La cultura filosofico-politica della sinistra e la necessità di voltare pagina
Inimichiamoci gli ultimi amici
Oramai è necessario, secondo me, andare alla radice. Non per fare polemica per la polemica, ma perché il disastro storico (politico e intellettuale) è così enorme da non permettere che, per amore di pace e per evitare il conflitto (teorico e politico), si taccia.
Io credo che sia la cultura politica di cui si nutre la sinistra nella sua totalità (o nella sua pluralità per usare il linguaggio amato a sinistra, uno dei cliché che bisogna sempre usare nelle discussioni sconclusionate a sinistra) ad impedire ormai che si possa fare politica da sinistra e che possa esserci una visione politica che nasca da sinistra.
La cultura politica di cui si nutre è vecchia, post sessantottina. Cose che 50 anni fa forse avevano un senso, che forse esprimevano esigenze di liberazione, ma ora continuano ad essere ripetute a macchinetta, incuranti del fatto che l’esperienza della vita, il mondo, i rapporti sociali, il tessuto sociale e le motivazioni ideologiche hanno subito trasformazioni gigantesche e sono irriducibili a quella concettialita’.
La cultura politica della sinistra è diventata una lente deformante. Non si ha proprio più il senso della realtà. Lo fa perdere. È solo una nicchia di significato fatta di stereotipi, di espressioni da usare per essere riconosciuti nei vari gruppetti, che sono ormai solo sette.
Questa cultura raccoglie tutto il cascame peggiore degli ultimi 50 anni (dalla butler a Zizek, da Foucault a deleuze, dalla società totalmente amministrata alla società della sorveglianza, alla società dello spettacolo). E lo so che dire questo urta, in maniera diversa, ognuno dei miei amici.
Per carità, si tratta di prospettive che raccoglievano scampoli di realtà, ma erano e sono esasperazioni. Potevano essere interpretazioni, spesso azzardate, spesso espressione di sensibilità soggettiva. Invece sono diventati miti, la MITOLOGiA degli intellettuali, entro cui questa strana forma di vita prospera. E per essere un intellettuale devi usare quella terminologia. È una sorta di segno distintivo.
Questa cultura politica, questo cascami all’origine erano tentativi di pensare qualcosa che emergeva e che per esempio il marxismo non captava. Ma col tempo si sono ridotti a chiacchiera. rimasticati sino alla nausea sono diventati la cultura dalla sinistra: unisce TUTTA la sinistra, da quella liberale a quella antagonista a quella complottista e sovranista.
È una rete concettuale rigida, moralistica, che esclude, che traccia i confini tra “i desti e i dormienti”, per chi ricorda ancora un po’ di filosofia antica. Ovviamente il popolo è la massa dei dormienti, dei cerebrolesi, degli amministrati.
Le conseguenze di questa impostazione sono illimitate. Bisognerà sviluppare e decostruire tutta questa articolazione teorica, spezzarne la rigidità. il diamat in confronto era flessibile e articolato, una concezione aperta. La domanda “allora così proponi?” la capisco, ma retorica. Questo è un post non un libro!!!
Si tratta di una cultura fatta di Miti, i miti della sinistra intellettuale. Miti buoni per farci una tesi di laurea, per spararla grossa, per far colpo o fare il ribelle e la rivoluzione in salotto. Ma inutili o dannosi per fare politica, per capire la realtà, per scoprire in essa il possibile, per coglierne il dinamismo. Miti che estraneano dalla vita reale, dalla quotidianità.
Una cultura politica che invece di dare voce al reale vuole imporre la sua, e si arrabbia perché la realtà va da un’altra parte, una cultura che si sente incompresa, troppo alta troppp vera per i dormienti.
Di qui un divorzio tra cultura politica e intellettuali di sinistra e il resto del paese.
Ecco, credo di essermi inimicato tutti. Ma così è chiaro come la penso e faccio sempre a meno di compagni e amici.
Una sola cosa per chiudere: il solito guardiano della legge, ne appare sempre uno ad ogni post, dirà: ecco, allora stai aprendo la strada alla destra, dillo che sei di destra.
Al guardiano della legge rispondo; sto solo cercando di trovare una strada per uscire dal vicolo cieco e dalla morte storica in cui voi e la vostra cultura avete portato il paese.
Perché se siamo dove siamo è perché quella cultura ci ha portati qui. È essa ad essere distruttiva, non chi la critica
Concordo, la parte più vera ed utile dello scritto è quella nella quale Costa ci invita a riconoscere, duramente, che il medesimo è all’opera nella totalità dell’ecomondo connesso con la cultura della sinistra. E quindi, attenzione, anche con chi di sinistra magari non si è mai sentito, ma l’ha assorbita dalle moltissime strade e vicoletti che ha attraversato – i film, la musica, i romanzi, la pubblicità. Soprattutto musica e pubblicità, le cose che meno si vedono come costrutti ideologici e che sono, al contrario, i più forti.
Ovvero che quella nicchia di significati, come dice Costa, è presente ed inaggirata nella sinistra liberale, in quella ‘antagonista’, in quella ‘sovranista’ (anche se si sente di destra, o ‘oltre la destra e la sinistra’) nella radice stessa del ‘complottismo’ (antico fenomeno, praticamente senza tempo, contemporaneamente sentiero di montagna per i dispersi e labirinto del minotauro, ma senza sassolini).
La presenza nei circoli, ancora più elitari, gergali, infarciti di miti che ‘devono’ essere veri, altrimenti si è fuori, si è ‘dormiente’, che abbiamo (ho) frequentato per anni è ciò che mi ha allontanato. O meglio, il motivo (non l’unico, ma quello rilevante) per cui ho lasciato la carovana andare e mi sono seduto sul ciglio del sentiero, su una pietra.
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Bene, Vincenzo Costa accusa il sessantotto, con ottime ragioni, e nomina autori che hanno grandi colpe (soprattutto i contemporanei), perché hanno esasperato alcuni concetti per stare nel loro tempo, autori che voleva finalmente seppellire Marx e il “moderno”, per liberare l’energia del tempo (di anni nei quali, io ricordo perché avevo venti anni quando quello spirito è calato a terra e si è fatto mondo, una sorta di sottile euforia per la tecnica, mista a paura e senso di soffocamento per il ‘vecchio’ che la ingabbiava, pervadeva tutto). La loro filosofia raccoglieva uno ‘scampolo’ e lo faceva tutto, ma era certo una esasperazione. Passati quaranta anni, o cinquanta, è il mito intorno a cui ci si raccoglie, il totem di danza.
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Ma, io temo, è il totem sia della destra, sia della sinistra, sia dei clan ‘oltre la destra e la sinistra’. Almeno ne è la parte essenziale, poi qualche animale scolpito è diverso, qualche colore è diverso, ma la struttura è quella. Temo si debba andare molto in fondo, molto sotto. E’ qualcosa che condivide tutto l’occidente collettivo (come ci chiamano i cinesi).
Siamo all’ultimo atto delle primarie repubblicane. Con esso la componente neocon del partito è praticamente scomparsa e destinata ad un ruolo irrilevante. Rimane l’arma dei finanziamenti, necessaria a catturare i favori del voto di opinione attraverso i canali mediatici. Ridefiniti i rapporti di forza interni al partito, il confronto e lo scontro politico si manifesterà sempre più all’interno della componente trumpiana. Non tarderanno ad emergere, tanto più che parallelamente prosegue inesorabile il duello giudiziario in grado di alterare pesantemente i possibili equilibri e di compromettere sempre più la credibilità delle istituzioni americane, in primo luogo quelle preposte alla sicurezza e all’ordine pubblico. Nel frattempo almeno una parte del gap tecnologico statunitense in alcuni settori del complesso militare sembra colmato. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Dal punto di vista statunitense la 4a sarebbe la più conveniente e sostenibile, ma anche la più rischiosa. Tutto dipenderebbe dalle garanzie di fedeltà tedesche. Giuseppe Germinario
Quattro possibili assetti futuri per l’alleanza transatlantica.
In un mondo in costante cambiamento, spicca la resistenza della partnership transatlantica. La NATO è più vecchia di me e non sono un giovane. È in circolazione da più tempo di quanto la regina Elisabetta II abbia regnato in Gran Bretagna. La sua logica originale – ” tenere fuori l’Unione Sovietica, dentro gli americani e giù i tedeschi” – è meno rilevante di quanto non lo fosse un tempo (nonostante la guerra della Russia in Ucraina), ma suscita ancora riverenza riflessiva su entrambe le sponde dell’Atlantico . Se sei un aspirante politico che spera di lasciare il segno a Washington, Berlino, Parigi, Londra, ecc., imparare a lodare le virtù durature della NATO è ancora la mossa intelligente per la carriera.
Questa longevità è particolarmente notevole se si considera quanto è cambiato da quando è stata costituita la NATO e l’idea di una “comunità transatlantica” ha cominciato a prendere forma. Il Patto di Varsavia è finito e l’Unione Sovietica è crollata. Gli Stati Uniti hanno trascorso più di 20 anni combattendo guerre costose e senza successo nel grande Medio Oriente . La Cina è passata da una nazione impoverita con poco peso globale al secondo paese più potente del mondo, ei suoi leader aspirano a un ruolo globale ancora più grande in futuro. Anche la stessa Europa ha subito profondi cambiamenti: cambiamenti demografici, ripetute crisi economiche, guerre civili nei Balcani e, nel 2022, una guerra distruttiva che sembra destinata a continuare per qualche tempo.
A dire il vero, la “partenariato transatlantico” non è stata del tutto statica. La NATO ha aggiunto nuovi membri nel corso della sua storia, a cominciare dalla Grecia e dalla Turchia nel 1952, seguite dalla Spagna nel 1982, poi da una raffica di ex alleati sovietici a partire dal 1999 e, più recentemente, dalla Svezia e dalla Finlandia. Anche la distribuzione degli oneri all’interno dell’alleanza ha oscillato, con la maggior parte dell’Europa che ha ridotto drasticamente i propri contributi alla difesa dopo la fine della Guerra Fredda. La NATO ha anche subito vari cambiamenti dottrinali, alcuni dei quali più consequenziali di altri.
Vale quindi la pena chiedersi quale forma dovrebbe assumere in futuro il partenariato transatlantico. Come dovrebbe definire la sua missione e distribuire le sue responsabilità? Come con un fondo comune di investimento, il successo passato non è garanzia di prestazioni future, motivo per cui i gestori di portafoglio intelligenti che cercano i migliori rendimenti regoleranno le attività di un fondo al variare delle condizioni. Dati i cambiamenti passati, gli eventi attuali e le probabili circostanze future, quale visione ampia dovrebbe plasmare la partnership transatlantica in futuro, supponendo che continui ad esistere?
Mi vengono in mente almeno quattro modelli distinti per il futuro.
Modello 1: Business as usual
Un approccio ovvio – e data la rigidità burocratica e la cautela politica, forse il più probabile – è quello di mantenere più o meno intatte le attuali disposizioni e cambiare il meno possibile. In questo modello, la NATO rimarrebbe principalmente focalizzata sulla sicurezza europea (come suggerisce l’espressione “Nord Atlantico” nel suo nome). Gli Stati Uniti rimarrebbero il “primo soccorritore” dell’Europa e il leader incontrastato dell’alleanza, come lo è stato durante la crisi ucraina. La condivisione degli oneri sarebbe ancora distorta: le capacità militari americane continuerebbero a sminuire le forze militari europee e l’ombrello nucleare statunitense coprirebbe ancora gli altri membri dell’alleanza. La missione “fuori area” sarebbe sminuita a favore di una rinnovata attenzione all’Europa stessa, una decisione che ha senso alla luce dei risultati deludenti delle passate avventure della NATO in Afghanistan, Libia e i Balcani.
Ad essere onesti, questo modello ha alcune ovvie virtù. È familiare e mantiene il “ciuccio americano” d’Europaa posto. Gli stati europei non dovranno preoccuparsi dei conflitti che insorgono tra di loro finché lo zio Sam sarà ancora lì per fischiare e sciogliere le liti. I governi europei che non vogliono tagliare i loro generosi welfare state per pagare i costi del riarmo saranno felici di lasciare che lo zio Sam si occupi di una quota sproporzionata dell’onere, e i paesi più vicini alla Russia saranno particolarmente desiderosi di una forte garanzia di sicurezza degli Stati Uniti. Avere un chiaro leader dell’alleanza con capacità sproporzionate faciliterà un processo decisionale più rapido e coerente all’interno di quella che altrimenti potrebbe essere una coalizione ingombrante. Quindi, ci sono buone ragioni per cui gli atlantisti irriducibili lanciano l’allarme ogni volta che qualcuno propone di manomettere questa formula.
Tuttavia, il modello business-as-usual presenta anche alcuni seri svantaggi. Il più ovvio è il costo opportunità: mantenere gli Stati Uniti come primo interlocutore dell’Europa rende difficile per Washington dedicare tempo, attenzione e risorse sufficienti all’Asia, dove le minacce agli equilibri di potere sono significativamente maggiori e l’ambiente diplomatico è particolarmente complicato . Un forte impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa può smorzare alcune potenziali cause di conflitto lì, ma non ha impedito le guerre nei Balcani negli anni ’90 e lo sforzo guidato dagli Stati Uniti per portare l’Ucraina nell’orbita di sicurezza occidentale ha contribuito a provocare la guerra in corso. Questo non è ciò che qualcuno in Occidente intendeva, ovviamente, ma i risultati sono ciò che conta. I recenti successi dell’Ucraina sul campo di battaglia sono estremamente gratificanti e spero che continuino, ma sarebbe stato molto meglio per tutti gli interessati se la guerra non si fosse verificata affatto.
Inoltre, il modello business-as-usual incoraggia l’Europa a rimanere dipendente dalla protezione europea e contribuisce a un generale compiacimento e mancanza di realismo nella conduzione della politica estera europea. Se sei sicuro che la potenza più potente del mondo salterà dalla tua parte non appena inizieranno i problemi, è più facile ignorare i rischi di essere eccessivamente dipendenti dalle forniture energetiche straniere e eccessivamente tolleranti verso l’autoritarismo strisciante più vicino a casa. E sebbene quasi nessuno voglia ammetterlo, questo modello ha il potenziale per trascinare gli Stati Uniti in conflitti periferici che potrebbero non essere sempre vitali per la sicurezza o la prosperità degli stessi Stati Uniti. Per lo meno, il business as usual non è più un approccio che dovremmo approvare acriticamente.
Modello 2: Democrazia Internazionale
Un secondo modello per la cooperazione transatlantica in materia di sicurezza mette in evidenza il carattere democratico condiviso di (la maggior parte) dei membri della NATO e il crescente divario tra democrazie e autocrazie (e soprattutto Russia e Cina). Questa visione è alla base degli sforzi dell’amministrazione Biden di enfatizzare i valori democratici condivisi e il suo desiderio apertamente dichiarato di dimostrare che la democrazia può ancora superare l’autocrazia sulla scena globale. La Fondazione Alliance of Democracies dell’ex segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen riflette una concezione simile.
A differenza del modello business-as-usual, incentrato principalmente sulla sicurezza europea, questa concezione del partenariato transatlantico abbraccia un’agenda globale più ampia. Concepisce la politica mondiale contemporanea come una contesa ideologica tra democrazia e autocrazia e crede che questa lotta debba essere condotta su scala globale. Se gli Stati Uniti sono “perno” verso l’Asia, allora anche i suoi partner europei devono farlo, ma allo scopo più ampio di difendere e promuovere i sistemi democratici. Coerentemente con questa visione, la nuova strategia indo-pacifica della Germania richiede di rafforzare i legami con le democrazie di quella regione e il ministro della Difesa tedesco ha recentemente annunciato una presenza navale ampliata anche lì nel 2024.
