FOCHERELLO, di Pierluigi Fagan

FOCHERELLO. È indetta per oggi una manifestazione nazionale degli studenti liceali. Presto per dire se sarà o meno un vero e proprio “movimento” a cui i giornali hanno dato già dato nome: la Lupa. I temi non mancano.
La scintilla è stato il ragazzo morto durante uno stage aziendale previsto dalle politiche di alternanza studio-lavoro inaugurato nel 2015 e proprio l’assetto studio-lavoro è finito sotto accusa come se destinazione strategica di fondo dell’istruzione fosse formare alla società di mercato e non alla società nel suo ben più ampio complesso. Viepiù oggi visto che la società che già di sua natura è un sistema complesso, si trova e sempre più si troverà a doversi adattare ad un inedito mondo complesso.
Producendo tra l’altro una precoce divisione classista tra licei professionali della periferia o dei piccoli centri ed i programmi più di cultura generale per i giovani dei quartieri del centro delle città medio-grandi. Ma l’argomento si amplia allo stato fatiscente di molti edifici scolastici, le politiche del trasporto, i bassi salari dei professori, il sovraffollamento, il modo di organizzare valutazioni ed esami, programmi sempre più orientati in favore di un certo modo di esser nel mondo, la destinazione dei fondi PNRR. Su tutte queste pregresse situazioni, si è abbattuta la pandemia e soprattutto i modi con i quali è stata gestita, tra DAD improvvisata e gestione confusa dei tracciamenti, esclusioni, quarantene e quant’altro. Su tutta questa somma dei fatti si sono infine abbattute le recenti manganellate della polizia.
Al consueto disagio ed incertezza giovanile della fase pre-adulta ed alla condizione sempre meno curata della scuola pubblica, negli ultimi anni si è abbattuta anche la consapevolezza che ormai non si sa più bene a cosa serva tutto ciò. Nel senso che, ne abbiano o meno fondata consapevolezza, i giovani avvertono che lo sbocco della vita non è pensato e debitamente organizzato. La disoccupazione giovanile in Italia, intorno al 30%, è il doppio della media europea sia versione euro, sia versione UE. Dovrebbe essere uno scandalo visto che sono i nostri figli, ma tale non è assunto nel dibattito pubblico.
Per altro, quelli che nelle statistiche compaiono tra gli occupati, hanno a che fare con precarietà endemica, salari letteralmente indecenti, rapporti e condizioni di lavoro obiettivamente insopportabili. E tali condizioni sono ormai endemiche, non si presentano solo di recente e per qualche anno iniziale del percorso di vita professionale, si protraggono a lungo ed in molti casi a lunghissimo. Con parimenti impossibilità di intraprendere percorsi adulti di vita autonoma, data l’endemica mancanza di alloggi a prezzi e condizioni praticabili. Ed è così da vari anni e pare vada sempre peggio mentre il mondo adulto parla di Next Generation, quasi che fare un titolo, magari in inglese, dia l’impressione di una cura ed attenzione che non c’è nel modo più assoluto.
Su tutto ciò, già grave di suo, va registrato il trauma pandemico, un trauma i cui risvolti psicologici e sociali sono ancora da indagare a fondo. Va ricordato a noi adulti, quali dovrebbero essere le condizioni di espressione della vita a quell’età. Espressioni che formano la socialità, la conoscenza, l’affettività, la personalità, il giudizio, la progettualità e la stessa energia vitale, l’identità e relativa intenzionalità.
L’altro giorno ho tenuto un intervento on line nell’ambito dei programmi di orientamento allo studio per classi dell’ultimo anno di liceo per un paio di cittadine delle Marche. La professoressa che organizzava gli incontri con le varie offerte formative universitarie mi dava un quadro piuttosto cupo della salute psichica dei ragazzi. Alcuni (e pare non pochi) vanno addirittura dallo psicologo come se ci fosse una “tecnica” per meglio adattarsi a questo contradditorio e desolante sfacelo, come se ci fosse una mancanza personale a sopportare queste pressioni che in primis uccidono il principio speranza. Gioventù senza speranza dovrebbe ritenersi un ossimoro in una cultura pubblica civile.
Altre generazioni hanno sofferto condizioni difficili, ma a differenza di queste che noi più anziani possiamo far risalire a racconti dei genitori sulla guerra o dopoguerra, quella dei giovani di oggi è una condizione silenziosa, non c’è rappresentazione pubblica, non c’è “mal comune mezzo gaudio”, come molte altre cose del nostro sbilenco modo di vivere anche il disagio è privatizzato. Sembra riguardi solo loro o meglio una parte di loro, coloro che non hanno famiglie ammanicate e capitalizzate e di tutto ciò non c’è visibilità e condivisione sociale. È un dramma silenzioso, una mancanza di speranza senza neanche il lamento. Non c’è neanche la minima attenzione politica e culturale visto che anche le scarse forze di opposizione sembrano magnetizzate da vaccini e permessi, distopie biopolitiche e le solite lagne sul neoliberismo ed il Grande Reset. Come se fossimo bravissimi a fare macro analisi di quadro e contesto sempre più mortificanti e paralizzanti ma si sia persa l’elementare scintilla alla ribellione, alla lotta, al darsi voce per pretendere attenzione e rimedio, a rendere il disagio pubblico e non privato.
Così volevo condividere la piccola luce di questo ancora incerto focherello, dargli almeno un po’ del mio fiato, sperando che altri venti a favore possano magari farlo diventare un piccolo punto di luce e calore in questo opprimente e grigio inverno del nostro scontento.
NB_Tratto da facebook

ANCORA IN AVVICINAMENTO AL NUOVO GIOCO DELLE PERLE DI VETRO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO: POMBALINA ET INACTUALIA ARCHEOLOGICA PARTE TERZA, di Massimo Morigi

Dopo la pubblicazione sull’ “Italia e il Mondo” del saggio sulla dialettica prassistica
dell’epigenetica e della sintesi evoluzionistica estesa intitolato Epigenetica, Teoria
endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa
efantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical
Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis, su Donna Haraway e
materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della prassi olisticodialetticaespressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico e dopo la
recentissima pubblicazione sempre sull’ “Italia e il Mondo” sotto la Leitbild di
Federico II il Grande re di Prussia dell’inattuale La Loggia Dante Alighieri nella storia
della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863-2003) (la
prima parte all’URL http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimo-morigi-la-loggia-dantealighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione1863-2003-_________-i-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220110075018/http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-i-parte/; la seconda all’URL
http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimo-morigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storiadella-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-ii-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220111161456/http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-ii-parte/ ho ritenuto presentare ai lettori del blog alcune riflessioni se si vuole ancora più inattuali ed attinenti il
Repubblicanesimo Geopolitico solo in Statu nascenti ed inseribili in questo contesto
interpretativo ma solo in prospettiva archeologica, quattro scritti ed interventi
pubblicati o presentati in sede seminariale in Portogallo che hanno precorso,
attraverso una prima riflessione sul repubblicanesimo, sull’estetizzazione della politica
e sulla conflittualità sociale, le attuali conclusioni, anch’esse inattuali ça va sans dire,
cui è giunto il Repubblicanesimo Geopolitico, informate al paradigma olisticodialettico-espressivo-strategico-conflittuale e appunto giunte a piena maturità – o
involuzione, chi può dirlo? – nel summenzionato saggio sulla dialettica storica e
biologica. Come suggerisce il titolo, queste fonti a stampa sono state per la maggior
parte edite dalla casa editrice dell’Università di Coimbra Pombalina oppure hanno
avuto comunque un editore portoghese (anche se sul Web, oltre a questa immissione
dei documenti in questione da parte dei “portoghesi”, esiste, di queste precursioni
inattuali del Repubblicanesimo Geopolitico, pure un’edizione dello scrivente immessa
direttamente sul Web: si tratta di Repvblicanismvs Geopoliticvs Fontes Origines et Via,
all’URL di Internet Archive
https://archive.org/details/RepvblicanismvsGeopoliticvsFontesOriginesEtViaMassimoMorigiGeopolitics_436, un’antologia di interventi sul Repubblicanesimo Geopolitico,
comprendente anche parte dei documenti presenti in questa antologia e con contenuti
anche multimediali) e riguardano o una prima ricognizione sul concetto
di‘Repubblicanesimo’ e come questo possa venire machiavellianamente in contatto con
la conflittualità sociale e l’estetizzazione della politica e come quest’ultima venga
utilizzata dai regimi totalitari di massa del Novecento. Come Leitbild si è pensato di
ricorrere ai Due amanti di Giulio Romano. Scelta apparentemente avulsa dal discorso
delle precursioni e delle inattualità. A ben vedere non troppo se si consideri il profondo
legame dialettico fra queste quattro riflessioni e la filosofia della prassi espressa dal
saggio Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi
evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste (ed anche visto l’attuale degrado
politico-filosofico, civile e culturale che in questi tempi di pandemie virali ma anche
psichiche, con ciò intendendo non solo l’irrazionale paura della morte causa morbo ma
l’altrettanto irrazionale terrore antivaccinista – entrambe le angosce frutto della
superstizione, del fideismo e dell’anomia caratteristici delle c.d. moderne democrazie
rappresentative, un degrado la cui succitata Leitbild costituisce il più dialetttico ed
ironico controveleno). E oltre non vado perché una corretta dialettica ha sempre
implicato una creativa e penetrante attività da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Perché, si spera e si pensa, Gentile e Gramsci non hanno certo predicato (e sofferto e
pagato) invano, e soprattutto, inattualmente. Il nuovo gioco delle perle di vetro, lo
sappiamo, disdegna la cronaca e si compiace di accostamenti (apparentemente)
inusitati per le superstiziose, anomiche, fideistiche e degradate masse dei sopraddetti
regimi “democratici”.
Massimo Morigi – Ravenna, inizio anno 2022

Massimo Morigi, Una guerra semantica infinita: il polemos dell’Italia del XIX e
XX secolo fra patria, nazione e repubblica, testo in italiano di Id., Uma guerra
semântica infinita. O polemos da Itália dos séculos XIX e XX entre pátria, nação e
república, in “Leonardo”, N° 6 (Título: Causa Pública, Coordenação da Série
“Leonardo”: Rita Marnoto), Coimbra, Pombalina (Imprensa da Universidade
de Coimbra/Instituto de Estudos Italianos), 2011, pp. 117-141, intero documento
non stralciato all’URL
https://estudogeral.uc.pt/bitstream/10316/43407/1/LeonardoN.%C2%BA%206_Final.pdf, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20201114080627/https://estudogeral.uc.pt/bitstream/10316/43407/1/Leonardo-N.%C2%BA%206_Final.pdf.
Tutto il testo del numero della rivista in testa in formato HTM all’URL
https://docplayer.com.br/73814491-Causa-publica-coordenacao-deritamarnoto.html#show_full_text, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20201114161120/https://docplayer.com.br/73814491Causa-publica-coordenacao-de-rita-marnoto.html#show_full_text-.

