Intervista dal fronte_a cura di Max Bonelli

Mariupoli la  lotta tra il bene ed il male

 

Effettuo la traduzione di una intervista ad un combattente russo di Mariupoli. Tra i tanti scritti, articoli che ho tradotto in questi giorni, questo mi ha colpito per l’intensità e la stridente contronarrazione alle vulgate delle nostre televisioni atlantiste

Buona lettura,

Max Bonelli

 

 

Ripulire la città dai nazisti dell’Azov è un lavoro duro ed estenuante. Sei in tensione selvaggia tutto il giorno. Capisci perfettamente che puoi diventare una facile preda per un cecchino, quindi corri tra le case, piegandoti e incassando la testa nelle spalle.  il gioco mortale tra gatto e topo. Indossi un elmetto in Kevlar, un’armatura, munizioni. Ognuno di noi è magro come un lavabo ma  le gambe di tutti sono come quelle di atleti sollevatori di pesi.  Ti senti più calmo sotto la copertura di un carro armato o di un’altra armatura. Prima di correre dall’altra parte della strada, si “scansionano” tutti i grattacieli.

 

Tutto ruota intorno alla lotta contro i cecchini. Hanno un cecchino scalatore. Si piazza al quinto e sesto piano. E poi scende rapidamente tramite la corda e scappa fino a quando non è scoperto da un carro armato, mortaio o fuoco di artiglieria. I lanciatori di granate dell’AGS hanno imparato a inviare granate direttamente in finestre specifiche.  Abbiamo ragazzi che hanno operato in Medio Oriente contro  l’ISIS e sono tornati vittoriosi. A Mosul una città di più di un milione di abitanti L’ISIS ne aveva  fatto un’area fortificata. Così gli americani la martellarono asfaltandola,  con il fuoco dell’artiglieria. Per un membro dell’ISIS, potevano uccidere  un centinaio di civili.

Noi invece lavoriamo in modo mirato. Ecco perché è difficile. I  carri armati, lavorano solo sui punti di fuoco di cecchino identificati – se non lo   centriamo, seppelliamo comunque il tiratore sotto le macerie.

La verità è molto diversa da quella che raccontano gli ucraini. Diversi gruppi di cecchini buriati e  tuvani (popolazioni della siberia) sono tra noi. C’è anche un Khanty del distretto di Khanty-Mansiysk. Cacciatori da generazioni  Molti sono passati attraverso la Cecenia, l’Ossezia, la Siria… Ma dicono che Mariupol è qualcosa di speciale. Vedere un cecchino nella finestra o nella soffitta di un grattacielo distrutto è estremamente difficile. Passano ore a fissare le case – attraverso un binocolo, in una termocamera e con i propri occhi. Dopo due o tre giorni, gli occhi si infiammano, i volti diventano rossi – come da una costante mancanza di sonno. Li spalmano con un po ‘di grasso di cervo. I cecchini delle Forze per le operazioni speciali  lavorano con loro. I loro fucili perforano le pareti. Nel muro dopo il colpo – buchi delle dimensioni di un piatto…

In generale, nel nostro plotone, un terzo dei ragazzi ha cognomi ucraini. Dicono “ puliamo il nostro paese dagli spiriti maligni.” Ci sono quelli nati sotto l’Unione Sovietica – quelli che sono nati in Ucraina, Moldavia, Kazakistan. Le milizie russe in generale sono un’internazionale completa. Russi, ucraini, abkhazi, daghestani. Ci sono molti caucasici in generale. I combattimenti sono il loro elemento. Nella guerra, incrociamo costantemente i ceceni di Kadyrov. A volte loro ci aiutano, a volte noi aiutiamo loro. All’inizio, hanno mostrato uno sfacciato disprezzo per la morte. Poi sono diventati più attenti. La guerra è posizionale. Non c’è combattimento con il pugnale qui, gli attacchi di cavalleria non passano. Puoi diventare una facile preda per un cecchino o un mortaio. I banderiti, tra l’altro, hanno anche ceceni. Ma i nostri li chiamano “Satanisti di lingua cecena”. Li abbiamo raggiunti tramite comunicazione. Vieni fuori, gli dicono, una volta, non spareremo – combatteremo con i pugnali come uomini. Non sono usciti.

Tra le truppe di montagna  quelli più anziani –  hanno combattuto nella prima guerra cecena. E ora stanno combattendo i Banderisti insieme ai ceceni.

Adesso sono Fratelli in Armi. Il nostro odio per i Banderisti è reciproco in maniera  assoluta. Li distruggeremmo tutti con l’artiglieria in un’ora. Ma si nascondono dietro le spalle dei civili. Non lasciano entrare le persone nei corridoi umanitari che abbiamo aperto e strillano al mondo intero che i civili stanno soffrendo per gli occupanti.

Non c’è logica, nessun significato, nessuna idea alta nelle loro azioni. Tutto è costruito su bugie – sia per il clown Zelensky che per se stessi. Ci accusano costantemente di ciò che fanno loro stessi. Bugie, bugie, bugie.

Anche i ceceni vogliono distruggere i neonazisti. Furono i ceceni a carpire il maggior numero di nazisti che cercarono di lasciare la città insieme ai civili lungo il corridoio umanitario. Per prima cosa hanno controllato le spalle – erano contusi dal rinculo del calcio del fucile. Poi controllavano i segni di ginocchiere sulle mie ginocchia. E il casco lascia una striscia rossa sulla testa. Alcuni sono stati persino annusati. Se una persona spara molto, sente odore di polvere da sparo e olio per pistole. Il mestiere del militare militare è una corsa con lo zaino, rimangono tracce sui fianchi. Potrebbe esserci un callo sul pollice dal caricamento del caricatore con le cartucce. Di solito sono tutti leggermente piegati. Sul petto, le munizioni sono costantemente appese. E questo a volte sono più di mille colpi di munizioni. Ci sono segni  sulle spalle. Ci sono molte sfumature e segni che un militare trova..

In generale, i soldati di vecchia data gli” highlander “hanno una sorta di intuizione animale per il nemico. Lo sentono con la loro pelle. Indagano con gli occhi su una persona e aspettano che distolga lo sguardo. E i Banderisti non guardano negli occhi. A loro non piace affatto uno sguardo diretto e dal modo in cui reagisce alla presa , il nemico si sente.  Molti hanno tatuaggi sulle spalle. O una traccia di  acido.per cancellarlo.

Quando i civili furono portati fuori dalla città, non ebbero nemmeno la forza di gioire. Devastati totalmente. Quasi come zombie. Gli occhi di molti sono neri, devastati. Guardano come se fossero sull’abisso. Mi sembra che sia così che i prigionieri dei campi di concentramento non hanno avuto la forza quando i nostri soldati li hanno liberati. Molti sono sull’orlo della follia o di un esaurimento nervoso. Gli anziani che avevano tutti i tipi di piaghe, non appena escono dagli scantinati, muoiono di stress. Sono sepolti proprio in città. I vicini di solito li seppelliscono. Mariupol è costellata di queste fosse comuni.

Dopo aver continuato a correre per la città e sparare, si arriva alla sera morto di fatica. Pensi che oggi questo brutto sogno sia finito. Domani ricominceremo a dare veleno ai bastardi. Ed eccoci qui ad aspettare interi branchi di cani e gatti abbandonati. Si siedono e aspettano che i combattenti condividano la razione secca.  Sta scritto : “Condividi con  creatura di Dio”.

L’altro giorno è apparsa una gatta incinta. Strisciava, tremava, graffiava il terreno con i suoi artigli e urlava. Il cibo per i gattini è necessario in modo catastrofico. Le ho dato uno stufato. Tutti gli altri cani e gatti che erano in giro non si muovevano nemmeno. Anche se affamati non meno di lei. Anche la bestia capisce che una femmina incinta non può essere offesa. Ha mangiato tutto lo stufato e ha iniziato a leccare la mia scarpa polverosa. Il suo modo di dire “Grazie”. Le abbiamo fatto un “divano” nella scatola delle munizioni. Un piccolo ospedale di maternità felina da campo.

“Lascia che i tuoi gattini nascano”.

Abbiamo davvero bisogno di sostegno e comprensione; sentire che tutta la Russia è dietro di noi. E quando i ragazzi ci hanno mandato la canzone “We bite into Mariupol” – il nostro morale è andato alle stelle.

Chi ha scritto la canzone. Ha fatto una bella cosa, parla noi. Avevo una aureola proprio sopra la mia testa dopo averla ascoltata. Stiamo facendo un ottimo lavoro qui. Insieme, il mondo intero – cristiani, musulmani, buddisti. Salviamo la Russia. Solo questo pensiero ci mantiene in buona forma e non ci permette di rilassarci. Il Signore ci rispetta. Questo è quello che stiamo facendo qui. Quando morirò – ricorderò come abbiamo preso Mariupol.

Sergej Afonin

 

 

 

 

la grande strategia degli Stati Uniti dopo l’Ucraina_1a parte, a cura di Giuseppe Germinario

A partire dalla proposta-ultimatum di trattato di novembre scorso presentata da Lavrov a novembre scorso, i redattori di Italia e il Mondo hanno colto immediatamente, tra i primi in Italia, se non proprio i primi, il punto di svolta che rappresentava quel passo diplomatico. Da allora, assieme alle nostre considerazioni, ci siamo premurati di rappresentare le diverse posizioni dei tre principali attori strategici dello scacchiere geopolitico evidenziando soprattutto il dibattito esplicito in corso negli Stati Uniti, riflesso del violento scontro politico presente da anni in quel paese. Una schiettezza del tutto assente nel panorama politico europeo, ottenebrato dal conformismo, dal servilismo sino ad arrivare a forme sempre più esplicite di censura delle posizioni divergenti. Non solo! La maggior parte dei nostri interventi sono partiti dal ruolo determinante assegnato alle dinamiche interne alla vita politica interna e alle lotte di potere statunitensi nel tracciare le dinamiche geopolitiche. Questa volta allargiamo ulteriormente la platea di osservazione presentando alcuni articoli della componente dominante dei centri decisori statunitensi. Chi avrà seguito il blog in questi cinque anni saprà discernere gli elementi di analisi dalle distorsioni propagandistiche ed ideologiche che informano il contenuto di questi brevi articoli e trarre utili elementi di analisi e considerazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

L’invasione russa dell’Ucraina è vecchia di quasi un mese e definirlo un cambiamento epocale sembra già un cliché. È la prima guerra di aggressione totale in Europa dal 1945. La Cina sembra avvicinarsi a una Russia ferita. Gli Stati Uniti e i loro alleati non sono stati così uniti da decenni, con persino la Germania che si è resa conto della necessità di riarmarsi.

Ora, lo shock della guerra ha costretto l’amministrazione Biden a riscrivere il suo progetto di sicurezza nazionale. La strategia di difesa nazionale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che delinea l’approccio degli Stati Uniti alle sfide di sicurezza a lungo termine, era originariamente prevista per l’uscita a febbraio; ora è stato ritardato fino a nuovo avviso. Quando verrà pubblicata la versione rivista del più importante documento sulla sicurezza di Washington, dovrà riflettere nuove realtà: l’aggressione russa ha cambiato radicalmente la sicurezza europea in modi che non sono ancora chiari mentre la guerra si trascina, anche a causa dell’incertezza sulla misura in cui il conflitto avvicina Pechino a Mosca. Cosa c’è di più,

In che modo la guerra cambierà la grande strategia statunitense, che fino a un mese fa sembrava quasi interamente incentrata sulla Cina e sull’Indo-Pacifico? Abbiamo chiesto a sette eminenti pensatori di politica estera di intervenire.— Stefan Theil, vicedirettore

Consegna la sicurezza europea agli europei

Di Stephen M. Walt, editorialista di Foreign Policy e professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard

Per più di un secolo, la grande strategia degli Stati Uniti si è concentrata sull’aiutare a mantenere favorevoli equilibri di potere in Europa, Asia orientale e, in misura minore, nel Golfo Persico. L’ascesa della Cina è la più grande sfida a lungo termine alla capacità degli Stati Uniti di mantenere queste favorevoli configurazioni di potere, e la brutale invasione russa dell’Ucraina non cambia questo fatto. Guardando al futuro, l’amministrazione Biden non dovrebbe permettere agli eventi scioccanti in Europa di distoglierla dal compito più ampio di ricostruire le forze in patria e bilanciare il potere cinese all’estero.

Ben intesa, la guerra in Ucraina mostra che per l’Europa assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza non è solo auspicabile ma fattibile. La guerra è stata un campanello d’allarme per gli europei che credevano che una guerra su larga scala nel loro continente fosse stata resa impossibile da norme contro la conquista , le istituzioni internazionali, l’interdipendenza economica e le garanzie di sicurezza degli Stati Uniti. Le azioni della Russia ci ricordano brutalmente che l’hard power è ancora di vitale importanza e che il ruolo che l’Europa si auto-attribuisce come ” potenza civile ” non è sufficiente. I governi da Londra a Helsinki hanno risposto con vigore, smentendo le previsioni secondo cui la “cacofonia strategica” in Europa impedirebbe al continente di rispondere efficacemente a una minaccia comune. Anche la Germania pacifista e postmoderna sembra aver ricevuto il memorandum.

La guerra ha anche messo in luce le persistenti carenze militari della Russia. Nonostante mesi di pianificazione e preparazione, l’invasione russa dell’Ucraina, molto più debole, è stata una debacle imbarazzante per il presidente russo Vladimir Putin. Non importa cosa possa sperare, ora è ovvio che la Russia semplicemente non è abbastanza forte per ripristinare il suo ex impero, e lo sarà ancora meno quando l’Europa si riarmarà.

Inoltre, anche se le tattiche brutali della Russia ei numeri superiori alla fine costringeranno l’Ucraina a capitolare, il potere di Mosca continuerà a declinare. Né l’Europa né gli Stati Uniti torneranno agli affari come al solito con la Russia finché Putin rimarrà al potere e le sanzioni ora in vigore ostacoleranno l’economia russa malconcia negli anni a venire. Sostenere un regime fantoccio a Kiev costringerebbe la Russia a mantenere molti soldati infelici sul suolo ucraino, affrontando la stessa ostinata ribellione che tipicamente incontrano gli eserciti di occupazione. E ogni soldato russo schierato nella polizia di un’Ucraina ribelle non può essere usato per attaccare nessun altro.

La conclusione è che l’Europa può gestire da sola una futura minaccia russa. I membri europei della NATO hanno sempre avuto un potenziale di potere latente di gran lunga maggiore della minaccia al loro est: insieme, hanno quasi quattro volte la popolazione russa e più di 10 volte il suo PIL. Anche prima della guerra, i membri europei della NATO spendevano ogni anno da tre a quattro volte tanto per la difesa rispetto alla Russia. Con le vere capacità della Russia ora rivelate, la fiducia nella capacità dell’Europa di difendersi dovrebbe aumentare considerevolmente.