Questa visione ha il merito della semplicità – democrazia buona, autocrazia cattiva – ma i suoi difetti superano di gran lunga le sue virtù. Tanto per cominciare, un tale quadro complicherà inevitabilmente le relazioni con le autocrazie che gli Stati Uniti e/o l’Europa hanno scelto di sostenere (come l’Arabia Saudita o le altre monarchie del Golfo, o potenziali partner asiatici come il Vietnam), ed esporrà il convivenza con l’accusa di dilagante ipocrisia. In secondo luogo, dividere il mondo in democrazie amichevoli e dittature ostili è destinato a rafforzare i legami tra queste ultime e a scoraggiare le prime dal giocare divide et impera. Da questo punto di vista, dovremmo essere lieti che l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon e il suo consigliere Henry Kissinger non abbiano adottato questa struttura nel 1971, quando il loro riavvicinamento con la Cina maoista diede al Cremlino un nuovo mal di testa di cui preoccuparsi.
Infine, mettere i valori democratici in primo piano e al centro rischia di trasformare la partnership transatlantica in un’organizzazione crociata che cerca di impiantare la democrazia ovunque sia possibile. Per quanto desiderabile tale obiettivo possa essere in astratto, gli ultimi 30 anni dovrebbero dimostrare che nessun membro dell’alleanza sa come farlo in modo efficace. Esportare la democrazia è estremamente difficile da fare e di solito fallisce, specialmente quando gli estranei cercano di imporla con la forza. E dato il precario stato di democrazia in alcuni degli attuali membri della NATO, adottare questa come la principale ragion d’essere dell’alleanza sembra estremamente donchisciottesco.
Modello 3: Globalizzazione contro la Cina
Il Modello 3 è un cugino stretto del Modello 2, ma invece di organizzare le relazioni transatlantiche attorno alla democrazia e ad altri valori liberali, cerca di coinvolgere l’Europa nel più ampio sforzo degli Stati Uniti per contenere una Cina in ascesa. In effetti, cerca di unire i partner europei multilaterali dell’America con gli accordi bilaterali hub-and-spoke che già esistono in Asia e portare il potenziale di potere dell’Europa contro l’unico serio concorrente che gli Stati Uniti probabilmente dovranno affrontare per molti anni venire.
A prima vista, questa è una visione allettante e si potrebbe indicare l’accordo AUKUS tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia come una sua prima manifestazione. Come ha osservato di recente Michael Mazarr della Rand Corp. , ci sono prove crescenti che l’Europa non vede più la Cina semplicemente come un mercato redditizio e un partner di investimento prezioso, e sta iniziando a “bilanciare dolcemente” contro di essa. Da una prospettiva puramente americana, sarebbe altamente auspicabile che il potenziale economico e militare dell’Europa si schierasse contro il suo principale sfidante.
Ma ci sono due problemi evidenti con questo modello. In primo luogo, gli stati si bilanciano non solo con il potere, ma con le minacce e la geografia gioca un ruolo fondamentale in tali valutazioni. La Cina può essere sempre più potente e ambiziosa, ma il suo esercito non marcerà attraverso l’Asia e colpirà l’Europa, e la sua marina non navigherà per il mondo e bloccherà i porti europei. La Russia è molto più debole della Cina ma molto più vicina, e il suo comportamento recente è preoccupante anche se le sue azioni hanno inconsapevolmente rivelato i suoi limiti militari. Ci si dovrebbe quindi aspettare il più morbido bilanciamento morbido dall’Europa e non uno sforzo serio per contrastare le capacità della Cina.
I membri europei della NATO non hanno la capacità militare di influenzare in modo significativo l’equilibrio di potere nella regione indo-pacifica ed è improbabile che la acquisiscano presto. La guerra in Ucraina potrebbe portare gli stati europei a prendere sul serio la ricostruzione delle loro forze militari, finalmente, ma la maggior parte dei loro sforzi andrà ad acquisire capacità di terra, aria e sorveglianza progettate per difendere e scoraggiare la Russia. Ciò ha senso dal punto di vista dell’Europa, ma la maggior parte di queste forze sarebbe irrilevante per qualsiasi conflitto che coinvolga la Cina. L’invio di alcune fregate tedesche nella regione indo-pacifica può essere un bel modo per segnalare l’interesse dichiarato della Germania per l’ambiente di sicurezza in evoluzione lì, ma non altererà l’equilibrio di potere regionale o farà molta differenza nei calcoli della Cina.
L’Europa può aiutare a bilanciare la Cina in altri modi, ovviamente, aiutando ad addestrare forze militari straniere, vendendo armi, partecipando a forum di sicurezza regionali, ecc., e gli Stati Uniti dovrebbero accogliere favorevolmente tali sforzi. Ma nessuno dovrebbe contare sull’Europa per fare molto duro bilanciamento nel teatro indo-pacifico. Cercare di mettere in atto questo modello è una ricetta per la delusione e un aumento del rancore transatlantico.
Modello 4: una nuova divisione del lavoro
Sapevi che sarebbe arrivato: il modello secondo me è quello giusto. Come ho affermato in precedenza (incluso più recentemente qui in Foreign Policy ), il modello futuro ottimale per la partnership transatlantica è una nuova divisione del lavoro, con l’Europa che si assume la responsabilità primaria della propria sicurezza e gli Stati Uniti che dedicano molta più attenzione nella regione indo-pacifica. Gli Stati Uniti rimarrebbero un membro formale della NATO, ma invece di essere il primo soccorritore dell’Europa, diventerebbero il loro alleato di ultima istanza. D’ora in poi, gli Stati Uniti avrebbero pianificato di tornare a terra in Europa solo se l’equilibrio di potere regionale si fosse eroso in modo drammatico, ma non altrimenti.
Questo modello non può essere implementato dall’oggi al domani e dovrebbe essere negoziato in uno spirito di cooperazione, con gli Stati Uniti che aiutano i loro partner europei a progettare e acquisire le capacità di cui hanno bisogno. Poiché molti di questi stati faranno tutto ciò che è in loro potere per convincere lo zio Sam a restare, tuttavia, Washington dovrà chiarire che questo è l’unico modello che sosterrà in futuro. A meno che e fino a quando i membri europei della NATO non crederanno davvero che staranno per lo più da soli, la loro determinazione a intraprendere le misure necessarie rimarrà fragile e ci si può aspettare che si ritiri nei loro impegni.
A differenza di Donald Trump, la cui spavalderia e magniloquenza durante il suo periodo come presidente degli Stati Uniti ha infastidito gli alleati inutilmente, il suo successore Joe Biden è in una posizione ideale per avviare questo processo. Ha una meritata reputazione di atlantista devoto, quindi spingere per una nuova divisione del lavoro non sarebbe visto come un segno di risentimento o irritazione. Lui e il suo team sono in una posizione unica per dire ai nostri partner europei che questo passo è nell’interesse a lungo termine di tutti. Intendiamoci, non mi aspetto davvero che Biden & Co. faccia questo passo , per ragioni che ho spiegato altrove , ma dovrebbero.
Finalmente Svezza l’Europa al largo di Washington
Di Stephen M. Walt
Quando la politica estera ha chiesto per la prima volta l’impatto della guerra in Ucraina sulla strategia degli Stati Uniti cinque mesi fa, ho sostenuto che l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia era un’opportunità ideale per avviare il processo di svezzamento degli alleati europei degli Stati Uniti dalla loro eccessiva dipendenza dalla protezione degli Stati Uniti. Semmai, da allora la tesi per una nuova divisione del lavoro si è rafforzata.
La guerra ha dimostrato che l’hard power conta ancora nel 21° secolo, ha messo in luce le carenze militari dell’Europa, ha sottolineato sottilmente i limiti dell’impegno degli Stati Uniti e ha rivelato i limiti militari duraturi della Russia. Ricostruire le difese dell’Europa richiederà tempo e denaro, ma fare in modo che l’Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria difesa consentirà agli Stati Uniti di spostare maggiori sforzi e attenzione sull’Asia per affrontare le numerose sfide poste da una Cina più potente e assertiva.
Sfortunatamente, l’amministrazione Biden sta ignorando queste implicazioni e sta rafforzando la dipendenza europea dallo Zio Sam. Se questo corso continua, gli Stati Uniti rimarranno sovraccarichi e la loro capacità di bilanciare efficacemente la Cina ne risentirà.
Cosa è successo negli ultimi cinque mesi per sostenere la tesi dello svezzamento dell’Europa da Washington?
La tesi per una nuova divisione del lavoro tra Stati Uniti ed Europa si è rafforzata solo dall’inizio della guerra.
In primo luogo, le prestazioni militari della Russia non sono migliorate in modo significativo e le sue forze armate continuano a subire perdite sostanziali. Anche se il maggiore potere latente di Mosca le consentirà di ottenere una sorta di vittoria di Pirro in Ucraina, la sua capacità di minacciare il resto dell’Europa in futuro sarà minima. La Russia ha perso una parte considerevole delle sue armi più sofisticate e della sua forza lavoro militare meglio addestrata. Le sanzioni occidentali hanno danneggiato in modo significativo la sua economia. Le restrizioni alle esportazioni renderanno molto più difficile l’acquisizione da parte dell’industria della difesa russa dei semiconduttori avanzati e altre tecnologie che richiedono armi all’avanguardia. Nel tempo, gli sforzi europei per ridurre la dipendenza dal petrolio e dal gas russi priveranno Mosca delle entrate e ostacoleranno ulteriormente la sua capacità di ricostruire le sue forze militari una volta che i combattimenti in Ucraina saranno finiti.
In secondo luogo, Svezia e Finlandia sono state accolte nella NATO. A differenza di altri nuovi membri del blocco, entrambi i paesi hanno potenti forze militari e il loro ingresso complica enormemente la pianificazione della difesa russa, trasformando il Mar Baltico in un lago virtuale della NATO. Questo inclina gli equilibri di potere in Europa in modo ancora più decisivo a favore della NATO.
Terzo, gli eventi in Asia, come le vaste esercitazioni militari cinesi seguite alla recente visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan, hanno sottolineato il ruolo centrale del potere statunitense nel preservare un favorevole equilibrio di potere in Asia. Se impedire l’emergere di un egemone rivale in una regione strategica vitale rimane un principio cardine della grande strategia statunitense, allora è essenziale orientarsi verso l’Asia, indipendentemente da ciò che accade in Ucraina.
Sfortunatamente, l’amministrazione Biden potrebbe ora ripetere gli stessi errori che in passato hanno incoraggiato i partner europei di Washington a trascurare le proprie capacità di difesa. Gli Stati Uniti si sono assunti la responsabilità primaria di armare, addestrare, sovvenzionare e consigliare l’Ucraina. A febbraio, l’amministrazione ha annunciato il dispiegamento a tempo indeterminato di 20.000 truppe americane aggiuntive in Europa, con l’aggiunta di altre nuove forze a giugno. Non sorprende che la determinazione europea a fare di più stia svanendo e le abitudini radicate nel free-riding stiano riemergendo. L’imminente recessione europea non farà che esacerbare queste tendenze, mettendo in dubbio le audaci promesse che la Germania e altri stati europei hanno fatto alcuni mesi fa.
Se questa tendenza non viene invertita, Washington si ritroverà a fare più del necessario in Europa ma non abbastanza in Asia. Per la grande strategia statunitense, sarebbe un errore fondamentale.
Stephen M. Walt è editorialista di Foreign Policy e Robert e Renée Belfer professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.
Il Governo Draghi volge al tramonto; forse ad un possibile, anche se improbabile ritorno, quantomeno nelle attuali spoglie. L’importanza degli atti di questo governo dimissionario, in piedi per le sole funzioni ordinarie, è analoga, se non addirittura più dirompente, rispetto alla fase di pieno esercizio. Il merito delle azioni politiche si discosta sempre più dal rispetto delle forme giuridiche. E’ un segno tipico della crisi e della decadenza di una forma istituzionale e dell’ingresso definitivo in una condizione di emergenza tanto strisciante ed inquietante, quanto surrettizia e non dibattuta. Il recente decreto del 9 settembre sui poteri straordinari del capo di governo è il frutto più avvelenato di questo contesto. Non sarà l’ultimo; è semplicemente propedeutico. Un ceto politico e una classe dirigente di inetti, succubi e vili pronti a trascinare un intero paese verso il disastro senza colpo ferire e ad annichilire ogni capacità di reazione e di consapevolezza. Una èlite che per garantire la propria sopravvivenza non esita a fare il vuoto intorno a sé. Non riesce a far altro che proporre le ennesime false alternative e bruciarle in tempi sempre più ristretti, inquadrandoli in un percorso già segnato nel quale i neofiti del prossimo governo non vedono l’ora di incanalarsi beatamente. All’esterno del cerchio magico, un quadro altrettanto sconfortante con qualche barlume di lucidità, subito piegato, però, dalla logica delle rivalse e della ghettizzazione politica. Un appello alla nazione che paradossalmente si rivolge ad una fazione. Ne parleremo dopo le elezioni. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Giudizi dall’altro campo, ma che in buona parte coincidono con quelli dei dirimpettai. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Durante la seconda guerra mondiale, bisognava dire solo “la guerra” perché gli altri sapessero di cosa si stava discutendo. Siamo arrivati allo stesso punto con la guerra russo-ucraina. Questo non è ciò che i russi si aspettavano che accadesse. Si aspettavano che la guerra finisse rapidamente perché consideravano i loro militari evidentemente superiori a ciò che gli ucraini avrebbero messo in campo. Poche nazioni iniziano una guerra presumendo che perderanno. Iniziano guerre con la stessa aspettativa: colpisci duro e torna a casa per Natale. Ma la storia del mondo è piena di storie di grandi eserciti e guerrieri che combattono battaglie lunghe e disperate. E la storia della guerra è piena di esempi di fiducia che incontrano la realtà.
Non è affatto chiaro quale sarà il risultato finale. L’offensiva russa iniziale si concluse con un fallimento, non tanto a causa delle forze ucraine, per quanto coraggiose potessero essere state, quanto a causa di una strategia russa poco sviluppata, che portò a carenze di rifornimenti e fallimenti di comando. I russi si raggrupparono, concentrandosi su avanzamenti più modesti nell’aspettativa che nel tempo avrebbero spezzato le forze ucraine e occupato, se non tutta l’Ucraina, almeno una parte sostanziale di essa.
Gli ucraini non si sono spezzati. Le guerre sono combattute dai soldati, ma sono anche combattute con armi e intelligenza. Anche i soldati coraggiosi fallirebbero senza questo e altro materiale. È qui che i russi hanno sperimentato il proprio fallimento dell’intelligence. Sapevano che gli Stati Uniti avevano la capacità di schierare armi di livello mondiale, ma credevano che il dispiegamento avrebbe richiesto tempo. Quindi doveva essere una guerra breve, e quando non riuscirono a ottenere una rapida vittoria, gli ucraini furono armati con una straordinaria gamma di armi all’avanguardia, consegnate in numero e tipo in espansione, con perdite sostituite.
Gli Stati Uniti hanno guadagnato tempo affinché l’esercito ucraino si evolvesse dalla forza di fanteria leggera che iniziò la guerra in un esercito che assomigliava, per molti versi, a una grande potenza. I sistemi antiaerei costrinsero i russi a prestare attenzione, i sistemi anti-corazza li indussero a concentrarsi sul movimento di fanteria e l’artiglieria americana significava che gli ucraini potevano vincere duelli di artiglieria. Il presidente russo Vladimir Putin in diverse occasioni ha affermato che la guerra non era contro l’Ucraina ma contro gli Stati Uniti. In un certo senso aveva ragione, anche se lo intendeva solo come propaganda.
Tutto ciò è vero e fuorviante. La guerra non è finita e l’Ucraina non ha vinto, sebbene i recenti progressi siano significativi. Nessuno avrebbe creduto che l’Ucraina potesse sopravvivere all’assalto russo nei primi mesi. Ma lo ha fatto. I russi riorganizzarono la loro struttura di comando, introdussero armature superiori e imposero una dura disciplina alle loro truppe. Hanno pagato un prezzo sbalorditivo, ma col tempo hanno ridefinito la guerra.
