , sempre più evidenti, come la violazione del risultato del referendum sul progetto di Trattato costituzionale europeo del 2005, che ha avuto luogo con l’approvazione del Congresso (Assemblea Nazionale e Senato messi insieme) del famoso “Trattato di Lisbona”. Questo è il motivo per cui tutti coloro che trattano la crisi della rappresentatività come un fenomeno superficiale, che solo le riforme procedurali potrebbero risolvere, si sbagliano.

    La domanda posta dal RIC è quindi quella di estendere il potere dell’iniziativa referendaria ai cittadini, sia perché ritengono che una questione non sia trattata dal legislatore sia perché ritengono che la domanda è stata trattata male da quest’ultimo. In questa forma, il RIC è effettivamente un interrogatorio, indiretto o diretto, del legislatore. Ma questo interrogatorio è solo la conseguenza del primato della sovranità del popolo su quello del legislatore. In effetti, le istituzioni attuali hanno la tendenza a considerare che il legislatore costituirebbe un “popolo legale” che potrebbe opporsi e controllare il popolo politico. Questa è una delle dinamiche dell’ordine giuridico descritto da Weber [28]e una conseguenza del primato della legalità sulla legittimità [29] . Questo non è nuovo.

    François Boulot

    Portavoce del movimento

    Uno spazio politico temporaneamente in rovina

     

    Quali sono oggi, un anno dopo, le conseguenze, sia politiche che sociali, del movimento dei gilet gialli ? Molto chiaramente, questo movimento ha segnato un risveglio della questione sociale in Francia. Questa sveglia è evidente nell’autunno del 2019. Il governo è sotto la costante minaccia di nuovi movimenti sociali. Su questo fronte ci possono essere anticipi e battute d’arresto. Ma la questione sociale ha restituito una delle questioni centrali dello spazio politico in Francia.

    Possiamo anche considerare il movimento dei giubbotti gialli come una particolare forma di populismo in Francia. Ma, quindi, si dovrebbe capire l’ascesa di questi movimenti populisti come una reazione a favore della democraziagenerato dagli eccessi sperimentati dai principali paesi chiamati derive “democratiche” che hanno avuto origine nella globalizzazione e la “secessione” ha voluto le élite. Possiamo quindi affermare che sono i movimenti conservatori che incarnano meglio questo populismo e che questi ultimi hanno interesse a trovare una ragionevole forma di sistemazione con le élite, una sistemazione che reintroduca la democrazia nei moribondi sistemi “democratici” sotto problemi ad arrivare al caos, una forma di anomalia planetaria? Questa è la tesi di un recente libro di Alexandre Devecchio [30] . Si può sostenere che il conservatore si collochi proprio ora nel “partito dell’ordine” che è ormai rappresentato dal presidente francese [31]. Lo dimostra il crollo dei “repubblicani” alle elezioni europee della primavera 2019, elezioni che si sono svolte nel corso del movimento dei giubbotti gialli .

     

    Emmanuel Macron si era tuttavia presentato come il candidato del “partito del movimento”, al punto da renderlo il nome del suo partito “in marcia”. È diventato un rappresentante del “partito dell’ordine”, come evidenziato dalla portata e dalla brutalità, a volte bestiale, della repressione. Perché, va ricordato, la violenza di questa repressione è stata senza eguali da quella del movimento del maggio 1968. Le centinaia di feriti, le dozzine di mutilati ed éborgné lo testimoniano.

    Questa mutazione non è né sorprendente né accidentale. Era persino prevedibile. All’inizio dell’anno 2017, in televisione russa (RT in inglese), avevo spiegato come Emmanuel Macron e François Fillon rappresentassero candidati del passato, o se preferiamo la reazione. A quel tempo, ho anche ritradotto il testo in francese e installato questa traduzione sul mio blog [32] , per il quale sono stato criticato. Rileggiamo quello che ho detto allora su Emmanuel Macron: “Essendo il candidato dell’Uberizzazione della società, Emmanuel Macron, dietro un linguaggio falso moderno, è in realtà solo il sostenitore di un ritorno all’inizio del diciannovesimo secolo, un ritorno al “sistema domestico” prima la rivoluzione industriale. È sorprendente qui che il candidato stesso che afferma di essere il più “moderno”, quello che non smette mai di elogiare le virtù di ciò che chiama “l’economia digitale”, è in realtà un uomo del passato. Ma Emmanuel Macron è un uomo del passato in un secondo titolo. Se si presenta come un “uomo nuovo”, o addirittura – e questo non manca di sale – come candidato “anti-sistema”, si deve ricordare che era strettamente associato, sia come consigliere di François Hollande o come ministro di Manuel Valls, alla disastrosa politica attuata durante questo periodo di cinque anni. ora. ”

    Emmanuel Macron è in effetti un perfetto rappresentante delle élite metropolizzate e globalizzate di fronte alla rivolta della “Francia periferica”. È lo shock generato dalla rivolta di questi strati sociali che ha provocato il massimo restringimento conservativo del suo potere e che lo ha fatto passare, alla luce delle conoscenze di tutti, dal “partito del movimento” al “partito del ‘ordine’. Il diritto, che si tratti della sua corrente conservatrice o della sua corrente bonapartista (il National Gathering), non sembra in grado di cavalcare la tigre populista perché non può porre fine alle rivendicazioni di questo populismo.

    Ma deve anche essere concesso ad Alexander Devecchio che la sinistra radicale, che era particolarmente ben posizionata per farlo, non provò nemmeno a cavalcare la tigre. Allo stesso tempo o gilet gialliirruppe sulla scena politica francese, Jean-Luc Mélenchon e con lui France Insoumise abbandonò la linea populista-sovranista che, da solo, avrebbe permesso a questo movimento di incarnare politicamente questa rivoluzione cittadina in marcia. Bisogna quindi mettere in discussione la pertinenza delle scelte politiche che sono state fatte. Invece di guidare la lotta sulla questione del potere d’acquisto in modo coerente, il che implicava mettere in discussione il progetto dell’Unione europea e in particolare il quadro dell’euro, France Insoumise ha scelto di centrare il suo discorso sulla questione della repressione e del quadro politico. È vero che solo questa posizione ha permesso di evitare di rompere la contraddizione con la linea politica adottata per le elezioni europee, una linea che può essere riassunta come una vana chiamata a cambiare l’UE dall’interno.Gilet gialli senza riuscire a consolidare la sua base elettorale. Il passaggio del quasi 19% raccolto sul nome di Jean-Luc Mélenchon al 6,6% ottenuto dalla lista FI durante le elezioni europee testimonia.

     

     

     

    Lo spazio politico della Francia è quindi temporaneamente in rovina. La prospettiva di un nuovo duello tra Emmanuel Macron e Marine le Pen sembra tacitamente accettata, anche se questo duello è certamente lo scenario più favorevole per l’attuale Presidente della Repubblica. Almeno, il movimento dei giubbotti gialli avrà sconfitto il governo e, al di là, la linea neoliberale ed europeista che aveva prevalso durante le elezioni presidenziali del 2017. È già molto . Solo il futuro sarà in grado di dire se questo movimento saprà e sarà in grado di generare una vera alternativa e se questa alternativa sarà in grado di spezzare il quadro politico che sembra stabilizzarsi.

     

     

    Note

    [1] Bibeau R. e Mesloub K., Autopsy of the Movement of Yellow Gilet , Parigi, Harmattan, 2019. Thiebaut M., Gilet Yellow – Verso una vera democrazia? Parigi, VA Press, febbraio 2019. Coll, Yellow Gillets – Presupposti su un movimento , Parigi, The Discovery, 2019.

    [2] Vernochet JM., The Yellow Vests, the civic insurrection , Apopsix, 2019. Black G., Yellow Gilet in the light of history , Paris, editions of the Dawn, aprile 2019.

    [3] François-Bernard Huyghe , Xavier Desmaison e Damien Liccia, In the head of the Yellow Vests , Paris, VA Press, gennaio 2019.

    [4] Farbiaz P., Gilet gialli – Documenti e testi , Parigi, Editions du Croquant, gennaio 2019 e Coll, Gilet gialli – Chiavi per capire , Syllepse, dicembre 2018.

    [5] Boulo F., The Yellow Line , Native Editions, 2019.

    [6] Ludoski P., in Francia, dare consulenza può essere costoso, Books on Demand, settembre 2019.

    [7] http://www.observationsociete.fr/modes-de-vie/logement-modevie/devenses-contraintes-le-weight-du-logement.html

    [8] Centro di ricerca per lo studio e l’osservazione delle condizioni di vita . È un’organizzazione di studi e ricerche al servizio degli attori della vita economica e sociale creata nel 1953.

    [9] Questo è stato analizzato nelle opere dei geografi. Vedi Guilluy C., Peripheral France: come abbiamo sacrificato le classi popolari , Parigi, Flammarion , 2014.

