IL DOPO – ELEZIONI: TRAMONTO DELLA SINISTRA PACIFISTA E COMPARSA DELLA DESTRA D’ESTABLISHMENT. GLI SCENARI INTERNAZIONALI, di Marco Giuliani

IL DOPO – ELEZIONI: TRAMONTO DELLA SINISTRA PACIFISTA E COMPARSA DELLA DESTRA D’ESTABLISHMENT. GLI SCENARI INTERNAZIONALI

La futura maggioranza sarà costituita da una destra ormai annidata nelle stanze dei poteri forti

Che il segretario uscente di ciò che qualcuno, sino a poche ore fa, osava ancora definire “centrosinistra”, avrebbe annichilito quel residuo di aspirazioni legate a una maggiore giustizia sociale, al valore del pacifismo (almeno d’estrazione cattolica) e alla tutela del mondo del lavoro, era cosa ampiamente prevista. Potremmo dire banalmente scontata. Si aprono tuttavia scenari che saranno caratterizzati principalmente da alcune variabili indipendenti e pressoché inedite del panorama parlamentare italiano: l’uscita di scena dei movimenti della sinistra pacifista (e anche un po’ classista) legata ai tradizionali canoni trasmessi dal sessantotto e l’insinuazione di una destra, se ancora si può definire destra, ormai da tempo annidata nei meandri dell’euroatlantismo filostatunitense e negli alti apparati di potere istituzionali e politici.

Chi, tra gli elettori della nuova maggioranza (che stavolta non si sono astenuti) spera in un cambiamento, c’è la seria possibilità che resti fortemente deluso; il prossimo venturo esecutivo, infatti, ha già imposto alcuni paletti a chi vorrà starci: prosecuzione dell’appoggio a Kiev in armi e miliardi e applicazione dell’agenda Draghi, almeno riguardo ai conti pubblici e alle relationship internazionali con UE e Nato. In relazione a questi presupposti, ci sarà da capire quanto il populismo della Lega sopporterà le imposizioni di Bruxelles e i diktat di Biden, che tra sanzioni e spese militari stanno rendendo la vita difficile a decine di milioni di cittadini del vecchio continente. Ma tant’è. Il rigenerato centrodestra a trazione meloniana è da tempo ancorato su posizioni conservatrici e non estremiste, linea favorita certamente dall’appiattimento dei programmi e delle scadenti iniziative del panorama politico italiano, ormai tecnocratizzato e concentrato sulle leggi di bilancio più che sulle preoccupazioni e sugli interessi dei cittadini.

La prima seduta delle due nuove camere è fissata per il 13 ottobre, e sarà condizionata, oltre che dal cosiddetto toto-ministri, anche dalla richiesta del Capo dello Stato di apporre immediatamente una forte stabilità (per poter continuare ad assecondare Casa Bianca e Von der Leyen?), della quale, in un momento di crisi internazionale così drammatico, si deve far garante. Già, perché la crisi legata al conflitto russo-ucraino continua a provocare strascichi sempre più gravi; la manomissione del Nord Stream e le annessioni dei territori del Donbass, legittimate o meno dai referendum, infatti, non hanno fatto altro che indispettire ulteriormente i falchi euroatlantici, decisi ad applicare nuove sanzioni e fornire nuove armi a Zelensky. Va ricordato altresì che i prossimi aumenti dei costi energetici non peseranno affatto sugli Usa o sui vari Borrell, Von der Leyen e Sholtz, ma solo sui cittadini comuni di un’Europa sempre più subalterna alla politica militarista di Washington. Quanto è giusto far pagare le sanzioni al popolo europeo? Perché mai le privazioni determinate dall’embargo a Mosca dovrebbero tramutarsi in bollette? Speriamo che l’esecutivo appena uscito dalle urne non ci parli di nuovi scostamenti di bilancio, perché altrimenti vorrebbe dire che le future generazioni cresceranno con enormi debiti sulle spalle vita natural durante.

Nel frattempo, lo slogan si vis pacem para bellum, risalente alla Roma antica e in particolare allo scrittore Vegezio, comincia a scricchiolare. Oltre ai mal di stomaco di Orban e del serbo Vucic, anche i tedeschi si sono scossi: con 476 no, il Bundestag ha respinto la risoluzione 20/2347 che prevedeva la spedizione di altre armi pesanti agli ucraini. Ciò significa che raccoglie sempre meno consensi il prolungamento di un conflitto che sta indebolendo solo l’Europa e che potrà allentarsi solo con una trattativa ed eventuali,  reciproche concessioni.

MG

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Crimea: quel referendum è illegittimo, articolo del 7 aprile 2014 a cura della redazione di www.ispionline.it

Televideo Rai del 26/09/2022, pp. 120-180 –

https://www.bundestag.de/dokumente/textarchiv/2022/kw39-de-entschlantrag-reg-erklaerung-912538, link della pagina ufficiale del parlamento federale tedesco, consultata il 29 settembre 2022 –

www.notiziegeopolitiche.net, pagina del 27 settembre 2022 consultata il 29 settembre 2022 –www.theitaliantimes.it, pagina del 28 settembre 2022 consultata il 28 settembre 2022 –

 

SOCIOLOGIA DEL VOTO_di Pierluigi Fagan

SOCIOLOGIA DEL VOTO. Faremo una breve considerazione a grana grossa su dati quasi completi della Camera per il proporzionale.
Tra coloro che hanno votato, si stagliano due gruppi. Quello che si nomina ed è di fatto il CDX somma, al momento, circa 11 milioni di voti. L’altro gruppo non ha nome e non è tale neanche di fatto, ma ha certi suoi gradi di omogeneità pur molto relativa. Parliamo qui in termini di sociologia politica, classificazione per condivisioni di impostazioni politiche ideali molto a gran grossa, nulla con cui poi si fanno governi o leggi specifiche semmai frutto di mediazioni e compromessi. Composto dal CSX propriamente detto ed il M5S, peserebbe sempre 11 milioni di voti, qualche centinaia di migliaia di voti meno dell’altro. Di questo secondo gruppo non fa parte Azione-Italia Viva.
Merito del meccanismo che trasforma questo relativo equilibrio dei due gruppi socio-politici in una disfatta epocale, visto da una parte – dall’altra è un trionfo epocale, è di un certo Rosato, oggi proprio in Italia Viva, un ragioniere democristiano ai tempi parte del PD. Ma poiché la lungimiranza della classe dirigente del PD è esuberante, oltre ad aver creato un meccanismo elettorale assurdo e non aver mai neanche provato a cambiarlo sebbene più o meno tutti lo ritengono assurdo dal 2017, hanno anche deciso che per fedeltà ad un totem detto “Agenda Draghi” non si doveva neanche provare a fare un accordo tattico col M5S. Meglio per quest’ultimo, che recupera parecchio dai sondaggi estivi.
Quanto al PD propriamente detto, siamo ad un milione di voti in meno rispetto al 2018 per una percentuale appena superiore del +0,5% per via della più generale contrazione dei votanti. Un milione di voti persi, quasi un -18% e stante che questo partito, nel 2018, era guidato da uno sbiadito funzionario, tale Maurizio Martina oggi alla FAO.
Tuttavia, l’Italia si uniforma agli standard europei, festeggiando la sua prima premier donna e medie di voto basse, su standard post-democratico, due fatti tipicamente europei.
[La foto è un tributo all’intrepido ragioniere al cui nome è legato il fatidico meccanismo che ha trasformato un composito e variegato quadro politico in un monocolore di destra]
[Attenzione alle pesature di sociologia politica. Al di là degli esiti elettorali partitici, al di là del diritto a governare garantito dal voto, in politica i voti si contano ma si debbono anche pesare]
SOCIOLOGIA DEL VOTO (2). Ieri abbiamo evidenziato come i due blocchi socio-politici principali, quello che ha vinto e quello che non è neanche riuscito a presentarsi come un blocco dividendosi in due parti, (qui non uso CDX e CSX perché queste sono categorie solo politiche mentre qui l’analisi è “socio”-politica), in realtà divergono per poco. Il loro insieme fatto cento, infatti, vede quello che ha vinto al 52% e quello che ha perso al 48% (l’ipotetica alleanza elettorale CSX+5S), questa è la loro pesatura sociale relativa.
Alcuni commenti sul post di ieri, evidenziavano le varie ragioni che portarono il partito principale dell’area che non formandosi in blocco poi ha perso più del reale peso (PD-CSX), a fare questa dissennata legge elettorale. Legge che ha trasformato un dato molto relativo in assoluto. In aggiunta, la decisione di Letta ad escludere a priori ogni possibile alleanza con i 5S, decisione incomprensibile stante la meccanica elettorale. Le rapide dimissioni annunciate ieri da Letta fanno pensare che tale esito era per certi versi “programmato”, per quali ragioni può esser oggetto di speculazione. Ma ci sarebbe anche da domandarsi perché in questi cinque anni, quel partito non ha sentito necessità almeno di provare a cambiarla.
Credo la risposta risieda nella genetica del PD, un progetto bipolare su format di cultura politica anglosassone (Lab-Con UK/ Rep-Dem US), quasi che imponendo una legge elettorale maggioritaria, allora si sarebbero formati partiti e cultura politica bipolare conseguente, una assurdità. Ne è venuto fuori un accrocco con una minoranza ex-democristiana che però spadroneggia su un totale maggiore della somma delle parti, con fazioni lib-lab confusamente “post-moderne/progressiste”, altri rimasugli più un corpo in teoria, almeno potenzialmente, “socialdemocratico” in senso europeo (PSE-SPD). Parliamo non della sua classe politica di partito, di nuovo, parliamo degli elettori, dei pezzi di società. Chi non ha amici e conoscenze di persone per bene, intrinsecamente quasi-socialdemocratiche per idee e valori, che si ostinano in mancanza di meglio a votare questo accrocco che fatalmente li delude?
Dato l’evidente fallimento di impiantare una cultura politica maggioritaria in un Paese che, come la Spagna, la Francia, la Germania ovvero la tradizione europea, è intrinsecamente pluripartitico, forse arriverà il giorno in cui questo accrocco si potrà sciogliere rilasciando le sue due anime principali a due percorsi di identità propria. Queste due aree avranno poi agio di collaborare ed allearsi, ma partendo da due soggetti pesati che chiariscano il loro reale peso di rappresentanza, determinando quindi i pesi dell’agenda politica concordata -dopo- una elezione e non prima dentro lo stesso partito che tale non è vista la diversità componente obbligata a convergere su dinamiche assai poco chiare in senso democratico. Detto altrimenti, la fazione ex-democristiana non volendo tornare all’insignificanza della Margherita, vuole a tutti i costi tenere unite le parti componenti l’accrocco che non è mai stato, né mai potrà essere “un” partito. A loro conviene.
Passiamo poi ad evidenziare come il soggetto +Europa abbia fallito il quorum per 50.000 voti. Unitamente alla punizione delle principali forze di sostegno al governo Draghi (PD, FI, Lega, Di Maio etc.), si evidenzia palesemente come il dibattito politico pubblico sia artificiosamente centrato su temi ed argomenti (ad esempio il dogma sfiorante il culto di Mario Draghi) che non hanno alcuna presa sul Paese reale. Ha stra-vinto l’unica forza politica che non ha partecipato al governo del banchiere ed ha vinto relativamente (ovvero ha perso rispetto al 2018 ma rimbalzando all’ultimo momento delle più fosche previsioni) la forza che alla fine se ne è in parte dissociata tra scrosci di pubblico sdegno.
In Italia c’è un problema grave di scollamento tra élite pubblica (imprenditori, affaristi, giornalisti, intellettuali organici alle classi di potere e conseguente classe politica da questi supportata) e popolazione, è del tutto evidente. Era evidente nel 2018, continua ad esserlo. La “democrazia”, ammesso e non concesso quella solo rappresentativa possa definirsi tale, è un sistema complesso. Si può nominalmente far finta sia tale rincuorandoci dell’esser dalla parte giusta della storia politica, salvo poi manipolarla di modo che sia, com’è nei fatti, una oligarchia che si sottopone a giudizio molto poco libero una volta ogni cinque anni. E’ questo blocco dall’alto che genera come unico sfogo il c.d. “populismo”.
E veniamo ai bassifondi elettorali. Qui abbiamo una forza politica centrata su un giornalista televisivo (Paragone), senza reale consistenza politica in senso tradizionale che ottiene 540.000 voti, agitando il tema dell’uscita dell’Italia dall’euro o forse anche dall’Europa. Fa già ridere così. Nel senso di presumere il poter fare una forza politica su un singolo tema così delicato senza essere in Inghilterra (modello Farage), di nuovo presupponendo che nel mondo politico ci siano “modelli” non dipendenti dalle condizioni di contesto cui applicarli, una sorta di teoria della fisica politica trasferita alle società, alla geo-storia, alla cultura. Va be’, diciamo che il tipo che ha del furbacchione, stando già in Parlamento, ci ha “provato” a rimanere nel bel mondo, rimarchevole comunque che mezzo milione di persone gli abbiamo pure dato retta.
Quanto a Italia Sovrana e Popolare, siamo a 300.000 voti, tenuto conto che 100.000 circa sono del PC di Rizzo (2018). La c.d. area sovranista politicamente più seria del “fenomeno Paragone”, “pesa” 200.000 voti. Sul totale aventi diritto, Italia ed Estero, sarebbero lo 0,4%. Ripeto, qui facciamo pesatura all’ingrosso dei blocchi sociopolitici, quindi non consideriamo il poco tempo avuto da queste formazioni (sì perché l’area è piccola, ma ciononostante si divide in fazioni) per la campagna elettorale e gli scarsi mezzi. Anche se uno si potrebbe domandare perché con poco tempo a disposizione e scarsi mezzi, cose note a priori, qualcuno abbia sentito l’esigenza di mettere in piedi una macchina elettorale dedicata.
Qui si possono fare due considerazioni che poi è una sola. Questa legge elettorale, ma è cosa che penso rimarrà anche quando decideranno di adeguarla ad un modo normalmente proporzionale, pone lo scalino del 3% che sugli attuali votanti vale qualcosa come circa 850.000 voti. Se fossero stati quelli del 2018, lo scalino sarebbe valso 1,1 milioni di voti. Sempre poi che in una nuova legge proporzionale non decideranno, com’è probabile, di portarlo al 5%. Chi tenta la scalata elettorale deve porsi questo target. Il target dovrebbe retroagire sul pensiero ed il fare politico. Ho l’impressione che gli amici di ISP non avessero una auto-percezione realistica della propria consistenza. Ho l’impressione che questa area che ha presenza più nel virtuale che nel reale, scambi i numeri di Internet con quelli del mondo “grande e terribile”. Il che per un’area critica verso il neoliberalismo con distopiche derive da capitalismo della sorveglianza ha del paradossale. Speriamo il risultato concreto porti riflessione concreta e non collezione di scuse per continuare a pensare ed agire come s’è fatto fino ad ora. Popolo vs élite? Non c’è più destra, né sinistra? Non c’è più o non deve esserci? No perché la destra sembra ci sia e neanche poco.
E chiudiamo l’analisi del micromondo con Unione Popolare. Qui il risultato migliora dal solo Potere al Popolo del 2018 ma di molto poco e comunque anche qui, di gran lunga lontani dal quorum. Anche De Magistris, come Ingroia, come Paragone, è uno di quegli aspiranti al Parlamento, chissà se per pure ragioni personali o anche ideali. Perché gente di questa area politica si ostini a creare forze politiche che in tutta evidenza non riescono a lievitare come progetto politico e si svegliano quando sentono la chiamata alle elezioni che, come sappiamo, sono ampiamente condizionate se non truccate, ha del mistero.
Chissà profondere impegno ed energia politica nei cinque anni e non nei cinque mesi o settimane che portano alle elezioni, sarebbe più serio e proficuo?
A conclusione, ho idea che la corrosione profonda del significato del concetto di “politico” e di “società” operata ormai da decenni, abbia raggiunto il suo risultato: nessuno sa più come interpretarli. Chissà, magari, prima o poi, a qualcuno verrà in mente di studiare riflessivamente la faccenda invece che scrivere l’ennesimo libro o articolo di critica al neoliberismo. Una critica della critica, in altri tempi si sarebbe chiamata una “autocritica”. Non un pentimento formale di tipo confessional-cristiano, una applicazione delle razionalità a sé stessa. Sarebbe già un buon inizio e poiché dalle nostre parti (cultura della complessità) si dice che ogni percorso ha dipendenze dalle condizioni iniziali, sarebbe l’inizio necessario.
[Naturalmente molti lettori e lettrici, qualcuno anche in vena di commento, come ieri accaduto, non coglieranno la differenza tra una analisi sociopolitica ed una politica stile diretta Mentana. Qui si cerca di capire i rapporti tra blocchi sociali/ideali e politica, al netto di leader e partiti specifici. Altre analisi sono benvenute, polemiche da basso condominio, meno]

Perché il presidente Putin ha minimizzato l’importanza del suo incontro con il presidente Xi?_Di Andrew Korybko

Il loro incontro è stato in realtà piuttosto importante, ma non nel modo in cui molti nella comunità Alt-Media si aspettavano, né il giornalista che ha formulato la sua domanda al leader russo nel modo particolare in cui l’ha fatto concentrandosi sull’aspetto geostrategico dei loro legami.