Ora devono ritrovare il loro equilibrio. Da un lato, sono in condizioni di gran lunga migliori rispetto al 1941. La sconfitta definitiva è molto improbabile e possono scegliere il momento e il luogo per attaccare da un ampio menu. D’altra parte, sono in condizioni molto peggiori. Non sono in una lotta per la vita o la morte contro un nemico mostruoso. Le truppe non stanno difendendo le loro mogli e i loro genitori da destini indicibili. I soldati non sono consegnati alla propria morte. Ma a volte può distruggere un esercito per combattere per fini che non sono personali per i soldati. Buttare via i loro fucili non è un affronto alle loro famiglie.
I russi stanno comunque combattendo con tutto questo in mente. Non stanno semplicemente combattendo per posticipare l’inevitabile perché più a lungo dura una guerra, maggiore è il prezzo che pagano i leader. Putin non può permettersi di perdere questa guerra, né i tanti altri che hanno contribuito a pianificarla. Quindi, prima di festeggiare, ucraini e americani devono calcolare la loro prossima mossa, partendo dal presupposto che la prossima mossa della Russia sia il collasso o la capitolazione, entrambi improbabili.
Una cosa su cui i russi potrebbero contare è un inverno molto freddo in Europa, che potrebbe portare alla capitolazione europea. Ma in questa fase della guerra non importa molto. Il sostegno dell’Europa è incoraggiante ma ha un significato militare minimo. Gli Stati Uniti e l’Ucraina non smetteranno di combattere per mantenere l’Europa in guerra.
Un’altra strategia che i russi potrebbero tentare è chiedere aiuto alla Cina. Ma sono già alleati con la Cina e la Cina non si è mossa per aiutare. La Cina potrebbe supportare solo un piccolo contingente in Ucraina, che dovrebbe rifornire a causa dei limiti russi. La Cina è anche consapevole della guerra economica che gli Stati Uniti stanno conducendo contro la Russia e, data la propria condizione economica, la Cina non vuole affrontarla.
Una terza strategia potrebbe essere quella di negoziare la pace. Ma i russi non possono tornare al confine russo con nient’altro che soldati morti a dimostrarlo. Gli ucraini non cederanno parte del loro paese, considerando qualsiasi insediamento come temporaneo. Un negoziato da entrambe le parti sarebbe ora una capitolazione.
La quarta strategia è l’unica che sembra una reale possibilità. Una parte deve sconfiggere l’altra. Nessuna delle parti può permettersi il costo del fallimento di un simile attacco. Il vantaggio russo è la manodopera. Ci sono rapporti da più fonti, comprese quelle americane, di un gran numero di truppe russe che si addestrano nell’Estremo Oriente russo. I russi hanno bisogno di più truppe, quindi questi rapporti sono credibili. La Russia non ha intenzione di sconfiggere un esercito armato di armi americane con il numero di forze che ha schierato finora. I russi devono scegliere se attaccare con una forza schiacciante o perdere la guerra. Sceglieranno il primo.
I russi sono protetti da una realtà politica e militare. Gli Stati Uniti non sono interessati a colpire direttamente la Russia, né con armi convenzionali né con armi nucleari. La Russia può rispondere. Nessuna delle parti vuole una guerra russo-americana diretta. I rinforzi possono essere colpiti all’attraversamento dell’Ucraina, ma i russi invieranno un gran numero di tirocinanti perché sono inevitabili pesanti perdite in ogni fase.
Finché Putin sarà presidente, sarà fatto ogni sforzo per vincere, perché non può permettersi niente di meno della vittoria. E non vedo altre possibili strategie se non quella della manodopera, che presumo accadrà molto presto o dopo l’inverno. Non mi sembra che le attuali forze schierate dalla Russia possano fare di più che mantenere alcune aree. Ci deve essere un rinforzo. Putin potrebbe avere altre strategie, ma sono difficili da immaginare.
Scrivo queste brevi note dopo aver letto accurate analisi compiute da esperti indipendenti sull’offensiva ucraina nell’oblast di Kharkiv.
Come sempre quanto scrivo è a scopo divulgativo, i dati indicati non hanno valenza tecnica, sono ponderati in base a quanto letto finora di attendibile, non certo tramite i media mainstream che fanno solo propaganda e tantomeno da fonti ucraine che sono totalmente inattendibili. Anche quelle russe vanno prese con grano salis, anche se occorre riconoscere che generalmente sono improntate a discrezione e riservatezza nel riportare i dati inerenti i colpi inferti al nemico, non vantandosene o gonfiandone l’entità come fanno abitualmente le fonti ucraine, che esagerano in maniera persino patetica e puerile, fino ad inventarsi successi bellici inesistenti.
Ci sarebbe da scrivere per ore, ma voglio essere estremamente sintetico, quindi riporto solo l’essenziale.
In seguito a quest’offensiva le forze armate ucraine hanno riconquistato circa 2000 kmq di territorio occupato dai russi nell’oblast di Kharkiv (nell’impeto dell’entusiasmo la cifra è già salita in alcune fonti ucraine a 5000 kmq, sapete come vanno queste cose, quando si sniffa troppo per l’entusiasmo!) e si rileva che la Russia ha perso molte attrezzature militari che ha dovuto abbandonare durante la ritirata.
Preciso che si è trattata di ritirata non di disfatta, le parole hanno un peso e devono soprattutto averlo e mantenerlo durante una guerra. Le perdite russe sono state modeste, i comandi militari preferiscono ritirarsi e perdere territori e armamenti piuttosto che vite umane preziose di soldati, a differenza del regime di Kiev che non esita a mandare a morte i propri soldati ANCHE SOLO PER ESIGENZE POLITICHE DI PROPAGANDA, infatti durante l’offensiva le perdite ucraine sono state molto elevate.
A tal proposito è bene precisare che in un paio di settimane di combattimenti, tra la fine di agosto e la prima decade di settembre, durante la fallito offensiva nell’oblast di Cherson, poi trasformata ad arte in “diversivo” dalla propaganda occidentale di cui avremo modo di parlarne in altri articoli, e quella successiva e vittoriosa a Kharkiv l’Ucraina ha perso tra gli 8000 e i 10mila mila soldati, intendo proprio morti, e come minimo il doppio sono rimasti feriti più a meno gravemente (generalmente i feriti dopo una cruenta battaglia sono dal doppio al triplo rispetto ai morti).
Nei sei mesi precedenti i regime di Kiev ne aveva già persi, tra morti feriti e prigionieri, circa 250mila (secondo fonti del Pentagono), su un esercito che stime realistiche compiute da esperti militari valutavano in 600mila (le cifre che sentite di due milioni sono pura propaganda), quindi siamo alla metà circa.
Qualsiasi paese civile e responsabile con un 50% di perdite si sarebbe già arreso, ma non l’Ucraina, per diversi motivi, il principale è che vive ormai esclusivamente di economia di guerra, finanziata dall’Occidente, USA e UK e UE in primis.
L’Ucraina non è solo sostenuta dalla NATO ma la NATO PARTECIPA IN PRIMA PERSONA ALLA GUERRA, con migliaia di uomini in divisa ucraina e decine di migliaia di attrezzature belliche fornite in continuazione, armi sempre più letali e in gradi colpire a distanza, in genere queste ultime vengono usate contro obiettivi civili e non militari, per terrorizzare e punire, come ritorsione contro la popolazione filorussa, considerata collaborazionista e nemica dai nazisti di Kiev. Ecco perché la popolazione delle aree riconquistate fuggono insieme coi militari russi, per evitare di fare una brutta fine,
Questa è la verità dei fatti, gli ucraini si limitano a fornire carne da cannone. anche se parecchie centinaia di soldati NATO muoiono anch’essi tra le fila dei combattenti, ma in proporzione di 1 a 100 rispetto agli ucraini. Sono gli ucraini che si stanno facendo massacrare, anche quando gridano vittoria, l’hanno pagata a caro prezzo.
Le guerre si devono valutare soprattutto dal punto di vista delle forze in campo e della disponibilità di armi e munizioni e da questo punto di vista la guerra di logoramento che entrambi gli schieramenti volevano attuare, volge indubbiamente a favore della Russia, anche dopo il successo dell’offensiva ucraina a Kharkiv.
La NATO non mollerà mai e proseguirà ad libitum (fino all’ultimo ucraino, non era solo uno slogan), ma come arsenali da mettere in campo è agli sgoccioli, l’UE non supererà l’inverno dovendo gestire molto probabilmente vere e proprie sommosse popolari, perché il malcontento esploderà sia per il freddo che per le bollette esorbitanti da pagare oltre al resto dell’inflazione che colpisce anche generi di prima necessità. I governi europei non reggeranno a lungo,
Inoltre, com’era prevedibile, la Russia sarà meno moderata nel colpire, non combatterà più in stile cavalleresco con particolare riguardo ai civili, i bombardamenti saranno più intensi e feroci, gli ucraini si devono preparare a un inverno al freddo e senza corrente elettrica, senza mezzi di sussistenza, nella miseria più assoluta, e l’Occidente non potrà aiutarli perché sarà messa male per conto suo. Pare che i russi abbiano già colpito, nelle ore appena precedenti la stesura di questo scritto, diverse centrali elettriche e infrastrutture ucraine e continueranno a farlo fino a ridurre il paese in una totale dipendenza dagli aiuti esterni, peggiorando in tal modo la situazione (già tragica) per tutti paesi complici di Kiev.
Le guerre non si vincono solo con la propaganda o con qualche incursione di successo per rioccupare momentaneamente delle porzioni di territorio per quanto vaste. Queste sono vittorie effimere che servono solo alla propaganda e per motivare gli stolti a combattere e continuare a offrirsi come carne da cannone. Quando i russi inizieranno a fare sul serio, la propaganda potrà solo tacere per lo sgomento o urlare contro i cattivi russi che infieriscono sui poveri ucraini nazisti, parassiti e corrotti che hanno portato la loro nazione alla distruzione totale. Come fecero Hitler e i nazisti con la Germania nella metà degli anni ‘40.
Nel frattempo un’intera armata russa ha oltrepassato il confine ed è penetrata nel Donbass posizionandosi attorno ai territori riconquistati dagli ucraini. Altri 10mila guerrieri ceceni, guerrieri e non soldati, perché i ceceni è da secoli che sanno combattere come sanno respirare, stanno confluendo nel Donbass. Nel frattempo in Russia sono stati reclutati altri 135mila soldati per rinforzare le forze armate. E non è stata ancora avviata la mobilitazione generale, perché significherebbe passare dallo stato di OPERAZIONE MILITARE SPECIALE allo STATO DI GUERRA TOTALE.
Se non fosse chiaro questo concetto, se questo temuto passaggio avvenisse, significherebbe la completa distruzione dell’UCRAINA e uno scontro diretto con la NATO. Quindi gli sprovveduti che fanno tifo da calcio, tifando per gli ucraini democratici ed eroici, come descritti dai media occidentali, farebbero bene a rinsavire, perché non si sta giocando a Risiko,
i russi fanno sul serio, e se si superano troppe linee rosse poi anche i lobotomizzati e decerebrati che tifano da casa davanti agli schermi televisivi, dovranno fare i conti con le conseguenze vere, reali, di una guerra. E non mi riferisco solo alla chiusura dei rubinetti del gas, al freddo durante l’inverno, ai prezzi alle stelle per l’inflazione, alle bollette stratosferiche per luce e gas, ecc., ma al rischio di sentire vibrare le mura di casa e frantumare i vetri delle finestre per tutti coloro che vivono nei pressi di obiettivi militari e strategici in tutta Europa. Se la cosa vi diverte, proseguite pure col vostro tifo demenziale.
Io sono anziano e dispongo di una formazione storico psicologica e vi assicuro che la situazione è drammatica, soprattutto dopo il trionfalismo ingiustificato montato ad arte dalla propaganda occidentale per questa unica offensiva riuscita in sei mesi di conflitto. Si monteranno la testa e proseguiranno convinti di aver messo in gravi difficoltà la Russia, di essere a un passo dalla vittoria. Del resto coi politicanti che governano l’Europa l’UK e gli USA in questo periodo, dobbiamo aspettarci di tutto, essendo di una supponente e spaventosa ignoranza sfociante in atteggiamenti guerrafondai, tipici di coloro che la guerra l’hanno sempre fatta fare ad altri o non la conoscono minimamente.
Riprendendo la metafora calcistica delle tifoserie, che pare essere appropriata per essere compresa dagli italiani, temo che tra non molto, continuando così, non vi saranno neppure più squadre di calcio per le quali tifare, non ci saranno più gli stadi, non ci sarà la corrente elettrica per far funzionare il televisore per vedere le partite (intendo quelle vecchie registrate), e il rischio è anche che non ci saranno più neppure molti tifosi. Ho reso il quadro della situazione? Dopo di ché se vorrete ancora divertirvi, cercate di fumare roba buona e potente per farvi evadere dalla realtà, perché quest’ultima sarà plumbea oltre ogni più pessimistica immaginazione.
Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato, Italy,
Limitare volontariamente l’operazione speciale della Russia è stato fatto per le giuste ragioni legate a obiettivi umanitari e politici, ma ha inconsapevolmente impedito il successo militare di questa campagna da cui dipende il successo di questi due obiettivi sopra menzionati, rendendo così inevitabile l’esito dello scorso fine settimana.
Il contesto di Kharkov
Il capo della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov ha preso la guida di quelle forze interne che chiedono una politica più energica per sostituire l’operazione militare speciale della Russia in Ucraina dopo la battuta d’arresto che il loro paese ha subito inaspettatamente durante il blitz di Kiev sostenuto dalla NATO nella regione di Kharkov. Ha detto ai suoi seguaci in un messaggio vocale su Telegram che “Se oggi o domani non verranno apportati cambiamenti nella conduzione dell’operazione militare speciale, sarò costretto ad andare dalla leadership del Paese per spiegare loro la situazione sul campo. Non sono uno stratega come quelli del ministero della Difesa. Ma è chiaro che sono stati fatti degli errori. Penso che trarranno alcune conclusioni”.
Le osservazioni di Kadyrov incanalano la frustrazione che molti in tutta la Russia provano dopo quello che è appena successo durante il fine settimana. L’ottica è stata particolarmente dolorosa dopo che il culmine di quella controffensiva si è verificato mentre il presidente Putin ha aperto la ruota panoramica più grande d’Europa poco prima che i fuochi d’artificio illuminassero il cielo della capitale per celebrare la fondazione della città 875 anni fa. Coloro che hanno familiarità con il capolavoro del famoso pittore polacco Jan Matejko “Stańczyk”, che Wikipedia descrive accuratamente come raffigurante un solenne giullare di corte che lamenta la perdita di Smolensk (che con il senno di poi preannunciava conseguenze molto peggiori a venire) mentre la famiglia reale ballava inconsapevolmente tutta la notte, probabilmente sembrava proprio come il suo soggetto.
Briefing di fondo
Per un contesto dettagliato di ciò che è appena accaduto nell’Ucraina nord-orientale e per comprendere meglio il resto del presente articolo, il lettore dovrebbe rivedere l’ultima serie analitica dell’autore a riguardo:
Sarebbe anche d’aiuto se controllassero i suoi cinque pezzi precedenti di seguito che spiegano le varie dimensioni dell’operazione militare speciale in corso della Russia nella vicina ex Repubblica sovietica:
Per semplificare eccessivamente l’essenza dei primi quattro articoli dell’ultima serie analitica dell’autore, una combinazione di gravi carenze di intelligence, pio desiderio e le limitazioni autoimposte all’esercito russo dall’ibrido mandato di operazioni speciali umanitarie e politiche del presidente Putin erano discutibili responsabile della battuta d’arresto appena vissuta durante la controffensiva di Kharkov. Per quanto riguarda gli ultimi cinque pezzi, la loro rilevanza per il presente è che toccano il motivo per cui il leader russo ha limitato la missione della sua potenza mondiale appena restaurata a un’operazione speciale: è contrario alle vittime civili e spera di ricostruire legami storici tra il loro popolo dopo.
Perfetto sulla carta ma controproducente in pratica?