Per questi motivi, la guerra in Ucraina è un momento ideale per muoversi verso una nuova divisione del lavoro tra gli Stati Uniti ei suoi alleati europei, in cui gli Stati Uniti dedicano attenzione all’Asia e i suoi partner europei si assumono la responsabilità primaria della propria difesa. Gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare la loro opposizione di lunga data all’autonomia strategica europea e aiutare attivamente i loro partner a modernizzare le loro forze. Il prossimo comandante supremo alleato della NATO dovrebbe essere un generale europeo, ei leader statunitensi dovrebbero considerare il loro ruolo nella NATO non come primo soccorritore ma come difensore dell’ultima risorsa.

Il passaggio della sicurezza europea agli europei dovrebbe avvenire gradualmente. La situazione in Ucraina è ancora irrisolta e le capacità di difesa europee non possono essere ripristinate dall’oggi al domani. A lungo termine, anche gli Stati Uniti, la NATO e l’Unione Europea dovrebbero adoperarsi per costruire un ordine di sicurezza europeo che non escluda la Russia, sia per rafforzare la stabilità in Europa sia per allontanare Mosca dalla sua crescente dipendenza dalla Cina. Questo sviluppo deve attendere una nuova leadership a Mosca, ma dovrebbe essere un obiettivo a lungo termine.

Dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti sono stati sviati in una costosa cosiddetta guerra al terrorismo e in uno sforzo maldestro per trasformare il grande Medio Oriente. L’amministrazione Biden oggi non deve commettere un errore simile. L’Ucraina non può essere ignorata, ma non giustifica un più profondo impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa una volta risolta l’attuale crisi. La Cina rimane l’unico concorrente alla pari e affermare che la concorrenza con successo dovrebbe rimanere la massima priorità strategica degli Stati Uniti.

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La guerra economica ha cambiato per sempre il toolkit strategico

Di Shannon O’Neil, vicepresidente, vicedirettore degli studi e ricercatore presso il Council on Foreign Relations

La guerra di conquista e distruzione della Russia in Ucraina potrebbe tornare al brutale passato dell’Europa del 20° secolo, ma gli Stati Uniti e i loro alleati hanno risposto con una risposta distintamente del 21° secolo quando hanno imposto sanzioni economiche e finanziarie senza precedenti, fornendo anche una certa quantità di tradizionali aiuto militare. Non è stata solo una risposta calibrata per evitare l’escalation con un’energia nucleare, ma anche un audace esperimento per rompere i secoli di come sono state combattute le guerre e definito lo status di grande potenza. Piuttosto che l’occupazione fisica, l’approccio degli Stati Uniti è la sottomissione finanziaria e la distruzione economica. È un assedio virtuale piuttosto che reale, ma l’obiettivo è lo stesso: costringere la Russia alla sottomissione.

Ciò potrebbe cambiare per sempre il kit di strumenti di politica estera degli Stati Uniti, con profonde conseguenze per la prospettiva strategica di Washington.

L’esito, ovviamente, è incerto. L’uso passato delle sanzioni raramente, se non mai, ha portato a un cambio di regime o ha posto fine alle guerre. Come tutti possiamo vedere in Ucraina, anche le sanzioni massicce devono ancora ottenere vittorie riconoscibili. L’Occidente scoprirà che le sanzioni non sono prive di ricadute e persino vittime. Le carenze e i picchi di prezzo indotti dalle sanzioni danneggeranno le economie degli Stati Uniti e dell’Europa. I civili, specialmente nei paesi più poveri del mondo, potrebbero morire mentre i prezzi del cibo salgono alle stelle e le case diventano insopportabilmente calde o fredde quando viene a mancare l’elettricità.

Ma se gli Stati Uniti prevarranno – e la battaglia economica costringerà il presidente russo Vladimir Putin a ritirare il suo esercito o addirittura a perdere il potere – fondamentalmente riformuleranno la grande strategia, la natura delle alleanze e la gerarchia delle grandi potenze fino al 21° secolo. Riaffermerà il dominio degli Stati Uniti con un nuovo mezzo di egemonia. Dissuaderà gli altri aggressori quando si renderanno conto che hanno poco modo per proteggersi dalle devastanti ricadute della guerra economica e finanziaria. Farà presagire un nuovo tipo di corsa agli armamenti non militari, in cui le nazioni competono per creare i propri sistemi e blocchi commerciali regionali, riconfigurando l’equilibrio del potere economico. In definitiva, la guerra della Russia in Ucraina ridefinirà cosa significa essere una grande potenza e la natura dei conflitti a venire.

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Mantenere il focus strategico sulla Cina

Di Toshihiro Nakayama, professore di politica americana e politica estera alla Keio University

La guerra della Russia in Ucraina cambierà le percezioni geopolitiche molto più della realtà geopolitica. Mentre la Russia sotto il presidente Vladimir Putin incombe come una grande sfida a breve termine, la Cina rimarrà la principale minaccia a medio e lungo termine. Come bilanciare i due sarà di fondamentale importanza. Sebbene l’attenzione tenda ad essere attirata sul qui e ora, è necessario mantenere l’attenzione strategica. Possiamo aspettarci grandi cambiamenti in Russia dopo Putin, se non porterà il mondo all’inferno prima della sua scomparsa. Ma la minaccia proveniente dalla Cina è strutturale, dove un cambio di leadership non porterà grandi cambiamenti. La realtà schiacciante è che la Cina sta riducendo il divario di potere con gli Stati Uniti.

Tuttavia, l’attenzione di Washington dovrà essere portata sul fronte europeo. Di fronte al tentativo della Russia di ristabilire una sfera di influenza attraverso l’uso della forza, gli Stati Uniti non hanno altra scelta che confrontarla con il potere. Anche l’Europa, dopo essersi notevolmente allontanata dagli Stati Uniti, ha riscoperto che il potere degli Stati Uniti è indispensabile. La revisione da parte della Germania della sua posizione difensiva, ad esempio, si basa su questa premessa.

La Cina cercherà di comportarsi come un paese più responsabile anche se si avvicina alla Russia. Vedendo l’unità dell’Occidente e dei suoi partner in risposta alla guerra della Russia, Pechino potrebbe proprio ora imparare quanto sia pericoloso tentare di cambiare lo status quo con la forza. Diventerà sempre più difficile per la Cina giustificare una partnership sino-russa senza “limiti”, come hanno descritto insieme Putin e il presidente cinese Xi Jinping poco prima dell’invasione. La Cina potrebbe sottolineare che non è uno stato fuorilegge come la Russia mentre raddoppia la creazione di una sfera di influenza attraverso la coercizione non militare, come sta già facendo. A Washington, sembra che la battaglia tra i fautori della concorrenza strategica e quelli dell’ingaggio sia stata risolta a favore dei primi,

Gli Stati Uniti non hanno la capacità operativa o l’attenzione sostenuta per un impegno completo a lungo termine in due sfere. Ma la realtà geopolitica richiede che Washington si impegni in entrambi. Se questo è il caso, gli alleati e i partner statunitensi sia sul fronte europeo che indo-pacifico non avranno altra scelta che impegnarsi più attivamente. La buona notizia è che ci sono segnali che questo sta già accadendo.

Sta sicuramente arrivando il messaggio che gli Stati Uniti non interverranno direttamente in Ucraina. Ciò è comprensibile, poiché esiste una linea netta tra membri della NATO e membri non NATO. Sebbene questa logica non possa essere applicata direttamente all’Asia, non c’è dubbio che il modo in cui percepiamo la credibilità degli Stati Uniti sarà fortemente influenzato dal modo in cui gli Stati Uniti agiranno in Ucraina.

Costruisci il mondo transatlantico

Di Anne-Marie Slaughter, CEO di New America

L’opinione condivisa sull’invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin è che siamo a un punto di svolta negli affari globali, che l’era del dopo Guerra Fredda è finita e che se Putin vince, avrà riscritto le regole dell’internazionale liberale ordine. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin è orribile, brutale e una flagrante violazione del diritto internazionale, e l’Occidente dovrebbe fare di tutto, a parte coinvolgere direttamente la Russia, per aiutare gli ucraini a combattere le forze russe fino all’arresto. Ma questa invasione è una differenza di grado così grande da essere una differenza di genere?

Putin ha già violato il diritto internazionale esattamente allo stesso modo nel 2014, quando ha invaso l’Ucraina e annesso la Crimea. Gli Stati Uniti hanno violato lo stesso pilastro dell’ordine internazionale quando hanno invaso l’Iraq senza l’approvazione formale del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti hanno invaso paesi che consideravano rientrare nelle loro sfere di influenza durante la Guerra Fredda.

Il cambiamento fondamentale oggi non è la guerra di Putin, ma il rifiuto della Cina di condannarla. Come ha scritto Fareed Zakaria della CNN, avvicinare Mosca e Pechino è un costoso sottoprodotto strategico della politica dell’amministrazione Biden di sfidare e contenere la Cina. Un mondo in cui Cina e Russia si sostengono a vicenda nel ridisegnare mappe territoriali e riscrivere le regole del sistema internazionale, invece di lavorare per ottenere influenza all’interno delle istituzioni esistenti, è un mondo molto più pericoloso.

In questo contesto, è tanto più evidente la follia dell’elevazione da parte dell’amministrazione Biden della rivalità USA-Cina a punto focale della sua politica di sicurezza. Washington avrebbe dovuto concentrarsi prima sull’Europa costruendo un’agenda economica, politica, di sicurezza e sociale transatlantica ed espandendola il più possibile in tutto l’emisfero atlantico, sia nord che sud. Il modo migliore per competere con la Cina è riconoscere che i continenti che sia l’Europa che gli Stati Uniti hanno trattato come i loro cortili meritano un trattamento da cortile.

L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin sottolinea quanto l’Europa sia indispensabile come alleato militare ma ancor di più come partner economico, morale e legale. L’Europa, tuttavia, ha una prospettiva diversa: sebbene l’invasione sembri convincere i principali paesi europei, soprattutto la Germania, ad aumentare le proprie spese per la difesa, non lo stanno facendo per avvicinarsi agli Stati Uniti. Piuttosto, si stanno preparando per un futuro in cui l’Europa potrebbe non poter più contare sull’appoggio degli Stati Uniti. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha parlato dell’acquisto di una nuova generazione di caccia e carri armati, ma ha insistito che avrebbero dovuto essere costruiti in Europa con partner europei. L’ostilità dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti della NATO e le continue disfunzioni degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare tutti gli sforzi europei per sviluppare una difesa paneuropea più forte e coerente, anche perché la potenza militare europea renderà Washington meno propensa a dare l’Europa per scontata. Allo stesso tempo, l’amministrazione Biden dovrebbe portare avanti un nuovo trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti e un mercato comune digitale. Gli Stati Uniti dovrebbero anche incoraggiare le relazioni europee con i paesi del sud del mondo, pur riconoscendo che sono spesso carichi di bagagli postcoloniali. E dopo la scomparsa di Putin, Washington dovrebbe sostenere l’Europa nella costruzione di una nuova architettura di sicurezza dall’Atlantico agli Urali, magari con circoli intersecanti e sovrapposti di cooperazione di difesa tra gruppi di paesi. La NATO non potrà mai estendersi fino al Pacifico, quindi dovrebbero essere perseguiti altri quadri.

Questa grande strategia riprogettata degli Stati Uniti, infatti, metterà al centro le democrazie, ma non inquadrandola come un’epica lotta tra democrazie e autocrazie. Invece, l’Occidente dovrebbe concentrarsi sulle molte cose buone che la democrazia e lo stato di diritto possono apportare: azione individuale, autogoverno, trasparenza, responsabilità, una distribuzione più equa della ricchezza e vie di ricorso in caso di violazione dei diritti umani. Mettere questi valori al centro della politica estera degli Stati Uniti, ovviamente, renderebbe ancora più imperativo mantenerli in patria.

https://foreignpolicy.com/2022/03/21/us-geopolitics-security-strategy-war-russia-ukraine-china-indo-pacific-europe/#full-list

Cos’è la potenza?_di JEAN-BAPTISTE NOÉ

Cos’è la potenza?

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La parola è quasi bandita, persino tabù. La potenza ha una cattiva stampa perché sarebbe sinonimo di espansionismo e imperialismo. Tuttavia, è una condizione della libertà dei popoli e degli Stati. Più che mai, il potere resta la spada del mondo. 

La parola è stata praticamente bandita. Non osiamo più parlare di potenza perché evoca troppo l’imperialismo, l’arroganza espansionistica dell’Impero che vuole imporre le sue idee e il suo potere agli altri. Il potenza sarebbe la potestas , cioè il potere imposto e non l’ auctoritas , cioè l’autorità, il potere che emana dalla propria competenza, da ciò che si è. Il potere è anche grandezza e volontà di avere un ruolo sulla scena mondiale; ruolo che ci verrebbe dato dalla storia, dalla geografia, dal destino. Non solo un potere per se stessi ma anche per gli altri. Una specie di destino e di vocazione che ogni nazione avrebbe, e alcuni più di altri.

Essere potenti per essere liberi

La potenza diminuisce. Può essere militare, economico, culturale, intellettuale. La Grecia, sconfitta e occupata da Roma, non dimostrò la sua potenza impregnando il pensiero romano di ellenismo? Roma travolta dai barbari continuò il suo potere nel fatto che i Franchi, i Visigoti, gli Alemanni e altri popoli si impadronirono delle insegne romane e calzarono le scarpe politiche dell’Impero. Carlo Magno si considera ancora l’erede di Roma e dell’Impero e Napoleone, per molti versi l’ultimo romano, è vestito da Cesare e adotta l’aquila come suo simbolo. Ancora il potere di Roma anche 1.300 anni dopo la sua caduta ufficiale.

Anche da leggere

Cos’è la potenza? Riflessioni incrociate. Serie speciale Conflitti

Il potere rende libero e inevitabile. Sebbene i paesi e i popoli possano esitare al potere, raramente affermano apertamente l’impotenza e ne fanno una politica ufficiale. Può un paese impotente continuare ad esistere? Non è destinato a scomparire, in un modo o nell’altro? Solo il potere mantiene l’essere, cioè la vita. Essere potenti è essere autonomi, indipendenti, sovrani e padroni del proprio destino. La ricerca del potere è un motivo fondamentale degli Stati senza il quale non esistono. Charles de Gaulle diceva che “la Francia non può essere Francia senza grandezza [1] “. Grande nelle sue vittorie e nei suoi successi come nelle sue sconfitte e nelle sue occupazioni, come se la grandezza accompagnasse sempre la tragedia. Quindi Valéry Giscard d’Estaing fu il primo a parlare di “grande potere di mezzo” , attirando l’ira di tutti coloro per i quali l’idea del declino era odiosa. Nella tradizione francese, essere potenti è una necessità.