Molti nella Alt-Media Community (AMC) si aspettavano che l’incontro del presidente Putin con il suo omologo cinese a margine del vertice SCO della scorsa settimana a Samarcanda avrebbe portato ad alcuni annunci drammatici considerando tutto ciò che è successo in tutto il mondo dall’ultima volta che si sono incontrati di persona ai primi di febbraio. Le brevi osservazioni condivise da ciascun leader prima dei loro colloqui hanno riaffermato gli stretti legami di queste grandi potenze nella transizione sistemica globale alla multipolarità , il che ha ulteriormente sollevato la speranza tra gli osservatori che potrebbero coordinare una cooperazione rivoluzionaria durante il loro tête-à-tête.

Infatti, anche uno dei giornalisti che ha rivolto una domanda al presidente Putin durante la conferenza stampa dopo il vertice si aspettava che il leader russo discutesse con il suo omologo cinese di alcune questioni geostrategiche molto importanti. Purtroppo, quel professionista dei media è rimasto deluso come molti nell’AMC quando hanno scoperto che non era così, con quei due che invece parlavano principalmente di questioni economiche. Ecco lo scambio completo tra il presidente Putin e quel giornalista, dopo il quale seguirà una spiegazione sul motivo per cui ha minimizzato l’importanza del suo incontro con il presidente Xi (enfasi aggiunta):

“Domanda: il vostro incontro bilaterale più importante si è svolto con il leader cinese. Questo è stato un incontro molto importante, data l’atmosfera tesa in tutto il mondo, e il mondo intero lo stava seguendo. Quali sono i risultati più importanti dell’incontro?

Vladimir Putin: Per quanto strano possa sembrare, non c’era nulla di fondamentale. Questo è stato in realtà un incontro di routine tra noi. Non ci vedevamo di persona da un po’, dal mio viaggio a Pechino per l’apertura delle Olimpiadi, e abbiamo semplicemente dichiarato un aumento significativo degli scambi bilaterali.

Il nostro commercio si è attestato a 140 miliardi di dollari l’anno scorso, come ho detto prima, e avevamo fissato l’obiettivo di raggiungere i 200 miliardi di dollari, ma lo consideravamo un compito a lungo termine. Il commercio reciproco di quest’anno dovrebbe raggiungere circa 180 o addirittura 190 miliardi di dollari, il che significa che l’obiettivo di 200 miliardi di dollari sta per essere raggiunto, e credo che questa sia la linea di fondo.

Abbiamo parlato degli sforzi aggiuntivi necessari per espandere il commercio bilaterale e di cosa è necessario fare nelle condizioni attuali per resistere efficacemente alle restrizioni illegali e a tutti i tipi di guerre commerciali scatenate qua e là dai nostri cosiddetti partner commerciali, che applicano vari illegittimi restrizioni.

Tuttavia, dobbiamo agire per rispondere a questo in qualche modo. Siamo consapevoli di ciò che sta accadendo.

Abbiamo anche parlato della necessità di espandere il commercio e le transazioni nelle valute nazionali, che stanno gradualmente aumentando – non così velocemente come vorremmo, ma ci sono comunque dei progressi. Abbiamo parlato dei grandi progetti che stiamo implementando e menzionato progetti infrastrutturali che ci permetterebbero di sbloccare i crescenti flussi di merci. Questi erano gli argomenti di discussione.

Ma abbiamo anche menzionato alcuni problemi legati alla crisi e ne abbiamo parlato in modo amichevole ma basato sui principi”.

Come si può vedere, il leader russo ha sottolineato che l’essenza della loro discussione riguardava la cooperazione economica, che coinvolgeva anche dimensioni più ampie come contrastare le sanzioni illegali del Miliardo d’Oro . Questo in realtà è in linea con la strategia Asia-Pacifico del suo paese che ha riassunto nei suoi saluti ai partecipanti all’Eastern Economic Forum di questo mese a Vladivostok. Il presidente Putin ha suggerito che creare, mantenere ed espandere complesse relazioni di interdipendenza economica (come quelle che la Russia ha con la Cina in questo contesto) è un prerequisito per costruire in modo sostenibile la multipolarità.

Tuttavia, questo non vuol dire che i presidenti Putin e Xi non abbiano discusso di questioni geostrategiche dall’inizio dell’operazione militare speciale , ma solo che questo probabilmente è già accaduto nelle loro precedenti conversazioni telefoniche nei mesi precedenti l’incontro di persona della scorsa settimana. Inoltre, le loro burocrazie militari, di intelligence e diplomatiche permanenti (“stato profondo”) collaborano strettamente su un’ampia gamma di questioni. Pertanto, nessuno dei due leader ha sentito il bisogno di perdere tempo prezioso rivedendo ridondante quelle questioni precedentemente concordate, scegliendo invece saggiamente di concentrarsi su quelle economiche urgenti.

Con questa intuizione in mente su come vengono realmente condotte le relazioni internazionali, coloro che avevano grandi aspettative sul fatto che l’incontro tra i presidenti Putin e Xi avrebbe cambiato le regole del gioco dal punto di vista geostrategico potrebbero aver bisogno di saperne di più sulle complessità di cui sopra. Tra quegli osservatori che hanno già familiarità con questo flusso di lavoro ma hanno comunque sbagliato, evidentemente hanno interpretato male la sequenza di eventi che hanno portato ai loro ultimi colloqui di persona. Ciò potrebbe essere attribuibile al fatto che siano caduti sotto l’influenza dello stesso pio desiderio contro cui il leader russo ha messo in guardia all’inizio di quest’estate.

Dopo aver chiarito il motivo per cui il presidente Putin ha minimizzato l’importanza del suo incontro con il presidente Xi (che non era per i cosiddetti “scacchi 5D” motivi per “sfogare” qualcuno come alcuni dei letterali teorici della cospirazione dell’AMC potrebbero immaginare come un meccanismo di coping ), ciò non significa che non ne valesse ancora la pena. Al contrario, poiché l’espansione globale dei legami finanziari e commerciali russo-cinesi costituisce una delle basi geoeconomiche dell’emergente ordine mondiale multipolare e si allinea con la strategia Asia-Pacifico del presidente Putin, era imperativo per lui discutere i dettagli con Presidente Xi.

Considerando questo, il loro incontro è stato in realtà piuttosto importante, ma non nel modo in cui molti nell’AMC si aspettavano, né il giornalista che ha formulato la sua domanda al leader russo nel modo particolare in cui l’ha fatto concentrandosi sull’aspetto geostrategico dei loro legami. Se questi ultimi avessero sottolineato il significato delle loro relazioni economiche per accelerare la transizione sistemica globale verso il multipolarismo, per non parlare della strategia Asia-Pacifico del presidente Putin che ha toccato all’inizio di questo mese, non ci sarebbe stato bisogno di minimizzare i loro discorsi per evitare false percezioni sulla loro sostanza.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3274

PREPARAZIONI INVERNALI, di Pierluigi Fagan

PREPARAZIONI INVERNALI.
Impazzano le analisi ed i commenti sulla mossa referendaria voluta dai russi per i territori sin qui sottratti all’Ucraina, oggi accompagnata da un discorso di Putin con Shoigu a seguire. Poiché rappresenta una parziale novità rispetto alla guerra in corso su cui avevamo sospeso i discorsi fino, appunto, a novità di rilievo, ne diamo un commento.
La mossa referendaria era stata annunciata più e più volte sin dai primi mesi di guerra. Arriva a fine settembre e ciò induce a pensare in rapporto al tempo. Nei fatti, l’operatività militare su terra in quel di Ucraina sud-est, da ottobre quantomeno sino ad aprile inoltrato, sarà fortemente condizionata dal tempo atmosferico, pioggia, neve, gelo. Questo porta a diversi problemi operativi in termini di logistica militare, a parte lanciarsi l’un l’altro missili in testa. Nei fatti, la blocca o la limita fortemente. Per i mezzi pesanti, escluso l’off-road, rimane l’utilizzo delle strade o autostrade, praticamente un invito a farsi bombardare su coordinate certe, lo abbiamo visto già all’inizio del conflitto che era appunto marzo-aprile. A scanso d’equivoci, anche per turnare le truppe nei lunghi mesi freddi e bui, il Cremlino mobilita la riserva ovvero ex soldati già formati, da aggiornare.
Ammetto di non esser un analista militare, leggeremo i contributi di chi ne sa di più, ma ad occhio mi sembra che tempistica e contenuto degli annunci siano così leggibili. Si tratta di quel “congelamento del conflitto” ovvero consolidare le posizioni difendendole e senza nuove iniziative, iniziative problematiche anche per l’avversario, di cui già parlammo. Mosca avrebbe preferito senz’altro conquistare tutto il Donbass, ma non è stata in grado, tanto vale allora prenderne atto ed attestarsi.
Passiamo allora al piano strategico e politico. Mosca ha dichiarato i suoi obiettivi in tre più due punti sin dai primissimi giorni. Si trattava della famosa intervista Peskov a Reuters basata su. 1) riconoscimento autonomia Donbass; 2) riconoscimento sovranità di Mosca su Crimea; 3) neutralità in Costituzione ucraina con, in aggiunta, de-militarizzazione sostanziale dell’Ucraina (di cui Shoigu ha appena detto esser nei fatti stata realizzata, al netto degli apporti successivi NATO) e la quanto mai vaga denazificazione. Poiché questi due ultimi punti erano e rimangono vaghi, sembrano messi lì apposta per trattare di modo l’uno possa dire “ho vinto” e l’altro “ho vinto o comunque non ho perso e comunque non ha vinto lui”. I punti 2) e 3) dovrebbero esser in qualche modo trattabili, l’1) no. Direi che l’impianto rimane valido dopo quasi sette mesi di conflitto anche perché così è continuamente ribadito dai russi nella formula “obiettivi dell’operazione militare speciale” e quindi lo assumerei come posizione russa alla base della strategia del congelamento operativo del conflitto.
Sul piano politico ci sarebbe da parlare degli equilibri interni alla Russia nonché tra Russia ed amici SCO, ma lo faremo in altro momento.
Alla luce di ciò, anche le consultazioni nelle aree non Donbass che costituiscono oggi l’area della cartina aggiornata, avrebbero un valore successivamente trattabile, trattabile -nella mente dei russi- in un quadro più ampio in cui vanno messe sanzioni, ostracismo, forniture gas et varia. Ogni area avrebbe un suo peso e prezzo in una ipotetica trattativa. Ovviamente, ad oggi, non si vede la minima prospettiva di trattativa, fra sette mesi, chissà. Personalmente e contrariamente a molti, non vedo escalation di fatto, vedo anzi congelamento situazione di fatto e scommessa su i tempi lunghi.
Non so dire se hanno o meno ragione, ma a me pare che i russi sapessero sin dall’inizio che la questione sarebbe stata lunga, quindi immagino si siano attrezzati relativamente. Occorre scorporare tutto ciò che cediamo di sapere perché lo hanno detto le fonti informative occidentali dalla blitzkrieg a Kiev, all’invasione fino ai confini della Romania, la Novorussia con Odessa ed altre intenzioni attribuite in statuto ampiamente ipotetico. Nei fatti, nulla di tutto ciò potevi ottenerlo con 100-150.000 uomini quindi nulla di tutto ciò era nelle strategie russe.
Le strategie poi debbono declinarsi e le si declinano anche rispetto all’avversario, non puoi farle tutte a priori. Mi sembra probabile i russi vogliano vedere come staranno le cose tra sette mesi e cosa faranno ucraini ed euro-anglo-americani in questi sette mesi. Mi pare un gioco su un tavolo in cui le fiches sono appunto “tempo”. Chi ha più tempo e resistenza? I russi vantano di poter mettere sul piatto altri 300.000 riservisti per turnare al fronte, difesa, presidio, nulla di particolarmente impegnativo se non rischiare la pelle sotto le bombe ed i missili che continueranno a piovere. Gli ucraini al fronte e la popolazione verso la quale si potranno avere altri disagi come il riscaldamento e la luce, come staranno tra sette mesi? E cosa succederà alle elezioni americane di novembre? Gli americani daranno missili a lungo raggio o addirittura aerei il che li porterebbero ufficialmente in guerra? E l’Europa, quale sarà la geografia politica europea dopo il lungo e problematico inverno e relativa tenuta delle opinioni pubbliche? La partita è ancora lunga.
Credo i russi vogliano comprare tempo, vedremo, è una ipotesi. A poker corrisponderebbe non a “rilancio” ma allo “sto”, “arrocco” se preferite gli scacchi. Certo, ogni ipotesi deve fare i conti con la consistenza di deduzioni ed induzioni su informazioni che però non sono certo quelle date in pubblico dalla stampa occidentale. Vedremo quindi quale tra questa ed altre ipotesi avrà più consistenza.
[Non mi sfugge il tintinnio di atomiche ovvio, solo che parlarne è un conto, usarle un altro. La M.A.D, secondo me, di base vale ancora, com’è ovvio che sia]

