Mali-oltre la cronaca_di Bernard Lugan

Qui sotto alcune importanti puntualizzazioni sulla situazione in Mali e sul contesto che ha portato alla liberazione degli ostaggi che difficilmente troveremo sulla stampa italiana, tutta accecata e impegnata nella propaganda più scontata e a buon mercato_Giuseppe Germinario

In Mali, il rilascio di ostaggi tra cui quello della propagandista musulmana Myriam Pétronin e dei “jihadisti” detenuti da Bamako, nasconde in realtà la fase 2 di una complessa operazione di cui avevo annunciato l’inizio nei miei comunicati stampa di sabato 6 giugno e di giovedì 20 agosto 2020 rispettivamente dal titolo “Le vere ragioni della morte di Abdelmalek Droukdal” e “Mali: questo colpo di stato che potrebbe innescare un processo di pace”.
In effetti :

1) L’Algeria è tornata ad essere padrona del gioco attraverso la sua staffetta regionale Iyad ag Ghali con la quale è stata negoziata la liberazione degli ostaggi e quella dei jihadisti.

2) L’universalismo jihadista è stato ridotto alle sue realtà etniche, i “jihadisti” liberati sono infatti per lo più Tuareg che obbediscono a Iyad ag Ghali e che sono stati trasportati direttamente nella sua roccaforte di Kidal.

Per comprendere appieno cosa è successo, dobbiamo vedere che tutto è iniziato nel giugno 2020 con la morte di Abdelmalek Droukdal, il leader di Al-Quaïda per tutto il Nord Africa e per la striscia del Sahel. , abbattuto dall’esercito francese sull’intelligence algerina. Questa liquidazione faceva parte di un conflitto aperto scoppiato tra l’EIGS (Stato islamico nel Grande Sahara), legato a Daesh, e gruppi che affermavano di far parte del movimento di Al-Qaeda, compreso quello di Iyad. ag Ghali associato ai servizi algerini.

Dal 2018-2019, l’intrusione di DAECH attraverso l’EIGS, aveva infatti causato un’evoluzione della posizione algerina, Algeri non controllando questi nuovi arrivati ​​il ​​cui obiettivo era la creazione di un califfato regionale. Tra EIGS e gruppi etno-islamisti che pretendono di far parte del movimento di Al-Qaeda, il conflitto era quindi inevitabile, poiché il primo prediligeva l’etnia (Tuareg e Peul) a spese del califfato.

Tuttavia, il colpo di stato avvenuto in Mali nell’agosto 2020 ha permesso piena libertà di negoziare il cui scopo è quello di risolvere due diversi conflitti che non hanno radici islamiste. Come mostro nel mio libro Les Guerres du Sahel des origines à nos jours, si tratta di conflitti inscritti nella notte dei tempi, di rinascite etno-storico-politiche temporaneamente al riparo dietro lo schermo islamico. Questi due conflitti che hanno ciascuno la propria dinamica sono:

– Quella di Soum-Macina-Liptako, indossata dai Fulani, da qui l’importanza di Ahmadou Koufa.

– Quella del nord del Mali, che è l’aggiornamento della tradizionale protesta tuareg, da qui l’importanza di Iyad ag Ghali.

Tuttavia, Abdelmalek Droukdal, che si era opposto a questi negoziati, aveva deciso di riprendere il controllo e imporre la sua autorità, sia ad Ahmadou Koufa che a Iyad ag Ghali. Era quindi l’ostacolo al piano di pace regionale algerino sostenuto dalla Francia e che mira a isolare i gruppi Daesh. Ecco perché è morto.

Attraverso il rilascio degli ostaggi, il piano franco-algerino, che mira a riportare nel gioco politico i Tuareg radunati alla guida di Iyad ag Ghali, e quelli dei Peul al seguito di Ahmadou Koufa, per il momento procede quindi perfettamente. L’Algeria rimuove così il pericolo EIGS dai suoi confini, e la Francia potrà concentrare tutti i suoi sforzi su quest’ultimo prima di allentare il dispositivo Barkhane.

Siamo ancora una volta lontani dalle analisi superficiali del mondo dei media.

Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan.

Non c’è Sovranismo con il tabù della parola Patria, di Max Bonelli

Non c’è Sovranismo con il tabù della parola Patria

 

La manifestazione  del 10 ottobre a Roma ha sicuramente dato una luce di speranza nel frastornato mondo Sovranista.

C’erano alcune migliaia di attivisti in piazza e non poche centinaia come Repubblica ed il Corriere hanno scritto, mentendo sapendo di mentire, come Francesco Toscano di Vox Italia ha recitato, giustamente, in un passaggio del suo discorso.

Non era scontata la presenza di una avanguardia di coraggiosi, il potere aveva fatto di tutto per scoraggiare la partecipazione; li ha definiti “negazionisti” quando nessuno in quella piazza negava il Covid-19, bensì si opponeva ad una politica di terrore e privazione delle libertà individuali non confortata dai dati scientifici.

Aveva usato la carta della diffamazione contro l’organizzatore Pasquinelli e contro gli ispiratori teoretici come Fusaro e Borgognone sui social.

Nemmeno le minacce sono bastate a tener lontano la gente da quelle piazze, minacciando l’intervento della polizia; i questori hanno paventato il manganello della repressione, le cariche, ma nonostante questo la gente era lì; non folla oceanica ma tanta gente anzi tantissima per un Italia ormai addormentata ed impaurita.

Il compito degli organizzatori non era facile; unire i rivoli del frammentato mondo sovranista.

Portare sullo stesso palco D’Andrea, Toscano, Amodeo, Mori, Cunial per citarne alcuni non era scontato e già questo è stato un successo che di per sé terrorizzava il potere dei palazzi politici.

Vox Italia e Fronte Sovranista Italiano si sono presentati separati alle ultime elezioni e non è andata bene; forse proprio grazie  alla constatazione che essere disuniti non aiuta che li abbiamo visti insieme a Roma.

Nella piazza di San Giovanni non si è visto solo questo, ma una organizzazione finalmente all’opera sotto la  bandiera Sovranista.

C’era Byoblu di Messora che ha coperto mediaticamente l’evento ed ha infranto con prepotenza il muro della censura.

Grazie alla Tv internet di Byoblu abbiamo apprezzato gli interventi di leader politici e pensatori liberi come Fabio Frati  e Fulvio Grimaldi, autori degli interventi a mio parere più completi ed entusiasmanti; voglio anzi definirli coraggiosi, cosa che nella nazione dove i coraggiosi spesso vengono eliminati è il massimo degli onori.

Frati è stato concreto, l’unico a parlare della migrazione, sostituzione etnica mirata alla formazione di sfruttati necessari a calmierare il mercato del lavoro, “l’esercito salariale di riserva”.

Grimaldi ha parlato di Sovranità ma soprattutto di Patria ed identità, citando Dante con dovizia e disinvoltura; il discorso che avrei voluto sentire pronunciare da uno dei due leader dei due partiti sovranisti.

Beninteso non voglio negare il buono dei loro discorsi :

Toscano è stato accattivante, incisivo, a tratti ironico ma la parola Patria, patriottismo non ha trovato spazio nei suoi 5 minuti.

D’Andrea è stato metodico nella descrizione della struttura di un partito sovranista e mostrato la sua qualità migliore: razionale organizzatore, ma anche lui  dimentico di quelle due parole che in un Italia occupata dal 1945 sono di per sé rivoluzionarie.

Entrambi hanno citato elementi socialisti nel loro discorso.

Non parlo di Amodeo che di rivoluzionario nel suo discorso aveva solo il colletto della camicia in stile rivoluzione francese.

Per lui l’Italia ha perso Sovranità dal 1992. Mi dispiace egregio, il nostro paese soffre di una occupazione dal 1945, cioè da quando i “liberatori” si sono trasformati in occupanti.

Mori è stato perfetto ed esaustivo nei suoi 5 minuti; pedagogico nella difesa della costituzione del 1948 ma anche lui dimentico dell’aspetto identitario accessibile anche a chi ha bisogno di un messaggio semplificato.

Pasquinelli ha avuto in un passaggio dei suoi 5 minuti un riferimento identitario patriottico ed anche in questo si vede una certa lungimiranza che unite alle sue capacità organizzative lascia un seme di speranza; come pure il discorso del rappresentante del mondo artigianale Marino Poerio: concreto ed incisivo.

Un altro buon auspicio si prospetta nell’iniziativa pubblicizzata da Tiziana Alterio di creare una squadra di giuristi a difesa della costituzione del 1948 contro le iniziative liberticide di questo governo; sembra il compito ideale per Marco Mori e tanti altri.

Tirando le somme molte luci e qualche ombra; la gente è disperata e questa è una opportunità nella disperazione, nella lotta tra la vita e la morte ci sono i semi della rinascita. Da qui l’appello a chi ha messo su organizzazioni politiche nel mondo sovranista.

Coraggio, non impastarsi la bocca quando si deve pronunciare quella parola; Patria e patriottismo li dovete citare in egual modo di quando e come pronunciate la parola socialismo. Sono concetti che vanno di pari passo e che uniti si rafforzano, non si ostacolano.