Questa prospettiva era strategicamente valida sulla carta poiché mirava a mitigare i danni collaterali e quindi a mantenere le basi socio-fisiche su cui ricostruire le relazioni russo-ucraine, ma si basava sul fatto che le sue forze raggiungessero e mantenessero il pieno dominio militare sui loro avversari, che alla fine non è successo. Come l’autore ha detto ai media azerbaigiani a luglio, ” Tutti i lati del conflitto ucraino si sottovalutavano a vicenda “. Di pertinenza, la Russia non si aspettava che Kiev militarizzasse illegalmente le aree residenziali e quindi sfruttasse de facto i civili lì come scudi umani per rallentare la sua avanzata come ha recentemente dimostrato Amnesty International, né che la NATO riarmasse in modo così robusto e con successo i suoi delegati.
Rifiutando di eguagliare la dottrina della guerra totale di Kiev nei confronti del conflitto non prendendo di mira le infrastrutture di servizio e i centri di comando che avrebbero potuto paralizzare le sue capacità di riarmo e quindi assicurarne la smilitarizzazione duratura dopo aver distrutto il suo intero complesso militare-industriale entro la fine di marzo per ammissione del suo avversario , la Russia si è inavvertitamente preparata a tutto ciò che è accaduto. Limitare volontariamente la sua operazione speciale è stato fatto per le giuste ragioni legate a obiettivi umanitari e politici, ma ha inconsapevolmente impedito il successo militare di questa campagna da cui dipende il successo di quei due obiettivi sopra menzionati, rendendo così inevitabile l’esito dello scorso fine settimana.
Fodere d’argento
Il fatto stesso che tutto sia arrivato a questo punto drammatico in primo luogo conferma l’osservazione che le azioni militari della Russia nel corso della sua operazione speciale sono state relativamente miti e per nulla vicine a ciò che ci si sarebbe aspettati dagli Stati Uniti durante le proprie campagne . Inoltre, questo autocontrollo conferma che la Russia ha obiettivi socio-economici e politici di vasta portata reciprocamente vantaggiosi che intende avanzare dopo la fine del conflitto e quindi non vuole appiattire l’Ucraina come l’America ha adulato la Jugoslavia, l’Iraq e la Libia. Queste osservazioni complementari quindi screditano la narrativa prevalente dei media mainstream occidentali (MSM) guidati dagli Stati Uniti sulla condotta della Russia.
Le dozzine di partner della Russia attraverso la vasta fascia di umanità conosciuta come il Sud del mondo apprezzano il modo in cui i suoi militari si sono comportati finora, il che spiega perché si stanno tutti radunando attorno ad esso e nessuno di quegli stati ha capitolato di fronte alle pressioni dell’America per sanzionare Mosca. Tuttavia, nonostante rimanga un partner affidabile per aiutare quei paesi a rafforzare le loro capacità di ” sicurezza democratica” e quindi salvaguardare la loro sovranità di fronte ai tentativi degli Stati Uniti di imporre loro la loro egemonia neoimperialista, molti di questi stessi stati e soprattutto le loro società potrebbe ora chiedersi se la Russia abbia in qualche modo perso il suo splendore dopo quello che è appena successo.
L’ingerenza dei media mainstream
Non si può negare che abbia subito una battuta d’arresto durante il fine settimana, una battuta d’arresto del tutto inutile con il senno di poi e in gran parte attribuibile a gravi carenze di intelligence e pio desiderio di alcuni funzionari, il che fornisce una base semi-solida su cui l’MSM può lanciare imminenti operazioni di guerra dell’informazione mirato a indebolire ulteriormente il sostegno alla Russia all’estero. Non solo, questi sforzi perniciosi potrebbero anche avere un impatto plausibile sulla situazione politica interna, in cui l’Occidente guidato dagli Stati Uniti ha sempre cercato di intromettersi per decenni e ha intensificato le sue attività in questo senso senza precedenti subito dopo l’inizio dell’operazione speciale della Russia.
Suggerimenti e critiche costruttive
È quindi fondamentale per la Russia contrastare in modo significativo il cambiamento nelle percezioni (indipendentemente da quanto tali opinioni potrebbero essere attualmente fondate sui fatti) in patria e all’estero sul corso della sua campagna in corso, che è uno degli argomenti più potenti a favore di una politica più politica che sostituisce l’operazione speciale strettamente limitata. A parte gli immediati fattori trainanti del soft power, un tale cambiamento di prospettiva consentirebbe alle forze armate russe di fare ciò che è necessario per raggiungere gli obiettivi militari da cui dipende il successo di quelli umanitari e politici. Alcuni ritengono che continuare a combattere volontariamente con una mano dietro la schiena complichi l’intera campagna di Mosca.
Abbastanza chiaramente, questo approccio ben intenzionato ha almeno indirettamente contribuito alla formazione di Kiev sostenuta dalla NATO in vista della controffensiva di Kharkov, che non avrebbe avuto luogo se le reti di servizi regionali e i centri di comando dell’Ucraina fossero già stati in gran parte inabili o distrutti a lungo fa all’inizio dell’operazione speciale. Naturalmente, va da sé che l’immediata promulgazione di una politica così vigorosa avrebbe probabilmente reso impossibile il raggiungimento degli obiettivi umanitari della Russia e quasi certamente avrebbe perso ogni possibilità di far avanzare quelli politici dopo il conflitto, per non parlare di come sarebbe stato distorto dal MSM come la cosiddetta “prova dei crimini di guerra russi”.
Benefici umanitari contro costi politico-militari
Mantenendo la rotta nella sua operazione speciale finora, la Russia ha mitigato con successo i danni collaterali ai civili e alle infrastrutture, per i quali merita un caloroso elogio. Comunque sia, questo lodevole risultato è avvenuto a spese non intenzionali della ripresa dell’Ucraina con il sostegno della NATO dalla sua smilitarizzazione su larga scala che era stata raggiunta alla fine di marzo, il che a sua volta significa che gli obiettivi politici del Cremlino rimangono ancora più lontani che mai. Inoltre, il MSM ha prestato assolutamente zero attenzione alla dimensione umanitaria dei calcoli del presidente Putin ordinando alle sue forze armate di trattenersi unilateralmente e invece ha continuato ad accusare la Russia di “crimini di guerra”.
Peggio ancora, il potenziamento militare sostenuto dalla NATO di Kiev da aprile in poi, inavvertitamente favorito dalle limitazioni autoimposte alle forze armate russe per le più rispettabili ragioni umanitarie legate agli ambiziosi obiettivi geopolitici a lungo termine del loro leader, ha mantenuto il conflitto in corso fino ad ora, perpetuando così le difficoltà dei civili. Questo non implica alcuna critica al presidente Putin personalmente, dal momento che lui tra tutte le persone vuole che il suo paese esca vittorioso più di chiunque altro, soprattutto considerando come tutto questo modellerà la sua eredità nel corso dei secoli, ma solo che “la strada per l’inferno è lastricato di buone intenzioni”, come recita il detto più volte ripetuto.
Psicoanalizzando Putin
Cercando veramente di aiutare il maggior numero possibile di persone o almeno di ridurre le loro difficoltà nel corso dell’operazione speciale del suo paese, la sua decisione puramente ben intenzionata di rimanere impegnata a limitare le azioni delle sue forze militari nell’operazione speciale per ibridi ragioni umanitarie-politiche sono uno dei fattori primari che spiegano perché il conflitto non è ancora terminato e la situazione per milioni di civili rimane precaria. Per dissipare qualsiasi ambiguità, speculazione o incertezza, il presidente Putin non viene incolpato di nulla di tutto ciò poiché è stato costretto dalle circostanze strategiche militari avviate dalla NATO a iniziare questa campagna per timore che la Russia si trasformi nel suo burattino.
Nessun leader che si rispetti avrebbe mai accettato di permettere al proprio paese di diventare il vassallo del suo avversario geostrategico, anche se nessun leader che si rispetti non avrebbe posto ragionevoli restrizioni alla condotta delle proprie forze militari che hanno autorizzato in difesa delle loro obiettive linee rosse di sicurezza nazionale per limitare il più possibile i danni collaterali, tanto più che il teatro delle ostilità era popolato dalle stesse persone che quel capo considera storicamente fraterne. Il presidente Putin ha quindi indiscutibilmente fatto la cosa giusta limitando inizialmente la portata di ciò che le sue forze armate potevano fare durante l’operazione speciale, ma da allora la situazione è cambiata.
Nonostante le nobili intenzioni del leader russo, alcune dimensioni del conflitto non stanno evolvendo secondo le sue aspettative. Sebbene non vi siano dubbi sul fatto che innumerevoli vite siano state salvate dai severi limiti imposti alle sue forze armate e le difficoltà che i civili hanno vissuto sono state quindi relativamente meno intense di quanto avrebbero potuto essere altrimenti, la conseguenza involontaria di questa politica ben intenzionata che ha consentito a Kiev continuare a perpetuare il conflitto con il sostegno della NATO e persino riarmarsi al punto da lanciare la controffensiva di Kharkov suggerisce che potrebbe essere giunto il momento per il presidente Putin di considerare di eliminare alcune delle restrizioni unilaterali dell’operazione speciale.
Pensieri conclusivi
Se decidesse di farlo, cosa che accadrebbe solo se credesse sinceramente che i benefici complessivi superano i costi prevedibili che ciò comporterebbe sui suoi obiettivi umanitari e politici inizialmente concepiti dopo aver esaminato tutte le informazioni a sua disposizione come capo di stato incaricato dal suo popolo nel plasmare la grande strategia del loro stato-civiltà , allora potrebbe anche essere necessario cambiare formalmente il modo in cui la missione dell’esercito è descritta da un’operazione speciale a qualcos’altro. Che d’ora in poi sia considerata un’operazione antiterrorismo come quella in Siria, ad esempio, lo scopo dietro questa ridenominazione sarebbe quello di enfatizzare le nuove regole di ingaggio e modellare di conseguenza le percezioni.
Solo il presidente Putin ha l’autorità di decidere se una politica più vigorosa debba sostituire l’operazione speciale, e lo farebbe solo se ritenesse che sia la cosa migliore da fare per il suo stesso popolo prima di tutto seguito in egual misura dai civili catturati nella zona di conflitto e il suo esercito che opera lì. Il leader russo potrebbe quindi concludere che è meglio continuare a seguire la rotta mantenendo i limiti autoimposti all’attività delle sue forze armate in Ucraina oppure potrebbe rendersi conto che potrebbe essere necessario un proverbiale “dolore a breve termine” per raggiungere guadagni a termine” che promuovono in modo più efficace e sostenibile gli interessi di quei tre summenzionati.
Da almeno un trentennio si parla di vincolo esterno, della necessità del medesimo al fine di assicurare comportamenti economicamente virtuosi della classe dirigente, soprattutto di quella politica. Le c.d. “cessioni di sovranità” a istituzioni sovranazionali, soprattutto quelle europee sono state gli strumenti per favorirli.
In effetti a giudicare il tutto dei risultati, quelli seguenti al c.d. “vincolo esterno” (e cioè soprattutto Maastricht e il “seguito”) sono stati tra i peggiori della storia d’Europa e soprattutto italiana. A fronte di una crescita economica nazionale che nei primi trent’anni del dopoguerra fu tra le migliori del pianeta, ridimensionata dopo la crisi petrolifera degli anni ’70, ma comunque rimasta tra le “mediane” della comunità europea, proprio a partire dagli anni ’90, si è ridotta prima, per poi passare da tracolli (nelle crisi del 2008 e del 2020) del PIL ad incrementi millimetrici, spesso spacciati dalla stampa di regime come grandi successi. Ad attribuire l’intera “responsabilità” da questi risultati al vincolo esterno, si può dire soltanto che è stato un pessimo affare. Né si può replicare, che senza il “vincolo esterno” sarebbe andata peggio: come sarebbe andata nessuno lo sa, perché non è accaduto: e quindi paragonare risultati ad ipotesi immaginarie è un altro dei modi per non applicare l’aureo consiglio di Machiavelli nel XV capitolo del “Principe”.
Piuttosto è interessante notare perché il “vincolo esterno” non potesse funzionare – se non in modo limitato e quindi secondario – e pertanto sia stato – in larga parte – un’illusione.
Occorre in primo luogo intendere come è stato definito il “vincolo esterno”, e cioè il condizionamento virtuoso che avrebbe dovuto ridimensionare le pratiche viziose della classe politica nazionale. La quale era considerata poco incline alle politiche (sostanzialmente) liberali, prevalenti nei paesi occidentali e sostanzialmente vincolanti per l’Italia sia a causa della sudditanza agli U.S.A. (compresi gli accordi di Bretton Woods) sia dell’adesione al processo di costruzione europea. Tali condizioni hanno indubbiamente costituito, in misura probabilmente maggioritaria, la ragione dello straordinario sviluppo del dopoguerra. Del pari è noto che i partiti ciellenisti, tranne PLI o PRI, non avevano una cultura politica prevalentemente liberista. E gran parte del padronato italiano era avvezzo al protezionismo più che alla concorrenza[1].
Negli auspici dei sostenitori il vincolo (o meglio i vincoli) esterno futuro avrebbe dovuto ripetere (o non sfigurare) col “miracolo” passato. Esito non conseguito.
In effetti il ragionamento a fondamento dell’effetto positivo del vincolo esterno si basava su un insieme di circostanze irripetibili (o difficilmente ripetibili); e sulla sottovalutazione e financo l’omissione della considerazione di presupposti e regolarità influenti sul comportamento collettivo ed individuale.
In primo luogo che l’uomo non è solo homo oeconomicus, ma anche zoon politikon: le essenze (à la Freund) “politico” ed “economico” fanno parte della natura e dell’esistenza umana. Ragionare in base ad una escludendo (o sottovalutando) l’altra è il miglior percorso per valutazioni parziali e perciò errate. Ad esempio: alla ricostruzione europea ha contribuito – secondo quasi tutti gli economisti – il piano Marshall. Con questo – a parte gli altri Stati europei – gli U.S.A. vincitori aiutavano due ex-nemici come Germania ed Italia a ricostruire il proprio tessuto economico. Di per se è un comportamento raro: al nemico sconfitto si chiedono tributi, indennizzi, “riparazioni”: lo si sfrutta, lo si impoverisce, non lo si aiuta a crescere. Lo stesso può dirsi degli accordi sul debito tedesco (da Londra nel 1953 ai successivi): l’America condizionò i due ex nemici servendosi più della carota che del bastone (che a Versailles si era dimostrato addirittura controproducente) rafforzato sia dalla competizione con l’URSS che dal possesso di un potere militare irresistibile (quello nucleare- e non solo) che rendeva impossibile ogni forma di revanscismo.
Dall’altro c’era un calcolo economico: aiutando l’Europa disastrata, si aiutava l’economia americana, nei fatti ripresasi completamente dalla crisi del ’29 solo con la guerra mondiale, e che rischiava di ridurre (o invertire) la crescita. Era quindi l’interesse USA a consigliare l’atteggiamento positivo e “morbido”, sia per ragioni politiche che economiche. E cioè era la costante politica del perseguimento degli interessi dello Stato a far sì che era il vincolo esterno, con i caratteri premianti per chi lo subiva, a determinare l’effetto positivo (perché soddisfacente sia per l’interesse del vincolante che del vincolato). Era la scelta preferibile per governanti capaci e lungimiranti. Ma che succede se il vincolo è “amministrato” da governanti meno capaci, meno lungimiranti (e spesso) più inclini a interessi di “corto respiro”?
Il vincolo è un rapporto che permette a qualcuno di imporre (o condizionare) la decisione dell’altro, ma nulla dice sulla capacità e volontà del vincolante e del vincolato.
Indubbiamente auspicare il vincolo significa, in concreto, che non si giudica preferibile un governo nazionale la cui classe politica è ritenuta inadatta o comunque peggiore. Ma non è detto che la situazione perduri nel tempo e cambiando le circostanze.
