TORNARE INDIETRO PER ANDARE AVANTI, di Pierluigi Fagan

TORNARE INDIETRO PER ANDARE AVANTI. Nel 1486, il filosofo autodidatta Pico della Mirandola, scrive l’Oratio de homini dignitate, ritenuto da molti il “manifesto” di quel Umanesimo fiorentino che prelude al Rinascimento. Nell’Oratio, Pico sostiene che mentre ogni altro ente di natura è stato creato da Dio in forma determinata, l’uomo è condensato di potenzialità di potersi liberamente dare definizione da sé: “Tu determinerai la tua natura secondo il tuo arbitrio al cui potere io ti ho consegnato. […] …affinché tu stesso quasi come un libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avevi prescelto”. L’Umanesimo faceva perno su questa nuova antropologia in cui lo scarto dalla precedente convinzione stava tutta in questa sottrazione dalla determinazione che dava all’uomo libertà e responsabilità. L’operazione intellettuale era quella di sottrarre l’Uomo dalle rigide determinazioni del Dio artefice di ogni cosa, sostenendo che proprio Dio aveva donato all’Uomo la libertà dalla determinazioni donandogli la sovranità su se stesso. Ma allora, cosa fare di questa libertà all’autodeterminazione?

In questo scorcio di seconda metà del XV secolo in Italia, si combatte la riforma del pensiero che vuole emanciparsi dal totalitarismo della Chiesa recuperando gli Antichi, testimoni di un “pensiero altro”e per altro, molto più esteso e sofisticato di quello tipicamente medioevale. Il XV col XVI e XVII secolo sono il periodo di lunga dissolvenza incrociata nel quale il Medioevo lentamente dissolve mentre assolve il Moderno, sia nel mondo dei fatti che in quello dei pensieri.

Nel mondo dei fatti, è questo il periodo in cui dissolve un certo tipo di società ed assolve un’altra. Questa seconda sarà poi quella che oggi sta finendo ponendo di nuovo la domanda: … cosa fare di questa libertà all’autodeterminazione? In breve, l’Uomo occidentale, si è liberato da una gabbia mentale riflessa poi in una precisa struttura del sociale in cui gli intermediari della credenza in Dio usavano tale diffusa e profondamente introiettata credenza per garantirsi il ruolo di primi tra pari. Nel farlo, ha liberato la sua potenza intenzionale e produttrice facendo del lavoro e del suo profitto, il senso del suo stare al mondo. La nuova struttura del potere sociale perdeva il concetto di “primi tra pari” in quanto eclissando Dio come vertice della piramide dell’Essere si perdeva la parità umana, si perdeva quindi il ruolo e la funzione di intermediario, si apriva ad una nuova credenza in cui il mondo umano era fatto dall’uomo stesso. Questo “uomo produttore di mondo” s’ingaggiava sempre più a “risolvere problemi”, che lo facesse col lavoro, col commercio, con la tecnica, con le prime esplorazioni scientifiche o nautiche. Prima di giudicare idealmente il senso di questa svolta, il giudicante dovrebbe esser ben consapevole dell’aspettativa di vita, del tasso di mortalità per fame o malattie, del tasso medio di ingiustizia di allora comparati a quelli di oggi.

Il grande studioso dell’economia antica Moses Finley, raccontava di un signore dell’antica Atene che finanziava diverse navi commerciali del Pireo che riempiva di merci e beni. Le navi, periodicamente, andavano sulle coste libiche e lasciavano merci e beni sulla spiaggia al limitare della foresta. Poi tornavano un po’ al largo, aspettavano ed infine riattraccavano. Il “popolo della foresta” aveva preso merci e beni ed aveva lasciato in controvalore schiavi secondo proprio giudizio di equivalenza. Gli schiavi venivano portati al signore di Atene finanziatore della spedizione. Il signore aveva così accumulato circa duecento schiavi che però non vendeva, affittava. Li affittava ai possessori miniere o di campi da coltivare fuori Atene, piuttosto che come servi casalinghi o addirittura affittandoli alla città come opliti. Il signore possedeva quindi i mezzi di produzione essendo questi, al tempo, lavoro umano ed aveva realizzato il ciclo marxiano del denaro (per finanziare la spedizione) che serviva a comprare merce (gli schiavi) che producevano più denaro (profitto) di quanto erano costati (investimento), il fatidico D-M-D1. Il signore era quindi un “capitalista”.

Se questa è la formula di un fare economico capitalista, sarà bene sapere che di questo fare economico, la storia ne è piena e da molti più secoli che non quelli che chiamiamo propriamente “capitalistici”. Ma con due differenze tra gli esempi reperibili nella storia lunga ed il sistema imperante nei secoli propriamente detti moderni o “capitalistici”. La prima differenza è che questi modi -in passato- erano frammisti a molti altri, non erano l’unico modo. La seconda è che nessuna società si ordinava esclusivamente col fare economico che a sua volta si ordinava con solo questo modo. L’epoca in cui inizia la transizione ad una “società capitalistica” è proprio il XV secolo dove precedenti modi economici già lungamente basati sul ciclo “investimento-trasformazione-profitto” sin dal XII secolo diventano sempre più diffusi e perfezionati, per poi dalla fine del XVII secolo, diventare l’unico modo del fare economico e con la Gloriosa rivoluzione inglese, il modo stesso in cui si ordina l’intera società nonché quello che esprime il potere politico riunito nel “parlamento dei produttori e dei dotati di capitale”.

Cosa intendiamo quindi con “capitalismo”? Un modo economico tra gli altri, passibile quindi di diversa forma o il sistema sociale in cui la società è ordinata dal fare economico e questo dall’unica versione basata sul ciclo “investimento-trasformazione-profitto”? Nel primo caso c’è chi ipotizzò che imponendo una diversa forma economica previa conquista del potere politico e giuridico (come?) si giungerà ad una nuova forma sociale. Nel secondo caso si nota che non è tanto la forma del ciclo “I-T-P” che è antica quanto l’uomo, ma la sua presunta unicità e soprattutto la sua pretesa di ordinare l’intera società ed il suo potere ultimo che è sempre politico-giuridico.

Eccovi quindi gli “accelerazionisti”. Costoro sono convinti che piuttosto che resistere alle dinamiche evolutive (o involutive) del capitalismo contemporaneo, tanto vale accelerarle fino alle estreme conseguenze di una società liberata dal mito del lavoro. Non del lavoro in quanto tale che sarà sempre necessario entro certi limiti, ma del suo mito come essenza della società umana e realizzazione stessa dell’uomo. La chiave di volta è il progresso tecnologico che tende a sostituire lavoro umano con lavoro macchina o algoritmo. Alle sue estreme conseguenze, se il lavoro non sarà più il perno del fare umano e sociale, la società si cercherà un nuovo ordinatore. E potrà liberamente farlo laddove s’imporrà (come?) il principio di dare sussistenza minima garantita a tutti, liberando tempo ed energie intellettuali e sociali, infine politiche, per discutere e decidere assieme quale altro ordinatore darsi. Tornare cioè alla domanda di Pico su cosa fare di questa libertà all’autodeterminazione e provare a dare un’altra risposta da quella che poi venne storicamente data. Non solo provare a dare un’altra risposta rispetto a quella data, ma anche rispetto alla contro-risposta data da coloro che volevano superare nel XIX secolo questo stato di cose e che poi, purtroppo, non sono riusciti ad alimentare un vero e sostanziale cambiamento.

E’ un argomento complesso da discutere quindi ve lo sottopongo a libera discussione.

nb tratto da facebook

Libro – Il Medio Oriente in fase di ristrutturazione (3/5), Di Eugène Berg

Libro – Il Medio Oriente in fase di ristrutturazione (3/5)

Volume 3: tre potenze straniere coinvolte, le impotenti Nazioni Unite

Sappiamo che il Medio Oriente, in uno spazio relativamente piccolo, concentra un massimo di domande di natura geopolitica, antagonismi multipli, nonché questioni politiche, religiose, economiche, sociali e culturali. Nessuno spazio al mondo come quello tra il Mediterraneo, il Mar Nero, il Mar Caspio, il Mar Rosso e il Mar Arabico ha così tante guerre, conflitti, scontri e sconvolgimenti. Da qui il grande interesse che si lega all’opera monumentale di Gérard Fellous dedicata alla regione del Medio Oriente, a differenza di qualsiasi altra.

A giudicare da cinque volumi, in più di 2.500 pagine ampie e ben documentate che coprono tutti i paesi, tutte le domande relative a questa vitale area geopolitica alla confluenza di tre continenti.

Gérard Fellous ha seguito nella sua carriera giornalistica le evoluzioni geopolitiche dei paesi del Medio e del Medio Oriente, alla guida di un’agenzia di stampa internazionale. Esperto per le Nazioni Unite, l’Unione europea, il Consiglio d’Europa per i diritti umani e l’Organizzazione internazionale della Francofonia, è stato consultato da numerosi paesi arabo-musulmani. Il segretario generale della Commissione consultiva nazionale per i diritti umani (CNCDH) a nove primi ministri francesi, tra il 1986 e il 2007, ha trattato, in simbiosi con la società civile, le questioni della società sottoposte alla Repubblica.