Qui sotto il link con il testo della III parte:

POMBALINA E GIOCO DELLE PERLE DI VETRO 3

Soros e l’amore tradito_a cura di Giuseppe Germinario

Sono passati appena tre anni dall’investitura, avvenuta a Davos, , il nido delle aquile di George Soros, di Xi Jin Ping a paladino della globalizzazione. Un amore incondizionato da opporre al suo nemico giurato, Donald Trump, insediatosi repentinamente addirittura nel salotto buono di casa propria. La musica ultimamente è radicalmente cambiata. Attraverso tweet sempre più infuocati, Soros  da alcune settimane ha iniziato a riversare colate di fiele su Xi. Non ha usato intermediari; sta agendo inusitatamente in prima persona.

Una reazione da amante tradito, accentuata probabilmente dalla difficoltà di trovare nel mondo rifugi alternativi dove riporre il proprio cuore ormai esausto e prossimo a fermarsi. https://twitter.com/georgesoros/status/1488233860584427530?s=21

https://www.georgesoros.com/2022/01/31/george-soros-on-china-remarks-delivered-at-the-hoover-institution/

Il personaggio non va sopravvalutato, ma è certamente la spia di una prossima svolta definitiva

Simile animosità comincia ad affiorare anche nel Congresso Statunitense, questa volta condita di progetti e numeri. Qualcosa di definitivo sta maturando negli ambienti democratici e neocon americani. In questo contesto, la crisi ucraina potrebbe conoscere percorsi ed epiloghi meno prevedibili e più accomodanti, assecondati da iniziative di personaggi che difficilmente oserebbero iniziative suscettibili di contrariare il proprio referente. L’ultima telefonata di Draghi a Putin rientra in questo quadro. L’articolo di Foreign Affairs pare alquanto illuminante riguardo al cambio di priorità in politica estera

https://twitter.com/foreignaffairs/status/1488557815241314309?s=21

Aerei da guerra taiwanesi sorvolano Taipei, 10 ottobre 2021
Aerei da guerra taiwanesi sorvolano Taipei, 10 ottobre 2021
Ann Wang/Reuters

Nel marzo 2021, l’ammiraglio Philip S. Davidson, allora comandante del comando indo-pacifico degli Stati Uniti, informò il Congresso che la Cina avrebbe potuto invadere Taiwan entro i prossimi sei anni. A ottobre, il ministro della Difesa taiwanese Chiu Kuo-cheng ha fornito una tempistica ancora più breve, affermando che la Cina sarebbe stata capace di una “invasione su vasta scala” entro il 2025. E in Affari esteri la scorsa estate, Oriana Skylar Mastro, esperta di Esercito Popolare di Liberazione (PLA), ha avvertito che “ci sono stati segnali inquietanti secondo cui Pechino sta riconsiderando il suo approccio pacifico e contemplando l’unificazione armata”.

Nonostante i crescenti avvertimenti, il Dipartimento della Difesa statunitense non è adeguatamente preparato per un’invasione cinese di Taiwan. Si consideri la US Navy, il servizio con il ruolo più critico nell’Indo-Pacifico. Il piano dell’amministrazione Trump per la modernizzazione navale, Battle Force 2045, si basava sul presupposto che la marina potesse aspettare fino alla metà degli anni 2040 per raggiungere la sua dimensione ottimale. Sotto il presidente Joe Biden, anche quel piano è stato accantonato, con la marina che ora fa un passo indietro rispetto al suo obiettivo di lunga data di mantenere una flotta di 355 navi. E i tagli previsti al budget per la difesa del prossimo anno probabilmente ridurranno ulteriormente le dimensioni della flotta.

Nel frattempo, le basi statunitensi e alleate nel Pacifico non sono state potenziate. Il Congresso non ha ancora finanziato un sistema di difesa aerea e missilistica estremamente necessario a Guam, che ospita una base aerea e navale che sarebbe in prima linea in qualsiasi conflitto su Taiwan. E nelle basi in tutta la regione, le scorte di munizioni a guida di precisione sono insufficienti per sostenere un conflitto prolungato.

Al momento, gli Stati Uniti sono sulla buona strada per perdere una guerra su Taiwan. Eppure non è troppo tardi per cambiare rotta. Con il reindirizzamento mirato delle risorse militari esistenti e prontamente ottenibili, una pianificazione efficace e lo sfruttamento di alleanze cruciali, gli Stati Uniti hanno la capacità di prevenire e, se necessario, di vincere una guerra su Taiwan non appena a metà di questo decennio. Invece di scommettere sulla moderazione del Partito Comunista Cinese (PCC) o su una tecnologia che non sarà pronta per più di un decennio, il Congresso e il ramo esecutivo devono attuare ora una nuova strategia di difesa del Pacifico. Come ha affermato la mia collega della Commissione per i servizi armati della Camera, la rappresentante democratica Elaine Luria della Virginia, invece di Battle Force 2045, gli Stati Uniti hanno bisogno di Battle Force 2025.

UNA LINEA DI DIFESA CRUCIALE

Sebbene lo Stretto di Taiwan possa sembrare lontano dagli Stati Uniti, l’Indo-Pacifico, che sarebbe il teatro più ampio di qualsiasi conflitto con la Cina, ospita numerosi territori e possedimenti statunitensi. Questi includono le Samoa americane, Guam e le Isole Marianne Settentrionali più una serie di altre piccole isole e atolli sotto il controllo degli Stati Uniti. Insieme ai paesi alleati nella regione come l’Australia e il Giappone, questi possedimenti statunitensi costituiscono una linea di difesa cruciale contro la Cina e forniscono agli Stati Uniti la capacità di negare in modo più efficace all’EPL la capacità di operare in ampie zone del Pacifico in tempo di guerra . In teoria, i territori e i possedimenti statunitensi dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale nell’integrare l’attuale posizione delle forze statunitensi nella regione, che sono in gran parte concentrate in un piccolo numero di hub in Alaska, Hawaii, Giappone,

Nonostante la loro importanza strategica, tuttavia, Washington non ha impiegato efficacemente questi punti d’appoggio nel Pacifico. In molti di essi non esiste alcuna infrastruttura militare statunitense. Il Pentagono dovrebbe esaminare immediatamente come queste isole potrebbero contribuire alla difesa del Pacifico e intraprendere qualsiasi bonifica ambientale e costruzione richiesta per un uso ottimale da parte delle forze statunitensi. Se c’è un pezzo di terra nel Pacifico sotto bandiera americana, deve essere in grado di ospitare piccole squadre di marine equipaggiate con missili a terra, mantenere aeroporti di spedizione e supportare sistemi avanzati di sorveglianza e ricognizione. Dovrebbe anche essere in grado di fungere da hub logistico per operazioni navali, aeree o altre operazioni militari statunitensi.

Washington dovrebbe anche prendere immediatamente provvedimenti per rafforzare i legami con gli Stati Federati di Micronesia, la Repubblica delle Isole Marshall e la Repubblica di Palau, i tre paesi insulari del Pacifico che mantengono alleanze con gli Stati Uniti nell’ambito di un Compact of Free Association. Con ciascuno di questi paesi, gli Stati Uniti dovrebbero cercare di estendere permanentemente i rispettivi accordi e di stabilire nuove basi statunitensi in cambio di una maggiore assistenza economica.

Difendere Guam, che dista solo 1.700 miglia da Taiwan, è particolarmente importante. Ha un porto in acque profonde, munizioni e depositi di carburante e un aeroporto fondamentale, ed è la patria di oltre 150.000 cittadini statunitensi. Tuttavia, al momento, l’isola è vulnerabile agli attacchi di una nuova generazione di missili balistici e da crociera cinesi, incluso uno che gli esperti della difesa hanno chiamato “Guam Killer”. Per anni, la principale richiesta del Comando Indo-Pacifico al Congresso è stata quella di finanziare una difesa aerea e missilistica all’avanguardia per Guam nota come “Sistema di difesa di Guam”. Ma la costruzione delle difese strategiche dell’isola dovrebbe includere anche maggiori capacità di riparazione delle piste e controllo aereo, strutture rafforzate per lo stoccaggio delle munizioni e centri di comando e controllo e nuovi sistemi di sicurezza per prevenire operazioni di spionaggio o sabotaggio.

Il Pentagono deve anche rafforzare i suoi accordi di base congiunti con gli alleati degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti dovrebbero collaborare con il Regno Unito, ad esempio, per potenziare la base sull’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano aggiungendo capacità di difesa missilistica che gli consentirebbero di contribuire meglio a un conflitto di Taiwan e fungere da hub per un lungo periodo. bombardiere e presenza di sorveglianza nella parte “Indo” dell’Indo-Pacifico. Basandosi sul recente accordo AUKUS con l’Australiae il Regno Unito, il Pentagono dovrebbe rafforzare la sua cooperazione con la Royal Australian Air Force presso la Base Darwin e la Base Tindal nel Territorio del Nord dell’Australia. Queste basi dovrebbero accumulare munizioni per servire le forze statunitensi che operano nella regione. E Washington dovrebbe anche cercare un accesso più ampio alle Filippine, anche a Subic Bay. Situate a poche centinaia di miglia da Taiwan attraverso lo Stretto di Luzon, le Filippine sarebbero un partner essenziale degli Stati Uniti in qualsiasi potenziale conflitto. Sebbene l’amministrazione del presidente Rodrigo Duterte sembri improbabile che accetti di ospitare missili statunitensi sul territorio filippino, i negoziati con il successore di Duterte dovrebbero essere in cima alla lista delle priorità indo-pacifiche del governo degli Stati Uniti.