La paura del declino

Corollario del potere, si annida la paura del declino. Declino è diventare impotente, perdere la sua sostanza e la sua ragion d’essere. Rifiutare è diventare normale. Ci sono razze di paesi che possono esistere solo nella prima divisione, da qui il potere. E quando attraversano fasi di declino ricordano la loro età dell’oro, o supposta tale, per scongiurare il declino e tornarvi. Quando alcuni, come la Cina, sono tornati dagli anni bui, l’evocazione del tempo dell’impotenza serve a mantenere le redini della grandezza e ad indicare la strada da seguire per non ricadere in preda al declassamento. A questo punteggio gioca anche la Russia, che non vuole più conoscere i guai degli anni 1990-2000. Come il resto della Francia,

La paura del declino è sia una forza trainante che un pericolo. Motore, se lo evita guardandolo frontalmente e prendendo le misure necessarie per aggirarlo. Pericolo, se paralizza vedendo solo gli aspetti negativi e non potendo più vedere cosa funziona e cosa riesce. È spesso il caso della Francia, che parla di deindustrializzazione come se l’industria del 2022 fosse quella degli anni Cinquanta, come se il mondo non fosse cambiato, rendendo oggi impossibile un’operazione militare diversa da quella di coalizione. Il potere, per esistere, deve sposare il mondo moderno, riprenderlo quando è necessario, rifiutarlo dove è necessario, unico modo per non tagliare con il filo della storia e quindi non sprofondare nel declino. . I giorni delle lampade a olio e dei velieri sono finiti. Il potere, per restare, deve saper passare al nucleare e alle nuove tecnologie. Al potere, ci sono cose che rimangono e altre che rimangono eterne.

Perché essere potente?

Ma perché la Francia deve essere potente nel 2022? Qual e il punto ? È pragmaticamente difendere i propri interessi, conservare i mezzi per intervenire a suo piacimento nel suo ambiente strategico, mantenere l’ordine e sviluppare la ricchezza del popolo francese, garantire il suo commercio, affrontare alcune minacce esistenziali del mondo contemporaneo ? È più ideologicamente restare nella corsa al progresso universale, offrire alle popolazioni del mondo un ambiente di vita in stile occidentale, o meglio, “salvare il pianeta”? O è l’angoscia davanti ai poteri lontani che emergono e di cui abbiamo un’idea terrificante? In definitiva, dobbiamo semplicemente essere potenti per non essere meno potenti del nostro prossimo che potrebbe raggiungerci? Non è solo una questione fondamentale di sopravvivenza?«Chi è forte ha spesso ragione in materia di Stato, e chi è debole difficilmente può sottrarsi al torto nel giudizio della maggior parte del mondo [2]  » , già diceva il cardinale de Richelieu.

Una storia di classifica?

Cos’è la potenza? Una classifica internazionale, capacità militari, risorse economiche o finanziarie, influenza culturale? La Francia ha molte risorse. Di tutti i paesi europei, è forse il più dotato [3] . Allora perché questa consapevolezza, anche questa ansia di declino, attraversa le sue élite? La Francia colleziona buone carte, ma non le usa. Come un adolescente che pensa che essere libero significhi avere tutte le possibilità e non sceglierne nessuna, la Francia sta camminando sull’acqua e cercando una direzione. Tutta adornata con gli attributi del potere, si chiede perché sia ​​così vestita e anche se tale o quell’ornamento non sarebbe da buttare via.

Perché essere potenti non basta. Se dobbiamo rimanere tali per sopravvivere, questo non ci dice nulla delle ragioni per cui vogliamo vivere, perché vogliamo che la Francia viva come nazione. La questione preliminare al potere è infatti quella di ciò che si propone di difendere. Un soldato non combatte semplicemente per avere il sopravvento sul suo nemico; prima combatte per difendere la sua famiglia, la sua terra, la sua patria, forse un tesoro più grande per il quale è pronto a rischiare la vita Qual è il nostro tesoro? Esiste un capitale da proteggere e trasmettere? Il potere è prima di tutto volontà. Nessuno può essere potente se non vuole esserlo, nessuno può essere potente se non ha qualcosa di più grande di sé da difendere e proteggere. Un patrimonio storico, cultura e religione a lui care e che desidera lasciare in eredità ai suoi figli. Nessuno è potente per se stesso, sarebbe poi follia e irragionevolezza, ma ognuno deve essere potente per gli altri, cioè essere parte del filo della storia e del tempo, perché non si interrompa un’avventura iniziata diversi secoli fa per colpa nostra. Il potere è ciò che permette di rimanere, di superare la tragedia della storia e di non scomparire nelle sconfitte e nelle trasformazioni politiche.

Anche da leggere

[1] Charles de Gaulle,  Memorie di guerra, volume 1: La chiamata, 1940-1942 .

[2] Richelieu, Testamento politico , Perrin, 2017, p. 263.

[3] Cfr. n°17 ​​“ Global Power Conflicts Index”, aprile 2018.

https://www.revueconflits.com/quest-ce-que-la-puissance/

Vincitori e vinti nella guerra in Ucraina, di Gianandrea Gaiani

Vincitori e vinti nella guerra in Ucraina

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In attesa di sviluppi militari e diplomatici che definiscano il possibile esito del conflitto tra russi e ucraini, è forse possibile evidenziare chi siano già oggi gli sconfitti e i vincitori nella guerra iniziata in Ucraina nel 2014 ma allargatasi a uno scontro convenzionale su vasta scala a partire dal 24 febbraio 2022.

Il tema verrà sviluppato presto in modo più analitico e organico ma pare evidente che gli sconfitti siano almeno tre:

  • l’Ucraina che uscirà in ogni caso devastata e probabilmente divisa dal conflitto, col rischio di subire pesanti condizioni di pace o perdite territoriali oltre ai gravi danni economici, umani e materiali.
  • la Russia che al di là dei possibili successi militari verrà forse a lungo emarginata dall’Occidente, tagliata fuori da quell’Europa a cui appartiene, sottoposta a sanzioni e costretta a guardare all’Asia dove l’attende il poco tranquillizzante abbraccio della Cina
  • l’Europa, costretta a fare i conti con la propria incapacità e irrilevanza geopolitica, con la pochezza della sua classe dirigente e con una disastrosa, devastante crisi economica ed energetica generata dalla sua stessa insipienza e dall’aver colpevolmente lasciato agli Stati Uniti (proprio come fece negli anni ’90 con la crisi in ex Jugoslavia) la gestione della sua sicurezza.

I vincitori assoluti di questa guerra sembrano quindi essere inevitabilmente Cina e Stati Uniti: i primi costituiscono una rilevante ancora di salvezza per la Russia non solo perché sono e saranno ancor di più grandi acquirenti del suo gas ma perché l’impoverimento e indebolimento russo aumenterà presumibilmente il peso di Pechino in Asia e nell’Indo-Pacifico.

Family photo - Extraordinary Summit of NATO Heads of State and Government

I secondi sono tornati a dominare un’Europa che, da tempo prima potenza economica del mondo in termini di PIL, sembrava voler trovare una propria dimensione strategica e militare indipendente da Washington.

Inoltre, l’impoverimento dell’Europa che a causa del caro-energia vedrà i suoi prodotti perdere competitività sui mercati globali, favorirà soprattutto Washington e Pechino, rispettivamente seconda e terza potenze economiche mondiali.

Sul piano militare è difficile non notare che se dall’estate scorsa la “difesa europea” era tornato in auge sull’onda dell’umiliante sconfitta in Afghanistan incentrata sull’indipendenza strategica dagli Stati Uniti, oggi si parla di “forze armate europee” complementari o addirittura integrate alla NATO.

Certo la paura (dei russi) “fa 90” in nazioni europee in cui il concetto di guerra era stato ormai rimosso e dimenticato ma è evidente che uno strumento militare della Ue, ammesso che possa un giorno concretizzarsi, avrà un senso solo se ci renderà autonomi dagli USA. Se le due guerre mondiali hanno fatto perdere all’Europa la predominanza strategica e coloniale sul mondo, la guerra in Ucraina rischia di togliere al Vecchio Continente anche la supremazia economica faticosamente riconquistata negli ultimi decenni.

La forte convergenza di vedute circa la guerra in Ucraina tra Stati Uniti ed Europa emersa nei recenti vertici di Bruxelles della NATO e del Consiglio d’Europa avrebbe dovuto far sorgere qualche interrogativo poiché gli interessi, a cominciare da quelli energetici e geopolitici, dell’Europa divergono in modo evidente da quelli di Washington.

A minare questa fittizia unità di intenti tra USA ed Europa hanno provveduto le ultime gaffes (ma saranno davvero tali?), del presidente statunitense Joe Biden.

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“Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”, ha detto Biden in Polonia, poche ore dopo aver accusato il presidente russo di essere “un macellaio”.

Possibile ma improbabile che sia stato ispirato da quel ministro europeo che aveva definito Putin “l’animale più atroce” anche se le frasi di Biden hanno avuto un’ampia eco costringendo molti in Occidente a rettificare o prendere le distanze.

Un portavoce della Casa Bianca ha specificato che il presidente non si riferiva al potere di Putin in Russia ma al potere che il presidente russo vuole esercitare sui paesi vicini e il segretario di Stato Anthony Blinken ha precisato che Washington non ha un piano per il cambio di regime a Mosca.

Rettifiche poco efficaci che non sono riuscite a fugare la sensazione di una profonda inadeguatezza del presidente degli Stati Uniti che tratta Putin come si trattasse di un Saddam Hussein, un Muhammar Gheddafi o un Bashar Assad da togliere rapidamente di mezzo.

Samuel Charap, esperto di Russia presso la Rand Corporation ritiene che le dichiarazioni di Biden esasperino in Russia “la percezione delle minacce esistenti relativamente alle intenzioni americane. I russi potrebbero essere molto più inclini a compiere gesti ostili come risposta, anche più di quanto già non siano”.

Citando ex funzionari e analisti, il Washington Post ha sottolineato come le parole di Biden pongano gravi implicazioni sulla capacità degli USA di contribuire a mettere fine alla guerra o di impedirne l’ampliamento. Ma soprattutto occorre chiedersi se la fine delle ostilità il più presto possibile sia un obiettivo che Washington (e con lei Londra) intenda perseguire.

Sono infatti troppe le affermazioni fuori luogo di Biden nei confronti di Putin (definito nelle scorse settimane anche “un assassino” e “un criminale di guerra”) per considerarle semplici e frequenti cadute di stile, inopportune ma non intenzionali.

NATO Secretary General Jens Stoltenberg in Bardufoss, Norway, to visit Cold Response, a Norwegian-led exercise with participation from 27 NATO Allies and partners.

Impossibile non notare che tali dichiarazioni sembrano avere l’obiettivo di irrigidire Mosca allontanando l’avvio di negoziati concreti e rischiando di determinare un’accelerazione o un ampliamento di un conflitto che minaccia di travolgere l’Europa.

Difficile credere sia un caso, specie dopo le polemiche degli ultimi giorni scatenate dalle parole di Biden, che oggi è tornato a definire Vladimir Putin dal suo account Twitter personale “un dittatore deciso a ricostruire un impero”. Guarda caso l’esternazione è giunta poche ore dopo l’annuncio che i colloqui tra russi e ucraini in Turchia hanno fatto emergere uno schema di intesa su cui continuare le trattative ma che già prevede una riduzione delle operazioni militari russe nel settore di Kiev, dove le forze di Mosca hanno assunto già da alcuni giorni un assetto difensivo.

Poche ore prima del tweet, in una conferenza stampa, Biden aveva chiarito che i suoi commenti sul leader del Cremlino sono “personali”.

Affermazione forse ancor più imbarazzante degli insulti che Biden ha riservato a Putin ma del resto una guerra prolungata in Ucraina sembra essere negli interessi di Washington che vedrebbe logorarsi la Russia e indebolirsi rapidamente l’Europa, rivale economico e commerciale (a oggi l’angolo più ricco del mondo in termini di PIL) a cui già nel 2014, dopo il golpe del Maidan, Barack Obama (di cui Biden era vice) chiedeva di rinunciare al gas russo sicuro e a buon mercato per acquistare quello statunitense, da fornire liquefatto via nave, in misura insufficiente e a costi ben più alti.

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A Washington si parla ormai apertamente di un duello in atto nell’Amministrazione che vedrebbe da una parte Casa Bianca e Dipartimento di Stato puntare a rafforzare la sfida militare e le provocazioni a Mosca e dall’altro il Pentagono impegnato a smorzare i toni bellicosi, impedendo (finora) che alle armi antiaeree e anticarro fornite alle truppe di Kiev si aggiungessero aerei da combattimento, carri armati e artiglierie.

Negli Stati Uniti la guerra in Ucraina ha fatto precipitare ancora più basso la popolarità di Biden, che vede oggi appena il 40 per cento degli americani approvare il suo operato contro il 55 per cento che lo disapprova.

Un sondaggio pubblicato da NBC News registra come sette americani su 10 abbiano poca fiducia nella capacità del presidente di gestire il conflitto. Ed un numero ancora maggiore, otto su dieci, temono che la guerra provochi l’aumento dei prezzi energetici e addirittura possa portare ad un coinvolgimento delle armi nucleari. E il sondaggio è stato condotto tra il 18 ed il 22 marzo, quindi prima del viaggio di Biden in Europa e delle ultime dichiarazioni che tante polemiche hanno suscitato.

In Europa il primo a “tirare le orecchie” a Biden, affermando di non ritenere Putin un macellaio, è stato il presidente francese Emmanuel Macron, sempre più a disagio di fronte alle dichiarazioni aggressive che Washington dispensa pubblicamente ogni volta che sembra aprirsi la possibilità di negoziati concreti tra i belligeranti.

“Non è il momento di alimentare un’escalation ne’ di parole ne’ di azioni”, ha ammonito Macron che punta a un nuovo incontro con Putin per dare un ruolo alla Francia e all’Europa nelle trattative.

“Non stiamo cercando un cambio di regime, spetta ai cittadini russi decidere se lo vogliano o meno”, ha dichiarato l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Josep Borrell (nella foto sotto): “Quello che vogliamo è impedire che l’aggressione continui e fermare la guerra di Putin contro l’Ucraina”.