Roberto Buffagni

Buona ipotesi ma perché si verifichi bisogna essere in due, ossia bisogna che l’Ucraina, dopo aver messo in campo l’esercito ucraino 1 e l’esercito ucraino 2 (quello della controffensiva), non metta in campo l’esercito ucraino 3. Io purtroppo temo che lo faccia, perché a giudicare o meglio a improvvisare un giudizio sulla base di quel che si vede, ho l’impressione (NON le prove) che già nell’esercito ucraino 2 ci siano interi reparti – non singoli, reparti – NATO a cui sono state cambiate le mostrine e organizzato un quadro giuridico sufficiente a inquadrarli formalmente nell’esercito ucraino. Se le cose stanno così per la Russia questa storia non finisce mai, la “demilitarizzazione” dell’Ucraina è impossibile senza un dispiegamento di forze molto rilevante. E più dura la guerra, più sale di intensità, più si fanno probabili improvvise escalations, anche per semplici incidenti. 
DUE È FACILE, TRE È COMPLESSITA’.
[All’inizio non sembra, ma è un post di geopolitica]. Questo il titolo di un libro scritto ormai qualche anno fa da un fisico inglese. Il concetto proviene da un problema matematico-astrofisico, detto “problema dei tre corpi” analizzato dal grande matematico francese Henry Poincaré. Analizzando il corpo delle equazioni, si arriva alla Teoria del caos ed altri sviluppi la cui gran parte entra nella cultura della complessità.
Da un po’ di tempo seguo delle lezioni on line di fisica sul problema della gravità quantistica. Naturalmente non capisco granché di quello che dicono. Vi domanderete: allora perché butti via così il tuo tempo? Perché seguo abbastanza per capire come ragionano, che forma ha il ragionamento. Il ragionamento è il funzionamento di quella che qui chiamiamo immagine di mondo. L’immagine di mondo è una proprietà sistemica della mente umana. Naturalmente essa ha varietà in base al sesso, l’età, l’etnia, il cumulo di esperienze, la formazione e il campo specifico in cui opera il portatore. Tuttavia, è sempre possibile individuare dei gradi di generalità. Ad esempio, seguire i modi di ragionare in questo campo della fisica, trovandone corrispondenza in generale nel pensiero scientifico, ma anche nel pensiero non scientifico. Al livello più generale, sono sempre, tutte, “menti umane”.
Nel pensiero generale, specie quello occidentale, si privilegia il discorso sull’Uno. A volte e recalcitrando, si affronta il problema del Due che è poi la relazione tra due Uno. Ma a Tre scoppia il casino. Il “casino” qui è la nostra pretesa di perfetta calcolabilità delle cose, una sorta di sindrome da controllo. La sindrome è una nostra minorità, le cose là fuori, ma anche dentro di noi, sono collegate tra loro in matasse 4D, per cercar di domare il casino lo semplifichiamo. La semplificazione è la nostra procedura di riduzione della complessità intrinseca affinché il tanto degli oggetti e fenomeni osservati, possa entrare nelle nostre limitate facoltà. La procedura non ha alternative, la mente umana è quello che è, quindi è legittima. È però un problema quando ci convinciamo non di far qualcosa di arbitrario per quanto necessario, ma che il mondo è proprio così come lo riduciamo per farcelo entrare nella testolina.
Passiamo allora alla geopolitica partendo da un articolo di Le Monde.
L’articolo segnala che nella dinamica sempre più conflittuale tra Ucraina con dietro allineato l’Occidente (Europa ed Anglosfera) e Russia con dietro i meno allineati ma non per questo contrari SCO-BRICS etc., una grande e sempre crescente parte del mondo, decide di chiamarsi fuori, di non allinearsi.
L’articolo cita un funzionario UN, secondo il quale, questo gruppo crescente di Paesi che pesa “metà del mondo”: 1) ritiene la guerra russo-ucraino un conflitto regionale intra-europeo quindi a loro estraneo; 2) questo gruppo di paesi ha legami diretti o indiretti con la Russia e con l’area SCO-BRICS che vengono vissuti come meno imperativi dell’Occidente; 3) questo gruppo ha memoria e percezione del fatto che l’Occidente manipoli a piacimento i principi della convivenza planetaria come più gli fa comodo. Secondo me si è dimenticato un quarto punto, forse il più importante. Questi Paesi hanno un loro elenco di problemi e priorità che nulla hanno a che vedere con lo stato di conflitto in essere e in Ucraina e, più in generale, nella fase storica di transizione o meno ad un ordine multipolare. Detto altrimenti, questo gruppo di Paesi non ha alcuna sensibilità all’interferenza ideologica nel giudizio, avendo davanti una lunga lista di problemi concreti di ben altro peso e natura.
Uno studioso francese dell’IFRI (Istituto di Relazioni Internazionali Francese), nota giustamente che la Russia pur essendo solo l’undicesima economia al mondo, ha grande rilevanza in: gas, petrolio, armi, energia nucleare civile ed alcuni alimenti tra cui grano. Quindi ha facoltà di contro-sanzionare turbando in profondo mercati strategici dai quali essi stessi dipendono.
Pare che i francesi, vecchie volpi di colonialismo anche culturale, siano particolarmente sensibili a questi smottamenti, si pensi al loro ruolo in Africa. Pare dunque che Macron, dice Le Monde, sia impegnato a sensibilizzare europei ed alleati a non perdere questa “metà del mondo” che se ne sta andando per conto suo. L’articolo non è un saggio, quindi si limita a esortare a nuovi sforzi diplomatici. Temo però non si tratti di far chiacchiere più o meno sensibili e sintoniche, ma di analizzare nel concreto obiettivi, interessi e nuova concorrenza nel soddisfarli.
Altri articoli anche sul Guardian, segnalano che tra MBS e Biden ormai è partita persa, i due divergono senza mediazione. Sintomatica altresì, la recente uscita sincronica di più articoli critici su quella che gli occidentali cominciano a chiamare “l’ambiguità indiana”, la quinta nazione al mondo per Pil ma la prima per popolazione tra qualche mese. Gli indiani, com’è ovvio, fanno gli indiani. Comprano armi ed energia dai russi salvo poi dirgli di smetterla con la guerra. Litigano a 4000 metri coi cinesi per confini delle reciproche sfere di orgoglio nazionale ma poi ci fanno assieme cose nella SCO e nei BRICS. Comprano navi dagli americani e ci fanno esercitazioni militari assieme, ma le fanno anche coi russi ed i cinesi. Incassano le profferte che piovono da più parti (ultimo Biden qualche giorno fa) di includerli nella riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di cui tanto di parla ma che nessuno è davvero in grado di promuovere a breve dato che siamo in modalità conflitto planetario e non stagione diplomatica.
Poiché credo tutto ciò sia stranoto e previsto dagli strateghi di Washington, per quanto è possibile scontino un certo grado di cecità selettiva che porta a concentrarsi sulle cose che gli danno ragione e minimizzare quelle che gli danno torto, sindrome di perdita di realismo che colpisce fatalmente ogni sistema in parabola dis-adattativa, se ne dovrebbe trarre una inferenza. A Washington, il problema mondo è diagnosticato come irrisolvibile in prospettiva, tanto vale serrare i ranghi e prepararsi al conflitto su larga scala, il più forte sopravviverà.
Cosa nota diranno alcuni, così come altrettanto noto è il fatto che questa posizione forse inevitabile per USA ed anglosfera, non sembrerebbe coincidere nel campo degli interessi e delle possibilità con quella europea. Tant’è che la più alta sensibilità geopolitica notoriamente francese, tra quelle subcontinentali, se ne preoccupa.
Sarà che Poincaré era francese, ma i transalpini sembrano preoccuparsi del problema dei tre corpi e relativa complessità tendente al caos a dimensione mondo, tanto da avere una intera testata votata a questo oggetto. Noi abbiamo il Corriere di Milano e la Repubblica di Roma. Quindi inutile parlare di queste cose qui nel Paese che pensa che il mondo è tutta quella sfocata roba intorno alle cose che davvero contano. È proprio in base a ciò che ritieni conti davvero che poi conterai o meno nel grande gioco di tutti i giochi.

GUERRA ED ASCESA AGLI ESTREMI, di Teodoro Klitsche de la Grange

GUERRA ED ASCESA AGLI ESTREMI

Non è confortante la decisione di Putin di mobilitare una parte dei riservisti russi.

Contrariamente alla previsione dei media mainstream che le sanzioni avrebbero piegato l’aggressore, il quale era anche una “tigre di carta”, la tigre ha deciso di usare ambedue le zampe per combattere. Spinto a ciò dalla resistenza ucraina, superiore (e più determinata) del previsto, al punto di sviluppare delle controffensive locali che hanno avuto – negli ultimi tempi – successo. Data la limitatezza delle forze russe già messe in campo, la decisione – tenuto conto della perdurante volontà russa di perseguire l’obiettivo politico – è stata quella logica: aumentarle. Anche perché se le sanzioni riuscissero a piegare la Russia come asserito dai giornaloni, nessuno si azzarda ad aggiungere quando. E se si procrastina a qualche anno l’effetto delle stesse, Putin avrà tutto il tempo per occupare l’Ucraina (ma sembra non volerlo – e giustamente); dopo di che le sanzioni farebbero probabilmente la stessa fine di quelle degli anni ’30 all’Italia: essere revocate.

Quel che più interessa (e preoccupa) di tali previsioni à la carte è d’esser contrarie alla logica della guerra, per cui era prevedibile che il prosieguo delle ostilità  (anche) con la comminatoria delle sanzioni, avrebbero attizzato e non spento il conflitto.

L’aveva previsto due secoli fa Clausewitz, formulando quale “legge” della guerra l’ascesa agli estremi, ossia la tendenza del conflitto ad aumentare d’intensità. La guerra, scriveva il generale, è un atto di violenza e non c’è limite alla manifestazione di tale violenza. Ciascuno dei contendenti detta legge all’altro, da cui risulta un’azione reciproca che, nel concetto, deve logicamente arrivare agli estremi. Ossia una guerra logicamente tende a divenire assoluta, cioè senza limiti né di spazio né soprattutto di condotta. L’osservanza delle regole è subordinata al conseguimento della vittoria. Le restrizioni, come il diritto internazionale “non hanno capacità di affievolirne essenzialmente l’energia”.

Questo della guerra assoluta tuttavia è, secondo la terminologia weberiana un “tipo ideale”. Nelle guerre concrete “le probabilità della vita reale si sostituiscono alla tendenza all’estremo” per cui la condotta della guerra si sottrae (in parte) alla legge dell’ “ascensione agli estremi”.

Questo effetto moderatore della realtà, di cui scriveva Clausewitz, funziona; tuttavia può essere controbilanciato dal caricare di significati ideologici, religiosi, e quanto altro il conflitto, ed in particolare il nemico dipinto come criminale, pazzo, avido; onde la guerra diventa un atto di giustizia, volta a castigare un delinquente.

Mentre il fine della guerra “razionale”, come già scriveva S. Agostino, è la pace “la pace è il fine della guerra, poiché tutti gli uomini, anche combattendo cercano la pace… Perfino coloro che vogliono turbare la pace in cui si trovano… Non vogliono dunque che non vi sia la pace, ma vogliono la pace che vogliono loro”; presupposto della pace è trattare con il nemico, e quindi il di esso riconoscimento come justus hostis. La guerra dei giornaloni (e di parecchi politici) realizza proprio l’effetto contrario all’avvio di negoziati di pace.

A quanto sopra si può opporre che le misure prese dalle potenze occidentali, sia le sanzioni che le forniture militari a sostegno dell’Ucraina possono favorire nel segno della “guerra reale” lo squilibrio di forze tra i belligeranti e così favorire i negoziati.

Questi costituiscono (gran parte) degli strumenti di cui la politica può servirsi per smorzare le guerre. E il “fattore” di ri-equilibrio è sicuramente da valutare come mezzo per favorire i negoziati. Ma hanno altresì il difetto di procrastinare (al limite evitare) la conclusione della guerra per debellatio della parte più debole.

Questo se non ci sia da una parte e dall’altra  la volontà di voler porre termine alla stessa.

Perché come scriveva il generale prussiano (e non solo) fare la guerra si fonda sulla volontà dei contendenti, quella dell’aggressore di realizzare una pace diversa, e quella dell’aggredito nel conservare l’ordine preesistente.

Lo squilibrio dei mezzi, la stessa occupazione totale del territorio dell’aggredito spesso non ne comportano la cessazione, come provano le guerre partigiane.

E accanto, occorrerebbe un terzo che favorisse la pace, essendo credibile, autorevole ed equidistante; il quale nella specie, manca. Ma questa è un’altra storia.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

Tutti i danni ambientali dell’Unione Europea, di Davide Gionco

Tutti i danni ambientali dell’Unione Europea

di Davide Gionco

Le ipocrisie ambientali dell’Unione Europea

In Europa siamo tutti ecologisti, da Ursula Von der Leyen e Greta Thunberg in giù.
Ce lo dicono tv e giornali: siamo tutti ecologisti, le politiche ambientali davanti ogni cosa.
E’ giusto: abbiamo un solo pianeta in cui vivere e non possiamo permetterci di rovinarlo, per rispetto delle generazioni future.
Ma i politici “europei”, supportati dal coro unico dei mezzi di informazione, però, ci dicono un’altra cosa.
Ambiente significa unicamente fare politiche e informazione per contrastare il cambiamento climatico causato dalle emissioni di CO2. Ogni disastro naturale serve a giustificare questo assioma, che si tratti di siccità, di piogge eccessive, di temperature troppo elevate.
TV e giornali ci martellano in tal senso ogni giorno.

Altri motivi di danneggiamento dell’ambiente, come la gestione delle scorie nucleari, l’immissione in ambiente di sostanze chimiche cancerogene (come i famigerati PFAS, sostanze perfluoroalchiliche), l’uso eccessivo di additivi artificiali nell’industria alimentare, la dispersione delle microplastiche nelle acque, al punto che sono entrate a far parte della catena alimentare, fino agli esseri umani… Tutti questi veri problemi ambientali è come se non esistessero nella narrativa del potere politico e mediatico.
Per loro essere ambientalisti significa unicamente ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.

Non intendo entrare nel dibattito sulla fondatezza o meno delle teorie per cui l’aumento di temperatura del pianeta Terra sia causato dalle emissioni di CO2 e che l’aumento della temperatura sarà certamente causa di cambiamenti gravissimi per il genere umano.
Chiediamoci invece se siano dei motivi scientifici a portare i politici di non occuparsi di tutti gli altri problemi ambientali, ma solo delle emissioni di gas serra.
Quali sono i problemi ambientali più gravi che affliggono l’umanità, misurati in termini di rischi per la salute e la stessa vita delle persone?
Davvero siamo sicuri che la questione più importante sia il cambiamento climatico?

Ciascuno si informi e sia delle risposte su base scientifica, senza accodarsi alla narrativa a senso unico dei mezzi di informazione.

 

Il modello economico europeo è incompatibile con l’ambiente

Ma diamo per assunto che il cambiamento climatico sia il problema prioritario.
Davvero l’Europa porta avanti delle politiche in favore dell’ambiente, al di là dei proclami ufficiali?

Il problema di fondo dell’Unione Europea è l’assoluta inconciliabilità fra il modello economico adottato e le politiche ambientali.
L’Unione Europea è fondata prima di tutto su 3 principi neoliberisti:
1) Il libero commercio senza barriere
2) La competitività
3) Il settore pubblico che non interviene nell’economia

Il libero commercio senza frontiere mette in concorrenza i produttori sulla base dei prezzi dei prodotti commercializzati. Siccome produrre merci riducendo l’impatto ambientale costa di più che produrre merci senza preoccuparsi delle conseguenze ambientali, l’eliminazione delle barriere doganali favorisce le imprese che producono in paesi nei quali esistono meno controlli ambientali e le imprese che meno di altre si curano di rispettare l’ambiente.
Questo avviene a livello c0ntinentale, dove non a caso molti siti produttivi sono stati delocalizzati dai paesi in cui si usa energia più pulita e vi sono maggiori controlli ambientali ai paesi dell’Europa dell’Est, dove si usa energia a maggiori emissioni di CO2 (carbone) e dove i controlli ambientali sono più blandi.
Ovviamente il fenomeno è ancora più marcato a livello mondiale, con l’adesione di tutti i paesi dell’Unione Europea ai trattati di libero scambio come il WTO, tramite i quali si sono aperte le porte a prodotti provenienti da paesi di quasi tutto il mondo, nei quali i controlli ambientali sono sostanzialmente inesistenti.
Si pensi non solo all’impatto ambientale dei paesi dell’Est Asiatico come la Cina o l’India, ma anche alle condizioni in cui le imprese europee si procurano le materie prime nei paesi del Terzo Mondo, senza il minimo rispetto dell’ambiente, della salute umana, dello sfruttamento del lavoro minorile, eccetera.

Nel mondo del libero commercio e della competizione globale prevale sempre chi è più “economicamente più efficiente” ovvero chi riesce più di altri a non farsi carico delle ricadute ambientali delle attività economiche.
L’Europa avrebbe potuto creare un grande mercato interno continentale con le stesse regole di rispetto dell’ambiente uguali per tutti, nel quale chiunque avesse voluto produrre doveva prima di tutto rispettare queste regole e nel quale chiunque avesse voluto importare merci dall’esterno avrebbe dovuto imporre ai propri fornitori il rispeto di tali regole.
Un mercato ricco di 500 milioni di consumatori, con un prodotto interno lordo pari al 20% di quello mondiale, avrebbe avuto la forza di imporre questi standard a livello mondiale o comunque di preservare l’ambiente quantomeno sul territorio europeo.