Senza essere in grado di darne una spiegazione nella sua totalità, prendiamo in considerazione gli elementi essenziali, esaminando i cinque volumi, che costituiscono altrettanti punti di riferimento essenziali.

Volume 3: tre potenze straniere coinvolte, le impotenti Nazioni Unite 

Per un decennio, tutti gli sforzi della comunità internazionale per trovare soluzioni politiche e diplomatiche alle crisi regionali si sono scontrati con ambizioni antagoniste e la complessità delle realtà sul campo. Tutti i piani di pace, come le molteplici mediazioni, vengono regolarmente infranti. L’equilibrio delle forze militari sul terreno ha moltiplicato le guerre asimmetriche. L’intransigenza dei protagonisti locali che privilegiano i guadagni della guerra e gli interessi contraddittori delle potenze regionali e internazionali sono rimasti vivi.

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Il segretario generale delle Nazioni Unite, parlando al Consiglio di sicurezza il 10 gennaio 2017, ha osservato che, se le Nazioni Unite fossero state create per prevenire la guerra attraverso un ordine internazionale basato su regole vincolanti, ” oggi questo ordine è seriamente minacciato. Ha aggiunto: “Le popolazioni civili stanno pagando un prezzo troppo alto (…) Abbiamo bisogno di un nuovo approccio. Con l’avvicinarsi di ogni nuova generazione, era nel 1957, dopo lo sfortunato equipaggiamento di Suez, la “Newlook” di Eisenhower. Da allora così tanti approcci innovativi hanno affrontato le stesse difficoltà!

L’approccio diplomatico necessario per la Russia

Di fronte a questa dura realtà, tre poteri erano ancora impegnati. Russia, Stati Uniti e Unione Europea. Perché la Russia di Putin si è impegnata nel Mediterraneo in tale sostegno alla Siria e al regime di Bashar al-Assad? Allo stesso tempo, per ragioni di strategia militare, ragioni economiche (vendita di armi, stabilizzazione del mercato petrolifero) il desiderio di tornare in primo piano sulla scena diplomatica mondiale. La Russia ha cercato, sin dai primi anni 2000, di tornare nel Mare Nostrum. Putin adotta una strategia nel Mediterraneo che tiene conto di due importanti punti deboli della Russia contemporanea. Militarmente, ha poco peso contro l’armada americana, ma ne fa un uso molto efficace. In secondo luogo, nella diplomazia, la sua strategia non può essere eternamente ridotta al fastidio dell’uso sistematico del suo veto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.. Mosca è in effetti sulla difensiva, il giudice Gérard Fellous, ma Putin deve far credere di avere la sua mano in questo gioco di poker che sta lanciando in Siria, anche se deve vincere alcune “vittorie piriche”. L’opzione militare gli è vietata e la vittoria diplomatica è fuori portata in un intenso calendario internazionale, di cui non ha l’iniziativa. Questa lettura della guerra siriana, che enfatizza le debolezze della Russia, copre a malapena quelle occidentali.

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L’imbarazzo della scelta per gli americani, una politica stabile per l’Europa

Naturalmente, come sotto la presidenza Obama, l’amministrazione Trump ha dovuto affrontare tre scelte sin dal suo inizio. Lascia che la Russia mantenga attivo il regime di Assad e non intervenga in questo “paniere di granchi”. Intervenire direttamente sul campo, come in Afghanistan o in Vietnam , in particolare per sradicare il jihadismo, con l’obiettivo di riconquistare Mosul e cercare di stabilire la democrazia nel paese. O infine per subappaltare la stabilizzazione del Paese da parte di una potenza regionale: l’Iran come aveva tentato l’amministrazione Obama, o la Turchia di Erdogan o persino i curdi.

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L’Unione europea, e in particolare la Francia, si distingue per le sue posizioni differenziate sulla Siria e sull’arma nucleare iraniana, allineandosi alla comunità internazionale per quanto riguarda la libera circolazione nel Golfo.

Il fallimento della comunità internazionale

Ciò che Gérard Fellous nota e deplora in particolare è il fallimento descritto come “sconcertante” dalla comunità internazionale. Ma come possiamo credere che questo, che è solo l’aggiunta degli interessi nazionali dei vari attori presenti sul campo, possa agire da miracoloso? Nonostante gli impegni delle tre maggiori potenze, i rischi di impunità per le massicce violazioni della pace e dei diritti umani da parte di regimi dittatoriali o autoritari o da organizzazioni terroristiche minacciano l’esistenza stessa della giustizia internazionale. Il concetto di ” crimine contro l’umanità“, È rimasto sostanzialmente teorico, mentre l’impunità per gravi violazioni è generalizzata. È ammesso all’unanimità che questo fenomeno di impunità costituisce un ostacolo alla democrazia, una sconfitta dello stato di diritto e un incoraggiamento a nuove violazioni. Nelle società che hanno cercato di emergere da lunghi periodi di regimi autoritari – come è stato brevemente il caso in Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein, l’impunità ha provocato una crisi di fiducia pubblica.

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Non aspettando che i protagonisti crollino senza sangue, spetta alla comunità internazionale imporre la pace, vale a dire soluzioni politiche, conclude. Nonostante la responsabilità dei belligeranti locali, regionali o internazionali, il dramma mediorientale che è rinato dalle sue ceneri, giorno dopo giorno per più di un decennio, dovrà incitare le Nazioni Unite a mettersi in discussione, ma sulla sua efficacia. In effetti, le Nazioni Unite devono oggi, urgentemente, ridisegnare la propria azione, come ha fatto più di settant’anni fa, dopo la seconda guerra mondiale, quando rinacque dalle ceneri. della Società delle Nazioni. Vorremmo seguirlo su questo punto, ma è improbabile che nelle condizioni attuali assisteremo a un vero salto nel multilateralismo.

https://www.revueconflits.com/livre-moyen-orient-russie-union-europeenne-etats-unis-communaute-internationale-eugene-berg/

Prove tecniche di sovranità tecnologica europea?_di Giuseppe Gagliano

Prove tecniche di sovranità tecnologica europea?

Il precedente articolo su Edward Snowden ha posto l’attenzione del lettore sulla pervasività del sistema di sorveglianza americano – nello specifico dell’NSA – ma soprattutto sull’egemonia americana nel campo della sovranità digitale. Proprio per questa ragione riteniamo opportuno, seppure in breve, sottolineare l’importanza geopolitica del progetto Gaia X nato anche con lo scopo di contrastare l’egemonia americana .

Il progetto Gaia X è stato avviato dalla Francia e dalla Germania con lo scopo di tutelare anche la sovranità dei dati. Questo progetto prende il nome di Gaia-X ed è supportato da 22 aziende franco-tedesche come ad esempio Orange, OVHcloud, Edf, Atos, Safram, Outscale, Deutsche Telekom, Siemens, Bosch e BMW. Per quanto riguarda i settori coinvolti nel progetto sono numerosi perché sono relativi all’industria 4.0/PME, alla sanità, alla finanza, al settore pubblico, a quello energetico, alla mobilità e all’agricoltura. La genesi di questo progetto è da individuarsi nel vertice di Dortmund che si tenne nell’ottobre del 2019 durante il quale Angela Merkel si pronunciò a favore della sovranità dei dati e di una soluzione europea per la costruzione di una infrastruttura digitale. Inoltre questo progetto fa parte di una più ampia strategia europea di governance dei dati già esplicitamente formalizzata dalla commissione europea il 19 febbraio del 2020. Il principio da cui parte questo progetto è molto semplice: l’Europa allo scopo di essere un player geopolitico rilevante deve essere in grado di garantire la propria sovranità tecnologica. Tutto ciò consentirebbe, per esempio, di evitare che i dati sanitari dei pazienti siano venduti, come successo con il National Health System britannico, ad aziende farmaceutiche americane come rivelato dalla periodico The Guardian nel dicembre 2019.