Certo ci attireremo le attenzioni dell’occupante, qualche ricco borghese ci negherà l’appoggio ma tanti piccoli borghesi proletarizzati dal neoliberismo ce lo daranno; idem per i proletari sottoproletarizzati.

Orsù avanti con coraggio! Qui si libera l’Italia o si muore.

 

Max Bonelli

 

 

 

Il nuovo concetto di impiego delle forze britanniche, una rivoluzione strategica Raphael Chauvancy, Di Raphaël Chauvancy

Il Canale della Manica e la Royal Navy hanno storicamente dato al Regno Unito una profondità strategica unica per l’Europa occidentale. Ha quindi sviluppato una cultura del combattimento più strategica che tattica. Sebbene abbia perso battaglie, è stato spesso in grado di vincere guerre mobilitando i suoi mercanti e banchieri mentre controllava le informazioni e le comunicazioni. La presentazione del nuovo concetto di lavoro per le forze armate britanniche ha presentato il 1 ° ottobre 2020 dal generale Carter, Capo di Stato Maggiore della Difesa del regno, dà orgoglio per questa storia, mentre l’apertura di modi nuovi ed entusiasmanti.

Gli inglesi preferiscono tradizionalmente la manovra sul fronte. Invece di affrontare direttamente eserciti troppo potenti, li aggirano e attaccano le forze dei loro avversari. La loro cultura dell’efficienza è soprattutto un’arte di studiare gli equilibri di potere e le condizioni del loro rovesciamento. Albion combatte solo con un’alta probabilità di vincere, o scivola via. Più diretta, la cultura francese, contrassegnata dal codice d’onore per le battaglie, l’ha definita a lungo perfidia. Si potrebbe parlare più accuratamente di una visione strategica globale che vada oltre gli aspetti strettamente militari. Le reti finanziarie della città, i flussi commerciali e la gestione delle informazioni hanno probabilmente un impatto maggiore lì della spada e del cannone. Ma l’arte della strategia non è combattere;[1]  “.

L’arte storica degli approcci indiretti

L’Inghilterra quindi evita l’incertezza della battaglia quando può evitarla. Durante le guerre francesi [2] , guidò prima la guerra nelle periferie marittime, poi sulla terraferma nella penisola spagnola. Contemporaneamente ha attaccato informalmente con la propaganda incentrata sulla leggenda nera dell ‘”orco corso” mentre lottava economicamente. Stava attenta a non affrontare la guardia brontolona prima di Waterloo . Se Wellington fosse stata sconfitta quel giorno, inoltre, nulla sarebbe stato risolto e Londra avrebbe continuato a esercitare pressioni indirette fino a quando la potenza francese alla fine cedette alle pressioni. Mentre Napoleonevinse brillanti vittorie, ma senza futuro, l’Inghilterra si era impossessata di Cape Town, Mauritius e Ceylon, i pioli dell’asse strategico che avrebbe assicurato per un secolo il controllo marittimo della rotta verso l’India e il ‘Asia. Londra potrebbe permettersi il rischio di una sconfitta una tantum. Le condizioni strutturali per un’eventuale vittoria furono soddisfatte: risorse e credito sicuri, una rete economica globale, un forte sistema di alleanze europee, il santuario del territorio di Trafalgar . Il genio tattico dell’imperatore ha solo ritardato l’inevitabile, la minima sconfitta che ha portato alla rovina di un edificio squilibrato.

Alla piccola Inghilterra mancano da tempo gli uomini. Non poteva sopportare le perdite di queste grandi battaglie di cui abbonda la storia continentale. La sua cultura periferica consisteva quindi nel toccare i centri nervosi nemici e nel tessere pazientemente la rete in cui impigliarlo. Strategia trasversale, viene implementata in reti basate sulla combinazione di risorse. Non cerca di sferrare il colpo a prima vista, ma agisce alla maniera del picador il cui colpo non è fatale, ma, rompendo i suoi legamenti, riduce la libertà di movimento del toro e lo indebolisce perdendo sangue. Attribuisce grande importanza all’intelligence e alle informazioni strategiche da cui trae la sua libertà di movimento mentre ostacola quella dei suoi avversari.

Anche da ascoltare:  Napoleone e l’Europa. Intervista a Jacques-Olivier Boudon

Un adattamento contemporaneo

Durante la Grande Guerra , i suoi primi successi furono ottenuti in Egitto e nella penisola arabica. Fu ancora lei a insistere per aprire un fronte ad Est a Gallipoli. Durante la seconda guerra mondiale infine, fu attenta a non ripetere l’errore del 1914 ea mandare il fiore della sua giovinezza in Francia, preferendo affidarsi alla Home Fleet e alla Royal Air Force. Mentre gli americani erano ansiosi di combattere nel cuore dell’Europa dal 1943, Londra impose la sua strategia periferica di piccoli morsi (Nord Africa, isole del Mediterraneo, Italia) prima di inghiottire il pezzo in Normandia dopo un intenso lavoro di avvelenamento destinato a ingannare il nemico. Contro un nemico più potente del Kaiser, l’Impero Britannico perse così la metà degli uomini che nelle trincee [3]  !

Liddell Hart , il campione britannico dell’approccio indiretto [4] , sebbene purtroppo lo abbia affrontato su un piano più tattico che strategico, ha così proposto di sostituire il principio di dislocazione al principio di distruzione [5] .

L’approccio britannico si concentra sulla coerenza del nemico piuttosto che sulle sue forze. Per fare questo, ha sviluppato modalità di azione non convenzionali che sono scivolate dal mondo militare a quello economico e politico, il cui principio è di fuorviare il nemico manipolando le sue percezioni in modo che giudichi ciò che è vero. che è falso e falso che è vero. La volontà degli inglesi è tornare al livello politico: plasmare la psicologia dei decisori […] ” [6] .

Così hanno sviluppato l’arte di plasmare l’ambiente a loro favore. Sul fronte egiziano, nel 1917, il generale Allenby aveva ingannato i turchi creando dal nulla un falso campo nel deserto e un falso traffico radio. Prima di attaccare, inoltre, aveva sganciato 120.000 pacchetti di sigarette contenenti oppio dall’aria sulle linee turche a Beersheba nel 1917. L’offensiva sorprese il comando turco, che era in attesa altrove, e le sue truppe. soldati, troppo drogati per reagire …

Le operazioni di influenza, disinformazione e intossicazione messe in atto dai servizi britannici durante la seconda guerra mondiale sono modelli nel suo genere, raggiungendo un livello di complessità mai raggiunto prima il cui archetipo è l’operazione Mincemeat [7] . Completamente surclassati in termini di guerra dell’informazione, i nazisti non sospettavano che non solo le loro trasmissioni fossero decifrate e ascoltate dagli inglesi, ma anche che molte delle loro principali decisioni fossero indirettamente ispirate da loro provenienti da Londra, la cui arte della manipolazione risparmiava il vita di molti soldati.

Leggi anche:  Geopolitica dell’astuzia

Rispondi alla concorrenza sistemica

È alla luce di questa storia che viene illuminato il nuovo concetto di impiego delle forze armate britanniche. Sebbene faccia parte della lunga tradizione britannica di guerra ibrida e indiretta, segna nondimeno una vera rivoluzione integrando dottrinalmente quello che fino ad allora era stato un approccio culturale e pragmatico e annunciando il passaggio delle conflittualità. “Dall’era industriale all’era dell’informazione [8]  “.

La cosmologia strategica europea è caratterizzata dalla distinzione tra stati di guerra e di pace corrispondenti a rotture evidenti e determinati stati legali. Questo approccio è obsoleto. Dal periodo tra le due guerre, la Russia sovietica ha rifiutato questa distinzione. Negli anni ’90, due alti ufficiali cinesi pubblicarono War Out of Limits [9] , che riconosceva l’estensione del campo di guerra a tutti i settori di attività tangibili e intangibili in un confronto globale e permanente.

Impegnati in un conflitto di natura politica piuttosto che cinetica, i concorrenti delle nazioni democratiche ora conducono operazioni di guerra non militari intese a “minare la loro coesione, a erodere le loro capacità di resilienza economica, politica e sociale” mentre cercano di garantire “Vantaggi strategici nelle principali regioni del mondo [10]  “. Così cercano di “rompere la loro volontà [11]  ” rimanendo sotto le linee rosse che potrebbero portare a una risposta militare.

Le democrazie sono a disagio in questa zona grigia. I loro avversari non si sentono vincolati dagli standard e dai principi etici con cui inquadrano la loro azione ed eccellono nel rivoltarli contro di loro. I valori di apertura sono tanti obiettivi e le regole di uno stato di diritto sono tante opportunità per i regimi autoritari. La società dell’informazione aumenta i rischi di manipolazione, difficili da individuare e difficili da rintracciare. Inoltre “il nostro quadro legale, etico e morale richiede un aggiornamento per negare al nemico l’opportunità di minare i nostri valori. [12]  ”La difficoltà consiste nel fornire risposte forti senza rinnegare se stessi.