Invece si è preferito dare spazio. all’unico dogma che conta, quello del libero mercato senza regole, quello della competizione fra imprese ad ogni costo, senza riguardi per le conseguenze ambientali.
Dietro a tutta la retorica sul cambiamento climatico la realtà è che l’Europa è fra i principali devastatori dell’ambiente a livello mondiale, in quanto si occupa solo, a parole, della riduzione delle emissioni di CO2, mentre nel contempo porta avanti politiche economiche che generano inquinamento nella stessa Europa, ma soprattutto  in altre aree del pianeta.

I principi del libero mercato e della competitività non sono per nulla compatibili con il rispetto dell’ambiente, se guardiamo oltre la propaganda martellante dei mezzi di informazione.

 

L’ipocrisia europea sulle emissioni di gas a effetto serra

Dando per assunto, sulla base della narrativa mediatica e non della scienza, che il problema principale da affrontare sia la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, proviamo a valutare l’efficacia delle politiche europee per la riduzione delle emissioni di CO2.

Attualmente le emissioni annuali di gas serra (CO2 equivalente) a livello mondiale sono dell’ordine di 35 miliardi di tonnellate, mentre l’insieme dei paesi dell’Unione Europea emette circa 1 miliardo di tonnellate l’anno- Ovvero le emissioni europee contano il 2,8% delle emissioni annue globali.
Quando Ursula Von der Leyen annuncia nel 2021 il piano europeo “Fit for 55” che prevede la riduzione del 55% delle emissioni europee di CO2 entro il 2030 non ci dice che questo sforzo consentirebbe di ridurre le emissioni globali dell’1,6% in 9 anni, a patto che tutti gli altri paesi del mondo nel contempo mantengano invariate le proprie emissioni di gas ad effetto serra.
Con ogni evidenza la riduzione mondiale dell’1,6% risulterà sostanzialmente irrilevante sull’eventuale effetto serra globale, mentre la riduzione del 55% delle emissioni europee  in soli 7 anni, causerà certamente una gravissima crisi economica in Europa.
Questo perché, pur realizzando impianti per la produzione di energia da fonti rinnovaili e mettendo in atto interventi di risparmio energetico, è del tutto irrealistico riuscire a ridurre le emissioni di CO2 addirittura del 7,9% all’anno, senza avere avuto il tempo di quadruplicare (come minimo) il numero di lavoratori nel settore (ingegneri, operai specializzati, ecc.). Di conseguenza una tale riduzione delle emissioni potrà essere conseguita solamente riducendo in modo molto rilevate le attività produttive e mantenendo gli edifici al freddo in inverno.
E questo significherà disoccupazione e impoverimento.
Tutto questo per conseguire una misera riduzione a livello mondiale del solo 1,6% delle emissioni di CO2, senza alcun effetto rilevante sul cambiamento climatico.

Ovviamente, in un regime di libero commercio, i concorrenti extraeuropei delle nostre imprese continueranno a produrre emettendo CO2. Anzi, lo faranno di più, perché i cittadini europei saranno obbligati ad importare da fuori Europa ciò che in Europa, per le restrizioni ambientali, non potrà più essere prodotto.
L’Unione Europea avrebbe potuto ottenere molto di più esigendo dai fornitori internazionali del mercato europeo degli standard ambientali più adeguati. Ma non lo ha fatto, per non andare contro i principi fondanti del libero mercato e della competitività ad ogni costo.

 

L’ipocrisia europea nell’attuale crisi energetica

Nel rispetto dei soliti principi neoliberisti l’UE ha privatizzato e liberalizzato il mercato europeo dell’energia, istituendo la borsa del gas naturale TTF di Amsterdam e la borsa dell’energia elettrica EER di Lipsia.
Le regole di quotazione dei prezzi sono state scritte in modo da favorire i massimi guadagni agli speculatori. Ci riferiamo alla regola dei
prezzi marginali ed alla possibilità di scambiare in borsa quote virtuali di energia ovvero energia non realmente posseduta da chi la vende, che hanno fatto salire di 10 volte la quantità di energia quotata, con quantità pari a 10-15 volte le quantità reali di energia disponibile presso i produttori.

Queste regole tipiche della speculazione finanziaria hanno esasperato le conseguenze di situazioni “negative” per il mercato dell’energia.
La prima situazione negativa è stato proprio il piano europeo “Fit for 55”, che per limitare le emissioni di CO2 ha previsto la vendita all’asta delle quote di emissioni di CO2 consentite (il 45% restante).
Essendo concretamente impossibile ridurre di così tanto le emissioni di CO2 in soli 6 anni, gli investitori hanno anticipato gli effetti del razionamento delle quote di emissioni di CO2, che porteranno ad un aumento dei combustibili fossili.
Questa è stata la principale ragione degli aumenti dell’energia che già si erano registrati lo scorso autunno 2021.
La seconda situazione negativa sono state le sanzioni imposte alla Russia, conseguenti del conflitto in Ucraina.
L’obiettivo irrealistico di affrancarsi nel giro di pochi mesi dal fabbisogno di gas naturale russo, che rappresentava fino ad un anno fa circa il 40% del fabbisogno europeo, essendo noto, a chi conosce i dati reali, che tutti gli altri paesi produttori di gas naturale al mondo sono in grado, con le infrastrutture disponibili attualmente e nei prossimi 3-4- anni,  di sostituire la fornitura di gas russo. Quindi questo significa a priori la decisione di ridurre la disponibilità di gas in Europa, portando a razionamenti certi (tagli alle attività produttive, famiglie al freddo) e far salire i prezzi del gas alle stelle, in quanto si tratta di un bene primario a cui imprese e famiglie non possono rinunciare tanto facilmente.

Una conseguenza di queste decisioni è che ora molte auto che viaggiavano a gas metano, meno inquinante, ora inquinano di più viaggiando a benzina, che costa meno del gas.

Una seconda conseguenza deriva dal legame fra il prezzo dell’energia elettrica al prezzo del gas.
L’Unione Europea ha deciso che ci debba essere un unico mercato non solo del gas (borsa TTF di Amsterdam), ma anche dell’energia elettrica (borsa EER di Lipsia), con le regole per le quali il prezzo dell’energia elettrica viene determinato dalla fonte produttiva più costosa in circolazione, che attualmente è la produzione di energia elettrica mediante combustione di gas naturale. Sul mercato dell’energia elettrica non si fa più distinzione fra energia da fonti rinnovabili ed energia da fonti fossili. Tutta l’energia viene venduta allo stesso prezzo.
In una logica di politiche ambientali, invece, dovrebbe essere favorita la vendita di energia da fonti rinnovabili rispetto a quella prodotta da fonti fossili.
La conseguenza di queste dinamiche è che attualmente molti paesi si stanno orientando, sia per la carenza di gas che per questioni di prezzo, a produrre energia elettrica bruciando petrolio o carbone, emettendo molta più anidride carbonica di quanta se ne emetterebbe usando il gas naturale e senza incentivare lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Una terza conseguenza derivante dalle sanzioni alla Russia è che i russi sono obbligati a bruciare il gas metano preveniente dai loro giacimenti, dato che non può più essere venduto in Europa e date che, per motivi tecnici, è molto complesso “chiudere i rubinetti” del gas estratto dai giacimenti.
Per questo motivo, in passato, i contratti fra ENI e Gazprom prevedevano la fornitura di un flusso costante di gas per 20-30 anni e procedure obbligatorie di stoccaggio in Italia, il che consentiva nel contempo di minimizzare i costi per entrambe le parti e assicurare rifornimenti certi di energia per imprese e famiglie italiane.
Oggi, purtroppo, le esigenze della finanza europea e della geopolitica americana hanno prevalso sulle esigenze tecniche, portando Gazprom a bruciare il gaz metano che non viene venduto in Europa.
Il risultato di tutto questo è che vengono aumentate le emissioni di CO2 in Europa per la combustione di petrolio e di carbone in sostituzione del gas, mentre restano le emissioni di CO2 causate dalla combustione del gas russo che non può essere venduto dopo essere stato estratto.
Se a livello italiano siamo governati da incapaci, a livello europeo siamo governati da geni dell’inefficienza.
E ringraziamo che i russi brucino il gas naturale invenduto, perché se lo emettessero direttamente in atmosfera l’effetto serra del gas metano sarebbe di 25 volte superiore a quello della stessa CO2. Bruciando il gas l’effetto serra potenziale viene per fortuna ridotto di 24 volte.

Le attuali politiche europee stanno quindi caricando su cittadini e imprese europei tutti i costi derivanti dall’ideologia della riduzione delle emissioni di CO2 ad ogni costo e tutti i costi di scelte geopolitiche, pur se ufficialmente dipendenti dalla guerra in Ucraina, molto mal ponderate nelle loro conseguenze.

Personalmente mi chiedo come sarebbe andata a finire se i 1200 miliardi di euro di extracosti energetici che l’Unione Europea ha già dovuto subire negli ultimi 12 mesi fossero stati messi, come piano di accordi commerciali, sul tavolo delle trattative di pace fra Russia ed Ucraina. Probabilmente sarebbero stati un argomento sufficientemente convincente per mettere a tacere le armi, trovare una soluzione pacifica ed evitare decine di migliaia di morti.


L’insostenibilità del “meno stato più mercato”

Il terzo principio neoliberista fondante dell’Unione Europea , sopra citato, prevede la riduzione dell’intervento dello stato nell’economia, se non come strumento per tassare sempre di più cittadini e imprese, e per favorire lo strapotere delle multinazionali con regole truccate.
Per questo obiettivo l’Unione Europea continua, fin dalla sua costituzione nel 1992, a comprimere i bilanci degli stati, imponendo rigore di bilancio e tagli agli investimenti pubblici.
In questo modo molti paesi, soprattutto quelli meno ricchi e più indebitati, non hanno la possibilità di fare investimenti pubblici e strategici per ridurre l’impatto ambientale.
Il primo investimento da fare sarebbero i controlli sulle attività produttive inquinanti.
Ma i controlli costano. Meno spesa pubblica = più attività inquinanti.

Oltre a questo, per le stesse ragioni, lo Stato non ha i soldi per realizzare, ad esempio, impianti solari o interventi di risparmio energetico negli edifici pubblici.

Lo stato non hanno neppure la possibilità di intervenire sul mercato dell’energia, razionalizzando e rendendolo più funzionale alla sostenibilità ambientale, evitando i fenomeni illustrati nei paragrafi precedenti.
E’ del tutto evidente che per poter rendere disponibile per un grande paese come l’Italia energia da fonti rinnovabili per tutti serva un soggetto che sia in grado di fare investimenti al di là delle dinamiche dei mercati, in grado di realizzare interventi strategici a beneficio di tutti e dell’ambiente e che abbia tutto l’interesse a ridurre i consumi complessivi di energia, non avendo da guadagnarci sulla vendita, cosa che non succede per gli operatori privati che lucrano sulla vendita di energia.
Ad esempio interventi come l’adeguamento della rete elettrica, oggi strutturatsa con “grossi cavi” (mi scusino i colleghi ingegneri elettrici, ma è per rendere il concetto elettrotecnico facilmente comprensibile) in prossimità delle poche centrli di produzione e con “piccoli cavi” in prossimità degli utilizzatori. Per poter immettere in rete e redistribuire l’energia prodotta sugli edifici dagli impianti fotovoltaici serve installare dei nuovi cavi “più grossi” in prossimità degli utilizzatori-produttori, in modo che l’energia non si disperda per effetto Joule.
E serve realizzare delle “smart grid”, sistemi intelligenti che consentano di coordinare prevalentemente il consumo di energia elettrica nelle ore in cui il sole ci consente di produrne di più, dato che l’energia elettrica è difficile da immagazzinare in grandi quantità.
Tutto questo in Italia non lo si è ancora fatto, proprio perché lo Stato non dispone della libertà finanziaria per farlo (oltre alla mancanza di volontà politica, per incompetenza di chi ci governa).

Tutto questo, che sarebbe logico nell’ottica di politiche ambientali, è irreliazzabile restando nelle regole dell’Unione Europea e restando nella politica di mercato.

 

L’irreformabilità dell’Unione Europea
A questo punto gli amici ecologisti, sostenitori dell’Unione Europea, perché convinti che i problemi ambientali sono globali e non possono essere risolti su scala nazionale, mi diranno di essere d’accordo con le considerazioni sopra espresse, per cui l’unica cosa fa fare è perseguire una vera riforma dell’Unione Europea in chiave ambientalista, liberandola dalle logiche di mercato.

A questi amici io rispondo con un’altra domanda:
In quale modo noi potremmo oggi determinare una totale riscrittura dei trattati europei mettendo d’accordo 27 paesi, senza che nessuno ponga il veto, compresi quelli che lucrano dall’attuale situazione di speculazione finanziaria selvaggia sul mercato dell’energia, compresi quelli che lucrano sulla combustione del carbone e compresi quelli che lucrano sulle importazioni di merci dai paesi più inquinanti del mondo?
E mai ci dovessimo riuscire, quanti anni ci vorrebbero per convincere 450 milioni di cittadini europei?
Ma soprattutto per convicere i loro governanti, sempre attenti agli interessi delle lobbies economiche e molto poco a quelli dei cittadini.

E chiedo ancora:
In quale modo potremmo noi concretamente sfiduciare la Ursula Von der Leyen di turno nel caso in cui portasse avanti politiche che si dimostrino opposte agli interessi ambientali?
Abbiamo forse la possibilità concreta di votare la caduta della Commissione Europea persostituirla con un’altra di altra linea politica?

Oppure è più realistico pensare riformare questo sistema politico-economico iniziando, dal basso, a boicottare sistematicamente le attività economiche inquinanti e a favorire le attività economiche non inquinanti?

L’attuale Unione Europea, al di là dei proclami di facciata, è di fatto una vera e propria calamità per le questioni ambientali, in quanto gli unici veri obiettivi perseguiti sono gli interessi finanziari dei mercati, scaricando sui cittadini i costi e i danni causati dalle conseguenze ambientali delle loro attività.
E sono una calamità tutti coloro che sostengono questa istituzione sovranazionale.
Non è possibile coniungare ambientalismo ed ecologia.
Se ci dicono di volerlo fare, ci stanno solo ingannando, per darsi una facciata più credibile mentre perseguono obiettivi ben di altro tipo.

Abbiamo la possibilità di costruire una società diversa, a misura d’uomo e di ambiente, ma solo a patto di rifiutare in blocco meccanismi del mercato libero, della competitività e della non ingerenza dello stato nell’economia. E, quindi, l’Unione Europea.

Elezioni politiche 2022! Una mappa, di Giuseppe Germinario

Partito Democratico

Cala ulteriormente nei consensi, scricchiola anche nelle sue roccaforti, ormai ridotte a due e ½. Non riesce a mantenere integralmente nemmeno il proprio elettorato europeista. Non potendo schierare i propri pezzi da novanta, vale a dire Blinken, von der Leyen, Borrell e Michel. ha dovuto accontentarsi di candidare loro ventriloqui, a partire dal perdente senza successo Enrico Letta. Tutto sommato per il momento ha limitato i danni, sperando in una riedizione di governo istituzionale nel caso Meloni non sia in grado di reggere il fardello. Il tempo, per il PD, è la determinante fondamentale. Per un po’, ma non troppo, potrà reggere l’astinenza. Nel frattempo dovrà risolvere il suo vero dilemma: legarsi mani e piedi, con la prossima nuova dirigenza, alla parodia della sinistra democratica statunitense, nella persona di Elly Schlein e decretare la propria marginalità oppure lasciare la gestione allo zoccolo duro ed arroccato degli amministratori e tentare di trattenere i radicali al proprio interno e tra i collaterali. In caso di fallimento ritornerebbe l’alternativa di Calenda e soci interni ed esterni con conseguente scissione. Il colpo più duro subito, è anche il meno visibile. Come si sa, gli ambienti del Vaticano hanno rinunciato da anni alla costruzione di un partito cattolico collaterale o d’ispirazione; hanno distribuito le attenzioni in più parti. Al momento, specie con la guerra in Ucraina in corso, il Partito Democratico non è più il principale interlocutore del Vaticano.