Infine, gli Stati Uniti dovrebbero espandere le difese aeree del Giappone potenziando i sistemi della USS Shiloh , della USS Vella Gulf e della USS Monterey , tutti incrociatori con capacità di difesa dai missili balistici il cui ritiro è previsto per l’anno fiscale 2022. Dati gli alti costi di una completa modernizzazione, un’opzione più economica potrebbe essere quella di fornire loro aggiornamenti limitati che consentano alle navi di fornire protezione della difesa aerea pur rimanendo in porto in Giappone.

SFRUTTARE L’HARDWARE CHE ABBIAMO

Il potenziamento delle basi farà molto per fornire le basi per una presenza statunitense più forte nel Pacifico, ma non sarà sufficiente per dare agli Stati Uniti un vantaggio militare in un conflitto con la Cina per Taiwan. Se nei prossimi anni scoppia un conflitto, gli Stati Uniti entreranno in guerra con l’esercito che hanno oggi, non quello che pianificatori e tecnologi della difesa immaginano per domani. In quanto tale, Washington non può permettersi di ritirare o tagliare attrezzature e armi convenzionali critiche nella speranza che tecnologie future non provate le sostituiscano. Dovrà sfruttare al meglio l’hardware militare che già possiede.

Nel suo budget di maggio 2021, la marina ha proposto di ritirare 15 navi, inclusi sette incrociatori, e di acquistarne solo otto. Ma alcune delle navi previste per il ritiro potrebbero invece svolgere un ruolo fondamentale fornendo difesa aerea ai gruppi di attacco delle portaerei. Con modesti aggiornamenti, alcuni degli incrociatori potrebbero anche fungere da risorse di difesa aerea stazionarie a Guam o in Giappone. Gli Stati Uniti potrebbero potenziare queste navi acquistando e posizionando celle missilistiche del sistema di lancio verticale indipendentemente a terra o su piattaforme ormeggiate per aggiungere capacità di difesa aerea.

Gli Stati Uniti hanno anche l’opportunità di potenziare il proprio arsenale missilistico convenzionale nel Pacifico. Negli ultimi anni, l’EPL ha sviluppato un arsenale crescente di tecnologie “anti-accesso/negazione dell’area”, inclusi missili e sensori a lungo raggio progettati per impedire alle forze statunitensi e alleate di operare su vaste aree del Pacifico in caso di conflitto. Il ritiro dell’amministrazione Trump nel 2019 dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, tuttavia, ha creato un’opportunità per contrastare questi sforzi con missili convenzionali lanciati a terra relativamente economici. Un modo promettente per farlo è attraverso quelli che l’esperto di difesa Thomas Karako ha chiamato “lanciatori containerizzati”, in cui missili e lanciatori sono mimetizzati in container per una facile dispersione e occultamento.

In una guerra a breve termine, Washington dovrà sfruttare al meglio le tecnologie che già possiede.

Il Pentagono dovrebbe anche concentrarsi sull’acquisto e la modifica di sistemi d’arma che migliorano la capacità dei militari di vedere o colpire le forze cinesi. Un buon esempio è il velivolo antisommergibile P-8 Poseidon, che la marina prevede di smettere di acquistare. Come ha affermato il giornalista aeronautico Tyler Rogoway, con modesti aggiustamenti, il P-8 potrebbe fungere da aereo economico per la consegna di un’ampia gamma di armi, compresi i missili anti-nave a lungo raggio. Inoltre, il Pentagono dovrebbe fare un uso maggiore dei sistemi sonar esistenti come il Transformational Reliable Acoustic Path System, che può rilevare passivamente l’attività sottomarina dal fondo dell’oceano lungo passaggi critici come lo Stretto di Luzon.

Un altro passo relativamente semplice sarebbe quello di acquisire kit di sorveglianza sonar “imbullonati” per navi commerciali noleggiate, che potrebbero schierarsi nel Mar Cinese Meridionale per aumentare la flotta limitata di navi di sorveglianza oceanica rilevatrici di sottomarini della Marina degli Stati Uniti. Il Pentagono dovrebbe anche acquistare velivoli senza pilota MQ-9B appositamente equipaggiati per dispiegare e monitorare i campi sonoboe antisommergibile, un compito attualmente svolto dai P-8, che consentirebbe ai P-8 militari di concentrarsi sul dispiegamento di armi contro sottomarini o navi nemiche. Gli Stati Uniti possono anche complicare la strategia antisommergibile dell’EPL schierando più veicoli subacquei senza pilota come sottomarini esca.

Il Pentagono dovrà pianificare in anticipo per evitare i colli di bottiglia nella produzione di munizioni emersi in alcuni recenti conflitti. Ad esempio, durante la campagna della NATO del 2011 contro il dittatore libico Muammar al-Gheddafi, le forze armate europee hanno esaurito le munizioni a guida di precisione. Su un dato sistema missilistico, circa il 30% del materiale richiede tempi di rifornimento che possono durare oltre un anno. Per abbreviare questa sequenza temporale, il Dipartimento della Difesa potrebbe utilizzare il Defense Production Act per indirizzare l’industria a dare la priorità alla consegna di materiali per i contratti di difesa. Ma un approccio più semplice sarebbe quello di effettuare ordini anticipati su articoli a lungo termine, come propellenti ed esplosivi, e accumularli finché non sono necessari. Il Pentagono potrebbe iniziare acquistando due set extra di componenti a lungo termine per ogni set di missili che ordina.

Anche con più materiali, tuttavia, gli ordini persistentemente piccoli, spinti da pressioni di bilancio, hanno reso fragile la catena di approvvigionamento delle munizioni. Il Pentagono dovrebbe richiedere alle aziende di modellare i tassi di produzione massimi per vedere dove possono verificarsi guasti alla catena di approvvigionamento e utilizzare i fondi del Defence Production Act per aiutare i produttori a costruire capacità di aumento. Sebbene possano rimanere dormienti durante il tempo di pace, queste catene di montaggio aggiuntive potrebbero fare la differenza in una guerra prolungata. Il Congresso dovrebbe anche redigere autorità “rompi vetri in caso di emergenza di Taiwan” che consentano all’industria di aggirare i processi di test che possono aumentare il ritardo nel campo delle munizioni.

FINE DELL’AMBIGUITÀ

L’unica guerra breve per Taiwan sarebbe stata una rapida vittoria cinese. Di conseguenza, i pianificatori della difesa statunitensi devono preparare sia le forze taiwanesi che quelle statunitensi per una lunga guerra. Per quasi due decenni, i leader della sicurezza nazionale degli Stati Uniti hanno consigliato alle loro controparti taiwanesi di concentrarsi sull’acquisizione di difese “asimmetriche” a basso costo, come missili antinave, sistemi di difesa aerea mobili, mine e velivoli senza pilota, piuttosto che su sottomarini molto più costosi , carri armati e caccia. Washington ha bisogno di aiutare Taipei a investire in più di queste armi asimmetriche, che massimizzeranno la difficoltà di un’invasione anfibia. Gli Stati Uniti possono iniziare offrendo fino a 3 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti militari, assistenza che dovrebbe essere subordinata all’aumento del proprio budget limitato per la difesa di Taiwan e investimenti in questo tipo di capacità.

Allo stesso tempo, gli Stati Uniti devono intensificare in modo significativo l’addestramento delle forze militari taiwanesi. Basandosi sui recenti resoconti dei media secondo cui le forze per operazioni speciali e i marines hanno addestrato forze partner a Taiwan, il Pentagono dovrebbe espandere quella missione sia per migliorare le capacità delle forze taiwanesi sia per inviare un segnale inequivocabile alla Cina. Dovrebbe anche inviare regolarmente alti dirigenti militari statunitensi a Taiwan, non solo per impegnarsi con le loro controparti taiwanesi, ma anche per osservare la preparazione militare del paese e acquisire una comprensione diretta della topografia in cui è probabile che si verificherà qualsiasi futura invasione. Washington dovrebbe anche espandere i partenariati della Guardia Nazionale con le forze taiwanesi e inviare unità delle dimensioni di un battaglione o di una brigata sull’isola con rotazioni regolari,

Soprattutto, il Pentagono dovrebbe costruire nuove strutture di pianificazione operativa per la difesa di Taiwan che includano sia l’Australia che il Giappone. Per fare ciò, dovrebbe ristabilire la Joint Task Force 519, che ha fornito il comando e il controllo mobili per la risposta alle crisi nel nord-est asiatico, sotto il comando indo-pacifico per guidare la pianificazione di emergenza nella regione. Dovrebbe anche ristabilire il comando di difesa USA-Taiwan, il comando militare bilaterale creato a metà degli anni ’50 per difendersi da una possibile invasione della terraferma e che era operativo fino al riconoscimento statunitense della Repubblica popolare cinese nel 1979.

Un impegno esplicito nei confronti di Taiwan porrà fine ai dubbi sulla determinazione degli Stati Uniti a difendere l’isola.

Un impegno così esplicito nella difesa degli Stati Uniti nei confronti di Taiwan richiederà un cambiamento nella politica degli Stati Uniti, ma aprirebbe la porta a una cooperazione militare-militare più efficace. Nei decenni precedenti, i responsabili politici statunitensi potevano fare affidamento sulla politica di lunga data di ambiguità strategica con la Cina su Taiwan, una politica che apparentemente scoraggiava la Cina dall’interferire a Taiwan e dissuadeva Taiwan dall’intraprendere azioni unilaterali per interrompere lo status quo. Oggi, tuttavia, è Pechino che è pronta a intraprendere un’azione unilaterale nello Stretto di Taiwan, e il silenzio strategico di Washington incoraggia tali intenzioni creando dubbi sulla forza della determinazione degli Stati Uniti nel difendere l’isola.