Il nuovo concetto britannico risponde a questa sfida integrando la nozione di concorrenza. “Più di quello che abbiamo non basterebbe [13]  ” afferma il generale Carter, invocando un cambiamento fondamentale nel modo di vedere le cose. Invitando a una maggiore reversibilità, sottolinea la necessità di combattere nell’ambito dello spettro dell’incendio.

Questo approccio significa che l’obiettivo non è più solo il nemico, ma l’ambiente. Solo una visione a medio e lungo termine consentirà di plasmarla favorevolmente riprendendo il controllo del ritmo strategico. Le note e sfruttate inibizioni dei poteri democratici di fronte agli attacchi nella zona grigia mettono ora in discussione la loro sostenibilità. Si tratta anche di reinvestire la bolla cognitiva e ricreare un contesto di imprevedibilità a scapito degli stati ostili. L’infosfera deve essere oggetto di risposte e attacchi che esercitano un ruolo dissuasivo, ma anche una pressione attiva a favore dei valori democratici e della prosperità globale.

Leggi anche: Guerre informative  e operazioni militari

Una guerra dell’informazione

Questo nuovo quadro mette in prima linea quello che l’ammiraglio Castex chiamava il morale strategico della nazione. La profondità strategica non è più tanto geografica quanto sociale, economica e intangibile. Norme, immagini, idee sono armi che agiscono sul comportamento delle masse e dei decisori. Le battaglie non si limitano più a un ipotetico fronte, ma si svolgono all’interno di una società i cui elementi centrifughi vengono sfruttati e accentuati sotto le coperte. Dalle fake news destabilizzanti alle interferenze informative coperte durante un periodo elettorale, le operazioni di destabilizzazione si sono moltiplicate.

A questi continui attacchi deve rispondere un approccio che “amplifichi l’uso dello strumento militare come parte di un’impresa nazionale” totale “che coinvolge l’industria, il mondo accademico e la società civile [14]  “. L’obiettivo da raggiungere sarà d’ora in poi “modellare il comportamento di un avversario attraverso azioni coperte e aperte [15]  “. L’era delle masse e dell’informazione è anche quella delle guerre comportamentali il cui bersaglio è la mente umana più che il suo corpo e le sue estensioni materiali.

Tuttavia, le sfide militari non vengono trascurate. Le tecnologie russe o l’effetto di massa cinese segnano la fine del dominio incontrastato della NATO dalla fine della Guerra Fredda. La debole resilienza dell’opinione pubblica alla perdita di vite umane nelle società libere è un incoraggiamento a sfidarle, poiché le perdite, anche poche, ma ben pubblicizzate, potrebbero costringere una democrazia a ritirarsi prima che sia stata in grado di entrare. l’equilibrio il suo patrimonio qualitativo. Le nuove sfide si estendono anche a tecnologia, spazio, cyber, ecc.

Il nuovo concetto britannico, non tutti gli aspetti di cui abbiamo trattato qui, mette le capacità letali e non letali su un piano di parità e invita la nazione a dispiegare continuamente “l’energia deliberata precedentemente riservata al” tempo di guerra “. ” [16] . Più che una semplice avventura dottrinale del mondo militare, incarna la consapevolezza dell’ingresso in un’era di conflitto sistemico totale. La capacità di interrogazione strategica dimostrata dal Regno Unito dovrebbe rinfrescare e irrigidire vantaggiosamente le riflessioni o gli approcci dei suoi alleati.

[1] BLIN Arnaud, I grandi capitani di Alessandro Magno a Giap , Perrin, Parigi, 2018, p. 27.

[2] Le guerre della Rivoluzione e dell’Impero secondo la terminologia britannica.

[3] 1.000.000 di uomini nel 1914-1918 contro i 500.000 nel 1939-1945.

[4] Con poche esagerazioni, qualsiasi manovra è necessariamente indiretta, il che distorce il suo approccio concettuale.

[5] HOLEINDRE Jean-Vincent, La ruse et la force , Perrin, Parigi, 2017, p. 316.

[6] HOLEINDRE Jean-Vincent, La ruse et la force , Perrin, Parigi, 2017, p. 328.

[7] Un cadavere travestito da ufficiale inglese fu lasciato cadere al largo delle coste della Spagna dove si incagliò con una borsa contenente falsi documenti segreti. Il corpo e la borsa sono stati trovati dagli spagnoli che gli inglesi sapevano si erano infiltrati da agenti tedeschi che hanno colto la fortuna. Furono così trasmesse a Berlino le informazioni secondo le quali gli Alleati si preparavano ad attaccare in Sardegna o nei Balcani le cui guarnigioni furono rinforzate a scapito della Sicilia, che fu presa quasi senza sparare un colpo. Vedi CAVE BROWN Anthony, The Secret War , Volume 1, Origins of Special Means and First Allied Victories , Tempus, Parigi, 2012.

[8] https://www.gov.uk/government/publications/the-integrated-operating-concept-2025

[9] LIANG Quia e XIANGSUI Wang, La guerra oltre i limiti , Rivages pocket, Parigi, 2006.

[10] https://www.gov.uk/government/speeches/chief-of-the-defence-staff-general-sir-nick-carter-launches-the-integrated-operating-concept

[11] https://www.gov.uk/government/publications/the-integrated-operating-concept-2025

[12] https://www.gov.uk/government/publications/the-integrated-operating-concept-2025

[13] https://www.gov.uk/government/speeches/chief-of-the-defence-staff-general-sir-nick-carter-launches-the-integrated-operating-concept

[14] https://www.gov.uk/government/publications/the-integrated-operating-concept-2025

[15] https://www.gov.uk/government/publications/the-integrated-operating-concept-2025

[16] https://www.gov.uk/government/publications/the-integrated-operating-concept-2025

https://www.revueconflits.com/raphael-chauvancy-general-carter-armee-angleterre/

Ecco da chi e perché l’Italia è ricattata in Libia, di Giuseppe Gagliano

L’Italia è giunta in uno dei momenti più bassi di credibilità ed autorevolezza. Purtroppo non sono solo momenti e non abbiamo ancora raggiunto il fondo. Il nulla vestito di buone maniere_Giuseppe Germinario

Ecco da chi e perché l’Italia è ricattata in Libia

di

libia

Il caso dei diciotto membri dei motopescherecci “Antartide” e “Medinea” di Mazara del Vallo prigionieri nel porto di Bengasi dietro mandato del generale Khalifa Haftar. Il commento di Giuseppe Gagliano

Partiamo come di consueto dai recenti fatti di cronaca. Diciotto membri dei motopescherecci “Antartide” e “Medinea” di Mazara del Vallo sono prigionieri nel porto di Bengasi dietro mandato del generale Khalifa Haftar.

Quali valutazioni, di natura squisitamente politica, si possono fare di una vicenda così drammatica e insieme così umiliante per il nostro paese?

In prima battuta questa azione da parte delle milizie potrebbe essere letta come una ritorsione del viaggio compiuto dal nostro ministro degli esteri prima a Tripoli e poi a Tobruk per incontrare il presidente del parlamento Aguila Saleh che allo stato attuale sembra aver soppiantato la figura di Haftar. Un chiaro segnale insomma della perdita di qualunque credibilità del nostro paese sullo scacchiere libico come abbiamo avuto modo più volte di sottolineare su queste pagine.

Il fatto che la Farnesina abbia infatti cercato di fare pressione su Haftar per la liberazione degli ostaggi rivolgendosi alla Russia, all’Egitto e agli EAU dimostra in modo evidente la mancanza di peso politico del nostro paese.

Difficile credere che un tale evento si sarebbe verificato ai tempi di Andreotti e di Craxi.

Fra l’altro nel 2019 un cittadino sudcoreano e 3 filippini erano stati liberati proprio grazie all’intervento degli EAU.

Tuttavia dobbiamo tenere conto che la situazione politica in Libia è cambiata e il generale Haftar non è più l’uomo forte della Libia e di conseguenza la rilevanza di questa mediazione è quanto meno di dubbia efficacia.

In secondo luogo l’azione compiuta dalle milizie libiche si inserisce in una logica di rivendicazione illegittima sul piano del diritto internazionale marittimo da parte della Libia che vorrebbe estendere la sua sovranità fino alle 72 miglia dalla costa. Rivendicazioni che furono fatte molto spesso da Gheddafi.

In terzo luogo non si può notare l’enorme disparità tra l’attuale situazione dei 18 ostaggi e la presenza delle nostre forze navali e armate sia nel Golfo di Guinea sia presso la diga di Mosul. Anche se è scontato che l’Aise stia operando nella direzione di liberare gli ostaggi è evidente che il problema rimane strettamente legato alla credibilità ed autorevolezza dell’esecutivo e della Farnesina.