    [10] http://www.observationsociete.fr/population/donneesgeneralespopulation/la-part-de-la-population-vivant-enville-plafonne.html

    [11] CREDOC, Hoibian S., “Gilet gialli, un” precipitato “dei valori della nostra società”, nota di sintesi n. 26, aprile 2019.

    [12] Idem.

    [13] https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/04/28/gilets-jaunes-a-collective-of-victims-of-political-violence-appeals-a-an-national-exhibition_5455937_3224 .html

    [14] https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2019/01/13/lettre-aux-francais

    [15] Lettera a cui abbiamo risposto: https://www.les-crises.fr/russeurope-in-exil-the-letter-of-president-the-question-of-purchase-and-the- de-euro-per-Jacques-Sapir /

    [16] https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2019/01/13/lettre-aux-francais

    [17] https://www.francetvinfo.fr/economie/transports/gilets-jaunes/gilets-jaunes-why-the-augmentation-of-smic-promise-by-macron-n-is-will-not-really- -une_3094307.html

    [18] https://www.rtl.fr/actu/politique/marine-le-pen-is-the-invite-of-rtl-of-19-december-7795973392

    [19] https://www.publicsenat.fr/article/politique/gilets-jaunes-nicolas-dupont-in-announces-that-present-a-proposal-of-

    [20] Vedi http://www.imf.org/en/Publications/Policy-Papers/Issues/2017/07/27/2017-external-sector-report e http://www.imf.org/en/ pubblicazioni / politica-Carte / Problemi / 2016/12/31/2016-esterno-Sector-report-PP5057

    [21] Vedi https://www.les-crises.fr/russeurope-in-exil-crisis-of-representativity-crisis-of-emocracy-by-jacques-sapir/ e la mia discussione sulle tesi “Etienne Chouard, https://www.les-crises.fr/russeurope-en-exil-about-the-dutch-book-church-our-cause-commune-by-jacques-sapir/

    [22] Favoreu L., Gaia P., Ghevontian R., Melin-Soucramanian F., Roux A., Oliva E. e Philip L., “6 novembre 1962 – Referendum Act”, nelle principali decisioni del Consiglio costituzionale , Parigi, Dalloz, coll. “Ottime soste”, 2013.

    [23] https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexteArticle.do?idArticle=LEGIARTI000019241004&cidTexte=JORFTEXT000000571356&categorieLien=id&dateTexte=vig

    [24] Conac G., “I dibattiti sul referendum sotto la quinta repubblica”, in Poteri n. 77 – Il referendum, aprile 1996, pag. 97-110.

    [25] Moatti C., Res publica – Storia romana degli affari pubblici , Parigi, Fayard, coll. Aperture, 2018,

    [26] Lincoln A., Discorso di Gettysburg , 19 novembre 1863. Vedi Barton, William E. Lincoln a Gettysburg: cosa intende dire; Quello che ha detto Ciò che è stato segnalato per avere detto; Ciò che desiderava avere detto . New York, Peter Smith, 1950.

    [27] Sapir J., Sovereignty, Democracy, Laïcité , Paris, Michalon, 2016.

    [28] Weber M., The scientist and Politics , Parigi, UGE, 1963.

    [29] Primate le cui conseguenze sono analizzate in Dyzenhaus D., The Constitution of Law. Legality In a Time of Emergency , Cambridge University Press, London-New York, 2006 e Dyzenhaus D, Hard Case in Wicked Legal Systems. Legge sudafricana nella prospettiva della filosofia giuridica , Oxford, Clarendon Press, 1991. Vedi anche Schmitt C., Legality, Legitimacy , tradotto dal tedesco da W. Gueydan di Roussel, Libreria generale di giurisprudenza e giurisprudenza, Parigi, 1936; Edizione tedesca, 1932.

    [30] Devecchio A., Ricomposizione. Il nuovo mondo populista , edizioni Le Cerf, Parigi, 2019.

    [31] Quello che ho analizzato sul blog “Crises” dal 5 gennaio 2019. https://www.les-crises.fr/russeurope-en-exil-emmanuel-macron-president-du-partide -lordre-by-Jacques-Sapir /

    [32] https://russeurope.hypotheses.org/5888

     

    derive in pot pourri, a cura di Antonio de Martini

    E SI CHE CE N AVOCATO DE FAMA
    Una specificazione molto precisa. Dettagliata. Arcelor Mittal può recedere dal contratto di affitto – preliminare alla vendita – in tutta una serie di ipotesi. Già il contratto d’affitto con obbligo di acquisto di rami d’azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza nitido. Ma l’accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.

    Il Sole 24 Ore ha avuto modo di leggere entrambi i documenti. E, a meno che non siano intervenute successive modifiche, dalla loro consultazione evapora ogni ambiguità. L’accordo che modifica il contratto dedica a ogni plausibile declinazione l’articolo 27. Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d’azienda”. Quattro pagine fitte di fattispecie, sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi.

    «Nel caso in cui – si legge nel documento – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non de o finitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto».

    Il linguaggio contrattuale dà forma verbale alla sostanza della questione: cambia il quadro giuridico generale, che rappresenta lo sfondo regolamentare su cui si è svolta l’asta internazionale che ha visto ArcelorMittal prevalere su Jindal, Arvedi, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti? Viene cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell’arrivo del nuovo proprietario a Taranto? Arcelor Mittal restituisce le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa.

    Ma c’è dell’altro. Sempre nell’addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: «L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale».

    UN’INCHIESTA A ROMA PER PRESUNTE INTERCETTAZIONI ABUSIVE.
    IL COINVOLGIMENTO RUSSIAGATE
    DI TRUMP. IL CASO BIJA. LA GUERRA
    AI VERTICI PER LE NOMINE. SONO GLI SCANDALI CHE FANNO TREMARE I NOSTRI 007
    DI EMILIANO FITTIPALDI
    Il grande caos all’italiana di fine 2019 sembra non risparmiare niente e nessuno. Fa traballare il neonato governo giallorosso di Giuseppe Conte, senza ossigeno a soli due mesi dalla nascita. Mo- stra le crepe profonde dell’economia nazionale, caratterizzata da crescita asfittica e crisi industriali che si trascinano insolute verso il burrone. Il disordine investe la maggioranza, i partiti, istituzioni e corpi intermedi e – secondo i pessimisti – rischia di risolversi in un solo modo: elezioni anticipate e vittoria della destra estrema di Matteo Salvini.
    Dallo scompiglio non si salva nemmeno uno dei settori più delicati della Repubblica. Quello, cioè, dei nostri servizi segreti e delle autorità preposte alla sicurezza nazionale. Dal Russiagate di Trump alla vicenda dei trafficanti libici in visita nei ministeri, passando per le furiose guerre interne sulle nomine sino al coinvolgimento di pezzi da novanta dei nostri 007 nell’inchiesta su Antonello Montante, agenzie come Dis, Aisi e Aise (le ultime due monitorano rispettivamente la sicurezza interna e le minacce che arrivano dall’esterno) sembrano vivere uno dei momenti più delicati degli ultimi tempi.
    «Il nostro core business, sia chiaro, resta solido: vantiamo ancora capacità ed eccellenze invidiate in mezzo mondo», spiega un’accreditata fonte interna. «Il problema è
    che una crisi di sistema come quella che stiamo vivendo non può non avere rilessi anche su di noi. È come in uno specchio: siamo organismi che rispondono all’autorità politica. La debolezza dell’amministrazione, l’incapacità di comando e la selezione discutibile della nostra classe dirigente ha generato tensioni e trambusto».
    MISTERO EXODUS
    La situazione, ora, rischia di deteriorarsi ancora. A causa di alcune inchieste della magistratura. Su tutte, quella della procura di Roma sulla vicenda Exodus, un sistema spyware che una ditta di Catanzaro, la E. Surv, ha venduto anni fa a procure di mezza Italia per efettuare intercettazioni telefoniche attraverso l’inoculazione dei trojan nei cellulari degli indagati. Non solo: Exodus è stato acquistato anche dall’Aisi e dall’Aise.
    Lo scorso maggio i pm di Napoli in un’inchiesta parallela hanno arrestato il proprietario della srl calabrese e il creatore della piattaforma informatica. Le accuse sono gravi: aver efettuato intercettazioni illecite su soggetti estranei a qualsiasi indagine penale e aver compiuto una frode in pubbliche forniture. Tutti i dati sensibili captati da Exodus sarebbero infatti finiti non all’interno di server protetti ubicati sul territorio nazionale – come previsto dai contratti con le procure e le authority – ma in un archivio segreto su un cloud Amazon in Oregon,
    Prima Pagina
    10 novembre 2019 25