Sebbene un impegno inequivocabile degli Stati Uniti a difendere Taiwan possa di per sé essere insufficiente per scoraggiare un’invasione dell’EPL, ridurrebbe almeno le probabilità di una guerra a causa di errori di calcolo cinesi . Il Congresso può assumere un ruolo guida su questo fronte approvando il Taiwan Invasion Prevention Act. Introdotto per la prima volta nel 2020, il disegno di legge non solo porrebbe fine alla politica di ambiguità strategica, ma fornirà anche un’autorizzazione permanente all’uso della forza militare per difendere Taiwan in caso di invasione cinese.

FULCRO DEL MONDO LIBERO

Per gli Stati Uniti, agire rapidamente per costruire Battle Force 2025 non sarà facile. Il Pentagono è incline all’inerzia. Lasciato a se stesso, tenderà a limitarsi ad apportare miglioramenti marginali sotto i vincoli esistenti. Fortunatamente, però, il Congresso ha voce in capitolo. Incaricati dell’obbligo costituzionale di provvedere alla difesa comune, i membri del Congresso possono iniettare un senso di urgenza nel Dipartimento della Difesa prima che sia troppo tardi. Ciò richiederà difficili compromessi e il sostegno pubblico. Naturalmente, molti americani si chiederanno perché valga la pena assumere impegni di difesa che potrebbero trascinare gli Stati Uniti in una nuova guerra, per non parlare di una guerra con un avversario dotato di armi nucleari per difendere una nazione piccola e lontana. I leader politici di entrambi i partiti hanno bisogno di una buona risposta a questa legittima preoccupazione. La risposta è composta da almeno tre parti.

In primo luogo, consentendo all’EPL di prendere il controllo di Taiwan, gli Stati Uniti darebbero alla Cina un nuovo modo di condurre una guerra economica contro gli americani, così come le persone in Europa e in molte altre parti del mondo. Come fulcro della produzione di semiconduttori, Taiwan gioca un ruolo cruciale nell’economia digitale globale. I semiconduttori taiwanesi oggi alimentano decine di milioni di dispositivi di consumo, veicoli e sistemi militari di fascia alta. Negli ultimi tre decenni, poiché le società americane di semiconduttori hanno eliminato gli impianti di produzione ad alta intensità di capitale noti come fab, la dipendenza degli Stati Uniti da Taiwan per le sue tecnologie nuove ed emergenti è diventata sempre maggiore. E dalla Cina continentaleospita già un numero crescente di fab, potrebbe acquisire un pericoloso monopolio della fornitura mondiale di semiconduttori. Secondo un’analisi per l’Ufficio di analisi commerciale ed economica dell’aeronautica statunitense di Rick Switzer,  un ex consigliere di politica estera senior dell’Air Force, se la  Cina conquistasse Taiwan, controllerà quasi l’80% della produzione globale di semiconduttori. Ciò consentirebbe al PCC di utilizzare la fornitura di semiconduttori per ottenere una leva coercitiva su qualsiasi azienda, nazione o esercito che critichi le sue violazioni dei diritti umani, le sue pratiche economiche predatorie o la sua distruzione dell’ambiente o che altrimenti metta in discussione il suo potere e la sua portata.

In secondo luogo, la realtà della posizione geografica di Taiwan nel Pacifico significa che ciò che accade lì non rimarrà lì. L’isola si trova al fulcro della cosiddetta prima catena di isole al largo dell’Asia continentale, isole che comprendono sia il Giappone che le Filippine. Come una trincea della prima guerra mondiale, questa geografia forma un perimetro di difesa critico che in caso di guerra potrebbe aiutare a impedire alle forze cinesi di tentare una campagna più ampia che potrebbe minacciare le Hawaii, Guam e l’Australia. Inoltre, Giappone e Filippine sono alleati degli Stati Uniti. Se Taiwan dovesse cadere, gli obblighi di difesa degli Stati Uniti nei confronti del Giappone e delle Filippine continuerebbero, ma la loro esecuzione diventerebbe molto più difficile. La mancata difesa di Taiwan minaccerebbe i più importanti alleati di Washington in Asia e il suo stesso territorio nel Pacifico, inclusi più di 1,5 milioni di americani alle Hawaii ea Guam.

Terzo, se gli Stati Uniti non riescono a stare con i loro alleati democratici quando sono minacciati da un avversario autoritario, allora mineranno seriamente la propria credibilità e influenza. Non riuscire a difendere una democrazia esistente dal potere autoritario più importante del mondo porterebbe alla fine dello status di superpotenza degli Stati Uniti e alle corrispondenti garanzie di prosperità, libertà e diritti umani che ne derivano. Il PCC sta perseguendo una strategia globale di sfollamentogli Stati Uniti come leader del sistema internazionale, sostituendo l’ordine liberale guidato dagli Stati Uniti con uno che favorisce gli stati clienti del PCC e i valori autoritari. Se gli Stati Uniti abbandonassero Taiwan, prospera democrazia di 24 milioni di persone, Pechino potrebbe cogliere questa incapacità di promuovere l’“inevitabilità” del modello cinese. A breve termine, potrebbe consentire alla Cina di finlandizzare gli stati vicini, costringendoli in una posizione di assecondare il potere cinese per evitare di essere il bersaglio dell’aggressione cinese. A lungo termine, la Cina potrebbe utilizzare la sua portata in espansione per minare la democrazia in tutto il mondo.

Un simile destino non è inevitabile, ma fino ad ora gli Stati Uniti lo hanno reso più probabile adottando un approccio compiacente alla difesa di Taiwan. Costruendo Battle Force 2025, gli Stati Uniti e i loro alleati possono scoraggiare e, se necessario, sconfiggere un’invasione cinese a breve termine senza interrompere gli investimenti di difesa a lungo termine degli Stati Uniti e senza dipendere da magiche tecnologie future o miracoli di bilancio. Armati di un senso di urgenza, gli Stati Uniti possono difendere Taiwan e, nel frattempo, difendere il mondo libero.

  • MIKE GALLAGHER è un rappresentante repubblicano degli Stati Uniti del Wisconsin e membro del Comitato per i servizi armati della Camera.

Europa e progresso economico: dalla luce alle tenebre! Bernard Landais Di Bernard Landais

Un articolo condivisibile nella valutazione dell’esito delle politiche europeiste, molto meno nella impostazione ideologica. Non esiste un mercato, nemmeno il più “libero”, senza una “progettazione”. Una progettazione improntata, se non addirittura imposta, dal paese solitamente in grado di dettare le regole. Il momento in cui più l’aspirazione al “libero mercato” si avvicina alla realtà corrisponde a quello dell’affermazione definitiva di una potenza nell’agone geopolitico di una economia-mondo. Tutta la retorica europeista sulla affermazione della sovranità europea, fondata sulla superiorità morale e sull’efficacia del suo diritto regolatorio e della sua giurisdizione, poggia sul nulla; meglio ancora, sulla fondamentale forza e capacità egemonica di una potenza esterna al continente. La questione chiave è questa, piuttosto che l’illusione del “libero mercato”. Una illusione che distorce e sterilizza le pulsioni “sovraniste” presenti negli ambienti conservatori; pulsioni che, a differenza del campo progressista, quantomeno hanno un loro luogo di riflessione; pulsioni che, per altro, inducono a soffermarsi sulle assurdità regolatorie presenti nei mercati di massa, ad esempio in agricoltura, frutto delle negoziazioni certosine tese a favorire o difendere specifici gruppi rispetto ad altri piuttosto che sui vincoli “liberistici” che hanno inibito la formazione di imprese di dimensioni e capacità tecnologiche e innovative in grado di sostenere il confronto internazionale. Giuseppe Germinario

Dal Trattato di Roma all’introduzione dell’euro, l’Unione Europea ha cercato di portare prosperità economica ai suoi cittadini. Se all’inizio ha funzionato bene, da allora la macchina si è bloccata.

Bernard Landais è l’autore di Réagir au declino; un’economia politica per la destra francese , edizioni VA, 2021.

Il Trattato di Roma del 1956 che istituisce il mercato comune per i sei paesi fondatori (Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) ha inaugurato un’era di grande prosperità per questi paesi e, più recentemente, per la maggior parte di coloro che hanno aderito, anche tardi. I principi economici sottostanti sono la valorizzazione dei vantaggi comparati e l’estensione dei mercati aziendali, che garantiscono loro guadagni di produttività legati alle economie di scala. L’operazione del mercato unico avviata da Jacques Delors a metà degli anni ’80 è andata nella stessa direzione, almeno in apparenza. Ma era una finzione.

Il cambiamento lo possiamo vedere già negli anni 80. Essendo la componente economica ben consolidata e la maggior parte dei vantaggi ad essa legati essendo già stati completamente acquisiti per i “vecchi paesi” che all’epoca governavano l’Europa, il momento arrivò ad una grande forchetta.

Anche da leggere

Nuovo numero: nucleare l’atomo, futuro degli eserciti e dell’energia?

La biforcazione era ideologica

I socialisti si convertirono in massa alle leggi del mercato pur avendo l’idea che, dopo la pianificazione nazionale, fosse necessario imporre queste leggi in modo razionale attraverso l’organizzazione ei regolamenti. In accordo con il loro dna era quindi necessario e paradossalmente “progettare il mercato”. I Commissari europei, come oligarchi orgogliosi della loro scienza nuova di zecca, iniziarono così a praticare un “socialismo di mercato” che tuttora persiste, sostenuti da circoli finanziari e organizzazioni internazionali e giudiziarie. A loro spese erano i veri liberali, loro che, come i francesi l’economista Pascal Salin, avrebbero voluto attenersi alle misure contro le barriere del libero scambio e al movimento dei fattori.