Infine, avventurandoci a formulare una semplice ipotesi, se una tale operazione da parte libica fosse stata posta in essere nei confronti di cittadini francesi è presumibile che l’esecutivo francese avrebbe già attivato le forze speciali coniugando tale intervento con una capillare rappresaglia. A tale proposito basti ricordare l’operazione francese in Mali che fu condotta nel 2015 sotto la direzione del Commandement des Opérations Spéciales e che fu portata a termine con successo dai Tier-1 del 1er régiment de parachutistes d’infanterie de marine con la liberazione dell’ostaggio olandese Sjaak Rijke di 54 anni catturato dai jihadisti di al-Qaeda.

https://www.startmag.it/mondo/italia-libia/

All’ombra del sole ottomano_con Antonio de Martini

Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan riporta alla luce rivalità secolari nell’area del Caucaso.

Con esse emerge ormai la Turchia, un attore sempre più spregiudicato che non esita a giocare su più tavoli, dal Mar Nero, al Mediterraneo, all’Egeo, alla Siria, alla Libia, all’area turcomanna. Una spregiudicatezza che lascia intuire sostegni e coperture evidentemente solide a sufficienza. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

UNIONE EUROPEA E STATO DI DIRITTO II, di Teodoro Klitsche de la Grange

UNIONE EUROPEA E STATO DI DIRITTO II

1. Lo stesso giorno in cui in rete appariva il mio articolo sullo stesso tema http://italiaeilmondo.com/2020/09/30/lunione-europea-e-lo-stato-di-diritto-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/ e con uguale titolo, la Commissione Europea pubblicava la “relazione sullo Stato di diritto 2020”, che conferma da un lato e chiarisce dall’altro, alcune e opinioni (anche) da me evidenziate.

In primo luogo: tra i tanti caratteri dello Stato di diritto, che ricordavo nell’articolo precedente, la Commissione, per formulare i propri giudizi sulla “conformità” al Rechtstaat dei 27 Stati dell’Unione ne prende in esame quattro: il sistema giudiziario nazionale, il contrasto alla corruzione, il pluralismo e la libertà dei mezzi di comunicazione, ed altre questioni – di carattere istituzionale – di bilanciamento di poteri. Un’attenzione a parte poi è dedicata alla pandemia e alle situazioni e normative emergenziali indotte (v. ad esempio i DPCM del Governo italiano). La presidente Von der Leyen ha detto che “lo Stato di diritto e i nostri valori condivisi sono alla base delle nostre società. Fanno parte della nostra identità comune di europei. Lo Stato di diritto difende i cittadini dalla legge del più forte. Pur avendo standard molto elevati in materia di Stato di diritto nell’U.E., abbiamo anche diversi problemi da affrontare” (sul che si può concordare).

La vice Presidente Jourovà ha aggiunto “La nuova relazione esamina per la prima volta tutti gli Stati membri allo stesso modo per individuare le tendenze in materia di Stato di diritto e contribuire a prevenire l’insorgere di gravi problemi”.

Il rapporto, dopo una premessa generale, si articola su 27 capitoli, relativi a ciascuno degli Stati membri. La valutazione si basa (anche) sulle decisioni delle Corti europee e sulle raccomandazioni del Consiglio d’Europa.

La prima conferma di quanto emergeva da precedenti documenti dell’Unione è che i quattro pilastri di valutazione della Commissione sono pochi. Il concetto di “Stato di diritto” comprende altri pilastri, anche se, a leggere i documenti, in qualche misura la stessa relazione, in alcuni passi, deborda dal limite dei quattro esaminati. Come, tra i quattro considerati, ve ne sono un paio non proprio tipici del Rechtstaat.

Così vi sono pilastri, in particolare quello sulla lotta alla corruzione che non costituiscono un “fundamentum distincionis” dello Stato di diritto, non solo perché non lo si trova negli scritti di quei pensatori che hanno formulato la/e concezione/i dello “Stato di diritto”, ma perché molti Stati, tranquillamente non riconducibili allo Stato di diritto, perseguono la corruzione, talvolta in misura più energica degli Stati di diritto. Lo Stato di diritto non trasforma i governanti in angeli, come quello non di diritto in demoni; tale giudizio lo si ricava – nella premessa – già dal Federalista.

2. Un capitolo della relazione è dedicato all’Italia.

Sul primo pilastro (cioè sul sistema giudiziario) la Commissione scrive “È in vigore un solido quadro legislativo a salvaguardia dell’indipendenza della magistratura, sia per i giudici che per i pubblici ministeri. Il potere giudiziario è pienamente separato dagli altri poteri costituzionali”; tuttavia i cittadini non la pensano come la Commissione “Il livello di indipendenza della magistratura percepito in Italia è basso. È considerato buono o molto buono soltanto dal 31% dei cittadini e dal 36% delle imprese, percentuali diminuite tra il 2019 e il 2020. Le ragioni principali per cui i cittadini e le imprese avvertono una mancanza di indipendenza sono le interferenze o le pressioni esercitate dal Governo, dai politici e dai rappresentanti di interessi economici o di altri interessi….”. E perché c’è questo divario tra il lusinghiero giudizio della Commissione e quello – assai meno confortante – degli italiani? Qua la Commissione trascura l’aspetto principale: non è che i cittadini sono preoccupati solo delle “interferenze e pressioni” di Governo e prestiti, ma sono parimenti – e forse di più – preoccupati per i processi, per lo più risoltisi in bolle di sapone – contro leaders e politici del centrodestra (e non solo), asseritamente dovuti alla contiguità di certi settori – maggioritari – della magistratura al centrosinistra. Oltretutto tali processi sono stati caratterizzati da una scarsa rilevanza pubblica delle questioni (come le notti di Arcore a casa Berlusconi), fino al “sequestro di persona” a carico del Ministro degli Interni consistito nel fermo in porto (per quattro giorni) di una nave di migranti. In tal caso, peraltro, pare che i sondaggi diano una significativa maggioranza di consensi popolari all’azione del Ministro imputato.

Inoltre, questa “percezione di bassa indipendenza” è stata rafforzata dallo scandalo delle intercettazioni sul cellulare di Palamara, comprovanti sia la contiguità tra magistrati e politici del centrosinistra, sia la “lottizzazione” degli incarichi dirigenziali in Procure e Tribunali.

Sul perché avviene ciò, malgrado le rilevanti garanzie d’indipendenza della magistratura, tra le più tutelate della U.E., dipende anche dal fatto che, se il potere politico non ha il potere di perseguire i magistrati, ha tuttavia quello di premiarli. A parte gli incarichi amministrativi (numerosi) e in qualche caso, anche giudiziari, spesso magistrati in servizio sono presentati alle elezioni nazionali ed amministrative. Se non eletti (raro) o non rieletti (più facile) ritornano a fare i giudici.

Questa permeabilità tra poteri e carriere non pare conforme ai principi dello Stato di diritto. Montesquieu già sosteneva che la distinzione dei poteri esige d’essere non solo oggettiva, ma anche soggettiva. E conseguentemente negava che le repubbliche italiane, dove spesso i poteri erano distinti, ma erano composti e designati dallo stesso “corpo” di magistrati, la libertà fosse garantita; anzi lo era, a suo giudizio, meno che nelle monarchie assolute1. Anche se l’elettorato passivo è un diritto, per evitare ingressi ed uscite dai poteri a “porte girevoli”, occorrerebbe un regime d’incompatibilità più restrittivo di quello vigente.

Ciò che è omesso, tuttavia, in tema di giustizia, è più interessante di quello che la Commissione prende in esame. Se ricorda, come problema, la lentezza della giustizia italiana, omette di ricordare che anche in forza di disposizioni emanate nell’ultimo trentennio, in Italia eseguire una sentenza contro la PA è sempre più difficile, al punto da richiedere spesso 4-5 anni; una durata superiore a quella – media – del processo di cognizione definito con la decisione giudiziaria da eseguire.

Il tutto è stato oggetto dell’attenzione ripetuta della Corte EDU, con arresti non considerati dalla Commissione.

Non si valuta, poi, quel che risulta dalle stesse contestazioni fatte (qualche anno orsono) dalla Commissione U.E. all’Italia sulla disciplina della legge sulla responsabilità dei magistrati (e di riflesso, dello Stato). Nella sentenza2 della Corte di Giustizia UE del 24/11/2011; si accoglieva il ricorso della Commissione condannando l’Italia3 per la relativa legislazione. Questo perché (citiamo da un’altra sentenza della Corte di giustizia) “Considerazioni (…) connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano (…) a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall’interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale”: qui era valutata dal giudice europeo l’idoneità della normativa nazionale a garantire i diritti fondamentali dei cittadini. Invece è evidente che tale preoccupazione nella relazione della Commissione passa in secondo piano rispetto alla tutela (peraltro neppure esaustiva) delle garanzie istituzionali del potere giudiziario (a quelli – strumentalmente – connessa).