    Governo / Scontro tra apparati
    Usa. Anche Vito Tignanelli e Maria Aquino, titolari della società STM che commer- cializzava Exodus per conto della E.Surv, sono stati indagati.
    L’inchiesta dei colleghi di Roma sta invece cercando di capire chi e perché – nelle nostre agenzie di intelligence – ha voluto comprare il malware, e soprattutto se Exodus sia stato usato in modo illecito dai nostri 007 per spiare di nascosto obiettivi sensibili.
    L’aggiunto Angelantonio Racanelli, presente il capo dell’ufficio “facente funzioni” Michele Prestipino, qualche settimana fa ha così deciso di sentire Luciano Carta, il generale della Finanza oggi numero uno dell’Aise. Sei mesi fa il capo dell’agenzia aveva già risposto con una lettera ad alcuni quesiti rivoltigli dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone andato poi in pensione, chiarendo che – almeno secondo quanto evidenziato dai documenti interni – il software-spia all’Aise non era mai stato utilizzato da nessuno.
    Carta, per stilare la lettera, ha dovuto chiedere informazioni agli uomini che si erano occupati del dossier. Exodus, infatti, è stato acquistato tra fine del 2016 e l’inizio del 2017, quando il generale della Finanza era semplice numero due di Alberto Manenti. Le deleghe sui sistemi di sorveglianza interni e sulle intercettazioni preventive erano però in mano a Giuseppe Caputo, allora capo di gabinetto di Manenti e oggi attuale vicedirettore dell’Aise. Fu lui, d’accordo con l’allora direttore, a decidere di comprare Exodus. Anche perché la piattaforma, comprata per circa 350 mila euro con un versamento in contanti, era stata consigliata da Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, che in quel periodo aveva lasciato i Carabinieri per approdare all’Aise.
    All’uomo che catturò Totò Riina Manenti e Caputo avevano subito affidato compiti importanti, dalla sicurezza degli accessi della sede romana al tentativo (fortemente sponsorizzato da Marco Minniti, allora sottosegretario a Palazzo Chigi con delega
    Gennaro Vecchione, direttore del Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi.
    Nell’altra pagina: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
    ai servizi) di pacificare le tribù del Fezzan per provare a chiudere le rotte subsahariane dei trafficanti di migranti. Ma la mansione primaria di De Caprio e dei suoi uomini (quasi tutti appartenenti al reparto dei carabinieri del Noe) era vigilare sulla sicurezza interna. Dunque guidare il reparto che deve investigare anche sulle possibili talpe che si nascondono tra le nostre barbe finte: Exodus fu preso anche perché i vecchi software forniti da Hacking Team non erano più utilizzabili.
    Ora qualcuno in procura – nessuno è stato ancora iscritto nel registro degli indagati – teme che qualcuno dentro l’Aise possa aver efettuato intercettazioni abusive: le domande rivolte da Racanelli a Carta hanno riguardato proprio Exodus, e alla luce di quanto richiesto presto il direttore potrebbe fornire nuova documentazione sull’affaire.
    Se le ipotesi investigative fossero fondate, il caso sarebbe ovviamente clamoroso. Fonti dell’intelligence e altre vicinissime all’inchiesta, però, evidenziano non solo che lo spyware Exodus non sarebbe mai stato usato dall’agenzia per la sicurezza esterna. Ma soprattutto che tutte le intercettazioni effettuate (con altri metodi e/o software senza bug) avrebbero tutte le autorizzazioni necessarie. In primis quella della procura generale della Corte d’Appello di Roma, guidata da Giovanni Salvi.
    Ma come mai l’agenzia non avrebbe mai utilizzato Exodus per mesi nonostante i denari spesi? «L’Aise non ha mai usato Exodus per una ragione molto semplice: mancavano i prerequisiti tecnici», spiegano fonti qualiicate. Per dirla semplice, nel 2017 gli agenti degli affari interni e quelli dell’E. Surv che da contratto dovevano inoculare il trojan nei telefoni degli obiettivi (una volta innestato il trojan, gli uomini di Ultimo avrebbero dovuto remotizzare le informazioni in server sicuri), dopo aver avuto i decreti autorizzativi non sarebbero riusciti a iniettare Exodus nei dispositivi.
    Un’operazione in efetti non semplicissima
    IL PM CHE INDAGA SUL SOFTWARE EXODUS È RACANELLI. REGISTRATO DALLA GUARDIA DI FINANZA MENTRE PARLA CON PALAMARA SULL’AFFAIRE CSM
    26 10 novembre 2019

    ma, come dimostrato anche dall’ultima inchiesta sullo scandalo del Csm: il Gico della Guardia di Finanza riuscì ad infettare solo il cellulare di Luca Palamara, mentre gli altri indagati non aprirono l’Sms che nascondeva il virus, restando così immuni dalle intercettazioni ordinate della procura di Perugia.
    Se gli accertamenti della procura dovessero confermare quanto già spiegato a suo tempo da Carta, generale stimato da tutto l’arco parlamentare, l’inchiesta sull’uso di Exodus in Aise potrebbe chiudersi presto. In caso contrario, Racanelli potrebbe presto chiamare in procura nuovi testimoni.
    La questione resta delicata, e sono molti ad essere interessati allo sviluppo delle investigazioni. Nei servizi, al governo, ma anche dentro l’ufficio giudiziario di Roma, che aspetta ancora il successore di Pignatone. Anche perché il pm Racanelli – secondo qualcuno – rischia di essere in conlitto di interessi, perché suo fratello Paolo, nei mesi in cui Ultimo tentò di usare Exodus per incastrare presunte talpe interne all’agenzia, lavorava proprio nell’Aise.
    Si racconta che i rapporti tra il fratello del pm e i suoi superiori, coloro dunque che sembrano essere al centro dell’indagine giudiziaria del congiunto, non fossero eccellenti. Non abbiamo certezze in merito. Ma è un fatto che lo 007 lasciò improvvisamente Forte Braschi nel 2017, per trasferirsi alla sede dell’Aisi di Bari. In Puglia è rimasto quasi due anni: oggi Paolo è tornato a Roma, in una sede del controspionaggio guidato da Mario Parente.
    Anche quest’ultimo potrebbe presto es- sere chiamato a dare informazioni utili per chiarire se e come Exodus sia stato usato dai suoi agenti segreti: l’Aisi avrebbe infatti usato il software in dosi massicce. È necessario capire se dati sensibili siano finiti nel cloud in Oregon, e se informazioni chiave per la nostra sicurezza nazionale non siano state bucate da soggetti esterni senza autorizzazioni.
    Vedremo. Di sicuro il pm Racanelli da qualche settimana è coadiuvato nell’inchiesta anche dall’aggiunto Paolo Ielo, che Prestipino ha voluto affiancare al titolare dell’indagine per rafforzare il pool. Una scelta non banale: grazie alla lettura di carte inedite risulta all’Espresso che proprio Racanelli a maggio fu ascoltato mentre discuteva con il collega Luca Palamara in merito a un esposto del pm Stefano Fava, che i magistrati di Perugia considerano essere stato scritto per danneggiare proprio Ielo. «Bisogna insistere per avere le carte, e incominciare a muovere le carte», dice Angelantonio a Palamara, furioso con Ielo perché aveva mandato gli atti su una sua presunta corruzione alla procura umbra. «La tua cosa in Prima Commissione (la sezione disci- plinare del Csm, ndr) rimarrà in stand by
    10 novembre 2019 27
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    Foto: L. Mistrulli – Ag. Fotogramma, O. Douliery – Getty Images