La biforcazione era anche geografica

Il Regno Unito (proprio come l’Irlanda) non ha giocato a questo gioco, solo approfittando del suo ingresso in ritardo per raccogliere i frutti dell’apertura, mentre rifiutava il socialismo di mercato che stava iniziando. Da Margaret Thatcher a Boris Johnson, c’è una vera continuità in un atteggiamento di resistenza che ha portato alla Brexit. Il Regno Unito, che nella sua storia non ha mai dominato l’Europa e che tiene gli occhi fissi sull'”alto mare”, ha subito considerato che l’  avventura politica europea non poteva che giovare alle grandi potenze continentali e soprattutto alla Germania. Con la sua semplice presenza, il Regno Unito è servito temporaneamente come polo moderatore per frenare la deriva europea verso il socialismo. In particolare ha sostenuto i paesi dell’est. Poi se n’è andato…

La biforcazione era quindi lo spostamento dell’economia verso il politico

L’arrivo della moneta unica è stata fin dall’inizio un’avventura politica intesa come tale fin quasi dagli anni 80. Il processo di integrazione economica, è stato abbandonato a favore dell’immediato e forzato passaggio alla zona monetaria. Questa, così decisa dalla Politica e per la Politica, fu comunque venduta al popolo come speranza di ulteriore crescita economica. “  Un mercato, una valuta fu allora il nuovo slogan usato per convincere gli elettori piuttosto riluttanti. Il Trattato di Maastricht è stato ratificato con difficoltà, in particolare in Francia. Il Trattato di Nizza, respinto dal referendum, è stato reintrodotto di nascosto, segnando così il disprezzo della casta politica per il popolo.

In uso, se le promesse di crescita non sono state mantenute, il peggio non è accaduto per tutti i paesi dell’Eurozona, ad eccezione di quattro di essi: Grecia, Portogallo, Spagna, Italia. Hanno pagato con una grave crisi finanziaria gli eccessi finanziari legati all’attuazione dell’unione monetaria, dal 1999 al 2008. La Francia e gli altri paesi della zona non se la sono cavata meglio e probabilmente un po’ peggio di come avevano mantenuto una moneta indipendente. Nessun paese ha registrato una crescita maggiore a causa dell’euro sin dalla sua creazione. Le scelte politiche e quindi fatalmente dirigiste dall’inizio del secolo hanno dunque portato frutti amari o quantomeno insipidi.

Nel lungo periodo e dal 1975, anche molte giurisdizioni nazionali si sono leggermente allentate! Da parte sua, l’integrazione europea ha esaurito i suoi effetti economici benefici e non promette più nulla di tangibile per rimediare alla situazione. L’Europa economica è passata dalla luce all’oscurità!

Anche da leggere

L’Unione Europea non ha nemici

https://www.revueconflits.com/leurope-et-le-progres-economique-de-la-lumiere-a-la-penombre/

Nuove strategie politiche in un nuovo ordine economico, di Antonia Colibasanu

In diversi dibattiti a cui ho partecipato dall’inizio dell’anno – e in diverse risposte che ho ricevuto dai lettori – viene inevitabilmente posta una domanda: in questi tempi senza precedenti, in che modo gli stati stanno usando la loro leva economica per sostenere i loro imperativi geopolitici? In altre parole, come sta cambiando la geoeconomia ?

Per rispondere, dobbiamo considerare le origini dell’attuale clima economico globale. La pandemia di COVID-19 potrebbe aver rivelato e persino aggravato alcune tendenze già in atto, ma i problemi sono iniziati con la crisi finanziaria globale del 2008, che ha segnato alcuni cambiamenti fondamentali. In particolare, ha capovolto l’ordine economico dominato dagli Stati Uniti stabilito a Bretton Woods dopo la seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti sono ancora il paese più dominante, ovviamente, ma il mondo è decisamente più multipolare di quanto non fosse una volta.

Tra le altre cose, Bretton Woods ha consentito agli Stati Uniti di stabilire il dollaro USA come valuta mondiale mentre il Piano Marshall degli Stati Uniti ha fornito gli investimenti necessari per ricostruire le principali potenze europee. Ha facilitato la globalizzazione basata sul libero scambio su una scala senza precedenti, con la Marina degli Stati Uniti che si è assicurata le rotte commerciali globali. Ha creato un sistema in base al quale tutti erano legati a un mercato globale che, in teoria, avrebbe scoraggiato i sistemi imperiali tradizionali e quindi impedito un’altra guerra mondiale. Era in parte responsabile della guida della Guerra Fredda e in parte responsabile della sua fine. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti erano l’unica superpotenza rimasta al mondo, il garante di un governo globale che sosteneva il libero flusso del commercio. Da allora, altri paesi hanno riconquistato il potere economico, militare e politico, proprio come gli Stati Uniti ha perso o ceduto alcuni dei suoi. In breve, altre nazioni, istituzioni finanziarie e società hanno assunto un ruolo più importante nella gestione dell’economia globale.

I mercati finanziari si sono quindi sviluppati così rapidamente e in modo così indipendente che né gli Stati Uniti né nessun altro stato potrebbero controllarli come avrebbero potuto nella seconda metà del 20° secolo. Il trading sul cosiddetto mercato secondario – dove i diritti sui beni e le garanzie sulle transazioni venivano comprati e venduti come se fossero merci stesse – è diventato così fluido e così astratto da creare la bolla scoppiata nel 2008. I cittadini di tutto il mondo hanno perso fiducia nelle loro istituzioni finanziarie e nei governi che pretendono di proteggerle.

Molti di questi stessi cittadini iniziarono ad abbracciare il nazionalismo sia politico che economico, ma, cosa importante, iniziarono a cercare sistemi alternativi che operassero parallelamente a quelli consolidati. Inserisci le criptovalute. La fattibilità delle criptovalute è ancora una questione aperta, ma il fatto che siano state accettate come sono state illustra una perdita di fiducia nelle istituzioni tradizionali.

Quindi oggi, con le catene di approvvigionamento interrotte, con le criptovalute che stanno prendendo piede e con il mondo non ancora completamente ripreso dalla crisi del 2008, i leader di tutto il mondo stanno lottando per escogitare un mix di politiche adeguato. Insieme al fatto che i governi di tutto il mondo stanno escogitando modi per rendere le loro economie nazionali più resilienti, questo cambia il modo in cui i governi usano la leva economica per perseguire i propri interessi.

Il problema che stanno attualmente affrontando sia i governi che le banche centrali sembra essere un problema di inadattamento. Se guardiamo solo all’inflazione, dovremmo sapere che le banche centrali considerano la cosiddetta “inflazione core” il motore della politica monetaria. L'”inflazione core” esclude i fattori a breve termine che possono influenzare i prezzi, il che significa che esclude i prezzi dell’energia e dei generi alimentari. L’idea è che la politica monetaria non può controllarli e le fluttuazioni dei prezzi verranno eventualmente corrette.

Ciò porta i responsabili politici a considerare l’inflazione “transitoria” quando i consumatori pagano prezzi più alti per cibo ed energia. I consumatori, da parte loro, non sono così ottimisti. In così tante parole, pensano che l’inflazione sarà più alta di quanto pensano gli economisti della banca centrale, ed entrambi partecipano e quindi influenzano il mercato, il tutto mentre anche le istituzioni finanziarie e le società piazzano le proprie scommesse, in base a come vedono i politici e i consumatori agire sul mercato. Il problema è che molte delle loro azioni sono divergenti poiché il divario tra i due si è ampliato nel tempo.

Questo è un punto complesso, anche se ovvio: la volontà politica di cooperare per risolvere i problemi finanziari – come è successo dopo la crisi finanziaria del 2008 – è stata messa in discussione da problemi socio-economici individuali, innescando un effetto domino in cui è cresciuto il nazionalismo politico ed economico, soprattutto in Europa .

La pandemia ha complicato ulteriormente le cose. Le autorità centrali sono sfidate dalla popolazione praticamente su tutto, dalle campagne di vaccinazione alle misure di blocco. Ha creato una sfida ambientale, resistenza e scetticismo. Ecco perché gli stati si sentono obbligati a fornire un senso di protezione o, in alcuni casi, protezionismo.

Il che ci porta alla questione in questione. Dai giorni inebrianti della globalizzazione inarrestabile negli anni ’90, gli investimenti diretti esteri sembravano essere il modo preferito dai paesi per sfruttare economicamente i propri interessi geopolitici. Più un paese era in grado di controllare i flussi di investimento e le destinazioni, più facile era per esso costruire legami politici con vari paesi e regioni. La Cina, ad esempio, ha utilizzato questa strategia con grande efficacia in Africa e in Europa.

Ma poiché la globalizzazione si sta attenuando ed entriamo in un’era di deglobalizzazione, i paesi devono prima imparare a comprendere meglio i loro mercati interni e poi, in base alle loro specifiche esigenze interne, perseguire i loro interessi a livello internazionale. In effetti, la Cina è stata in grado di capirlo e quindi controllare il proprio mercato interno meglio della maggior parte degli altri. (È molto più facile da fare nelle economie centralizzate e nelle non-democrazie.) Le sue tattiche a questo riguardo sono eloquenti. Non ha avuto fretta di porre fine al blocco in porti strategici come Tianjin, dove le misure sono terminate la scorsa settimana, e Ningbo, dove le misure sono ancora in vigore, e ha anche segnalato che potrebbe vietare le esportazioni di energia e risorse minerarie chiave. Il 26 gennaio, Cina e Corea del Sud hanno deciso di notificarsi reciprocamente se una delle due avesse vietato tali esportazioni. Ciò avviene dopo che la Cina ha interrotto le esportazioni di urea a novembre, creando un’interruzione della catena di approvvigionamento nel processo. Pechino lo ha fatto per assicurarsi il mercato interno,

Un altro modo per sfruttare la capacità economica per fini geopolitici è almeno influenzare, se non il controllo totale, il flusso di merci ed energia. Questa è la tattica preferita dalla Russia. Mosca ha impugnato quest’arma in modo aggressivo, ma solo quando poteva permetterselo. Gli alti prezzi del petrolio e del gas di solito coincidono con gli interventi militari all’estero, come in Afghanistan nel 1979-1980 e in Georgia nel 2008. Le voci abbondano secondo cui un calo dei prezzi del gas è stata l’unica cosa che ha risparmiato l’Ucraina da una piena invasione russa dopo che Mosca ha preso Crimea nel 2014. E mentre le forze russe si ammassano oggi al confine con l’Ucraina, è importante notare che l’alto prezzo dell’energia rende probabilmente la Russia a prova di sanzioni per il momento.