Peraltro il vincolo esterno spesso non è riconducibile alla volontà di Stati e governi stranieri, ma a quelli di soggetti neppure pubblici o ad entità come i “mercati”. Gli uni e gli altri aventi in comune di non avere una responsabilità pubblica, in sostanza politica, ed essere di fatto incontrollabili (o troppo – e indirettamente – controllabili). Quindi crea potestates indirectae (poteri indiretti) il cui connotato decisivo è di esercitare potere senza (chiara ed apparente) responsabilità; e, a differenza di quanto capita nell’occidente liberaldemocratico, di non rispondere al popolo, ossia di non essere democratici.
Gli anatemi antipopulisti delle elites sono in effetti nient’altro che la negazione del potere del popolo di decidere sul proprio destino.
Dal carattere economicista del vincolo esterno deriva anche la difficoltà a comprendere i comportamenti politici, quando questi – come spesso succede – sono determinati da ragioni non economiche (e non soltanto economiche). Ne abbiamo un esempio attuale nella guerra russo-ucraina che, presentata come assurda perché non se ne comprendono le cause economiche (del tutto secondarie), onde Putin doveva per forza essere un visionario o tarato, un matto, mentre non ha fatto altro che ripetere quanto praticato a partire da Pietro il Grande, da gran parte dei governanti russi: creare sbocchi sui mari caldi, il Mar Nero soprattutto. Onde farlo è un “interesse dello Stato”, come sosteneva Meinecke. Rispondente a considerazioni strategiche (in primo luogo) quindi politiche, ma anche culturali e religiose. Per cui non è detto che il vincolante, nell’ “amministrare” il vincolo esterno, non si faccia prendere la mano da considerazioni non solo economiche. Anzi c’è da aspettarsi che lo faccia.
Il vincolo esterno, così come concepito (da tecnocrati, come Carli) ha un carattere essenzialmente tecnico-economico: è buono ciò che è economicamente valido (come il Piano Marshall). Ma non è detto che lo sia sempre. In realtà, come cennato prima, ciò che rese “buono” il piano suddetto era (la felice) la coincidenza/complementarietà degli interessi.
Ma se questi non lo sono il vincolo diventa solo uno strumento per fare prevalere la volontà (e gli interessi) del vincolante sul vincolato.
Peraltro nell’interpretazione “rigorosa” (ma più che altro ragionieristica) che ha avuto negli ultimi vent’anni di politica economica europea, il vincolo si è qualificato più che tecnico-economico, contabile. Non importa tanto che l’economia cresca, ma che i conti siano in ordine.
Quanto poi alla “beatificazione” del vincolo esterno, con il riferimento a quello applicato nel secondo dopoguerra, appare poco credibile che si ripeta quanto allora capitato. Ma soprattutto non si può fare di un’eccezione una regolarità, e neppure indicarla come probabile. Anzi, come sopra scritto, il comportamento dei vincitori dopo la II guerra mondiale è di per se un’eccezione. E le eccezioni, anche se ripetute, non fanno la regola, e neppure rendono probabile l’esito voluto, ma solo possibile.
Quel che invece può accadere ed è in linea con le regolarità e le probabilità della politica è che il vincolante trovi la collaborazione del governo vincolato, vuoi per timore , vuoi per l’interesse dei governanti subordinati.
Governi influenzati, protettorati, colonie, civitates foederatae, governi quisling fanno parte della storia, dato lo squilibrio di potenza tra le sintesi politiche (il Principato di Monaco non ha la potenza della Francia). La Storia e il diritto hanno conosciuto tutto un insieme di rapporti tra sintesi politiche non paritarie, sia che quella disparità trovasse formalizzazione giuridica (come nei protettorati o nelle città legate a Roma con foedera iniqua) o che lo fosse soltanto di fatto.
Ovviamente la forma politica del vincolante, ma soprattutto il vincolato possono aggravare il vincolo esterno; ossia la possibilità che la volontà del vincolante prevalga su quella del vincolato. Un governo debole e instabile, come può capitare (anche) nelle forme politiche moderne, alle Repubbliche parlamentari e/o a larga frammentazione pluralistica può facilitare l’imposizione del vincolo esterno, sfruttando la lotta tra frazioni della classe politica (partiti in primis). Cosa ancora più evidente nelle forme politiche pre-moderne, come il Sacro Romano Impero e il Regno di Polonia. Rousseau scriveva che il liberum veto era causa dell’anarchia e quindi della debolezza polacca, onde per lo più i re di Polonia eletti (nel ‘700) erano “proposti” dalle potenze straniere.
Il vincolo esterno consiste – a concludere – nella speranza che, laddove si ritenga che la classe politica sia inadatta (e spesso lo è), il sistema possa guadagnare da un’influenza straniera.
A patto di sperare anche che questa sia a) animata da buone intenzioni; b) disinteressata; c) e non affetta da manie di dominio. Cioè non agisca politicamente: tutt’e tre le condizioni citate sono in contrasto con altrettante regolarità e presupposti politici: quello della problematicità della natura umana (Machiavelli); dell’interesse degli Stati (Meinecke); della competizione per il dominio (Tucidide).Perché alle buone probabilità di funzionare come auspicato servirebbe un mondo governato da anime, se non proprio belle, almeno corrette e lungimiranti.
Teodoro Klitsche de la Grange
[1] Ciò non toglie che seppe utilizzare lo stimolo concorrenziale del MEC, compresa l’abolizione progressiva delle “tariffe“ doganali.
Proseguiamo con la serie di articoli di analisti cinesi, presenti in Cina, ma con posizioni divergenti, rispetto alla linea al momento largamente maggioritaria e dominante espressa da Xi Jinping. La finalità di questa pubblicazione è, ancora una volta, di avvalorare che il confronto e lo scontro geopolitico si realizza attraverso il conflitto tra centri decisori e di influenza i quali si intersecano, nelle proprie relazioni, all’interno e all’esterno delle formazioni sociali. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Come si è trovato un giornalista britannico all’origine di una nuova dottrina diplomatica cinese? L’ascesa pacifica è ancora un paradigma rilevante per i pensatori geopolitici cinesi? La Cina dovrebbe assolutamente pretendere di imporre una nuova governance globale? Traduciamo e pubblichiamo questa intervista chiave con uno dei più originali e importanti specialisti della diplomazia di Pechino. Una nuova puntata della nostra serie “Dottrine nella Cina di Xi Jinping” — introdotta e commentata da David Ownby.
Xiang Lanxin (nato nel 1956) è un famoso studioso cinese di relazioni internazionali che ha trascorso gran parte della sua carriera negli Stati Uniti e poi in Europa. Dopo aver conseguito la laurea presso la Fudan University di Shanghai, ha conseguito il master e il dottorato presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies. Ha insegnato alla Clemson University fino al 1996, quando è entrato a far parte del Graduate Institute of International Studies di Ginevra (IHEID). Come molti intellettuali cinesi della sua generazione, ha un piede in diversi mondi: se la maggior parte degli articoli accademici di Xiang sono stati pubblicati in inglese, fa ad esempio parte della redazione di Dushu1ed è ben noto in Cina. Ma Guochuan, il giornalista che conduce l’intervista, è il direttore del quotidiano liberale Caijing.2.
Questa intervista3, pubblicato all’inizio della pandemia, nell’aprile 2020, si distingue principalmente per le aspre critiche di Xiang alla “diplomazia dei guerrieri lupo”, termine usato per descrivere le risposte molto combattive della Cina agli attacchi stranieri sulla gestione della pandemia di coronavirus. Il termine “guerriero lupo” si riferisce a due film di guerra d’azione, Wolf Warrior (2015) e Wolf Warrior 2 (2017), che presentano battaglie tra un’unità d’élite dell’Esercito popolare di liberazione (chiamata, appunto, i lupi guerrieri) e vari gruppi di mercenari, tra i quali spiccano gli americani.
Questi film hanno avuto un immenso successo popolare in Cina, paragonabile ai successi di Hollywood che celebrano la guerra e il patriottismo negli Stati Uniti. Uno dei rappresentanti emblematici di questa diplomazia guerriera-lupo è il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, Zhao Lijian赵立坚 (classe 1972), che è arrivato a diffondere l’idea che sia l’esercito americano a diffondere il virus a Wuhan. Questi stessi guerrieri lupo hanno più recentemente fatto un passo indietro in risposta alle richieste di responsabilità, persino di rettifica, che sono arrivate da più parti.4.
La diplomazia dei guerrieri lupo, secondo Xiang, sta contribuendo alla destabilizzazione dell’ordine mondiale in un momento in cui la Cina si è in qualche modo convinta, attraverso affermazioni propagandistiche del Partito, della superiorità del “cinese modello”. Xiang ne attribuisce la maggiore responsabilità al giornalista britannico di sinistra Martin Jacques, il cui bestseller del 2009, Quando la Cina governa il mondo, ha entusiasmato i lettori cinesi, soprattutto perché è stato scritto da un occidentale. La responsabilità è in realtà condivisa con l'”accademico” cinese Zhang Weiwei 张维为 (nato nel 1957), che ha riconfezionato l’idea di Jacques per diventare il campione ufficiale delle virtù dello “Stato di civiltà” unico della Cina. Il disprezzo di Xiang per Zhang (che non cita nell’intervista) è palpabile e sembra condiviso da molti altri intellettuali liberali cinesi. Comunque sia, il punto di vista di Xiang è questo: continuare su questa strada corre il rischio che la Cina distrugga l’ordine mondiale che ha consentito la realizzazione del “sogno cinese”, apparentemente senza riguardo alle conseguenze, militari o economiche che questo comporterebbe.
Le osservazioni di Xiang sono interessanti perché la sua posizione di cinese che lavora all’estero gli consente un candore che i suoi compatrioti nella Cina continentale non possono permettersi. Altrimenti, le sue opinioni concordano ampiamente con quelle di altri liberali cinesi della sua generazione, che sono orgogliosi dell’ascesa della Cina ma continuano ad aderire a molti dei valori universali dell’Illuminismo. In una delle sue prime risposte all’intervista, Xiang ha osservato: “Ho lasciato la Cina 37 anni fa e non ho mai preso un nome straniero o acquisito un passaporto straniero. Oltre allo studio e all’insegnamento, ho dedicato tutti i miei sforzi al miglioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, Cina ed Europa.
NON C’È BISOGNO DI COMBATTERE COME UN “GUERRIERO LUPO”
La diffusione del coronavirus nel mondo ha suscitato molte riflessioni. In un articolo pubblicato all’inizio di aprile 2020, Henry Kissinger ha predetto che la pandemia avrebbe cambiato per sempre l’ordine mondiale.5. Come accademico che ha studiato a lungo le relazioni internazionali, condividi la sua opinione?
Per un certo periodo sono stato Henry Kissinger Fellow presso la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e ho discusso molte volte con lui la complessa questione delle relazioni USA-Cina. Kissinger è un grande pensatore strategico e ha una visione unica dei cambiamenti e delle tendenze in via di sviluppo nel sistema globale. Sono sostanzialmente d’accordo con lui su questo punto. Ma in sintesi, ciò che più mi preoccupa non sono le istituzioni dell’ordine internazionale esistente, quanto piuttosto la tendenza al calo della fiducia tra le principali nazioni, e in particolare tra Cina e Stati Uniti, che raggiunge un punto di non ritorno.
A mio parere, l’osservazione di Kissinger è un riflesso del suo modo di pensare generale. Il suo primo lavoro accademico, A World Restored (1957), si è concentrato sul pacifico nuovo ordine mondiale costruito dal Congresso di Vienna nel 18156. Anche se il capo di questo nuovo ordine internazionale non era la superpotenza mondiale (gli Stati Uniti), ma l’impero austro-ungarico, l’accordo durò comunque un secolo. Il fattore chiave di questo successo è stata l’attenta progettazione dell’ordine mondiale, costruito sulla base di un equilibrio di potere tra le maggiori potenze, che ha favorito la fiducia reciproca, tanto che tutte desideravano che questo ordine fosse mantenuto. Questo libro ci permette di vedere i principi guida del pensiero di Kissinger.
Kissinger ha trascorso mezzo secolo cercando di costruire un rapporto armonioso tra gli Stati Uniti e la Cina. Dalla fine della guerra di Corea (1950-1953), non c’è stata praticamente nessuna guerra tra le grandi potenze. Questa guerra contro il coronavirus ha messo in luce gravi distorsioni nella natura umana e la diplomazia irrazionale tra le grandi potenze è diventata la nuova normalità. Già prima della fine della pandemia è iniziata una guerra di “passaggio di palla (甩锅战)” tra le grandi potenze. Discussioni simili a Versailles su “colpa e responsabilità di guerra” hanno indebolito la nostra attenzione sulla lotta contro il coronavirus e discussioni ridicole sulle “riparazioni” sono state persino espresse nei circoli diplomatici. Da appassionato storico e pensatore, Kissinger deve essere estremamente rattristato. Senza la fiducia tra le grandi potenze, qualsiasi sistema pacifico è molto difficile da mantenere. È una scommessa sicura che le tensioni tra Cina e Stati Uniti non faranno che aumentare.
Attualmente, sulla scena internazionale, e in particolare negli Stati Uniti, le persone cercano di “ritenere la Cina responsabile” e persino di pretendere che paghi dei “danni”. Come dobbiamo capire questo?
Dal punto di vista del diritto internazionale, tenere conto di un paese sovrano non ha senso, perché quel paese gode dell’immunità sovrana. È vero che la mancanza di trasparenza nel sistema cinese ha portato all’inizio alla soppressione degli informatori, che di fatto ha rallentato la lotta al virus7. Ma il mondo intero ha assistito agli enormi sforzi e sacrifici fatti dalla Cina dopo la chiusura di Wuhan. Nel complesso, la lotta della Cina contro il virus ha avuto successo. Questa è una tattica politica comune per i leader stranieri che non riescono a trovare capri espiatori. Dovremmo quindi affidarci al giudizio della maggioranza dell’opinione pubblica, e non lasciarci trascinare in dibattiti sulla questione.
La Cina dovrebbe sfruttare il periodo in cui la pandemia continua a imperversare per raccogliere la sfida di riassumere l’esperienza del Paese con il coronavirus. Chiunque riesca prima a produrre un white paper (o una guida pratica) credibile e basato sull’evidenza può quindi trasmettere questa esperienza di lotta al virus ad altri paesi, il che sarebbe un grande vantaggio nella lotta internazionale per la libertà di espressione in il mondo post-pandemia.
Tutti i tipi di teorie del complotto sull’origine del virus sono strettamente legate alla questione della “responsabilità”. Tutte le discussioni che sono fiorite su questo argomento sono diventate terreno fertile per controversie diplomatiche.
Sulla questione dell’origine del virus, la Cina non deve essere troppo sulla difensiva, perché è una questione puramente scientifica e nessun altro punto di vista è credibile. Non importa quante teorie del complotto ci siano, nessuna ha credibilità internazionale. In un momento in cui non c’è una risposta definitiva alla domanda sull’origine del virus, la Cina dovrebbe rimanere estremamente cauta, e non c’è assolutamente bisogno di difendersi adottando la postura offensiva del “lupo guerriero”.”. Quanto ai diplomatici, dovrebbero capire come comunicare con la gente comune sulla scena internazionale, e dovrebbero sapere che non si può abusare del diritto internazionale per esprimersi per diffamazione tit for tat (以谤止谤).
Eppure, negli ultimi anni, sembra essere diventato normale che i diplomatici cinesi rispondano immediatamente con parole molto dure, come se non farlo fosse una prova di mancanza di “patriottismo”. Cosa ne pensi di questa diplomazia del “lupo guerriero”?
La maggior parte dei diplomatici cinesi è stata formata in lingue straniere, il che ci dà questa straordinaria immagine dell’Istituto di Lingue Straniere di Pechino come culla della diplomazia cinese. Se i traduttori si prendono cura dei nostri affari esteri, incontreremo sicuramente dei problemi. Anche quando la dinastia Qing (1636-1911) era sull’orlo del collasso, i traduttori non potevano guidare lo Zongli yamen[Ministro degli Affari Esteri]. Le abilità di un traduttore sono determinate dalle abilità linguistiche e dalle reazioni rapide, mentre la diplomazia di grande potere richiede un pensiero strategico a lungo termine e un’attenta capacità di pianificazione. Sarebbe abbastanza facile correggere la cultura del guerriero lupo nel campo della diplomazia: ciò che sarà più difficile correggere è questa stessa cultura nel campo della propaganda straniera.
