Intanto, in Italia, i maggiori partiti si raccomandano alla Casa Bianca per paura di perdere voti
La delicatissima fase in tema di relazioni internazionali che sta attraversando il pianeta (tutto) in questo 2022 sembra degenerare di giorno in giorno, senza soluzione di continuità. Ma qualcuno, in particolare, non si accontenta del conflitto russo-ucraino, tanto meno dello stato di enorme difficoltà che sta passando l’Unione Europea a fronte delle sanzioni inflitte a Mosca e del conseguente taglio delle forniture dei materiali energetici da parte del Cremlino. Viene spontaneo porsi alcune domande e tentare, previa analisi della situazione in divenire e dei relativi dati, di fornire delle risposte, che per altro appaiono sempre più come delle conclusioni fondate anziché delle supposizioni. Nel superare, infatti, la cosiddetta “linea rossa” citata da diversi capi di Stato sparsi nel mondo, gli Stati Uniti stanno gettando benzina sul fuoco della tensione già presente in diverse aree alimentando uno scontro che talvolta essi stessi hanno innescato senza ragioni apparenti. Quali sono gli obiettivi reali non tanto di Joe Biden – ormai in piena fase senile – quanto dell’establishment politico-finanziario-statunitense, oltre a quello di rimpinguare le casse delle grandi multinazionali che producono armi?
Andiamo per ordine. L’Europa orientale sta vivendo il suo sesto mese di guerra, e le dinamiche sono più o meno rimaste le stesse: i russi si allargano e gli ucraini reagiscono come possono grazie all’invio di armi da parte di UE e Washington e facendosi scudo con strutture residenziali. I caduti, tra militari e civili, potrebbero essere oggi qualcosa come 40-50.000, anche se le stime, per vari motivi, non possono (e non potranno, se non tra diversi anni) essere precise. A Bruxelles non importa, tanto meno alla Casa Bianca; i due soggetti terzi, di fatto, continuano a “dirigere” le ostilità con una regia che Zelensky – mentre fornisce previsioni cervellotiche per cui Putin attaccherà anche altri paesi – asseconda tout court dalle stanze del “grande fratello” di Kiev.
Contemporaneamente, nell’emisfero opposto del globo si inasprisce la tensione tra la Cina e i soliti Usa per la questione-Taiwan, presso cui ha transitato la Pelosi, facendo arrabbiare di brutto Pechino. Anche in questa circostanza, sembra abbastanza chiaro l’intento degli americani di mostrare i muscoli e dare dimostrazione di poter fare il loro comodo ingerendo dall’Atlantico al Pacifico tramite la ormai ben nota guerra ibrida. Ma attenzione, i cinesi non sono gli afghani, e visto il coinvolgimento del nucleare, la lite potrebbe diventare spiacevole per tutti. Ora, rispetto allo status dei rapporti tra le due superpotenze, rientra probabilmente il disegno di creare una lacerazione profonda tra l’Occidente e suoi dirimpettai orientali fornendo arsenali e denaro a coloro che l’Occidente stesso vorrebbe diventassero alleati strettissimi. Contrapponendosi, in omnibus et pro omnibus, ai paesi che al contrario sta trasformando in nemici senza che in tempi recenti abbiano operato delle mosse per diventarlo. A margine di una politica del genere, anche Ronald Reagan avrebbe potuto sembrare un moderato.
Terza questione: Kosovo. Provincia autonoma storicamente a grande maggioranza albanese, fa parte del reclutamento di quanti più paesi europei possano entrare a far parte dell’alleanza atlantica, forzatura che Nato e Usa vogliono per creare un punto di contatto tra la crisi ucraina e l’instabilità nei Balcani; stavolta, il nemico inquadrato è la Serbia, vicina a Vladimir Putin e guarda caso uno dei pochi stati dell’area che non ha chiuso lo spazio aereo a Mosca. In più c’è la minaccia diretta: «Se i serbi prevaricano, la Nato interverrà con la forza», fanno sapere dal KFOR, missione militare interforze a presidio dell’area, che conta la presenza di quasi mille unità italiane sul campo. In forma più leggera, ma analogamente a quanto è successo dai primi anni Duemila in Ucraina nei confronti dei russofoni, le autorità kosovare stanno operando un graduale ma continuo smantellamento di tutto ciò che contrassegna l’identità serba (targhe, documenti, simboli). Il risultato è che i serbi kosovari protestano inducendo le autorità locali a opporre un controllo di polizia, il quale ha provocato già diversi scambi a fuoco presso il confine. È una strategia rozza della Nato? Forse, o forse no. Annotiamo esclusivamente che alcuni giorni fa ha avuto luogo un incontro tra il Segretario di Stato statunitense Blinken e il premier kosovaro Kurti per definire la futura integrazione euro-atlantica del Kosovo.
Dalle nostre parti, intanto, in vista delle politiche di settembre, in un clima da mercato delle vacche, si pensa più alle poltrone che al fabbisogno dei cittadini. Tra i maggiori partiti italiani, in relazione all’appiattimento che da mesi contraddistingue la loro propaganda, si è formata la fila per raccomandarsi a Washington, ribadendo fedeltà – per non dire asservimento – al Patto Atlantico in fatto di rapporti bilaterali e fornitura di armi (più soldi) agli ucraini. Ergo: anziché manifestare apertamente una propria autonomia di pensiero e anteporre la salvaguardia degli interessi nazionali, il grande centro allineato preferisce l’endorsement della Casa Bianca. L’Italia politica del terzo millennio è arrivata anche a questo.
MG
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., The Last of the Whampoa Breed: Stories of the Chinese Diaspora, Columbia University Press, 2003 –
Biagini, Storia dell’Albania, Milano, Bompiani, 1998 –
SITOGRAFIA
www.tag24.it, pagina del 04/08/2022 consultata il 04/08/2022 –
Tra Serbia e Kosovo è ancora guerra delle targhe, articolo pubblicato il 01/08/2022 sulla pagina www.ispionline.it, consultata il 05/08/2022 –
Segretario Blinken incontra il presidente kosovaro Osmani e il Primo Ministro Kurti, articolo pubblicato il 26/07/2022 su www.state.gov, sito del Dipartimento di Stato Usa, consultato il 05/08/2022 –
Una “originale” interpretazione della reazione “equilibrata” del mondo occidentale all’intervento russo in Ucraina, densa comunque di spunti sui quali riflettere. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Una guida alla teoria delle relazioni internazionali alla luce della guerra in Ucraina
Una considerazione su quali teorie sono state confermate e quali sono fallite.
Di Stephen M. Walt , editorialista di Foreign Policy e Robert e Renée Belfer, professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.
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Il mondo è infinitamente complesso e, per necessità, ci affidiamo tutti a varie credenze o teorie su “come funziona il mondo” per cercare di dare un senso a tutto ciò. Poiché tutte le teorie sono semplificazioni, nessun approccio unico alla politica internazionale può tenere conto di tutto ciò che sta accadendo in un dato momento, prevedere esattamente cosa accadrà nelle settimane e nei mesi a venire o offrire un piano d’azione preciso di cui è garantito il successo. Anche così, il nostro bagaglio di teorie può ancora aiutarci a capire come è avvenuta la tragedia in Ucraina, spiegare alcuni di ciò che sta accadendo ora, segnalarci opportunità e potenziali insidie e suggerire alcune ampie linee d’azione per il futuro. Poiché anche le migliori teorie delle scienze sociali sono rozze e ci sono sempre eccezioni anche a regolarità consolidate, gli analisti saggi guarderanno a più di uno per intuizioni e manterranno un certo scetticismo su ciò che ognuno di loro può dirci.
Alla luce di quanto sopra, cosa hanno da dire alcune note teorie sulle relazioni internazionali sui tragici eventi in Ucraina? Quali teorie sono state rivendicate (almeno in parte), che sono state ritenute carenti e quali potrebbero evidenziare questioni chiave mentre la crisi continua a svilupparsi? Ecco un’indagine provvisoria e tutt’altro che completa di ciò che gli studiosi hanno da dire su questo pasticcio.
Realismo e liberalismo
Non sono certo un osservatore obiettivo qui, ma è ovvio per me che questi eventi preoccupanti hanno riaffermato la rilevanza duratura della prospettiva realista sulla politica internazionale. A livello più generale, tutte le teorie realistiche descrivono un mondo in cui non esiste alcuna agenzia o istituzione in grado di proteggere gli stati gli uni dagli altri e in cui gli stati devono preoccuparsi se un pericoloso aggressore potrebbe minacciarli in futuro. Questa situazione costringe gli stati, in particolare le grandi potenze, a preoccuparsi molto della loro sicurezza e a competere per il potere. Sfortunatamente, queste paure a volte portano gli stati a fare cose orribili. Per i realisti, l’invasione russa dell’Ucraina (per non parlare dell’invasione americana dell’Iraq nel 2003) ci ricorda che le grandi potenze a volte agiscono in modi terribili e sciocchi quando credono che i loro interessi di sicurezza fondamentali siano in gioco. Quella lezione non giustifica tale comportamento, ma i realisti riconoscono che la condanna morale da sola non lo impedirà. È difficile immaginare una dimostrazione più convincente dell’importanza dell’hard power, in particolare del potere militare.Anche la Germania postmoderna sembra aver recepito il messaggio .
Purtroppo, la guerra illustra anche un altro concetto realista classico: l’idea di un “dilemma di sicurezza”. Il dilemma sorge perché i passi che uno stato compie per rendersi più sicuro spesso rende gli altri meno sicuri. Lo stato A si sente insicuro e cerca un alleato o acquista altre armi; Lo Stato B si allarma per questo passaggio e risponde a tono, i sospetti si approfondiscono ed entrambi i paesi finiscono per essere più poveri e meno sicuri di prima. Aveva perfettamente senso che gli stati dell’Europa orientale volessero entrare nella NATO (o il più vicino possibile ad essa), date le loro preoccupazioni a lungo termine sulla Russia. Ma dovrebbe anche essere facile capire perché i leader russi, e non solo Putin, hanno considerato questo sviluppo allarmante. Ora è tragicamente chiaro che la scommessa non ha dato i suoi frutti, almeno non per quanto riguarda l’Ucraina e probabilmente la Georgia.
Vedere questi eventi attraverso la lente del realismo non significa sostenere le azioni brutali e illegali della Russia; è semplicemente riconoscere tale comportamento come un aspetto deplorevole ma ricorrente delle vicende umane. I realisti da Tucidide in giù attraverso EH Carr, Hans J. Morgenthau, Reinhold Niebuhr, Kenneth Waltz, Robert Gilpin e John Mearsheimer hanno tutti condannato la natura tragica della politica mondiale, avvertendo allo stesso tempo che non possiamo perdere di vista i pericoli che il realismo mette in evidenza, compresi i rischi che sorgono quando si minaccia ciò che un altro stato considera un interesse vitale. Non è un caso che i realisti abbiano da tempo sottolineato i pericoli dell’arroganza e i pericoli di una politica estera eccessivamente idealistica, sia nel contesto della guerra del Vietnam, dell’invasione dell’Iraq nel 2003, sia del perseguimento ingenuo dell’allargamento aperto della NATO . Purtroppo, in ogni caso i loro avvertimenti sono stati ignorati, solo per essere vendicati da eventi successivi.
La risposta straordinariamente rapida all’invasione della Russia è anche coerente con una comprensione realistica della politica delle alleanze. I valori condivisi possono rendere le alleanze più coese e durature, ma i seri impegni per la difesa collettiva derivano principalmente dalla percezione di una minaccia comune . Il livello di minaccia, a sua volta, è una funzione del potere, della vicinanza e del nemico con capacità offensive e intenzioni aggressive. Questi elementi spiegano molto il motivo per cui l’Unione Sovietica ha dovuto affrontare forti coalizioni di bilanciamento in Europa e in Asia durante la Guerra Fredda: aveva una grande economia industriale, il suo impero confinava con molti altri paesi, le sue forze militari erano grandi e progettate principalmente per operazioni offensive e sembrava avere un carattere altamente revisionista ambizioni (cioè la diffusione del comunismo). Oggi, le azioni della Russia hanno aumentato notevolmente la percezione della minaccia in Occidente e il risultato è stato un’esibizione di un comportamento equilibrato che pochi si sarebbero aspettati solo poche settimane fa.
Al contrario, le principali teorie liberali che hanno informato gli aspetti chiave della politica estera occidentale negli ultimi decenni non sono andate bene. Come filosofia politica, il liberalismo è una base ammirevole per organizzare la società, e io per primo sono profondamente grato di vivere in una società in cui quei valori continuano a dominare. È anche incoraggiante vedere le società occidentali riscoprire le virtù del liberalismo, dopo aver flirtato con i propri impulsi autoritari. Ma come approccio alla politica mondiale e guida alla politica estera, le carenze del liberalismo sono state nuovamente smascherate.
Come in passato, il diritto internazionale e le istituzioni internazionali si sono rivelate una debole barriera al comportamento rapace delle grandi potenze. L’interdipendenza economica non ha impedito a Mosca di lanciare la sua invasione, nonostante i notevoli costi che di conseguenza dovrà affrontare. Il soft power non è riuscito a fermare i carri armati russi e il voto sbilenco 141-5 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (con 35 astenuti) che condanna l’invasione non avrà molto impatto.
Come ho notato in precedenza , la guerra ha demolito la convinzione che la guerra non fosse più “pensabile” in Europa e la relativa affermazione che l’allargamento della NATO verso est creerebbe una “zona di pace” in continua espansione. Non fraintendetemi: sarebbe stato meraviglioso se quel sogno si fosse avverato, ma non è mai stata una possibilità probabile e tanto più dato il modo arrogante in cui è stato perseguito. Non sorprende che coloro che hanno creduto e venduto la storia liberale ora vogliono attribuire tutta la colpa al presidente russo Vladimir Putin e affermare che la sua invasione illegale “dimostra” che l’allargamento della NATOnon aveva nulla a che fare con la sua decisione. Altri ora si scagliano scioccamente contro quegli esperti che hanno correttamente previsto dove potrebbe portare la politica occidentale. Questi tentativi di riscrivere la storia sono tipici di un’élite di politica estera che è riluttante ad ammettere errori oa ritenersi responsabile.
Che Putin abbia la responsabilità diretta dell’invasione è fuori discussione, e le sue azioni meritano tutta la condanna che possiamo raccogliere. Ma gli ideologi liberali che hanno respinto le ripetute proteste e avvertimenti della Russia e hanno continuato a promuovere un programma revisionista in Europa con scarsa considerazione per le conseguenze sono tutt’altro che irreprensibili. Le loro motivazioni possono essere state del tutto benevole, ma è evidente che le politiche che hanno adottato hanno prodotto l’opposto di ciò che intendevano, si aspettavano e avevano promesso. E difficilmente possono dire oggi di non essere stati avvertiti in numerose occasioni in passato.