È evidente che questo progetto è volto anche a fornire un’alternativa europea ai leader mondiale del cloud Computing come Amazon, Microsoft, Google e Alibaba che allo stato attuale detengono oltre il 70% del mercato mondiale. Naturalmente questo progetto rientra in un contesto molto più ampio che consiste nel tentare di costruire un’infrastruttura europea dalla quale dovrebbe nascere un ‘ecosistema europeo di dati per consentire all’Europa di riconquistare la sua sovranità digitale. Sia la Francia che la Germania ritengono opportuno incoraggiare anche altri paesi europei – come Italia e Spagna ad esempio- che dovrebbero partecipare a questo progetto di sovranità ed autodeterminazione. La rilevanza di questo progetto a livello globale è tale che l’amministrazione americana interpreta i piani di Bruxelles sulla sovranità digitale come una minaccia alla libertà economica e all’espansione delle sue industrie tecnologiche. Per quanto riguarda la Francia è significativo il fatto che tutte le principali scuole di pensiero relative all’intelligence economica – e fra queste certamente la Scuola di Guerra economica parigina di Christian Harbulot – abbiano nel corso di questi ultimi anni posto l’enfasi sulla necessità di conseguire in tempi relativamente brevi la sovranità e l’autodeterminazione digitale in un’ottica di patriottismo economico allo scopo di emanciparsi dalla egemonia americana. Come abbiamo già avuto modo di osservare in un articolo su Vision-Gt l’Europa non ha scelta: se infatti vuole proteggere i suoi cittadini, deve cambiare la sua strategia geoeconomica. Deve, per esempio, investire nella ricerca più ampia e trasversale possibile al fine di comprendere la natura della guerra economica. Insomma Bruxelles dovrebbe formulare una vera dottrina di difesa economica per affrontare sia gli Usa che la Cina.

http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/prove-tecniche-di-sovranita-tecnologica-europea/?fbclid=IwAR1wp5ZZ9a3H_8SOejmjS5Iu-dHmTGHh_QzYNlCUVdbBBsk4veXgreKTz7c

Il bene riflesso, di Giuseppe Masala

Riflettevo un po’ sull’Euro. Dico, indipendentemente da come andrà a finire questa epopea destinata ad entrare nella Storia. Il mio è stato un ragionamento utilitaristico che è partito dalla constatazione empirica che nulla a questo mondo viene nella vita senza lasciare qualcosa. Qualunque cosa, prende un po’ di noi e lascia qualcos’altro. L’Euro dal punto di vista italiano è stato senza dubbio una catastrofe economica, politica e sociale (certo, non abbiamo la controprova di cosa sarebbe accaduto se non fossimo entrati). Ma cosa ci lascia questa esperienza che non esito a definire tragica?

L’Euro ci lascia due cose fondamentali. Ci lascia innanzitutto un enorme patrimonio culturale. Quanto abbiamo studiato – ciascuno a modo suo – per comprendere i meccanismi economici, politici, sociali, culturali, storici che ci hanno portato come popoli europei a questa scelta. Pagine e pagine sulla storia tedesca; dalla loro unificazione, alle guerre, alle dispute politiche, giuridiche e filosofiche. Non parliamo poi del loro carattere nazionale, magari appreso nelle pagine di Mann, di Dostoevskij (che li descrive benissimo pur non essendo tedesco), di Junger e qualche temerario anche attraverso le letture di Oswald Spengler. Il loro spirito di Ribellione, la tensione perenne tra Kultur e Zivilisation; nel mio caso personale anche l’intima convinzione che questa tensione si risolve sempre con la vittoria della Kultur; anche quando apparentemente scelgono la Zivilisation. Abbiamo imparato che la Grandeur francese porta gli ottimi governanti di quel popolo ad essere stupidi. Avete notato? Nella trattativa del Recovery Fund si sono comportati come non li riguardasse. Loro son signori, mica s’abbassano. Poi la perfidia britannica, ma anche la loro tenacia ferrea. E poi il cinismo, l’arrivismo, la stupidità delle nostre classi dirigenti. Ci hanno mandato a combattere con le scarpe di cartone. Come i fanti dell’Armir spediti in Unione Sovietica.

Abbiamo in definitiva imparato – e questa è la seconda grande lezione – che la Storia non è lo studio del passato. La Storia è lo studio del Presente e del Futuro. Tutto si ripete in una incredibile coazione.

Ecco, l’Euro ci lascia un enorme patrimonio di esperienza e di cultura. Probabilmente inutile. Se tra venti anni provassimo a spiegare alle nuove generazioni, fatalmente saremmo presi per vecchi rincoglioniti. Già, la Storia insegna ma non ha scolari. O meglio, la si impara solo sulla propria pelle.

L’ALTRO POLO

Arriva dalla Gran Bretagna, attraverso il Financial Times, la notizia che fa capire quanto sia vitale la battaglia sull’Euro. Secondo il quotidiano londinese la Bank of England starebbe pensando di istituire una Banca d’Investimenti di sua proprietà. Si, avete capito bene, la banca centrale inglese sta pensando di istituire una banca d’investimento per intervenire direttamente nell’economia reale. Facile capire come andrebbe a funzionare: la banca d’investimento emanazione della BoE emetterebbe obbligazioni per finanziare opere pubbliche che verrebbero acquistate integralmente dalla banca centrale tramite emissione di nuova moneta. In realtà si tratterebbe di una mera partita di giro considerando poi che il 100% dell’azionariato sarebbe di proprietà della banca centrale stessa. In sostanza sarebbe un altro step nel Quantitative Easing con l’intervento diretto della banca centrale negli investimenti sull’economia reale.

Tenete anche conto che la Banca d’Inghilterra ha posto in essere un quantitative easing infinitamente più forte di quello della Bce, pari a ben 750 mld di sterline per una nazione di 65 milioni di abitanti mentre a Francoforte ci si è fermati a 1350 mld di euro ma per 350 milioni di persone (tanti sono gli abitanti della Eurozone). E ora questo nuovo strumento della banca d’investimento che qualsiasi neokeynesiano o postkeynesiano europeo non oserebbe neanche immaginare.

Ecco, mentre in Uk, ma anche in Usa e in Giappone, ci si lancia in operazioni temerarie ma adatte alla situazione drammatica che stiamo vivendo, in Europa si insiste sul Teorema di Haavelmo e sulla sbagliatissima teoria della neutralità della moneta. Rifletteteci un po’ e valutate da soli quanto sia importante o cambiare totalmente la mentalità della Bce oppure separarsi dai tedeschi e dalla Lega Anseatica.

Modelli di vita, di Roberto Buffagni

Domanda: c’è un rapporto tra la riforma della scuola e i carabinieri di Piacenza che diventano criminali?
Risposta: sì.
La riforma di Giovanni Gentile, che sta per compiere cent’anni, ha certo limiti e difetti (come tutto) ma sotto un aspetto essenziale coglie il punto: è intesa a insegnare alla futura classe dirigente a pensare criticamente l’ordine dei fini, in parole povere e chiare il perché si fanno o non si fanno le cose. Ecco perché è costruita intorno all’asse della filosofia, ed ecco perché nella scuola di vertice, il liceo classico, si insegnano il latino e il greco, senza i quali è impossibile accedere direttamente ai testi fondativi della civiltà europea. Le odierne proposte di aggiornamento alle “esigenze della modernità”, in soldoni di incentrare l’asse della scuola sull’apprendimento di materie scientifiche e lingue straniere per allinearsi ai “paesi più avanzati” omettono di rilevare il fatterello che la scienza non ha NIENTE da dire in merito all’ordine del fini, al “perché si fanno e non si fanno le cose”, e che il benchmark di apprendimento delle lingue straniere è la lingua materna (nessun italiano imparerà mai l’inglese meglio dell’italiano, anche se lo studia per tutta la vita).
E i carabinieri criminali? Cosa c’entrano?
I carabinieri non diventano criminali per difetti operativi, per esempio per un criterio di reclutamento inadeguato o procedure di controllo interno insufficienti. i carabinieri diventano criminali perché, fatta esperienza di ingiustizie, ipocrisie, abusi, corruzione nell’Arma, nello Stato, nel mondo in generale, prima pensano “chi me lo fa fare”, poi pensano “sono tutti corrotti, perché non approfittare delle occasioni?” poi commettono le prime irregolarità, poi constatano la propria impunità, poi diventano criminali veri e propri, e fino a quando non li beccano sentono di essere nel giusto, perché il giusto non esiste.
E attenzione, ragazzi: il giusto non esiste sul serio, se non esiste dentro l’anima, o se si preferisce nella mente, delle persone.

LA CARICA DEI MONATTI, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA CARICA DEI MONATTI

Sarà, ma non riesco a vedere del tutto negativo che i quattrini dell’U.E. arrivino, come dicono, nei prossimi anni.

Non sono un economista, e molti mi rimprovereranno di non tener conto dell’effetto shock che un’iniezione massiccia di liquidità ha su un’economia in recessione; ma credo di avere qualche esperienza della politica, di quella nazionale in particolare e questo mi induce a bilanciare, almeno parzialmente gli effetti positivi e quelli negativi del ritardo.

Molti pensano che il governo Conte sia prossimo al capolinea, probabilmente sostituito, entro l’anno, da un nuovo esecutivo, sorretto da una “scissione” di Forza Italia; altri (meno) pensano che si vada ad elezioni anticipate nel prossimo inverno (con altre probabilità di alternativa). Se è vero ciò, il vantaggio del ritardo è evidente: non sarà questo governo a spendere la massa di moneta – oltre 200 miliardi di euro – in arrivo dall’U.E.. Vantaggio che sarebbe modesto, ove il governo fosse comunque espressione del PD (e appendici), superiore se lo escludesse e fosse formato dall’attuale opposizione.

Il perché è semplice: il PD (nelle varie trasformazioni) è il maggiore (anche se non l’unico) responsabile della venticinquennale stagnazione economica italiana, che ne ha fatto l’economia più ferma sia dell’U.E. che dell’area euro (dopo essere stata, prima del 1993, una delle più dinamiche).Non c’è passaggio economico decisivo della “seconda repubblica” che non porti la firma di un boiardo di centrosinistra: dall’entrata nell’euro alle privatizzazioni, spesso farlocche e altrettanto spesso profittevoli per i privati, ma non per il pubblico (tra le tante – Autostrade); dal rigore a senso unico (quello sbagliato) alla tassazione a gogò. I protagonisti di questo quarto di secolo (abbondante) sono stati i vari Prodi, Ciampi, Amato, Padoa Schioppa, Monti, nessuno dei quali ha governato senza la fiducia del centrosinistra.