LE ORIGINI DELLA CULTURA DEL LUPO GUERRIERO
Dal 1989, quando Deng Xiaoping disse che dovevamo ‘tenere basso’8, i diplomatici cinesi hanno adottato una posizione più calma. Perché allora vediamo l’emergere di questa cultura del lupo guerriero? Da dove viene ?
Ciò che ha dato origine alla cultura del guerriero lupo è la “teoria della superiorità del modello cinese”. Questa teoria non ha avuto origine in Cina, ma è stata copiata da un “guerriero lupo straniero”, il famoso giornalista britannico di sinistra Martin Jacques (nato nel 1945). Dieci anni fa Jacques pubblicò un libro intitolato Quando la Cina governa il mondo , che è la fonte dell’arroganza mostrata oggi da alcuni cinesi. All’epoca, la Cina era ancora in una fase in cui prevaleva l’atteggiamento di “tenere un profilo basso”, ma da quando la crescita economica della Cina ha superato quella dell’Occidente, la fiducia del popolo cinese ha iniziato a crescere.
Jacques è un personaggio dei media e un autoproclamato studioso. Molte persone in Cina pensano che ci capisca e la traduzione cinese di Quando la Cina governa il mondo è diventata un bestseller.
Questo libro ha ricevuto molta attenzione ad un livello molto alto, ma la sua base teorica è sbagliata. La sua idea di “la Cina che governa il mondo” è stata in realtà copiata da altre persone. È una versione della teoria dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze” o della teoria dell'”evoluzione delle egemonie” che esiste da tempo in Inghilterra e negli Stati Uniti.
A prima vista, molte delle argomentazioni avanzate da James assomigliano a quelle dei missionari gesuiti che vennero in Cina molto tempo fa. Ad esempio, Matteo Ricci (1552-1610) ha elogiato il governo e la cultura cinese durante la dinastia Ming (1368-1644), affermando che la Cina “non è solo un regno, ma un intero mondo a sé stante”. Ma Matteo Ricci ha insistito sul fatto che la cultura cinese e quella occidentale potessero capirsi e coesistere e, appena arrivato in Cina, ha lavorato duramente per imparare la lingua e le tradizioni cinesi. Martin Jacques, invece, non parla cinese e conosce poco la storia e le tradizioni cinesi. Nel suo libro stabilisce un dualismo tra bene e male, in cui la Cina viene presentata come un modello per l’Occidente.
Pertanto, l’elogio di Jacques alla Cina e al modello cinese si basa sugli attacchi contro il sistema occidentale.
Durante l’Illuminismo in Europa, nel XVIII secolo, apparve una nuova teoria basata su un antagonismo assoluto tra il bene e il male, il bianco e il nero. Questa teoria, con sfumature profondamente teologiche, rifiutava ogni sistema politico diverso da quello che difendeva, e subordinava la legittimità di un sistema al rovesciamento della legittimità di un altro. L’argomentazione di Jacques rientra in questo stesso paradigma.
La tradizione cinese non ha rifiutato altre tradizioni e sistemi culturali , ma ha invece sottolineato l’importanza delle condizioni locali, come nel detto “L’arancia è un’arancia quando cresce a Huainan, ed è un limone quando cresce”. cresce a Huaibei ” (橘生淮南则为橘, 生于淮北则为枳)9. La tradizione cinese non distingueva tra superiore e inferiore, né c’era l’idea di “colpire l’Occidente per promuovere la Cina (抑西扬中). Questo è il motivo per cui, nel corso della storia cinese, confuciani, buddisti e taoisti hanno convissuto pacificamente per lunghi periodi di tempo e praticamente non ci sono state guerre di religione.
Per quanto riguarda la Cina di oggi, ancora in ascesa, la cosa più importante da coltivare è un’immagine internazionale di tolleranza. Tuttavia, all’interno della Cina, alcuni opportunisti politicamente esperti vedevano la “teoria del dominio della Cina” di Jacques come un nuovo modo per acquisire notorietà. Secondo loro, poiché la Cina è destinata a sostituire gli Stati Uniti come egemone mondiale , il modo migliore per proteggere gli interessi del Paese è resistere all’Occidente adottando la postura del guerriero lupo, e cantare le lodi della superiorità di il modello cinese per “denigrare l’Occidente e promuovere la Cina”. Non si rendono conto che questo modo di pensare non ha nulla a che fare con la realtà, e allo stesso tempo tradisce la tradizione cinese.
NON DISTRUGGERE PUBBLICAMENTE IL TUO NEMICO (棒杀) E NON “AUTODISTRUGGERSI ATTRAVERSO UN’ECCESSIVA AUTOPROMOZIONE” (捧杀)10
Jacques sviluppò una “teoria dello stato di civiltà” e divise le nazioni sovrane odierne in due campi: “civilizzato” e “nazionale”. In questo paradigma esisterebbe solo la Cina sia come “civiltà” che come “stato-nazione”11. Ha affermato che i problemi che devono affrontare questi due tipi di paesi sono fondamentalmente diversi.
La “teoria della civiltà-stato-nazione” è una finzione totale e non regge affatto a livello scientifico. Jacques afferma che la Cina è l’unico “stato-nazione” e “civiltà” esistente e che deve quindi beneficiare di un trattamento culturale privilegiato nel mondo. Infatti, nel mondo di oggi, è impossibile dividere i paesi in “civiltà” e “stato-nazione”. In qualunque modo la si guardi, la Cina è una combinazione dei due. Inoltre, questa teoria distorce lo spirito di base della tradizione cinese. Non c’erano “valori universali” nella tradizione cinese e questa tradizione non distingueva tra culture superiori e inferiori.
Nell’ultimo decennio, alcuni uffici governativi hanno attivamente promosso una cultura del guerriero lupo nei loro rapporti con gli stranieri e hanno formato un corpo di “guerrieri lupo propagandistico”. La base della teoria della superiorità del modello cinese che promuovono è la stessa assurdità dell’idea di una “civiltà stato-nazione”. Dal momento che dicono senza mezzi termini che la Cina è l’unico vero “stato-nazione”, l’unica vera civiltà, ciò significa che i paesi occidentali possono essere solo delle semplici “forme meno avanzate di stato-nazione”. In realtà, la ricchezza della civiltà umana beneficia dello scambio e del dialogo tra le culture. Se tutto l’Occidente risulta essere senza “civiltà”, allora la logica impone che tutto al di fuori della Cina sarebbe territorio barbaro,
Martin Jacques elogia il modello cinese e cerca anche di definirlo, affermando che è sorto sullo sfondo della crisi finanziaria globale del 2008.
In termini di metodologia, questo argomento è l’esatto opposto del pensiero alla base della riforma e dell’apertura della Cina del 1978, che consiste nell’aderire alla tradizione e “cercare la verità dai fatti”12, come in detti come “attraversare il fiume sentendo i sassi”13e l’argomento del “gatto” di Deng Xiaoping14. Questa argomentazione rende i cinesi aderenti all’ontologia dello stesso tipo degli occidentali.
La Cina non ha una tradizione ontologica, e non è così che i cinesi vedono le cose. Una classica formulazione cinese sarebbe piuttosto “dov’è la via?” »15. L’obiettivo del gioco di Jacques, che dipinge la Cina come una “civiltà-stato-nazione”, è infatti quello di condurre le discussioni sulla Cina nell’impasse dell’ontologia occidentale. Quando i cinesi iniziano a pensare ontologicamente, discutendo “qual è il modello cinese”, hanno già perso la strada ( dao o tao nella filosofia cinese). Perché una volta che un “modello” ha una definizione, allora devi supportare il modello, il che porta necessariamente all’autopromozione.
Tuttavia, non si può ignorare che la teoria di Jacques era molto popolare in Cina ed è stata accreditata da molti uffici governativi e università.
Per i cinesi, la “novità” di Jacques era che l’idea del “dominio cinese” proveniva da un Occidente egocentrico. È un ragionamento che gli piaceva, ma rimane uno stile di analisi che ritrae l’Occidente e la Cina come antagonisti. Il fatto che Jacques, venendo da sinistra, lanci l’idea che “la Cina sfida l’ordine mondiale” farà danni infiniti.
C’è una tradizione in Occidente di mettere alla gogna la Cina nella pubblica piazza. Questo continua oggi nonostante il potere della Cina. I neoconservatori americani non hanno mai abbandonato l’idea della “minaccia cinese”. Ma da un’altra prospettiva, ciò che è più difficile da affrontare è che la Cina si fa male promuovendosi eccessivamente. Essere attaccati in pubblico non è un problema, perché tutto è noto e la verità verrà alla luce. Ma indulgere in fantasie di auto-glorificazione non è la stessa cosa, poiché coloro che sono elogiati dimenticano facilmente chi sono, o addirittura si perdono in sogni irrealizzabili. Attualmente, ci sono un certo numero di cinesi che stanno “rileggendo” con entusiasmo la cultura cinese con l’obiettivo di reinventare il “modello cinese”. Sono tutti manipolatori
Da quello che vedo, non sono solo “lupi guerrieri alieni”. Abbiamo anche il nostro…
I lupi guerrieri di qui e altrove hanno una cosa in comune: sono molto tecnici e non hanno niente nella testa. Con ‘tecnico’ intendo che sono specializzati nell’opportunismo, che sanno sempre da che parte tira il vento e che hanno occhi solo per i loro superiori. Quando parlano del mondo esterno attaccano le culture straniere e quando parlano di affari interni usano il nazionalismo estremo per frodare le masse popolari. Ma nonostante tutto il rumore che fanno, sono sempliciotti. Non portano nulla di nuovo, non hanno posto sulla scena internazionale e sono odiati dagli accademici tradizionali. Questo perché non hanno basi scientifiche, moralità o background.
Ad esempio, l’opinione pubblica cinese ha scambiato Martin Jacques per qualcuno di grande influenza internazionale, quando in realtà è solo una figura marginale che ha scritto un bestseller e non ha posto nel mondo accademico. Quando i giornali cinesi lo hanno chiamato pubblicamente professore di scienze politiche a Cambridge, penso che lo stesso Jacques fosse probabilmente imbarazzato. C’è un altro individuo cinese che è stato un interprete di lunga data per le Nazioni Unite a Ginevra, e che è stato il primo a copiare la teoria della civiltà di Jacques, che ha usato per esaltare la superiorità della Cina sui cieli, e che ha cercato di dimostrare con resoconti di viaggi all’estero che nessuno poteva verificare16. Tale persona, il cui curriculum include un lavoro part-time presso una scuola straniera non riconosciuta dal sistema di istruzione superiore (nota come “scuola del pollo selvatico”17), divenne tuttavia un famoso professore in una famosa università cinese18 !
Allora, qual è la tua opinione su questa “autodistruzione attraverso un’eccessiva autopromozione”?
Sia dal punto di vista della metodologia che dell’opinione pubblica internazionale, “l’autodistruzione attraverso un’eccessiva autopromozione” è stupidità di alto livello (高级黑). Danneggia l’immagine internazionale della Cina e il popolo cinese dovrebbe mantenere un alto grado di vigilanza nei suoi confronti. Dovresti sapere che nella tradizione cinese, la legittimità politica era un concetto dinamico, sempre in evoluzione, un processo di movimento continuo, e non aveva nulla a che fare con una definizione ontologica occidentale. Nel contesto attuale, la legittimità del PCC è definita dalle sue conquiste politiche e non ha nulla a che fare con alcun modello.
Il tentativo di costruire un cosiddetto “modello cinese”, per promuovere teorie sull’unicità della cultura cinese o sulla superiorità del sistema tra le persone, è contrario alla tradizione cinese e non è coerente con i fatti. Prendendo come esempio la lotta contro il coronavirus, nessuno può negare l’enorme impresa che il popolo cinese ha realizzato sconfiggendo il virus, ma le parole e il comportamento dei diplomatici e dei propagandisti cinesi hanno suscitato il disprezzo dell’opinione pubblica mondiale. Da un lato, questi guerrieri lupo hanno colto l’occasione per propagandare il “modello cinese” al mondo, pubblicizzando pubblicamente la sua superiorità e insistendo sul fatto che il modello di governo dei paesi occidentali è allo stremo e sarà presto rovesciato, e che la vera natura degli Stati Uniti,
Questo tipo di arroganza è privo di fatti e manca di umanità; danneggia gravemente l’immagine internazionale della Cina. D’altra parte, usano i social media e le conferenze stampa per impegnarsi in attacchi e critiche invettive e indiscriminate dal mondo esterno, e persino i siti web del governo diffondono pubblicamente teorie del complotto. Il terzo problema è quello delle parole e dei comportamenti arroganti e del disaccordo con le misure del coronavirus adottate da altri Paesi. Quando i diplomatici cinesi chiedono costantemente, direttamente o indirettamente, al resto del mondo di ringraziare la Cina, non sorprende quindi che crei una cattiva impressione.
UNA “TEORIA DELL’ASCENSIONE PACIFICA” DIFFICILE DA SOSTENERE
Al di fuori del governo, molte persone sono interessate alle questioni diplomatiche. Ma altri pensano che queste questioni dovrebbero essere lasciate agli specialisti delle relazioni internazionali. Qual è la tua opinione su questo spartito?
In passato, su questi temi facevamo affidamento sull'”opinione pubblica (舆论)”; il popolo non faceva commenti oltraggiosi sugli affari internazionali perché questi argomenti non erano considerati “banali”, e questo era ancor più vero per la diplomazia e importanti questioni militari. La società si è evoluta e negli ultimi anni la posizione internazionale della Cina ha guadagnato slancio e il grado di trasparenza riguardo alla politica internazionale non è più lo stesso. Ad un certo punto, i commentatori di affari internazionali hanno cominciato a moltiplicarsi come torte calde. Negli ultimi vent’anni, il “commento internazionale” in Cina è diventato un esercizio popolare a cui tutti partecipano.
Certo, è positivo che tutti siano interessati alle questioni internazionali, ma sembra difficile elevare il “commento internazionale” al di sopra di qualcosa come la “selezione dei titoli”. In Cina, il “commento internazionale” di massa è condotto principalmente da un quotidiano sensazionalista chiamato Global Times . Purtroppo, io stesso ho già scritto per questo giornale. Ma allora c’erano dibattiti e discussioni accademiche, mentre oggi è una pubblicazione completamente populista. Questo giornale guida da tempo la vendetta della folla in una direzione nazionalista e le conseguenze che ciò avrà non devono essere prese alla leggera.
Man mano che il “commento internazionale” si è infiammato, anche il campo accademico delle relazioni internazionali si è trasformato, diventando improvvisamente un argomento popolare.
Dobbiamo ammettere che il campo delle “relazioni internazionali” in Cina, come le scienze politiche o l’economia, sono “alberi senza radici, un fiume senza una fonte”. Gli studiosi cinesi non avevano basi teoriche e quindi nessun modo per distinguersi. E quando questo campo, per sempre incuneato tra giornalismo e scienze umane, è diventato improvvisamente un “campo di studio popolare”, è stato solo per via della parola “internazionale”.
In effetti, il campo delle relazioni internazionali rimane alquanto problematico, poiché le fonti di informazione degli specialisti sono di gran lunga inferiori a quelle dei diplomatici in prima linea e, nella loro torre d’avorio, le relazioni internazionali mancano del rigore accademico di altre discipline. Quindi, a livello accademico, hanno difficoltà a trovare il loro posto e, a livello internazionale, hanno solo poca influenza: sono solo la ripresa di altri lavori accademici occidentali. È un paradosso: nel contesto storico dell’ascesa al potere della Cina, le relazioni internazionali sono diventate per essa sempre più importanti; eppure è rimasto al livello di riciclare le teorie occidentali sulle relazioni internazionali, copiando concetti e discorsi occidentali,
Sullo sfondo della rapida ascesa della Cina, ci sono quelli nel campo delle relazioni internazionali che sostengono che la diplomazia cinese dovrebbe essere più dura, mentre altri sostengono la dottrina di Deng Xiaoping del “fare di basso profilo”. I dibattiti su questo tema nella società cinese sono piuttosto vivaci. Come vedi questo dibattito?