Le teorie liberali che enfatizzano il ruolo delle istituzioni se la cavano un po’ meglio, aiutandoci a comprendere la rapida e straordinariamente unitaria risposta occidentale. La reazione è stata rapida in parte perché gli Stati Uniti ei loro alleati della NATO condividono una serie di valori politici che ora vengono sfidati in modo particolarmente vivido e crudele. Ancora più importante, se istituzioni come la NATO non esistessero e una risposta doveva essere organizzata da zero, è difficile immaginare che sia altrettanto rapida o efficace. Le istituzioni internazionali non possono risolvere conflitti di interesse fondamentali o impedire alle grandi potenze di agire come desiderano, ma possono facilitare risposte collettive più efficaci quando gli interessi statali sono per lo più allineati.
Il realismo può essere la migliore guida generale alla triste situazione che ora dobbiamo affrontare, ma difficilmente ci racconta l’intera storia. Ad esempio, i realisti sottovalutano giustamente il ruolo delle norme come forti vincoli al comportamento delle grandi potenze, ma le norme hanno svolto un ruolo nello spiegare la risposta globale all’invasione della Russia. Putin sta calpestando la maggior parte se non tutte le norme relative all’uso della forza (come quelle contenute nella Carta delle Nazioni Unite), e questo è uno dei motivi per cui i paesi, le società, e individui in gran parte del mondo hanno giudicato le azioni della Russia in modo così duro e hanno risposto in modo così vigoroso. Niente può impedire a un paese di violare le norme globali, ma trasgressioni chiare e palesi influenzeranno invariabilmente il modo in cui le sue intenzioni vengono giudicate dagli altri. Se le forze russe agiranno con ancora maggiore brutalità nelle settimane e nei mesi a venire, gli attuali sforzi per isolarla e ostracizzarla sono destinati ad intensificarsi.
Errata percezione e calcolo errato
È anche impossibile comprendere questi eventi senza considerare il ruolo della percezione errata e dell’errore di calcolo. Le teorie realistiche sono meno utili qui, poiché tendono a ritrarre gli stati come attori più o meno razionali che calcolano freddamente i loro interessi e cercano opportunità invitanti per migliorare la loro posizione relativa. Anche se tale presupposto è per lo più corretto, i governi e i singoli leader operano ancora con informazioni imperfette e possono facilmente giudicare male le proprie capacità e le capacità e le reazioni degli altri. Anche quando le informazioni sono abbondanti, le percezioni e le decisioni possono ancora essere distorte per ragioni psicologiche, culturali o burocratiche. In un mondo incerto pieno di esseri umani imperfetti, ci sono molti modi per sbagliare.
In particolare, la vasta letteratura sull’errata percezione, in particolare il lavoro seminale del defunto Robert Jervis , ha molto da dirci su questa guerra. Ora sembra ovvio che Putin abbia sbagliato i calcoli su diverse dimensioni: ha esagerato l’ostilità occidentale nei confronti della Russia, ha sottovalutato gravemente la determinazione ucraina, ha sopravvalutato la capacità del suo esercito di ottenere una vittoria rapida e senza costi e ha interpretato male la risposta dell’Occidente. La combinazione di paura e sicurezza eccessiva che sembra essere stata all’opera qui è tipica; è quasi scontato dire che gli stati non iniziano le guerre a meno che non si siano convinti di poter raggiungere i loro obiettivi rapidamente e a costi relativamente bassi. Nessuno inizia una guerra che credono sarà lunga, sanguinosa, costosa e che probabilmente finirà con la loro sconfitta. Inoltre, poiché gli esseri umani sono a disagio nell’affrontare i compromessi, c’è una forte tendenza a vedere l’andare in guerra come fattibile una volta che hai deciso che è necessario. Come scrisse una volta Jervis , “quando il decisore arriva a considerare la sua politica come necessaria, è probabile che creda che la politica possa avere successo, anche se una tale conclusione richiede la distorsione delle informazioni su ciò che faranno gli altri”. Questa tendenza può essere aggravata se le voci dissenzienti vengono escluse dal processo decisionale, o perché tutti nel circuito condividono la stessa visione del mondo imperfetta o perché i subordinati non sono disposti a dire ai superiori che potrebbero sbagliarsi.
Teoria del prospetto, che sostiene che gli esseri umani sono più disposti a correre rischi per evitare perdite che per ottenere guadagni, potrebbe aver lavorato anche qui. Se Putin credeva che l’Ucraina si stesse gradualmente allineando con gli Stati Uniti e la NATO – e c’erano ampie ragioni per farlo pensare così – allora prevenire quella che considera una perdita irrecuperabile potrebbe valere un enorme tiro di dadi. Allo stesso modo, anche il pregiudizio di attribuzione – la tendenza a vedere il nostro comportamento come una risposta alle circostanze ma ad attribuire il comportamento degli altri alla loro natura di base – è probabilmente rilevante: molti in Occidente ora interpretano il comportamento russo come un riflesso del carattere sgradevole di Putin e in nessun modo una risposta alle azioni precedenti dell’Occidente. Da parte sua, Putin sembra pensare che le azioni degli Stati Uniti e della NATO derivino da un’arroganza innata e da un desiderio profondamente radicato di mantenere la Russia debole e vulnerabile e che gli ucraini stiano resistendo perché o vengono fuorviati o sono sotto l’influenza di elementi “fascisti”
La fine della guerra e il problema dell’impegno
La moderna teoria IR sottolinea anche il ruolo pervasivo dei problemi di impegno . In un mondo di anarchia, gli stati possono farsi promesse a vicenda ma non possono essere certi che verranno mantenute. Ad esempio, la NATO avrebbe potuto offrire di togliere per sempre l’adesione dell’Ucraina dal tavolo (sebbene non l’abbia mai fatto nelle settimane prima della guerra), ma Putin avrebbe potuto non credere alla NATO anche se Washington e Bruxelles avessero messo quell’impegno per iscritto. I trattati contano, ma alla fine sono solo pezzi di carta.
Inoltre, la letteratura scientifica sulla fine della guerra suggerisce che i problemi di impegno incomberanno ampi anche quando le parti in guerra avranno rivisto le loro aspettative e cercheranno di porre fine ai combattimenti. Se Putin si fosse offerto di ritirarsi dall’Ucraina domani e avesse giurato su una pila di Bibbie ortodosse russe che l’avrebbe lasciato in pace per sempre, poche persone in Ucraina, in Europa o negli Stati Uniti avrebbero preso le sue assicurazioni per valore nominale. E a differenza di alcune guerre civili, dove a volte gli accordi di pace possono essere garantiti da estranei interessati, in questo caso non esiste un potere esterno che possa minacciare in modo credibile di punire i futuri trasgressori di qualsiasi accordo che potrebbe essere raggiunto. A parte la resa incondizionata, qualsiasi accordo per porre fine alla guerra deve lasciare tutte le parti sufficientemente soddisfatte da non sperare segretamente di modificarla o abbandonarla non appena le circostanze saranno più favorevoli. E anche se una parte capitola completamente, imporre una “pace del vincitore” può gettare i semi di un futuro revanscismo. Purtroppo, oggi sembra che siamo molto lontani da qualsiasi tipo di accordo negoziato.
Inoltre, altri studi su questo problema, come il classico di Fred Iklé Every War Must End e Peace at What Price?: Leader Culpability and the Domestic Politics of War Termination di Sarah Croco—evidenziano gli ostacoli interni che rendono difficile porre fine a una guerra. Patriottismo, propaganda, costi irrecuperabili e un odio sempre crescente per il nemico si combinano per inasprire gli atteggiamenti e far andare avanti le guerre molto tempo dopo che uno stato razionale potrebbe fermarsi. Un elemento chiave in questo problema è ciò che Iklé ha chiamato il “tradimento dei falchi”: coloro che sono favorevoli alla fine della guerra sono spesso liquidati come antipatriottici o peggio, ma gli intransigenti che prolungano inutilmente una guerra possono alla fine fare più danni alla nazione che pretendono di difendere. Mi chiedo se c’è una traduzione russa disponibile a Mosca. Applicato all’Ucraina, un’implicazione preoccupante è che un leader che inizia una guerra senza successo potrebbe essere riluttante o incapace di ammettere di aver sbagliato e portarla a termine. Se è così, poi la fine dei combattimenti arriva solo quando emergono nuovi leader che non sono legati alla decisione iniziale per la guerra.
Ma c’è un altro problema: gli autocrati che affrontano la sconfitta e il cambio di regime possono essere tentati di ” giocare per la risurrezione “. I leader democratici che presiedono alle debacle della politica estera possono essere costretti a lasciare l’incarico alle prossime elezioni, ma raramente, se non mai, rischiano la reclusione o peggio per i loro errori o crimini. Gli autocrati, al contrario, non hanno una via d’uscita facile, soprattutto in un mondo in cui hanno motivo di temere il perseguimento penale del dopoguerra per crimini di guerra. Se stanno perdendo, quindi, hanno un incentivo a combattere o intensificare anche di fronte a probabilità schiaccianti, nella speranza di un miracolo che invertirà le loro fortune e risparmierà loro la cacciata, la prigionia o la morte. A volte questo tipo di scommessa dà i suoi frutti (es. Bashar al-Assad), a volte no (es. Adolf Hitler, Muammar al-Gheddafi), ma l’incentivo a continuare a raddoppiare nella speranza di un miracolo può mettere fine a una guerra ancora più difficile di quanto potrebbe essere.
Queste intuizioni ci richiamano ad essere molto, molto attenti a ciò che desideriamo. Il desiderio di punire e persino umiliare Putin è comprensibile, ed è allettante vedere la sua cacciata come una soluzione facile e veloce per l’intero terribile disastro. Ma mettere in un angolo il leader autocratico di uno stato dotato di armi nucleari sarebbe estremamente pericoloso, non importa quanto atroci possano essere state le sue azioni precedenti. Solo per questo motivo, coloro che in Occidente chiedono l’assassinio di Putin o che hanno affermato pubblicamente che i russi comuni dovrebbero essere ritenuti responsabili se non si sollevano e rovesciano Putin sono pericolosamente irresponsabili. Vale la pena ricordare il consiglio di Talleyrand: “Soprattutto, non troppo zelo”.
Sanzioni economiche
Chiunque cerchi di capire come andrà a finire, dovrebbe studiare anche la letteratura sulle sanzioni economiche . Da un lato, le sanzioni finanziarie imposte la scorsa settimana ricordano la straordinaria capacità dell’America di “ armare l’interdipendenza ”, soprattutto quando il Paese agisce di concerto con altre importanti potenze economiche. D’altra parte, una notevole quantità di studi seri mostra che le sanzioni economiche raramente costringono gli stati a cambiare rapidamente rotta. Il fallimento della campagna di “massima pressione” dell’amministrazione Trump contro l’Iran è un altro esempio lampante. Le élite al potere sono in genere isolate dalle conseguenze immediate delle sanzioni e Putin sapeva che le sanzioni sarebbero state imposte e credeva chiaramente che gli interessi geopolitici in gioco valessero il costo previsto. Potrebbe essere stato sorpreso e sconcertato dalla velocità e dalla portata della pressione economica, ma nessuno dovrebbe aspettarsi che Mosca inverta presto la rotta.
Questi esempi non fanno altro che graffiare la superficie di ciò che la borsa di studio IR contemporanea potrebbe contribuire alla nostra comprensione di questi eventi. Non ho menzionato l’enorme letteratura sulla deterrenza e la coercizione, un numero qualsiasi di opere importanti sulle dinamiche dell’escalation orizzontale e verticale , o le intuizioni che si potrebbero ricavare considerando gli elementi culturali (comprese le nozioni di mascolinità e in particolare il culto della personalità maschilista di Putin ”).
La conclusione è che la letteratura scientifica sulle relazioni internazionali ha molto da dire sulla situazione che stiamo affrontando. Sfortunatamente, è probabile che nessuno in una posizione di potere presti molta attenzione ad esso, anche quando accademici esperti offrono i loro pensieri nella sfera pubblica. Il tempo è la merce più scarsa in politica, specialmente durante una crisi, e Jake Sullivan, Antony Blinken e i loro numerosi subordinati non inizieranno a sfogliare i numeri arretrati della Sicurezza internazionale o del Journal of Conflict Resolution per trovare la roba buona.
Anche la guerra ha una sua logica e scatena forze politiche che tendono a soffocare voci alternative, anche in società in cui la libertà di parola e il dibattito aperto rimangono intatti. Poiché la posta in gioco è alta, in tempo di guerra i funzionari pubblici, i media e la cittadinanza dovrebbero impegnarsi al massimo per resistere agli stereotipi, pensare con freddezza e attenzione, evitare iperboli e cliché semplicistici e soprattutto rimanere aperti alla possibilità che possano sbagliarsi e che è necessaria una diversa linea di condotta. Una volta che i proiettili iniziano a volare, tuttavia, ciò che di solito si verifica è un restringimento della vista, una rapida discesa nei modi di pensiero manichei, l’emarginazione o la soppressione delle voci dissenzienti, l’abbandono delle sfumature e un’ostinata attenzione alla vittoria a tutti i costi. Questo processo sembra essere ben avviato all’interno della Russia di Putin, ma una forma più mite è evidente anche in Occidente . Tutto sommato, questa è una ricetta per peggiorare una situazione terribile.
Dinamiche simili ma in contesti diversi ed spesso opposti, da una parte emergenti, dall’altra declinanti. Buona lettura, Giuseppe Germinario
La vita quotidiana delle persone è inseparabile dall’economia della piattaforma: addetti alle consegne di cibo, autisti che salutano le auto online… Varie forme di lavoro a contratto derivate dall’economia della piattaforma vengono sempre più rispettate e riconosciute. Compresi posti di lavoro e imprenditorialità, l’economia della piattaforma sta rimodellando le nostre vite.
Negli ultimi anni, argomenti come “fornitori intrappolati negli algoritmi” hanno suscitato accese discussioni, l’economia della piattaforma ha attirato ancora una volta l’attenzione e le persone sono più preoccupate per la situazione dei gig worker. Pochi giorni fa, “Platform Economy: Innovation, Governance and Prosperity” è stato pubblicato dal Platform Economy Innovation and Governance Research Group dell’Università di Pechino e pubblicato da CITIC Press. Studiosi in diversi campi hanno discusso una serie di questioni importanti nell’economia delle piattaforme e hanno fornito soluzioni mirate e raccomandazioni politiche.
Che ruolo gioca l’economia della piattaforma nell’attuale contesto occupazionale? Quali sono le principali difficoltà che devono affrontare i gig worker?
Concentrandosi su questi temi, la mattina del 27 luglio, Li Lixing, membro del gruppo di ricerca sull’innovazione e la governance economica della piattaforma dell’Università di Pechino, professore presso il National Development Institute dell’Università di Pechino e caporedattore esecutivo della Cina Economic Quarterly International, l’edizione internazionale di “Economics” (trimestrale), è andata all’Observer Network e ha condiviso le sue opinioni.
Rete di osservatori: Buongiorno Professor Li, prima di tutto vorrei chiederle di parlarci dell’attuale contesto occupazionale. E quale ruolo gioca l’economia della piattaforma nel contesto attuale?