Più astrattamente, mentre i paesi navigano nella nuova economia globale, cercando di mantenere la loro gente felice mentre perseguono i propri interessi all’estero, devono avere una comprensione più solida dei mercati finanziari e del ruolo che svolgono in quei mercati. Le autorità centrali hanno l’impegnativo compito di monitorare praticamente tutta l’attività di mercato, pur essendo in grado di regolamentarne una parte preziosa. Giocare un ruolo più sistemico di solito si traduce nella capacità di un paese di trovare modi per raccogliere capitali a costi di finanziamento inferiori e quindi acquisire una maggiore capacità di incidere sui costi di finanziamento di altri paesi. Nell’attuale sistema finanziario, dove il mercato supera le politiche ei loro effetti, un compito del genere sta diventando ancora più difficile del solito.

Ciò che è chiaro è che con il cambiamento dell’economia globale, cambieranno anche le strategie del governo per la gestione dei mercati finanziari e delle materie prime. Ciò si tradurrà probabilmente in misure protezionistiche, ma poiché le catene di approvvigionamento sono così integrate e digitalizzate, il protezionismo sarà probabilmente coordinato almeno a livello regionale se non globale. Fino ad allora, dovremo tutti convivere con l’incertezza.

https://geopoliticalfutures.com/new-political-strategies-in-a-new-economic-order/?tpa=NjZmNmE2YjIzMjc2YTlmZWNmZWE3MDE2NDQ1MDcyODg3Zjg5ZGQ&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/new-political-strategies-in-a-new-economic-order/?tpa=NjZmNmE2YjIzMjc2YTlmZWNmZWE3MDE2NDQ1MDcyODg3Zjg5ZGQ&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

Presidenze d’Italia! Il tramonto interminabile di un ceto politico_con Antonio de Martini

Sei mesi di battage mediatico a coltivare aspettative di rinascita. Una rielezione di una figura dimessa tutta interna alla peggiore conservazione dell’esistente. La riconferma del Presidente della Repubblica in scadenza ha comunque dei meriti. Ha messo a nudo lo spessore di questa casta. Un vincitore apparente, il Partito Democratico. Ha cominciato la campagna a novembre con una proposta di legge che impedisse la rielezione del Presidente uscente; ha ottenuto la rielezione del suo Presidente opponendo semplicemente dinieghi alle varie rose di nomi proposte dallo schieramento di presunta maggioranza di centrodestra. Non ha dovuto faticare molto con un leader del centrodestra che aveva bisogno in primis di confermare a se stesso l’esistenza, ma che ha dimostrato ancora una volta di essere un pesce adescabile con qualsiasi esca. La figura chiave di questa farsa è stato Berlusconi, atteggiatosi a foglia di fico prima e cavalier servente dopo; disposto a liquidare anche la propria creatura. Sarebbe già sufficiente per chiudere il varco ad ogni speranza. C’è purtroppo di peggio. Ha rivelato non solo lo scarso acume delle nostre maggiori figure istituzionali, ma soprattutto la scarsa comprensione della postura e della funzione dei loro incarichi. Passi per la Casellati, visti i suoi antefatti; da Mario Draghi ci si sarebbe aspettati un aplomb più adatto alla veste. Figure le quali, evidentemente, lasciate sole a decidere, si rivelano pecorelle smarrite o elefanti nella cristalleria. Un bel problema da risolvere per chi è costretto ad allentare le briglie e volgere lo sguardo altrove. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vtn5yr-presidenze-ditalia-con-antonio-de-martini.html

 

Stati Uniti! Giochi sempre più pericolosi_con Gianfranco Campa

Non siamo ancora al confronto diretto. La crescente intensità della tensione e la progressione dei focolai accesi qua e là per il mondo determinano un climax sempre più favorevole all’innesco di un detonatore. Manca ancora la chiara distinzione degli schieramenti; di contro aleggia la preoccupazione che un conflitto tra due contendenti non faccia che favorire un terzo o quarto incomodo ormai presenti a pieno titolo nell’agone internazionale. Sono le élites interne e le loro divergenze e contrasti di interessi a delimitare il campo di azione dei gruppi politici. In Cina, come in Russia, come soprattutto negli Stati Uniti. In questo quadro si inseriscono la banalità, le meschinità e gli impulsi che spingono alle decisioni, anche le più gravi ed irreversibili. Scelte che in una fase ascendente, come negli anni ’90, sono comunque riassorbibili in dinamiche più controllabili; in una fase di disgregazione, se non di vera e propria decadenza, rivelano la loro natura distruttiva ed autolesionistica. Come leggere altrimenti il confronto grottesco all’interno della amministrazione Biden, le incertezze e le falle che trapelano nella dirigenza cinese, le crescenti ambiguità di Trump. Se non altro, riguardo a quest’ultimo, si potrà testare quanto il movimento trumpiano avrà assunto maturità e forza propria anche rispetto all’attuale suo leader.

Nelle more, appare sempre più chiaro che i giochetti pericolosi che si sospettano a Wuhan non sono certo prerogativa esclusiva di quel paese. Come sempre è la casualità degli episodi a sollevare il velo di mistero. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vtglt2-giochi-pericolosi-dentro-e-fuori-gli-usa-con-gianfranco-campa.html

I RAPPORTI TRA PCI E USA. UNA RIFLESSIONE di Luigi Longo su Gianfranco La Grassa

I RAPPORTI TRA PCI E USA. UNA RIFLESSIONE

di Luigi Longo

Ho visto i due video sui rapporti tra PCI e USA di Gianfranco La Grassa, pubblicati sul sito www.conflittiestrategie.it, del 8/1/2022 (prima parte) e del 15/1/2022 (seconda parte).

Gianfranco La Grassa parla da anni della questione argomentata nei video suddetti. Per me sarebbe opportuno ed interessante, a questo punto, approfondire il ruolo che il ’68 e i movimenti successivi hanno avuto nel confondere e fuorviarne la lettura e il senso dell’unica fase storica italiana che ha avuto due sussulti di autonomia, con Enrico Mattei prima e con Aldo Moro poi , (ben più deciso il tentativo di Enrico Mattei), entrambi stroncati dalle strategie USA che hanno utilizzato politicamente i cotonieri lagrassiani e strumentalmente la mafia (l’assassinio di Enrico Mattei) e la CIA (l’esecuzione di Aldo Moro).

Le brigate rosse non c’entrano niente con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Esse sono state sempre strumento (ad eccezione forse nella prima fase) della CIA come esecutrice delle strategie USA. “Lei la pagherà cara!” fu l’espressione di Henry Kissinger, potente segretario di Stato dell’amministrazione Nixon nel 1974, rivolta ad Aldo Moro perché non solo lavorava al compromesso storico con il PCI ma, soprattutto, lavorava per una timida autonomia di politica estera verso il Medio Oriente (Emanuele Montagna, Franco Soldani, “Lei la pagherà cara”. Cabina di regia Usa, Vaticano e apparati di Stato dietro l’affare Moro, Edizioni Pengradon, Bologna, 2019). Voglio precisare che Aldo Moro in una prima fase lavorò al compromesso storico con il PCI, ma successivamente intuì che gli USA stavano preparando la sostituzione del loro referente principale in Italia, dalla DC al PCI, o a quello che sarebbe diventato dopo. Insomma Aldo Moro vide lontano e forse sapeva bene che il crollo dell’ex URSS era una questione di tempo perché chi doveva sapere sapeva (gli agenti strategici statunitensi (e non solo) erano consapevoli, attraverso le loro reti diplomatiche, le agenzie governative, eccetera, delle difficoltà strutturali della società sovietica “ […] che era rimasta irrimediabilmente indietro rispetto al capitalismo occidentale e che la gara con gli Stati Uniti era stata persa”) che l’URSS era un gigante militare-nucleare dai piedi di argilla (sulla fine dell’ex URSS c’è una convergenza, di ben altra natura, con le analisi di Charles Bettelheim, di Gianfranco La Grassa, di Costanzo Preve e di Emmanuel Todd).

Riporto un passo molto significativo: “[…] i membri di vertice delle BR all’epoca del sequestro erano già da tempo agenti di Stato e funzionari dei servizi segreti italiani e Nato (sotto coordinamento della CIA, mia precisazione LL) […] la vera natura dei sedicenti “brigatisti” venne al tempo occultat persino dal gruppo del “Il Manifesto” e in particolare da Rossana Rossanda, non appena quest’ultima in un suo tempestivo articolo del 28 marzo 1978 incorniciò le BR in un presunto “album di famiglia” del PCI, offrendo a queste ultime su un piatto d’argento una sorta di legittimazione politica ufficiale “da sinistra” e assecondando nel contempo, nelle peggiori delle ipotesi a sua insaputa, i disegni dei perpetratori. Avrebbero potuto desiderare qualcosa di meglio questi ultimi?” (Emanuele Montagna, Franco Soldani, “Lei la pagherà cara”, op. cit., pp.10-11).

Ora le domande che si pongono sono: di tutto questo la sinistra, i piccisti (come giustamente erano definiti da Gianfranco La Grassa e da Costanzo Preve), i gruppi rivoluzionari (potere operaio, autonomia operaia, avanguardia operaia, eccetera) che cosa hanno conosciuto, capito, elaborato, analizzato, teorizzato e praticato? E quale è stato il loro ruolo politico nelle relazioni sociali del sistema Italia?