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Persino l’alleato NATO più fedele, la Gran Bretagna, ha preso le distanze da Biden con il ministro dell’Istruzione Nadhim Zahawi mentre il loquace Boris Johnson questa volta non ha speso una sola parola sulle affermazioni sopra le righe del presidente americano.

Ad Ankara anche Recep Tayyp Erdogan ha mostrato insofferenze per le parole di Biden. “Se tutti bruciano i ponti con la Russia, chi parlerà con loro alla fine?”.

Nonostante le critiche diffuse la politica della Casa Bianca difficilmente cambierà rotta a conferma della divergenza di interessi che separa ormai da tempo gli USA dall’Europa e della pochezza di una Ue che invece di assumere iniziative per risolvere la guerra in Ucraina (cominciata otto anni or sono non un mese fa), ha preferito lasciarsi “commissariare” dagli USA nella tutela dei suoi interessi strategici.

La presenza di Biden al Consiglio d’Europa (organismo da cui è stata appena estromessa la Russia) non è apparsa come la cortesia che una grande potenza accorda a un ospite di riguardo ma un omaggio a chi è venuto da oltreoceano per dettare termini e condizioni del nostro vassallaggio, con tutte le relative conseguenze sul piano politico, strategico, economico e energetico.

https://www.analisidifesa.it/2022/03/vincitori-e-vinti-nella-guerra-in-ucraina/

Stati Uniti, Ucraina e il punto di rottura_con Gianfranco Campa

Joe Biden e lo staff presidenziale, se non il momento di sintesi, avrebbero quantomeno dovuto essere il punto di mediazione del coacervo di interessi e di indirizzi politici in grado di sconfiggere con qualsiasi mezzo Trump ed imporre la conduzione di una linea politica che ristabilisse all’interno il pieno controllo del paese senza modificarne sostanzialmente gli equilibri, sarebbe meglio dire gli squilibri politico-sociali e all’esterno il predominio statunitense unipolare o tutt’al più bipolare, ma con una Cina appesa al processo di globalizzazione da essi disegnato. L’impresa era di per sè ardua ed improbabile; la vivacità e distruttività dello scontro politico interno ne hanno reso la conduzione talmente oscillante ed inaffidabile sino a suscitare la diffidenza e l’ostilità persino nel complicato sistema di alleanze in divenire contro la Cina e la Russia, riuscendo a rafforzare un asse sino-russo ed un loro timido avvicinamento ad una pletora di paesi altrimenti in aperto o sordo conflitto sino ad un decennio fa. L’unica miserabile eccezione a questa volatilità rimangono i centri decisori dei paesi europei aggrappati a qualsiasi prezzo ad una parte dei centri decisori statunitensi, anche a costo di vedersi trascinati in una guerra come vittime designate. Una postura suicida che condannerà al dissesto intere nazioni e ad una sopravvivenza precaria le loro classi dirigenti. La evidente mediocrità dello staff presidenziale e i limiti fisici stessi di Joe Biden hanno trasformato in pochi mesi l’intera compagine in un vaso di coccio strattonato e stritolato da tendenze contrapposte. Il punto in comune di esse sono la russofobia; quello che li divide è il livello di conflittualità nei confronti della Cina. Una situazione aperta a svariati punti di arrivo ma pericolosissima ed esposta a colpi di mano imprevedibili. In questi spazi il movimento di Trump, pur tra mille limiti ed esposto ad operazioni trasformistiche, potrebbe trovare enormi praterie da percorrere con esiti altrettanto imprevedibili per gli Stati Uniti e di riflesso nel mondo. Joe Biden sarà la prima vittima designata, per meglio dire il caproespiatorio da sacrificare; Kamala Harris, nella sua vacuità, lo seguirà a ruota. Riemergono in lizza vecchie cariatidi e nuove figure dal futuro incerto. Nel frattempo l’offensiva russa in Ucraina si consolida e consegue i primi significativi successi; il battaglione Azov ha perso ormai i 3/4 dei suoi effettivi e l’intero comando abbattuto questo pomeriggio; il resto delle compagini neonaziste si avvicinano alla stessa fine, sperando che il resto dell’esercito ucraino riesca a separare da esse il proprio destino; la minaccia nucleare somiglia sempre meno ad un videogame. Ascoltate Gianfranco Campa! E’ una voce unica nel panorama italiano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vz7y9f-usa-e-il-punto-di-rottura-con-gianfranco-campa.html

senza parole_a cura di Giuseppe Germinario

Il livello di considerazione ed autorevolezza di un presidente. Lo stesso cerchio magico che lo sostiene si sta sfaldando rovinosamente. Si contestualizza meglio anche l’improvviso ed impavido “atto di coraggio” dei leader europei in queste ore. A un ombra che si dilegua, potrebbe corrispondere una apparizione ancora più inquietante. Ne parleremo a breve con Gianfranco Campa_Giuseppe Germinario

Energia, guerra, pace e finanza_ di Davide Gionco

 

Energia, guerra, pace e finanza
di Davide Gionco
25.03.2022

L’energia come strumento di guerra e di pace

Tv e giornali non cessano di martellarci con le notizie sulla guerra in Ucraina, mentre famiglie ed imprese si trovano a fare i conti con dei costi per l’energia sempre più insostenibili.

Qualcosa di simile era già successo negli anni 1970. Allora la Guerra del Kippur aveva spinto i paesi arabi produttori di petrolio, solidali con Siria ed Egitto in guerra contro Israele, ad aumentare unilateralmente il prezzo di vendita del petrolio, che al tempo era la principale fonte di energia in Europa e soprattutto in Italia, come fonte di ritorsione verso i paesi occidentali che sostenevano Israele. Il risultato fu la forte crisi energetica del 1973-1974, che portò il governo italiano ad assumere provvedimenti finalizzati al risparmio energetico ed alla diversificazione delle fonti energetiche. Fu allora che l’Italia decise di puntare sul gas metano come fonte primaria di energia in sostituzione del petrolio, cosa che divenne realtà una decina di anni dopo (vi ricordate la pubblicità “il metano ti dà una mano”?).
Dopo pochi anni, a partire dal 1979, ci fu una seconda crisi energetica, causata prima dalla rivoluzione iraniana e poi dalla conseguente guerra Iraq-Iran sostenuta dagli americani. La decisione di ridurre la dipendenza dell’Italia dal petrolio fu confermata da questi fatti.

La storia ci insegna che l’esportazione di energia è spesso o causa di guerre o strumento di pressione economica a seguito di guerre. Ma anche che accordi di fornitura stabile di energia sono uno strumento di pace, tramite accordi commerciali e di sviluppo economico fra nazioni, con convenienza reciproca.
Ricordiamo a titolo esemplificativo come l’occupazione del bacino della Ruhr (in Germania) da parte di Francia e Belgio negli anni 1923-1925 fu un modo per condurre una guerra economica contro i tedeschi, i quali si vendicarono di questo durante la seconda guerra mondiale. Nella Ruhr si produceva molto carbone, che al tempo era la principale fonte di energia per la Germania, ma anche per i paesi limitrofi. Con la fine della seconda guerra mondiale la costruzione della pace in Europa partì proprio dalla costituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), tramite la quale il carbone veniva messo a disposizione di tutti i paesi aderenti, così come l’acciaio prodotto grazie all’uso del carbone insieme ai minerali ferrosi.
Nel bene o nel male l’energia è sempre un fattore determinante nelle relazioni di pace o di guerra fra le nazioni.

 

La strategia energetica dell’Italia per ridurre la dipendenza dal petrolio

La decisione di diversificare le forniture energetiche dell’Italia era finalizzata ad evitare di subire in modo eccessivo le continue variazioni del prezzo del petrolio.

Grafico 1


Fonte: https://theconversation.com/

Si può notare quanto il prezzo internazionale del petrolio vari in funzione di eventi geopolitici, ma anche di eventi di tipo finanziario.
Questo tipo di andamento è confermato dall’evoluzione del prezzo del petrolio negli ultimi anni. La finanza trova sempre delle ragioni per speculare sulle variazioni di prezzo del petrolio.

Grafico 2

La linea politica dell’Italia per ridurre la propria dipendenza dal petrolio fu da un lato investire sul risparmio energetico e dall’altro utilizzare una fonte di energia un po’ più costosa, ma dal prezzo molto più stabile: il gas naturale. A tale scopo furono stipulati dei contratti per forniture di grandi quantitativi e per una lunga durata con i governi di nazioni del Nord Africa, come la Libia, Algeria-

Grafico 3

Fonte: https://www.researchgate.net/

Ma soprattutto con il governo russo, anche se “sovietico”.

Grafico 4

Fonte: https://en.wikipedia.org/

La decisione dell’Italia fu certamente oculata, in quanto il prezzo del gas negli anni è risultato essere molto più stabile di quello del petrolio almeno fino al 2020, dopo di che nel 2021 è successo qualche di nuovo che ha fatto impennare anche il prezzo del gas. Ci ritorneremo più avanti.

Grafico 5

Fonte:
https://tradingeconomics.com

Negli ultimi anni la diversificazione è aumentata, aggiungendo una quota abbastanza rilevante di energia da fonti rinnovabili.

Grafico 6


Fonte: Dati: IEA 2019

 

 

La guerra in Ucraina e l’affrancamento dalla forniture russe di gas

Con la sciagurata guerra in Ucraina e l’aumento delle tensioni fra NATO e Russia, il potere politico propone nientemeno che rinunciare tutto di un colpo alle forniture di gas dalla Russia, come sanzione economica nei confronti di Putin colpevole di avere invaso l’Ucraina. Ma si tratta di una proposta realizzabile? A quale prezzo?
Quanto dipende l’Italia dall’energia russa?

Grafico 7


Fonte: https://oilgasnews.it/

Le importazioni di petrolio dalla Russia costituiscono circa l’11% del totale. Se dovessimo fare a meno del petrolio russo, non dovrebbe essere molto difficile sostituirlo con acquisti da altri produttori. Importare petrolio è semplice: si ordina la merce, la caricano su una petroliera e viene consegnato in uno dei nostri porti, dopo di che lo possiamo raffinare ed utilizzare.

Molto diverso, invece, è l’approvvigionamento di gas naturale, di cui l’Italia dipende addirittura per il 38% dalle importazioni russe.

Grafico 8


Fonte: Dati MISE 2021.

Per consegnare il gas serve realizzare gasdotti dalle sorgenti fino al paese di consegna. Dai pozzi di Jamal in Siberia settentrionale all’Italia ci sono 4’500 km di gasdotti, i quali hanno richiesto molti anni per essere costruiti, con cospicui investimenti. Per questo chi li ha costruiti ha interesse a stipulare contratti di lunga durata, cosa che l’Italia ha fatto da decenni con la Russia, con beneficio del sistema produttivo e delle famiglie italiane. Se venisse a cessare la fornitura dalla Russia, gli altri produttori di gas con i quali l’Italia è collegata non sarebbero in grado di sostituirla, sia per mancanza della stessa capacità produttiva, sia per la limitata capacità di trasporta dei gasdotti esistenti.
Qualcuno propone di utilizzare il gas naturale presente in Italia. Ma, a parte il fatto che solo per realizzare gli impianti servono diversi anni, le riserve di gas naturale dell’Italia, se usassimo solo quelle, si esaurirebbero nel giro di 10-12 mesi. Quindi disponiamo di una quantità largamente insufficiente per i nostri fabbisogni.

L’alternativa che viene proposta dagli “amici americani” è di acquistare del Gas Naturale Liquefatto (GNL) da grandi produttori internazionali come USA, Qatar, Arabia Saudita, Kuwait. Ma questo significherebbe passare dall’attuale 13,3% al (13,3 + 38,2 della Russia ) al 51,5% dell’approvvigionamento totale, quasi quadruplicando l’attuale disponibilità di rigassificatori (impianti in cui il gas liquefatto viene rievaporato per metterlo in rete), di navi metaniere. Ma significherebbe anche accettare strutturalmente di acquistare del gas più costoso, in quanto ai costi di estrazione di base si aggiungerebbero i costi di raffreddamento fino a -160 °C, i costi di trasporto con le navi metaniere (navi con enormi impianti frigoriferi per mantenere il gas liquefatto) e id i costi di rigassificazione in Italia.
E non dobbiamo trascurare il fatto che si passerebbe da una dipendenza dalla Russia alla dipendenza delle multinazionali dell’energia che controllano il mercato del GNL, società quotate in borsa e molto più legate alla speculazione finanziaria internazionale. Non è così scontato che la scelta sia conveniente.

La questione si complica ulteriormente se guardiamo i numeri a livello europeo. Il fabbisogno di gas dell’Unione Europea dipende molto fortemente dalle importazioni.

Grafico 9


Fonte: https://jancovici.com/ elaborazione di dati da BP Statistical Review

 

Le quali importazioni arrivano per oltre il 40% dalla Russia.

Grafico 10

Fonte: https://ilbolive.unipd.it/

 

Quindi si tratterebbe non solo di trovare un fornitore alternativo di gas per l’Italia, ma per tutta l’Europa, che si fornisce attualmente dalla Russia per oltre il 40% del proprio fabbisogno.
Osservando la capacità produttiva gasiera a livello mondiale possiamo notare come solamente gli USA avrebbero, in teoria, una capacità produttiva adeguata ai fabbisogni europei, in caso di arresto delle importazioni dalla Russia.

Grafico 11


Principali produttori di gas naturale nel mondo, in miliardi di metri cubi l’anno
Fonte https://www.researchgate.net/

Ma dobbiamo anche osservare che attualmente solo una piccola parte (quella evidenziata in blu scuro nel grafico che segue)della produzione statunitense è destinata all’esportazione.

Grafico 12

Fonte: https://www.eia.gov/

Questo significa che gli USA, nonostante i grandi proclami, non sono assolutamente in grado di assicurare all’Europa la sostituzione delle forniture di gas metano. Si noti come le esportazioni USA di gas siano dell’ordine di 5 miliardi di metri cubi l’anno, mentre la produzione russa è dell’ordine di 500 miliardi di metri cubi l’anno, 100 volte superiore.
Se gli USA non hanno la capacità produttiva per sostituire il gas russo in Europa, significa che nessun altro produttore al mondo può avere questa possibilità. Questo certamente nel breve e nel medio termine, in attesa che si scoprano nuovi giacimenti di gas chissà dove.