    Governo / Scontro tra apparati
    finché non si chiude il processo… questo è pacifico perché là non ci sono elementi… quindi secondo me la commissione non fa niente sulla pratica tua» spiega Racanelli (dimessosi a luglio da segretario di Magistratura indipendente subito dopo lo scoppio dello scandalo) all’amico. «Su quell’altra bisogna insistere… incominciare a convocare… perché così segnali…».
    PATTO SCELLERATO
    L’inchiesta sul malware Exodus non è l’unica che coinvolge i vertici dei nostri servizi. Divorati da guerre intestine per il potere e le nomine, da settimane le nostre barbe finte leggono e rileggono le motivazioni della sentenza con cui i giudici di Caltanissetta hanno condannato a 14 anni di carcere Antonello Montante, l’ex numero uno di Confindustria Sicilia che aveva – secondo il gup Graziella Luparello, «occupato, mediante corruzione sistematica e raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali». La sentenza cita anche due pezzi grossi dell’Aise, Mario Parente e Valerio Blengini, oggi numero uno e due dell’Aisi, che – interrogati dal gup in merito ad alcune fughe di notizie e un presunto tentativo di preservare un colonnello dei servizi (Giuseppe D’Agata considerato vici- nissimo a Montante) dall’inchiesta giudiziaria – avrebbero entrambi detto bugie ai giudici. «Blengini e Parente mentono sapendo di mentire
    la carica riunisce quelle di ministro della Giustizia e Procuratore Generale
    pendo di mentire», dice la Luparello. Per preservare «un patto scellerato, al quale potrebbe aver aderito, lo si afferma con grande desolazione, anche l’attuale direttore generale Mario Parente». Il gup è talmente convinta che i vertici del servizio interno non le hanno raccontato la verità che ordina, nei confronti di Blengini e il suo capo, la trasmissione degli atti alla procura nissena. Per valutare se i due abbiano compiuto o meno reati.
    Il premier Conte, che ha mantenuto le deleghe sui servizi, segue i dossier che arrivano dalla magistratura con grande attenzione. Ma le sue preoccupazioni maggiori riguardano, in questi giorni, i possibili sviluppi del Russiagate americano. O meglio, del côté tricolore della vicenda, che rischia di tenere a lungo sulle spine sia Palazzo Chigi sia Gennaro Vecchione, che l’avvocato di Volturara Appula ha voluto fortemente a capo del Dis, il dipartimento che coordina i nostri servizi.
    È noto che Conte ha chiesto al suo fedelissimo (e a Carta e Parente che si sono adeguati obtorto collo) di incontrare ad agosto e settembre il ministro della Giustizia William Barr. L’uomo che insieme al procuratore John Durham sta indagando sull’ipotesi che Donald Trump, accusato di essere stato aiutato dai russi nella campagna elettorale del 2016, sia al contrario vittima di un complotto ai suoi danni ordito da pezzi dell’Fbi e dai democratici, con l’aiuto di governi e servizi di alcuni paesi alleati.
    Due incontri segreti di cui Conte non informò nessuno, nemmeno il Quirinale. Riunioni che alcuni giudicano fatto gravissimo («il premier ha venduto i nostri servizi a un governo straniero per ottenere il sostegno da Trump», attaccano le opposizioni), e che molti valutano quantomeno inopportuni, dal momento che Barr è un’autorità politica, e che i servizi possono scambiare informazioni solo con i loro omologhi.
    Il presidente del Consiglio e Vecchione, interrogati davanti al Copasir, hanno minimizzato gli eventi, negando con forza che i nostri 007 abbiano girato a Barr informazioni sensibili sul presunto complotto. Sarà però fondamentale leggere il rapporto finale del Dipartimento di giustizia sui presunti abusi compiuti dal deep state Usa per azzoppare la campagna di Trump: se dovessero esserci particolari rilevanti sull’Italia che non collimassero con le dichiarazioni di Conte e Vecchione, le polemiche potrebbero tornare in prima pagina con efetti devastanti. E l’ipotesi già raccontata dal nostro settimanale di uno spostamento del generale a Palazzo Chigi come consigliere militare, con lo spostamento di Carta al Dis e la promozione di un interno come nuovo capo dei servizi esterni (Giovanni Caravelli è in pole position, Caputo pagherebbe la vicenda Exodus) prenderebbe di nuovo corpo.
    «L’indagine di Durham (che ha cercato prove in Italia, Australia, Ucraina e Gran Bretagna, ndr) è molto importante, sento che è una delle indagini più importanti nella storia del nostro Paese», ha ribadito il presidente americano in settimana. Nel palazzo romano di Piazza Dante, nuova sede dei nostri servizi, si augurano che Trump e Barr, essendo alle prese con la procedura di impeachment per le presunte pressioni fatte al governo ucraino per danneggiare il rivale Joe Biden, bluffino. O che, quantomeno, il lavoro di Durham e dell’ispettore generale del Dipartimento di Stato Michael Horowitz alla fine non citi espressamente l’Italia. «Se fossimo coinvolti davvero nel rapporto sarebbe un disastro», spiegano dal Dis. «Anche perché oggi non possiamo permetterci distrazioni. Le nostre agenzie devono concentrarsi pancia a terra su fronti caldi, in primis sulla Libia e sui tentativi di riportare a casa i nostri concittadini rapiti all’estero», come Silvia Romano.
    In questi giorni, inoltre, a creare ansia è pure il rinnovo automatico degli accordi con l’esecutivo di Al Serraj, firmati da Paolo Gentiloni e Minniti nel 2017. Mentre molti addetti ai lavori, tra cui il prefetto Mario Morcone, non si capacitano ancora di come abbiano fatto i nostri servizi a permettere che un guardacoste e trafficante di rango come Abdulrahman Al Milad detto “Bija”, potesse due anni fa arrivare in Italia per discutere di politiche migratorie con nostri funzionari. Tanto da essere immortalato con tutti gli onori in alcune fototografie pubblicate su “Avvenire” che hanno dato il via al caso.
    A Palazzo Chigi sottolineano che le eventuali responsabilità politiche e quelle inerenti al “mancato controllo” siano da addebitare a chi c’era prima, e che Conte e i nuovi vertici da poco insediatesi nulla potevano sapere. Nessuno fa nomi a chi scrive, ma è facile immaginare che ad Alberto Manenti, ex capo dell’Aise, possano fischiare le orecchie. Per trent’anni nell’agenzia, di cui conosce a menadito strutture e segreti, Manenti – grande conoscitore dello scenario libico, vanta buoni rapporti sia con Al Sarraj sia con il rivale Khalifa Haftar – è tornato a sorpresa sulla scena pochi giorni fa. Quando ha prima incontrato il capo della Cia Gina Haspel in un albergo della Capitale vicino l’ambasciata di Via Veneto (di che hanno parlato? Dello spygate?), poi ha “portato” l’ambasciatore libico a Roma dal neo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. A che titolo, resta un mistero.
    Gli amici sostengono che Manenti sia così intraprendente solo per provare a dare qualche buon consiglio «dall’alto della sua grande esperienza», eppure nei servizi segreti e a Palazzo Chigi le mosse dell’ex numero uno non sono affatto piaciute. Non solo per l’eccessiva autonomia di un semplice pensionato: gli si rinfaccia pure un rapporto ancora troppo stretto con Caputo e legami con Leonardo Bellodi, ex capo delle relazioni istituzionali di Eni che lo scorso febbraio ha fondato il “Marco Polo Council”. Un think tank specializzato in intelligence che ha ottime entrature in Usa, Israele e Medio Oriente.
    Il problema di fondo, però, resta uno sol- tanto: quando il caos indebolisce l’autorità politica, la confusione si riverbera automaticamente sulle istituzioni controllate. Dunque: o Conte riprende rapidamente il controllo saldo della barra del timone, o altri scandali porteranno la barca della no- stra intelligence verso scogli ancora più perigliosi. Q
    IL PREMIER CONTE E IL DIRETTORE DEL DIS VECCHIONE ASPETTANO CON ANSIA LA PUBBLICAZIONE
    DEL RAPPORTO BARR. CHE POTREBBE SMENTIRLI
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    Foto: E. Ferrari – Ansa, S. Georges – The Washington Post via Getty Images

    Riflessioni di George Friedman: determinismo geopolitico

    Riflessioni di George Friedman: determinismo geopolitico

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    Dopo aver scritto molto sullo spazio e sull’incanto, è tempo di scendere sulla terra. Voglio tornare alla tesi centrale della geopolitica mentre la pratico: l’idea del determinismo geopolitico. Differisco dalle altre persone che scrivono sulla geopolitica in due sensi. Mentre considero la geografia come determinante fondamentale nel comportamento umano, non la considero l’unica determinante.

    Per me, la filosofia greca è fondamentale nel definire cosa significa essere umani. Non sono sicuro che Platone o Aristotele avrebbero potuto scrivere in qualsiasi luogo tranne la Grecia, o in qualsiasi altro momento diverso da loro. Ma indipendentemente da quella domanda, siamo tutti, nella civiltà globale che è emersa, modellati in una certa misura da loro come dai momenti più alti di tutta la civiltà. Ma ciò non sarebbe potuto accadere senza l’imposizione europea di un sistema globale al mondo, quindi torniamo alla geopolitica. Il mio punto qui è che la geopolitica è molto più complessa e sottile della semplice realtà fisica del globo, ma anche che la sottigliezza del mondo circonda costantemente su quella realtà fisica.

    Più controverso è che sono un determinista. Non credo che siamo modellati semplicemente da montagne e deserti, ma è evidente per me che ognuno di noi è modellato da entrambi i luoghi e dalle forze che emanano da un luogo. Nell’esempio più semplice, la vita di un indiano nato nei bassifondi di Mumbai è profondamente diversa dalla vita di un americano nato in un ricco sobborgo di Dallas come Highland Park. Entrambi sono vincolati. È improbabile che l’indiano diventi partner di un fondo di private equity. È improbabile che Highland Parker diventi un piccolo ladro. Il primo deve ricorrere al suo o ad altri modi di vivere correlati e tutto ciò che conosce, inclusa la cultura del suo quartiere povero, lo conduce lì. Allo stesso modo, Highland Parker vivrà una vita molto diversa. (Certo, dato che il furto fa parte della condizione umana,

    L’esistenza dei bassifondi di Mumbai è modellata dalla terra, dal clima, dal surplus di persone e dall’esistenza minima di risorse. Tutto ciò pone dei limiti alla vita di qualcuno nato lì. L’esistenza di Highland Park è modellata dalla vastità e dalla relativa sottopopolazione del Texas, dal generoso flusso di petrolio e dagli investimenti effettuati nelle infrastrutture del Texas e nell’istruzione superiore a seguito di tale petrolio. Metti quelle condizioni e la ricchezza a Mumbai piuttosto che in Texas, e mentre le due persone potrebbero non cambiare posto, ognuna probabilmente avrebbe una vita diversa. Ai più ricchi piace dire che sei ciò che ti fai. Anche questo non è vero, dal momento che sei circondato non solo dalla ricchezza ma dalle aspettative culturali che ne derivano. Un individuo potrebbe sfuggire al suo destino, ma la probabilità statistica di divergenza è limitata.