Con i risultati che abbiamo visto prima della pandemia. Per cui chiedersi perché gli italiani abbiano ridotto il PD (e connessi) da quasi la metà dei voti a poco più di un quinto dell’elettorato è sorprendente: a sorprendere – di fronte a tanto sfascio – sarebbe il contrario. Che poi a spendere i quattrini che l’U.E., (bisogna riconoscere, stavolta meno rigorosa del solito), mette a disposizione, debbano essere sempre coloro i quali da decenni ci hanno messo in questa situazione realizzando politiche “rigorose” (si fa per dire) è circostanza assai poco rassicurante. Da risultati passati così negativi non c’è da attendersi un futuro radioso.

E lo si vede già nelle normative per il rilancio: mentre tra le misure per il rilancio dell’economia post-Covid la “cattivissima” Merkel in Germania ha abbassato l’IVA di 3 punti (dal 19 al 16 per l’aliquota ordinaria), seguita dalla piccola Cipro, il governo PD-M5S ha inventato bonus, alcuni giustificati, altri surreali – quelli per bici elettriche e monopattini – , ma – a parte qualche breve rinvio di pagamento – nessuna riduzione d’imposta, tanto meno per quelle generali, gravanti su tutta la popolazione (come, tra l’altro, IRPEF, IVA, IMU). In realtà come al solito emerge la differenza sostanziale tra l’Italia e la maggior parte dell’Europa: che non è tanto il “rigore” ma il modo di governare (e governarlo).

Lì si prendono misure emergenziali che incidono per lo più a danno o a favore di tutti: hanno la stessa caratteristica positiva della legge di Rousseau: che viene da tutti e si applica a tutti.

In Italia viene da un governo di minoranza nella Nazione, nato per impedire alla maggioranza (Salvini e connessi) d’andare al governo e serve, in larga parte a fare favori a pochi, se non pochissimi. Quelli che stanno a cuore ai governanti minoritari. I quali hanno un consenso radicato tra i tax-consommers, ossia tra coloro che, sul bilancio dello Stato, ci campano, E non è solo la burocrazia; come scriveva un secolo fa circa Giustino Fortunato, il bilancio dello Stato è “la lista civile della borghesia parassitaria”. Quella che prospera grazie alle imposte, alle tasse, alle tariffe pagate da tutti. E che nutre grandi attese dalle conseguenze della pandemia. Ridurre le imposte (a tutti), profittando dei fondi europei significa ridurre i favori (a qualcuno); cosa improponibile a un governo che si “regge” sul consenso di quelli.

Tempo fa notavo che Manzoni narra come l’esclamazione dei monatti nella Milano appestata era “viva la moria”, perché i lutti di tutti erano occasione per i monatti di vivere (neppure tanto onestamente): e c’erano segnali in Italia che la situazione (e l’augurio) si stesse ripetendo con i monatti post-moderni.

Ne abbiamo avuto la conferma pochi giorni fa; il brindisi (completo) dei monatti nei Promessi sposi in effetti era: “Viva la moria. Moia la marmaglia”; un ministro l’ha completato dicendo che se i ristoratori non riescono ad adeguarsi, meglio che cambino mestiere. Il che vuol dire la morte economica di non poche imprese. Delle quali non molte (forse) propendevano per il partito del ministro e quindi lo “meritavano”. Ma chi spiegherà al ministro che se cessano di produrre le imprese, pochi pagheranno le tasse? E che se non pagano le tasse non solo i suoi elettori, ma persino lui sarà costretto a lavorare?

Teodoro Klitsche de la Grange

La malattia del mondo, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Francesco Borgonovo, La malattia del mondo, Milano 2020, pp. 207, € 15,00

Questo libro è una riflessione sulla pandemia da coronavirus, che dall’evento risale alle condizioni ideali e materiali da cui è stato incentivato, in un’epoca in cui eventi del genere, che hanno funestato l’umanità per millenni, sembravano chiusi nell’archivio della storia. Archivio che a dispetto dei progressisti – e purtroppo non solo loro – si è riaperto.

La pandemia è stata frutto di due fattori fondamentali, ambo ideali: il primo è la ybris, il secondo è (la pretesa/aspirata) assenza di limiti (non solo fisici) che caratterizzano il pensiero della globalizzazione (e dei globalizzatori). Quanto alla prima scrive l’autore, la ybris è “prima di tutto superamento del limite, del confine. E se ci pensate, l’intera storia dell’epidemia di Covid-19 (esattamente come la storia della globalizzazione) è una faccenda di confini varcati e limiti infranti”. Il limite infranto è quello della natura “Della natura noi uomini siamo, al massimo, i custodi, come rivela il libro della Genesi. Quando veniamo meno al nostro ruolo, o quando tentiamo di farci creatori sostituendoci al Creatore, allora scateniamo l’epidemia, la pestilenza biblica”. Secondo gli scienziati il Coronavirus è nato – come altri agenti patogeni – da uno spillover da un “salto” tra specie (da animali selvatici all’uomo). Varcato il limite della specie è stato assai più agevole, dato il progresso tecnico e la permeabilità delle frontiere, diffondersi nel pianeta a velocità impressionante “Prigionieri come siamo dell’ideologia della dismisura, non abbiamo saputo chiudere tempestivamente i confini, non abbiamo voluto fermare il vortice della circolazione globale: la malattia, dalla Cina, è approdata in Germania, e da lì è giunta in Italia. Poi, il disastro. Quando il Covid-19 è calato nella nostra nazione, tutti i nostri limiti sono tornati prepotentemente a galla: quelli delle nostre strutture sanitarie, della nostra potenza industriale, della nostra indipendenza economica… Il confine, il limite, le barriere salvifiche che avrebbero potuto arginare l’avanzata del nemico occulto sono stati sbriciolati dal capitalismo selvaggio e dall’ideologia che impone: nessuna frontiera”.

Ricordando quanto scriveva Schmitt della contrapposizione tra terra e mare e le conseguenze che comporta sull’ordine, sul diritto e sull’economia, Borgonovo sostiene che non erra Zigmunt Bauman quando definisce la società post-moderna “società liquida” contrapposta alla solida terra che fonda società basate sul limite (confine delle proprietà, dei territori delle sintesi politiche, almeno di quelle stanziali, ossia, nella modernità, tutte). Per espandersi la “società liquida” necessita di superare se non di abolire i limiti.

Hegel lo aveva notato per l’industria nel paragrafo 247 dei Lineamenti di filosofia del diritto: “come per il principio della vita familiare è condizione la terra, cioè il fondo e il terreno stabile, così per l’industria l’elemento naturale che la anima verso l’esterno è il mare.

Nella brama di guadagno, esponendo al pericolo il guadagno stesso, l’industria si eleva a un tempo al di sopra di esso, e soppianta il radicarsi nella zolla e nella cerchia limitata della vita civile, i suoi godimenti e desideri, con l’elemento della fluidità, del pericolo e del naufragio…”; il mare pertanto era l’ “ambiente” più favorevole al commercio e all’industria. Ancor più quando, venuta meno la scoperta di nuove terre (e mercati) l’espansione deve basarsi sull’abolizione dei residui confini.

Il libro è colmo di idee. Per restare nei limiti di una recensione, la sintesi – purtroppo limitata come tutte le sintesi – è che la post-modernità si fonda sulla ybris, ossia la superbia di superare i limiti della natura. Borgonovo ricorda come i greci notassero ciò: Erodoto ed Omero, cui occorre aggiungere Sofocle, in particolare nell’Antigone e nell’Edipo re. Come condanna della ybris come distruttrice dell’ordine terreno e divino è particolarmente significativo il canto del coro nell’Edipo rePossa io avere destino di serbare santa purezza di parole e di azioni, a cui sono preposte leggi sublimi, procreate nell’etere celeste, e l’Olimpo solo è loro padre; non natura mortale di uomini le generò, né mai l’oblio le sopirà: un dio potente è in esse, e non invecchia. La dismisura genera tiranni”. O nella profezia di Tiresia a Creonte nell’Antigone, nella quale l’indovino prevede la rovina del re per aver violato le leggi di natura “questo non è un potere tuo, né degli dei supremi, anzi essi soffrono questa violenza da te”. Indubbiamente una civiltà come quella greco-romana che Spengler riteneva basarsi sul senso del finito, cioè del limite è particolarmente utile per capire la degenerazione faustiana della post-modernità.