Assieme a Fratelli d’Italia è rimasto, comunque l’unico partito nazionale; il partito, cioè, che nel suo declino ha mantenuto la forbice più stretta di consensi tra le varie parti del paese

Movimento 5 Stelle

Le elezioni hanno consacrato la costituzione e l’affermazione del partito del progressismo compassionevole. Il de profundis dei partiti del lavoro di antica e gloriosa tradizione. Non è un processo compiuto, ma è sulla buona strada. Non potrà fare a meno di trattare di politica economica. Affronterà in modo pasticciato e disastroso il tema, così come incubato con il bonus 110% in edilizia, con la pletora di bonus estemporanei come durante la crisi pandemica e con la sindrome da catastrofismo ambientale e da conversione energetica affrettata e prematura. Una ottima base per alimentare l’assistenzialismo possibile entro il quadro del prossimo disastro economico a venire e per lasciare mani libere alla dirigenza in formazione, senza mettere in discussione i processi fondamentali. Gode del supporto e della ispirazione fondamentali di settori importanti del Vaticano e rappresenta l’unico spiraglio ad una posizione meno partigiana ed oltranzista nella crisi ucraina. La solidità del sodalizio dipenderà dalla sua capacità di strutturarsi e dalla continuità dell’attuale politica del Vaticano. Nel caso non mancheranno i punti di appoggio nelle varie lande del paese.

Lega

Un risultato disastroso per due motivi:

  • sbiadisce drammaticamente la già pallida prospettiva di costruzione di un partito nazionale

  • rimane, ma fortemente ridimensionato, lo zoccolo duro della Lega Nord e con esso l’ossatura di amministratori e quadri che hanno mantenuto in piedi il partito. La novità più allarmante è che questi ultimi hanno cominciato a guardare e in parte ad approdare verso nuovi lidi. Come numeri non è arrivata ancora alla dimensione della crisi terminale della gestione Bossi; nella progressione e profondità della crisi la situazione è ancora più perniciosa, essendo meno credibili svolte estemporanee alla Salvini. È sufficiente dare un’occhiata al programma elettorale specifico della Lega per comprenderne la gravità dei dilemmi e la scarsa credibilità del tentativo di far quadrare il cerchio. Ne parleremo meglio in seguito.

Fratelli d’Italia

Rappresenta la grande scommessa, per meglio dire l’azzardo, del quadro politico nazionale. Troppa frenesia nel farsi accogliere e legittimare dall’attuale leadership statunitense. La condizione del suo iniziale successo, visti i tempi ormai sempre più brevi delle parabole dei politici emergenti in questo ventennio, è la permanenza dell’attuale leadership statunitense oppure il successo nel movimento trumpiano di una nuova versione delle politiche neocon, specie in politica estera. Troppo euforico appiattimento alle politiche più oltranziste degli Stati Uniti che la avvicinano più al nazionalismo suicida e fantoccio di stampo polacco che alla disinvoltura politica di Orban, Un atteggiamento del quale già Salvini, a suo tempo, ha pagato un prezzo salato, anche se determinato da altri motivi e contingenze. La lezione non pare essere servita. I margini operativi della Meloni e la qualità della sua dirigenza sono stretti ed inversamente proporzionali alla sete di governo e di occupazione dei posti. Mario Draghi le ha già preparato la polpetta avvelenata dei “poteri speciali” e Berlusconi provvederà, a tempo debito, ad organizzare la giostra delle migrazioni parlamentari per condizionare le sue scelte ed eventualmente portare alla sua defenestrazione. L’interrogativo fondamentale è questo: sino a quando gli Stati Uniti riterranno di qualche importanza sostenere l’Unione Europea e che ruolo potrà giocare la Meloni in questa riconsiderazione? La figura antitetico-polare a Mario Draghi?

Le liste “antisistema”

Il flop dovrebbe parlare da solo e insinuare dei dubbi anche tra i più ferventi adepti. È la conferma di una concezione della battaglia politica maturata nel ‘68 e che viene riproposta in maniera imperterrita non ostante le sconfitte parodistiche in Italia e dalle conseguenze ben più drammatiche in altre aree del mondo, come l’America Latina.

Mancano troppi fattori e condizioni necessari a costruire un partito e un movimento politico serio; in nome dell’emergenza, rimandandole, non si fa niente per costruirle:

  • una base culturale solida inesistente e, quando abbozzata, sempre piegata alla comoda individuazione e riproposizione di un fattore unico determinante in ultima istanza le strutture e le dinamiche di potere, nella fattispecie il ruolo del capitale finanziario. Una base culturale che comporta la capacità di creazione e penetrazione di strutture appropriate e di finanziamenti sufficienti;

  • la necessità di acquisire referenti nei centri e nelle strutture di potere ed amministrative;

  • l’individuazione dei soggetti sociali portanti di un rivolgimento sociale e politico, i quali non possono essere di certo gli strati marginali e periferici di una formazione sociale.

Lenin, a suo tempo, imprigionato dallo schema teorico dell’utopia marxista, ma da grande stratega e tattico che era, aveva riservato sì alle casalinghe la funzione di governo, ma nella fase compiuta di realizzazione del comunismo. Ancora si fatica a cogliere questo particolare tutt’altro che insignificante.

Se ne parlerà più approfonditamente una volta smaltita la sbornia postelettorale, giusto per non entrare nel calderone delle polemiche sulla responsabilità di sconfitte preannunciate e cercate.

Mi scuso per l’omissione delle altre formazioni sul campo.

Da Putin via libera al richiamo dei riservisti e ai referendum nei territori ucraini conquistati,

Da Putin via libera al richiamo dei riservisti e ai referendum nei territori ucraini conquistati

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Il presidente russo Vladimir Putin e il ministro della Difesa, Sergey Shoigu, imprimono una svolta al conflitto in Ucraina lanciando chiari messaggii all’opinione pubblica nazionale ma anche all’Ucraina e soprattutto all’Occidente.

Analisi Difesa riporta ampie parti degli interventi ma anche del discorso tenuto ieri da Putin ai vertici dell’industria della Difesa, testo che aiuta ulteriormente a comprendere il clima con cui Mosca sta affrontando gli sviluppi del conflitto.

 

Il discorso di Putin

Con un videomessaggio atteso già nella serata di ieri, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato questa mattina (qui il discorso integrale) la mobilitazione parziale di riservisti ma non ha utilizzato la parola “guerra” continuando a parlare di “un’operazione militare speciale per smilitarizzare e denazificare l’Ucraina e liberare il Donbass” e di “misure per proteggere la sovranità e l’integrità della Russia”.

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“Per proteggere la nostra Patria, la sua sovranità e integrità territoriale, per garantire la sicurezza del nostro popolo e del popolo nei territori liberati, ritengo necessario sostenere la proposta del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale di condurre una mobilitazione parziale nella Federazione Russa”, ha detto.

Putin ha sottolineato che “l’obiettivo dell’Occidente è indebolire e distruggere la Russia” attribuendo a USA e NATO il fallimento di un accordo tra Mosca e Kiev per negoziare la fine delle ostilità.

“Pur agendo per raggiungere gli obiettivi principali della difesa del Donbass in conformità con i piani e le decisioni del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale, le nostre truppe hanno liberato aree considerevoli nelle regioni di Kherson e Zaporozhye e un certo numero di altre aree. Ciò ha creato una lunga linea di contatto lunga oltre 1.000 chilometri.

Questo è ciò che vorrei rendere pubblico per la prima volta oggi. Dopo l’inizio dell’operazione militare speciale, in particolare dopo i colloqui di Istanbul, i rappresentanti di Kiev hanno espresso una risposta piuttosto positiva alle nostre proposte. Queste proposte riguardavano soprattutto la sicurezza e gli interessi della Russia. Ma un accordo pacifico ovviamente non si addiceva all’Occidente, motivo per cui, dopo che alcuni compromessi furono coordinati, a Kiev fu effettivamente ordinato di far fallire tutti questi accordi. Altre armi sono state pompate in Ucraina. Il regime di Kiev ha messo in gioco nuovi gruppi di mercenari e nazionalisti stranieri, unità militari addestrate secondo gli standard NATO e che hanno ricevuto ordini da consiglieri occidentali”.

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Nel suo discorso Putin ha evidenziato che “la Repubblica popolare di Luhansk è già stata quasi completamente ripulita dai neonazisti. Continuano i combattimenti nella Repubblica popolare di Donetsk. Qui, per otto anni, il regime di occupazione di Kiev ha creato una linea profondamente scaglionata di fortificazioni a lungo termine. Il loro assalto frontale avrebbe provocato pesanti perdite, quindi le nostre unità, così come le unità militari delle repubbliche del Donbass, agiscono sistematicamente, con competenza, usano attrezzature, proteggono il personale e liberano la terra di Donetsk passo dopo passo”.

Sul piano delle forze militari schierate sul campo Putin ha precisato che “come sapete, all’operazione militare speciale partecipano militari professionisti in servizio sotto contratto. Combattono fianco a fianco con loro unità di volontari: persone di diverse etnie, professioni ed età che sono veri patrioti. Hanno risposto alla chiamata dei loro cuori di sollevarsi in difesa della Russia e del Donbass.

 

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A questo proposito, ho già impartito istruzioni al governo e al ministero della Difesa di determinare lo status giuridico dei volontari e del personale delle unità militari delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Deve essere lo stesso dello status dei professionisti militari dell’esercito russo, compresi i benefici materiali, medici e sociali. Particolare attenzione deve essere prestata all’organizzazione della fornitura di attrezzature militari e di altro tipo per le unità di volontari e la milizia popolare del Donbass”.

Il presidente ha spiegato che “la Russia sosterrà la decisione dei residenti del Donbass e dei territori liberati sul loro futuro” di entrare a far parte della Federazione Russa confermando i referendum per l’annessione già preannunciati tra il 23 e il 27 settembre nelle regioni (oblast) di Donetsk, Luhansk, Zaporozhye e Kherson. “Non possiamo, non abbiamo il diritto morale di consegnare le persone a noi vicine affinché vengano fatte a pezzi dai carnefici non possiamo che rispondere al loro sincero desiderio di determinare la propria sorte, i parlamenti delle Repubbliche popolari del Donbass, nonché le amministrazioni militare-civili delle regioni di Kherson e Zaporizhia, hanno deciso di indire un referendum sul futuro di questi territori e si sono rivolti a noi, alla Russia, con la richiesta di sostenere un simile passo”.

Circa il ruolo di Stati Uniti e NATO Putin ha denunciato “la politica aggressiva di alcune élite occidentali”.

“L’obiettivo di quella parte dell’Occidente è indebolire, dividere e infine distruggere il nostro Paese. Ora stanno dicendo apertamente che nel 1991 sono riusciti a dividere l’Unione Sovietica e ora è il momento di fare lo stesso con la Russia, che deve essere divisa in numerose regioni che sarebbero in mortale faida tra loro.

Hanno ideato questi piani molto tempo fa. Hanno incoraggiato gruppi di terroristi internazionali nel Caucaso e spostato l’infrastruttura offensiva della NATO vicino ai nostri confini. Hanno usato la russofobia indiscriminata come arma, anche alimentando l’odio per la Russia per decenni, principalmente in Ucraina, che era stata progettata per diventare una testa di ponte anti-russa. Hanno trasformato il popolo ucraino in carne da cannone e lo hanno spinto in una guerra con la Russia, che hanno scatenato nel 2014”.

 

L’intervento di Shoigu

il ministro della Difesa Shoigu ha concretizzato, fornendo numerosi dati ed elementi di valutazione, le misure di mobilitazione parziale disposte dal decreto presidenziale pubblicato sul sito del Cremlino e che riportiamo più avanti.

Shoigu ha precisato che i riservisti mobilitati saranno fino a 300mila precisando che si tratterà di uomini che hanno già servito nell’esercito, con esperienza di combattimento e specializzazioni militari. Ha aggiunto che sono esclusi i militari di leva e che lo scopo della mobilitazione è “controllare i territori liberati” in Ucraina. “Abbiamo un’enorme risorsa di mobilitazione che comprende coloro che hanno prestato servizio nell’esercito, coloro che hanno esperienza di combattimento e specialità militari”.

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Il ministro ha evidenziato tra le righe ulteriori mobilitazioni potranno venire effettuate. La Russia può mobilitare quasi 25 milioni di persone, i 300.000 riservisti rappresentano poco più dell’1,1 per cento di tali forze e verranno sottoposti ad un addestramento aggiornato rispetto al contesto bellico ucraino e alle lezioni apprese in sette mesi di operazioni.

Shoigu ha poi fornito altri dati numerici importanti anche se da prendere come sempre con le molle tenuto conto che entrambi i belligeranti utilizzano le perdite subite e inflitte come strumenti di propaganda.

Mosca non riportava da marzo dati circa le perdite subite, all’epoca poco più di un migliaio, ma oggi Shoigu ha ammesso che del tema “non abbiamo parlato da molto tempo. Non posso non menzionare le perdite che ammontano a 5.937 persone. E qui ancora e ancora non posso non menzionare i nostri ragazzi che fanno coraggiosamente il loro dovere” ha detto il ministro elogiando il lavoro dei medici grazie ai quali “più del 90% dei feriti sono tornati ai loro incarichi”.

Le perdite ammesse dai russi sono quasi un decimo di quelle rivendicate dagli ucraini (circa 55mila i soldati russi uccisi secondo Kiev) anche se ai caduti russi dall’inizio delle operazioni, il 24 febbraio scorso, vanno aggiunte le perdite sofferte dalle milizie del Donbass (circa 3.100 solo nella Repubblica popolare di Donetsk) e dai contractors del Gruppo Wagner che potrebbero portare facilmente il totale a circa 11 mila caduti.

Secondo il ministro 61.207 militari ucraini sono morti e 49.368 sono rimasti feriti.

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“Le Forze Armate ucraine avevano tra le 201.000 e le 202.000 persone, ma hanno subito più di 100.000 perdite”, ha detto aggiungendo che circa 7mila soldati ucraini sono stati uccisi nelle ultime settimane (nelle controffensive a Kherson e Kharkiv dove gli ucraini avrebbero perso anche 208 carri armati, 245 veicoli da combattimento, 186 blindati, 15 aerei e 4 elicotteri) e che in Ucraina “sono rimasti poco più di mille mercenari stranieri, più di 2.000 che hanno combattuto per l’Ucraina sono già morti”.

Secondo Shoigu il supporto militare di USA e NATO a Kiev vede la presenza di un comando con 150 specialisti militari occidentali effettivamente a Kiev” che rappresentano “il vero” comando delle forze armate ucraine. L’ultimo gruppo che è arrivato, composto sia da ex militari che da personale in servizio attivo, è composto da 150 persone. Questo è in realtà il vero comando. Il comando occidentale è a Kiev e gestisce tutte le operazioni”.

Shoigu ha poi confermato gli ingenti quantitativi di armi occidentali “che la Russia sta trovando il modo di contrastare”.

“Non ci riferiamo solo alle armi che vengono fornite in un volume enorme, ma anche ai sistemi di comunicazione e di elaborazione delle informazioni dispiegati lì”.

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Secondo Shoigu “l’Ucraina ha già esaurito tutte le armi che aveva, stiamo parlando delle vecchie armi sovietiche. Molti nuovi membri dell’Unione Europea, che sono particolarmente zelanti, stanno facendo del loro meglio” ha detto riferendosi ai membri di NATO e UE dell’Europa Orientale. “Dal mio punto di vista hanno svuotato tutti i magazzini, li hanno ripuliti con attenzione per poter dare tutto all’Ucraina. E’ giunto il momento in cui stiamo di fatto combattendo contro l’Occidente collettivo più la NATO”, ha detto ancora Shoigu,

“La verità è che l’intera galassia di satelliti della NATO sta lavorando contro di noi”, ha concluso Shoigu, “secondo le nostre stime, oltre 70 satelliti militari e più di 200 satelliti civili stanno lavorando per localizzare i siti dove sono di stanza le nostre unità”.