Lixing: OK. Penso che si possa dire sotto due aspetti: il primo aspetto è che l’attuale situazione macroeconomica non è molto positiva e la pressione occupazionale è molto alta. Più di 10 milioni di studenti universitari si sono laureati quest’anno e il tasso di disoccupazione tra i giovani è molto alto, un fenomeno che preoccupa molto l’intera società.
Il secondo contesto è il progresso della tecnologia digitale, che ha cambiato la natura di molti lavori. Ora molti lavori sono passati da offline a online; dal servizio di un’impresa o di un’azienda al servizio di più aziende e più aziende contemporaneamente; da lavori fissi a lavoro flessibile. Pertanto, c’è una tendenza ai lavori saltuari e alla flessibilità.
In questo processo, l’economia della piattaforma gioca un ruolo molto importante.
Una “piattaforma” è un’organizzazione tra un’impresa e un mercato. Un tempo era “mercato-impresa”, ma ora è “mercato-piattaforma-impresa”, con la piattaforma che sostituisce parzialmente i ruoli dell’impresa e del mercato . Collega consumatori, imprese, lavoratori e fornitori di servizi ausiliari e collega anche il mercato delle materie prime con il mercato del lavoro. Alcune piattaforme forniscono direttamente occupazione, come piattaforme online di car-hailing e da asporto; alcune piattaforme possono stimolare indirettamente l’occupazione, come piattaforme di e-commerce, piattaforme di trasmissione in diretta e piattaforme di crowdsourcing.
Per riassumere, l’economia della piattaforma è ora un punto di partenza importante per promuovere e stabilizzare l’occupazione.
Observer.com: Quale impatto avrà la forma occupazionale dei “gig worker” sulla struttura del nostro mercato del lavoro?
Li Lixing: Possiamo esaminare diverse statistiche.
Secondo il National Bureau of Statistics, entro la fine del 2021 ci sono 200 milioni di persone con un’occupazione flessibile in Cina; le statistiche dello State Information Center mostrano che ci sono circa 84 milioni di fornitori di servizi e circa 6,31 milioni di dipendenti di piattaforme nell’economia collaborativa cinese. Secondo il “Rapporto sullo sviluppo dell’occupazione flessibile” pubblicato dall’università, il 61% delle imprese cinesi utilizza un’occupazione flessibile e la scala dell’occupazione flessibile è di circa 100 milioni.
Nel 2020, ci sono circa 84 milioni di fornitori di servizi di sharing economy nel mio paese e circa 6,31 milioni di dipendenti nelle imprese con piattaforma
Fonte: Rapporto sullo sviluppo dell’economia condivisa in Cina (2021)
Le statistiche sono leggermente diverse perché non esiste ancora una misura chiara. Ma in breve, possiamo vedere che 100-200 milioni di persone ora utilizzano metodi di lavoro flessibili, il che è un grande cambiamento.
Ora il concetto di “lavoro flessibile” è relativamente ampio, include una varietà di situazioni e include anche alcuni “disoccupati” in senso tradizionale. Con così tante persone che lavorano in modo flessibile, è probabile che la percentuale continui ad aumentare e l’impatto sul mercato del lavoro è enorme.
Observer.com: avrà un impatto maggiore sul mercato del lavoro cinese rispetto ad altri paesi?
Li Lixing: Penso che questo sia generalmente il caso. Da un lato, la tecnologia digitale cinese sta progredendo molto rapidamente; dall’altro, la Cina ha una popolazione numerosa e le sue industrie sono principalmente ad alta intensità di manodopera, quindi l’occupazione sarà fortemente influenzata dall’economia delle piattaforme.
Una caratteristica importante dei paesi in via di sviluppo è che c’è molto del cosiddetto “lavoro informale”. In precedenza è stato affermato che l’occupazione informale verrà formalizzata con lo sviluppo dell’economia. Ma ora potrebbe non sembrare probabile. Dopo che l’economia di un paese è stata fortemente sviluppata, molti posti di lavoro continueranno ad adottare un approccio flessibile. In senso tradizionale, è probabile che in futuro il “lavoro informale” diventi la norma.
Se la Cina viene confrontata con altri paesi a basso reddito, il loro mercato del lavoro potrebbe essere maggiormente influenzato dal “lavoro a contratto”. Ma se viene confrontato con i paesi sviluppati, l’impatto su di noi è ovviamente più forte in profondità e in ampiezza.
Observer.com: Ci sono opinioni secondo cui la perdita dei posti di lavoro tradizionali, il calo della quota del reddito da lavoro, compreso l’allargamento del divario di reddito tra aree e regioni urbane e rurali… Questi problemi sono legati all’ascesa dell’economia delle piattaforme. Cosa ne pensi?
Li Lixing: Questi sono fenomeni molto importanti, non esclusivi della Cina, stanno accadendo in tutto il mondo. Penso che la relazione tra loro e l’ascesa dell’economia della piattaforma sia più una correlazione, non necessariamente una relazione causale. Potrebbero esserci ragioni più profonde dietro questo, che necessitano di ulteriori discussioni.
Non esiste un unico modo in cui funziona l’economia della piattaforma. Può anche ridurre le barriere all’occupazione, responsabilizzare i gruppi svantaggiati, aumentare i redditi di coloro che hanno redditi più bassi e promuovere ulteriormente la diversificazione dei consumatori. Tutto ciò è possibile per promuovere la giustizia sociale e la prosperità comune.
A mio avviso, la scomparsa dei lavori tradizionali è un tipico modo in cui il progresso tecnologico porta a “occupazioni ad alta efficienza in sostituzione di quelle a bassa efficienza”, così come l’auto sostituisce la carrozza, così l’automobilista sostituisce il cocchiere. Grazie alla tecnologia digitale, i posti di lavoro creati dall’economia della piattaforma sono generalmente più efficienti dei vecchi lavori che sostituiscono.
In senso economico, non c’è differenza tra “la riqualificazione industriale richiede nuovi posti di lavoro” e “le piattaforme coltivano abitudini di consumo e creano nuovi posti di lavoro”. A volte può sembrare “l’offerta crea domanda”, ma in sostanza l’innovazione soddisfa la domanda latente.
Le ragioni alla base del calo della quota del reddito da lavoro sono complesse: un motivo importante è considerato l’uso diffuso dei robot, causato anche dal progresso tecnologico, come l’allargamento del divario retributivo urbano-rurale e l’allargamento divari di reddito regionali, sono tutti fattori di agglomerato industriale e di sviluppo economico urbano, risultato inevitabile.
Observer.com: Alcuni giovani “preferirebbero consegnare il cibo piuttosto che andare a lavorare in fabbrica”. Che messaggio trasmette questo?
Li Lixing: Uno è il cambiamento nelle preferenze dei giovani. Preferiscono un modo di lavorare libero e flessibile, piuttosto che ripetere lo stesso lavoro su una catena di montaggio, anche se è più difficile. In secondo luogo, la lenta crescita dei salari di fabbrica li rende poco attraenti. Ciò riflette anche che la struttura industriale sta affrontando un miglioramento, così come la pressione dell’aumento dei costi di produzione nel mio paese, nonché la possibilità di trasferimento all’estero.
Observer.com: L’economia delle piattaforme è in piena espansione, quali cambiamenti ha apportato alle piccole, medie e micro imprese?
Li Lixing: l’economia della piattaforma può portare a importanti cambiamenti nella struttura organizzativa delle imprese.
Ad esempio, un’azienda può esternalizzare per assumere dipendenti, condurre attività di ricerca e sviluppo e gestire la catena di approvvigionamento, quindi invece di mantenere una forza lavoro fissa molto ampia, può assumere il reclutamento di gig, come nel caso del settore della ristorazione. molto tipico, e ora le aziende di catering fondamentalmente non hanno bisogno di creare i propri piatti da asporto.
Molte attività di ricerca e sviluppo e di gestione della catena di approvvigionamento sono ora sul cloud. I servizi cloud alla moda come “Software-as-a-Service” (Saas, Software-as-a-Service) possono coprire più piccole e medie imprese, rendendole piatte, e le “grandi imprese” possono anche diventare “piccole imprese” “.impresa”.
Questo è ciò che di solito chiamiamo la trasformazione digitale delle imprese. Sfide e opportunità coesistono.
L’economia della piattaforma: innovazione, governance e prosperità
Scritto dal Platform Economy Innovation and Governance Research Group dell’Università di Pechino; a cura di Huang Yiping
Editoria CITIC
Nel mondo del lavoro, una sfida importante è il cambiamento del rapporto di lavoro.
Si è rivelato essere un lavoro fisso, le imprese pagano la previdenza sociale per i dipendenti, i dipendenti servono solo questa impresa e c’è uno stato di lealtà e fiducia reciproche in essa. Ora ci sono vari metodi di lavoro come l’outsourcing e i lavori saltuari.Come mantenere la lealtà e la fiducia reciproca dei dipendenti, come fornire ai dipendenti sicurezza e vantaggi e come affrontare i problemi di formazione dei dipendenti potrebbero essere nuove sfide.
Observer Network: quale impatto avrà la serie di cambiamenti apportati dall’economia della piattaforma sulla nostra attuale imprenditorialità? Ridefinirà il panorama imprenditoriale cinese?
Li Lixing: il lavoro viene assunto da altri e avviare un’impresa è un lavoro autonomo. Si è scoperto che sembravano essere due estremi, ma ora molte piattaforme di lavoro si trovano tra i due e non sono più “né assunte da altri né assunte da te”.
Da un lato l’imprenditore non è più completamente alle dipendenze di altri, può servire una certa piattaforma, ma ha una forte autonomia, dall’altro molte cose si realizzano attraverso la piattaforma e la natura dell’imprenditorialità cambia a sua volta. .
Al giorno d’oggi, molte persone avviano un’attività in proprio. Non partono da zero per formare aziende, reclutare talenti, acquistare attrezzature e quindi avviare la produzione e l’attività. È più probabile che gli imprenditori si registrino sulla piattaforma per prendere ordini, utilizzino la piattaforma per reclutare lavoratori dispari e esternalizzare alcuni servizi attraverso la piattaforma… Molti sono un’imprenditorialità basata su piattaforma, che potrebbe richiedere un cambiamento nella definizione tradizionale di imprenditorialità.
Combinando imprenditorialità e occupazione, le forme occupazionali dei lavoratori formano una mappa molto ricca. Sotto l’azione dell’economia della piattaforma, questa mappa diventerà sempre più abbondante. Le persone possono scegliere un’occupazione a unità fissa, possono scegliere di avviare un’impresa in modo completo e indipendente, possono anche fare affidamento su piattaforme per avviare attività e possono anche fare affidamento su piattaforme per svolgere lavori saltuari… In breve, le scelte diventeranno più diversificate .
Observer.com: Su questa base, l’economia della piattaforma può svolgere un ruolo nella riduzione dei rischi imprenditoriali?
Li Lixing: Ci sono due importanti meccanismi coinvolti.
Nel primo aspetto, il rischio di avviare un’impresa in passato era molto alto: scegliere di avviare un’impresa significa rinunciare a ogni tipo di opportunità, e può andare in bancarotta dopo il fallimento. Ora, dopo il fallimento dell’avvio di un’impresa, gli imprenditori possono facilmente trovare un lavoro part-time e ottenere la sicurezza del reddito di base. Ad esempio, negli ultimi due anni dell’epidemia, molti ex imprenditori ora guidano auto-grandine online. La forma di gig work derivata dall’economia della piattaforma fornisce agli imprenditori una rete di sicurezza del reddito di base.
Da questo aspetto, l’economia della piattaforma può alleviare le preoccupazioni degli imprenditori e promuovere l’imprenditorialità. Certo, abbiamo anche parlato poco fa che molte persone potrebbero decidere di non avviare un’attività in proprio, ma affidarsi alla piattaforma per trovare un lavoro meno autonomo. Pertanto, l’impatto dell’economia della piattaforma sull’imprenditorialità richiede un’analisi specifica di questioni specifiche, che variano da settore a regione.
Observer.com: La forma di lavoro del “lavoro da concerto”, che è ciò che chiamiamo “lavoro su richiesta basato su applicazioni”, come autisti online, autisti da asporto e autisti. Questi lavoratori sono tra piattaforme e consumatori, tra algoritmi e natura umana, quali pensi siano le loro maggiori difficoltà?
Li Lixing: i lavoratori e i datori di lavoro avevano un rapporto contrattuale. I diritti, gli obblighi e i meccanismi di incentivazione di entrambe le parti sono generalmente relativamente chiari. Ma gli algoritmi sono spesso nascosti e alla fine sono apparse nella società frasi come “rider intrappolati dagli algoritmi” – i gig worker non capiscono gli algoritmi, ma per guadagnare di più devono seguire la progettazione degli algoritmi che entrano in funzione.
Gli algoritmi non hanno “natura umana” – possono essere stati progettati con una visione per migliorare l’efficienza, ma non sono sufficientemente flessibili. Gli algoritmi delle piattaforme di grandi dimensioni sono generalmente le risorse principali dell’azienda e di solito non apportano modifiche sostanziali. I gig worker intrappolati negli algoritmi, sono ignari del fatto che potrebbero essere oberati di lavoro o eccessivamente motivati : questo è un problema complesso e coinvolge anche questioni come l’etica degli algoritmi.
Da un punto di vista pratico, la più grande difficoltà per i lavoratori occasionali come i conducenti, i fattorini e gli autisti online è nell’ottenere vantaggi e garanzie. Ci sono ora più segnalazioni, come la difficoltà di chiedere un risarcimento dopo un incidente stradale di un pilota, la ragione essenziale alla base di ciò è il “cambiamento del rapporto di lavoro” di cui abbiamo parlato poco fa.
Per i lavoratori, il nostro paese utilizzava originariamente la “dicotomia del lavoro”, che corrisponde a una domanda del genere: sei un dipendente a tempo pieno o un fornitore di servizi indipendente? Il “lavoratore a tempo pieno” è un modello di occupazione basato su unità, che paga cinque assicurazioni sociali e un fondo per l’edilizia abitativa e fornisce servizi pubblici, compresa la formazione professionale attraverso il datore di lavoro.
Con lo sviluppo dell’economia della piattaforma, l’occupazione è diventata più flessibile e part-time e molte persone non hanno un’unità di lavoro fissa, il che significa che le tradizionali cinque assicurazioni e un fondo per la casa e i servizi pubblici statali, compresa la formazione, non sono disponibili ai lavoratori da goderne in modo equo. Lo riassumo così: il sistema di servizio pubblico unitario originario ha incontrato sfide fondamentali poste dalla nuova forma di impiego che non è unitaria.
Questa sfida può essere paragonata alla sfida al sistema dei servizi pubblici provocata dalla migrazione di centinaia di milioni di lavoratori migranti verso le città. I lavoratori migranti che entrano in città fanno fluttuare la popolazione. La registrazione del nucleo familiare e la residenza permanente della popolazione fluttuante sono separate. Con il sistema di servizio pubblico originale, puoi usufruire di servizi pubblici nell’area di registrazione del nucleo familiare, come il rimborso dell’assicurazione medica e la pensione nel tuo paese di origine… Ma potresti non essere in grado di goderne nella tua residenza permanente.