La quale trova la propria caratteristica fondamentale nel ritenere superabili realtà e leggi naturali. Lo stesso comunismo reale, rapidamente espanso e conclusosi, si fondava sull’illusione del giovane Marx di cambiare la natura umana, mutando i rapporti di produzione; alla fine della dittatura si sarebbe costruita la società comunista, senza comando né obbedienza, pubblico e privato, amico e nemico. Cioè senza i presupposti del politico – le costanti che connotano ogni comunità politica umana. Risultato smentito dalla breve storia del comunismo. Il quale si è retto solo perché ha mantenuto anzi potenziato le costanti del politico nella dittatura sovrana del partito. Cessata la fede nella quale è imploso. Nella post-modernità questa ybris ha preso altre forme, immaginato altri idola: tutti accomunati dalla credenza di poter oltrepassare leggi e limiti naturali. Illusione sempre smentita e fondante, come cantava Sofocle, nuove tirannie.

Teodoro Klitsche de la Grange

IL MITO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI a cura di Luigi Longo

IL MITO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI

a cura di Luigi Longo

 

Segnalo l’articolo di Marco Della Luna su Bambini abusati e giustizia abusata apparso sul sito www.marcodellaluna.info il 19/7/2020.

“Le note, recenti e crescenti rivelazioni hanno mostrato la realtà di un potere giudiziario che, fuori dal mito e dalla mistificazione, è semplicemente tale e quale gli altri poteri, quelli politici, burocratici, amministrativi, e fa parte organica del loro sistema […] Tutto questo non deve sorprendere, perché da sempre il potere serve gli interessi di chi lo detiene, non la collettività e gli interessi diffusi, anche se il popolo, non imparando mai dalla storia, tende a farsi continuamente illusioni a questo riguardo” (Marco Della Luna).

Questa è una buona sintesi per avviare qualche riflessione sul ruolo della sfera giudiziaria nei rapporti sociali della società cosiddetta capitalistica.

Chi crede nella separazione dei poteri, chi teorizza e pratica la separazione dei poteri è in malafede perché mente sapendo di mentire.

Non esiste nessuna separazione dei poteri ma esiste una sorta di coordinamento degli agenti strategici dominanti che trovano nei luoghi istituzionali un equilibrio dinamico di strategie e gestione del potere e del dominio. Mi spiego: gli agenti strategici delle diverse sfere del legame sociale, storicamente dato, (politica, giudiziaria, eccetera) formano, nel conflitto strategico, un blocco egemone che realizza la loro visione di società nei luoghi istituzionali dove viene espletato il dominio. Questo blocco è formato dagli agenti che elaborano le strategie; da quelli che eseguono le strategie e da quelli che gestiscono le strategie.

Questo approccio rozzo vale sia nelle relazioni sociali all’interno delle nazioni sia in quelle mondiali dove si gioca il conflitto per l’egemonia tra le potenze mondiali con le loro aree di influenza nelle diverse fasi della storia mondiale: monocentrica, multicentrica e policentrica.

Il popolo pensante sa sulla propria pelle che non esiste la separazione dei poteri e che la scritta simbolica nei palazzi di Giustizia “La legge è uguale per tutti” è non veritiera. Qui il popolo è inteso non come una generica astrazione ma come una astrazione materiale di individui portatori di interessi diversi in un rapporto sociale asimmetrico tra chi detiene il potere, chi detiene il dominio e chi non detiene nulla (la maggioranza della popolazione).

Quanta teoria sta nella prassi del partire da sé! Qui dobbiamo andare a lezione dal pensiero femminile della differenza, ma è un altro ragionamento che ha a che fare con una nuova forza politica sessuata all’altezza di questi tempi di grande trasformazione che è caratteristica propria di una nuova fase storica.

Facciamo scendere la teoria, con nuovi campi di stabilità, nella realtà per meglio comprendere la sua coda. “Va la mia realtà come una storia che va avanti e quando credi di afferrarla è già più in la. […] Va la mia realtà come la vita che mi sfugge ed io mi aggrappo come un naufrago qua e la. Il mio destino è quest’ affanno è questa corsa verso il vero per scoprire quel mistero
che da sempre è la realtà […] Noi crediamo ancora ai grandi ideali ai grandi schieramenti la realtà è più avanti […] Noi crediamo ancora alla gente onesta agli uomini efficienti la realtà è più avanti […] Noi crediamo ancora alle facce nuove ai partiti giusti. Siamo di destra siamo di sinistra siamo democratici siamo progressisti la realtà è più avanti […] Siamo sempre indietro la realtà è più avanti (grassetto mio)” (Giorgio Gaber).

 

 

BAMBINI ABUSATI E GIUSTIZIA ABUSATA

 

di Marco Della Luna

Le note, recenti e crescenti rivelazioni hanno mostrato la realtà di un potere giudiziario che, fuori dal mito e dalla mistificazione, è semplicemente tale e quale gli altri poteri, quelli politici, burocratici, amministrativi, e fa parte organica del loro sistema:

E’ in mano a comitati di affari operanti nella illegittimità, che gestiscono i concorsi a magistrato, le carriere dei magistrati, le assegnazione dei posti importanti, la persecuzione dei magistrati che non si piegano al sistema, la protezione di quelli che lo servono, la facilitazione del mercato delle sentenze – perché in un mondo in cui tutto viene fatto merce, anche le persone, sono merce anche le sentenze. L’unica realistica riforma della magistratura sarebbe di azzerare il suo ruolo e sorteggiare magistrati vicari tra gli avvocati con almeno 20 anni di esperienza, in provvisoria sostituzione degli attuali magistrati (che verrebbero abilitati come avvocati del libero foro), in attesa di nuovi concorsi trasparenti e controllabili. Ma non si farà, perché la politica è coesa con questa giustizia.

Quei comitati scelgono chi deve passare il concorso per magistrato, dominano il potere giudiziario e sono autori di veri e propri colpi di Stato giudiziari, che hanno prodotto un cambio di maggioranza determinante anche per la nomina di presidenti della Repubblica, i quali dovrebbero invece essere organi di garanzia e neutralità. Il primo colpo di stato giudiziario risulta essere Mani Pulite che ha eliminato i partiti tradizionali che avrebbero ostacolato la privatizzazione e cessione ai capitali stranieri dell’Italia e della sua sovranità, lasciando in attività solo il partito comunista nei suoi successivi nomi, il quale era appunto il partito collaborazionista di quel progetto di cessione. Altri affioramenti notevoli hanno mostrato complicità di magistrati col mondo degli affari imprenditoriali e da più parti è stata sollecitata un indagine a tappeto sui rapporti tra le banche e i magistrati che si occupano delle medesime banche, indagine che credo avrebbe effetti rivoluzionari.

Tutto questo non deve sorprendere, perché dà sempre il potere serve gli interessi di chi lo detiene, non la collettività e gli interessi diffusi, anche se il popolo, non imparando mai dalla storia, tende a farsi continuamente illusioni a questo riguardo.

Da Bibbiano, ma anche da precedenti dossiers, è stato aperto anche il capitolo della Giustizia che si occupa dei minori, sia quindi i tribunali per i minorenni che i tribunali ordinari civili e penali che trattano cause riguardanti i fanciulli. Da circa 10 anni si sa che c’è un giro d’affari attualmente intorno ai 4 miliardi l’anno per i collocamenti dei minorenni in strutture private che realizzano profitti, che hanno tra i loro soci o collaboratori pagati giudici minorili onorari e di carriera, i quali sono coloro che collocano i minori affidandoli a queste strutture private, perlopiù cooperative, che realizzano notevoli lucri, facendo pagare rette che talora arrivano a superare i €400 al giorno. Un giudice minorile, il dottor Morcavallo, anni fa si dimise perché disgustato da quello che vedeva avvenire per opera di suoi colleghi dei tribunali per i minorenni e da allora combatte queste prassi.

Non è tutto, anzi è solo l’inizio, la parte meno torbida. Come avvocato ho regolarmente constatato che di prassi i magistrati e i servizi sociali e i loro psicologi che si occupano di minori tendono a collocare i minori, nelle separazioni dei loro genitori, presso quel genitore che è più disturbato e disturbante, e a colpevolizzare artatamente quello più sano che potrebbe fare di più per i figli. Probabilmente questa prassi è finalizzata a favorire gli operatori, spesso privati, che seguono a pagamento i minori, come psicologi, educatori, cooperative fornitrici di servizi sempre a pagamento. Un bambino che cresce con un genitore disturbante è un cliente pressoché sicuro per questi soggetti.

Ma vi è di peggio. Nella mia professione spesso constato direttamente o attraverso colleghi, psicologi, psichiatri, che non pochi magistrati sembrano favorire di fatto il genitore abusante. Io stesso in diverse occasioni ho assistito alla scena in cui la madre presentava al tribunale prove via via raccolte o indizi di abusi sessuali del padre sulle bambine, e il tribunale dapprima faceva orecchie di mercante; poi, di fronte alle nuove prove presentata dalla madre, qualche giudice le diceva di smettere di raccoglierle e di non fare denunce, perché se avesse continuato il tribunale avrebbe considerato di collocare la bambina in una struttura oppure presso il padre stesso. Incredibile, ma vero. Cercherò di spiegare perché ciò avviene.