Concludendo su tale pilastro: la valutazione è parziale e peraltro non tiene conto della giurisprudenza delle Corti europee (non la contraddice, ma la dimentica). Più in generale omette di considerare che, perché uno Stato (anche non di diritto), ma a maggior ragione se tale, esista e garantisca una protezione effettiva, è necessario che il diritto sia applicato efficacemente. Il che in Italia, relativamente all’amministrazione pubblica soprattutto, avviene spesso male e sempre in ritardo. Nel paragrafo dedicato nella relazione UE all’efficienza del sistema giuridico manca così l’esame dei dati più sconfortanti.

3. La parte sulla lotta alla corruzione si apre con dati sulla percezione della stessa dai quali si evince che i cittadini italiani ritengono, con percentuali assai superiori alla media UE, che la corruzione sia molto diffusa. Prosegue poi con l’esame delle iniziative anti-corruzione, valutate positivamente. Il dato, comunque, andrebbe “associato” con quello dell’efficienza della giustizia, che incide sull’efficacia di queste misure.

Resta poi da capire quanto l’attenzione dedicati alla “grande” corruzione (con relative autorità, procure, uffici di polizia specializzati) possa incidere sulla “corruzione quotidiana” delle licenze, concezioni, permessi, autorizzazioni: che poi è quella che probabilmente influenza di più la percezione che, della corruzione, hanno gli italiani. Per questo, sarebbe utile più che un’autorità apposita, un miglioramento della tutela giudiziaria, in particolare amministrativa, l’aggravio delle pene (o l’istituzione) per comportamenti elusivi della P.A.; nonché una normativa generale d’applicazione dell’art. 28 della Costituzione sulla responsabilità dei funzionari.

Resta comunque da capire come la lotta anti-corruzione sia un pilastro dello Stato di diritto (un proprium) e non pilastro di ogni Stato. Inoltre realisticamente occorre tener conto della considerazione di Max Weber – relativa alla corruzione politica, che chi fa politica, vive in genere (anche) di politica.

4. Il pilastro del pluralismo dei media offre un quadro sostanzialmente positivo; a giudizio della Commissione; tuttavia “l’indipendenza politica dei media italiani continua a destare preoccupazione, anche a causa delle “relazioni indirette” tra gli interessi degli editori e il Governo (nazionale e non locale). Sul che si può concordare.

5. Il quarto pilastro su cui si è appuntata l’attenzione della Commissione sono le “questioni istituzionali relative al bilanciamento dei poteri”. Sostanzialmente la Commissione approva l’ordinamento italiano. Tuttavia registra le preoccupazioni di organizzazioni internazionali in relazione alla campagna denigratoria contro le ONG attive nel settore della migrazione e dell’asilo. Anche in tal caso non è chiara la relazione tra denigrazione delle ONG e Stato di diritto.

6. In conclusione la concezione dello Stato di diritto della Commissione U.E. è una delle tante letture che se ne possono avere.

Quel che più colpisce nella relazione è l’assenza dell’esame dei caratteri non meno influenti di quelli valutati. Nell’articolo precedente ne avevo individuati sei, dei quali, al massimo tre rientrano – almeno parzialmente – nei quattro pilastri della Commissione. Ancor più, degli aspetti assai importanti, non sono per nulla presi in esame, malgrado riconducibili ai pilastri. Per l’Italia, ad esempio, la posizione di parità processuale nei processi contro soggetti pubblici, e ancor più l’eguaglianza di trattamento nell’esecuzione dei provvedimenti giudiziari, così ridotta negli ultimi trent’anni, è stata completamente obliterata.

Il tutto è contrario al principio di “parità delle armi” più volte statuito dalla Corte EDU, perché non solo incide sull’esecuzione delle decisioni (cioè sull’effettività e completezza della tutela giudiziaria), ma anche sulla parità processuale più spesso in fatto che in diritto4.

Al contrario poi di quanto si possa leggere sui media (per lo più) si avverte comunque che, anche se omissiva, la relazione delinea come l’insieme degli Stati dell’U.E. sia sostanzialmente di diritto, pur con qualche menda.

Anche gli Stati come l’Ungheria e la Polonia. Se infatti la UE non ha impostato la relazione su punti qualificanti, anche più di quelli presi in esame, lo si deve probabilmente attribuire al fatto che violazioni gravi, ad esempio alla garanzia dei diritti fondamentali, al principio di legalità, al pluralismo non ve ne sono – o almeno ve ne sono di non gravi.

Il che se da una parte potrebbe essere rassicurante (al netto della necessaria diplomazia e delle emergenze della lotta politica) dall’altro, per le violazioni comunque in essere, difficilmente si troverà un difensore a Bruxelles.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 v. Esprit de lois, Lib. XI, cap. 6.

2 v. sentenza punto 6 “In data 10 febbraio 2009 la Commissione inviava una lettera alla Repubblica italiana in cui dichiarava che, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazione di ultimo grado… e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi fa essa incombenti”

3 Peraltro molto simile è il dictum della sentenza 13 giugno 2006, causa C. 173/03.

4 Per esempio con l’esclusione di prove in giudizio, che in fatto limitano la parte privata assai più di quella pubblica, come nel processo tributario.

Si specula sulla fonte della malattia del presidente Trump, Di Deborah Franklin

Qui sotto la traduzione di un articolo tratto da https://www.americanthinker.com/blog/2020/10/speculation_mounts_about_the_source_of_president_trumps_illness.html#.X3ugS8yPtqM.facebook . Sono congetture; ma la presidenza di Trump è ormai costellata da troppi episodi inquietanti molti dei quali coperti dal riserbo mediatico, molti dei quali rivelati puntualmente dal nostro sito. Buona lettura, Giuseppe Germinario

5 ottobre 2020

Congetture sulla fonte della malattia del presidente Trump

Di Deborah Franklin

I drammatici eventi dell’ultima settimana saranno studiati per decenni e molte informazioni rimangono ancora sconosciute. Nella prima mattina di venerdì 2 ottobre, il presidente Trump ha twittato che lui e la first lady erano risultati positivi al COVID. Quella sera, dopo aver riferito che il presidente aveva la febbre, si è recato al Walter Reed National Medical Center per le cure. Immediatamente, sono iniziate le speculazioni su come ha preso il virus e la natura della sua gravità.

Tuttavia, poiché anche numerosi repubblicani in posizioni chiave sono risultati positivi, la natura della speculazione ha cominciato a cambiare. La questione si è spostata dal fatto che il presidente indossasse o meno una maschera al motivo per cui così tanti repubblicani importanti  hanno preso contemporaneamente  il virus. Tra i positivi accertati  c’erano il responsabile della campagna di Trump, il presidente del Comitato nazionale repubblicano, il consigliere senior del presidente e due senatori del Comitato giudiziario che voteranno sulla conferma di Amy Coney Barrett.

Lin Wood, un avvocato di alto profilo che rappresenta Nick Sandmann e Kyle Rittenhouse, ha twittato: “Molti leader nell’amministrazione di @realDonaldTrump sono messi in quarantena da quello che sembra quasi essere un attacco mirato del Covid-19“. In seguito ha twittato: “Non esistono coincidenze“. Anche Deanna Lorraine, candidata al Congresso contro Nancy Pelosi, ha ripreso il tema di uno “attacco mirato” nel suo tweet: “Qualcun altro trova strano che nessun democratico di spicco abbia avuto il virus, ma l’elenco dei repubblicani potrebbe continuare all’infinito? ” E Omar Navarro, un politico repubblicano in California, ha sviluppato il tema: “1.RBG (Ruth Bader Ginsburg) muore. 2. Trump annuncia che nominerà un nuovo giudice prima delle elezioni. 3. Pelosi fa il commento” Abbiamo molte  frecce nella nostra faretra ” per fermarlo.  La settimana dopo Trump, il suo miglior aiutante,il suo responsabile della campagna elettorale, due senatori, vengono tutti colpiti dal COVID. Chuck Schumer chiede immediatamente di ritardare la nomina: “ Una volta è un caso. Due volte è una coincidenza. La terza volta è un’azione del nemico.

Dove si è verificata l’infezione? L’attenzione si è rivolta alla Cleveland Clinic, dove il 29 settembre si è tenuto il dibattito presidenziale tra il presidente Trump e Joe Biden. Venerdì, la città di Cleveland ha riferito che 11 casi di COVID sono collegati all’organizzazione del 29 settembre del dibattito presidenziale. Alcuni commentatori sui social media hanno ipotizzato che l’area del dibattito repubblicano fosse stata saturata dal virus in un attacco biologico, coordinato con la Cina.

L’improvvisa malattia di tanti repubblicani di spicco ha ricordato un incidente per lo più dimenticato nel gennaio 2018. Un treno che trasportava i legislatori repubblicani e le loro famiglie in un ritiro si è  scontrato  con un camion della spazzatura che era rimasto inspiegabilmente bloccato sui binari. La carrozza frontale è deragliata, uccidendo una persona. I media non hanno mostrato alcun interesse per la storia e non hanno offerto analisi che spiegassero possibili scenari legati alla dinamca dell’incidente.