In effetti, al momento, la questione non è se essere duri o meno, ma piuttosto presentare bene il caso della Cina. Tutti conoscono la storia della Cina dall’attuazione della politica di riforma e apertura, non c’è bisogno di soffermarci su di essa. Ma la conoscenza della Cina del mondo esterno rimane parziale e finiamo per sollevare dubbi sulle nostre intenzioni all’estero.
Ad esempio, i ministri del Partito hanno promosso attivamente la teoria dello “shock cinese”, che ha causato una sorpresa globale.19. Che colpo ? Non è altro che giocare con le regole dell’attuale sistema mondiale. Che lo “shock” sia un evento naturale o un tentativo attivo di sovversione, dobbiamo renderci conto che l’ascesa della Cina è il risultato dello sforzo collettivo del popolo cinese che ha costruito decenni di un ambiente esterno pacifico. Non c’è assolutamente bisogno di sconvolgere il sistema mondiale. Anche dal punto di vista della politica nazionale, tali discorsi sono estremamente pericolosi. Abbiamo appena raggiunto lo status di superpotenza e tuttavia stiamo pubblicamente abbandonando il nostro atteggiamento di “tenere un basso profilo”. Il nostro esercito è impreparato, eppure ci presentiamo come la potenza dominante. Come potrebbe il resto del mondo non avere paura?
Forse la teoria dell'”ascesa pacifica” della Cina è più rilevante della teoria dello “shock cinese”?
Quando si discute di concorrenza tra grandi potenze, non dovremmo concentrarci su scambi e dibattiti all’interno del quadro teorico di altre potenze (occidentali). La nostra preoccupazione non dovrebbe essere la “trappola di Tucidide”, ma piuttosto la “trappola del concetto” – e la “teoria dell’ascensione pacifica” è una di queste. Quando la teoria dell'”ascensione pacifica” era di gran moda, accettai l’invito del Washington Post e scrissi un lungo editoriale che sottolineava i difetti significativi della teoria.
Da un punto di vista scientifico, “pacifico” è un avverbio che modifica l’azione di “sorgere”, ma la parola “sorgere” in cinese è in contraddizione con “pace” e ha il significato di “rompere il sistema esistente”, come l’ascesa di una montagna dopo un terremoto. In altre parole, “pace” e “elevazione” si contraddicono a vicenda.20. Questa teoria riflette la psicologia di un piccolo paese, che erroneamente immagina che un grande paese plasmi la propria politica estera in modo indipendente, illustrando la mancanza di una comprensione fondamentale della logica della geopolitica internazionale.
L’idea di una pacifica ascesa non potrebbe essere utile a livello puramente strategico?
Strategicamente, ogni grande potenza che sta vivendo cambiamenti significativi nel suo status internazionale dovrebbe astenersi dal parlare di “ascesa”. Da un punto di vista storico, nessun grande potere ha dato grande importanza alla discussione dei mezzi con cui è sorto al momento della sua ascensione. In primo luogo, se elabori i mezzi con cui “rialzi”, inevitabilmente ti troverai di fronte a domande sulle politiche che utilizzerai quando sarai in declino. In secondo luogo, proclamare unilateralmente che non utilizzerai mai la forza militare per risolvere alcun conflitto internazionale non solo non convince i partner stranieri, ma crea anche dilemmi per te stesso.
Il motivo per cui ho detto che la teoria dell'”ascesa pacifica” riflette la mentalità di un piccolo paese è che presuppone che ci sia una soluzione diplomatica a qualsiasi conflitto internazionale. È veramente l’ideale più alto della visione del mondo [espresso da Laozi, padre fondatore del taoismo, in Il classico della via e del potere ], ovvero che “sebbene i suoni di galli e cani siano uditi da un [villaggio] all’altro, il gli abitanti dell’uno non visiteranno mai l’altro, anche se invecchiano e muoiono”21. L’idea di una “ascesa pacifica” non è sostenibile né ora né in futuro, e la Cina non può evitare la realtà o persuadere il mondo con argomentazioni “pacifiche” su come opera all’interno della governance globale.
Come vede il dibattito sullo scontro di civiltà nel contesto delle relazioni Cina-USA. Questo conflitto è necessario?
Alcuni anni fa, lo “scontro di civiltà” di Huntington non aveva posto nel mainstream delle relazioni estere americane. Il fatto che alcuni americani ne parlino di nuovo è in realtà una forte risposta ad argomenti come quello cinese sulle “grandi e piccole civiltà”.
Il dibattito non è una brutta cosa. Perché non è solo un dibattito accademico, ma piuttosto idee di governance globale. Ciò che dovrebbe essere chiaro è che le idee cinesi e straniere sulla governance interna e internazionale sono in realtà diverse, ma ciò non dovrebbe dar luogo a conflitti. Se vogliamo chiarire la visione cinese della governance globale, la questione chiave è la differenza tra la concezione cinese e quella straniera dell’ordine mondiale.
Nel mondo anglosassone, attualmente governato dagli Stati Uniti, le discussioni sull’ordine mondiale tornano sempre alle teorie dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze”, che ebbe origine nel 19° secolo con lo storico Edward Gibbons e la sua opera The Ascesa e caduta dell’Impero Romano . Ha sottolineato che la distribuzione del potere era basata sulla forza nazionale, il che significa che ciò che determina se l’ordine mondiale è stabile o meno è meccanico e immutabile. Ciò ha avuto un enorme impatto sulla politica estera americana. Dopo la seconda guerra mondiale, gli americani adottarono la teoria dell ‘”egemonia stabile” e promossero la “pace americana”. La “trappola di Tucidide” è una versione più recente.
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Qual è la versione tradizionale cinese della governance?
Se diciamo che la visione occidentale dell’ordine mondiale si basa sulla distribuzione del potere nazionale, ciò che il sistema vestfaliano chiama “ordine” in opposizione a “disordine” e nel senso di dover scegliere tra l’uno e l’altro, allora il tradizionale La visione cinese della governance si basa su una logica in cui “ordine” e “caos” convivono in un reciproco rapporto di scambio.
Prendi l’esempio del controllo dell’acqua. Ci sono fondamentalmente due modi per controllare l’acqua. Il primo è costruire dighe sempre più alte per evitare che l’acqua trabocchi, che è l’idea di base della politica americana della Guerra Fredda [contenimento ] . Il secondo è cambiare la direzione della corrente. Le dighe hanno sempre, alla fine, un limite. Lavorare sulla direzione della corrente è la migliore strategia a lungo termine.
Pertanto, la tradizionale strategia di governance cinese contraddice sia la teoria dell'”ascesa e caduta delle grandi potenze” sia la teoria dell'”egemonia stabile”. La Cina deve implementare sistematicamente la propria visione della governance globale. La missione più importante della Cina, che cerca di integrare pacificamente l’attuale ordine mondiale, è quella di fornire una visione relativamente chiara e positiva del suo modo di pensare. Da una prospettiva a lungo termine, il tema principale delle relazioni estere della Cina dovrebbe essere la comprensione interculturale e la comunicazione di civiltà.
FONTI
Dushu (读书, letteralmente “leggere”) è una rivista letteraria mensile influente nei circoli intellettuali cinesi.
Caijing (财经) è una rivista indipendente con sede a Pechino che copre fenomeni politici, sociali, ecc.
相蓝欣, intervista di 马国川, “著名国际政治专家 相蓝欣教授:反思战狼文化,呼唤文明沟通”, 30 aprile 2020.
Vedi in particolare le dichiarazioni degli ambasciatori cinesi nei paesi europei, ad esempio l’ intervista a Lu Shaye su BFMTV .
Henry Kissinger, “La pandemia di coronavirus altererà per sempre l’ordine mondiale”, Wall Street Journal , 3 aprile 2020
Henry Kissinger, Un mondo restaurato: Metternich, Castlereagh e i problemi della pace, 1812–22, 1957.
Si fa qui riferimento al caso del primo famoso informatore del dicembre 2019, il dottor Li Wenliang.
Letteralmente “tieni la luce sotto il moggio” (韬光养晦). Nel contesto del dopo Guerra Fredda e del dopo Tienanmen, queste sono le parole pronunciate da Deng Xiaoping nel 1992 che sono all’origine della sua strategia diplomatica di “tenere basso il profilo”. Agli occhi della Cina, è meglio che il Paese nasconda i propri beni, soprattutto in risposta alle “interferenze” degli Stati Uniti che avevano deciso di sospendere le vendite di equipaggiamenti militari dalla Cina dopo gli eventi di Tienanmen, per reagire meglio in seguito.
Huaibei e Huainan sono due grandi città nell’entroterra della provincia dell’Anhui, situate a nord ea sud l’una dall’altra. La loro vicinanza geografica evidenzia l’importanza delle condizioni microlocali in Cina: sebbene i frutti che crescono in queste due città geograficamente vicine sembrino simili, il sapore dei frutti è diverso.
棒杀: picchiare a morte qualcuno, 捧杀: letteralmente lusingare a morte qualcuno facendolo sentire compiacente
Nota dell’autore: in effetti, ci sarebbe una civiltà, la Cina, e il resto del mondo sarebbe versioni meno evolute dello stato-nazione. In altre parole, agli occhi della Cina, è l’unico paese al mondo in cui la civiltà coincide ancora con un moderno stato-nazione.
“Cercare la verità dai fatti” (实事求是) è uno dei principali slogan del periodo maoista che promuove una visione realistica delle riforme ed è alla base dell’ideologia socialista cinese.
Questo proverbio cinese è un riferimento alla politica sperimentale della Cina durante il decennio di apertura che inizia dal 1978 con l’attuazione di misure graduali sugli investimenti esteri, sulle privatizzazioni e sull’apertura del mercato in generale. .
Riferimento alla famosa citazione di Deng Xiaoping (1961) “Non importa se un gatto è bianco o nero, se cattura i topi, è un buon gatto”. In altre parole, non importa l’ideologia o la nazionalità degli imprenditori purché contribuiscano allo sviluppo economico della Cina. Ciò rientra nel contesto delle riforme di apertura difese da Deng già nel 1978.
Concetto maestro del taoismo, la via si traduce in Dao o tao (道). Il taoismo è una delle tre grandi filosofie cinesi (con Buddismo e Confucianesimo) che pone al centro la via, il sentiero come principio fondante all’origine di tutto.
Xiang fa riferimento a Zhang Weiwei, che iniziò la sua carriera di interprete prima di diventare un noto studioso nella trilogia di opere sull’ascesa della Cina degli anni ’90 (i primi due volumi sono stati tradotti in inglese), in cui prende liberamente in prestito da Martin Jacques . Zhang viaggia anche per il mondo per difendere il modello cinese; molte delle sue conferenze e dibattiti sono disponibili in inglese su Youtube.
Zhang ricopre una posizione presso la Fudan University di Shanghai, l’ alma mater di Xiang , ed è anche preside dell’Istituto di studi cinesi all’interno della stessa università.
Questo è un altro riferimento a Zhang Weiwei. Il titolo del secondo volume della sua trilogia è The China Shock (中国震撼).
Un altro significato di “pace” (平) in mandarino è piatto, che contraddice anche il sorgere.
Mentre resta da vedere se il Pakistan si trasformerà in modo grottesco dalla “cerniera lampo dell’Eurasia” alla “faglia dell’Eurasia” come si teme, quello scenario è ancora abbastanza credibile da preoccupare seriamente tutte le parti interessate.
Il ruolo centrale dell’Asia meridionale nella grande biforcazione
La transizione sistemica globale al multipolarismo sta portando a profondi cambiamenti in tutto il mondo, in particolare la Grande Biforcazione del sistema precedentemente globalizzato nel Golden Billion occidentale guidato dagli Stati Uniti e nel Sud globale guidato dai BRICS . I complessi processi legati a questo megatrend stanno rapidamente convergendo in Asia meridionale, il che non è un caso. Questa regione geostrategica dell’Eurasia si trova tra la metà occidentale e quella orientale del supercontinente, ponendola così al centro della transizione sistemica menzionata in precedenza che sta spostando il centro di gravità globale dall’Atlantico al Pacifico.
Il precedente stato degli affari
Fino all’ultima fase del conflitto ucraino , provocata dagli Stati Uniti, scoppiata alla fine di febbraio, lo stato delle cose nell’Asia meridionale era relativamente semplice da capire: la decennale rivalità tra India e Pakistan era diventata parte della Nuova Guerra Fredda tra Superpotenze americane e cinesi . Il rafforzamento globale dei legami strategico-militari tra America e India è stato parallelo a quello di Cina e Pakistan. Inoltre, il dilemma di sicurezza cinese-indiano esacerbato dagli Stati Uniti è culminato durante gli scontri tra quei due nell’estate 2020 e quindi sembrava destinato a condannarli per sempre alla rivalità.
Gli osservatori quindi si aspettavano ragionevolmente che queste dinamiche sarebbero rimaste coerenti nel prossimo futuro. Considerando il ritmo e la profondità con cui le partnership strategiche di queste due coppie si erano sviluppate nell’ultimo decennio, e soprattutto tenendo presente come il dilemma della sicurezza cinese-indiana sembrava aver posto queste due grandi potenze asiatiche sulla strada di una rivalità irreversibile che gli Stati Uniti potrebbe facilmente manipolarli per dividerli e governarli perennemente, questa previsione aveva un senso. Sembrava davvero che non ci fossero sorprese serie in serbo per l’Asia meridionale a breve.
Ruoli geostrategici divergenti di India e Pakistan
Tutto ciò è improvvisamente cambiato dopo l’operazione militare speciale che la Russia è stata costretta ad avviare per difendere le sue linee rosse di sicurezza nazionale in Ucraina dopo che la NATO sostenuta dagli Stati Uniti le ha violate. L’America ha immediatamente chiesto all’India di condannare e sanzionare la Russia in solidarietà con il Miliardo d’Oro, sebbene Delhi abbia respinto con orgoglio tutte queste pressioni per difendere i suoi interessi nazionali oggettivi . I grandi calcoli dello stato-civiltà dell’Asia meridionale dovevano rafforzare la sua autonomia strategica nella Nuova Guerra Fredda mantenendo il suo multi-allineamento tra tutti gli attori rilevanti.
Il vicino Pakistan ha tentato qualcosa di simile, anche se purtroppo è caduto vittima di un colpo di stato postmoderno orchestrato dagli Stati Uniti ma guidato a livello nazionale che ha estromesso il suo Primo Ministro multipolare all’inizio di aprile come punizione per la sua politica estera altrettanto indipendente, in particolare la sua dimensione eurasiatica e il rifiuto di ospitare gli Stati Uniti basi o almeno concedere diritti di transito ai suoi droni. Sebbene Islamabad mantenga ufficialmente la sua politica di neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino, la realtà è che le sue autorità golpiste postmoderne sono in pratica prevedibilmente passate sotto il controllo quasi totale degli americani.
Il percorso del Pakistan verso lo status di vassallità
Non solo i talebani (con i quali il Pakistan si trova oggi in un pericoloso dilemma di sicurezza ) li hanno accusati di concedere segretamente diritti di transito al drone statunitense che ha attaccato un presunto obiettivo terroristico a Kabul all’inizio di agosto, ma avrebbero anche spedito munizioni a Kiev attraverso un ponte aereo transnazionale guidato dal Regno Unito. Inoltre, l’agenzia di spionaggio straniera russa sembrava aver suggerito un ruolo indiretto del Pakistan nell’attacco terroristico dell’ISIS-K contro la sua ambasciata nella capitale afgana, anche se solo le loro controparti si erano rifiutate di condividere informazioni rilevanti in anticipo per lasciare che gli eventi si svolgessero astutamente .