A questi episodi si collegano vicende come quelle di Bibbiano e di Forteto, che non sono isolate ma ricorrono abbastanza diffusamente. Quella di Bibbiano è stata accuratamente silenziata e addirittura il rifiuto politico ad allearsi col Partito democratico, potenza dominante nella zona interessata e vicina al potere giudiziario, rifiuto opposto da parte del movimento grillino, è stata prontamente riassorbita. Il Forteto, che ora risulta difeso non solo da illustri politici ma anche da alcuni magistrati, va avanti da diversi anni dopo l’inizio della scoperta di ciò che in esso si faceva e ancora si fa.

È chiaro che, come persino Padre Livio Fanzaga, fondatore e presidente di Radio Maria, una potenza mondiale della comunicazione, ha denunciato il 7 luglio, che la lobby mondiale dei pedofili è molto forte, conta centinaia di migliaia di membri tra cui persino esponenti di qualche famiglia reale. Essa è molto finanziata e sostenuta, spinge per lo sdoganamento della pedofilia, vista come punta di lancia del Movimento Gender. Il pensiero corre a quel governatore regionale che già si è vantato di aver istituito una Task Force per intervenire e all’occorrenza asportare i bambini dalle famiglie che appaiono inadeguate, come potrebbero essere quelle che rifiutano l’educazione gender e le dottrine omosessualiste.

Padre Livio, persona di grande cultura, intelligenza e industriosità, ha dichiarato che ha iniziato a studiare questo problema, che andrà a fondo, e ha aggiunto di aver già accertato che la pedofilia è solo lo strato superficiale, che sotto di essa stanno pratiche di sadismo, pratiche di satanismo, con sacrifici di bambini, come nel famoso caso Epstein e in altri. Ha concluso dicendo che ha scoperto anche di peggio, cose che non può dire in radio perché la radio è ascoltata anche da bambini. Credo si riferisse all’industria globale degli espianti di organo e ai milioni di bambini che ogni anno spariscono, anche in Italia, o che verso quell’industria sono incanalati da provvedimenti giudiziari di affidamento. Ricordiamo quella pratica di affidamento in serie di bambini a pedofili che andava avanti da decenni a Berlino, quando ultimamente è stata stroncata.

Attualmente, si sta varando una legislazione idonea a produrre un quadro normativo e mediatico in cui sarà ampiamente incoraggiato e legittimato il prelievo dei bambini dalle famiglie che non si adegueranno al gender e ad altre prescrizioni ideologiche e sanitarie del sistema. Per tale via, si creerà un’ampia disponibilità di bambini collocabili in strutture imprenditoriali e potenzialmente disponibili per gli usi sopraindicati. Bambini che possono solo augurarsi che vi siano molti magistrati come il dottor Morcavallo, pronti a combattere i loro stessi colleghi deviati.

 

 

 

Libro – Il Medio Oriente in fase di ristrutturazione (2/5), di Eugène Berg

Proseguiamo con la recensione, scritta dallo stesso autore, dell’opera in cinque volumi dedicata all’area mediorientale_Giuseppe Germinario

Volume 2: tre potenze regionali competono per la leadership

Sappiamo che il Medio Oriente, in uno spazio relativamente piccolo, concentra un massimo di domande di natura geopolitica, antagonismi multipli, nonché questioni politiche, religiose, economiche, sociali e culturali. Nessuno spazio al mondo come quello tra il Mediterraneo, il Mar Nero, il Mar Caspio, il Mar Rosso e il Mar Arabico ha così tante guerre, conflitti, scontri e sconvolgimenti. Da qui il grande interesse che si lega all’opera monumentale di Gérard Fellous dedicata alla regione del Medio Oriente, a differenza di qualsiasi altra.

A giudicare da cinque volumi, in oltre 2.500 pagine ampie e ben documentate che coprono tutti i paesi, tutte le domande relative a questa vitale area geopolitica alla confluenza di tre continenti.

Gérard Fellous ha seguito nella sua carriera giornalistica le evoluzioni geopolitiche dei paesi del Medio e del Medio Oriente, alla guida di un’agenzia di stampa internazionale. Esperto con le Nazioni Unite, l’Unione europea, il Consiglio d’Europa per i diritti umani e l’Organizzazione internazionale della Francofonia, è stato consultato da numerosi paesi arabo-musulmani. Il segretario generale della Commissione consultiva nazionale per i diritti umani (CNCDH) a nove primi ministri francesi, tra il 1986 e il 2007, ha trattato, in simbiosi con la società civile, le questioni della società sottoposte alla Repubblica.

Senza essere in grado di darne una spiegazione nella sua totalità, prendiamo in considerazione gli elementi essenziali, esaminando i cinque volumi, che costituiscono altrettanti punti di riferimento essenziali.

Volume 2: tre potenze regionali competono per la leadership

Tre potenze regionali, stabilite più o meno permanentemente nella regione, due vecchi imperi, il terzo di origine più recente, il Guardiano dei luoghi santi dell’Islam stanno combattendo per la leadership, stanno cercando di estendere la loro influenza, a raduna amici e alleati al loro stendardo. L’Iran, l’Arabia Saudita e la Turchia formano una configurazione complessa, i cui componenti dovrebbero essere scomposti.

Iran, un’ambiziosa teocrazia islamista

“Colosso con i piedi di argilla con potenziale nucleare”, la Repubblica islamica dell’Iran è un caso atipico nella moderna geopolitica. Si è presentato sin dalla sua adesione nel 1979 come la prima teocrazia a trarre la sua dottrina religiosa da uno scisma del VII secolo d.C., per conquistare il subcontinente del Medio Oriente e allo stesso tempo condurre strategie con insistenza. . Da un lato, contro il suo principale nemico e la principale potenza economica e militare del mondo, gli Stati Uniti d’America, il Grande Satana e, d’altra parte, contro lo Stato di Israele, l’unica potenza nucleare regionale. L’Iran dei Mullah ha per la prima ambizione egemonica di stabilire un “arco sciita” in Medio Oriente a partire da Teheran per unirsi al Mediterraneo, attraverso Iraq, Siria, Libano. È una strategia offensiva, difensiva, piuttosto mista, in ogni caso vediamo che la comunità sciita, che costituisce il 15-20% della popolazione regionale, tende a comportarsi come una maggioranza. Dagli anni ’80, gli iraniani hanno aspirato a costituire questo “asse della resistenza” contro gli arabi sunniti della regione in cui le popolazioni sciite svantaggiate, demograficamente in minoranza, come in Siria (12%) avrebbero detenuto potere militare e / o politico. Questa zona di influenza militare e / o politica decollata nel 2003, in seguito all’intervento americano in Iraq, ha suscitato grande preoccupazione nelle comunità sunnite, ma anche nei paesi occidentali. La Repubblica islamica dell’Iran potrebbe essere sulla carta uno dei principali fattori scatenanti della terza ristrutturazione storica della regione.

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Il regime dei mullah scommetteva che il suo controllo sulla regione poteva prosperare solo nel caos, sulle ceneri di un conflitto generalizzato. Una prospettiva così apocalittica è tuttavia improbabile, i mullah, maestri della diplomazia sull’orlo dell’abisso sanno dove fermarsi. Per la prima volta nel 2004, il re giordano Abdullah II ha parlato della minaccia della costituzione di una “Mezzaluna sciita” in Medio Oriente. In soli tredici anni, il progetto Teheran era diventato una realtà che testimoniava i relè di influenza che la Repubblica islamica era riuscita a stabilire nella regione. Storicamente, una potenza persiana si è rivolta verso l’Asia, la Repubblica islamica aspira oggi a uno sbocco sul Mediterraneo, con l’istituzione di una base navale in Siria, in conflitto su questo punto con la Russia di Vladimir Poutine che, per La sua parte, sogna di realizzare il progetto di Caterina II. Gli iraniani non nascondono più le loro ambizioni: il presidente Hassan Rohani si vantava in un modo un po ‘”moderato” che in “Iraq, Siria, Libano, Nord Africa, nel Golfo Persico, non è più possibile agire decisivo senza tener conto dell’Iran. Il generale del corpo delle Guardie rivoluzionarie, Qassem Soleiman, si aggira liberamente per questi territori per installare e motivare le sue truppe e per attuare piani di battaglia per stabilire meglio l’autorità dei Mullah lì.

Le maggiori potenze nucleari, come gli Stati Uniti, la Francia, la Russia o la Cina, si sono dimostrate pronte ad attuare la “diplomazia atomica” civile nella regione al fine di conquistare i mercati emergenti e tesserne di nuovi. legami economici e diplomatici, con stati solventi. In questo contesto generale, e tenendo conto dell’evoluzione della domanda e della produzione di idrocarburi nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, siano essi produttori o consumatori, si sono manifestati durante negli ultimi anni il loro desiderio di acquisire centrali nucleari (4 negli Emirati Arabi Uniti, 11 previste in Arabia Saudita), ma questi piani sembrano irrealistici nella situazione attuale.

Arabia Saudita, mancanza di respiro generale

La destabilizzazione del Medio Oriente è anche in gran parte il risultato di un indebolimento dell’Arabia Saudita, sia finanziariamente che politicamente e militarmente. Non più il più grande fornitore al mondo di idrocarburi, dopo che gli Stati Uniti hanno acquisito l’autonomia petrolifera con lo sfruttamento del gas di scisto e delle riserve di petrolio dall’Alaska, l’Arabia Saudita ha visto rapidamente diminuire la sua influenza finanziaria . I ricavi delle esportazioni di petrolio, che ammontavano a circa $ 250 miliardi l’anno tra i 2.000 e i 2.013, sono stati ridotti della metà dal 2014.