Sette mesi prima dell’incidente ferroviario, un uomo armato ha aperto il fuoco sui membri della squadra di baseball del Congresso repubblicano, ferendo gravemente il deputato alla camera Steve Scalise, che allora serviva come menbro di spicco della maggioranza Repubblicana alla Camera. La NBC ha riferito: “Testimoni hanno detto agli investigatori che quando l’uomo armato è arrivato sul campo di baseball, ha chiesto alla gente: ‘Sono repubblicani o democratici?‘”

Nei quasi quattro anni da quando Trump è diventato presidente, i repubblicani hanno subito tre eventi di massa potenzialmente fatali. I prossimi mesi potrebbero finalmente portare alcune risposte su questi incidenti. È tempo che il popolo americano capisca cosa sta succedendo.

Trump-Biden, duello all’ultimo sangue_ con Gianfranco Campa

Con il confronto televisivo a Cleveland è iniziata la fase conclusiva della campagna elettorale per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti e di parte delle camere elettive. La posta in palio è enorme ed influirà pesantemente sulle scelte strategiche in politica estera ed interna. A questo non corrisponde un livello di dibattito appena accettabile. Prevalgono in maniera sfrontata i colpi bassi, il gioco sporco, i calcoli nei posizionamenti istituzionali. E’ il segnale evidente di uno scontro che non prevede prigionieri e che certamente non si esaurirà il 3 novembre prossimo; in qualche maniera prescinderà addirittura da esso. Gianfranco Campa ci offre il suo punto di vista condito di particolari succosi; in particolare la perla offertaci nel finale della conversazione_Buon ascolto con un po’ di pazienza in alcuni punti di ascolto poco nitidi, Giuseppe Germinario

 

Nel Karabakh, Baku disotterra l’ascia di guerra_ John mackenzie Di John Mackenzie 28 settembre 2020

Domenica, 27 settembre, nelle prime ore dell’alba, gli armeni si sono svegliati alla notizia di una vasta offensiva aerea (missili e bombardamenti di droni) guidata dall’Azerbaigian lungo tutta la linea di contatto che lo separa di Artsakh (ex Karabakh), questa repubblica autoproclamata nel 1991 e non riconosciuta dalla comunità internazionale.

Per la prima volta dalla guerra ad alta intensità del 1988-1994, Stepanakert, la capitale dell’Artsakh, fu bombardata mentre i civili si rifugiarono in rifugi.

Armenia e Karabakh in allerta generale

Nell’arco di dieci ore si sono svolti combattimenti di rara violenza in molti punti del fronte con un focus nelle regioni di Fizouli e Djebraïl che hanno causato perdite significative: 16 soldati e civili uccisi dal lato armeno. e 200 nei ranghi militari azerbaigiani. Da parte sua, la parte armena ha affermato di aver perso alcune posizioni e ha abbattuto 4 elicotteri azeri, 15 droni da combattimento, 10 carri armati e diverse batterie missilistiche. Mentre Baku ha accolto con favore la riconquista di diverse posizioni e villaggi.

Araïk AroutiounianIl presidente dell’autoproclamata piccola repubblica, sostenuta dall’Armenia, ha decretato “la mobilitazione generale degli over 18” in risposta a una grande offensiva da parte dell’Azerbaigian domenica, mentre nella vicina Armenia, volontari accorse, chi arruolare, chi donare il sangue. Dopo l’annuncio dei primi scontri domenica mattina, il premier armeno Nikol Pachinian ha decretato la “mobilitazione generale” e l’istituzione della “legge marziale”, oltre a far eco alla decisione presa dalle autorità del Karabakh . “Vinceremo. Lunga vita al glorioso esercito armeno! Il signor Pachinian ha scritto su Facebook. Il presidente azero Ilham Aliev, da parte sua, ha convocato una riunione del suo Consiglio di sicurezza durante la quale ha denunciato una “aggressione” da parte dell’Armenia.

Leggi anche: Il disastro armeno come precursore dell’esperienza europea

Appena un’ora dopo lo scoppio delle ostilità, i media azeri e turchi hanno pubblicato rapporti online sullo sviluppo delle operazioni lungo la linea di contatto, suggerendo che questa offensiva turco-azera era premeditata e pianificata per anni. settimane se non mesi.

Turchia in azione

Ci stiamo muovendo verso un conflitto regionale ad alta intensità? Ankara avrebbe pianificato questa operazione volta a stravolgere uno status quo ritenuto troppo favorevole alla parte armena e spingere la Russia ai suoi limiti?

Appena 24 ore prima dello scoppio delle ostilità, informazioni particolarmente inquietanti sono state trasmesse dalla stampa dei due paesi di lingua turca. È il caso in particolare del quotidiano Yeni Şafak , quotidiano turco filogovernativo che, il giorno prima del lancio dell’offensiva, ha denunciato in prima pagina la “collaborazione del PKK e dell’Armenia in Nagorno-Karabakh”. Il quotidiano ritiene di sapere che “dozzine di terroristi curdi del PKK addestrati nei campi di addestramento in Iraq e Siria sono stati trasferiti in Nagorno-Karabakh per occuparsi dell’addestramento delle milizie armene”. Sebbene parallelamente a queste informazioni difficili da verificare, abbiamo appreso che le forze turche che occupano la regione di Afrin nel nord-ovest della Siria, hanno aperto la scorsa settimana dueCentri di reclutamento mercenario per l’Azerbaigian .

Un vantaggio per il regime di Aliyev che, nonostante la propaganda anti-armena, lotta per mobilitare i volontari. A questo si aggiunge che la situazione socioeconomica in Azerbaigian è più che preoccupante. Le battute d’arresto militari degli azeri contro l’Armenia lo scorso luglio nella regione di Tavush hanno gonfiato la frustrazione di una popolazione riscaldata al bianco dalle arringhe di una potenza visibilmente all’erta e fortemente scossa dalle disastrose conseguenze della caduta del domanda di idrocarburi in questi tempi di pandemia.

Vedendo la sua capitale di legittimità sciogliersi al sole con il crollo dei prezzi del petrolio greggio, il regime di Aliyev ha messo il timone a drittaverso il fratello maggiore turco, anche se significa sacrificare tutta una parte della sua sovranità alla volontà degli orientamenti strategici del presidente Erdogan. Vista da Mosca, questa escalation è vista come un tentativo della Turchia di interferire in una regione precedentemente considerata come sua riserva. Non avere alcun interesse a vedere il suo cortile caucasico destabilizzato dalla Turchia, alla ricerca di nuovi fronti nel grande gioco che sta emergendo dalla Libia all’Iraq passando per Cipro, il Mar Egeo, la Russia che vende armi ai due belligeranti, vuole fare da fattore di dissuasione e limitarsi a un ruolo di mediatore. Ma questo compito sembra sempre più difficile. Ricordalo dopo la guerra dello scorso luglioche si è concluso con il collasso militare per Baku, il ministro degli Esteri azero Elmar Mamediarov, che era a capo della diplomazia azera dal 2004, reputato vicino a Mosca, era stato sostituito dall’ex ministro dell’Istruzione Jeyhun Bayramov, acquisito all’ideologia ultranazionalista del pan-turkmeno. Pochi giorni dopo, nell’enclave di Nakhitchevan, a meno di quaranta chilometri da Yerevan, capitale dell’Armenia, hanno avuto luogo importanti manovre militari tra l’esercito turco e quello azero.

Da leggere anche: l’ Armenia attraverso i secoli; Storia della resilienza

A livello regionale, Baku gode di una solidarietà sfrenata da parte del fratello maggiore e partner strategico turco in nome del pan-Turkismo. L’Armenia, da parte sua, ha integrato l’organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO) senza però godere dell’effettivo appoggio dei suoi membri, divisi sulla questione del Karabakh. Con la presenza di una base e guardie di frontiera russe sul suo suolo. Yerevan lo vede come il pegno dell’assicurazione sulla vita, dell’ultima generazione di armi, in cambio di un rapporto sempre più asimmetrico.

Ma l’apparizione di una Turchia irregolare sulla scacchiera del Caucaso, la comprovata presenza di consiglieri militari, membri dei servizi segreti del MIT o persino droni turchi su un campo di gioco finora considerato sotto l’influenza russa, è nel processo di sconvolgere equilibri molto fragili.

Da leggere anche: Charalambos Petinos: dove sta andando la Turchia?

Addendum

Un dispaccio di Asia News informa che i mercenari che hanno combattuto in Siria sono stati inviati dall’esercito turco attraverso l’Azerbaigian per combattere in Artsakh. Sono pagati $ 1800 al mese e hanno un contratto di tre mesi.

Ciò conferma l’impegno della Turchia nel conflitto e il ruolo svolto dai mercenari jihadisti.

https://www.revueconflits.com/artsakh-karabakh-armenie-attaque/

La Cina può ancora esportare la sua guerra popolare?_Di: Phillip Orchard

Le dinamiche geopolitiche sono sempre più complesse e articolate. Non è più tempo di analisi che partono e tornano su un unico centro focale_Giuseppe Germinario

La Cina può ancora esportare la sua guerra popolare?

Rispolverare il playbook della Guerra Fredda di Mao non aiuterà Pechino.