Forse questo può essere paragonato alla situazione attuale: nel contesto dell’economia delle piattaforme, il lavoro flessibile continua a svilupparsi, ma il sistema dei servizi pubblici è ancora per il momento basato sul lavoro fisso.
Quando il processo lavorativo diventa frammentato, le persone diventano multiruolo e il rapporto di lavoro non è più fisso, anche la modalità di gestione dovrebbe essere modificata di conseguenza per adattarsi a questa tendenza di flessibilità, frammentazione e frammentazione. A mio avviso, il sistema di servizio pubblico, come cinque assicurazioni sociali e un fondo per la casa e l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, dovrebbe subire alcune modifiche di conseguenza.
Rete di osservatori: puoi parlare delle tue proposte politiche?
Li Lixing: Stiamo parlando più di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro era originariamente inclusa nelle cinque assicurazioni sociali e in un fondo per gli alloggi, che non possono essere pagati separatamente. Il pagamento complessivo di cinque assicurazioni e un fondo per l’edilizia abitativa è molto alto, che può rappresentare il 30%-40% del costo del lavoro di un lavoratore.
Per i lavoratori dei concerti come i rider da asporto, ciò di cui hanno più urgente bisogno è un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Ora c’è una politica pilota e la cosa più urgente viene risolta prima: consentire ai lavoratori di pagare l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro separatamente nel Guangdong e in altri luoghi, in modo che i lavoratori della gig possano ottenere la protezione dagli infortuni sul lavoro in modo più economico. Questo è un buon progresso.
La provincia del Guangdong ha emesso un documento nel 2021 per chiarire che i dipendenti specifici che non hanno rapporti di lavoro non sono tenuti a partecipare a cinque assicurazioni sociali contemporaneamente. Possono partecipare all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro individualmente dai loro datori di lavoro in base al principio ” volontario”, e il loro personale assicurato ha diritto alle prestazioni assicurative contro gli infortuni sul lavoro secondo la normativa.
Allo stato attuale, le politiche esistenti hanno citato e incoraggiato le azioni pilota tra cui: attuazione del sistema del salario minimo e del sistema di garanzia di pagamento, miglioramento del sistema del riposo, attuazione del sistema di responsabilità in materia di salute e sicurezza sul lavoro, rafforzamento della protezione contro gli infortuni sul lavoro, revisione del cottimo e tasso di commissione, ecc. Inoltre, la città di Nanchang ha anche stabilito la prima unione economica del paese. Anche le associazioni del settore della piattaforma e i sindacati dei gig possono svolgere un ruolo attivo nella promozione dell’autodisciplina del settore e della negoziazione dei diritti del lavoro.
Suggerisco inoltre che possano essere stabiliti diversi livelli di protezione assicurativa e che i lavoratori possano scegliere di partecipare volontariamente. Allo stesso tempo, è possibile creare un conto di sicurezza personale completo, i lavori occasionali vengono pagati secondo l’ordine e i fondi del conto vengono utilizzati per pagare varie garanzie assicurative per fornire una migliore protezione ai gig-lavoratori.
A lungo termine, ciò potrebbe eventualmente comportare anche la questione dell’assicurazione pensionistica. L’assicurazione della dotazione riguarda le pensioni e i datori di lavoro e i dipendenti pagano le pensioni separatamente, che insieme rappresentano oltre il 20% del costo del lavoro. Con la tendenza al lavoro flessibile si pone la questione di “chi paga la pensione”, che potrebbe richiedere l’apertura di nuove strade.
Poiché ora stiamo parlando di conti personali, dobbiamo renderlo reale e rendere portatili e portabili i conti pensionistici personali delle persone. L’occupazione dei lavoratori è mobile e flessibile, non è solo per un’impresa specifica e potrebbe anche non essere nella stessa città. A tal fine, potrebbe essere necessario progettare alcuni sistemi contributivi assicurativi pensionistici più adatti a un’occupazione flessibile e mobile. Ad esempio, se puoi fare un’impresa, accettare un lavoro e la retribuzione corrispondente può riflettere quale parte viene utilizzata per pagare la pensione? Questa potrebbe essere una direzione per le future riforme.
(Breve introduzione dell’intervistato: Li Lixing, professoressa di economia alla National School of Development dell’Università di Pechino, direttrice del China Public Finance Research Center dell’Università di Pechino, ed executive editor di China Economic Quarterly International, l’edizione internazionale di “Economia ” (trimestrale). Gli interessi di ricerca comprendono l’economia dello sviluppo, il capitale umano, la finanza pubblica, l’economia politica, l’economia urbana, ecc.)
Non solo i tracciati energetici, non solo le dinamiche geoeconomiche, è tutto l’asse geopolitico che si sta spostando velocemente ad est. La Pelosi, nel suo piccolo, con il suo viaggio a Taiwan è riuscita a dare una bella spinta a questa dinamica. Ha sgonfiato la prosopopea della dirigenza cinese, ha ottenuto una effimera vittoria personale ed un notevole vantaggio economico legato ai giochi speculativi del coniuge sul mercato dei semiconduttori, ma ha risvegliato la cautela e la sagacia tattica della tradizione confuciana. Ha rivelato definitivamente il carattere decadente dello scontro politico interno alle fazioni dell’amministrazione Biden, verso una deriva sempre più legata agli interessi predatori immediati cui si cerca di piegare le dinamiche geopolitiche, piuttosto che alla loro sussunzione agli interessi geopolitici. Sino a poche settimane fa la dirigenza cinese ha resistito alla tentazione propria e alle sollecitazioni russe di serrare una alleanza politica piuttosto che perseguire una impostazione multilaterale. Non sarà più così.
Geo_monitor
@colonelhomsi
Chinese Foreign Ministry called on Russia to unite for the sake of security. Russia and China must guide the countries of the Eurasian region towards achieving real security that is common, comprehensive, common and sustainable..
Lingua originale: inglese. Traduzione di
.
Il ministero degli Esteri cinese ha invitato la Russia a unirsi per motivi di sicurezza. Russia e Cina devono guidare i paesi della regione eurasiatica verso il raggiungimento di una sicurezza reale che sia comune, globale, comune e sostenibile..
Buona lettura, Giuseppe Germinario
Karin Kneisslè un’analista energetica e autrice di 14 libri e molti articoli su argomenti legati all’energia. Dal 1995 insegna diritto internazionale, geopolitica ed economia dell’energia in diverse università.
Dal 2017 al 2019, Kneissl è stato ministro degli affari esteri austriaco. Nel giugno 2021 è stata eletta direttrice indipendente del consiglio di Rosneft ma si è dimessa il 20 maggio 2022.
Kneissl ha studiato giurisprudenza e arabo all’Università di Vienna dal 1983 al 1987. Nel 1988 ha ottenuto una borsa di studio presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, dove ha svolto la sua tesi di ricerca, e in seguito ha studiato ad Amman.
Successivamente, ha trascorso un anno come borsista Fulbright presso il Center for Contemporary Arab Studies della Georgetown University di Washington, DC. Nel 1992 si diploma all’École Nationale d’Administration (ENA) di Parigi.
Kneissl è entrato a far parte del Ministero degli Affari Esteri austriaco nel 1990 e ha prestato servizio a Parigi e Madrid, oltre che nello studio legale.
Ha lasciato il servizio diplomatico nell’ottobre 1998 ed è diventata analista freelance.
Quella che segue è la prima puntata di un’intervista in due parti con Karin Kneissl. Per leggere la Parte 2, clicca qui .
Adriel Kasonta: Secondo il primo ministro ungherese Viktor Orbán, l’Unione europea non solo si è sparata un colpo al piede quando si è trattato di sanzionare la Russia, “ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e sta ansimando per aria.” Si è trattato davvero di un errore di calcolo di Bruxelles e, in caso affermativo, cosa c’era dietro?
Karin Kneissl: Da circa 20 anni tengo conferenze sul tema dell’energia, con particolare attenzione al petrolio e al gas. E l’ho fatto anche per un pubblico, come mi piace chiamare i decisori, non solo i decisori.
Mi piace questa distinzione molto interessante che la lingua inglese ha tra chi prende le decisioni e chi prende le decisioni perché, alla fine, i politici e i commissari dipendono dal loro personale per plasmare quelle decisioni. E ho avuto la possibilità di tenere lezioni accademiche o nei cosiddetti corsi di leadership strategica che hai.
Quindi per circa due decenni, l’ho fatto a livello regolare. E il mio pubblico non era solo giovani studenti e giovani colleghi poco più che ventenni, ma erano anche funzionari pubblici. E che fosse nei gabinetti del governo nazionale oa livello europeo, sono stato davvero molto spesso incuriosito e irritato dalla totale assenza di avere un quadro più ampio di ciò che dovrebbe essere la politica energetica.
Per 20 anni siamo stati tutti bloccati nella politica climatica. Abbiamo anche rinunciato all’idea di ministro dell’energia. Di conseguenza, anche il ministro dell’Economia [indossava] il cappello del ministro dell’Energia, il che è sbagliato, perché l’energia in quanto tale a livello nazionale è un argomento altamente frammentato.
Il ruolo è spesso suddiviso tra i ministeri dell’ambiente, delle infrastrutture e degli affari esteri. Spesso alcune competenze sono con l’ufficio del primo ministro. La competenza in quanto tale non viene presa sul serio. Quindi potresti pensare di avere persone che dovrebbero conoscere meglio dopo le crisi del 2006 e del 2009 perché c’erano già crisi in termini di sicurezza nell’approvvigionamento e convenienza dell’energia. Ma no, non avevano imparato; non avevano davvero studiato il quadro più ampio.
Quindi, all’inizio dell’anno, c’era una sorta di convinzione tra molti decisori che si può uscire sul mercato, volare nel Golfo, volare da qualche altra parte e firmare un contratto e importare, che sia gas o petrolio, alcuni settimane dopo. Ma anche se lavoravi nel settore tessile e volessi acquistare lino speciale o cotone speciale, questi tipi di merci non sono disponibili in grandi volumi sul mercato perché i contratti vengono stipulati almeno per un anno.
E nel settore dell’energia, dobbiamo calcolare in periodi molto più lunghi, in intervalli molto più lunghi. E non si tratta solo di acquistare la merce, ma anche di trasportarla. Hai le navi? Hai i terminali?
E non era una conoscenza segreta interna. Era risaputo che le materie prime provenienti dalla Federazione Russa (carbone, petrolio, gas, uranio o altri [materiali] rari di cui hai bisogno anche per il settore delle rinnovabili) non potevano essere facilmente sostituite. Ci vuole un po’. Nel caso del gas, occorrono dai tre ai cinque anni per sostituirlo.
C’è questo titolo del libro che mi piace, ha 20 anni, e si chiama La tirannia della comunicazione di Ignacio Ramonet. È stato l’ex direttore di Le Monde diplomatique e ha pubblicato il suo libro alla fine degli anni ’90. E questo titolo è molto eloquente. È passato molto tempo prima che i social network venissero sviluppati. Tuttavia, come giornalista, descrive il declino della vera informazione fatto dai giornalisti e l’ascesa della comunicazione diretta e distribuita da aziende o uffici governativi.
E ricordo da giovane funzionario, giovane diplomatico che lavorava al Ministero degli Affari Esteri austriaco, alla fine degli anni ’80, che la persona più importante nel gabinetto del ministro degli Esteri non era più capo di gabinetto. Non era il suo consigliere per la politica estera, no. Era l’addetto stampa.
E questo è iniziato nel 1988, e io stesso ho fatto parte del governo in cui tutto riguardava la comunicazione, e mi sono astenuto da questo. Avevo uno stile diverso che non piaceva ai media austriaci e ad altri perché non lavoravo per la stampa. Volevo risolvere i problemi.
Non ero interessato ai sondaggi. Mi interessava sapere come avremmo potuto trovare una soluzione a qualsiasi livello, che si trattasse di una causa consolare da risolvere o di cercare di migliorare le relazioni tra Turchia e Austria. Voglio dire, questo non è qualcosa che distribuisci solo dalle persone della comunicazione, e oggi siamo in un mondo in cui la politica attuale è sostituita dalla comunicazione.
Le agenzie di comunicazione hanno preso il sopravvento sul campo politico. Quindi si tratta di fare uno spettacolo. Vorrei fare un esempio concreto del ministro dell’economia tedesco, che è anche ministro dell’energia, il vicecancelliere [Robert] Habeck, in viaggio a marzo in Qatar, ad esempio, e in altri paesi del Golfo. I media, il suo ufficio e i suoi addetti alla comunicazione lo presentavano come se la cosa fosse stata chiusa e realizzata.
Ma veramente? Il signor Habeck è tornato con tonnellate di metri cubi di GNL [gas naturale liquefatto] nel suo bagaglio? Quindi c’è questa mancanza di sfumature che c’è una differenza tra viaggiare lì e dire che siamo interessati a diversificare il nostro portafoglio di importazioni di GNL del Qatar e ottenere effettivamente il GNL.
E non devi essere un vero esperto nel campo dell’energia per sapere che i loro clienti esistenti nell’est hanno prenotato il GNL e abbiamo assistito alla crisi del gas tra aprile e novembre 2021 che era già lì. Non è iniziato il 24 febbraio di quest’anno.
L’anno scorso, le navi GNL del Qatar e del Nord America e quelle di Rotterdam e di altri porti europei sono andate a est, perché i clienti asiatici hanno semplicemente pagato un prezzo migliore.
E questo ha a che fare con questo eurocentrismo profondamente radicato. Crediamo di essere così grandi che nessuno può fare a meno di noi. Paghiamo il prezzo migliore, quindi dobbiamo ottenere i volumi maggiori, il che non ha senso. È stata una sciocchezza per almeno due decenni. Ma è così spiacevole osservare che questa ignoranza e arroganza (è una combinazione pericolosa) persiste.
AK: Sei noto per aver affermato che “il nome del gioco oggi è [mobilità a prezzi accessibili e] energia a prezzi accessibili”. Mentre parliamo, il prezzo del gas in Europa ha superato per la prima volta dall’inizio di marzo i 2.000 dollari USA per 1.000 metri cubi. Credi che il Vecchio Continente potrebbe presto affrontare un’ondata di disordini sociali che avrà un impatto significativo sui suoi vari scenari politici?
KK: Sì, la questione sociale . Sapete, c’erano filosofi francesi già nel 18° secolo, ma poi soprattutto nel 19° secolo, quando la questione sociale divenne lo slancio scatenante per tutte le rivoluzioni che abbiamo visto durante quest’ultimo. Che fosse il 1830, 1845, La Commune nel 1871, lo chiami, ce l’hai.
Per tutto il XIX secolo si è sempre trattato di questioni sociali e gli imperi sono crollati perché avevano sottovalutato la questione sociale. Semplicemente non l’avevano capito.