Continuando a trarre 30 miliardi di dollari (26,7 miliardi di euro) ogni mese dalle sue riserve di bilancio stimate a 700 miliardi, Riyadh sarebbe stato portato a “fallire completamente” tra due anni, ha ammesso Mohammad ben Salman (MBS). Durante il 2015, il paese è entrato in un difficile ciclo di “mucche magre”. I conti sono stati chiusi con un deficit record di 98 miliardi di dollari (87 miliardi di euro), ovvero il 16% del suo prodotto interno lordo (PIL). Al momento dell’adesione di Re Salman al trono nel 2015 e la designazione; il 21 giugno 2017 di suo figlio Mohammad, 31 anni, come principe ereditario e ministro della difesa, a detrimento di suo nipote, Mohammed ben Nayef, il contesto internazionale non è favorevole a Riyad: da un lato L’Arabia Saudita si è impantanata militarmente contro gli Houtis nello Yemen, una ribellione tra sciiti e sciiti, appoggiata politicamente dall’Iran, portando le monarchie del Golfo in un lungo confronto. D’altra parte, l’Arabia Saudita, un tradizionale alleato degli Stati Uniti,

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Pertanto, questo potere regionale che cristallizza attorno ad esso l’intero mondo sunnita, fa affidamento su una doppia nuova alleanza: apertamente quella dell’amministrazione americana del presidente Donald Trump e, più discretamente, quella di Israele startup e “dissuasivi nucleari. La sua piaga dell’Egitto, essendo il conflitto per omicidio nello Yemen, è iniziata nel marzo 2015, da cui vuole ritirarsi a favore della pandemia. L’Arabia Saudita, quindi il secondo candidato alla leadership regionale, stava affrontando contemporaneamente una tripla sfida, la cui ricerca simultanea si è scontrata con l’attuale situazione economica e sanitaria. Il suo obiettivo principale, il piano 2030, è convertire la sua potenza petrolifera in una moderna economia diversificata. Il secondo è il rafforzamento attorno ad esso della solidarietà sunnita regionale. Ma soprattutto l’ultimo progetto è una guerra di molestie alternativamente nascosta e / o frontale lanciata dal regime delle Mollah, il cui obiettivo è quello di indebolire la monarchia wahabita. Nonostante la portata degli ostacoli da superare, Riyadh ha comunque mantenuto due punti di forza. Oltre alle profonde riforme economiche e sociali che le avrebbero consentito di entrare nel nuovo secolo digitale, nel quadro della cooperazione con Israele, ha continuato a beneficiare di un solido sostegno internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Nel contesto degli scontri tra sunniti e sciiti, da parte dell’Arabia Saudita e della Repubblica islamica dell’Iran, nel 2019 è stato difficile affermare il cui obiettivo è quello di indebolire la monarchia wahabita. Nonostante l’entità degli ostacoli per superare Riyadh, tuttavia, ha mantenuto due vantaggi. Oltre alle profonde riforme economiche e sociali che le avrebbero consentito di entrare nel nuovo secolo digitale, nel quadro della cooperazione con Israele, ha continuato a beneficiare di un solido sostegno internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Nel contesto degli scontri tra sunniti e sciiti, interposti dall’Arabia Saudita e dalla Repubblica islamica dell’Iran, è stato difficile dire nel 2019 il cui obiettivo è quello di indebolire la monarchia wahabita. Nonostante la portata degli ostacoli da superare, Riyadh ha comunque mantenuto due punti di forza. Oltre alle profonde riforme economiche e sociali che le avrebbero consentito di entrare nel nuovo secolo digitale, nell’ambito della cooperazione con Israele, ha continuato a beneficiare di un solido sostegno internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Nel contesto degli scontri tra sunniti e sciiti, interposti dall’Arabia Saudita e dalla Repubblica islamica dell’Iran, è stato difficile dire nel 2019 nell’ambito della cooperazione con Israele, ha continuato a beneficiare di un solido sostegno internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Nel contesto degli scontri tra sunniti e sciiti, da parte dell’Arabia Saudita e della Repubblica islamica dell’Iran, nel 2019 è stato difficile affermare nell’ambito della cooperazione con Israele, ha continuato a beneficiare di un solido sostegno internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Nel contesto degli scontri tra sunniti e sciiti, da parte dell’Arabia Saudita e della Repubblica islamica dell’Iran, nel 2019 è stato difficile affermaresia attraverso l’islamismo dei mullah , una moderna potenza economica senza democrazia, che gli sciiti porteranno il mondo arabo-musulmano in prosperità e sviluppo, o se è con l’Arabia Saudita che sta gradualmente abbandonando il suo arcaismi religiosi e le sue entrate petrolifere per portare i sunniti nel 21 ° secolo.

Turchia conservatrice-islamista

Ultimo ma non meno importante , la Turchia, che sta cercando di svolgere un ruolo crescente in Medio Oriente riaccendendo molte nostalgie imperiali. Questo tentativo di tornare a una grandezza ottomana passata, sotto forma di leadership regionale, è espresso da un forte risentimento verso gli Stati Uniti e l’Unione Europea, accusato di sostenere in Siria le milizie curde dell’YPG (Unità di difesa popolare) ) alleati del PKK , con cui il regime turco è in guerra da più di trent’anni e che descrive come un’organizzazione terroristica, più pericolosa di Daesh.

D’altra parte, per giustificare l’intervento del suo paese in Libia, il presidente Erdogan ha discusso in particolare degli storici legami turco-libici. Davanti al Parlamento, all’inizio del gennaio 2020 il capo del “Saray-Palais” presidenziale ha affermato che le vite di quasi un milione di turchi-libici, chiamate “Köroglu”, discendenti degli ottomani, sono state minacciate oggi. Un’altra prova dell’interesse che la Turchia avrebbe avuto oggi per la Libia, la città di Misurata, sulla costa nord-occidentale del paese. È dichiarato “il centro principale” della comunità di origine turca in Libia, che si dice abbia ospitato 270.000 discendenti degli ottomani su una popolazione di 400.000.

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In Siria, la Turchia conservatrice-islamista del presidente Recep Tayyip Erdogan mantiene tre ferri da fuoco. Il primo a contrastare qualsiasi inclinazione a costituire un Kurdistan; il secondo per aiutare ad eliminare il regime di Assad; e infine contribuire all’eradicazione dello Stato Daesh-Islamico. Rimarrà che la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, seguace di “trame” e incursioni militari in un territorio vicino, a capo di un regime conservatore islamo che ha seppellito la tradizione secolare turca, rimarrà il terzo attore in questa corsa per il potere. regionale. Convinto di essere l’erede dell’Impero ottomano, affrontando all’ombra della NATO, della Russia, dei jihadisti regionali, Erdogan prende la precauzione di non designare tra i suoi “nemici”, né l’Iran né l’Arabia Saudita, ma i “terroristi” di un’organizzazione curda secondaria: il “Partito dell’Unione Democratica -PYD. Né la sua economia debole, né il suo esercito diviso, né la sua incerta diplomazia sembravano essere in grado di dare a questo paese terzo lo status di nazione di leadership regionale. Ciò non impedirà ai suoi fastidiosi poteri di essere ancora esercitati nella regione, causando problemi nel Mediterraneo orientale, interrompendo il suo nuovo boom petrolifero offshore, o in Libia, suscitando disaccordi interni. In assenza di leadership, la Turchia di Erdogan sta giocando “facinorosi” per rivendicare, in un secondo momento, la loro risoluzione. Un’agitazione vana e pericolosa. né la sua incerta diplomazia sembrava essere in grado di conferire a questo paese terzo una posizione di leadership regionale. Ciò non impedirà ai suoi fastidiosi poteri di essere ancora esercitati nella regione, causando problemi nel Mediterraneo orientale, interrompendo il suo nuovo boom petrolifero offshore, o in Libia, suscitando disaccordi interni. In assenza di leadership, la Turchia di Erdogan interpreta “facinorosi”, al fine di fingere, in una seconda volta, di risolverli. Un’agitazione vana e pericolosa. né la sua incerta diplomazia sembrava essere in grado di conferire a questo paese terzo lo status di nazione di leadership regionale. Ciò non impedirà che le sue facoltà di disturbo vengano nuovamente esercitate nella regione, seminando problemi nel Mediterraneo orientale, interrompendo il suo nuovo boom petrolifero offshore o in Libia alimentando il dissenso interno. In assenza di leadership, la Turchia di Erdogan sta giocando “facinorosi” per rivendicare, in un secondo momento, la loro risoluzione. Un’agitazione vana e pericolosa. La Turchia di Erdogan interpreta “facinorosi”, per fingere, in una seconda volta per risolverli. Un’agitazione vana e pericolosa. La Turchia di Erdogan interpreta “facinorosi”, per fingere, in una seconda volta per risolverli. Un’agitazione vana e pericolosa.

https://www.revueconflits.com/livre-moyen-orient-turquie-arabie-saoudite-iran-eugene-berg/

FORSE NON LA STIAMO PRENDENDO PER IL VERSO GIUSTO, Pierluigi Fagan

FORSE NON LA STIAMO PRENDENDO PER IL VERSO GIUSTO. L’altro ieri, la missione di analisti dell’IMF, di ritorno dal suo soggiorno americano, ha pubblicato questo rapporto su stato e prospettive dell’economia americana che da sola vale un quarto di quella planetaria.