Se applicassimo le propensioni storiche con le inclinazioni delle diverse fasi della storia mondiale di cui parla François Jullien (Essere o vivere. Il pensiero occidentale e il pensiero cinese in venti contrasti, Feltrinelli, Milano, 2019, seconda edizione) allora la preparazione dello spostamento del PCI verso l’Occidente inizia nel secondo dopoguerra con Palmiro Togliatti ed esplode in maniera evidente dopo il crollo (dissoluzione reale) dell’URSS (1990-1991)

POMBALINA-E-GIOCO-DELLE-PERLE-DI-VETRO-2, di Massimo Morigi

Massimo Morigi
ANCORA IN AVVICINAMENTO AL NUOVO GIOCO DELLE
PERLE DI VETRO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO:
POMBALINA ET INACTUALIA ARCHEOLOGICA

PARTE SECONDA
Dopo la pubblicazione sull’ “Italia e il Mondo” del saggio sulla dialettica prassistica
dell’epigenetica e della sintesi evoluzionistica estesa intitolato Epigenetica, Teoria
endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa
efantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical
Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis, su Donna Haraway e
materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della prassi olisticodialetticaespressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico e dopo la
recentissima pubblicazione sempre sull’ “Italia e il Mondo” sotto la Leitbild di
Federico II il Grande re di Prussia dell’inattuale La Loggia Dante Alighieri nella storia
della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863-2003) (la
prima parte all’URL http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimo-morigi-la-loggia-dantealighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione1863-2003-_________-i-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220110075018/http://italiaeilmondo.com/2022/01/09/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-_________-i-parte/; la seconda all’URL
http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimo-morigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storiadella-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-ii-parte/, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20220111161456/http://italiaeilmondo.com/2022/01/11/massimomorigi-la-loggia-dante-alighieri-nella-storia-della-romagna-e-di-ravenna-nel-140-anniversario-della-sua-fondazione-1863-2003-ii-parte/ ho ritenuto presentare ai
lettori del blog alcune riflessioni se si vuole ancora più inattuali ed attinenti il
Repubblicanesimo Geopolitico solo in Statu nascenti ed inseribili in questo contesto
interpretativo ma solo in prospettiva archeologica, quattro scritti ed interventi
pubblicati o presentati in sede seminariale in Portogallo che hanno precorso,
attraverso una prima riflessione sul repubblicanesimo, sull’estetizzazione della politica
e sulla conflittualità sociale, le attuali conclusioni, anch’esse inattuali ça va sans dire,
cui è giunto il Repubblicanesimo Geopolitico, informate al paradigma olisticodialettico-espressivo-strategico-conflittuale e appunto giunte a piena maturità – o
involuzione, chi può dirlo? – nel summenzionato saggio sulla dialettica storica e
biologica. Come suggerisce il titolo, queste fonti a stampa sono state per la maggior
parte edite dalla casa editrice Pombalina dell’Università di Coimbra oppure hanno
avuto comunque un editore portoghese (anche se sul Web, oltre a questa immissione
dei documenti in questione da parte dei “portoghesi”, esiste, di queste precursioni
inattuali del Repubblicanesimo Geopolitico, pure un’edizione dello scrivente immessa
direttamente dallo stesso sul Web: si tratta di Repvblicanismvs Geopoliticvs Fontes
Origines et Via, all’URL di Internet Archive
https://archive.org/details/RepvblicanismvsGeopoliticvsFontesOriginesEtViaMassimo, un’antologia di interventi sul Repubblicanesimo Geopolitico,
comprendente anche parte dei documenti presenti in questa antologia e con contenuti
anche multimediali) e riguardano o una prima ricognizione sul concetto di
‘Repubblicanesimo’ e come questo possa venire machiavellianamente in contatto con
la conflittualità sociale e l’estetizzazione della politica e come quest’ultima venga
utilizzata dai regimi totalitari di massa del Novecento. Come Leitbild si è pensato di
ricorrere ai Due amanti di Giulio Romano. Scelta apparentemente avulsa dal discorso
delle precursioni e delle inattualità. A ben vedere non troppo se si consideri il profondo
legame dialettico fra queste quattro riflessioni e la filosofia della prassi espressa dal
saggio Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi
evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste (ed anche visto l’attuale degrado
politico-filosofico, civile e culturale che in questi tempi di pandemie virali ma anche
psichiche, con ciò intendendo non solo l’irrazionale paura della morte causa morbo ma
l’altrettanto irrazionale terrore antivaccinista – entrambe le angosce frutto della
superstizione, del fideismo e dell’anomia caratteristici delle c.d. moderne democrazie
rappresentative, un degrado la cui succitata Leitbild costituisce il più dialetttico ed
ironico controveleno). E oltre non vado perché una corretta dialettica ha sempre
implicato una creativa e penetrante attività da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Perché, si spera e si pensa, Gentile e Gramsci non hanno certo predicato (e sofferto e
pagato) invano, e soprattutto, inattualmente. Il nuovo gioco delle perle di vetro, lo
sappiamo, disdegna la cronaca e si compiace di accostamenti (apparentemente)
inusitati per le superstiziose, anomiche, fideistiche e degradate masse dei sopraddetti
regimi “democratici”.
Massimo Morigi – Ravenna, inizio anno 2022
Massimo Morigi, Aesthetica fascistica II. Tradizionalismo e modernismo sotto l’ombra del
fascio (comunicazione inviata al convegno “IV Colloquio Tradição e modernidade no mundo
Iberoamericano – Coimbra 1, 2, 3 de outubro de 2007”), in “Estudo do Século XX”, N° 8,
Coimbra, Centro de Estudos Interdisplinares do Século XX de Coimbra – CEIS20, 2008, pp.
119-133. URL dal quale si può scaricare la rivista dal quale proviene l’estratto:
https://www.uc.pt/iii/ceis20/Publicacoes/revistas/revista_8, Wayback Machine:
https://web.archive.org/web/20201114222139/https://www.uc.pt/iii/ceis20/Publicacoes/revistas/revista_8. Inoltre in regime di autopubblicazione sulla piattaforma Internet
Archive e col titolo di GESAMTKVNSTWERK RES PVBLICA la comunicazione è visionabile e
scaricabile agli URL https://archive.org/details/GesamtkvnstwerkResPvblica e
https://ia801704.us.archive.org/2/items/GesamtkvnstwerkResPvblica/GesamtkvnstwerkResPvblica.pdf

Qui sotto il link con il testo della II parte:

POMBALINA E GIOCO DELLE PERLE DI VETRO SECONDO

Molecole della libertà per salvare l’Europa da se stessa, di americanenergyalliance

A cogliere lo spirito informatore dell’articolo in calce, gli Stati Uniti si propongono ancora una volta come i salvatori dell’Europa. Settanta anni fa dalla rivalità tra gli stati europei e dall’onta nazifascista; oggi più prosaicamente dalla penuria e dalla dipendenza energetica, in particolare di gas. In entrambe i casi “da se stessa”, dalle proprie colpe, dai propri errori. In politica, in particolare in geopolitica, anche i gesti più generosi serbano, il più delle volte nascondono sempre un aspetto utilitaristico. Stando alla lettera del titolo, l’articolista ha certamente ragione. Dubito che lo abbia nel merito di queste ragioni, se queste dovessero essere le ragioni dell’interesse dei paesi europei.

La precipitazione della crisi energetica, per altro non nuova negli ultimi cinquanta anni, è il frutto di diverse dinamiche che ormai si stanno accavallando ed intrecciando in un nodo gordiano inestricabile con “le buone maniere”.

  • da oltre dieci anni i paesi europei sono parte attiva di sanzioni sempre più pesanti nei confronti del loro principale fornitore energetico, la Russia, pagandone per altro il prezzo economico e politico più pesante. Non si comprende il motivo del disappunto nel momento in cui la Russia di Putin restituisca, per altro tardivamente, il favore con una parziale restrizione delle forniture energetiche e con la ricerca di nuovi partner economici della caratura di Cina e India;
  • da oltre venti anni tutti i paesi europei hanno alimentato l’estensione della NATO e della sua appendice dell’Unione Europea sino a ridosso della capitale russa fomentando guerre civili, disgregazione di stati (Jugoslavia), colpi di stato (Ucraina), spesso sostenendo personaggi, epigoni di fronde naziste talmente feroci da scandalizzare all’epoca gli stessi nazisti tedeschi. Alcuni paesi, in particolare la Germania, ne hanno tratto un qualche vantaggio economico e scarso vantaggio politico; altri ci hanno rimesso in tutti i sensi (Italia e Francia); altri ancora hanno soddisfatto la propria russofobia in cambio di una disgregazione sociale deprimente (Ucraina, Moldavia, Macedonia) agli antipodi delle aspettative vellicate dal mondo occidentale. Con la ciliegina sulla torta di una aperta discriminazione delle popolazioni russe rimaste intrappolate nell’implosione del blocco sovietico proprio nelle terre cosiddette paladine della difesa dei diritti umani. Il risultato è stato quello di spingere anche politicamente verso nuove sponde la classe dirigente russa attualmente dominante e la quasi totalità della popolazione;
  • da sempre l’Unione Europea, con la difesa dogmatica di un presunto virtuoso libero mercato, ha sempre più esposto la propria economia alla stagnazione, alla stasi tecnologica, alla dipendenza e subordinazione geoeconomica, alle oscillazioni nevrotiche di tipo speculativo. Nella fattispecie, il progressivo accantonamento della politica dei contratti di lunga durata richiesto dalla Russia in favore del mercato “hot spot” ha esposto ulteriormente l’Europa alle crisi speculative e alle incognite delle crisi geopolitiche e delle ritorsioni. Rimane, però, qualche dubbio sulla “oggettività” di quest’ultima dinamica. Un interrogativo, quindi, al quale dovrebbe rispondere il nostro governo, con a capo il campione dell’interesse nazionale di nome Mario Draghi: l’ENI, nostro pressoché monopolista importatore di gas, detiene ancora la maggior parte di contratti a lunga scadenza con prezzi fissati antecedenti all’esplosione di questo autunno. Gli aumenti registrati sono quindi ascrivibili in massima parte alle oscillazioni recenti o ad altri motivi? In mancanza di una risposta chiara ed esauriente saremo noi a cercarla altrove;
  • da circa cinquanta anni tutti i paesi europei hanno rinunciato ad una propria autonoma politica nel Mediterraneo allargato e in Medio Oriente, sacrificando in gran parte i propri successi in materia di individuazione e sfruttamento di giacimenti energetici a logiche geopolitiche ed economiche esterne. Da questo punto di vista l’ENI, pur resistendo, è stata una delle principali vittime di queste trame più impegnate ad alimentare le rivalità tra i polli (vedi Libia) che ad emanciparsi dal pollivendolo;
  • da circa dieci anni tutti i paesi europei raccolti nella UE, con l’Italia antesignana da cinquanta anni, sono stati artefici e vittime del proprio dogmatismo climatico-ambientalistico. Stanno spingendo verso una diffusione massiva e unilaterale tecnologie ancora premature, del quale non detengono nemmeno, in gran parte, le capacità tecnologiche ed industriali e affatto la disponibilità di materie prime; sacrificano così il principio saggio della diversificazione energetica di fonti e tecnologie e dei necessari tempi di transizione alla presunta superiorità morale di un diritto ed una regolamentazione del mercato avulsa dalla detenzione di un reale potere economico e politico; espongono così i paesi, in particolare quelli più accecati dal fervore catastrofista e per altro meno responsabili del degrado ambientale e del presunto degrado climatico, alle conseguenze nefaste del degrado territoriale locale, della speculazione finanziaria ed economica legata alle improvvise oscillazioni e ai tempi ristretti di transizione, della dipendenza geopolitica ed economica da materie prime, non solo più dagli idrocarburi.