 

L’Ordine esecutivo per la mobilitazione

Questo il testo dell’Ordine Esecutivo:

Il Presidente ha dichiarato una mobilitazione parziale nella Federazione Russa a partire dal 21 settembre 2022.

L’ordine esecutivo prevede la chiamata dei cittadini della Federazione Russa al servizio nelle forze armate nell’ambito dello sforzo di mobilitazione. I cittadini chiamati al servizio militare nell’ambito della mobilitazione godranno dello status di personale militare in servizio nelle forze armate della Federazione Russa sotto contratto.

L’ordine esecutivo prevede indennità in denaro per i cittadini della Federazione Russa chiamati al servizio militare nell’ambito della mobilitazione, nonché la durata dei contratti di servizio militare firmati dal personale militare, motivi per il congedo del personale militare in servizio sotto contratto, in quanto così come i cittadini chiamati al servizio militare nelle forze armate della Federazione Russa nell’ambito della mobilitazione.

Istruzioni corrispondenti sono state impartite al governo della Federazione Russa e agli alti funzionari governativi nelle entità costituenti della Federazione Russa.

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In base all’Ordine Esecutivo, i cittadini della Federazione impiegati dalle società del settore difesa (defence companies, l’industria della Difesa – NDR) beneficeranno di un’esenzione dalla mobilitazione per il periodo del loro impiego da parte di queste organizzazioni. Il governo della Federazione Russa definirà le categorie di cittadini della Federazione Russa che hanno il diritto di godere di esenzioni e il modo in cui tali esenzioni devono essere previste.

Del resto Mosca ha preparato il terreno a questo salto di qualità nell’impegno militare in Ucraina. Ieri la Duma ha approvato emendamenti per modificare il codice penale in tema di diserzione, mobilitazione, legge marziale, tempo di guerra e resa come prigioniero di guerra.

Come ha riferito l’agenzia RIA Novosti i legislatori russi hanno aumentato le pene ai soldati per “la resa volontaria” e per il saccheggio (rispettivamente a 10 e 15 anni di carcere); e hanno anche definito legalmente i termini “mobilitazione”, “legge marziale” e “tempo di guerra” nel codice penale della Federazione Russa.

 

Putin chiede maggiori sforzi all’industria della Difesa

Il 20 settembre Putin ha inoltre incontrato i vertici delle aziende dell’industria della difesa discutendo le misure attuali per soddisfare le esigenze del Ministero della Difesa e per attuare programmi di sostituzione delle importazioni in seguito alle sanzioni occidentali.

Putin ha rivelato e omaggiato il ruolo ricoperto dal comparto industriale anche in prima linea sui fronti ucraini. “Date le circostanze, le sfide e le minacce che il nostro Paese sta affrontando, le compagnie di difesa stanno operando intensamente e i loro dipendenti stanno agendo rapidamente per affrontare sfide non convenzionali, riorganizzare i processi di produzione e migliorare la qualità sulla base dell’effettiva esperienza di combattimento. I vostri rappresentanti vanno in prima linea – voglio prenderne atto e ringraziarli per questo. Questo trascende la responsabilità professionale ed è, in una certa misura, eroismo, che sta dando un grande contributo al miglioramento dell’equipaggiamento militare utilizzato nelle operazioni di combattimento”.

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Putin ha poi sottolineato che “le armi russe utilizzate nell’operazione si sono dimostrate altamente efficaci. Ciò riguarda principalmente l’aviazione, i missili a lungo raggio ad alta precisione, le armi aeronautiche, i razzi e l’artiglieria e l’arsenale di veicoli corazzati, solo per citarne alcuni. Sono usati per distruggere le infrastrutture militari, i posti di comando e il materiale nemico e per attaccare le unità nazionaliste, riducendo al minimo le perdite tra il personale”.

Nel suo intervento il presidente ha posto l’attenzione anche sugli armamenti occidentali sottolineando che “dobbiamo e possiamo studiare l’equipaggiamento che viene utilizzato contro di noi e aprire nuovi orizzonti nello sviluppo delle nostre capacità e, sulla base della nostra esperienza, migliorare, ove necessario, il nostro equipaggiamento e le nostre armi “.

Putin ha inoltre aggiunto: “Quest’anno ho deciso di fornire armi ed equipaggiamenti aggiuntivi alle forze armate e, di conseguenza, di stanziare fondi per l’acquisizione e la manutenzione. Le capacità di produzione devono essere aumentate e, se necessario, modernizzate in diverse imprese della difesa. Molto è stato fatto per raggiungere questo obiettivo.

Ad esempio, sono state prese le seguenti decisioni per garantire la produzione e la riparazione senza interruzioni di armi e attrezzature: le procedure contrattuali e precontrattuali sono state notevolmente semplificate, i tempi per la firma dei contratti statali con un unico fornitore e la relativa procedura di tariffazione sono stati ridotti e l’importo del pagamento anticipato ed aumentato.

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Vorrei sottolineare che Promsvyazbank ha riaffermato i termini per i prestiti a basso interesse per la consegna pre-programmata delle armi. Inoltre, le leggi sul lavoro sono state modificate per consentire ai capi delle imprese della Difesa e agli uffici di progettazione di autorizzare il pagamento degli straordinari per progettisti, ingegneri e lavoratori.

Sono state adottate misure in relazione all’ottimizzazione della produzione. Le organizzazioni dell’industria della difesa devono garantire la fornitura delle armi, dell’equipaggiamento e delle munizioni necessarie alle forze armate il prima possibile.

Dobbiamo inoltre garantire la fornitura tempestiva e completa di componenti, parti, unità e materiali moderni di fabbricazione russa alle società del settore della difesa. L’industria della difesa è la sfera in cui tutti i programmi di sostituzione delle importazioni devono essere attuati senza errori.

Questo potrebbe non essere così importante o addirittura necessario in altre aree, perché non abbiamo bisogno di una sostituzione delle importazioni al cento per cento.

Ma dobbiamo farlo in questo campo. Pertanto, le capacità produttive devono essere aumentate senza indugio, le attrezzature devono essere utilizzate al massimo, i cicli tecnologici devono essere snelliti e le tempistiche di produzione devono essere ridotte senza pregiudicare la qualità.

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Vorrei chiedere ai vertici delle imprese del settore della difesa di riferire sulle misure che stanno adottando per soddisfare i requisiti del ministero della Difesa. Naturalmente, mi aspetto anche che facciate proposte pratiche, come avete fatto nei nostri precedenti incontri sullo sviluppo dell’industria della difesa nel suo insieme.

Considerazioni a cui ha risposto indirettamente oggi il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, rilevando in un’intervista alla Reuters che “noi stiamo parlando con i nostri alleati ma anche con l’industria della Difesa per aumentare la produzione militare, di armi e munizioni, perché dobbiamo rimpiazzare i nostri stock per assicurare la difesa dei territori NATO ma anche per continuare a sostenere l’Ucraina”. Stoltenberg ha aggiunto che presto ci sarà un summit su questo dossier a Bruxelles paragonando l’aumento di produzione militare richiesto a quello dei vaccini nella crisi Covid.

 

Valutazioni

Le dichiarazioni e le iniziative di Putin delle ultime ore non solo rinnovano e rafforzano lo sforzo bellico in Ucraina con forze militari fresche ma rivelano la mobilitazione, non totale, degli apparati militare, politico e industriale in vista di un conflitto di lunga durata e contro un nemico allargato all’Occidente.

Non a caso Putin e Shoigu hanno definito Kiev quasi come un mero strumento dell’aggressione dell’Occidente alla Russia: messaggio che favorisce la mobilitazione nazionale e patriottica contro la minaccia portata dall’Occidente ai confini della Federazione.

Anche l’annuncio che i territori in mano a russi e ucraini filorussi verranno annessi alla Federazione Russa dopo i referendum punta a cementare l’identità nazionale con misure che definiscono a tutti gli effetti cittadini russi i combattenti e la popolazione di queste quattro regioni.

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Un aspetto poco considerato in Europa ma che assume una maggiore consistenza tenendo conto che oltre 2,5 milioni di ucraini del Donbass sono rifugiati (deportati secondo Kiev) nelle regioni russe di confine e che, nonostante i referendum vengano considerati illegittimi da tutto l’Occidente e da Kiev (come del resto quello del 2014 in Crimea), in seguito alle annessioni territoriali Mosca avrà gli strumenti per definire il conflitto “difensivo”, teso cioè a proteggere l’integrità territoriale e i confini della Federazione.

L’iniziativa referendaria infatti da un lato sembra sottrarre l’autonomia finora attribuita alle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk (riconosciute da Mosca poche ore prima dell’avvio delle operazioni in Ucraina, il 24 febbraio scorso) ma dall’altro definirà i loro territori parte integrante della Federazione con tutte le implicazioni di escalation e rappresaglia previsti per le minacce portate al territorio nazionale, inclusa la deterrenza nucleare.

Di fatto Mosca minaccia di considerare un attacco degli ucraini o delle armi occidentali come se si trattasse di un attacco contro una città o una regione della Russia. Mosca alza l’asticella dell’escalation mostrando di avere ancora molte frecce al suo arco ma senza usare la parola “guerra” e limitando l’area del confronto militare alle quattro regioni oggetto. dei referendum.

Nessun riferimento nelle sue parole (e in quelle di Shoigu) alla riconquista dell’oblast di Kharkiv da cui i russi si sono ritirati dopo la controffensiva ucraina o alla conquista di Odessa che pure fanno parte della cosiddetta “Nuova Russia”.

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Un indizio che potrebbe indicare la disponibilità di Mosca a negoziare un accordo sulla base delle attuali conquiste territoriali, “limitate” alle quattro regioni oggetto dei referendum. Per queste ragioni il messaggio di Putin, pur se muscolare, sembra voler offrire possibilità a una trattativa che tenga inevitabilmente conto delle pretese territoriali russe.

Benché molti in Occidente abbiano definito l’intervento di Putin un segno di debolezza non si può escludere che il ritardo di 12 ore nella diffusione del discorso di Putin abbia visto nella notte tra il 20 e il 21 settembre telefonate e confronti con le controparti negli USA, a Kiev, forse in Europa e soprattutto ad Ankara, considerato che i turchi restano gli unici, almeno all’apparenza, in grado di imbastire un negoziato.

Le reazioni registrate pubblicamente in Occidente non sembrano al momento mostrare indicazioni in tal senso né consapevolezza circa gli sviluppi annunciati da Mosca.

il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha commentato le parole di Putin affermando che “lui ed il suo ministro della Difesa hanno mandato decine di migliaia dei loro concittadini a morte, male equipaggiati e mal comandati. In nessun modo minacce e propaganda possono nascondere il fatto che l’Ucraina sta vincendo la guerra, che la comunità internazionale è unita e che la Russia sta diventando un paria globale”.

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L’annuncio fatto oggi da Vladimir Putin era “atteso” ed è “un segnale che il presidente russo è in difficoltà” ha detto John Kirby, portavoce del National Security Council della Casa Bianca sottolineando che la consistenza del numero di riservisti mobilitati è “quasi il doppio delle forze destinate alla guerra a febbraio”. Per il portavoce “è un chiaro segno della difficoltà” in cui si trova Putin. “Sappiamo che ha subito decine di migliaia di perdite, c’è un pessimo morale tra le truppe sul campo e non sono stati ancora risolti i problemi di controllo del comando. Ci sono problemi di diserzione e sta costringendo i feriti a tornare a combattere. Così chiaramente la mancanza di forze è un problema per lui ha la sensazione di essere in arretramento, particolarmente nell’area nord orientale del Donbass”.

Più o meno sullo stesso tenore le reazioni in Europa mentre il ministero degli Esteri cinese ha esortato tutte le parti coinvolte nel conflitto in Ucraina a impegnarsi nel dialogo e nella consultazione e a trovare un modo per affrontare le preoccupazioni di sicurezza di tutti.

Sul piano militare è difficile non notare che l’annuncio della mobilitazione di un massimo di 300 mila riservisti aumenta il peso specifico delle forze di Mosca in un conflitto in cui hanno sempre patito un’inferiorità numerica nei confronti delle truppe ucraine che mediamente è nell’ordine di 3 a 1.

Una mobilitazione generale, da molti paventato, sarebbe stata esagerata rispetto alle esigenze russe e avrebbe avuto certamente un impatto più pesante sulla società e l’economia russa oltre che sulla percezione in Occidente che Mosca si preparasse alla guerra totale.

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Inoltre la mobilitazione di un gran numero di riservisti si aggiunge a quella di numerosi battaglioni di volontari arruolati in questi mesi su base regionale e il  cui arruolamento sembra aver subito un incremento dopo la ritirata russa dalla regione di Kharkiv, Nei giorni scorsi è circolata la notizia che 9 oblast abbiano mobilitato battaglioni di volontari: 1.200 combattenti dalla Crimea, 800 da Kursk, altri da Voronezh, Ciuvashia e Bashkiria, che hanno già inviato 1.000 uomini al fronte.  Gli oblast di Magadan e Kemenovo hanno reso noto di non poter organizzare reparti di volontari ma di essere disposta a equipaggiare e finanziare quelli delle altre regioni mentre Celyabinsk ha iniziato a organizzare la raccolta di volontari.

Il 17 settembre il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, ha annunciato che altri due battaglioni hanno raggiunto il Donbass e altri 10 mila volontari sono in fase di arruolamento.

Il sindaco di Mosca, Serghiei Sobyanin, in un post su Telegram ripreso ieri dal Moscow Times, ha affermato che aprirà un centro “per assistere il ministero della Difesa russo nel reclutamento di cittadini stranieri nel servizio militare” dopo che la Duma ha approvato un progetto di legge per semplificare l’iter per l’ottenimento della cittadinanza russa per gli stranieri che firmano un contratto di un anno nell’esercito russo. Per diventare legge, il documento deve essere ancora approvato dal Senato e firmato dal presidente russo.

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Si tratta di una pratica non nuova, varata negli anni scorsi dagli Stati Uniti che hanno arruolato immigrati per l’impiego in Iraq e Afghanistan. Al termine di un anno di servizio oltremare la cittadinanza statunitense veniva attribuita con cerimonie che si tennero in diverse basi statunitensi nei teatri di guerra.

La presenza dei battaglioni di volontari non è però riuscita a evitare la mobilitazione su vasta scala di riservisti dei quali alcune migliaia erano già stati richiamati in servizio nei mesi scorsi.

I reparti costituiti da volontari inoltre hanno diversi standard di addestramento ed equipaggiamento e sembra abbiano registrato difficoltà di amalgama con le forze regolari russe e i miliziani di Donetsk e Luhansk. Anche per questo le nuove disposizioni di Mosca regolarizzeranno tutti i combattenti con uno standard comune alle forze regolari.

La mobilitazione dei riservisti, il loro addestramento e assegnazione ai reparti oltre alla costituzione di nuove unità insieme alla standardizzazione delle forze regolari russe con i battaglioni di volontari e le milizie del Donbass richiederà almeno alcuni mesi. Inoltre parte dei riservisti potrebbe venire impiegata per sostituire reparti in servizio effettivo in diverse aree della Russia consentendone l’impiego in Ucraina.

La nuova fase della guerra varata oggi dal Cremlino, potrebbe quindi vedere, almeno sul piano operativo, un periodo di stallo sui diversi fronti ucraini o comunque una vivacità limitata delle forze di Mosca anche se l’afflusso di rinforzi è iniziato da alcune settimane e ha già visto il trasferimento in Ucraina di reparti regolari dislocati in altre regioni e persino in Tagikistan.