Qualcuno che l’aveva capito e che era un uomo del 19° secolo era [Otto von] Bismarck. Voglio dire, Bismarck è stato colui che ha introdotto un sistema di previdenza sociale molto moderno, non per beneficenza. Non era l’empatia a guidarlo. Era la consapevolezza che se non fai qualcosa al riguardo, rischi la rivoluzione. Questa è la consapevolezza che ad alcune persone oggi manca.
Come ho scritto nel mio libro Die Mobilitätswende (“Mobilità e transizione”), le rivoluzioni di oggi non riguardano “dacci il nostro pane quotidiano”. Si tratta di “darci la nostra auto quotidiana”, “darci la nostra energia quotidiana” e “darci la nostra benzina quotidiana a prezzi accessibili”. E lo abbiamo visto con il movimento dei Gilet Gialli nell’autunno del 2018, che ha innescato un’enorme incertezza per il governo francese.
E abbiamo anche visto, tra l’altro, che i francesi sono stati i primi ad agire durante lo scorso anno per affrontare in qualche modo le tariffe per mettere tutti i tipi di livellamento perché sentono ancora la pressione che hanno ricevuto dal movimento dei Gilet Gialli, che è durato diversi mesi .
E ricordo un dibattito che ho avuto in TV lo scorso autunno su questa domanda. Ero ancora un po’ riluttante allora perché pensavo che l’aumento dei prezzi in tandem con l’inflazione sarebbe stato comunque gestibile dal cittadino medio. Ma cosa è successo e cosa accadrà ancora adesso, vista l’attuale cattiva gestione (è una crisi casalinga, in particolare di tedeschi e austriaci), non escluderei nulla.
E non sono il primo a dirlo, lo sai. Ci sono state altre persone che sono molto più sotto controllo che continuano a dirlo. È logica.
Quello che temo di più come essere umano è il seguente: dico sempre che puoi incanalare sentimenti di rabbia attraverso un’elezione. Potrebbe esserci una nuova festa, una specie di movimento che assorbe questa rabbia. Nel caso della Germania, questa rabbia è già stata assorbita dalle frange di destra e di sinistra. È lì.
In Germania li chiamiamo Wutbürger (“cittadini arrabbiati”). E questo movimento di Wutbürger è iniziato con la crisi finanziaria del 2008-2009. In Germania si è rispecchiato molto nell’enorme sforzo per salvare l’euro (con grande angoscia del contribuente medio tedesco), la spaccatura nord-sud che si poteva già sentire nel 2010-11. E quello è stato il momento in cui AfD [Alternativa per la Germania] sulla fascia destra e Die Linke sulla fascia sinistra sono saliti.
Ma la rabbia è una cosa. Rabbia che puoi sempre canalizzare. Ciò che non puoi più canalizzare e affrontare – e lo dico da persona che ha sempre cercato di capire la natura umana, perché non siamo algoritmi – è la disperazione. E secondo la mia valutazione, siamo già in tempi di disperazione. Le persone sono disperate.
La rilevanza dell’Asia cresce a spese dell’Europa
A conclusione di un’intervista in due parti, un analista energetico prevede le crescenti fortune dell’Asia non OCSE
Questa è la seconda puntata di un’intervista in due parti con Karin Kneissl , analista dell’energia ed ex ministro degli Affari esteri austriaco. Nel giugno 2021 è stata eletta direttrice indipendente del consiglio di Rosneft e si è dimessa il 20 maggio 2022.
Per una panoramica più completa della sua esperienza e delle sue credenziali, vedere la Parte 1 dell’intervista.
Adriel Kasonta: Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia fornite nel World Energy Outlook nel 2017, il gas naturale svolgerà un ruolo importante in futuro come fonte di energia. Entro il 2040, il consumo di gas sarà del 40% superiore a quello attuale. Inoltre, la popolazione terrestre passerà da 7,4 miliardi a 9 miliardi a quel punto.
Con una correlazione tra domanda di energia e crescita demografica di due terzi in Asia e di un terzo in Medio Oriente, America Latina e Africa, quali sono le prospettive (a breve e lungo termine) dell’Europa?
Karin Kneissl: Bene, l’Europa sta diventando sempre più irrilevante. Demograficamente parlando e, purtroppo, anche politicamente irrilevante. E attualmente sto scrivendo un libro dal titolo provvisorio Un Requiem per l’Europa , perché l’Europa in cui sono cresciuto e l’Europa a cui mi ero dedicato ha cessato di esistere.
Ma tornare a fatti e cifre, consumo di gas e sviluppi demografici riguarda l’Asia non OCSE [Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico]. Qui è dove sta suonando la musica. Non è il Giappone, dove negli ultimi 15 anni abbiamo usato più pannolini per gli anziani che per la popolazione dei bambini.
Questo è molto significativo. È l’Asia non OCSE e il mondo non OCSE dove c’è un’attività demografica e dove ci sarà anche domanda, perché ci sarà una sorta di nuova classe media, qualunque cosa chiameremo classe media in futuro. Non sarà più la definizione che abbiamo studiato alcuni decenni fa, ma è lì, e non è all’interno dell’Europa dell’UE, ma al di fuori dell’Europa dell’UE.
L’energia è una competenza frammentata ma i nostri decisori non hanno compreso appieno di non avere il monopolio su questo argomento. Attualmente, non è solo la Presidenza del Consiglio contro il Ministero dell’Ambiente contro il Ministero dell’Economia. Comprende società semi-statali, società rinazionalizzate (come EDF in Francia), società seminazionalizzate e mercati azionari privati quotati in borsa. Quindi è bric-à-brac . È un bel circo con cui devi fare i conti quando vuoi sviluppare una strategia energetica coerente.
AK: Molti sostengono che sia stato un errore per l’Europa diventare dipendente dalla Russia quando si tratta di gas e petrolio. La mia domanda è, qual è l’alternativa, se esiste?
KK: Sicuramente, e ci sono stati degli sforzi in passato. Diversi [paesi], austriaci, tedeschi e italiani, guardavano all’Iran da almeno 25 anni, se non di più. E c’è stato un periodo tra il 2000 e il 2005 in cui [Mohammad] Khatami era presidente, e c’erano progetti come Nabucco (personalmente non mi sono mai fidato di questo progetto) che sono rimasti solo come un progetto. Ma ci sono stati milioni di investimenti e strutture sviluppate per aggirare la Russia.
Ed è stato affermato molto chiaramente. Ad esempio, questo famoso progetto Nabucco, che è rimasto un progetto per 15 anni, non è mai riuscito a ottenere un solo contratto di esplorazione, ma [c’era] molto marketing attorno ad esso. È stato anche ampiamente commercializzato dalla Commissione europea perché esisteva già un approccio molto irrazionale nei confronti della Russia. Non è venuto fuori dal nulla.
Questo è un argomento enorme. Ho osservato con grande stupore quanto siano irrazionali i rapporti. E questo è iniziato molto prima del 2014 o quest’anno. Quindi c’era l’Iran all’ordine del giorno, ma poi sono arrivate Ahmadinejad e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 2007-2008, che hanno cacciato l’Iran da SWIFT.
E quando l’accordo nucleare JCPOA [Joint Comprehensive Plan of Action] è stato concluso, in molte capitali dell’UE sono tornate grandi aspettative. Tutti correvano al mercato energetico iraniano: francesi, italiani e, naturalmente, tedeschi. E dopo un anno si sono arresi perché tutti si sono resi conto che la pressione degli Stati Uniti era troppo intensa; anche se le sanzioni del Consiglio di sicurezza sono state revocate, c’erano ancora sanzioni statunitensi. Quindi tutti si stavano ritirando.
E poi, a maggio 2018, il JCPOA è stato in qualche modo distrutto dagli Stati Uniti. Ora stanno cercando di riavviare il JCPOA, ma non credo che ciò accadrà.
Sono cinque anni che non vado in Iran. Tuttavia, direi dalla mia lontana osservazione, anche se ora essendo in Libano, sono un po’ più vicino, e spero di andarci, penso che gli iraniani siano in una situazione molto migliore oggi. Hanno più libertà di movimento. Le loro ali non sono più tagliate come lo erano sette anni fa. Ora hanno un’alleanza strategica con la Cina. Le sanzioni che esistono, nessuno le mette in atto. Stanno esportando tutto ciò che possono esportare.
Ciò di cui hanno bisogno, ovviamente, è una tecnologia per nuovi investimenti. La mia [ipotesi plausibile] sarebbe che non apriranno molto le porte per dire: “Sì, per favore, Germania, vieni, colleghiamoci al punto in cui ci siamo fermati 15 anni fa in termini di realizzazione di una sorta di progetti infrastrutturali, GNL in Europa”, ecc. Non credo che questo accadrà, perché non c’è fiducia. C’era poca fiducia in precedenza, ma la fiducia è completamente scomparsa negli ultimi 15 anni dal punto di vista iraniano.
E tutti gli iraniani sanno che, come dico sempre, “oleodotti e compagnie aeree si stanno spostando verso est”. E l’Iran non è solo la vecchia potenza del Golfo Persico. È anche una potenza dell’Asia centrale, lo è sempre stata, ed è una potenza del bacino del Caspio. Quindi guarda tanto a est, in particolare all’India, al Pakistan e all’Afghanistan, ovviamente, quanto guarda nel Mediterraneo al Libano, dove attualmente vivo.
Ma i suoi veri interessi, ovviamente, sono nel Golfo Persico e nell’Asia centrale. È troppo presto per dirlo, ma la mia sensazione istintiva è che non solo l’Iran, ma anche le petromonarchie sunnite arabe, come a volte vengono chiamate, non saranno facilmente attirate in una nuova partnership con alcun consorzio dell’UE. Non credo. E questo è [per] ragioni storiche.
Quindi c’è la Russia, e il suo gas non può essere sostituito così facilmente. C’era anche la Libia, ovviamente. Prendiamo un’azienda austriaca come OMV. Aveva il 25% del suo portafoglio di petrolio e gas in Libia. Ma poi è arrivata la meravigliosa operazione di intervento umanitario guidata dalla Francia, che si è rapidamente trasformata in un cambio di regime nel marzo 2011. Quindi la Libia avrebbe potuto essere un fornitore di gas ideale perché i giacimenti di gas libici sono relativamente inutilizzati e molto vicini all’Europa. Quindi questa è un’altra cosa.
E molte persone ora sognano il Mediterraneo orientale: il bacino del Levante. Il problema qui è la linea di demarcazione marittima. In altre parole, chi ottiene cosa? C’è Israele, Cipro, Turchia, Libano e Palestina. C’è un pantano sul diritto del mare, e pochissimi qui applicano davvero la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Invece, tutti fanno le loro piccole cose in termini di accordi bilaterali.
E onestamente, se fossi un’azienda a cui fosse chiesto di fare le perforazioni, verificherei prima di tutto se ho qualche altro progetto un po’ meno complicato da fare, perché questo è costoso ed è politicamente complesso. E soprattutto, ora abbiamo questi prezzi elevati.
Ma sappiamo che la recessione è con noi e non si fermerà a Natale come regalo. Sarà con noi almeno per l’anno 2023. E quando avrai una recessione così drammatica in tandem con l’inflazione, prima o poi ci sarà un crollo dei prezzi delle materie prime. Non credo che torneranno dove erano forse all’inizio del 2021 a causa delle linee di rifornimento vulnerabili e del conflitto in Ucraina.
Ogni volta che combatti, ovviamente, petrolio e gas rimangono alti. Ma fare investimenti ora e scoprire che tra tre anni ci si trova di fronte a un altro livello di prezzo non è facile da gestire per le aziende che subiscono un’enorme pressione da parte dei loro azionisti e un sistema di sanzioni imprevedibile.
Prima di quest’anno avevi già bisogno di enormi studi legali internazionali che ti guidassero attraverso ogni telefonata che faresti per dirti se ti è permesso o meno fare questa telefonata a causa di sanzioni contro chiunque.
AK: Come sappiamo, la Russia è da tempo impegnata, tra le altre cose, in un perno energetico verso l’Asia, con Mosca e Pechino attualmente nelle fasi finali della costruzione del primo gasdotto in grado di inviare gas dalla Siberia a Shanghai. Non sembra che Mosca sarà isolata in tempi brevi, per quanto riguarda la ricerca di nuovi mercati per la sua energia .
Mi sembra anche che l’Europa abbia bisogno della Russia più di quanto la Russia abbia bisogno dell’Europa. Se ho ragione, è davvero nell’interesse del Vecchio Continente trattare Mosca come un nemico e spingerla ulteriormente nelle braccia di Pechino?
KK: La geografia è qualcosa che non puoi mai cambiare. E il continente europeo è molto difficile da definire perché non sappiamo dove finisce o dove inizia. C’è la Gran Bretagna e le Azzorre. Sono una persona mediterranea e per me il Mediterraneo è il centro dell’eredità e del patrimonio europeo. Quindi, se dipendesse da me, porterei tutti i paesi mediterranei in qualcosa di europeo.
Ma stiamo decisamente sottovalutando il trend generale significativo. E quando ho servito come ministro degli affari esteri [austriaco], ero irritato da questa assenza di un vero pensiero geopolitico tra i miei colleghi. E anche se non hanno capacità di pensiero geopolitico, almeno dovrebbero avere qualcuno nel loro staff che abbia questa comprensione. Ma non c’è, ed è un comportamento ingenuo.
E ora si trasforma in una situazione molto pericolosa, perché abbiamo un completo disprezzo per la realtà, per la realtà geografica, per una realtà mercantile, per il concetto di base della diplomazia.
Nel 2020 ho pubblicato un libro intitolato Diplomatie Macht Geschichte , che in tedesco è un gioco di parole perché dice, da un lato, “la diplomazia fa la storia”, ma macht significa anche “potere”, quindi, dall’altro, “storia del potere della diplomazia”.
Ed è un libro enorme. L’ho scritto come libro di testo per studenti universitari. Ma puoi riassumere queste 500 pagine in una frase e dire: “Diplomazia equivale a mantenere i canali di comunicazione contro ogni previsione in ogni circostanza”. In altre parole, “Continuate a parlarvi in ogni circostanza”. E gli unici che attualmente esercitano la diplomazia sono i membri del governo turco.
AK: Come disse notoriamente Otto von Bismarck, “L’unica costante in politica estera è la geografia”. A questo proposito, quale dovrebbe essere la ragion d’essere dell’Europa in futuro? È la continuazione di un atlantismo in gran parte fallito, o forse qualcos’altro?
KK: Per quanto riguarda la ragion d’essere dell’Europa, non dimentichiamo che c’è stato un buon periodo di prosperità quando il continente è stato costruito da piccole entità. Sia che si risalga ai tempi delle città-stato greche ( polis ) che erano in forte competizione tra loro, sia che si vada alla fine del 18° secolo e al Sacro Romano Impero della nazione tedesca (profondamente frammentato a livello territoriale ), questi sono esempi di quando l’Europa era fiorente.
Ogni piccolo sovrano voleva avere i migliori inventori, le migliori università e i migliori insegnanti. Quindi l’Europa era tutta incentrata sulla concorrenza e le menti più brillanti potevano lavorare con questo sovrano e, se avessero avuto un malinteso, sarebbero andate da un altro sovrano.