Tutte dinamiche in mano a numerosi artefici, ma che in Europa hanno un solo determinante istigatore: i centri decisionali statunitensi, ben presenti ed influenti in tutti i campi di azione politica, economica e culturale dei paesi europei, a cominciare dalla NATO. Siamo proprio sicuri che gli stessi colossali incrementi di prezzo di gas e petrolio siano frutto esclusivo degli attriti più o meno alimentati ad arte con la Russia, quando invece interesse delle compagnie produttrici di gas e petrolio statunitense, sostenibile solo a prezzi particolarmente elevati?

E’ esattamente il non detto che informa l’articolo in calce. Sta di fatto che alle drammatizzazione dei rischi da dipendenza dai russi, corrisponderebbe una ulteriore dipendenza politica ed economica dei paesi europei dagli Stati Uniti e la possibilità da parte di questi ultimi di procrastinare la politica russofoba con minori vincoli economici che la annacquino. 

Il ceto politico e la classe dirigente italica, nella loro quasi totalità, sono i meno pervasi da questi salutari dubbi e i più pervasi da certezze codine. L’unica preoccupazione di tutte le forze politiche è attualmente quella di esprimere un Presidente della Repubblica che assecondi in ogni virgola le tentazioni americane, avventuriste e guerrafondaie, in Ucraina. Ricomporre immanente la diade di prostrazione all’ALLEATO è l’imperativo categorico

Persino la Croazia, paese presente con particolare discrezione in tutte le trame interventiste degli USA nel mondo, ha osato dichiarare esplicitamente il richiamo dei propri soldati dalla NATO in caso di conflitto in Ucraina.

I beoti italici ostentato una sicumera da stolti. Non hanno capito che i singoli paesi del pollaio europeo sono destinati ad essere sacrificati nel grande tavolo geopolitico presieduto da cinque/sei potenze in competizione. Se lo hanno compreso, sperano evidentemente di non essere loro i polli destinati al sacrificio o quantomeno di salvare dalla pentola qualche preziosa pentola. Sono purtroppo i primi ma non i soli in Europa.

Il loro orizzonte culturale non consente altro. Non tanto di uscire da un sistema di alleanze nefasto e controproducente, quanto nemmeno di approfittare di una condizione multipolare per contrattare una posizione più equilibrata e dignitosa nelle alleanze occidentali. Un idea di potenza e di autonomo interesse nazionale agli antipodi di un lirismo europeista sempre più cacofonico e grottesco nella sua impotenza e nel suo servilismo. “Arrivano i nostri”, ma senza nemmeno cioccolato e sigarette. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Molecole della libertà per salvare l’Europa da se stessa

Gli Stati Uniti sono diventati il ​​più grande esportatore di gas naturale liquefatto (GNL) nel dicembre 2021, superando Qatar e Australia, poiché i progetti hanno aumentato la produzione e le consegne sono aumentate in Europa per aiutare ad alleviare la crisi energetica lì. La produzione degli impianti di GNL degli Stati Uniti ha superato il Qatar a dicembre principalmente a causa dell’aumento delle esportazioni dagli impianti Sabine Pass e Freeport. Una rivoluzione del gas di scisto, insieme a decine di miliardi di dollari di investimenti in impianti di liquefazione, ha trasformato gli Stati Uniti da importatore netto di GNL a uno dei principali esportatori in meno di un decennio. La produzione di gas naturale negli Stati Uniti è aumentata di circa il  70% rispetto al 2010  dopo che una combinazione di perforazione orizzontale e fratturazione idraulica ha sbloccato le forniture dalle formazioni di scisto in tutto il paese.

Fonte: Bloomberg

Gli Stati Uniti hanno spedito il loro primo carico di GNL prodotto da gas di scisto nel 2016. Entro la fine del 2022, si prevede che gli Stati Uniti avranno la più grande capacità di esportazione del mondo. A quel punto, la capacità di produzione massima di GNL degli Stati Uniti raggiungerebbe i  13,9 miliardi di piedi cubi al giorno , superando di gran lunga sia l’Australia (11,4 miliardi di piedi cubi al giorno) che il Qatar (10,3 miliardi di piedi cubi al giorno). Ma, poiché ci vorrà del tempo prima che i nuovi progetti raggiungano la piena produzione, le esportazioni di GNL dagli Stati Uniti potrebbero essere inferiori alla capacità disponibile.

Fonte: VIA

Quando  Golden Pass LNG  sarà online nel 2024, che è attualmente in costruzione a Sabine Pass, in Texas, la capacità massima di esportazione di GNL degli Stati Uniti raggiungerà i  16,3 miliardi di piedi cubi al giorno , ovvero quasi il 20% dell’attuale fornitura di gas naturale degli Stati Uniti. Le autorità di regolamentazione federali hanno approvato altri 10 progetti di esportazione di GNL e ampliamenti di capacità nei terminal esistenti, tra cui Cameron, Freeport e Corpus Christi, per un totale di 25 miliardi di piedi cubi di nuova capacità. Il Qatar, tuttavia, sta pianificando un enorme progetto di esportazione di GNL che entrerà in vigore alla fine degli anni 2020, che potrebbe consolidare la nazione mediorientale come primo fornitore di carburante.

Gli Stati Uniti aiutano la crisi energetica dell’Europa

Le esportazioni di GNL degli Stati Uniti in Europa contribuiranno ad alleviare la crisi globale dell’offerta quest’inverno a causa delle scorte stagionali di gas naturale basse e della mancanza di risorse eoliche. Gli acquirenti d’oltremare hanno acquistato  il 13 per cento  della produzione di gas degli Stati Uniti a dicembre, un aumento di sette volte rispetto a cinque anni prima, quando la maggior parte delle infrastrutture necessarie per spedire il carburante non esisteva.

Alla fine di dicembre, il gas naturale nell’Europa nordoccidentale veniva scambiato a circa  $ 57,54 per milione di unità termiche britanniche, quasi un terzo in più rispetto alla settimana prima, ovvero circa $ 24 in più rispetto ai prezzi asiatici e oltre  14 volte in più  rispetto al gas naturale venduto negli Stati Uniti punto di riferimento Henry Hub.

Fonte: Bloomberg

Su 76 carichi di GNL statunitensi in transito,  10 navi cisterna  che trasportano un totale di 1,6 milioni di metri cubi di GNL hanno dichiarato destinazioni in Europa. Altre 20 petroliere che trasportano circa 3,3 milioni di metri cubi stanno attraversando l’Oceano Atlantico e sono in rotta verso il continente. Quasi un terzo dei carichi proviene dal terminal di esportazione Sabine Pass LNG di Cheniere Energy Inc. in Louisiana. La notizia della flottiglia ha fatto scendere il gas di riferimento olandese del mese anteriore del mese di Amsterdam del 18 per cento a  141 euro  (159 dollari) ad Amsterdam. I contratti di elettricità francesi sono diminuiti del 24% a 775 euro ($ 875) per megawattora e l’elettricità tedesca è scesa del 15% a 277 euro ($ 313) per megawattora. Mentre lo spread è diminuito, il gas naturale europeo è equivalente a un  prezzo di $ 273 per un barile di petrolio.

Fonte: ZeroHedge

Conclusione

I terminali di esportazione di GNL degli Stati Uniti stanno operando a capacità o superiore dopo aver raggiunto flussi record e hanno conquistato il primo posto nella classifica delle esportazioni di GNL il mese scorso, superando Qatar e Australia. Mentre l’Asia è in genere la destinazione principale per i carichi di GNL degli Stati Uniti, la crisi energetica dell’Europa quest’inverno causata da forniture insufficienti di gas naturale e scarse risorse eoliche e il suo premio significativo per il gas naturale ha portato a una flottiglia di navi cisterna con GNL statunitense diretti agli impianti europei. Mentre gli Stati Uniti hanno in linea una capacità aggiuntiva di GNL, si prevede che anche il Qatar aggiungerà nuova capacità entro la fine del decennio e potrebbe riprendersi la sua posizione di numero uno. Il successo dello shale gas nei mercati mondiali è una testimonianza dell’enorme ricchezza e competenza energetica delle persone dell’industria petrolifera e del gas statunitense che operano in un mercato libero.

https://www.americanenergyalliance.org/2022/01/freedom-molecules-to-save-europe-from-itself/

1 160 161 162 163 164 330