L’America sembrava quindi aver premiato i suoi delegati del colpo di stato postmoderno per aver promosso i suoi interessi strategici dopo che il Dipartimento di Stato ha annunciato mercoledì che stava approvando la potenziale vendita di apparecchiature F-16 per un valore fino a $ 450 milioni che erano state congelate sotto l’amministrazione Trump. In quella che non è stata una coincidenza, Cina e India hanno deciso un giorno dopo di disimpegnare reciprocamente le loro forze militari dalla frontiera contesa in quella che è stata una grande riduzione del loro dilemma sulla sicurezza , dovuto al fatto che Pechino ha apprezzato l’orgogliosa dimostrazione di Delhi di strategie strategiche autonomia di fronte alle pressioni statunitensi.
Le mutevoli percezioni della Cina sull’Asia meridionale
È stato a questo punto che è diventato possibile parlare del grande riorientamento strategico nell’Asia meridionale, che è una delle conseguenze più inaspettate della transizione sistemica globale, recentemente accelerata, alla multipolarità. Il precedente stato delle cose in questa regione che gli osservatori avevano finora dato per scontato sta indiscutibilmente cambiando dopo che gli Stati Uniti sono riusciti a ripristinare la loro influenza precedentemente perduta sul Pakistan a seguito del colpo di stato postmoderno da loro orchestrato, che contrasta con il declino dell’influenza degli Stati Uniti sull’India dopo che Delhi ha rifiutato di soddisfare le sue richieste anti-russe.
Questi sviluppi paralleli hanno contribuito a rimodellare la percezione cinese del ruolo che si aspettava che i due paesi più importanti dell’Asia meridionale svolgessero nell’emergente ordine mondiale multipolare. Mentre il Pakistan era stato precedentemente considerato come una risorsa e l’India come un ostacolo, da allora si sono scambiati di posto dopo che gli Stati Uniti hanno ripristinato con successo la loro egemonia sulla prima senza imporla sulla seconda. Fattori correlati sono stati l’India che ha espresso pubblicamente la speranza di aprire insieme il Secolo asiatico con Cina e Russia, sospettando ufficiosamente il Pakistan di un coinvolgimento indiretto nell’attacco dell’ISIS-K all’ambasciata di Kabul.
Tit-For-Tat ma senza intenzioni a somma zero (per ora)
Con il senno di poi, era inevitabile che queste variabili avrebbero portato la Cina a cercare di controbilanciare il “bracconaggio” statunitense del Pakistan migliorando in modo completo le relazioni con l’India, quest’ultima ha dimostrato la sua autonomia strategica e intenzioni sinceramente multipolari. La tempistica dell’accordo sull’equipaggiamento F-16 ripristinato dagli Stati Uniti con il Pakistan e la decisione di disimpegno militare cinese-indiano suggerisce che entrambe le superpotenze hanno previsto con precisione l’inversione del ruolo di quegli stati dell’Asia meridionale nella Nuova Guerra Fredda mesi prima e pianificato di conseguenza, ecco perché i loro sforzi hanno dato frutti più o meno nello stesso periodo.
Tuttavia, il grande riorientamento strategico in corso in questo momento nell’Asia meridionale non deve essere interpretato erroneamente come implicante la creazione di blocchi rigidi o l’ossessione immediata (parola chiave) di qualsiasi partito per le politiche a somma zero. L’India manterrà ancora stretti legami strategico-militari con gli Stati Uniti e continuerà per ora a non essere d’accordo con la Cina su alcune questioni, così come il Pakistan manterrà tali legami con la Cina (soprattutto quelli economico-finanziari tramite CPEC) pur continuando probabilmente ad essere occasionalmente criticato dagli Stati Uniti su alcune questioni interne (anche se questo diventa più raro e molto più mite).
Il significato della previsione strategica
L’importanza nel discutere il potenziale grande riorientamento strategico nell’Asia meridionale è prevedere l’impatto che potrebbe avere sulla più ampia traiettoria della transizione sistemica globale alla multipolarità, che a sua volta può consentire ai decisori di preparare meglio i loro paesi per gli scenari più credibili. Con questo in mente, proprio come la Cina ha risposto al “bracconaggio” del Pakistan da parte degli Stati Uniti attraverso il suo completo miglioramento dei legami con l’India, così anche i progressi della seconda coppia nel fare da pioniere insieme al Secolo asiatico potrebbero essere corrisposti dagli Stati Uniti che sfruttano il Pakistan come ostacolo.
Per non essere frainteso, ci sono ben note faglie preesistenti tra India e Pakistan (per lo più legate all’irrisolto Conflitto del Kashmir ) che occasionalmente portano all’aggravarsi organico di tensioni reciproche che ciascuno accusa sempre l’altro di provocare. Gli Stati Uniti, quindi, non devono svolgere alcun ruolo in questa dinamica poiché di tanto in tanto sono naturalmente decrescenti. Tuttavia, non si può escludere che possa cercare di incoraggiare il Pakistan a violare unilateralmente il cessate il fuoco in vigore dal febbraio 2021 come parte di un piano più ampio per manipolare le percezioni della sua gente sulla Cina.
L’affondamento del cessate il fuoco incoraggiato dagli Stati Uniti in Pakistan
Per spiegare, i pakistani considerano giustamente la Cina come il loro partner più vicino e affidabile in qualsiasi parte del mondo, anche se l’ottica di Pechino che rifiuta di sostenere Islamabad nello scenario che quest’ultima violi unilateralmente il cessate il fuoco con il tacito incoraggiamento di Washington ma incolpa pubblicamente Delhi potrebbe non stare bene con molti. Dopotutto, tutto ciò che è connesso al Kashmir è diventato una parte inestricabile dell’identità pakistana dall’indipendenza 75 anni fa, quindi un bel po’ della sua gente potrebbe essere indotto in errore a rimanere deluso dalla Cina se Pechino non li sostiene sempre su questo tema.
Nonostante la posizione della Cina verso la risoluzione di quel conflitto decennale sia molto vicina a quella del Pakistan, la Repubblica popolare è ancora fermamente contraria a qualsiasi parte che interrompa lo status quo. Ciò significa che Pechino non “tradirebbe” Islamabad non appoggiandola nello scenario in cui il suo regime golpista postmoderno violi unilateralmente il cessate il fuoco con l’incoraggiamento di Washington. Tuttavia, molti pakistani potrebbero ancora essere fuorviati dal momento che è ampiamente considerato patriottico sostenere le loro autorità sul Kashmir indipendentemente dal contesto, il che può fornire un’apertura narrativa per gli Stati Uniti.
Argomenti contro l’India che provocano prima il Pakistan
Gli obiettivi della guerra dell’informazione americana in questo scenario sono diversi, ma prima di raggiungerli, dovrebbe essere brevemente spiegato perché è improbabile che sia l’India a violare unilateralmente il cessate il fuoco. Delhi è fiduciosa che il Global South guidato dai BRICS abbia già concluso che gli Stati Uniti hanno ripristinato con successo il precedente status di vassallità del Pakistan e quindi considerano il suo vicino come se avesse invertito i ruoli con esso diventando il più grande ostacolo regionale alla multipolarità. La violazione del cessate il fuoco fermerebbe anche immediatamente il riavvicinamento cinese-indiano e saboterebbe così lo scenario del secolo asiatico.
Mantenendo lo status quo, tuttavia, l’India calcola che il grande riorientamento strategico dell’Asia meridionale continuerà a procedere rapidamente. Ciò a sua volta accelererebbe la sua ascesa come Grande Potenza influente a livello globale in grado di plasmare la transizione sistemica globale verso il multipolarismo, mentre il ritrovato isolamento regionale del Pakistan determinato dalla sottomissione strategica del regime post-golpe agli Stati Uniti si intensificherebbe. Lasciando semplicemente che gli eventi si svolgano in modo naturale lungo questa prevedibile traiettoria, gli obiettivi nazionali dell’India verrebbero portati avanti senza alcun costo per se stessa, compreso il miglioramento della sua reputazione.
Gli attacchi americani di Infowar contro il partenariato strategico cinese-pakistano
Dopo aver chiarito ciò, è giunto il momento di parlare degli obiettivi della guerra dell’informazione che l’America mirerebbe a raggiungere incoraggiando i suoi delegati pakistani a violare unilateralmente il cessate il fuoco con l’India. Fabbricare artificialmente percezioni negative sulla Cina manipolando l’ottica di quel suddetto scenario rispetto alla falsa insinuazione che la Repubblica popolare abbia “tradito” il Pakistan non sostenendolo durante un altro ciclo di tensioni sul Kashmir è prima di tutto volto a migliorare gli Stati Uniti’ stando agli occhi del pubblico per contrasto.
Questo ha lo scopo di renderli simultaneamente più ricettivi alla crescente conformità del loro regime di colpo di stato postmoderno alle richieste strategiche regionali americane, parallelamente alla produzione artificiale di sostegno popolare per quegli stessi burattini con un finto pretesto patriottico. Per non avere l’intuizione precedente fraintesa o falsata da forze ostili della guerra dell’informazione, non è implicito che il sostegno alla posizione di Islamabad sul conflitto del Kashmir non sia veramente una posizione patriottica per i pakistani. Piuttosto, ciò che viene trasmesso è che ci sono ulteriori motivi per provocare una crisi su di esso.
Lo scenario uigura/Xinjiang
Quelli collegati alle richieste strategiche regionali americane includono il regime di colpo di stato postmoderno che chiude un occhio sulla coltivazione sostenuta dall’estero del sentimento anti-cinese nella società che utilizza come arma le false percezioni sullo Xinjiang al fine di produrre artificialmente il sostegno di base per cambiare la posizione di Islamabad verso quello problema inesistente nel tempo. Lo scopo alla base di ciò è indebolire i loro legami strategici in modo che gli Stati Uniti possano poi prendere il controllo del CPEC e quindi porre l’economia pakistana interamente sotto il suo controllo egemonico, il che perpetuerebbe indefinitamente la vassallità di quel paese.
Lo scenario peggiore sarebbe che il regime di colpo di stato postmoderno appoggiato dagli Stati Uniti alla fine fornisca rifugio (e forse varie forme di supporto) a forze che la Cina considera giustamente terroristi, anche se ciò sembra ancora lontano e può ancora essere compensato molto prima che accada. In ogni caso, il punto per richiamare l’attenzione su questo è descrivere la sequenza di eventi che dovrebbero prima verificarsi, che molto probabilmente sarebbero legati alla manipolazione dell’ottica della Cina che rifiuta di sostenere il Pakistan nel caso in cui quest’ultimo violi unilateralmente il cessate il fuoco con l’India dopo essere stato incoraggiato dagli Stati Uniti.
Mantenere il colpo di stato postmoderno al potere
Il secondo obiettivo della guerra dell’informazione connesso all’ulteriore motivo dietro l’avvio di quello scenario è quello di fabbricare artificialmente un supporto di base per il regime golpista postmoderno con un finto pretesto patriottico. L’ex primo ministro Khan è riuscito selvaggiamente a esporre i suoi sostituti come burattini americani agli occhi della maggior parte dei pakistani, il che spiega perché ha ispirato le più grandi proteste pacifiche nella storia del suo paese e poi ha portato il suo partito a una vittoria schiacciante alle elezioni suppletive del Punjab. Anche se il regime golpista postmoderno lo imprigiona o lo uccide, Dio non voglia, il suo messaggio continuerà a vivere.
Ciò significa che le basi socio-politiche dell’influenza egemonica degli Stati Uniti sul loro vassallo pakistano appena restaurato rimarranno perennemente instabili, cosa che temono possa, nella peggiore delle ipotesi (dal loro punto di vista), alla fine fare una manifestazione moderna dell’antitesi dell’Iran. -Rivoluzione americana inevitabile. Gli Stati Uniti potrebbero facilmente evitarlo ordinando ai loro burattini di tenere elezioni libere ed eque il prima possibile al fine di fungere da valvola di pressione democratica, anche se ciò riporterebbe al potere il loro leader estromesso, dopodiché libererebbe il Pakistan dalla sua nuova stato di vassallo ripristinato.
L’ex primo ministro Khan non è antiamericano come i suoi nemici interni e internazionali lo hanno maliziosamente interpretato, ma filo-pakistano, motivo per cui quasi certamente cercherà di replicare l’equilibrio della vicina India nella Nuova Guerra Fredda coltivando contemporaneamente a vicenda relazioni vantaggiose sia con il Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti che con il Global South guidato dai BRICS. Ciò, tuttavia, è assolutamente inaccettabile per l’America dal momento che l’egemone unipolare in declino ha orchestrato il suo rovesciamento proprio a causa dei suoi grandiosi progetti strategici nella Nuova Guerra Fredda legati all’ostacolo della multipolarità.
Dalla “cerniera lampo dell’Eurasia” alla “faglia dell’Eurasia”
Gli Stati Uniti non rinunceranno mai volontariamente alla loro egemonia appena restaurata sul Pakistan poiché intendono sfruttare il loro tradizionale vassallo allo scopo di ostacolare l’emergente Ordine Mondiale Multipolare nell’Asia meridionale attraverso i mezzi spiegati in precedenza. Va anche da sé che l’America aspira a che il suo fantoccio destabilizzi attivamente anche l’Afghanistan, il che danneggerebbe indirettamente gli interessi di sicurezza di tutte le parti interessate vicine e della Russia . Se il Pakistan alla fine ospita uiguri violenti, lo stato cardine globale potrebbe interrompere la multipolarità a est, ovest e nord.
Questo è esattamente il risultato potenzialmente rivoluzionario che l’America vuole portare avanti nella Nuova Guerra Fredda attraverso la sua “riconquista” del Pakistan e il conseguente grande riorientamento strategico che ha catalizzato nell’Asia meridionale. Lo scopo è trasformare il suo host in una piattaforma unipolare armata per esportare la destabilizzazione nell’Asia meridionale, orientale, centrale e occidentale come la “faglia dell’Eurasia” invece di lasciarle mantenere il ruolo multipolare positivo che aveva precedentemente svolto nel riunire quelle regioni come la “cerniera lampo dell’Eurasia” tramite CPEC+ , come spiegato nella tesi di dottorato dell’autore sulle relazioni russo-pakistane .
Compensazioni di scenario
Per quanto tutto questo suoni terribile, non è comunque inevitabile. ” Il potere del popolo pachistano sconfiggerà il loro impopolare governo importato ” se si terranno elezioni libere ed eque il prima possibile nella remota possibilità che i membri della scuola di pensiero multipolare all’interno dell’establishment pakistano in qualche modo convincano i loro più potenti pro- I coetanei americani lo fanno per ragioni patriottiche. Dopotutto, il ritorno al potere dell’ex primo ministro Khan in quello scenario non porterebbe a risultati “antiamericani” ma puramente filo-pakistani, considerando la sua visione del mondo multipolare e le sue intenzioni equilibranti.
Anche nell’oscuro scenario in cui viene incarcerato o ucciso, Dio non voglia, il suo messaggio continuerà a vivere e ispirerà i suoi compatrioti a continuare la loro ricerca per liberare il Pakistan dalle catene del neoimperialismo. Mettere al bando il più grande movimento nella storia del loro paese dall’indipendenza, per non parlare di perseguitare i suoi milioni di membri o peggio Dio non voglia, indebolirebbe ulteriormente la già molto fragile base socio-politica su cui è costruita l’egemonia restaurata degli Stati Uniti. Ciò significa che il suo crollo è destinato al tempo, anche se non è chiaro se sarà pacifico e/o accadrà prima che vengano inflitti troppi danni regionali.
Pensieri conclusivi
Dopo aver riflettuto su tutto ciò che è stato condiviso in questa analisi, ora non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che un grande riorientamento strategico è attivamente in corso nell’Asia meridionale. È stato catalizzato dalla “riconquista” del Pakistan da parte degli Stati Uniti in seguito al colpo di stato postmoderno che hanno orchestrato e portato al livello successivo dal riavvicinamento cinese-indiano che alla fine è avvenuto in risposta. Mentre resta da vedere se il Pakistan si trasformerà in modo grottesco dalla “cerniera lampo dell’Eurasia” alla “faglia dell’Eurasia” come si teme, quello scenario è ancora abbastanza credibile da preoccupare seriamente tutte le parti interessate.