Tempo prezioso per cercare di imbastire negoziati in grado di congelare o concludere il conflitto, complice anche la stagione invernale alle porte.

https://www.analisidifesa.it/2022/09/da-putin-via-libera-al-richiamo-dei-riservisti-e-ai-referendum-nei-territori-ucraini-conquistati/?fbclid=IwAR1BMkSjf3S-f5uwXoS5eYMpZEydUyFVaKGJ3aOgL6pu_N1hsUXL-mm6cZI

Discorso del Presidente della Federazione Russa

Il presidente della Russia Vladimir Putin: amici,

L’argomento di questo intervento è la situazione nel Donbass e il corso dell’operazione militare speciale per liberarlo dal regime neonazista, che ha preso il potere in Ucraina nel 2014 a seguito di un colpo di stato armato.

Oggi mi rivolgo a voi – a tutti i cittadini del nostro Paese, a persone di diverse generazioni, età ed etnie, al popolo della nostra grande Patria, a tutti coloro che sono uniti dalla grande Russia storica, soldati, ufficiali e volontari che stanno combattendo in prima linea e facendo il loro dovere di combattimento, i nostri fratelli e sorelle nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, nelle regioni di Kherson e Zaporozhye e in altre aree che sono state liberate dal regime neonazista.

La questione riguarda le misure necessarie e imperative per proteggere la sovranità, la sicurezza e l’integrità territoriale della Russia e sostenere il desiderio e la volontà dei nostri compatrioti di scegliere il proprio futuro in modo indipendente, e la politica aggressiva di alcune élite occidentali, che stanno facendo tutto il possibile per preservare il loro dominio e con questo obiettivo in vista stanno cercando di bloccare e sopprimere qualsiasi centro di sviluppo sovrano e indipendente per continuare a imporre aggressivamente la loro volontà e pseudovalori su altri paesi e nazioni.

L’obiettivo di quella parte dell’Occidente è indebolire, dividere e infine distruggere il nostro Paese. Ora stanno dicendo apertamente che nel 1991 sono riusciti a dividere l’Unione Sovietica e ora è il momento di fare lo stesso con la Russia, che deve essere divisa in numerose regioni che sarebbero in mortale faida tra loro.

Hanno ideato questi piani molto tempo fa. Hanno incoraggiato gruppi di terroristi internazionali nel Caucaso e spostato l’infrastruttura offensiva della NATO vicino ai nostri confini. Hanno usato la russofobia indiscriminata come arma, anche alimentando l’odio per la Russia per decenni, principalmente in Ucraina, che era stata progettata per diventare una testa di ponte anti-russa. Hanno trasformato il popolo ucraino in carne da cannone e lo hanno spinto in una guerra con la Russia, che hanno scatenato nel 2014. Hanno usato l’esercito contro i civili e organizzato un genocidio, blocco e terrore contro coloro che si sono rifiutati di riconoscere il governo che è stato creato in Ucraina a seguito di un colpo di stato.

Dopo che il regime di Kiev ha rifiutato pubblicamente di risolvere pacificamente la questione del Donbass ed è arrivato al punto di annunciare la sua ambizione di possedere armi nucleari, è diventato chiaro che una nuova offensiva nel Donbass – ce n’erano due prima – era inevitabile e che sarebbe inevitabilmente seguito da un attacco alla Crimea russa, cioè alla Russia.

A questo proposito, la decisione di avviare un’operazione militare preventiva era necessaria e l’unica opzione. L’obiettivo principale di questa operazione, che è la liberazione dell’intero Donbass, rimane inalterato.

La Repubblica popolare di Lugansk è stata quasi completamente liberata dai neonazisti. Continuano i combattimenti nella Repubblica popolare di Donetsk. Negli otto anni precedenti, il regime di occupazione di Kiev ha creato una linea di difesa permanente profondamente scaglionata. Un attacco frontale contro di loro avrebbe portato a pesanti perdite, motivo per cui le nostre unità, così come le forze delle repubbliche del Donbass, stanno agendo in modo competente e sistematico, utilizzando attrezzature militari e salvando vite, muovendosi passo dopo passo per liberare il Donbass , epurare città e paesi dai neonazisti e aiutare le persone che il regime di Kiev ha trasformato in ostaggi e scudi umani.

Come sapete, all’operazione militare speciale partecipano militari professionisti in servizio sotto contratto. Combattono fianco a fianco con loro unità di volontari: persone di diverse etnie, professioni ed età che sono veri patrioti. Hanno risposto alla chiamata dei loro cuori di sollevarsi in difesa della Russia e del Donbass.

A questo proposito, ho già impartito istruzioni al governo e al ministero della Difesa di determinare lo status giuridico dei volontari e del personale delle unità militari delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Deve essere lo stesso dello status dei professionisti militari dell’esercito russo, compresi i benefici materiali, medici e sociali. Particolare attenzione deve essere prestata all’organizzazione della fornitura di attrezzature militari e di altro tipo per le unità di volontari e la milizia popolare del Donbass.

Pur agendo per raggiungere gli obiettivi principali della difesa del Donbass in conformità con i piani e le decisioni del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale, le nostre truppe hanno liberato aree considerevoli nelle regioni di Kherson e Zaporozhye e un certo numero di altre aree. Ciò ha creato una lunga linea di contatto lunga oltre 1.000 chilometri.

Questo è ciò che vorrei rendere pubblico per la prima volta oggi. Dopo l’inizio dell’operazione militare speciale, in particolare dopo i colloqui di Istanbul, i rappresentanti di Kiev hanno espresso una risposta piuttosto positiva alle nostre proposte. Queste proposte riguardavano soprattutto la sicurezza e gli interessi della Russia. Ma un accordo pacifico ovviamente non si addiceva all’Occidente, motivo per cui, dopo che alcuni compromessi furono coordinati, a Kiev fu effettivamente ordinato di far fallire tutti questi accordi.

Altre armi sono state pompate in Ucraina. Il regime di Kiev ha messo in gioco nuovi gruppi di mercenari e nazionalisti stranieri, unità militari addestrate secondo gli standard NATO e che hanno ricevuto ordini da consiglieri occidentali.

Allo stesso tempo, il regime di rappresaglie in tutta l’Ucraina contro i propri cittadini, instaurato subito dopo il colpo di stato armato del 2014, è stato duramente intensificato. La politica dell’intimidazione, del terrore e della violenza sta assumendo forme sempre più massicce, orribili e barbare.

Voglio sottolineare quanto segue. Sappiamo che la maggior parte delle persone che vivono nei territori liberati dai neonazisti, e queste sono soprattutto le terre storiche della Novorossiya, non vogliono vivere sotto il giogo del regime neonazista. Le persone nelle regioni di Zaporozhye e Kherson, a Lugansk e Donetsk hanno visto e stanno assistendo alle atrocità perpetrate dai neonazisti nelle aree [ucraine] occupate della regione di Kharkov. I discendenti dei Banderiti ei membri delle spedizioni punitive naziste stanno uccidendo, torturando e imprigionando persone; stanno regolando i conti, picchiando e commettendo oltraggi a civili pacifici.

C’erano oltre 7,5 milioni di persone che vivevano nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e nelle regioni di Zaporozhye e Kherson prima dello scoppio delle ostilità. Molti di loro sono stati costretti a diventare profughi ea lasciare le loro case. Quelli che sono rimasti – sono circa cinque milioni – sono ora esposti agli attacchi di artiglieria e missili lanciati dai militanti neonazisti, che sparano su ospedali e scuole e inscenano attacchi terroristici contro civili pacifici.

Non possiamo, non abbiamo il diritto morale di lasciare che i nostri parenti e amici siano fatti a pezzi dai macellai; non possiamo che rispondere al loro sincero sforzo di decidere da soli il proprio destino.

I parlamenti delle repubbliche popolari del Donbass e le amministrazioni militare-civili delle regioni di Kherson e Zaporozhye hanno adottato decisioni per indire referendum sul futuro dei loro territori e si sono appellati alla Russia per sostenerla.

Vorrei sottolineare che faremo tutto il necessario per creare condizioni sicure per questi referendum in modo che le persone possano esprimere la propria volontà. E sosterremo la scelta del futuro fatta dalla maggioranza delle persone nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e nelle regioni di Zaporozhye e Kherson.

Gli amici,

Oggi le nostre forze armate, come ho accennato, stanno combattendo sulla linea di contatto lunga oltre 1.000 chilometri, combattendo non solo contro unità neonaziste ma in realtà l’intera macchina militare dell’Occidente collettivo.

In questa situazione, ritengo necessario prendere la seguente decisione, che è del tutto adeguata alle minacce che stiamo affrontando. Più precisamente, ritengo necessario sostenere la proposta del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale sulla mobilitazione parziale nella Federazione Russa per difendere la nostra Patria e la sua sovranità e integrità territoriale, e per garantire la sicurezza del nostro popolo e del popolo liberato territori.

Come ho detto, stiamo parlando di mobilitazione parziale. In altre parole, saranno convocati solo i riservisti militari, principalmente quelli che hanno prestato servizio nelle forze armate e hanno specifiche specialità professionali militari e relativa esperienza.

Prima di essere inviati alle loro unità, i chiamati in servizio attivo saranno sottoposti a un addestramento militare aggiuntivo obbligatorio basato sull’esperienza dell’operazione militare speciale.

Ho già firmato l’Ordine Esecutivo di mobilitazione parziale.

Conformemente alla legislazione, le Camere dell’Assemblea federale – il Consiglio della Federazione e la Duma di Stato – ne saranno ufficialmente informate per iscritto oggi.

La mobilitazione comincerà oggi, 21 settembre. Insegno ai vertici delle regioni l’assistenza necessaria al lavoro degli uffici di reclutamento militare.

Vorrei sottolineare che i cittadini della Russia chiamati in base all’ordine di mobilitazione avranno lo status, i pagamenti e tutte le prestazioni sociali del personale militare in servizio sotto contratto.

Inoltre, l’Ordine esecutivo sulla mobilitazione parziale prevede anche misure aggiuntive per l’adempimento dell’ordine di difesa dello Stato. I capi delle imprese del settore della difesa saranno direttamente responsabili del raggiungimento degli obiettivi di aumentare la produzione di armi e attrezzature militari e di utilizzare strutture di produzione aggiuntive a tale scopo. Allo stesso tempo, il governo deve affrontare senza indugio tutti gli aspetti del sostegno materiale, delle risorse e finanziario alle nostre imprese della difesa.

Gli amici,

L’Occidente è andato troppo oltre nella sua politica aggressiva contro la Russia, minacciando senza fine il nostro paese e il nostro popolo. Alcuni politici occidentali irresponsabili stanno facendo molto di più che parlare dei loro piani per organizzare la consegna di armi offensive a lungo raggio all’Ucraina, che potrebbero essere utilizzate per sferrare attacchi in Crimea e in altre regioni russe.

Tali attacchi terroristici, anche con l’uso di armi occidentali, vengono sferrati nelle aree di confine delle regioni di Belgorod e Kursk. La NATO sta conducendo ricognizioni attraverso le regioni meridionali della Russia in tempo reale e con l’uso di sistemi moderni, aerei, navi, satelliti e droni strategici.

Washington, Londra e Bruxelles incoraggiano apertamente Kiev a spostare le ostilità sul nostro territorio. Dicono apertamente che la Russia deve essere sconfitta sul campo di battaglia con ogni mezzo, e successivamente privata della sovranità politica, economica, culturale e di qualsiasi altra cosa e saccheggiata.

Sono persino ricorsi al ricatto nucleare. Mi riferisco non solo al bombardamento, incoraggiato dall’Occidente, della centrale nucleare di Zaporozhye, che minaccia un disastro nucleare, ma anche alle dichiarazioni di alcuni alti rappresentanti dei principali paesi della NATO sulla possibilità e sull’ammissibilità di usando armi di distruzione di massa – armi nucleari – contro la Russia.

Vorrei ricordare a coloro che fanno tali affermazioni sulla Russia che anche il nostro paese ha diversi tipi di armi, e alcune di esse sono più moderne delle armi che hanno i paesi della NATO. In caso di minaccia all’integrità territoriale del nostro paese e per difendere la Russia e il nostro popolo, faremo sicuramente uso di tutti i sistemi d’arma a nostra disposizione. Questo non è un bluff.

I cittadini della Russia possono stare certi che l’integrità territoriale della nostra Patria, la nostra indipendenza e libertà saranno difese – lo ripeto – da tutti i sistemi a nostra disposizione. Coloro che stanno usando il ricatto nucleare contro di noi dovrebbero sapere che la rosa dei venti può tornare indietro.

È nostra tradizione storica e destino della nostra nazione fermare coloro che amano il dominio globale e minacciano di dividersi e rendere schiava la nostra Patria. Stai certo che lo faremo anche questa volta.

Credo nel tuo sostegno.

 

Come la mobilitazione annunciata da Putin riapre uno spiraglio per il negoziato, di Francesco Russo

Per Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, il Cremlino desidera congelare il conflitto, accontentandosi dei territori occupati finora e mostrando la sua determinazione a difenderli con ogni mezzo: “Putin vuole alzare la posta, non allargare il conflitto, ma il rischio di un’escalation c’è”

AGI – La mobilitazione parziale annunciata dal presidente russo Vladimir Putin può essere sicuramente il preludio di un’escalation ma offre anche la possibilità, se non di una tregua, di un congelamento del conflitto, purché Kiev si accontenti della riconquista dell’Oblast di Kharkiv e sia disposta a cedere a Mosca i territori persi finora nelle quattro regioni dove si svolgeranno i referendum per l’unificazione con la Russia. È la lettura offerta dal direttore di Analisi DifesaGianandrea Gaiani, in un’intervista all’Agi.

In che modo l’annuncio di una mobilitazione parziale dei riservisti russi, in seguito alla convocazione di referendum nelle quattro regioni ucraine occupate, segna un cambio di marcia del conflitto?

“Credo che il cambiamento sia a livello politico e strategico. Il riconoscimento da parte della Russia delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, il giorno prima dell’inizio dell’operazione in Ucraina, aveva rappresentato il riconoscimento di entità politico-territoriali di una parte dell’Ucraina abitata per lo più da popolazioni russofone e in certi casi russofile, considerando che due milioni di civili del Donbass sono fuggiti in Russia.
Finora si era parlato di referendum solo per le regioni di Kherson e Zaporizhzhia. Allargare le consultazioni ad aree già in mano ai filorussi dal 2014 significa lanciare un messaggio politico e alzare il livello dell’escalation sul piano politico e militare. Mosca conferma che fa sul serio e, se prima pensavamo volesse creare una zona cuscinetto che separasse la Nato dal territorio russo, ora fa sapere che ritiene quei territori Russia. Se i referendum avranno esito positivo, e certamente lo avranno perché la popolazione filo-Kiev è fuggita da quelle zone, sul piano militare la risposta a qualunque attacco rientrerebbe nella dottrina della difesa nazionale che, in tutti i Paesi del mondo, prevede qualunque tipo di risposta con qualunque tipo di arma di distruzione, non necessariamente nucleare. Penso ad esempio a bombardamenti dei siti nei Paesi Nato dove vengono stoccate le armi da consegnare all’Ucraina.
Ad ogni modo, l’obiettivo di Putin non è allargare il conflitto ma alzare la posta per la Nato e l’Occidente. L’iniziativa russa ha lo scopo di congelare il conflitto e, soprattutto, di lanciare un monito: ‘Noi siamo disposti a difendere queste aree in quanto territorio russo, voi siete disposti a fare la guerra alla Russia?’. È un monito rivolto a tutti i Paesi Nato, in particolare a quelli europei, che in questa guerra stanno perdendo tutto”.

In concreto, la mobilitazione come potrà mutare la situazione sul campo?

“I limiti dei russi stanno nell’aver impegnato solo parte delle loro forze armate e di aver combattuto in inferiorità numerica, il che è molto difficile in una situazione offensiva. Richiamare i riservisti potrebbe compensare il deficit nei numeri, una volta trascorso il paio di mesi necessario per l’addestramento e l’aggiornamento. Il fatto che i russi mobilitino così tante forze, pur con l’obiettivo di consolidare quanto conquistato, non esclude che i russi lancino azioni offensive per completare il controllo delle regioni occupate fino ai loro confini amministrativi”.

Quali sono gli scenari possibili? Cosa attendersi dall’inverno?