La conclusione è che l’Europa, e quindi a maggior ragione l’Italia, non ha alcuna possibilità di svincolarsi dalle forniture di gas russo, a meno di non ridurre nel giro di pochi i nostri consumi di gas, in modo da ridurre le importazioni di gas russo.
Di quanto?
Dal Grafico 6 deduciamo che il gas rappresenta il 41,8% del fabbisogno energetico nazionale. Dal Grafico 8 deduciamo che di questo gas il 38,2% arriva dalla Russia. La quantità di gas che verrebbe a mancare sarebbe quindi dell’ordine del 38,2% del 41,8%, che fa 16,0%.
Può sembrare “poco”, ma significa che, in media, le industrie dovrebbero ridurre del 16% la loro produzione annua o che le attività commerciali debbano ridurre del 16% i loro orari di apertura o che nelle nostre case dobbiamo interrompere l’energia elettrica per 4 ore al giorno. Come se non ci fossero bastate le chiusure imposte durante la pandemia del covid-19!
In modo molto semplificato potremmo attenderci un crollo del 16% del Prodotto Interno Lordo nazionale,
Le conseguenze economiche sarebbero catastrofiche per l’economia italiana. E qualcosa di simile ci si dovrebbe attendere, chi più chi meno, per il resto dell’Europa.
E non abbiamo preso in considerazione i rincari certi dei generi alimentari, causati dal blocco delle importazioni di cereali da Russia ed Ucraina.
Non possiamo escludere di riuscire a trovare, nel tempo, delle fonti energetiche alternative, ma tutto questo non potrebbe essere fatto in tempi brevi, per cui lo shock economico è inevitabile.
Dei “tempi” parleremo nel paragrafo successivo.

Quindi prima di lanciare proclami sulla interruzione delle forniture russe di gas, dovremmo prendere atto del fatto che il rapporto di fornitura di gas dalla Russia è una esigenza strutturale per l’Italia e per l’Unione Europea. E, aggiungerei, è anche una esigenza strutturale per la Russia, che dispone di un sistema produttivo arretrato e che ha assoluto bisogno dei proventi finanziari derivanti dalle esportazioni di energia in Europa, necessari per importare beni e servizi di qualità dall’Europa stessa.

Per fare un esempio facile da comprendere, è come se la Russia fosse l’unico fornitore d’acqua e noi fossimo l’unico produttore di cibo: per sopravvivere non potremmo fare a meno l’uno dell’altro, strutturalmente, senza possibilità di alternative, almeno nel breve e medio periodo.
Questa considerazione fondamentale dovrebbe portare la nostra classe politica a rivedere le proprie posizioni, molto basate sull’ideologia e per nulla fondate sui dati concreti sui rapporti energetici con la Russia. Se anche Putin fosse “cattivo” o “assassino”, sapendo che non abbiamo alternative al gas russo, le scelte politiche ne dovrebbero tenere conto.

 

Perché i prezzi dell’energia sono aumentati?

In televisione ci raccontano che i prezzi della benzina e del gas sono aumentati “a causa della guerra”.
Riproponiamo i grafici sopra esposti:

Grafico 1

Grafico 5

In realtà è sempre successo che il prezzo del petrolio sia variato fortemente a motivo di cambiamenti geopolitici o di azioni speculative dei mercati finanziari.
Ma questo non era mai successo per il gas, il cui prezzo era sì contrattualmente legato a quello del petrolio e solo indirettamente e in misura ridotta.

Se guardiamo in dettaglio l’andamento del prezzo del gas naturale negli ultimi mesi in Europa

Grafico 13


Fonte: https://tradingeconomics.com/

notiamo come gli aumenti dei prezzi siano iniziati già a partire da agosto-settembre 2021, mentre la guerra in Ucraina è iniziata a febbraio 2022. Quindi gli aumenti sono iniziati prima del conflitto, certamente per altre ragioni.

Aggiungiamo la considerazione del tutto evidente che in questo inverno nessuno di noi è rimasto senza gas per scaldarsi, anche se lo ha pagato l’ira di Dio.  Il gas richiesto è stato consegnato, non c’è stata una scarsità delle forniture che abbia giustificato l’aumento dei prezzi.

Che cosa ha dunque portato a questi aumenti? Che cosa ha modificato le dinamiche del prezzo del gas rendendole dello stesso tipo di quelle del prezzo del petrolio?

La risposta sta nei contratti di acquisto del gas, che dopo decenni di stabilità sono cambiati.

Il mercato internazionale del petrolio è nato, molti decenni fa, sulla base di contratti di vendita a breve termine. I produttori di petrolio cercavano clienti in giro per il mondo, vendendolo al miglior prezzo possibile. E gli acquirenti cercavano il miglior offerente possibile. C’era una certa libertà di scelta.
La possibilità di indirizzare le navi petroliere in tempi relativamente brevi a qualsiasi cliente nel mondo ha creato un mercato mondiale, da cui la nascita dell’OPEC, da cui la quotazione in borsa del petrolio.
La quotazione in borsa ha portato alla nascita di molti intermediari fra venditori ed acquirenti, i quali comperano opzioni di acquisto sul petrolio, che rivendono e riacquistano cercando di massimizzare i margini di profitto, come qualsiasi altro prodotto finanziario. Ovviamente spesso ci sono dei legami stretti fra la classe dirigente dei paesi produttori e queste società di intermediazione. E chi non sta al gioco (vedi Venezuela, vedi Iran, vedi Russia) viene messo sotto pressione politico-militare dagli Stati Uniti.
Il risultato è una continua fluttuazione dei prezzi, che favorisce la realizzazione di utili da parte degli investitori finanziari, ovviamente a spese di consumatori e imprese.

Il mercato del gas, invece, è sempre stato un mercato “locale”. La commercializzazione di gas liquefatto GNL è sempre rimasta minoritaria a causa degli alti costi. Per questo motivo la consegna degli ordinativi di gas si è sempre fatta quasi esclusivamente tramite tubature, che per essere realizzate richiedono grandi investimenti che necessitano molti anni prima di essere ammortizzati.
Per questo motivo i contratti di fornitura venivano stipulati non fra produttori e piccoli soggetti intermediatori, ma direttamente fra stati o dalle società energetiche nazionali.
Il primo contratto di fornitura europea su firmato nel 1969 da Eugenio Cefis, presidente dell’ENI, ed il presidente russo Leonid Breznev. L’anno successivo un contratto simile fu sottoscritto anche dalla Germania.
Erano contratti della durata di 20-30 anni, che assicuravano al fornitore la certezza di rientrare dei propri investimenti e nello stesso tempo garantivano all’acquirente la fornitura certa di energia ad un prezzo concordato per 20-30 anni. E’ il caso di notare che questa situazione era ideale anche per famiglie e imprese, consentendo loro di evitare eccessive fluttuazioni del prezzo del gas.
Per meglio ammortizzare gli investimenti iniziali, i contratti prevedevano anche che l’acquirente dovesse immagazzinare il gas nei gasometri durante l’estate (periodo di domanda minima), per non obbligare il fornitore ad aumentare la portata di gas in inverno. Maggiori portate, infatti, significano tubature più grandi e maggiori costi d’investimento, evitabili con lo stoccaggio estivo.

Questo sistema dei contratti a lungo termine è andato avanti fino al 2021, quando è successo che…
Ricordate che negli ultimi anni siamo stati tempestati di telefonate e di pubblicità per il passaggio dal “mercato tutelato” dell’energia al “mercato libero”?
Negli ultimi anni l’Unione Europea ha adottato una serie di provvedimenti finalizzati alla liberalizzazione del mercato dell’energia, in particolare relativamente all’energia elettrica ed il gas.
L’ideologia di fondo dell’UE è sempre la stessa: dobbiamo liberalizzare il mercato, in modo da conseguire una diminuzione dei prezzi. Ma il gioco funziona molto di rado.
La realtà è sempre la stessa: più libertà per gli speculatori e più costi per i consumatori. Soprattutto se le liberalizzazioni sono applicate ad un settore per sua natura monopolistico (con pochissimi produttori) come quello del gas.
Quello che è successo, e certamente chi ha voluto questa “riforma” lo sapeva, è che sono entrati in gioco nel mercato del gas i nuovi intermediari, quelli che già operavano nel mercato altalenante del petrolio, i quali hanno iniziato a comperare,  vendere, ricomperare e rivendere opzioni di acquisto sul gas, in modo da creare oscillazioni dei prezzi e trarne profitto.
Inoltre altri piccoli soggetti hanno iniziato a stipulare dei nuovi contratti di acquisto con i fornitori, ma di “tipo spot” ovvero per forniture di gas della durata di pochi mesi e per piccoli quantitativi. Questi investitori, per risparmiare, hanno evitato i costi di stoccaggio estivo, come avveniva da decenni.
In questo modo il fornitore sarà obbligato a vendere meno gas in estate, causa minori ordinativi per l’assenza di stoccaggio, e meno gas in inverno, non essendo le condotte dimensionate per il trasporto del fabbisogno di punta dei periodi più freddi dell’anno. Per il momento i fornitori sono riusciti a garantire le forniture, in quanto le tubature sono state sovradimensionate per tenere conto di margini di crescita degli ordinativi, ma la non realizzazione dello stoccaggio estivo andrà certamente a limitare le capacità di consegna futura del gas in caso di aumenti della domanda, ad esempio per una crescita economica. Il che porterà ad un ulteriore aumento dei costi, se non si ritorna al precedente tipo di contratti.
Aggiungiamo il fatto che il fornitore, di fronte a contratti di breve durata, senza garanzie per il futuro, con impianti costosi da ammortizzare e in assenza di concorrenti, avrà l’interesse ad aumentare i prezzi di vendita, cosa che non accadeva in passato.
Queste nuove dinamiche sono state innescate principalmente dalle decisioni dell’Unione Europea, naturalmente – come sempre – senza informarne i cittadini. Possiamo supporre che tali decisioni siano conseguenza all’azione delle solite lobbies che operano a Bruxelles, sia alle pressioni degli USA finalizzate a danneggiare economicamente la Russia, ma anche per favorire le maggiori vendite di gas liquefatto americano.
Non è stato il “cattivo” Putin ad aumentare il gas per farci dispetto, ma sono stati i “buoni” della Commissione Europea e della presidenza USA a portarci in wuesta situazione.
Personalmente ho il dubbio che l’escalation della guerra in Ucraina (aumento delle provocazioni che hanno spinto la Russia all’intervento militare) sia avvenuta solamente dopo l’attuazione di queste riforme del mercato energetico europeo proprio per massimizzare le rendite degli investitori in occasione dei perturbamenti causati dalla guerra.

 

La transizione ecologica

Certamente uno dei modi per ridurre la nostra dipendenza energetica da fornitori esteri è anche quello di riuscire a produrre più energia a casa nostra.
Riproponiamo il grafico precedente sul mix energetico usato in Italia per farne un’analisi.

Grafico 6

Le fonti “italiane” rinnovabili sono l’Idroelettrico, il Solare, l’Eolico ed il Biocombustibile, che tutti insieme rappresentano il 19,4% del totale. Negli anni 2020 e 2021 la quota totale di produzione da fonti rinnovabili in Italia è ulteriormente aumentata, non per un chissà quale aumento degli investimenti, ma soprattutto a causa della riduzione dei consumi energetici interni causata dalla limitazioni produttive delle misure anti-covid-19. E’ noto che l’energia da fonti rinnovabili richiede forti investimenti iniziali, ma poi l’energia si produce sostanzialmente “gratis”, o a basso costo. In caso di riduzione complessiva del fabbisogno energetico, di conseguenza, è naturale che venga ridotta la produzione da fonti non rinnovabili, per cui le fonti rinnovabili coprono una quota maggiore della produzione. Ma una volta normalizzata la situazione, si riprenderà a bruciare gasolio e metano, come prima.
Per questo motivo per la nostra analisi prendiamo in considerazione i dati del 2019, prima della pandemia.
Se il gas russo rappresenta il 16% del fabbisogno energetico nazionale annuo, per compensarlo dovremmo portare la quota da fonti rinnovabili dall’attuale 19,4% al 35,4%.
L’obiettivo è assolutamente auspicabile, perché al vantaggio di liberarci dai vincoli strutturali con la Russia e, in generale, dai condizionamenti derivanti dai fornitori di energia esteri, aggiungeremmo anche la riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dalla minore combustione di gas naturale.
Considerando che la quota di idroelettrico ha pochissimi margini di ulteriore sviluppo, perché i bacini idroelettrici che potevamo realizzare li abbiamo già costruiti, dovremmo sostanzialmente raddoppiare l’energia prodotta tramite biocombustibile, tramite impianti solari ed impianti eolici.
A questo punto le domande sono due: con quanti investimenti e in quanto tempo?
Raddoppiare la capacità produttiva di energia rinnovabile significa fare enormi investimenti e significa attendere anni prima che questi nuovi impianti vengano costruiti e messi in funzione. Significa che chi ci governa dovrebbe quantificare questi investimenti, trovare i soldi e finanziare progetti di qualità, che garantiscano dei risultati effettivi dal punto di vista energetico.

Un’altra possibilità valida per l’Italia per ridurre la propria dipendenza energetica dall’estero è di investire seriamente sul risparmio energetico.
In effetti noi non abbiamo bisogno di energia in quanto tale, ma abbiamo bisogno di energia per riscaldarci in inverno, per la produzione di beni e servizi e per i trasporti.
Mettendo in atto opportuni interventi di risparmio e di razionalizzazione energetica degli impianti di climatizzazione, degli impianti produttivi e dei trasporti l’Italia potrebbe ridurre il proprio fabbisogno annuo di energia, diminuendo gradualmente la propria dipendenza estera ed evitando emissioni di CO2 in atmosfera. E’ realistico ritenere che il potenziale di riduzione rispetto ai fabbisogni attuali sia almeno del 30%.
Anche in questo caso, però, sono necessari cospicui investimenti ed è necessario attendere diversi anni prima di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Politicamente parlando sarebbe opportuno investire sia sulla realizzazione di impianti per la produzione di energia verde in Italia, sia sul risparmio energetico. Ma si tratta di mettere in gioco grandi capitali e di realizzare degli interventi strutturali, che durino almeno 20-30, in modo da sviluppare solide competenze nel settore e le filiere produttive. Oggi, purtroppo, i nostri migliori ingegneri del settore emigrano all’estero, per la mancanza di opportunità serie in Italia. Siamo ben distanti dal seguire questi obiettivi.

C’è chi parla di ritornare al nucleare. L’argomento è complesso e meriterebbe almeno un articolo per essere approfondito. La mia opinione personale è che per il nucleare troppo spesso vengano sottostimati i costi di realizzazione, ma ancora di più i costi di smaltimento delle scorie, nonché i rischi derivanti da possibili incidenti, che possono essere sia di origine naturale (terremoti, maremoti, alluvioni), ma anche di origine umana (una guerra, un attentato). Questi rischi reali rendono l’energia nucleare molto meno sicura di quello che si creda.