Nel secondo trimestre (A-M-G), il Pil USA ha fatto -37% (lo ripeto per i distratti e coloro che saltano i dati di quantità a priori perché preferiscono le parole: “meno trentasette per cento”). Si prevede che l’economia USA tornerà ai livelli di Pil fine 2019, solo a metà 2022, forse. IMF segnala che gli USA erano già un sistema con una forte componente di povertà interna, la crisi è destinata ad allargare e sprofondare questa parte addensata nelle etnie afro-americana ed ispanica. Al momento sono 15 milioni i disoccupati ed è appena iniziata la catena di fallimenti di esercizi commerciali ed imprese che accompagnerà la lenta ma costante caduta. Ed aggiunge: “il rischio che ci attende è che una grande parte della popolazione americana dovrà affrontare un importante deterioramento degli standard di vita e significative difficoltà economiche per molti anni a venire.”.

“Molti anni a venire” , come riportato in post precedenti, viene da Nouriel Roubini e dai “miliardari invocanti tasse”, quotato sulla prospettiva del decennio, magari non saranno proprio dieci anni, ma al momento le prospettive sono di crisi profonda e lunga. “Larga parte della popolazione” significa più che la maggioranza. Il “deterioramento dello standard di vita” è l’esatto opposto del contratto sociale americano basato sull’espansione continuata, ciò che tiene in piedi un sistema assai variegato e pieno di contraddizioni e pluralità problematiche. Tutto questo, nonostante gli eccezionali sforzi di pronto intervento messi in campo dall’Amministrazione e dal FED (che noi in Europa ci sogniamo) e nonostante lo sbandierato +8% dei consumi a maggio. Si stima un rapporto debito/Pil al 160% nel 2030 (reggerà la credibilità dell’unità di conto, scambio e valore internazionale di un paese che ha il 160% di debito pubblico/Pil?) , ma si teme che poiché grande parte dei costi di assistenza sanitaria, educazione e disoccupazione sono nei bilanci degli stati federati già per altro al limite o oltre il limite, l’intera situazione possa ulteriormente peggiorare. Ne segue una lunga ricetta di interventi che però è politicamente improbabile per via delle diverse priorità che le élite americana in genere hanno (o l’una o l’altra poco importa) e soprattutto di cui non si vede né la sostenibilità finanziaria, né il certo effetto ristoratore. Ironia della sorte, giusto il giorno prima, il governo cinese annunciava un +3,2% su aspettative del +2,5% per la crescita del proprio Pil nello stesso periodo.

Tutto ciò, mentre gli USA continuano a macinare record di contagi. Gli USA hanno tre volte i contagiati che abbiamo avuto noi (a parità di popolazione) ma per via del fatto che hanno iniziato dopo e si sono potuti avvalere di qualche parziale miglioramento nelle cure e nei trattamenti, nonché una popolazione decisamente più giovane della nostra, la mortalità è al momento a 430 per milione di abitanti, contro i 580 nostri. Sono però al limite di capienza alcune strutture sanitarie tra cui la Florida ed il Texas, ma non sono i soli. Il conflitto capitale-salute-libertà continua a dilaniare gli americani stante che quando si sceglie il capitale, peggiora la salute ma sopratutto non sembra neanche migliorare il capitale. C’è infatti la psicologia umana in mezzo che valuta il rischio non secondo pura logica statistica.

Tutto ciò potrebbe avere una svolta col vaccino ma al momento non si sa bene quando potrà esser operativo, a che condizioni, come verrà preso dalla popolazione, quanto sarà efficace. Non si è mai trovato un vaccino per i coronavirus che pure si conoscono da decenni. Questi tipi di virus hanno una strategia adattativa molto basica: grande semplicità (è un filo di RNA corto) e grande cambiamento (molte mutazioni per darsi più condizioni di possibilità), cambia molto ed in fretta per ingannare i sistemi immunitari. I virus sono qui sulla Terra da forse 3,5 miliardi di anni e sono le entità biologiche più diffuse sul pianeta, evidentemente la strategia ha i suoi perché. Noi invece non solo geneticamente ma soprattutto socialmente, siamo molto complessi e cambiamo poco e molto, molto lentamente.

Credo che noi non si stia capendo bene in che tipo di problema siamo capitati, un problema che non è italiano o americano ma quantomeno occidentale prima e mondiale poi. Molti si impegnano ad interpretare il virus, la sua genesi, gli interessi in gioco, le pratiche sanitarie, il rumore dei media, criticare il governo, l’Unione europea. Ognuno di questi punti è interessante ma perde il quadro d’insieme ed il quadro d’insieme è un lento armageddon economico e quindi sociale cui saremo soggetti, forse, per anni. E’ desolante il fatto che tra le tante analisi che si leggono, quelle mainstream non meno di quelle alternative, sembra non comprendersi la profondità della crisi cui siamo condannati. Poco o nulla importa se il virus è così o colà, come e da dove è venuto, se i suoi effetti sono esagerati e da chi e perché, poco importa prevedere catastrofi biopolitiche o incolpare i cinesi o Big Pharma. Questi sono intrattenimenti info-culturali. Il fatto crudo e duro è che nella misura in cui la gente teme di ammalarsi e forse morire, i suoi comportamenti sociali abituali o tali ritenuti, cioè i precedenti, non torneranno a sostenere la vita associata per lungo tempo. In tutto il mondo. Con questo avremo a che fare e per questo non sembra esserci medicina di pronto intervento. Questo minerà il funzionamento della società radicalmente. Molto ma molto più radicalmente di qualsiasi Recovery fund o MES, Trump o Biden, ricetta economica a base di interventi generici e consueti. Manca cioè, a mio avviso, consapevolezza dell’eccezionalità e radicalità del problema.

Per adattarsi a questo quadro d’insieme mancano tre cose essenziali. Una è il tempo, il tempo semplicemente non c’è, siamo in ritardo cronico. Qualsiasi intervento risulterà parziale, ci vorrà molto tempo a metterlo in essere e impiegherà molto tempo a dare gli effetti sperati, se li darà. Il secondo è la comprensione del fatto che dovrebbe portare ad una comprensione dell’intervento. Da tempo posto articoli su tassazioni ridistributive straordinarie e diminuzioni immediata dell’orario di lavoro con ridistribuzione dello stesso. Non son le uniche ricette possibili, forse neanche le migliori, ma danno il tono di quanto dovrebbero esser fuori norma gli interventi necessari. Non si può pensare normale in tempi eccezionali. Il terzo è la sistematica rimozione della realtà. Ci vuole un massa critica importante per spingere una società ad una mossa adattiva così importante e seria, qualcosa intorno ad un 60% del corpo sociale, non certo meno. Soprattutto, faccio notare quel “una grande parte della popolazione […] dovrà affrontare un importante deterioramento degli standard di vita e significative difficoltà economiche per molti anni a venire”. C’è da riformulare il contratto sociale, cosa di non poco conto in tutta evidenza, cosa necessaria e di attualità già da tempo prima, ora con una specifica urgenza conclamata. Siamo molto lontano ed in ritardo dall’affermarsi tale consapevolezza nei grandi numeri ma, mi pare, anche nei piccoli.

Scusate per quello che a voi, una domenica di fine luglio, apparirà pessimismo ma che per me è semplice realismo consapevole. Mi sentivo di allarmare sul fatto che forse non la stiamo prendendo per il verso giusto. Anche a livello teorico, penso si dovrebbe mettere in campo più pensiero radicale concreto, non narrativo o contro-narrativo e neanche critico, la critica non cambia il reale. C’è da modificare la realtà il prima possibile in quanti più è possibile, con idee semplici e forti. Forse non ci si riuscirebbe comunque, ma sarebbe sano vederne almeno il tentativo, la discussione, ci sarebbe da provar ad imporre un dibattito pubblico più serio e tra adulti non compromessi da rimozione nevrotica della realtà. Nella misura in cui la gente pensa che questa sia la realtà, questa sarà la realtà e se questa sarà la realtà come sembra, a lungo, gli effetti saranno quelli annunciati. Toccherebbe darsi una regolata …

https://www.imf.org/en/News/Articles/2020/07/17/mcs-071720-united-states-of-america-staff-concluding-statement-of-the-2020-article-iv-mission?fbclid=IwAR2Q0TOBoyweogopmS4Sy4ZTXWbzyqW7tKM9PF3CMB7FA3dgVTmGu6AlnfA

United States of America: Staff Concluding Statement of the 2020 Article IV Mission July 17, 2020 A Concluding Statement describes the preliminary findings of IMF staff at the end of an official staff visit (or ‘mission’), in most cases to a member country. Missions are undertaken as part of reg…
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