“Gli scenari sono tre: una guerra di attrito prolungata, un’escalation che potrebbe coinvolgere l’Occidente o un congelamento del fronte che apre uno spiraglio per avviare le trattative, fronte sul quale è molto attiva la Turchia. Se poi la guerra si allargasse, Kharkiv e Odessa potrebbero tornare nel mirino”.

Putin ha evocato nuovamente le armi nucleari…

“Putin ha ribadito di avere questa forma di deterrenza e ha chiarito la sua determinazione nel difendere i territori presi. Se il Donbass sarà completamente russificato, viene ricordato che chi attaccherà quel territorio attaccherà il territorio russo, esponendosi a una risposta che non esclude nessun tipo di arma. Ma nessuna potenza nucleare esclude l’utilizzo di armi atomiche, perché servono come deterrenza. Anche gli Stati Uniti non lo hanno mai escluso nella crisi con la Corea del Nord”.

L’intelligence militare britannica ha suggerito che l’urgenza con cui sono stati convocati i referendum tradisca il timore di una nuova offensiva ucraina. C’è però chi sostiene che Kiev al momento non abbia la possibilità materiale di sferrare un contrattacco paragonabile a quello che ha consentito la riconquista di parte della regione di Kharkiv, che sarebbe costata notevoli perdite umane…

“In realtà è costato molte più perdite il tentato contrattacco a Kherson e su certi aspetti dell’offensiva a Kharkiv ho posto degli interrogativi. Mi ha lasciato perplesso che i russi avessero lasciato in quella regione solo due battaglioni della Rosguardia, non si fossero accorti della concentrazione di sette brigate ucraine e, invece di chiudere il tappo, si fossero ritirati lasciando sul campo molti mezzi.
Non ne discutiamo mai ma dovremmo tenere conto del fatto che russi e americani non hanno mai smesso di parlarsi e che i tentativi di trovare un’intesa non sono mai finiti. I russi sono pronti a discutere su una base negoziale che consenta loro di tenersi parte dei territori che hanno già occupato; gli ucraini forse no. L’escalation di oggi serve ad alzare la posta e stabilire i i paletti sui quali poter avviare una trattativa. Il Cremlino ha segnato una linea: il messaggio è che non c’è l’intenzione di continuare a conquistare territorio ucraino ma quella di rafforzare le aree conquistate finora, dalle quale i russi non intendono spostarsi. Vedremo entro una settimana se su questo punto c’è la possibilità che l’Europa induca l’Ucraina ad accettare un negoziato”.

In sostanza, ritieni che il ritiro da Kharkiv possa essere stato una scelta precisa che ha l’obiettivo di porre le basi per trattare?

“I russi non hanno provato nemmeno a tappare la falla. Non sappiamo se sia stata una scelta precisa o sia stato dovuto a carenza di mezzi. Il risultato è che i russi hanno perso un terreno pari a due volte la Val d’Aosta ma hanno accorciato le loro linee di difesa. Si sono ritirati anche da posizioni difendibili, nell’area al confine settentrionale dove avevano linee di rifornimento garantite da Belgorod, in territorio russo. Non escluderei che il ritiro abbia potuto rispondere all’esigenza di creare condizioni favorevoli all’apertura di un negoziato, consentendo a Zelensky di vantare un successo militare mai visto finora e sedersi al tavolo del negoziato da una posizione più vantaggiosa”.

Da Podolyak a Kuleba, gli alti funzionari ucraini hanno chiarito che intendono perseverare nei tentativi di liberare le aree occupate ma ciò non può avvenire senza nuovi, massicci rifornimenti di armi occidentali. per quanto tempo l’Occidente potrà continuare a sostenere Kiev? La Germania ha già dichiarato da tempo di aver terminato le riserve…

“L’Ucraina ha fame di mezzi, munizioni e armamenti per sostenere le sue offensive. E mantenere la pressione sui russi ha un significato politico per Zelensky, che è stato molto criticato in patria per le fortissime perdite subite. Gli eserciti occidentali non hanno però quasi più nulla da dare perché, se questa guerra continua, c’è il rischio di un loro coinvolgimento. È una questione di numeri: le forze corazzate delle principali potenze europee hanno un’entità ridicola. L’Italia ha forse 200 carri armati di cui un terzo operativo, la Francia e la Germania ne hanno 250 e non tutti operativi. Nessun esercito occidentale avrebbe la possibilità di reggere un conflitto del genere per più di qualche settimana”.

Oggi Shoigu ha affermato che gli ucraini hanno esaurito le loro scorte di armamenti sovietici. È plausibile?

“Gli ucraini hanno perduto il loro arsenale originale: mezzi pesanti, artiglieria e corazzati ex sovietici che l’Ucraina produceva pure ma adesso la sua industria bellica è stata devastata dalla guerra, perché i russi hanno colpito tutti gli stabilimenti. Ora stanno esaurendo anche le riserve di mezzi forniti dai Paesi Nato e sono mesi che continuano a chiedere più armi. Kiev sta premendo sugli Usa per ottenere armi a lungo raggio che potrebbero arrivare a colpire in profondità. Il messaggio di Putin ha quindi anche lo scopo di scoraggiare la fornitura di questo tipo di armi e incoraggiare il negoziato. Oggi Putin e Shoigu hanno alzato l’asticella. Ciò solleva la preoccupazione per un’escalation ma offre anche l’opportunità di una mediazione”.

L’Ucraina afferma però che i referendum cancellano ogni possibilita di soluzione diplomatica…

“Ci sono elementi di questa crisi che non vengono resi pubblici e che si cerca di offuscare con la propaganda da entrambe le parti. Basti pensare che l’Ucraina non ha tirato nemmeno una sassata contro il gasdotto. Tutte queste ambiguità suggeriscono che ci siano già trattative sotto banco. E lo slittamento della messa in onda del discorso di Putin significa che stanotte ci sono stati alcuni confronti con alcuni interlocutori per definire possibili scenari”.

CI sono quindi le condizioni per un accordo?

“Dipenderà dalla volontà degli europei di svolgere finalmente un ruolo da protagonisti in una guerra che minaccia la nostra sicurezza. Finora l’Europa è mancata come soggetto geopolitico e si è limitata a seguire la Nato e gli angloamericani. Quanto sta succedendo dovrebbe essere valutato anche alla luce degli interessi dell’Europa. Ci sono valutazioni di organizzazioni non certo filorusse che paventano che l’obiettivo vero della guerra sia la distruzione del primato dell’Europa come potenza economico-industriale. La Russia ne uscirà logorata ma l’Europa in primavera rischia una devastazione economico-industriale senza precedenti. Se questa è la realtà, dobbiamo venire a patti con la Russia o cessare di essere una potenza economica e industriale. E domandarci chi ci guadagnerà”.

@cicciorusso_agi

https://www.agi.it/estero/news/2022-09-21/ucraina-russia-discorso-putin-mobilitazione-18159479/

Da “operazione militare speciale” a guerra aperta, di Gilbert Doctorow

Da ‘operazione militare speciale’ a guerra aperta: significato dei referendum in Donbas, Kherson e Zaporozie

Il discorso televisivo di ieri mattina di Vladimir Putin e il successivo commento del suo ministro della Difesa Shoigu che annuncia la parziale mobilitazione delle riserve dell’esercito russo per aggiungere un totale di 300.000 uomini alla campagna militare in Ucraina sono stati ampiamente riportati dalla stampa occidentale. La stampa occidentale ha riportato anche i piani per indire referendum sull’adesione alla Federazione Russa nelle repubbliche del Donbas questo fine settimana e anche nelle oblast di Kherson e Zaporozie in un futuro molto prossimo. Tuttavia, come accade molto comunemente, l’interrelazione di questi due sviluppi non è stata vista o, se osservata, non è stata condivisa con il grande pubblico. Poiché proprio questa interrelazione è stata messa in evidenza nei talk show della televisione di stato russa negli ultimi due giorni,

L’idea stessa di referendum nel Donbas è stata ridicolizzata dai media mainstream negli Stati Uniti e in Europa. Vengono denunciati come ‘finzione’ e ci viene detto che i risultati non verranno riconosciuti. Al Cremlino, infatti, non interessa affatto se i risultati siano riconosciuti validi in Occidente. La loro logica è altrove. Per quanto riguarda il pubblico russo, l’unica osservazione critica sui referendum è stata sulla tempistica, con anche alcuni patrioti che hanno affermato apertamente che è troppo presto per votare dato che la Repubblica popolare di Donetsk, le oblast di Zaporozie e Kherson non hanno ancora stato completamente “liberato”. Anche qui la logica di queste votazioni sta altrove.

È una conclusione scontata che le repubbliche del Donbas e altri territori dell’Ucraina ora sotto l’occupazione russa voteranno per entrare a far parte della Federazione Russa. Nel caso di Donetsk e Lugansk, è stato solo sotto la pressione di Mosca che i loro referendum del 2014 riguardavano la dichiarazione di sovranità e non l’adesione alla Russia. Tale annessione o fusione non fu accolta allora dal Cremlino perché la Russia non era pronta ad affrontare il previsto massiccio attacco economico, politico e militare da parte dell’Occidente che sarebbe seguito. Oggi Mosca è più che pronta: infatti è sopravvissuta egregiamente a tutte le sanzioni economiche imposte dall’Occidente anche prima del 24 febbraio e alla fornitura sempre crescente all’Ucraina di materiale militare e ‘consiglieri’ dei paesi NATO.

Il voto sull’adesione alla Russia raggiungerà probabilmente il 90% o più a favore. E’ perfettamente chiaro anche ciò che seguirà immediatamente da parte russa: entro poche ore dalla dichiarazione dei risultati del referendum, la Duma di Stato russa approverà un disegno di legge sulla “riunificazione” di questi territori con la Russia e nel giro di un giorno sarà approvato dalla camera alta del parlamento e subito dopo il disegno di legge sarà firmato in legge dal presidente Putin.

Guardando oltre il suo servizio come agente dell’intelligence del KGB, che è tutto ciò di cui gli “specialisti russi” occidentali parlano all’infinito nei loro articoli e libri, ricordiamo anche la laurea in giurisprudenza di Vladimir Putin. In qualità di Presidente, è rimasto sistematicamente all’interno del diritto interno e internazionale. Lo farà ora. A differenza del suo predecessore, Boris Eltsin, Vladimir Putin non ha governato per decreto presidenziale; ha governato con leggi promulgate da un parlamento bicamerale costituito da più partiti. Ha deliberato in armonia con il diritto internazionale promulgato dalle Nazioni Unite. La legge delle Nazioni Unite parla della santità dell’integrità territoriale degli Stati membri; ma la legge dell’ONU parla anche della santità dell’autodeterminazione dei popoli.

Cosa deriva dalla fusione formale di questi territori con la Russia? Anche questo è perfettamente chiaro. In quanto parti integranti della Russia, qualsiasi attacco contro di loro, e sicuramente ci saranno tali attacchi provenienti dalle forze armate ucraine, è un casus belli. Ma ancor prima, i referendum sono stati preceduti dall’annuncio di mobilitazione, che indica direttamente ciò che la Russia farà ulteriormente se gli sviluppi sul campo di battaglia lo richiederanno. Le fasi progressive di mobilitazione saranno giustificate dall’opinione pubblica russa come necessarie per difendere i confini della Federazione Russa dagli attacchi della NATO.

La fusione dei territori ucraini occupati dalla Russia con la Federazione Russa segnerà la fine dell'”operazione militare speciale”. Un SMO non è qualcosa che conduci sul tuo territorio, come relatori alla serata con Vladimir Solovyovtalk show ha commentato un paio di giorni fa. Segna l’inizio di una guerra aperta contro l’Ucraina con l’obiettivo della capitolazione incondizionata del nemico. Ciò comporterà probabilmente la rimozione della leadership civile e militare e, molto probabilmente, lo smembramento dell’Ucraina. Dopotutto, il Cremlino ha avvertito più di un anno fa che il corso dettato dagli Stati Uniti per l’adesione alla NATO per l’Ucraina comporterà la sua perdita della statualità. Tuttavia, questi obiettivi particolari non sono stati finora dichiarati; la SMO riguardava la difesa del Donbas contro il genocidio e la de-nazificazione dell’Ucraina, un concetto di per sé piuttosto vago.

L’aggiunta di altri 300.000 uomini in armi alle forze dispiegate dalla Russia in Ucraina rappresenta un quasi raddoppio e sicuramente affronterà la carenza di numeri di fanteria che ha limitato la capacità della Russia di “conquistare” l’Ucraina. È stata proprio la mancanza di stivali a terra a spiegare il doloroso e imbarazzante ritiro della Russia dalla regione di Kharkov nelle ultime due settimane. Non hanno potuto resistere alla massiccia concentrazione di forze ucraine contro la loro stessa presa scarsamente sorvegliata sulla regione. Il valore strategico della vittoria ucraina è discutibile, ma ha notevolmente migliorato il loro morale, che è un fattore importante nell’esito di qualsiasi guerra. Il Cremlino non poteva ignorarlo.

Alla conferenza stampa a Samarcanda la scorsa settimana dopo la fine del raduno annuale dei capi di stato dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, a Vladimir Putin è stato chiesto perché ha mostrato così tanta moderazione di fronte alla controffensiva ucraina. Ha risposto che gli attacchi russi agli impianti di generazione di elettricità ucraini che hanno seguito la perdita del territorio di Kharkov erano solo “campi di avvertimento” e ci sarebbero state azioni molto più “di impatto” in arrivo. Di conseguenza, mentre la Russia passa dalla SMO alla guerra aperta, possiamo aspettarci una massiccia distruzione delle infrastrutture civili e militari ucraine per bloccare completamente tutti i movimenti di armi fornite dall’Occidente dai punti di consegna nella regione di Lvov e altri confini al fronte. Alla fine potremmo aspettarci bombardamenti e distruzione dei centri decisionali dell’Ucraina a Kiev.

Per quanto riguarda un ulteriore intervento occidentale, i media occidentali hanno raccolto la minaccia nucleare appena velata del presidente Putin ai potenziali cobelligeranti. La Russia ha dichiarato esplicitamente che qualsiasi aggressione contro la propria sicurezza e integrità territoriale, come quella sollevata dai generali in pensione negli Stati Uniti che hanno parlato alla televisione nazionale nelle ultime settimane dello scioglimento della Russia, sarà accolta da una risposta nucleare. Quando la minaccia nucleare russa è diretta a Washington, come è ora il caso, piuttosto che a Kiev oa Bruxelles, supposizione fino ad ora, è improbabile che i responsabili politici a Capitol Hill rimarranno a lungo sprezzanti riguardo alle capacità militari russe e perseguiranno un’ulteriore escalation.

Alla luce di tutti questi sviluppi, sono costretto a rivedere il mio apprezzamento per quanto è emerso alla riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. I media occidentali hanno concentrato tutta l’attenzione su un solo problema: il presunto attrito tra la Russia ei suoi principali amici mondiali, India e Cina, sulla guerra in Ucraina. Mi è sembrato grossolanamente esagerato. Ora sembra essere una totale sciocchezza. È inconcepibile che Putin non abbia discusso con Xi e Modi di cosa sta per fare in Ucraina. Se la Russia ora fornisce al suo sforzo bellico una parte molto maggiore del suo potenziale militare, allora è del tutto ragionevole aspettarsi che la guerra finisca con la vittoria russa entro il 31 dicembre di quest’anno, poiché il Cremlino sembra aver promesso ai suoi fedeli sostenitori. 

Guardando oltre la possibile perdita della statualità dell’Ucraina, una vittoria russa significherà più di un naso sanguinante simile all’Afghanistan per Washington. Esporrà il basso valore dell’ombrello militare statunitense per gli Stati membri dell’UE e porterà necessariamente a una rivalutazione dell’architettura di sicurezza europea, che è ciò che i russi chiedevano prima che la loro incursione in Ucraina fosse lanciata a febbraio.

https://gilbertdoctorow.com/2022/09/22/from-special-military-operation-to-open-war/

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