 

La variabile “tempo”

La variabile “tempo” è fondamentale quando si parla di modificare gli assetti del settore energetico.
Servono anni per realizzare gli impianti che ci consentano di approvvigionarsi di gas da altri fornitori, ad esempio dal Medio Oriente o dai nuovi giacimenti situati fra Egitto e Cipro.
Servono anni per realizzare le necessarie navi metaniere e i necessari impianti di rigassificazione, volendo acquistare GN da paesi più distanti.
Servono anni per realizzare sufficienti impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e le necessarie reti di trasporto.
Servono anni per realizzare nuove centrali nucleari.
Servono anni per i molti interventi necessari per ridurre del 40% i consumi per il riscaldamento invernale degli edifici.
Servono anni per potenziare adeguatamente i trasporti pubblici, in modo da ridurre le esigenze di trasporto privato, che è più energivoro.

Se anche si trovano i finanziamenti per questi interventi, fino a che l’Italia non recupererà la propria sovranità monetaria sarà ben difficile trovarli, sarà comunque necessario disporre di molta forza lavoro qualificata, di cui attualmente non disponiamo. Sono necessari anni per formare dei bravi ingegneri e degli operai specializzati.
In generale servono molti anni per trasformare un obiettivo politico in progetti di opere e poi per realizzare tali opere.

Purtroppo constatiamo che i nostri politici dimostrano una volta di più di vivere sulle nuvole, non rendendosi minimamente conto del fattore tempo.
Non basta decidere oggi di interrompere gli acquisti di gas dalla Russia oggi per avere domani un altro fornitore sostitutivo o una produzione nazionale da fonti rinnovabili equivalente o essere capaci di ridurre il fabbisogno energetico nazionale del 16%. E’ folle anche solo parlare di ipotesi del genere, in quanto sono fuori dalla realtà. Se si decide che questa è la strada giusta da seguire, allora bisognava pensarci prima, almeno 15-20 anni fa.

Se vogliamo un esempio virtuoso da seguire per i nostri politici, possiamo guardare alla vicina Svizzera, che dimostra un approccio razionale alla questione.
Qui sotto abbiamo un grafico prodotto dall’Ufficio Federale dell’Energia svizzero (OFEN)

Grafico 14

Si noti come il fabbisogno energetico complessivo (linea verde scuro) sia in progressiva diminuzione negli ultimi 10 anni, nonostante l’aumento della popolazione residente (linea arancio) e nonostante l’aumento del prodotto interno lordo (PIB, verde chiaro). Dato che ogni persona consuma energia per vivere e dato che per produrre si consuma energia, la crescita di questi fattori porterebbe naturalmente ad un aumento dei consumi energetici.
Ma l’indice di consumo di energia per persona è in costante diminuzione, mentre l’indice del prodotto interno lordo in rapporto all’energia consumata è in costante crescita ovvero si produce di più consumando di meno.

La Svizzera raggiunge questi obiettivi con politiche strutturali di incentivi alle ristrutturazione energetiche, di incentivi al settore produttivo perché investa nella razionalizzazione nell’uso dell’energia, di incentivi per la realizzazione di impianto solari, eolici e a biomasse e con un progressivo aumento della tassazione delle emissioni di CO2, in quali vengono preannunciati anni prima, in modo che le imprese ed i cittadini possano indirizzare adeguatamente i loro investimenti.
In Italia, invece, la classe politica si lancia irresponsabilmente in iniziative di rottura con i nostri principali fornitori di energia a cui siamo strutturalmente vincolati, come la Russia (già nel 2011 avevamo supportato, a nostro danno, la guerra alla Libia, altro nostro fornitore storico di energia), senza avere mai pensato seriamente ad un “Piano B” ovvero ad interventi strutturali per ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero. In sostanza è come se decidessero di chiudere l’unico rubinetto che ci disseta, senza avere pensato a fonti alternative d’acqua. Il risultato inevitabile non potrà essere che la morte per sete.

 

Energia e pace

Ritornando ai legami strutturali di interdipendenza fra Italia e Russia, che poi sono anche i legami fra la maggior parte dei paesi europei e la Russia, chiediamoci quale possa essere l’interesse “superiore” che potrebbe giustificare la rottura di questi rapporti.
La guerra in Ucraina rischi di complicare enormemente la situazione, portando alla rottura di equilibri nei rapporti internazionali che avevano dimostrato di funzionare bene, con vantaggi sia per l’Europa, sia per la Russia.
Si tratta di una questione estremamente importante che dovrebbe essere messa al centro delle trattative di pace fra Russia, Ucraina, con l’Europa come parte in causa.
Il non ingresso dell’Ucraina nella NATO richiesto dalla Russia o l’autonomia richiesta dalle regioni del Donbass valgono bene il prezzo del ripristino di rapporti di cooperazione energetica fra Russia ed UE. Lo valgono, perché non abbiamo alternative, al momento e almeno per i prossimi 15-20 anni.
Gli Stati Uniti, invece, perseguono dei propri obiettivi geopolitici di rilevanza di gran lunga inferiore, come l’isolamento della Russia dall’Europa (che è un danno per i paesi europei) o gli interessi di alcune loro multinazionali che intendono lucrare sul cambiamento degli equilibri del mercato energetico.
Nulla che possa valere il prezzo delle gravissime conseguenze della mancanza di energia in Europa, con una inevitabile aumento permanente dei prezzi nel settore energetico e con la necessità di ridurre strutturalmente la produzione di beni e servizi. L’Europa precipiterebbe nella povertà diffusa.

Se chi ci governa intende fare il bene del popolo, le scelte da fare sono alquanto evidenti. Se fanno altre scelte, chiediamoci se sono incompetenti o se agiscono per gli interessi di “altri”.
Ed anche la Russia ha tutti gli interessi a ripristinare dei sereni rapporti di collaborazione con l’Europa nel campo dell’energia.
Che si siedano seriamente tutti intorno al tavolo, discutendo di rapporti energetici e di pace in Ucraina. La soluzione che conviene a tutti, a parte gli USA, esiste. Basta solo avere uno sguardo lungimirante e volerlo.

Jacques Baud Come procedono le operazioni in Ucraina, a cura di Giuseppe Gagliano

Jacques Baud Come procedono le operazioni in Ucraina

A partire dal 25 marzo 2022, la nostra analisi della situazione conferma le osservazioni e le conclusioni fatte a metà marzo.

L’offensiva lanciata il 24 febbraio è strutturata in due linee , in conformità con la dottrina operativa russa:

– Uno sforzo principale diretto verso il sud del paese nella regione del Donbass e lungo la costa del Mar d’Azov. Come previsto dalla dottrina, gli obiettivi principali sono su questa linea: la neutralizzazione delle forze armate ucraine (obiettivo di “smilitarizzazione”) e la neutralizzazione delle milizie paramilitari ultranazionaliste nelle città di Kharkov e Mariupol (obiettivo di “denazificazione”). Questa spinta principale è guidata da una coalizione di forze: le forze russe del distretto militare meridionale attraverso Kharkov e la Crimea, con – al centro – le forze della milizia delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, nonché un contributo della Guardia nazionale cecena per i combattimenti nell’area urbana di Mariupol;

– Uno sforzo secondario su Kiev, il cui obiettivo è quello di “aggiustare” le forze ucraine (e occidentali), in modo da impedirle di condurre operazioni contro la spinta principale, o addirittura di portare indietro le forze della coalizione russa.

Questa offensiva segue rigorosamente gli obiettivi fissati da Vladimir Putin il 24 febbraio. Ma, ascoltando solo i loro pregiudizi, di “esperti” e politici occidentali hanno sottolineato che l’obiettivo della Russia era impadronirsi dell’Ucraina e rovesciare il suo governo. Applicando una logica molto occidentale, vedevano Kiev come il “centro di gravità” (Schwerpunkt) delle forze ucraine. Secondo Clausewitz, il “centro di gravità” è l’elemento da cui un belligerante trae la sua forza e capacità di agire, quindi è l’obiettivo prioritario della strategia di un avversario. Questo è il motivo per cui gli occidentali hanno sistematicamente cercato di prendere il controllo delle capitali nelle guerre che hanno intrapreso. Addestrato e consigliato da esperti della NATO, lo Stato Maggiore ucraino ha, in modo abbastanza prevedibile, applicato la stessa logica per rafforzare la difesa di Kiev e dei suoi dintorni, lasciando le sue truppe povere nel Donbass, lungo il principale asse di sforzo russo.

Se avessimo ascoltato attentamente Vladimir Putin, ci saremmo resi conto che l’obiettivo strategico della coalizione russa non è impadronirsi dell’Ucraina, ma rimuovere qualsiasi minaccia per le popolazioni di lingua russa del Donbass. Sulla base di questo obiettivo generale, il “vero” centro di gravità che la coalizione russa sta cercando di colpire è la maggior parte delle forze armate ucraine ammassate nel sud-sud-est del paese dalla fine del 2021, non Kiev.

Convinti che l’offensiva russa stia prendendo di mira Kiev, gli esperti occidentali hanno logicamente concluso che 1) i russi stanno calpestando e 2) la loro offensiva è destinata al fallimento perché non saranno in grado di tenere il paese a lungo termine.

Detto questo, il discorso occidentale su un’offensiva russa impantanata e i cui successi sono scarsi fa anche parte della guerra di propaganda condotta da entrambe le parti. Pertanto, la sequenza delle mappe delle operazioni pubblicate da Libération dalla fine di febbraio non mostra praticamente alcuna differenza da un giorno all’altro fino al 18 marzo (quando i media hanno smesso di aggiornarsi). Così, il 23 febbraio, su France 5, la giornalista Élise Vincent valuta il territorio preso dalla coalizione russa come l’equivalente della Svizzera o dei Paesi Bassi. In realtà, siamo più sulla superficie della Gran Bretagna.

Inoltre, va notato che le forze ucraine non compaiono su nessuna mappa della situazione presentata dai nostri media. Pertanto, se la mappa del Ministero delle Forze armate fornisce un’immagine leggermente più onesta della realtà, evita accuratamente di menzionare le forze ucraine circondate nel calderone di Kramatorsk.

Le forze ucraine, infatti, non sono mai rappresentate sulle nostre mappe, perché ciò dimostrerebbe che non sono state schierate al confine russo nel febbraio 2022, ma che sono state raggruppate nel sud del Paese in preparazione all’offensiva di cui è iniziata la fase preparatoria il 16 febbraio. Ciò conferma che la Russia ha reagito solo a una situazione avviata dall’Occidente, attraverso l’Ucraina, come vedremo. Oggi, sono queste forze che sono accerchiate nel calderone di Kramatorsk e metodicamente frammentate e neutralizzate passo dopo passo in maniera incrementale dalla coalizione russa.

La vaghezza mantenuta sulla situazione delle forze ucraine in Occidente ha altri effetti. Innanzi tutto mantiene l’illusione di una possibile vittoria ucraina. Così, invece di incoraggiare un processo di negoziazione, l’Occidente cerca di prolungare la guerra. Per questo l’Unione Europea e alcuni dei suoi paesi membri hanno inviato armi e incoraggiano così la popolazione civile ei volontari di ogni tipo ad andare a combattere, spesso senza addestramento e senza una vera struttura di comando, con conseguenze omicide.

Sappiamo che in un conflitto ciascuna parte tende a informare in modo da dare un’immagine favorevole della propria azione. Nasconde le profonde carenze della condotta ucraina, nonostante sia stata addestrata e consigliata dai soldati della NATO.

Pertanto, la logica militare avrebbe imposto che le forze catturate nel calderone di Kramatorsk si sarebbero ritirate su una linea all’altezza del Dnepr, ad esempio, per riorganizzarsi ed effettuare una controffensiva; ma gli fu proibito di ritirarsi dal presidente Zelensky. Già nel 2014 e nel 2015, un attento esame delle operazioni ha mostrato che gli ucraini stavano applicando schemi “stile occidentale”, totalmente inadatti alle circostanze, di fronte a un avversario più fantasioso, più flessibile e con strutture di leadership più snelle. Oggi è lo stesso fenomeno.

Infine, la visione parziale del campo di battaglia che ci è stata data dai nostri media ci ha reso incapaci di aiutare lo stato maggiore ucraino a prendere le giuste decisioni. Ci ha portato a pensare che l’ovvio obiettivo strategico fosse Kiev, che la “smilitarizzazione” fosse mirata all’adesione dell’Ucraina alla NATO e che la “denazificazione” fosse mirata a rovesciare Zelensky. Questa leggenda è stata alimentata dall’appello di Vladimir Putin alla disobbedienza all’esercito ucraino, interpretato (con grande immaginazione e pregiudizio) come un appello a rovesciare il governo. Tuttavia, questa chiamata era rivolta alle forze ucraine schierate nel Donbass in modo che si arrendessero senza combattere. L’interpretazione occidentale ha indotto il governo ucraino a giudicare male gli obiettivi russi e ad abusare del suo potenziale di vittoria.

Non vinci una guerra con il pregiudizio: la perdi, ed è quello che sta succedendo. Pertanto, la coalizione russa non è mai stata “fermata” o “fermata” da una resistenza eroica: semplicemente non ha attaccato dove previsto! Non volevamo ascoltare ciò che Vladimir Putin ci ha spiegato molto chiaramente. Per questo siamo così diventati – volens nolens – i principali artefici della sconfitta ucraina che sta prendendo forma. Paradossalmente, è probabilmente a causa dei nostri sedicenti “esperti” e strateghi occasionali sui nostri televisori che l’Ucraina si trova oggi in questa situazione!

Per quanto riguarda il corso delle operazioni, le analisi presentate dai nostri media provengono il più delle volte da politici o cosiddetti esperti militari, che trasmettono propaganda ucraina.

Sia chiaro: qualsiasi guerra è una tragedia. Il problema qui è che i nostri strateghi del pareggio stanno chiaramente cercando di drammatizzare eccessivamente la situazione per escludere qualsiasi soluzione negoziata. Questa evoluzione, tuttavia, spinge alcuni soldati occidentali a parlare ea dare un giudizio più sfumato. Così, su Newsweek, un analista della Defense Intelligence Agency (DIA), l’equivalente americano del a Direction du Renseignement Militaire (DRM) in Francia, osserva che “in 24 giorni di conflitto, la Russia ha effettuato circa 1.400 attacchi e lanciato quasi 1.000 missili (in confronto, gli Stati Uniti hanno effettuato più di attacchi e lanciato più missili sul primo giorno della guerra in Iraq nel 2003)”.