Di: Phillip Orchard

All’inizio di questa estate, mentre il governo indiano si è affrettato a sostenere il sostegno

sia in patria che all’estero per la sua situazione di stallo a mani nude contro la Cina sull’Himalaya ,

ha iniziato a ravvivare un altro contenzioso di lunga data non correlato con Pechino: il presunto

sostegno segreto della Cina ai ribelli maoisti nelle parti irrequiete India nordorientale. Tra gli altri

incidenti recenti, secondo New Delhi, la Cina meritava la responsabilità per un attacco mortale

alle forze di sicurezza a giugno da parte di gruppi separatisti di estrema sinistra nello stato di

Manipur, al confine con il Myanmar. A luglio, in vista

dell’ultimo tentativo a lungo termine del governo birmano di mediare la pace con la zuppa alfabetica

di gruppi etnici separatisti che circonda il paese, il potente capo dell’esercito birmano ha chiamato la

Cina per aver armato alcuni dei più potenti gruppi ribelli. Due settimane fa, i media indiani, citando

fonti sia del governo indiano che di quello birmano, hanno riferito che la Cina ha contrabbandato armi

a vari gruppi di ribelli nella regione attraverso una rete di militanti lungo il confine tra Myanmar e

Bangladesh. Tra gli altri obiettivi, secondo le fonti, Pechino stava cercando di far deragliare i progetti

infrastrutturali sostenuti dall’India in Myanmar che apparentemente sarebbero in concorrenza con la

Belt and Road Initiative cinese.

Questo tipo di sviluppi – combinati con gli avvertimenti degli Stati Uniti e di alcuni dei suoi amici

(inclusa l’India) che Pechino sta usando app cinesi come TikTok e gruppi di studenti universitari per

diffondere l’ideologia comunista in Occidente – fa sicuramente sembrare che la Guerra Fredda stia

crescendo. dalla tomba. E la Cina potrebbe davvero avere un motivo crescente per rispolverare i suoi

manuali dell’era Mao per aver intrapreso guerre per procura e alimentato la lotta ideologica all’estero

. Il paese, dopotutto, si trova in una situazione piuttosto strategica poiché le

potenze esterne diventano sempre più diffidenti nei confronti della sua ascesa e delle sue ambizioni .

Avrà bisogno di ogni strumento disponibile per mantenere i suoi avversari divisi, preoccupati e diffidenti

nei confronti del confronto. La geografia frammentata del sud e del sud-est asiatico gli conferisce numerose

spaccature interne in stati strategicamente importanti alla sua periferia da cercare di sfruttare.

In verità, però, al di fuori di un paio di aree della sua periferia dove le sue operazioni di influenza segreta

non si sono mai interrotte, Pechino non è né capace né particolarmente interessata a giocare a un gioco di

destabilizzazione nascosto in stile sovietico e globale. Né realisticamente avrebbe alcuna speranza che

l’ideologia del moderno Partito Comunista possa coltivare una base sostanziale di sostenitori, tanto meno

ispirare le masse di altri paesi a rifare i loro governi a immagine di Pechino. Ma le sue nuove armi di influenza

sono probabilmente molto più potenti e più adatte all’ambiente ostile che sta affrontando oggi di quanto lo sia

mai stato il maoismo.

Piccoli libri rossi per tutti

Sotto Mao, esportare la rivoluzione era una parte fondamentale della strategia cinese. Con il paese dilaniato

dalla guerra, preoccupato di reclamare i suoi stati cuscinetto e di affrontare continuamente

le crisi interne di sua iniziativa , non poteva permettersi di fare molto per fornire un sostanziale sostegno

materiale a gruppi che la pensavano allo stesso modo in lontani conflitti per procura su la scala dei sovietici

e degli americani. Nella misura in cui si sporcava le mani, si trovava tipicamente in luoghi in cui si temeva la

propagazione oltre il confine o l’occupazione da parte di una potenza militare straniera – ad esempio, Indocina

e Corea. Occasionalmente forniva anche quantità limitate di armi, assistenza finanziaria e addestramento a

movimenti militanti simpatizzanti all’estero, ma mai su una scala necessaria per far pendere veramente

l’equilibrio del potere.

Per lo più, però, la Cina si è appoggiata all’ideologia maoista come un modo per coltivare il sostegno straniero.

Ed era davvero uno strumento potente. La bellezza del maoismo è la sua capacità di significare qualunque cosa

qualsiasi movimento politico basato sulla lotta di classe abbia bisogno che significhi. Non è una dottrina o un

progetto particolarmente rigida o coerente per prendere e esercitare il potere, quanto piuttosto una raccolta libera,

a volte contraddittoria di detti, idee e diagnosi di mali sociali. Ma ciò che questo sacrifica nel rigore intellettuale è

più che compensato dalla mutevolezza. Fornisce un quadro preciso per comprendere le strutture di potere e il

malcontento sociale, oltre a organizzare principi che possono essere facilmente incorporati in altre ideologie.

Elementi di maoismo, ad esempio, possono essere visti in una gamma improbabile di movimenti sociali, compresi

quelli nominalmente religiosi come i talebani, lo Stato islamico e le guardie rivoluzionarie iraniane.

Tuttavia, la portata ideologica di Mao raramente ha avuto molto effetto sulla posizione strategica della Cina.

Ad esempio, non si è dimostrato in grado di sradicare tensioni geostrategiche più profonde con Mosca, Hanoi o

persino Pyongyang. Pechino non è mai stata in grado di strappare il controllo del movimento comunista globale

a Mosca durante la scissione sino-sovietica negli anni ’50 e ’60, e di conseguenza la maggior parte dei paesi

comunisti cadde fermamente nella sfera sovietica, compresi quelli nel cortile di casa della Cina. I successi maoisti

in posti come la Cambogia sotto i Khmer rossi e, in misura molto minore, l’Indonesia furono relativamente di breve

durata, inaugurando infine governi ostili e una diffidenza di lunga data nei confronti dell’interferenza cinese.

Così, quasi non appena Mao se ne fu andato, Deng Xiaoping iniziò ad attuare un drammatico riorientamento della

Cina attorno a principi che avrebbero risuonato in quasi tutte le capitali: arricchirsi e tenere a bada i nemici attraverso

le tradizionali manovre strategiche realiste. E questo significava facilitare un riavvicinamento con l’Occidente,

in particolare gli Stati Uniti, il che significava che la Cina non poteva essere vista come un aiuto agli obiettivi

sovietici esportando la rivoluzione. Il maoismo era ancora enfatizzato a casa, naturalmente – o almeno i principi

che Deng pensava avrebbero cementato il governo del partito erano stati enfatizzati. Ma Pechino ha in gran parte

interrotto gli sforzi dell’era Mao per fomentare la lotta di classe e sostenere gruppi militanti che la pensano

allo stesso modo all’estero.

Il gioco è lo stesso, solo meno feroce

Da allora la Cina è rimasta fedele a questo approccio, anche se con poche eccezioni degne di nota, nessuna

delle quali guidata da affinità ideologiche. Ha continuato a sostenere i Khmer rossi anche dopo che è stato

cacciato dalla capitale, ad esempio, ma questa è stata una mossa strategica in coordinamento con gli Stati Uniti

mirata principalmente a contrastare il Vietnam sostenuto dai sovietici. Dal momento che la Cina si sentiva ancora

obbligata nel 1979 a invadere il Vietnam, dove le forze cinesi si sono comportate male, e poiché ha cementato

l’influenza vietnamita a Phnom Penh per una generazione, si potrebbe sostenere che ciò sia fallito. Sostenere

un regime spodestato che ha ucciso il 20% della sua popolazione in soli quattro anni non è esattamente

un ottimo modo per generare buona volontà pubblica o posizionarsi come amico a lungo termine dei governi regionali.

Un’altra eccezione è in Myanmar, dove gruppi ribelli ben armati nel nord e nel nord-est del paese hanno a lungo

approfittato dei confini con la Cina (e, in misura minore, la Thailandia) per raccogliere fondi, vendere contrabbando,

procurarsi armi, fuggire dagli attacchi e così via. via. Il più forte di questi gruppi, lo United Wa State Army, è

cresciuto dall’ala armata del Partito Comunista della Birmania, che aveva ricevuto un sostanziale sostegno cinese

negli anni ’50 quando Mao cercava di soffocare una neonata insurrezione organizzata da resti sostenuti dagli Stati Uniti.

del Kuomintang nello stato Shan. Da allora, l’UWSA è diventata una delle organizzazioni di traffico di droga più potenti

al mondo. Mentre si ritiene che abbia iniziato a procurarsi la maggior parte delle sue armi dalla Cina circa due decenni fa,

il rapporto di Pechino con il gruppo è inquieto, nella migliore delle ipotesi. La Cina non è particolarmente entusiasta di

avere un tale gruppo che corrompe funzionari e sposta narcotici attraverso il suo confine, in particolare uno che si è

dimostrato abbastanza forte e di mentalità indipendente da frustrare occasionalmente le mosse di Pechino per usarlo

per ottenere influenza su Naypyitaw. Ed è una questione aperta quanto delle armi e del sostegno finanziario che riceve

dalla Cina sia effettivamente sanzionato da Pechino. Tuttavia, per impedire al Myanmar di avvicinarsi troppo all’India o

all’Occidente, Pechino ha voluto posizionarsi come un intermediario di potere indispensabile nell’interminabile processo

di pace tra Naypyitaw ei gruppi ribelli. Dal momento che quasi tutti i principali eserciti etnici del Myanmar si affidano in

una certa misura al sostegno dell’UWSA (l’UWSA è stato nominato nei suddetti rapporti indiani sulle reti di contrabbando

di armi sostenute dalla Cina), la Cina non può permettersi di evitare il gruppo.