    Il luogo in cui sei nato ti permette di scappare. Mentre scrivo, sono a Dubai e sono circondato da una sottoclasse indiana composta da persone che puliscono le camere d’albergo e guidano i visitatori da e per l’aeroporto. Se qualcuno di Highland Park è qui, allora è probabilmente il destinatario dei servizi di questi indiani, come lo sono io. Non so da dove vengano, ma se non proviene dai bassifondi, probabilmente è vicino a loro. Il punto è che anche quando cambi il tuo posto nel mondo, lo cambi nei limiti di chi sei.

    Andre Malraux, lo scrittore francese (e perdonami se mi ripeto, ma lo apprezzo molto), ha detto che gli uomini lasciano i loro paesi in modi molto nazionali. L’espatriato americano che ha imparato il bulgaro perfetto è ancora un espatriato americano che vive in Bulgaria. Puoi riconoscere uno studente americano nel suo ultimo anno all’estero, con la Columbia University blasonata nelle loro anime. Sono nato in Ungheria e quando torno in Ungheria, sciocco mia moglie per la rapidità con cui sono diventato ungherese anche se sono partito da bambino. Gli ungheresi, d’altra parte, sanno con ogni senso che sono americano, e quindi che dovrei essere venduto un diamante falso.

    Il grado in cui le nostre vite e le nostre anime sono modellate da dove siamo nati e dove viviamo è sorprendente. Ho vissuto in un quartiere del Bronx e ho continuato a ottenere un dottorato. I portoricani con i quali vivevo e combattevo per la maggior parte non avevano idea del valore di un dottorato e non desideravano averne uno. Mi mancava la loro comprensione della strada ma avevano altri bisogni, che non riuscivo a capire. Non è ovvio quale fosse più importante. Ma i miei genitori furono modellati dalla prima metà del 20 ° secolo, dalla seconda guerra mondiale e dall’Olocausto. I portoricani furono modellati dai retroscena delle loro famiglie, spesso impoveriti, su un’isola tropicale. La loro immaginazione e appetito erano diversi dal momento della nascita, e così sono andato in un modo e in un altro, e non potevo immaginare nessun altro percorso – con importanti eccezioni da tutte le parti.

    L’idea che il luogo non crei vincoli e imperativi che pochi possono superare è, penso, ingenuo. Questo è il fondamento del determinismo e non abbiamo problemi a immaginarlo nei mercati. In economia, si presume che tu preveda l’appetito o la repulsione di azioni buone o cattive. Ricevo infinite e-mail da consulenti che promettono di rendermi ricco (nota a margine: se qualcuno può accumulare una vasta ricchezza, perché mi sta spingendo per pochi soldi?). L’ipotesi è che i mercati abbiano un certo grado di prevedibilità. Ciò vale anche per l’interruzione del mercato. Il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha capito cosa avrebbe fatto Internet e si è allineato con l’inevitabile.

    Le nostre vite sono piene di previsioni. Quando scendi dal marciapiede con una luce “a piedi”, stai prevedendo che l’auto in avvicinamento si fermerà. Quando scegli la tua professione, stai prevedendo che soddisferà le tue esigenze. Quando sposate il coniuge, lo fate in base alle aspettative di felicità. Il fatto che ciò non si verifichi non cambia il fatto che la previsione è indissolubilmente legata all’esistenza umana.

    L’argomento che sto formulando è duplice. Innanzitutto, è impossibile evitare le previsioni, ma maggiore è il rischio e la ricompensa, più le previsioni devono essere perfezionate. In secondo luogo, dal momento che il comportamento degli stati-nazione può darti la più grande ricompensa o rischio, è indispensabile prevedere il comportamento delle nazioni e perfezionare la previsione in una guida affidabile è indispensabile.

    Sembra impossibile Ma per la maggior parte, l’auto in arrivo si ferma alla luce. La tua lettura della situazione è corretta. Allo stesso modo, sosterrò che è possibile prevedere come si comporteranno le nazioni, se si inizia con una comprensione di come le forze di quella nazione definiranno il comportamento degli individui. Il determinismo geografico può essere una forma di volgarità superficiale. Ma se fa parte di una comprensione generale del modo in cui gli umani vedono il mondo e le loro stesse anime, allora è possibile prevedere il movimento di 330 milioni di persone. Nel prevedere cosa faranno gli Stati Uniti, devi iniziare con il fatto che gli americani sono umani, che differiscono dagli altri umani in base a dove si trovano e che, come tutti gli umani, vivono imperativi e vincoli allo stesso modo.

    Questa è la base del futuro geopolitico e quello che sto facendo. È imperfetto, ma lo sono tutte le cose. Non è una modellazione semplicistica basata sulla geografia. È un tentativo di considerare come la geografia della Grecia abbia forgiato i Greci, come i Greci abbiano creato un momento straordinario nel pensiero umano e come abbiano lasciato il posto a Roma.

    Puoi prevedere, nel complesso e con eccezioni, la traiettoria della vita di qualcuno da dove è nato e da chi è nato. Puoi descrivere ciò in cui crederà, chi amerà e chi odierà. E mettendoli insieme, puoi vederli rompersi sotto pressione o stare a cavalcioni dei loro nemici. Potrebbe non essere perfetto, ma la vita è tutt’altro che casuale.

    Vado da Dubai a Calgary a New York e Istanbul. Sono sicuro che esiste un filo conduttore che lo rende necessario e risale alle tribù Magyar a est dei Carpazi. Lo troverò.

    Sahel! Che fare ora?, di Bernard Lugan

    Riflessioni da un punto di vista transalpino_Giuseppe Germinario

    Nel Sahel, nella stessa settimana, un soldato francese è stato ucciso, gli eserciti del Mali e del Burkina Faso hanno subito diverse gravi sconfitte, perdendo più di cento morti, mentre cinquanta lavoratori civili impiegati in una miniera canadese massacrato in Burkina Faso, un paese in via di disintegrazione. Anche se la Francia annuncia di aver ucciso un importante leader jihadista, la situazione sfugge a poco a poco a qualsiasi controllo.

    La realtà è che gli stati africani in fallimento non sono in grado di difendersi, il G5 Sahel è un guscio vuoto e le forze internazionali schierate in Mali usando la maggior parte delle loro risorse per l’autoprotezione, sul campo, fanno tutti affidamento i 4500 uomini della forza Barkhane.

    oro:
    1) Abbiamo interessi vitali nella regione che giustificano il nostro coinvolgimento militare? La risposta è no
    2) Come condurre una vera guerra quando, per ideologia, ci rifiutiamo di nominare il nemico? Come combattere quest’ultimo, allora, facciamo come se fosse nato dal nulla, non appartenesse a gruppi etnici, tribù e clan ma perfettamente identificati dai nostri servizi?
    3) Quali sono gli obiettivi del nostro intervento? Il minimo che possiamo dire è che sono “fumosi”: combattere il terrorismo attraverso lo sviluppo, la democrazia e il buon governo, mentre ostinatamente, sempre ideologicamente, minano o talvolta rifiutano prendere in considerazione la storia regionale e il determinante etnico che costituisce comunque le sue basi?
    4) Gli stati africani coinvolti hanno gli stessi obiettivi della Francia? È lecito dubitare …

    Il fallimento è quindi inevitabile? Sì, se non cambiamo rapidamente il paradigma. Soprattutto perché l’obiettivo primario del nemico è quello di causarci perdite che saranno sentite insopportabili dal pubblico francese.
    In queste condizioni, come evitare l’imminente disastro?

    Sono possibili tre opzioni:
    – Invia almeno 50.000 uomini sul campo per incrociare e pacificare. Questo è ovviamente del tutto irrealistico perché i nostri mezzi lo vietano e perché non siamo più nell’era coloniale.
    – Piega la nostra forza. Barkhane è in una situazione di stallo con possibilità di manovra sempre più ridotte, soprattutto a causa della proliferazione di mine poste sugli assi di comunicazione richiesti. Ma anche perché ora dedica una parte sempre più importante dei suoi mezzi alla sua autoprotezione.
    – Infine, dai a Barkhane i mezzi “dottrinali” per condurre efficacemente la controinsurrezione. E sappiamo come farlo, ma a condizione di non metterci più in imbarazzo con considerazioni “morali” e ideologiche paralizzanti.