Mentre gli occidentali “preparano” il campo di battaglia con attacchi intensi e prolungati prima di inviare le loro truppe sul campo, i russi preferiscono un approccio meno distruttivo, ma più ad alta intensità di truppe. Su France 5, la giornalista Mélanie Tarvant presenta la morte dei generali sul campo di battaglia come prova della destabilizzazione dell’esercito russo. Ma è una profonda incomprensione delle tradizioni e delle modalità di funzionamento di questa. Mentre in Occidente i comandanti tendono a guidare da dietro, le loro controparti russe tendono a guidare dalla parte anteriore dei loro uomini: in Occidente diciamo “Avanti!” in Russia dicono “Seguimi!” “. Questo spiega le elevate perdite ai vertici del comando, già osservate in Afghanistan, ma anche una selezione dei quadri molto più rigorosa che in Occidente.

Inoltre, l’analista della DIA osserva che “la stragrande maggioranza degli attacchi aerei ha luogo sul campo di battaglia, con aerei russi che forniscono ‘supporto aereo ravvicinato’ alle forze di terra. Il resto – meno del 20%, secondo gli esperti statunitensi – prende di mira aeroporti militari, caserme e depositi di supporto”. Così, la frase “bombardamento indiscriminato [che] devasta la città e uccide tutti” ripresa dai media occidentali sembra contraddire l’esperto dell’intelligence americana che afferma “se solo ci convinciamo che la Russia sta bombardando indiscriminatamente, o non infligge più danni perché il suo personale non è all’altezza o perché tecnicamente inetto, quindi non vediamo il conflitto per quello che è”.

In effetti, le operazioni russe differiscono fondamentalmente dal concetto occidentale. L’ossessione degli occidentali di non avere vittime nelle proprie forze li porta a operazioni che risultano essenzialmente in attacchi aerei molto mortali. Le truppe di terra intervengono solo quando tutto è stato distrutto. Ecco perché, in Afghanistan o nel Sahel, gli occidentali uccidono più civili che terroristi. Questo è il motivo per cui i paesi occidentali impegnati in Afghanistan, Medio Oriente e Nord Africa non pubblicano più il bilancio delle vittime civili causate dai loro attacchi . Perché, infatti, gli europei impegnati in regioni che incidono solo marginalmente sulla loro sicurezza nazionale, come gli estoni nel Sahel, si recano lì per “sporcarsi le mani”.

In Ucraina la situazione è molto diversa. Basta guardare una mappa delle zone linguistiche per vedere che la coalizione russa opera quasi esclusivamente nella zona di lingua russa, quindi in mezzo a popolazioni generalmente favorevoli. Il che spiega anche le dichiarazioni di un ufficiale dell’aeronautica americana: “So che i media continuano a dire che Putin prende di mira i civili, ma non ci sono prove che la Russia lo faccia intenzionalmente”.

Al contrario, è per lo stesso motivo – ma implicitamente – che l’Ucraina ha schierato i suoi combattenti paramilitari ultranazionalisti in grandi città come Mariupol o Kharkov: senza legami affettivi o culturali con le popolazioni locali, queste milizie possono combattere anche a costo di pesanti vittime civili. Le atrocità che stiamo scoprendo sono ancora nascoste dai media francofoni, per paura di perdere il sostegno all’Ucraina, come riportato dai media vicini ai repubblicani negli Stati Uniti.

Dopo gli scioperi di “decapitazione” nei primi minuti dell’offensiva, la strategia operativa russa è stata quella di aggirare i centri urbani per avvolgere l’esercito ucraino “fissato” dalle forze delle repubbliche del Donbas. È importante ricordare che la “decapitazione” non ha lo scopo di annientare lo stato maggiore o il governo (come tendono a capire i nostri “esperti”), ma di tagliare le strutture di comando in modo da impedire la manovra coordinata delle forze. Cerchiamo, al contrario, di preservare gli organi di gestione per poter negoziare una via d’uscita dalla crisi.

Il 25 marzo 2022, dopo aver chiuso a chiave il calderone di Kramatorsk, chiuso ogni possibilità di ritirata agli ucraini e preso la maggior parte delle città di Kharkov e Mariupol, la Russia ha quasi raggiunto i suoi obiettivi: non resta che concentrare i suoi sforzi per ridurre sacche di resistenza. Quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla stampa occidentale, non si tratta di un riorientamento o di un ridimensionamento della sua offensiva, ma di metodica attuazione degli obiettivi. La forza lavoro ha annunciato il 24 febbraio.

Un aspetto particolarmente preoccupante di questo conflitto è l’atteggiamento dei governi europei che consentono o incoraggiano l’impegno dei loro cittadini ad andare a combattere in Ucraina. L’appello di Volodymyr Zelensky a unirsi alla Legione Internazionale per la Difesa Territoriale dell’Ucraina da lui appena creata è stato accolto con entusiasmo dai paesi europei.

Incoraggiati dai media che ritraggono un esercito russo in rotta, molti di questi giovani se ne vanno immaginando di andare – letteralmente – a una battuta di caccia. Tuttavia, una volta lì, la disillusione è grande. Le testimonianze mostrano che questi “dilettanti” finiscono spesso come “carne da cannone” senza avere alcun impatto reale sull’esito del conflitto. L’esperienza dei recenti conflitti mostra che l’arrivo di combattenti stranieri non aggiunge nulla a un conflitto se non aumentarne la durata e la letalità.

Inoltre, dovrebbe destare preoccupazione l’arrivo di diverse centinaia di combattenti islamici dalla regione di Idlib, regione sotto il controllo e la protezione della coalizione occidentale in Siria (e in cui due leader dello Stato islamico sono stati uccisi dagli americani). In effetti, le armi che forniamo in modo molto generoso all’Ucraina sono già in parte nelle mani di persone e organizzazioni criminali e stanno già cominciando a porre un problema di sicurezza per le stesse autorità di Kiev. Per non parlare del fatto che le armi la cui efficacia è elogiata contro gli aerei russi potrebbero alla fine minacciare i nostri aerei militari e civili…

Il volontario presentato con orgoglio da RTBF al telegiornale delle 19:30 dell’8 marzo 2022 era un ammiratore del “Corps Franc Wallonie” dei volontari belgi impegnati con il Terzo Reich, e illustra il tipo di pubblico attratto dall’Ucraina. Alla fine, dovrai chiederti chi ha vinto di più dal Belgio o dall’Ucraina…

La distribuzione indiscriminata di armi potrebbe benissimo rendere – volens nolens – l’UE un sostegno all’estremismo, o addirittura al terrorismo internazionale. Risultato: aggiungiamo sventura a sventura, per soddisfare le élite europee più della stessa Ucraina.

*

In conclusione, vale la pena sottolineare tre punti.

– L’intelligence occidentale ignorata dai responsabili politici

I documenti militari rinvenuti presso il quartier generale ucraino nel sud del Paese confermano che l’Ucraina si stava preparando ad attaccare il Donbass e che gli spari osservati dagli osservatori dell’OSCE dal 16 febbraio annunciavano un’imminente focolaio.

Qui una riflessione è d’obbligo per gli occidentali: o i loro servizi di intelligence non hanno visto cosa stava succedendo e sono molto cattivi, oppure i politici hanno scelto di non ascoltarli. Sappiamo che i servizi di intelligence russi hanno capacità analitiche di gran lunga superiori rispetto ai servizi occidentali. Sappiamo anche che i servizi di intelligence americani e tedeschi avevano compreso molto bene la situazione dalla fine del 2021 e sapevano che l’Ucraina si stava preparando ad attaccare il Donbass.

Questo ci permette di dedurre che i leader politici americani ed europei hanno deliberatamente spinto l’Ucraina in un conflitto che sapevano sarebbe andato perduto, al solo scopo di infliggere un colpo politico alla Russia.

Il motivo per cui Zelensky non dispiegò le sue forze al confine russo e affermò ripetutamente che il suo grande vicino non lo avrebbe attaccato era presumibilmente che pensava di fare affidamento sulla deterrenza occidentale. Ha detto alla CNN il 20 marzo che gli era stato chiaramente detto che l’Ucraina non avrebbe fatto parte della NATO, ma pubblicamente sembra il contrario! Quindi l’Ucraina è stata sfruttata per colpire la Russia. Obiettivo la chiusura del gasdotto North Stream 2, annunciata l’8 febbraio da Joe Biden durante la visita di Olaf Scholz a cui è seguita una pioggia di sanzioni.

– Una diplomazia rotta

Ovviamente, dalla fine del 2021, l’Occidente non ha fatto alcuno sforzo per riattivare gli accordi di Minsk, come dimostrano i resoconti di visite e conversazioni telefoniche, in particolare tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin. Tuttavia, la Francia, in quanto garante degli Accordi di Minsk e come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non ha rispettato i propri impegni, il che ha così portato alla situazione che l’Ucraina sta vivendo oggi. Abbiamo persino la sensazione che gli occidentali abbiano cercato di aggiungere benzina sul fuoco dal 2014.

Pertanto, la messa in allerta delle forze nucleari da parte di Vladimir Putin il 27 febbraio è stata presentata dai nostri media e dai nostri politici come un atto di irrazionalità o di ricatto. Ciò che si dimentica è che ha fatto seguito alla minaccia appena velata lanciata da Jean-Yves Le Drian, tre giorni prima, che aveva indicato che la NATO avrebbe potuto utilizzare l’arma nucleare. aria. È molto probabile che Putin non abbia preso sul serio questa “minaccia”, ma abbia voluto spingere i paesi occidentali – e la Francia in particolare – ad abbandonare il linguaggio eccessivo.

– La vulnerabilità degli europei alla manipolazione è in aumento

Oggi, la percezione diffusa dai nostri media che l’offensiva russa si sia arenata, che Vladimir Putin sia pazzo, irrazionale e quindi pronto a tutto pur di uscire dall’impasse in cui si troverebbe. In questo sfondo totalmente emotivo, la strana domanda posta dal senatore repubblicano Marco Rubio durante l’audizione di Victoria Nuland davanti al Congresso: “Se c’è un incidente o un attacco in Ucraina con armi biologiche o chimiche, c’è qualche dubbio nella tua mente che ci sia un 100 % di possibilità che i russi siano responsabili? Naturalmente lei risponde che non ci sono dubbi. Eppure non c’è assolutamente alcuna indicazione che i russi stiano usando tali armi. Inoltre, i russi hanno finito di distruggere le loro scorte nel 2017, mentre gli americani non le hanno ancora distrutte…

Forse questo non significa niente. Ma nello stato d’animo attuale, tutte le condizioni sono soddisfatte perché si verifichi un incidente, che potrebbe spingere gli occidentali a impegnarsi maggiormente, in una forma o nell’altra, nel conflitto ucraino (incidente “sotto falsa bandiera”).

https://centrostudistrategicicarlodecristoforis.wordpress.com/2022/03/30/jacques-baud-come-procedono-le-operazioni-in-ucraina/?fbclid=IwAR0FfLnjq3cwbEGDZsGC8f3Go_v9Sm077Mkk-nWp72NWXv3j_-pSouVkv8E

La Grande Post Guerra Fredda AmericanThinkers sulle relazioni internazionali di gilbert doctorow

La Grande Post Guerra Fredda AmericanThinkers sulle relazioni internazionali

di gilbertdoctorow

I grandi pensatori americani del dopoguerra sulle relazioni internazionali è il titolo del mio primo libro di saggi. Pubblicato nel 2010, ha una notevole utilità per capire dove siamo oggi nelle relazioni con la Russia, come e perché un Nuovo Ordine Mondiale si sta formando davanti ai nostri occhi e dove siamo diretti.

In quanto storico di formazione, ero stato a lungo scontento del modo in cui i politologi americani cercavano nella storia delle “lezioni” a sostegno delle loro ultime proposte per la politica estera del paese. Questa pratica era tanto più in vista durante gli anni ’90, nel periodo immediatamente successivo al crollo dei regimi comunisti in tutta l’Europa centrale e orientale, arrivando infine all’URSS. Gli accademici più conosciuti d’America, e anche alcuni aspiranti accademici meno conosciuti, hanno prodotto opere che avevano lo scopo di informare un pubblico confuso e anche di guidare i responsabili politici nelle più alte cariche del paese. Fornivano mappe stradali per il nuovo mondo che ora non era più diviso fino al midollo da una frattura ideologica e che non era più bipolare, ma sembrava invece unipolare, con gli Stati Uniti come unica superpotenza globale ed egemone rimasta.

Ho letto alcuni dei loro lavori, sono rimasto scandalizzato dalla lavorazione scadente e ho deciso di agire come storico chiamando all’ordine colleghi professionisti in una disciplina correlata.

Considerando i risultati della mia dissezione degli scritti degli anni ’90 e dell’inizio del nuovo millennio dei nomi affermati nel campo, alcuni lettori del mio libro hanno deciso che non ero sincero nel designarli come “grandi”. Tuttavia, il mio parametro non era il valore intrinseco dei loro scritti, ma il grado di influenza che esercitavano sulla professione e nella comunità della politica estera in generale. C’era poco da cavillare sulle mie scelte. Francis Fukuyama, Samuel Huntington, Zbigniew Brzezinski, Henry Kissinger e Noam Chomsky erano tutti ben noti al pubblico per diversi scaffali di opere che hanno avuto un interesse duraturo fino ad oggi. I nomi meno conosciuti nel mio “big ten” erano Joseph Nye, Stanley Hoffmann, G. John Ikenberry e Robert Kagan. Erano riempitivi per dare al mio volume abbastanza volume. Non mi scuso per averli inclusi perché erano ancora ineludibili nel 2010 anche se il loro valore residuo oggi è spesso trascurabile. Con un’eccezione, ovviamente, Kagan. Sarei negligente non menzionare che è il marito di Victoria Nuland, con la quale ha condiviso una visione del mondo neoconservatrice che ha contribuito a definire.

Il più forte degli autori nella mia lista erano pensatori complessi, e ci sono voluti tutti i miei sforzi per ottenere la mia mente intorno a loro per produrre un’analisi critica, incluso da dove hanno “preso in prestito” molte delle loro idee, cosa c’era di sbagliato nelle fonti e cosa è rimasto sbagliato nelle loro rielaborazioni.

Il più originale del lotto era Francis Fukuyama. Il suo Fine della storia (1992) è stato seminale, nel senso che gli altri “grandi” hanno scritto in risposta alla sua sfida, anche se non hanno mai riconosciuto il suo lavoro per nome. Il libro di Fukuyama stabiliva i principi che erano incorporati nel movimento neoconservatore. Ha sostenuto che con la sconfitta del comunismo, l’intera umanità era ora diretta nella stessa direzione verso la democrazia liberale e il libero mercato. Era un unico binario lungo il quale si stendevano tutte le nazioni della terra, chi davanti alla locomotiva, chi dietro. Con la direzione della storia chiaramente delineata da Fukuyama, è stato un piccolo passo per i Neoconservatori esortare il governo degli Stati Uniti ad accelerare i processi storici con un intervento diretto. Quando questo finì con la sfortunata invasione dell’Iraq, Fukuyama abbandonò la nave e lasciò il movimento. Ma non è mai andato molto lontano, ed è chiamato ancora oggi come esperto di affari internazionali a commentare il disastro che attende Putin dalla sua guerra all’Ucraina. Questo è stato l’argomento principale della sua intervista la scorsa settimana al programma Hard Talk della BBC. Persone molto intelligenti come Fukuyama si allontanano indenni dai relitti del treno.