 

Infine, c’è l’India, che accusa credibilmente la Cina di fornire un rifugio sicuro a importanti leader naxaliti e di aver dato

loro libero sfogo per aumentare il sostegno e facilitare i flussi di armi in India attraverso spazi in gran parte non governati

in Myanmar, Bangladesh e nord-est dell’India. I leader cinesi hanno tacitamente ammesso questo affermando che, dal

momento che l’India ospita il Dalai Lama e altri esuli tibetani – anche incorporando i tibetani nelle forze indiane

sull’Himalaya – equo è giusto. Ad ogni modo, i vari gruppi separatisti (alcuni dei quali maoisti) che avrebbero ricevuto

il sostegno cinese sono tutt’al più una perenne irritazione per Nuova Delhi e un modesto drenaggio di risorse militari

che potrebbero apparentemente essere reindirizzate a qualcosa di più importante, come lo sviluppo navale .

Rischiano poco di destabilizzare fondamentalmente il nucleo indiano o di

minare il controllo indiano sul territorio in cui si teme effettivamente l’incursione cinese , come il corridoio Siliguri.

La Cina guadagnerà relativamente poca influenza dal sostenerli, soprattutto rispetto al suo investimento molto più

redditizio nella principale fonte di preoccupazione dell’India: il Pakistan .

Non la guerra fredda di tuo padre

Altrimenti, ci sono poche prove di un grande sostegno cinese ai movimenti politici di opposizione nella regione, in particolare quelli violenti. Non che Pechino sarebbe a corto di opportunità per sostenere tali movimenti, se lo volesse. La geografia frammentata del sud e del sud-est asiatico, insieme ai livelli estremi di sconvolgimento sociale e disuguaglianza che sono venuti con il boom della globalizzazione, rende la regione inondata di linee di frattura etniche e demografiche.

Considera le Filippine. Il paese arcipelagico, che funge da custode di importanti rotte marittime verso il Pacifico occidentale, rappresenta forse il principale problema strategico per la Cina. Naturalmente, la Cina ha un disperato bisogno di trascinare l’alleato del trattato degli Stati Uniti nel suo campo , o almeno impedirle di consentire agli Stati Uniti o ad un’altra potenza ostile di istituire basi navali o missilistiche che potrebbero essere utilizzate per imporre un blocco alla Cina. Le Filippine sono anche la sede di una serie vertiginosa di gruppi ribelli, tra cui il New People’s Army, orgogliosi facilitatori dell’insurrezione comunista più longeva del mondo. Tuttavia, tali gruppi non sembrano aver svolto alcun ruolo negli sforzi in corso della Cina per mettere sotto pressione Manila.

Il suo approccio alle Filippine illustra bene ciò di cui la Cina ha effettivamente bisogno da tali stati e quali strumenti ritiene possano essere effettivamente efficaci. Per prima cosa, ci dice che Pechino non pensa che ci sarebbe molto ritorno sugli investimenti sostenendo tali gruppi. Questo, in parte, perché pochi hanno realisticamente il potenziale per essere molto più che un irritante per i loro governi. In altre parole, la minaccia posta a Naypyitaw dall’esercito dello Stato americano Wa e dagli altri gruppi ribelli in Myanmar è rara. Il New People’s Army, ad esempio, è considerato una forza esaurita, essendosi effettivamente devoluta in una raccolta decentralizzata di sindacati criminali locali piuttosto che in qualcosa in grado di mobilitare le masse filippine contro Manila . Inoltre, i gruppi militanti più forti nelle Filippine , come in gran parte del sud e sud-est asiatico, sono islamisti. Pechino teme qualsiasi cosa che possa rafforzare tali gruppi al punto da poter incanalare il sostegno ai militanti di etnia uigura nello Xinjiang e lungo i confini occidentali della Cina.

Dall’altro, la gestione delle Filippine da parte di Pechino ci dice che la Cina si rende conto che la sua ideologia non ha più un fascino di massa. A dire il vero, con la disuguaglianza e la disgregazione sociale in aumento in tutto il mondo, l’ambiente è più ricettivo che mai a un’ideologia incentrata sulla lotta di classe. Ma il Partito Comunista Cinese non può più approfittarne, perché non può davvero nascondere il fatto che sta trasformando la Cina in un’autocrazia imperialista ossessionata dalla ricchezza, trattando i suoi vicini come poco più che depositi di merci. Anche l’organizzazione politica madre del New People’s Army, il Movimento per la Democrazia Nazionale, è stata duramente critica nei confronti dell’abbraccio dell’amministrazione Duterte al neocolonialismo di Pechino. Nella misura in cui le operazioni di messaggistica e disinformazione cinesi possono avere almeno un modesto successo, osserva un paio di tattiche in particolare: una prende di mira le comunità etniche cinesi d’oltremare con narrative nazionaliste. Un altro sta usando il suo crescente controllo sulle tecnologie dell’informazione per censurare notizie poco lusinghiere sulla Cina, pubblicizzare gli obiettivi cinesi come benevoli e progetti come la Belt and Road Initiative come reciprocamente vantaggiosi e seminare malcontento con gli avversari cinesi. (Si consideri, ad esempio, il modo in cui Pechino ha inondato i canali dei social media all’estero con teorie del complotto sugli Stati Uniti e sul COVID-19.)

Infine, ci dice che la Cina ritiene che i rischi di tentare apertamente di fomentare la ribellione nella sua periferia superino di gran lunga le potenziali ricompense. Economicamente, ciò di cui la Cina ha bisogno sono mercati aperti per i suoi prodotti manifatturieri e le tecnologie emergenti, forniture costanti di materie prime e ricettività agli investimenti cinesi. Militarmente, la Cina ha bisogno di alleati, che attualmente sono pochissimi. Ma come minimo, ha bisogno di mantenere gli stati regionali ai margini delle sue controversie con le principali potenze esterne. Diplomaticamente, ha bisogno di respingere i sospetti regionali radicati che l’ascesa della Cina sarà intrinsecamente incompatibile con la pace e la stabilità e persuadere i suoi vicini che la scommessa migliore per un futuro prospero è un ordine regionale incentrato sulla Cina . Tentare di destabilizzare i suoi vicini, nella maggior parte dei casi, molto probabilmente minerebbe solo questi obiettivi, spingendoli a cercare supporto militare esterno, generando sospetti sulle tecnologie e investimenti cinesi e aumentando i rischi politici per i leader regionali di avvicinarsi a Pechino . I pochi tentativi che ha fatto negli ultimi anni per mettere il pollice sulla scala del panorama politico di un altro paese si sono ritorti contro , sottolineando la realtà che fissare la propria strategia geopolitica su un particolare regime rende una strategia fragile.

Per Pechino, quindi, è probabile che la strada migliore continui a fare affidamento sugli strumenti più tradizionali di governo che ha già esercitato con una certa efficacia. Ciò significa coltivare le dipendenze economiche attraverso gli investimenti e l’accesso al mercato. Significa approfondire i legami finanziari tra le élite per garantire simpatie pro-Cina attraverso gli spettri politici dei paesi – qualcosa che porta frutti abbondanti nelle Filippine e altrove. Significa inclinare sempre più a suo favore l’equilibrio militare con gli stati regionali, dichiarare che potrebbe fare giustizia nelle controversie territoriali ed esporre i limiti dell’interesse americano a venire in loro difesa. Significa fornire ai regimi di mentalità autoritaria nella regione gli strumenti tecnologici e le risorse finanziarie per cementare il loro controllo e proteggersi dal malcontento pubblico. In verità, significa rendersi un partner indispensabile per aiutare i governi a reprimere le ribellioni – come fece in Nepal a metà degli anni 2000, quando aiutò ad armare il governo nella sua lotta contro i ribelli maoisti.

In definitiva, questi sforzi potrebbero non essere sufficienti per conquistare amici a lungo termine nella misura necessaria per stabilire il nuovo ordine regionale che desidera ardentemente. Ma Pechino è già riuscita a rendere gli stati regionali, anche alcuni potenti , estremamente riluttanti al carrozzone contro la Cina in modi significativi. Nessuno nella regione vuole una nuova guerra fredda , ma meno di tutti la Cina. Perché se la Cina si troverà a dover combattere nel modo in cui è stata combattuta l’ultima, molto probabilmente avrà già perso.

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