    Questa terza opzione si baserebbe su tre pilastri:

    1) Tenendo conto della realtà che la conflittualità sahelo-sahariana fa parte di un continuum storico millenario e che, come mostro nel mio libro Le guerre del Sahel dalle origini ai giorni nostri, non possiamo ambire con 4500 uomini a dirimere le questioni regionali iscritte nella notte dei tempi.

    2) Dare priorità al focolaio principale del fuoco, vale a dire la questione tuareg che, nel 2011, era all’origine dell’attuale guerra. Infatti, se riusciamo a risolvere questo problema, asciugiamo i fronti di Macina, Soum e Liptako tagliandoli dai settori sahariani. Ma per questo, sarà indispensabile “torcere il braccio” alle autorità di Bamako dando loro un mercato in mano: o fai delle concessioni politiche e costituzionali reali al tuareg che si farà la polizia nella loro zona, oppure noi andiamo e lasciati coccolare per te stesso. Per non parlare del fatto che diventa insopportabile notare che il governo maliano tollera le manifestazioni che denunciano Barkhane come forza coloniale quando, senza l’intervento francese, il tuareg prese Bamako …

    3) Quindi, una volta estinto il focolaio settentrionale e i Tuareg diventeranno garanti della sicurezza locale, sarà quindi possibile affrontare seriamente i conflitti nel sud non esitando a designare coloro che sostengono il GAT (gruppi armati terroristici) e armare e inquadrare coloro che sono ostili nei loro confronti. In altre parole, dovremo operare come gli inglesi hanno fatto in modo così efficace con il Mau-Mau del Kenya quando hanno lanciato contro il Kikuyu, matrice etnica del Mau-Mau, le tribù ostili a queste. Certamente, gli eterici sostenitori dei “diritti umani” urleranno, ma se vogliamo vincere la guerra e prima evitare di dover piangere i morti, dovremo attraversarla. Quindi, tieni presente che, come ha detto Kipling, “il lupo dell’Afghanistan sta cacciando con il levriero afgano”. Non sarà quindi più necessario denunciare le frazioni Fulani e quelle dei loro ex tributari che costituiscono il vivaio di jihadisti. Ma, allo stesso tempo, e ancora una volta, sarà necessario imporre ai governi interessati di proporre una soluzione di uscita ai Fulani.
    Sarà quindi possibile isolare i pochi clan che danno combattenti al “GAT”, che impedirà il contraccolpo regionale. Il jihadismo, che afferma di voler andare oltre l’etnia fondandola in un califfato universale, sarà quindi intrappolato in scontri etno-centrici e potrà quindi essere ridotto ed eradicato. Rimarrà la questione demografica e quella delle elezioni etno-matematiche che ovviamente non possono essere risolte da Barkhane.
    Collocate alla confluenza tra islamismo, contrabbando, rivalità etniche e lotte per il controllo di territori o risorse, le nostre forze colpiscono regolarmente le dinamiche locali e costanti. Tuttavia, il percorso della vittoria passa prendendo in considerazione e usando questi ultimi. Ma è ancora necessario conoscerli …

    Bernard Lugan
    2019/07/11

    David Galula, il teorico della contro-insurrezione, di Driss Ghali

    A proposito di guerre ibride e guerre asimmetriche. Uno scenario attualissimo_Giuseppe Germinario

    David Galula, il teorico della contro-insurrezione

    Driss Ghali è un consulente internazionale. È autore di un libro su David Galula e la teoria della controinsurrezione. Parliamo del pensiero di Galula e di come la sua visione di controinsurrezione possa rispondere alle sfide poste dall’islamismo.

     

    Intervistato da Jean-Baptiste Noé

    David Galula (1919-1967) è poco conosciuto in Francia, ma molto popolare negli Stati Uniti, l’esercito americano lo vede come uno degli strateghi della contro-insurrezione. Durante i suoi vari incarichi, è stato in contatto con diverse guerre di insurrezione, in particolare in Cina e Algeria. In che modo ha contribuito a modellare il suo pensiero?

    Tutto è iniziato in Cina dopo la seconda guerra mondiale. Galula fu inviato lì come deputato dell’addetto militare francese a Pechino. Aveva 26 anni. A quel tempo, la guerra civile tra comunisti e nazionalisti era in pieno svolgimento. Un bel giorno del 1947, Galula prende la sua jeep e parte per una scopa. Alla fine ritorna nella zona comunista, un po ‘senza accorgersene, e viene rapito dagli insorti maoisti. Immediatamente l’ostaggio Galula (che parla il mandarino) simpatizza con il capo dei guerriglieri che lo tratta correttamente e lo fa girare intorno al proprietario. Nota la disciplina dei combattenti comunisti e l’attenzione prestata all’indottrinamento di soldati, quadri, ma anche prigionieri. Osserva inoltre che la popolazione ha obbedito senza lamentarsi e che le strade sono sicure, senza banditismo o ostacoli, a differenza della zona nazionalista. Rilasciato pochi giorni dopo,Mao divora quindi tutto ciò che riguarda i guerriglieri comunisti e di indipendenza (Malesia, Filippine, Indocina, Grecia, tra gli altri).

    Dieci anni dopo, Galula si offrì volontario per comandare una compagnia di fanteria in Algeria. Avrebbe potuto rimanere allo stato maggiore a Parigi, ma ha insistito (infastidendo la moglie) per andare sul campo. Il suo obiettivo finale era quello di testare sul campo le lezioni apprese in dieci anni di osservazione del fenomeno insurrezionale.

    Leggi anche:  La nebbia della guerra. Editoriale del n ° 18

    Qual è la contro-insurrezione di Galula e come ruota la sua teoria sulla sua esperienza vissuta?

    Galula prende la strategia degli insorti al contrario. Capisce che derivano la loro forza e la loro unica possibilità di vincere dalla loro relazione di fusione con la gente. In effetti, gli insorti costringono i civili, con terrore e persuasione, a fornire loro riparo, cibo, denaro e intelligence (anche donne).

    Bene, Galula propone all’esercito di privare l’insurrezione del suo ossigeno, cioè della popolazione. Offre una metodologia pratica ed estremamente chiara per tenere i civili lontano dagli insorti. Si tratta di un programma in tredici passaggi che combina azioni di shock (uccisione o imprigionamento virulento), intelligenza (identificazione della popolazione e identificazione di cellule dormienti) e iniziative politiche (delegando competenze a élite locali).

    Questo è un approccio olistico che va ben oltre il classico ruolo del soldato. Con Galula, la missione dell’ufficiale acquisisce una dimensione politico-amministrativa che ricorda il ruolo di prefetto. L’unica cosa degna di Galula è il terreno umano: quello dell’equilibrio del potere e delle credenze che strutturano una data popolazione.

    Galula testò e adattò le sue teorie in vivo in Algeria tra il 1956 e il 1958. Durante questo conflitto, scoprì che l’esercito non aveva una metodologia unificata di pacificazione, ognuno fece ciò che voleva nel suo angolo. Galula ha formulato una dottrina ancorata al reale e che si basa su un senso comune. Questo rende molto facile l’accesso per i non addetti ai lavori, cinquant’anni dopo.

    Che posto dovrebbe avere la repressione militare e la comunicazione con la popolazione nella controinsurrezione? 

    Vanno insieme. Per Galula, ogni soldato è un comunicatore e ogni contatto con le persone è un’opportunità per comunicare con loro. È fuori discussione parlare male ai civili, flirtare con le loro mogli o usare le famiglie. L’idea di Galula è combinare fermezza ed empatia. Le forze lealiste, dice, devono punire quando necessario, ma in modo proporzionato e prevedibile. A Kabylie, ha pubblicato una sorta di codice penale e ha fatto una grande pubblicità tra la popolazione. Capì che la gente accetta di collaborare con un potere le cui reazioni sono prevedibili in anticipo: odiano i pazzi che per nulla esplodono e si vendicano dei civili. Per Galula, non ha senso distribuire dolci, vaccini o indennità se la popolazione non ha iniziato a obbedire alle forze lealiste. Questi servizi dovrebbero essere visti come una ricompensa in cambio della cooperazione con la forza di pacificazione.

    Quindi vedi che la comunicazione è inseparabile dall’opera militare di pacificazione. Si nutre e vive in modo permanente.

    Galula è andato oltre al punto di proporre un canale radio per i musulmani che trasmetteva in arabo e cabilo. Secondo lui, la comunicazione non dovrebbe essere un tabù: devi parlare la lingua della popolazione target. Radio Galula avrebbe coperto l’Algeria, ma anche la Senna-Saint-Denis, la regione di Lione e il nord della Francia, come molti settori con forte immigrazione algerina. Ti rendi conto? Ha fatto questa proposta nel 1962! Se fosse vivo oggi, avrebbe sollecitato la Francia ad acquistare Al Jazeera o creare una copia che fosse anche di grande impatto e professionale.