C’erano molte piccole entità abbastanza frammentate, e questa piccolezza era un vantaggio per l’Europa perché creava concorrenza e un’enorme quantità di università. E questo è ciò che ha fatto l’Europa. e l’Europa dovrebbe tornare ad essere un luogo di pluralismo e di libertà (cosa che non è più).
Ogni attività umana, anche la più nobile, ogni tecnologia, anche la più innovativa e promettente, hanno un lato oscuro che si dovrebbe considerare nel promuoverle. Da qui la necessaria cautela e gradualità nelle politiche di adozione. Proprio quello che sta mancando ai catastrofisti ambientali, agli ecologisti dogmatici, alla Commissione Europea, nota organizzazione lobbistica, che ne è diventata la paladina indefessa e la fervida sacerdotessa. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Il 28 febbraio, il vettore automobilistico merci FELICITY-ACE caricato con 4108 auto dei marchi del Gruppo VW ha preso fuoco mentre stava per consegnarle negli Stati Uniti.
Questo incendio ha preso piede tra le 3000 auto elettriche; è affondato il 1 ° marzo a una profondità di 3000 m nell’Atlantico, al largo delle Azzorre!
Ne avete sentito parlare? No? Solo l’anatra incatenata ha osato dirlo!
L’incendio è dichiarato il 16febbraio2022 nelle batterie agli ioni di litio dei veicoli.
Le Canard Enchaîné, sotto la penna di Jean-Luc Porquet, pubblica un articolo al vetriolo sull’assurdità delle direzioni ecologiche in cui la Francia si è imbarcata.
In linea di vista, l’auto elettrica, dovrebbe essere la soluzione del futuro per salvare il pianeta in pericolo. Ci viene costantemente detto.
A tal fine, la Francia si precipitò a capofitto nel tutto elettrico, ma senza alcun discernimento. I nostri leader hanno ordinato alle case automobilistiche di scommettere tutto sull’elettrico.
Ma cosa significa questo?
In primo luogo, l’installazione di decine di migliaia di stazioni di ricarica lungo le nostre strade, perché i veicoli più efficienti al momento non possono rivendicare un’autonomia superiore a 500 km. E ancora senza fare uso di fari, riscaldamento, tergicristalli, radio, sbrinamento o aria condizionata, e senza superare i 90 km / h … altrimenti l’autonomia scende a 200/250 km.
LE BATTERIE DELLE AUTO ELETTRICHE SONO PESANTI E ALTAMENTE INQUINANTI
Quindi si tratta di progettare batterie in grado di immagazzinare quell’energia.
Allo stato attuale, sono molto pesanti, molto costosi e imbottiti di metalli rari. Ciò rende questi veicoli dal 40 al 60% più costosi dei nostri buoni vecchi motori diesel e benzina.
In quella della Tesla Model S ad esempio, batteria da 600 kg, non ci sono meno di 16 kg di nichel.
Tuttavia, il nichel è piuttosto raro sulla nostra terra. Questo fa sì che il capo di Tesla dica alla Francia che “il collo di bottiglia della transizione energetica sarà sul nichel“. Il nichel è molto difficile da trovare. Devi andare a prenderlo in Indonesia o Nuova Caledonia e la sua estrazione è una vera seccatura perché non si trova mai nel suo stato puro.
In Caledonia, il nichel è grattugiato a livello del suolo, non ci sono più alberi.
Nei minerali, come il ferro che il colore rosso mostra a sinistra della foto, il nichel esiste solo in proporzioni molto piccole. Pertanto, è necessario scavare e scavare di nuovo, macinare, schermare, idrociclonico per ottenere un tonnellaggio proprio all’altezza delle esigenze. Questo porta a montagne colossali di residui che vengono scaricati la maggior parte del tempo in mare!
Ma non importa quale sia la biodiversità per i Khmer Verdi che giurano sulla “mobilità verde”, giustifica tutto l’inquinamento.
C’è anche il litio.
Ci vogliono 15 kg per batteria (Tesla Model S). Questo proviene dagli altopiani delle Ande, principalmente in Bolivia. Per estrarlo, viene pompato sotto i salars (laghi salati secchi) che porta ad una migrazione di acqua dolce verso le profondità. Un disastro ecologico per i nativi che già soffrono per la mancanza di acqua.
E poi c’è il cobalto: 10 kg per batteria che otterremo in Congo. E lì, è il lavoro dei bambini che scavano a mani nude nelle miniere artigianali per soli 2 dollari al giorno (Les Échos del 23/09/2020).
I bambini hanno tra gli 8 e i 16 anni e lavorano dieci ore al giorno. Sonostati denutriti e molti si stanno ammalando.
Infastidisce un po ‘le nostre case automobilistiche elettriche, tuttavia vogliono a tutti i costi raggiungere la Cina, che è leader in questo settore.
Quindi, il lavoro minorile, “gli ambientalisti a cui non importa” come direbbe Macron.
Per finire, le batterie sono terribilmente pesanti (1/4 del peso della Tesla Model S, 2,2 tonnellate, la Model X pesa 2,6 tonnellate, con una batteria da 600 kg), quindi è necessario alleggerire il veicolo il più possibile. Vengono quindi realizzati corpi in alluminio la cui estrazione genera fanghi rossi, rifiuti insolubili dal trattamento dell’allumina con soda e che sono composti da diversi metalli pesanti come arsenico, ferro, mercurio, silice e titanio, che vengono anche scaricati in mare a dispetto dell’ambiente, come a Gardanne-Bouches-du-Rhône.
LE AUTO ELETTRICHE SI ACCENDONO SPONTANEAMENTE
Oltre al loro peso, generando un elevato consumo di kilowatt, il loro costo e l’elevato inquinamento generato dalla loro fabbricazione, le auto elettriche sono pericolose. Si accendono spontaneamente da determinate temperature esterne, il che giustifica il loro divieto nella maggior parte dei parcheggi sotterranei.
Detto questo, questi incidenti sono ancora piuttosto rari, le auto elettriche sono ancora rare e anche i veicoli a carburante a volte prendono fuoco, ma è quasi sempre un errore umano, come il calcio gravemente spento e la perdita del serbatoio e in proporzione al loro numero, sono molto rari.
In inverno, al di sotto dei -5°C, il liquido in cui sono bagnati i due elettrodi (positivo e negativo) si congela. È un elettrolita “aprotico” (un sale LiPF6 disciolto in una miscela di carbonato di etilene, carbonato di propilene o tetraidrofurano). C’è un cortocircuito che accende la batteria.
Questo incendio ha due peculiarità, è impossibile estinguerlo senza immergere l’intera auto in una piscina per almeno 24 ore ed è facilmente comunicabile alle auto vicine, soprattutto se sono elettriche. Per questo si consiglia di non parcheggiare le auto elettriche affiancate, come si fa quando c’è una stazione di ricarica multi-socket (rara in Francia, ma sempre più frequente negli USA).
TUTTI I DISPOSITIVI DI MOBILITÀ PERSONALE MOTORIZZATI SONO INTERESSATI
Il problema della bassa temperatura è stato risolto, le batterie vengono riscaldate a + 16 ° C da un resistore che assorbe il kw di cui ha bisogno, sia nella batteria stessa, che riduce l’autonomia dell’auto, sia in una batteria ausiliaria, che la appesantisce. Ma questo esiste solo per le auto.
Per l’incendio dovuto al calore, le notizie ci ricordano regolarmente che tutte le macchine a batteria al litio possono essere pericolose. Nessun EDPM (Motorized Personal Mobility Machine) è risparmiato: scooter, giroruole, skateboard elettrici e auto, tutto va lì.
Da una temperatura della cella* di 60-70°C, può verificarsi quella che viene definita una fuga termica: la batteria agli ioni di litio sale a 200° e prende fuoco. Nella stagione calda, se un’auto viene lasciata alla luce diretta del sole per troppo tempo, può prendere fuoco. Si presume che questo sia ciò che è accaduto con l’auto elettrica parcheggiata ai margini della foresta delle Landes (fonte Elisabeth Borne) e che ha bruciato circa 20.000 ettari.
Su tutti questi incidenti di auto elettriche, la censura più severa è dilagante. Per gli ecologisti politici e i funzionari governativi, l’auto elettrica è il futuro ed è pulita, diciamolo. Diesel e benzina sono sporchi e devono essere vietati, diciamolo anche e soprattutto senza pensarci o guardarsi intorno.
Un altro dogma che è stato appena inventato, non sono più gli abitanti delle città che inquinano, sono i contadini, i loro campi, i loro trattori e i loro animali. Gli ambientalisti sono il 98% del boho delle città della ricca classe borghese. Non avendo trovato nulla che giustificasse il loro consumo eccessivo di riscaldamento, aria condizionata, acqua calda, ecc., i loro sacerdoti e vescovi hanno pensato che sarebbe stato più semplice accusare i contadini che, è noto, non sanno nulla della natura, delle sue piante e dei suoi animali. Inquinano perché hanno colture che richiedono fertilizzanti, quindi azoto (che è completamente innocuo) e animali che fanno scoregge, quindi producono CO2 e metano derivanti dalla decomposizione delle piante nel loro intestino.
In realtà, allo stesso peso, gli ambientalisti vegetariani, vegani o vegani producono tanta CO2 e metano quanto le mucche, dalle loro scoregge create dalla decomposizione nel loro intestino delle erbe e delle altre piante che mangiano.
Quindi, se dobbiamo eliminare il 30% delle mucche entro il 2025 e il 100% entro il 2050 per salvare il pianeta, dobbiamo logicamente eliminare così tanti ambientalisti. C.Q.F.D.
GLI AMBIENTALISTI SONO PER IL 98% TOTALMENTE IGNORANTI IN SCIENZE NATURALI
Nel 1967, ho capito perché gli ambientalisti e i biologi sono così spesso ignoranti. Un direttore del CNRS specializzato in biologia marina, che si è ammalato, mi aveva chiesto di sostituirlo con breve preavviso per una conferenza su cnidariani e tenari, due famiglie di animali marini che rappresentano l’80% della massa biologica degli oceani, più il 15% di animali con ossa, pesci e + o – 5% di vari come animali con scheletri ossei, balene, foche… serpenti marini…
Nella grande sala dell’Università di Scienze Paris VII, c’erano 400 studenti di biologia e una mezza dozzina di professori curiosi di vedere chi il loro leader aveva trovato per sostituirlo.
Per prima cosa ho posto la domanda: conosci la differenza tra cnidari e tenari? Nessuna risposta. Ho passato loro un centinaio di diapositive scattate da me di animali marini fotografati in diversi oceani e nel Mediterraneo, ponendo loro ogni volta la domanda, cnidaria o ctenary? C’era solo il 4% degli errori. Sai come riconoscerli, ma non sai ancora cosa li differenzia e tuttavia è semplice.Gli cnidari pungono e i tenari si attaccano.
Tutti hanno tentacoli, ma alcuni, come meduse, anemoni, gorgonie… e un piccolo polpo con macchie blu dall’Australia, hanno tentacoli velenosi che pungono al contatto. Abbracciano la loro preda con molti tentacoli, aspettano che sia paralizzata o muoiano del veleno e la portano alla bocca per mangiarla.
Gli altri, come polpi, seppie… alcuni vermi marini, e i minuscoli dentieri del plancton, usano la forza dei loro tentacoli per immobilizzare la preda e portarla alla bocca o al becco per distruggerla e mangiarla.
Sono stato applaudito a lungo, anche dagli insegnanti, ma mi è venuta in mente un’altra idea e ho ripreso il microfono. “Ti dirò perché nessuno ha avuto questa idea, ma semplice, gli cnidari pungono e i ctenari si attaccano. Tutti voi studiate questi animali nei vostri laboratori universitari o altrove. Sono morti, li sezionate, li esaminate, ma non li vedete vivi, io ci passo ore e ho notato infatti due cose, che alcuni pungono e altri si attaccano, ma anche che molti aspettano che la preda venga catturata da sola nei loro tentacoli, come meduse, anemoni e tutti i vermi marini; altri cacciano, come polpi, seppie e stelle marine. Le stelle avanzano casualmente fino a trovare un guscio che è buono da mangiare, ma cacciatori come polpi e seppie sono molto intelligenti e dispiegano strategie di aiuto alle mani, cioè attacco rapido a sorpresa e imboscate che sarebbe interessante per alcuni di voi studiare.
Ma per questo, ricorda l’essenziale, nelle scienze della vita l’osservazione dal vivo è importante quanto l’analisi di laboratorio.
È questo senso di osservazione che manca agli ecologisti: in questi giorni hanno il sole che sorge intorno alle 6 del mattino, è di circa 20 ° C; alle 10 del mattino, è 24°; alle 14 è 34° (in Provenza), 14° in più in 8 ore. Ma ciò che li spaventa è che gli scarichi delle auto e le scoregge delle mucche potrebbero aggiungere 1 o 2 gradi in dieci o venti anni!
Non capiscono che l’unico e solo fattore importante, naturale, ecologico e sostenibile nel riscaldamento dell’atmosfera è il SOLE. Né che se moltiplichiamo le auto elettriche il rischio di incendi delle batterie aumenterà considerevolmente ovunque.
Il direttore
1 agosto 2022
* Temperatura cellulare: Nel cuore delle nostre cellule, la temperatura raggiunge i 50 ° C.
La temperatura normale di un corpo umano è di 37 ° Celsius.
Ma i mitocondri che si annidano all’interno delle nostre cellule sono molto più caldi.
Nelle batterie è lo stesso, il loro liquido ha le celle…
La seguente è la sesta di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi, nella sua terza parte è disponibile a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.
PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*
*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice, non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata quindi mantenuta immutata, quando questa presente.