Zbigniew Brezinski è ormai morto da tempo (2017) ma la sua voce si sente ancora. Nelle ultime settimane molti dei nostri commentatori citano il passaggio del libro più venduto di Brzezinski, Grand Chessboard (1997), in cui spiega l’importanza decisiva dell’Ucraina nel mantenimento o nella perdita della posizione della Russia come impero europeo. Naturalmente, c’è molto di più in quel libro delle due righe citate oggi. Racchiudeva un’intera visione del mondo che era profondamente anti-russa, proprio come lo era stata la carriera di Brzezinski quando si trasferì dalla sua cattedra universitaria per diventare consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter.

Brzezinski è stato l’autore del piano per attirare l’Unione Sovietica in un’invasione dell’Afghanistan nel dicembre 1979 e poi per fornire supporto statunitense ai guerrieri islamici che combattono l’URSS, che, a lungo termine, ha logorato lo stato sovietico e ha contribuito alla sua scomparsa. Ci sono molti a Washington che sperano in risultati simili dal sostegno americano agli ucraini nella loro guerra con la Russia, un’altra guerra che gli Stati Uniti hanno in gran parte pianificato.

Il nome di Brzezinski non è stato menzionato nei numerosi necrologi dell’ex segretario di Stato Madeleine Albright, morta la scorsa settimana. Tuttavia, era stato il suo mentore durante i suoi studi universitari e sono rimasti in stretto contatto quando è salita alle alte cariche. Brzezinski ha accettato un incarico da Albright per assistere i piani per la costruzione di oleodotti e gasdotti dall’Asia centrale all’Europa, costeggiando il territorio della Federazione Russa, con l’intento di ridurre le entrate russe e il controllo sugli idrocarburi globali.

Non sarebbe esagerato dire che le opinioni anti-russe di Brzezinski sono state assorbite dal latte di sua madre. Sebbene sia considerato una cattiva forma nella vita politica americana attirare l’attenzione su nascita, etnia e simili, al momento della sua nomina a consigliere per la sicurezza nazionale c’erano un certo numero di seri professionisti che mettevano in dubbio la saggezza di nominare un patriota polacco, figlio di un diplomatico polacco, a partecipare al processo decisionale ad alto livello che coinvolge la politica nei confronti della Russia, visti i diversi secoli di cattivo sangue tra questi paesi e popoli.

Gli scritti di Henry Kissinger erano sicuramente i più difficili da padroneggiare. Si è laureato ad Harvard una summa cum laude e lo senti. Quando stavo scrivendo la mia analisi del suo capolavoro Diplomacy (1994) sono andato alla pagina amazon.com per il libro e ho esaminato i commenti dei lettori, cercando di catturare il vox populi . Un commento spiccava: “Scrive molto bene per un criminale di guerra”.

In effetti, in passato era opinione diffusa che Kissinger avesse trascorso la seconda metà della sua vita a espiare i peccati della prima metà. Il suo ruolo nel perseguire la brutta guerra criminale in Vietnam è stato il principale peccato del passato. Dagli anni ’90 in poi, si presumeva che Kissinger agisse come uno degli “uomini saggi” dando prospettiva e intuizioni a coloro che facevano politica estera, compresi i presidenti. E quando viene citato oggi, è comune indicare le sue dichiarazioni dopo il 2008 in cui sconsigliava di estendere l’adesione alla NATO all’Ucraina. Tuttavia, questo per ignorare ciò che ha fatto e detto negli anni ’90. Kissinger e Brzezinski hanno entrambi testimoniato a Capitol Hill nel periodo 1994-1996, quando l’America ha preso una decisione sull’espansione della NATO e sulle relazioni con la Federazione Russa in futuro. All’epoca Kissinger si era opposto fermamente all’inclusione della Russia nella NATO, addirittura contrario all’inclusione della Russia nel programma molto diluito del Partenariato per la Pace. La NATO doveva essere sacrosanta.

Nel 2008, quando Stati Uniti e Russia si avviarono verso la guerra per l’incursione russa in Georgia ad agosto, Kissinger era un attore di primo piano nel gruppo di alti uomini di stato che misero insieme un documento su come riavviare le relazioni con Mosca. Il documento è stato consegnato al team della campagna di Barack Obama ed è stato implementato all’inizio del 2009 come “Re-set”. Tuttavia, quel piano in realtà non metteva in dubbio i dati dell’egemonia globale degli Stati Uniti e richiedeva solo una migliore retorica quando si trattava del Cremlino. Questo qualifica a malapena Kissinger per crediti per compensare i suoi peccati passati.

Kissinger è stato benedetto dalla longevità. Il mese prossimo sarà un relatore in primo piano in un grande evento pubblico ospitato dal Financial Times . Possiamo aspettarci che resista alla crisi ucraina. Per i lettori dei miei grandi pensatori americani del dopoguerra fredda , sarà difficile trattenere gli scherni.

Infine, vorrei citare qui Samuel Huntington, un politologo che oggi è meno ricordato dei primi tre precedenti, ma la cui visione del presente e del futuro esposta nel suo Clash of Civilizations ( 1996) ha avuto una grande influenza sul pensiero sul mondo in un’intera generazione di americani e altri in tutto il mondo.

Il libro di Huntington è diventato un best seller dopo l’ attentato dell’11 settembre al World Trade Center. L’autore sembrava prevedere la lotta titanica tra l’Occidente e il terrore islamico, e tutti erano ansiosi di leggerlo. Ma il libro non si limitava al conflitto con l’Islam. Huntington aveva una serie completa di “civiltà” che presumibilmente stavano lottando per la posizione. Tra questi troviamo l’Ortodossia orientale, di cui la Russia è il caso eccezionale. A questo proposito, il lavoro rimane attuale fino ad oggi.

Detto questo, Clash of Civilizations era un’opera piuttosto scadente che doveva molto allo Study of History di Arnold Toynbee per il concetto generale e ai giovani assistenti di ricerca di Huntington per i numerosi scenari che costituiscono la maggior parte del libro.

Ho ricordato le idee semicotte di quei giovani ricercatori che non avevano alcuna esperienza mondana quando ho scambiato e-mail questa mattina con il mio buon amico Ray McGovern e ha chiesto i miei pensieri su una recente intervista rilasciata dal professore emerito del MIT Ted Postol. Postol rimproverava i giovani “punk” che sembrano popolare i ranghi dei consiglieri di Joe Biden. Quello che mancava a Postol è che esattamente ragazzi come questi facevano sempre il lavoro sporco nelle scienze politiche. Tanta creatività, zero competenza. Erano sicuramente il tipo di persone che nel 2008 hanno detto di lasciar andare Lehman, perché avrebbe avuto un effetto salutare sull’assunzione di rischi da parte degli speculatori. Ignoravano i disastri che li attendevano allora, proprio come coloro che oggi formulano la politica delle sanzioni contro la Russia ignorano il contraccolpo a venire.

Naturalmente, nessuna nazione ha il monopolio della stupidità e dell’ignoranza dell’economia. La “leadership” dell’Unione europea sta facendo del suo meglio per mantenere la sua posizione in questo senso. Se tra tre giorni gli Stati membri dell’UE seguiranno le severe istruzioni di Gauleiter von Leyen e rifiutano la richiesta russa di pagare il loro gas in rubli acquistati sul mercato interno russo, ne seguirà il caos economico. Quel dannato sciocco, ginecologo di formazione, sta dicendo a tutta l’UE cosa fare in un settore vitale del commercio. La sua posizione equivale a un’incredibile usurpazione di poteri da parte di un guerrafondaio.

L’Occidente è puntato verso il basso, come quel Boeing 737 precipitato in Cina la scorsa settimana. Dritto e accelerando.

©Gilbert Doctorow, 2022

PUPAZZI E PUPARI_di Pierluigi Fagan

PUPAZZI E PUPARI.

Alla sua elezione nel 2019, Zelensky ricevette un caldo benvenuto da parte di una organizzazione che si chiama: UKRAINE KRISIS M.C. Questi, pubblicarono una lunga lista di “linee rosse” che il nuovo presidente non avrebbe dovuto oltrepassare, pena la perdita di consenso internazionale occidentale che vale a due livelli: il grande pubblico, il piccolo vertice dei “portatori di interesse” ovvero governi e loro diramazioni, tra cui i finanziatori, protettori, armatori della giovane democrazia ucraina. Il documento era sottoscritto da una lunga lista di organizzazioni ucraine e non che troverete in fondo al testo. Il movente era dato dal fatto che su quel primo mese di governo del neo-presidente, eletto su una piattaforma anti-corruzione e di relativa pacificazione con la Russia, l’organizzazione aveva da ridire allarmata. Tanto da scrivergli non dei ragionamenti politici o punti di vista legittimi, ma una chiara lista della spesa di “linee rosse”, da non superare in alcun modo, un diktat insomma, l’oggetto di un contratto.

1. CHI FINANZIA L’UKRAINE KRISIS? L’elenco completo è nell’allegato. Segnaliamo con distinzione: International Renaissance Foundation (IRF membro del network Open Society Foundation di George Soros); il National Endowment for Democracy (una stella di primaria grandezza della galassia di fondazioni ed ONG americane tese a “promuovere” con ogni mezzo la democrazia ed il mercato, non l’una o l’altro ma l’abbinata perché controllando il mercato si controlla la democrazia); la NATO; istituzioni della Lega del Nord Europeo-Anglosassoni (olandesi, svedesi, norvegesi, finlandesi, polacchi, canadesi, estoni, cechi, tedeschi ed americani a capo di tutto).

2. QUALI ERANO LE LINEE ROSSE DA NON OLTREPASSARE SEGNALATE A ZELENSKY? Una selezione delle tante cose che il neo-Presidente NON avrebbe dovuto fare pena a perdita di finanziamenti e protezione comprendeva:

– Consultare il popolo con appositi referendum per decidere come negoziare con la Russia.

– Fare negoziati diretti con la Russia senza i partner occidentali

– Cedere qualsivoglia punto nei negoziati con la Russia sulle varie questioni (NATO, Donbass, Crimea, allineamento internazionale etc.) non cedere neanche un millimetro di territorio, non riconoscere a Mosca alcun punto per il quale l’Occidente ha elevato sanzioni alla Russia (Crimea).

– Ritardare, sabotare o rifiutare il corso strategico per l’adesione all’UE e alla NATO

– Ripensare la legge sulla lingua, l’ostracismo a media e social media russi, dialogare coi partiti di opposizione filo-russi (poi di recente messi direttamente fuori legge, sono 11), venire a patti politici con precedenti figure coinvolte nel governo Janukovich (democraticamente eletto e rovesciato col colpo di Stato del 2014), lanciare operazioni giudiziarie contro il governo precedente di Poroshenko (appoggiato dagli stessi firmatari) contro il quale Zelensky vinse le elezioni con il 30%.

Il documento è regolarmente on line. Datato 23 maggio 2019 (il secondo turno delle elezioni ucraine che elessero a sorpresa Zelensky era il 21 aprile, un mese prima). L’ho trovato seguendo un semplice link della pagina Wiki del IRF di Soros. Tempo di ricerca 2 minuti.

Si noterà in tutta evidenza che pur essendo del 2019, tocca gli stessi punti a base oggi del conflitto e relative, impossibili, trattative di pace. Se ne volgete il testo dal negativo al positivo, è in pratica buona parte della piattaforma 3+2 avanzata dai russi per risolvere il conflitto.

Io non sono un giornalista ma come studioso faccio certo ricerche per comprendere gli eventi. Ma evidentemente “fare ricerche” per inquadrare fenomeni non è giudicato necessario nel regime democratico di mercato, viepiù dalla sua “libera stampa”. Ma io non sono un “democratico di mercato”, sono un democratico radicale cioè uno che pensa che la democrazia dovrebbe essere l’ultima istanza di decisione politica di una comunità.

La giovane “democrazia” ucraina è sovrana o condizionata? Condizionata da chi ed a quali fini geopolitici? Da quanto tempo? Nell’interesse ucraino deciso da ucraini o nell’interesse di chi altro, deciso da chi altro, veicolato con quali modalità “democratiche”? Cosa sanno gli ucraini nei vasti numeri del perché sono stati invasi da una forza armata del temuto vicino con il quale avevano un longevo e complicato contenzioso, stante che va ripetuto che -per quanto per noi ovvio- non c’è “diritto” formale che giustifichi che uno Stato invada l’altro armato? Ma l’elenco delle linee rosse non era poi, per buona parte, il contenuto dei vaghi “Accordi di Minsk II”? Ed a Francia e Germania che sovraintendevano quegli accordi, ciò era ed è noto o no? E cosa succede nei fatti bruti e non sul piano del diritto formale, quando si crea una situazione di questo tipo? Le migliaia di morti e milioni di profughi che fuggono dalla propria precedente vita ora in macerie, vedono migliorata la propria posizione esistenziale dal fatto che il piano del diritto formale condanna senza appello questi eventi che tanto si producono lo stesso sul piano del realismo concreto? E converrebbe oggi agli ucraini basarsi sul diritto formale o sul realismo concreto per tentare risolvere la situazione? E siamo sicuri che la giovane democrazia ucraina possa, se lo volesse, agire sul piano del realismo concreto quando i suoi sponsor necessari (ricordo che l’Ucraina, prima della guerre era al 133° posto per Pil pro capite, mentre oggi è sostanzialmente uno stato fallito tenuto in vita dai finanziamenti americani ed europei) vogliono solo che rimanga l’eterno testimonial dell’infrazione russa del diritto formale? Per cui non c’è alcuna “pace” possibile, perché non è questa nell’interesse degli sponsor? E come giudichiamo questi sponsor che per proprie mire geopolitiche sacrificano uomini, donne e bambini ancorché questi vittime in prima battuta dei russi? E come agiscono questi sponsor della democrazia di mercato in Italia e non solo nei recenti “tempi speciali”, ma nei tempi normali dei decenni della nostra vita democratica post-bellica? Ed in Francia? Ed in Germania?

E’ quando i più sembrano avere incrollabili certezze di giudizio che conducono all’azione, che occorre farsi qualche domanda.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/29/pupazzi-e-pupari/

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