    Oggi abbiamo France 24. Parla un arabo caotico che nessuno capisce in periferia … Si rivolge (e lo fa bene, credo) alle élite che vivono nel Maghreb, ma gira le spalle alle masse musulmane situate dall’altra parte della “periferia “. Questi parlano i dialetti Wolof, Kabyle, Maghrebi e il francese. Galula avrebbe creato una web-TV in ciascuna delle sue lingue e adattato la loro linea editoriale all’universo mentale delle popolazioni target.

    Galula morì molto giovane di un cancro veloce. Per quarant’anni, le sue tesi sono state dimenticate e i suoi scritti sono stati dimenticati. Perché è tornato all’inizio degli anni 2000?

    La risposta porta un nome: il divino “Baraka”.

    Più seriamente, Galula esce dall’oblio grazie al lavoro di una manciata di ufficiali e ricercatori americani estremamente curiosi della RAND Corporation. Finirono per presentare le idee di Galula al generale David Petraeus che, nel 2005, aveva appena preso il comando di un centro di eccellenza dell’esercito (Fort Leavenworth, Kansas). Riattaccò immediatamente e decise di includere gli scritti di Galula nella dottrina insegnata ai cadetti degli ufficiali!

    Il fatto che i due libri principali di Galula siano stati scritti in inglese ha avuto un ruolo decisivo in questo risveglio. Petraeus è anche un francofilo, un ex paracadutista che ammira Bigeard . Ha trovato a Galula un quadro teorico che gli ha permesso di scrivere le sue intuizioni sulla guerra degli insorti. Infatti, Petraeus ha toccato quest’area in Bosnia, Haiti e in America Centrale.

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    Di fronte al terrorismo islamista oggi, quali potrebbero essere le soluzioni derivate dal pensiero di Galula per combatterlo e conquistarlo?

    Se Galula fosse vivo, sarebbe sgomento per la nostra triplice negazione.

    Prima di tutto, ci rifiutiamo di ammettere che siamo in guerra. Quindi ci rifiutiamo di nominare il nemico. Ci perdiamo tra salafiti, jihadisti, takfiristi, islamisti e altri wahhabiti. Di conseguenza, stiamo combattendo la guerra contro il terrorismo, vale a dire una metodologia e non nemici, il che è ridicolo. Infine, non conosciamo la natura di questa guerra che è insurrezionale. Crediamo ingenuamente che i nostri droni e sottomarini ci possano essere utili contro Merah, Abdeslam o Mokhtar Bel Mokhtar (aka Marlboro ).

    L’unica cosa che conta è la popolazione, contiene la chiave per la vittoria. Quando verrà il giorno, lo consegnerà alle forze lealiste (diciamo che la Francia e i suoi alleati vanno veloci) o agli islamisti.

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    La guerra di insurrezione non è principalmente una questione di volontà delle persone e non di mezzi tecnici? Saranno le persone a guidare un occupante o una festa per prendere il potere? In questo caso, come dare la volontà di superare l’islamismo alle popolazioni musulmane che soffrono?

    Hai ragione. Alla gente non piace essere occupata e dominata dagli stranieri. È vecchio come il mondo. Tuttavia, a volte si scopre che gli stranieri sono guerrieri migliori dei locali al punto di sottomettersi e vivere in mezzo a loro. Questo è esattamente ciò che è accaduto in Iraq tra il 2003 e il 2008, quando i combattenti stranieri di Al Qaeda hanno messo sotto tutela le aree tribali sunnite attorno a Ramadah e Fallujah. La stessa cosa accade oggi quando i combattenti arabi si trasferiscono nel nord del Mali per fare jihad. Alla gente non piacciono, ma preferiscono sottomettersi a loro per salvare la vita. Sii consapevole della facilità con cui Gao e Timbuktu sono stati portati! Ci vogliono solo cento ragazzi per dominare una città e immergerla nella barbarie.

    Galula offre i mezzi per liberare una popolazione dalla morsa del violento, perché da sola non ci riuscirebbe.

    Hai anche ragione nel porre la domanda sulla “volontà” delle popolazioni musulmane di sconfiggere l’islamismo. Hanno davvero la volontà? Voglio dire che la jihad fa parte della grammatica della storia dei paesi musulmani. Per noi musulmani è il nostro modo di rinnovare le élite senza inventare ideologie su misura. Questo è un modo a basso costo per provocare cambiamenti. Non c’è bisogno di inventare l’Illuminismo o aspettare che Rousseau o Voltaire si mettano in moto: la jihad è disponibile sullo scaffale per 1400 anni.

    Nel Maghreb, ad ogni grande cataclisma politico, troverai sempre una chiamata alla jihad per scacciare la dinastia “empia” o per sottomettere i vicini “eretici”. Anche in Africa nera, il jihad è stato utilizzato per sconvolgere gli equilibri politici (Imamate Fouta Jalon in Guinea, XVIII ° secolo).

    La buona notizia è che il ricorso alla jihad è ciclico. Siamo certamente al culmine, al massimo della spinta. Ci sarà un reflusso. Uno buono è quello che saprà quando si verificherà questo reflusso. Sfortunatamente per noi, questo picco coincide con l’esplosione demografica. La Jihad può contare su decine di milioni di giovani scontenti e desiderosi di combatterla.

    Per le élite dei paesi musulmani, due scelte sono presentate secondo la mia modesta opinione. Diventa opportunisticamente islamista per evitare che il potere cada nelle mani degli estremisti o per produrre un’alternativa al discorso jihadista. Tuttavia, questa alternativa non esiste, perché le élite del Sud hanno peccato per pigrizia e conformismo dall’indipendenza degli anni 1950-1960. Non hanno nulla da opporsi al discorso jihadista se non un vago progetto neoliberista o una sorta di nazionalismo sbiadito.

    Pochi paesi musulmani hanno la possibilità di uscire. Tra questi, il Marocco. Non lo dico perché sono nato lì o perché Galula è cresciuto lì, ci credo profondamente. La società marocchina ha inventato i propri meccanismi di difesa contro il jihadismo. Lo ha fatto spontaneamente nel corso dei secoli. Abbiamo creato un Islam popolare e radicato nelle nostre terre. Mi riferisco all’Islam dei Marabouts, un Islam che unisce il femminile, quello di mia nonna che occupa letteralmente il mausoleo di un santo per pregare e pregare per giorni. È un atto rivoluzionario quando sappiamo che le donne sono nascoste nelle moschee (occupano uno spazio separato, lontano dalla vista degli uomini). L’Islam di Maraboutique è genuino e intenso, prende in giro il jihadismo e le sue storie kamikaze.

    Un simile Islam esiste sicuramente in Senegal, quello delle grandi confraternite. Deve essere aiutato a sopravvivere e prosperare. È l’unica linea di difesa contro il jihadismo nell’Africa occidentale.

    Chiedete cooperazione tra nord e sud. Questa politica è stata provata per diversi decenni e non sembra davvero avere successo. Quali sarebbero le condizioni affinché la cooperazione sia efficace?

    In ogni caso, l’Europa non ha altra scelta. Corre davvero il rischio di essere circondata da una cintura di teocrazie sul suo fianco meridionale. In questo caso, sarà necessario dimenticare le vacanze a Ibiza o in Grecia. Domani, i gommoni dei contrabbandieri saranno sostituiti da veloci corazzati che sbarcheranno sulle spiagge europee per consegnare droga, rimuovere le donne e commettere attacchi. E i nostri sistemi di rilevamento elettronico non faranno nulla. Guarda come l’Europa (con tutto il suo denaro e la sua tecnologia) sta lottando per rilevare i traballanti traffici che lasciano la Libia con tempo sereno e mare calmo …

    Secondo me mancano due cose a questa cooperazione Nord-Sud: un po ‘più di Serieux e un po’ più di Amore.

    graveè riconoscere che l’islamismo occupa tutti gli spazi lasciati dalle élite meridionali. Ha invaso il campo sociale (scuole materne, cliniche) e poi le scuole e oggi prospera nei media e nei sindacati professionali (giornalisti, medici, ingegneri, tra gli altri). Non ha senso organizzare grandi conferenze a Nizza o Zurigo se le élite meridionali non sono preparate a resistere allo scontro dell’islamismo. Non abbiamo bisogno di un equivalente di Ghandi nel Maghreb, ma di diversi Reagan che combinano carisma naturale e volontà di lottare per le idee. La priorità per l’Europa è di armare le élite del sud affinché siano più robuste, più aggressive e soprattutto rimangano sul posto. Oggi, una parte significativa del Maghreb e dell’intelligence saheliana vive a Ginevra, Londra e New York. Non è così che vinceremo la battaglia contro l’islamismo!