La 11a puntata inizia con un documento interno all’esercito ucraino che conferma le crescenti difficoltà, evidenti ormai sul campo, nel sostenere e contenere la pressione costante dell’esercito russo. Una nota che segue numerosi atti di protesta della truppa riguardo la conduzione della guerra e il comportamento dei comandi e della dirigenza politica ucraini. Alle difficoltà sul campo corrisponde una netta accentuazione del carattere terroristico della reazione ucraina sempre più rivolta a ritorsioni verso la popolazione civile e al sacificio dissennato delle proprie forze militari. Un aspetto sempre più difficile da nascondere anche per i media meglio disposti verso una causa sbagliata quale è la reazine della dirigenza ucraina. E’ sempre più evidente il paradosso di una forza che si proclama paladina dell’indipendenza di un paese, ma che in realtà si sta rivelando uno spietato esercito di occupazione al momento della vasta componente ostile della popolazione, ma che non tarderà a manifestare la propria indole anche verso le componenti favorevoli e passive. Emerge sempre più chiaramente la natura di un regime tanto ottuso e spietato ideologicamente, quanto portatore diretto di interessi e dinamiche geopolitiche esterne; dinamiche dalle generalità conosciute, ormai sparse ai quattro venti, che non tarderanno a dover rendere conto anche nel proprio paese, gli Stati Uniti. L’ennesimo frutto marcio portato dalle tante rivoluzioni colorate che hanno infestato questo ventennio. Avrebbero dovuto scompigliare i propositi di un mondo multipolare; stanno costringendo, in realtà, le forze emergenti a coalizzarsi non ostante i vecchi e nuovi contenziosi che attraversano un mondo sempre più disarticolato. Il finale non è scritto, ma non è scontato come poteva apparire appena venti anni fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Prime considerazioni successive all’incursione di Pelosi a Taiwan. La dirigenza cinese dovrà probabilmente calibrare meglio i toni e i contenuti comunicativi delle proprie posizioni. Nel 1996, una crisi analoga su Taiwan si trasformò in una debacle della sicumera cinese nei confronti degli Stati Uniti. Oggi, la postura è molto più cauta e la condizione oggettiva molto meno sfavorevole; le tracce di imbarazzante prosopopea, che inficiano la credibilità generale di una politica, rimangono pur attenuate. La disponibilità ad imparare con il tempo è una prerogativa della filosofia di vita dei cinesi. Vedremo le conseguenze nelle dinamiche interne al regime cinese in vista del prossimo congresso. Buona lettura, Giuseppe Germinario
[editorialista di Text/Observer Network Tan Bin]
Amici preoccupati per la grande causa della riunificazione della madrepatria e per lo sviluppo della situazione nello Stretto di Taiwan, l’autore ha cinque pensieri da condividere con voi:
In primo luogo, non si deve ignorare il soldato, l’evento più importante del Paese, il luogo della vita e della morte, il modo di vivere e di morire. L’entusiasmo patriottico del popolo è lodevole, ma i “consiglieri del personale” della gente comune in guerra non possono evitare la separazione. È più difficile abbinare informazioni e strategie al gioco di alto livello di Wen International. L’eccessiva interpretazione emotiva e l’eccessiva ansia sono inevitabili e normali.
In secondo luogo, sebbene la questione di Taiwan sia una questione lasciata dalla guerra civile, in ultima analisi, non è solo una questione di relazioni attraverso lo Stretto di Taiwan, ma anche una questione di relazioni tra Cina e Stati Uniti. Se ci si limita a discutere di “Wu Tong”, si dovrebbero dire almeno tre punti:
1. Se è completamente preparato e tutto è a posto (non solo militari, ma anche diplomazia e opinione pubblica, comprese le disposizioni amministrative, del personale e legali dopo l’acquisizione, ecc.).
2. Ci deve essere un giudizio accurato sull’intervento militare statunitense e l’aspettativa strategica che una guerra con l’esercito americano sarà davvero combattuta.
3. Riesci a cogliere la finestra di opportunità quando gli Stati Uniti non hanno tempo per prendersi cura di me?
In terzo luogo, vista la situazione attuale, in particolare da parte nostra, le condizioni per l’impiego di truppe contro Taiwan non sono mature. Al contrario, gli Stati Uniti sono più disposti di noi a vedere lo Stretto di Taiwan diventare un nuovo punto caldo nel mondo e, proprio come trascinare la Russia in Ucraina, inventano anche una guerra per procura in Cina in cui gli Stati Uniti non pagano e il I cinesi combattono i cinesi. Da un lato, usa le guerre locali e, dall’altro, usa sanzioni senza fondo per consumare la Cina, isolare la Cina e interrompere il processo storico dell’ascesa della Cina.
Dovremmo solo combattere la guerra giusta al momento giusto, nel posto giusto, e non al momento giusto, nel posto giusto e come il nemico ritiene opportuno. Questa è una grande saggezza. Pertanto, sul campo di battaglia della guerra civile in corso in Cina, prendere l’iniziativa di distruggere la linea fissa militare del terzo in comando degli Stati Uniti non è un’opzione, né strategicamente né tatticamente.
In quarto luogo, cogliendo l’occasione offertaci dalla provocazione degli Stati Uniti, non solo la cosiddetta linea centrale dello Stretto di Taiwan è stata completamente cancellata, ma è la prima volta che si attua un live accerchiamento a tutto tondo. sparare un’esercitazione militare contro Taiwan, e sicuramente la trasformerà in una nuova normalità. Nei cuori dei taiwanesi, ma anche nei cuori delle persone in tutto il mondo, “Wu Tong” ha davvero fatto un grande passo avanti. A nostra volta, ci stiamo anche costringendo a sopperire quanto prima alle carenze nel lavoro di preparazione. In modo che quando il periodo di opportunità in futuro arriverà inaspettatamente, i tre eserciti possono muoversi nel vento!
In quinto luogo, dalla turbolenta opinione pubblica dei giorni scorsi si evince che “si può usare il cuore delle persone”. È solo che le autorità dovrebbero davvero apprezzarlo e seguire la guida. Non farlo andare dall’altra parte.
Nonostante ci siano alcune cose che in realtà non sono soddisfacenti, l’autore è comunque “ottimista” sulla tendenza generale, soprattutto per le nuove generazioni.
CORNICE. Siamo tutti persi in un oceano di notizie relative a fatti. Ma in natura, nella realtà, i fatti sono connessi tra loro a fare il “mondo” e nel mondo ci sono attori intenzionali con strategie, strategie che vogliono far fronte a previsioni. Questi ultimi due elementi, strategia fatte su previsioni, fanno la cornice in cui s’inquadra il groviglio dei fatti del mondo. Vorrei fornire una versione interpretativa di questa cornice, poiché i molti fatti interagiscono proprio con la cornice, anche se spesso non la vediamo.
Il periodo moderno dura un po’ più di tre secoli. In esso, la parte che chiamiamo Occidente, prima solo Europa, poi Stati Uniti con Europa, ha dominato questo periodo storico. Colonialismo, imperialismo, sviluppo scientifico e tecnico (o forse il contrario), modo economico moderno, armi, conoscenza hanno garantito al sistema occidentale un incredibile potere sul resto del mondo. Questo ha permesso il poter importare materie, energie e lavoro a bassi costi per alimentare il modo economico che ha dato ordine dinamico alle nostre forme di vita associata. In questo mondo al nostro servizio, abbiamo poi esportato resti di produzione, scarti, disordine. Ogni forma di ordine, e la nostra lo è stata ai massimi livelli, paga un tributo di disordine che noi abbiamo esternalizzato.
Settanta anni fa, tre dinamiche della nostra parte di mondo, hanno agito non intenzionalmente sul mondo più ampio. La prima è stata il progresso tecno-scientifico che ha in parte debellato malattie che falcidiavano le natalità. La seconda è stata una parte specifica di questo progresso, nata in Giappone e poi ripresa da laboratori americani, ovvero la manipolazione genetica delle piante, prima il frumento, poi il riso. Non solo quindi le persone che nascevano morivano di meno di prima, ma poi crescevano alimentate e più sane, ampliando il registro dei viventi. Infine, la terza, è stata la spinta automatica al nostro modo economico di andare a colonizzare questo nuovo mondo di genti in inflazione demografica per cooptarle nell’economia di mercato cantando l’inno della “globalizzazione”. Tutte e tre le dinamiche, per quanto in larga parte non intenzionali, hanno però avuto anche un agente intenzionale, gli Stati Uniti d’America. Questo perché gli USA, nel dopoguerra, divennero presto consapevoli che il mondo più ampio andava in qualche modo curato e stabilizzato visto che in vari modi vi dipendevamo, non certo per bontà d’animo, per interesse.
Capitò così di esserci triplicati in soli settanta anni, cosa mai avvenuta nella storia umana planetaria, in così poco tempo, partendo da già 2,5 miliardi di persone. Non si è trattata solo di una trasformazione quantitativa, ma anche qualitativa anche perché è proprio questa nuova qualità sanitaria ed alimentare in primis, ad aver prodotto questo nuova quantità. Ma il modo economico moderno che è il nostro ordinatore, imponeva anche una nuova dinamica globale. Tale modo funziona con uno scalino, una asimmetria per la quale un maggiore domina e sfrutta un minore mentre “risolve problemi” (dei quali alcuni li inventa, altri li risolve ma creandone di nuovi). Ma tale assetto asimmetrico non deve esser troppo pronunciato, il minore deve comunque avere facoltà di giocare lo stesso gioco del maggiore. Il maggiore, per esser tale, deve portare il minore dentro il gioco altrimenti senza gioco non ordina il mondo mentre acquisisce l’ordine di cui si alimenta per esser il maggiore.
Così s’è seguita la logica di questo ordinatore che è appunto l’economico nella sua forma moderna che alcuni chiamano capitalismo. Purtroppo, ogni ordinatore è solo una parte della complessità del tutto. Altre volte, nella storia, qualcuno s’era convinto che l’ordine potesse esser militare e così fece imperi dalla brillante crescita repentina ed altrettanto repentino collasso. Qualcun altro si convinse si potesse usare l’ordinatore religioso, ma anche qui non s’erano fatto i conti con i più prosaici problemi della complessità della vita umana in società. L’economico prometteva invece, ed oltretutto spalleggiato dal militare e dalla cultura ora in senso più ampio che non solo quella religiosa, di poter far da ordinatore efficiente tenendo nello stesso gioco il maggiore ed il minore a debita distanza, ma non troppo distante.
Il calcolo si rivelò giusto per un tratto, poi non più idoneo, perché? Allargato il circuito della ricchezza e condiviso il modo economico moderno, altre parti del mondo hanno cominciato a crescere da par loro. Ad un certo punto recente, alcuni hanno intuito con sbigottimento e terrore che la dura logica della massa numerica, avrebbe fatto sì che a parità crescente di altre condizioni, il minore era destinato a diventare il maggiore. Gli economisti occidentali, i sacerdoti della nuova religione ordinativa, hanno prodotto un paio di teorie sulla crescita economica che però saltano a piè pari l’ovvietà per la quale, a parità (più o meno) di altre condizioni, la massa del sistema su cui si applica il modo economico moderno, fa la differenza. Oggi tutto l’Occidente, Europa ed Anglosfera, pesa solo il 16% del mondo, era più del 30% ai primi del Novecento ma al di là della numerica, allora la distanza qualitativa di tutti i fattori di potenza tra Occidente e resto del mondo era inarrivabile. Oggi quella numerica è tracollata e continuerà a scendere nei prossimi decenni e la distanza qualitativa si sta accorciando in fretta. Vi sono poi altri problemi legati al fine ciclo di crescita delle economie ipersviluppate (lo sviluppo non è infinto e non solo per ragioni termodinamiche), ma non ci soffermiamo. Il maggiore è quindi inesorabilmente destinato a non esser più tale. Che fare?
L’attuale vertice del potere del capobranco occidentale ovvero gli Stati Uniti d’America, ha varato una strategia per far fronte al problema. Almeno in termini di “comprare tempo” ovvero diluire in un più ampio tempo, questa contrazione di potenza che era ciò che garantiva la posizione del maggiore. Poi si vedrà. La strategia prevede di tagliare il mondo in due, da una parte rimane il maggiore ovvero l’Occidente con al centro gli Stati Uniti ed una più ampia possibile costellazione gravitante, dall’altra si vorrebbe confinare il minore che sta crescendo minacciando i rapporti di forza, quindi di potenza. La potremo dire una strategia sistemica.
Gli Stati Uniti, giustamente, ragionano per sistemi poiché sanno che la complessità di un mondo oggi a 8, tra trenta anni 10 miliardi di persone in 200 stati, con una crescente caterva di problemi endogeni ed esogeni (tra cui problemi davvero molto seri di tipo ambientale di cui si parla troppo poco e climatici di cui spesso si parla ma male), non si può tentar di ordinare se non attraverso sistemi che dominano sistemi.
Così, dall’inizio di questo anno, siamo finiti in questa Grande Accelerazione, che è solo la reazione alla Grande Accelerazione avvenuta nel mondo negli ultimi settanta anni. Con la tecnica del “c’è un provocatore ed un provocato”, gli USA hanno finalmente ottenuto -dopo essersi impegnati per anni- che la Russia invadesse l’Ucraina. Questo ha spinto, volenti o nolenti, gli europei a stringersi a coorte con gli Stati Uniti. L’accorpamento organico tra Stati Uniti ed Europa era il primo requisito della strategia poiché fa “sistema” e sistema obiettivamente di grande peso. Poiché i due attori hanno molto in comune, ma anche qualche altrettanto obiettiva potenziale divergenza di interessi, per storia, geografia, assetto economico e soprattutto forma visto che uno è uno Stato e l’altra è un Mercato con un po’ di istituzioni di servizio, questo accorpamento “senza se e senza ma” era, appunto, essenziale.
Ora gli Stati Uniti stanno cercando di replicare la strategia “c’è un provocatore ed un provocato” in Asia per accorpare i già organici alleati (Giappone ed Australia), quelli più titubanti (Corea del Sud), quelli potenziali ma molto ambigui o meglio con una loro strategia di più equilibrato bilanciamento (India) per poi scalare la piccola Europa sud-est asiatica ovvero i dieci stati ASEAN. Questo quadrante è assai più complicato del precedente, per varie ragioni e la Cina non è la Russia sotto tanti e diversi aspetti strutturali e culturali (cosa che a gli strateghi americani tenderà a sfuggire). E’ proprio il contesto asiatico (60% del mondo) ad essere per certi versi alieno all’esperienza e conoscenza profonda occidentale, viepiù quella americana.
Se in quello europeo la stanchezza per la guerra ucraina e le contraddizioni economiche che tenderanno a riflettersi in problemi sociali e quindi politici dovesse allentare la tensione, è pronta la versione “c’è un provocatore ed un provocato” a base di targhe automobilistiche serbe-kosovare. Poi ci sarà l’Artico.
Seguono poi tanti altri fatti geopolitici in Medio Oriente e Sud America ed altri a più dimensioni, tra cui il come detto “Artico”, lo spazio, la corsa tecnologica, ma non possiamo soffermarci.
Quindi, in conclusione, questa è la cornice dei fatti, i fatti sono tra loro intrecciati, il tutto -piaccia o no- è molto complesso, non ha alcun senso trattarlo con codici morali poiché è un problema concreto e, come si sarà capito, strategico ai massimi livelli, storico, epocale ed esiziale.
Fatta la cornice, a Voi metterci l’immagine di mondo.
SINCRONIE. Giusto oggi ricorre l’annuale Overshoot Day, il giorno statisticamente calcolato in cui abbiamo consumato tutte le risorse naturali che avremmo dovuto consumare in un anno. Giusto stamane ho terminato “Dove sono?”, una riflessione sui temi del nuovo Regime Ambientale portata avanti da Bruno Latour. Proprio Latour, è stato colui che ha ripreso, da qualche anno, il concetto di Gaia a tema delle sue riflessioni socio-antropo-filosofiche. E proprio l’altro ieri, è morto il padre del concetto di Gaia, James Lovelock, anch’egli in stato di sincronia avendo deciso esser giunto il momento di non più resistere all’entropia, ovvero morire, proprio il giorno del suo centotreesimo compleanno. Giusto ieri, stavo rileggendo il testo di un mio intervento ad un convegno tenuto tre anni fa proprio per i cento anni di Lovelock. Ne consegue questo post che però non ha alcuna ambizione se non condividere i ragionamenti stimolati da queste sincronie.