    Infine, ci vuole amore. Continuiamo a parlare di sicurezza e immigrazione. Parliamo di prosperità. Nella pulsione di morte che è l’islamismo, opponiamoci a una pulsione di vita! Non vedo l’ora di aprire un arco di prosperità che andrà da Dakar a Lisbona passando per Algeri e Madrid. Un paese come il Marocco ha tutto in comune con il Senegal o il Portogallo mentre non ha quasi nulla da dire all’Estonia o alla Finlandia. Tuttavia, l’Unione Europea richiede ai paesi del fianco meridionale (Francia, Spagna, Italia, ecc.) Di sottoporsi a procedure e politiche che guardano ad est (vale a dire verso l’entroterra tedesco). ). Faccio la domanda: è tempo di liberarsi dalle catene dell’UE? Penso di sì, sì. Non sto chiedendo di smantellare l’UE,

    LA LOTTA CONTRO L’EVASIONE FISCALE, di Piero Visani

    LA LOTTA CONTRO L’EVASIONE FISCALE

    Dai telegiornali di stasera, si apprende che, tra i più significativi titolari di conti “off-shore” alle Isole Cayman, vi sono la Regina Elisabetta II d’Inghilterra, la regina Rania di Giordania, George Soros, e illustri rappresentanti della lotta per la riduzione delle disuguaglianze e l’incremento del “buonismo” nel mondo come Bono Vox degli U2, Madonna e altri.
    Nella mia ingenuità, pensavo che tra questi “evasori” vi fossero soprattutto operai della FCA, titolari di piccole e medie imprese vessati da un fisco di rapina, pensionati e chissà chi altri. Del resto è semplice, specie se si è a basso o bassissimo reddito (o anche a medio): uno dice in famiglia che deve fare un piccolo prelievo e il giorno dopo è alle Cayman, poi rientra rapidamente, ovviamente con non più di diecimila euro…
    Ogni volta che incappo in qualche coglione (perdonate il francesismo, ma talvolta è necessario) che mi parla di lotta all’evasione, amerei farlo riflettere su questi piccoli particolari, ma – lo so – è del tutto inutile. E’ come chiedergli che se la prenda con quei banchieri che hanno rovinato centinaia di risparmiatori che si erano fidati di loro.
    Ecco, fiducia è la parola chiave: non fidatevi mai dei moralisti, da qualunque parte provengano. Lasciate spazio al peccato, quello è umano, troppo umano, ma come tale funziona egregiamente…

    requiem di una nazione, di una industria e di una città_di Giuseppe Germinario

    Oggi, 4 novembre, Arcelor Mittal ha comunicato il recesso dal contratto di affitto e di acquisto delle attività industriali dell’ILVA di Taranto. Una decisione di fatto irreversibile se non a costo di una vera e propria andata a Canossa dle Governo, sempre che Arcelor non abbia ormai deciso di giocare su più tavoli nel teatro europeo. È l’annuncio di un disastro immane per il paese le cui implicazioni sono ancora difficilmente calcolabili nella loro integrità.

    https://www.corriere.it/economia/aziende/19_novembre_04/ilva-lettera-recesso-arcelor-mittal-a1e4dbee-ff23-11e9-aa9d-60f7e515e47b.shtml

    Sono in tanti certamente a rallegrarsi se, come ormai altamente probabile, tale decisione dovesse essere messa in atto:

    • Lo sono i paesi europei che avrebbero dovuto, per prescrizione comunitaria, ridurre le proprie quote di produzione dell’acciaio e che, con il tracollo dell’industria siderurgica italiana, poterebbero vedersi riattribuire importanti quote di produzione
    • Lo sono coloro che hanno ben presente il valore geopolitico e militare del golfo e dei due mari di Taranto e che vedono nella disponibilità di nuovi spazi la possibilità di estendere la presenza militare, in particolare aereonavale, in quelle acque e in quelle rade
    • Lo sono i profeti dell’ambientalismo che vedono la possibilità di costruire sulle ceneri dell’industria di base una economia ecologicamente compatibile fondata su economia circolare, sul turismo e sull’industria leggera, le ultime due ancora tutte da programmare ed edificare, ammesso e non concesso il realismo e la fattibilità di queste mere intenzioni

    La soddisfazione dei primi due poggia su visioni e interessi concreti, quella dei secondi su mere illusioni. Tutti e tre sulle disgrazie e sulla condanna al declino di una nazione, di una industria e di una provincia.

    Le frotte di lobbisti d’oltralpe saranno già pronte ad occupare i corridoi di Bruxelles per appropriarsi delle quote di acciaio lasciate a disposizione da ILVA e dalla magnanimità dei governi italiani. I quartier generali della NATO di sicuro avranno già pronti i piani di utilizzo di quelle aree così prossime ad aree cruciali di confronto geopolitico; nuove pedine da muovere nelle loro scacchiere.

    Gli unici ad accontentarsi delle proprie illusioni e a rimpinzare di illusioni parte della popolazione sono gli integralisti dell’ambientalismo.

    Non hanno compreso, o non vogliono comprendere, che una economia equilibrata e in sviluppo non può accontentarsi di sola agricoltura e di solo turismo; che qualsiasi industria, compresa quella leggera più avveniristica, non può fare a meno di una industria di base e pesante. Costoro ignorano le dimensioni del feroce scontro politico che portò alla costruzione dell’industria di base e dell’energia negli anni ’50, alla base dello sviluppo economico del paese; non comprendono l’importanza della sua difesa e sviluppo nel garantire il minimo necessario di autonomia politica e sovranità decisionale di una nazione. Aspetto ben presente invece nella testa delle classi dirigenti dei paesi emergenti e di quelli intenzionati a ricollocarsi nell’agone geopolitico. La stessa questione ambientale trova migliori possibilità di essere affrontata con la presenza e la ricchezza economica e del tessuto sociale garantita da importanti insediamenti industriali. I nostri paladini dell’ambiente credono veramente che una volta dismessi gli impianti, saranno finalmente disponibili quelle risorse necessarie per bonifiche ambientali costosissime in ordine di tempo e denaro? Gli esempi, tra i tanti, di Marghera, dell’Italsider di Napoli, di Gela, di Gioia Tauro dovrebbero far insinuare qualche dubbio in quelle menti sulla corrispondenza tra i loro propositi e la realtà storica e fattuale. Se non si è capaci di lottare per un ambiente migliore in una realtà industrialmente sviluppata, rendendo più compatibili ad esso le attività umane, come lo si potrebbe in un’area socialmente depressa e soggetta alle peggiori servitù, comprese quelle militari?

    Le debolezze intrinseche di un movimento non si risolvono con gli ululati alla luna! Si risolvono nella funzione di “utili idioti” per disegni e strategie al di fuori della loro portata e comprensione. Prova ne è che i problemi ambientali di Taranto non dipendono unicamente dall’impianto siderurgico.

    Un gioco e una trappola nei quali sono caduti o ai quali partecipano attivamente anche settori della magistratura e del ceto politico locale e della Regione Puglia; con un epilogo tragico e drammatico per le sorti di quell’area e della nazione intera; della stessa filiera dell’acciaio in Italia e in propsettiva dell’industria meccanica.

    Un epilogo però largamente prevedibile, affatto inatteso; frutto delle politiche sconsiderate di dismissione delle partecipazioni statali, soprattutto in assenza di una imprenditoria privata storicamente incapace di subentrare con una qualche serietà nella gestione e proseguite vieppiù in una deriva di carattere predatorio e di svendita del controllo delle leve fondamentali; proseguita poi con l’affidamento alla famiglia Riva e la loro discutibile espropriazione senza futuro e conclusa con l’affidamento a gruppi esteri soggetti a ben altri controlli politici. La contrapposizione tra ambientalismo e sviluppo industriale è solo il frutto avvelenato della insipienza e della abdicazione di una classe dirigente. Una contrapposizione che non tarderà a manifestarsi purtroppo anche nelle piazze; su questo anche il gruppo dirigente sindacale ha responsabilità pesantissime.

    Romano Prodi ce lo ha ricordato in questi giorni: sapeva benissimo, assieme a Draghi e Ciampi, cosa stava facendo negli anni ’90 ai danni del paese. I nostri campioni tutti di un pezzo, però, hanno confuso il coraggio con l’obbedienza supina a ordini superiori e i cantori odierni hanno ancora il coraggio e la sfrontatezza di celebrarli come eroi e futuri condottieri. I loro epigoni, attualmente ben rappresentati nel Governo Conte, a cominciare dall’avvocato del popolo e dal commesso viaggiatore della Farnesina, ne sono solo gli esecutori e liquidatori più stupidi ed arruffoni, intenti a contrabbandare la loro sopravvivenza elettorale, forse addirittura nei sondaggi, con le sorti del paese.

    In Europa e nel mondo ormai conoscono bene la nostra classe dirigente. Il settimanale francese Marianne l’ha definita insignificante. Una analoga consapevolezza dovrebbe sorgere in tempi rapidi anche nel nostro paese, pena l’impossibilità definitiva di poterne costruire l’embrione di una nuova capace quantomeno di individuare gli interessi forti di una nazione, di difenderli e di costruire intorno ad essi un blocco ed una formazione sociale più equilibrata e dinamica. In Italia purtroppo non esistono “poteri forti” checché ne pensi Di Maio, Conte e compagnia bella e quel poco che c’è lo stanno demolendo allegramente.

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