Lovelock presentò il concetto di Gaia negli anni Sessanta, decennio in cui nacque l’ecologia moderna e da cui oggi pensiamo partì la Grande Accelerazione. Latour riassume il concetto in quella fascia di circa sei chilometri, tre sopra il nostro suolo e tre sotto, che forma la pellicola dei viventi sul pianeta.
Lovelock, di base, era un chimico e chimico è il minimo comun divisore di tutto ciò che si trova in quella fascia, animali, piante, microbi e virus, acque, arie, terre, elementi. La chimica non ha mai sviluppato una sua filosofia importante, come le attigue fisica e biologia. Peccato perché: a) è natura e grammatica di ogni cosa che è, ad un livello più complesso della fisica ed oltretutto a cavallo dai regni del vivente e non vivente che sono nostre categorie; b) è base di complessità avendo almeno 98 varietà base (almeno sulla Terra) che tendono ad unirsi in molecole (a parte i gas “nobili” che se ne stanno ostinatamente per conto loro ma sono solo sei) dando vita, appunto, al tutto ciò che è.
L’idea originaria di Lovelock ha avuto vita travagliata. Lui stesso ne ha offerto diverse versioni, non quanto a forma, ma quanto a comportamento. Nata come “ipotesi” poi l’ha intesa “teoria” con varianti pensate da lui o contro di lui o partendo dalla sua intuizione ma andando per altre vie. Il catalogo sommario dice: Gaia influente, Strong o moderate hypotesys, omeostatica o omeodinamica con equilibri successivi (Daisyworld), con approfondimenti di geochimica, degli accoppiamenti coevolutivi, fino alla nascita di contro ipotesi come la Snowball Earth, la CLAW poi anti-CLAW, la nemesi di Gaia ovvero l’Ipotesi Medea etc.
Trattata e screditata addirittura come idea new age (il termine Gaia venne suggerito da un romanziere come altro nome di Gea che poi è desinenza di Geologia, Geografia, Geopolitica etc.) quando ancora il Capitale vedeva questi argomenti come intralci per la propria libera riproduzione ovvero quando ancora non aveva capito come sfruttarne la problematicità per alimentare una nuova “rivoluzione industriale”. La co-autrice dell’idea, Lynn Margulis, a sua volta considerata a lungo eretica per le sue idee che oggi sono assunte nel mainstream bio-evoluzionistico, la definiva “Tendenza del Sistema Biocibernetico Universale all’ Omeostasi”, sistema composto dai sottosistemi di geo-idro-pedosfera + biosfera + atmosfera.
Idea per altro già intuita da von Humboldt e Vernadskj. Lovelock, come detto, era un chimico e chimico era anche Vernadskj e prima ancora James Hutton, padre della geologia moderna che pure aveva proferito intuizioni simili, così come Crutzen a cui si deve l’ipotesi del concetto di Antropocene. Pare che i chimici vedano sistemi come loro prima ontologia spontanea, peccato non abbiano filosofato di più.
Non è un caso che Goethe parlasse di affinità elettive per un romanzo di coppia che poi si scinde e si riassortisce e non è un caso che tanto per la chimica che per i rapporti umani si parli di legami. Ma le variegate versioni e forme dell’eterno idealismo occidentale che nasce da Platone, ha vertice invece nel concetto di assoluto, “ab solutus” cioè sciolto da legami. Concetto poi erroneamente attribuito ad atomo, visto che dei 98 naturali solo sei hanno questo comportamento repulsivo, gli altri si accoppiano all’impazzata spinti da una certa bramosia a cercar stabilità attraverso le formazioni di interrelazione stabile che chiamiamo molecole. O se poi sciolgono legami è solo per allacciarne di nuovi.
Lasciamo ora il Lovelock, diventato poi nel tempo critico verso certo ambientalismo catastrofista, a favore del nucleare, della geoingegneria spinta e da ultimo, innamorato delle ipotesi neo-coscienziali dell’Artificial Intelligence. Passiamo allora a Latour che va da tutt’altra parte. Innanzitutto, avendo origini socio-antropologiche, ci mette dentro noi umani come “forma di vita” che, nella definizione di Lovelock è: un sistema dotato di perimetro entro il quale l’energia è usata per formare ordini dinamici (diminuendo l’entropia) e fuori del quale si ricava energia ordinata e si espelle energia disordinata aumentando l’entropia generale. un sistema dotato di perimetro entro il quale l’energia è usata per formare ordini dinamici (diminuendo l’entropia) e fuori del quale si ricava energia ordinata e si espelle energia disordinata aumentando l’entropia generale.
La definizione vale per l’individuo vivente (animale o pianta), l’uomo, la società umana, l’economia moderna, i nostri Stati-nazione. Ognuno dei quali è “nel” mondo in cui viviamo, ma al contempo e poco notato, nel mondo “di cui” viviamo. A dire che a parte le specie autotrofe (in sostanza i vegetali) noi altri animali siamo eterotrofi e quindi il mondo di cui viviamo è molto più ampio di quello in cui viviamo. Il che ci interroga su che tipo di relazioni averne.
Latour ne conclude una nuova classificazione politica tra Estrattori (chi vuole continuare ostinatamente nel modo moderno infischiandone dei limiti di compatibilità che ormai non sono più solo ecologici ma anche geopolitici, ad esempio: chi ha diritto di emettere CO2 in eccesso?) e Rammendatori, secondo una linea che va verso la “comunità di destino” alla Morin, una sorta di nuovo “in comune” sul piano eco-politico (geopolitico) ed inaspettato universale basato su realismo, materialismo e pragmatismo. Ma la riflessione è più ampia coinvolgendo concetti di sovranità, autonomia ed eteronomia, identità, sovrapposizione, sconfinamento, limiti, interdipendenze, intersezionalità, sussistenza e riproduzione, vari tipi di crisi inclusa quella pandemica. Il tutto con vari ricorsi paralleli a Gregory Samsa e la sua kafkiana Metamorfosi, in una sorta di trasvalutazione dei valori che connota la nostra epoca quanto ad immagini di mondo, ancora ampiamente riferite ed un mondo che non c’è più, non ancora idonee a quello in cui siamo capitati ed in cui di orientiamo a fatica.
Nel frattempo, secondo gli statistici dell’Overshoot Day, ci siamo mangiati in sette mesi, il necessario dei dodici, ma solo perché siamo ancora nell’onda lunga del lockdown planetario, una mano santa dal punto di vista del “rallentamento”, un rallentamento da alcuni gradito, da altri -alcuni insospettabili- rifiutato al grido arrabbiato di “ridateci la normalità”.
Chiudo. Non c’è alcuna conclusione, né nel post, né nel libro di Latour (sebbene faccia finta di scriverne una, così tanto per non lasciare troppa roba per aria). Una, forse, potrebbe esser l’invito a considerare questi temi espressi e quelli connessi che abbiamo dovuto tagliare per ragioni di spazio. Sono tanti, complessi cioè non solo tanti ma intrecciati ed interdipendenti tra loro, non lineari nel comportamento, autoriflessi, un vero marasma. A fronte di tutto ciò, evitate come la peste gli eccessivamente ansiosi, i negazionisti di principio, quelli che non vedono i problemi ma solo chi se ne approfitta, i riduzionisti, quelli che hanno una forma mentale non in grado di ospitare l’argomento e tuttavia giudicano o sentenziano.
Siamo in un nuovo stato del mondo (a 8 miliardi tra tre mesi e mezzo), l’immagine che ne abbiamo (l’assieme di categorie, logiche, teorie, ideologie, conoscenze, memorie etc.) è vecchia, dei secoli precedenti, non tutto cambia ma molto sì. È necessario continuare l’esplorazione ovvero tenere l’argomento aperto ed esplorarlo in quanti più è possibile, ci metteremo decenni a formulare una nuova mentalità prima, nuove società e modi di viverle poi, come è sempre stato nelle grandi transizioni storiche. Perché farlo? Non lo so.
“Resterà sempre sconcertante che per prime generazioni sembrino aver portato il fardello della loro fatica a beneficio esclusivo delle generazioni future … e che solo l’ultima avrà la fortuna di abitare nell’edificio compiuto” diceva un prussiano. Questa generosità verso i futuri forse ha a che fare col senso di essere umani, ma lascio a voi la risposta.
[La foto NASA è ritoccata, ma ci serve come concetto visivo in accordo al testo, a proposito di immagini di mondo]
Scenario ipotetico: verso un nuovo scisma d’Occidente.
Considerata la natura molto spinosa dell’argomento, faccio una rara eccezione ad una mia regola social e seleziono attentamente (per stima personale e consonanza di sensibilità) il pubblico di questo post.
Qui descrivo quel che ritengo per il prossimo futuro uno scenario possibile, forse neanche tanto improbabile, la risposta alla domanda “e mò come usciamo da questo casino?” che ci arrovella da una decade a questa parte.
Forse ne usciamo così.
Dunque, ipotesi. Papa Francesco (che qui si assume essere vero Papa, ancorché pessimo Papa) muore o abdica. In conclave si formano tre gruppi di cardinali elettori:
A. ortodossi fedeli alla dottrina, ormai ridotti una minoranza marginale se non proprio infima (circa 10-20%);
B. eterodossi che vogliono protestantizzare la Chiesa, ormai sono la maggioranza o quasi (circa 40-60%);
C. quelli che io chiamo curiali: interessati a conservare la struttura di potere, sostanzialmente indifferenti alla dottrina ma “non ci ammazzate la vacca, dobbiamo mungerla” (circa 40-50%).
Beninteso questa è una schematizzazione approssimativa, nella vita reale le distinzioni non sono mai così semplici: c’è chi fa il doppio gioco, chi si barcamena, le incertezze e le doppie fedeltà, poi ci sono i sotto-gruppi e le sotto-sotto-fazioni e le rivalità personali etc. Comunque mi pare abbia senso.
Ancorché tutti formalmente cattolici, ciascuno di questi tre gruppi opera con presupposti diversi per fini diversi, e sappiamo che nella Chiesa “ci si morde e ci si divora”. In particolare i curiali, anche se pubblicamente magnificano questo pontificato perché “de Papa nihil nisi bonum”, in verità sono assai scontenti perché capiscono che di questo passo crolla tutto e la vacca muore.
# Esito possibile n. 1: in conclave i curiali propongono agli ortodossi una convergenza di interessi, voi votate per il nostro candidato e noi vi promettiamo qualche piccola concessione, potete restare nella vostra riserva indiana per nostalgici; noi continueremo a flirtare con i poteri di questo mondo, ma senza quei picconamenti eclatanti che scandalizzano e allontanano i fedeli. Il patto funziona e viene eletto un Pontefice “moderato” che prova a correggere “moderatamente” la rotta della barca.
Se questo accade, il declino della Chiesa sarà forse rallentato, certamente non fermato.
# Esito possibile n. 2: gli eterodossi fanno gruppo compatto ed eleggono un Francesco II che prosegue tale e quale a Francesco I. Gli ortodossi chinano il capo e pregano. La Chiesa continua l’autodemolizione, i canali della successione apostolica continuano ad essere inquinati, la mala fabbrica di vescovi e cardinali continua a sfornare mediocri ed eretici. Per fede so che Dio interverrà prima dello schianto finale, ma non so come.
# Esito possibile n. 3: gli eterodossi forzano la mano, perché hanno una fretta maledetta di arrivare al punto di non ritorno, e delle due l’una: o commettono qualche irregolarità tecnica nelle votazioni, oppure decidono di fare il colpo grosso e provano ad eleggere un cardinale che è già tecnicamente eretico per acclarata negazione del magistero definitivo – e non ci vuol tanto, per esempio chiunque abbia parlato in favore dell’ordinazione femminile o del matrimonio omosessuale.
Arrivati a questo punto, gli ortodossi dicono che il troppo è troppo, prendono coraggio e contestano formalmente la validità dell’elezione, uscendo dal conclave e annunciando: noi non riconosciamo costui come pontefice, questo non è un Papa, questo è un antipapa. Dopodiché, vano ogni tentativo di riconciliazione formale, fanno un conclave separato ed eleggono un Papa veramente cattolico. Chiaramente le simpatie del mondo vanno tutte alla falsa Chiesa cattolica, che ha la forza di occupare “manu militari” i palazzi di Roma e tutta la struttura di potere; il vero Papa è costretto ad andare in esilio, forse anche a nascondersi. Molte istituzioni religiose si spaccano e pure qualche famiglia.
Ecco dunque che si consuma uno scisma formale tra la vera Chiesa cattolica e una falsa Chiesa cattolica. Una situazione dolorosissima, però non inedita, simile allo scisma d’occidente che lacerò la Chiesa dal 1378 al 1418, con la divisione in “obbedienze” tra Urbano VI e Clemente VII (nel 1409 si aggiunse pure Alessandro V, per nove anni ci fu il cosiddetto periodo dei tre papi). E detto sinceramente, sarà pure dolorosissima, ma sarà migliore dell’attuale, perché almeno sarà fatta chiarezza tra pastori e lupi.
In questo scenario, la vera Chiesa cattolica è povera di mezzi materiali, però almeno riesce a conservare integra la legittimità gerarchica ed una decente successione apostolica, con vescovi e cardinali sostanzialmente cattolici che preparano loro successori altrettanto cattolici. Il che viste le circostanze è già dire tanto, ed è la cosa più importante perché garantisce il “tradidi quod et accepi”.
La spaccatura tra vera e falsa Chiesa dura per qualche decennio, forse anche un secolo, finché delle due l’una:
A. arriva una persecuzione immensa per tutti i cosiddetti cattolici, veri o falsi che siano, sicché la falsa Chiesa si squaglia come neve al sole (non conviene più far finta di essere cattolici quando si è altro) e restano solo i cattolici veri;
B. l’Occidente crolla definitivamente dopo una guerra mondiale, e il potere vincitore distrugge la falsa Chiesa che si era schierata con l’Occidente liberal genderfluid. Oh, sia chiaro che questo potere vincitore (potrà essere la Cina o la Russia o l’Islam o Dio sa cosa), tollera a malapena la vera Chiesa cattolica, anzi magari poi perseguita pure questa; ma intanto in questo frangente esegue suo malgrado i piani di Dio, come altre volte nella storia Dio ha usato uomini non buoni per scrivere dritto sulle righe storte.
Cosa accade successivamente, lo sa Dio, ma intanto quella che resta è la vera Chiesa, cattolica e disinquinata. Forse Dio progetta di fare arrivare l’Apocalisse di qua a breve, e allora fine della fiera e arrivederci e grazie. O forse invece l’umanità ha ancora davanti a sé un futuro lunghissimo e arriverà all’anno diecimila, cinquantamila, centomila dopo Cristo, quando sarà colonizzato tutto l’universo e le diocesi avranno giurisdizione su interi pianeti. Nel qual caso noi siamo la pagina di un futuro libro di storia e quello che ora soffriamo sarà una lezione per i nostri discendenti. Questa speranza mi consola