Italia e il mondo

Il secolo dei renitenti, di WS

Questo articolo  di Lanza , su cui sono  sostanzialmente  d’accordo,  solleva un  argomento  “attrigante”,  “intrigante”  nel  italish oggi  in uso:  la “rivolta”  del  “sud  del mondo”, in realtà  solo   dei    4 big  dell’ Asia  continentale, a  “l’ordine  basato su regole”, di fatto  la versione  americana   del  “Rule Britannia”   del  secolo  XIX.

  Spiega  infatti  il Toynbee   che  le  sfide  vanno   raccolte   e  le antiche  civiltà  asiatiche   alla  fine,  dopo  averle  subite  sulla propria pelle,  hanno raccolto  quella  del Mackinderismo   inglese  “orecchiato”  e “ fatto proprio”  dagli  U$A.

E  a Tientsin  è appunto  stato  certificato    che  lo SCO  ha raccolto la sfida geopolitica   con un “ormai più non  ti temo”. 

Ma  da lì a    dedurre  che  lo SCO abbia  propri piani geopolitici   ed   addirittura   che   li abbiano    i BRICS  tutti insieme si passa a un volo pindarico. Non solo i quattro attori più grossi, Cina , Russia , India  e Iran,  hanno   agende  e problemi  diversi , ma  anche  gli stati   “di contorno” ,  Turchia, Armenia, Kazakistan  ect..,  non disdegnano  ma addirittura    hanno “allineamenti”   con  gli U$A.

Gli SCO  come i BRICS   hanno  solo una cosa in comune : non vogliono prendere ordini  dagli U$A.

E  così a  Tianjin  è stato  solo  certificata  una postura  di “reazione”   ma  per  cosa  e  come    questa   reazione  avverrà, sarà deciso solo  dagli U$A   quando questi vorranno   testare  questa “prontezza  di reazione”  sulle linee  rosse dei  singoli “soci  del club “.

Il che  significa  che  “l’ eccezionalismo”  americano   resta, per ora,   libero  di operare a proprio piacimento  al di fuori de l’ area SCO: la “bestia”  resta  “libera”  anche se il recinto  gli è stato un po’ ristretto. 

Perché  Toynbee  ci insegna anche   che bisogna   stare molto  accorti  a  come cercare di  vincere  le sfide raccolte; occorre  cioè  molto  pragmatismo, molta lungimiranza,    molta prudenza  e molta pazienza  per  evitare  di  cadere poi in problemi  più grossi  che  si rivelino  poi  addirittura insormontabili.

In altre parole, soprattutto in geopolitica,    bisogna  conoscere  bene   i propri limiti ed evitare   dogmatismi  e  sogni  di gloria , il  che è appunto  l’usuale  approccio  geopolitico  delle   vecchie   civiltà asiatiche     e  che è anche   il “ Tao di Putin”    (https://julianmacfarlane.substack.com/p/the-tao-of-vladimir-putin)

Putin infatti   ha   e ha sempre  avuto   a cuore  solo  la  salvezza della  Russia   da perseguire  con “quello che c’è”. Per  quanto Putin  sia  sempre aperto  ai suggerimenti   e alle elucubrazioni  dei suoi supposti  ideologi/consiglieri, le sue   “stelle polari”  sono sempre : pragmatismo,  prudenza  e pazienza.

E Putin  ha rimesso in piedi la “casa Russia” operando  con “quello che  c’è”,   accettando  spesso compromessi  e  spesso  facendo  finta    di non vedere la doppiezza  altrui, ma  senza mai  deflettere  dalla   sua meta  perché  “tutti i venti  sono buoni per chi sa dove  vuole andare”.

Un buon politico  infatti  spesso  può   e deve   omettere  verità e accettare ipocritamentr cose negative e finanche vergognose , ma non deve mai mentire  su quelli che sono i propri principi.

Non  è infatti   stato Putin  a decidere la propria  rotta politica  ma  “i  venti”   spesso anche contrari  che hanno  soffiato sulla  sua  “barca”.

Putin   lavorava  nel controspionaggio   in Europa  e per  formazione   non è un  “euroasiatico”, del   tipo Dughin ad esempio;   lui  “ pietroburghese “ non sentiva nessun  fascino  “orientale”  e non voleva  di certo   contrapporsi agli U$A /€uropa; sono  stati  gli U$A/€uropa    a spingerlo  in Asia    contrapponendosi  alla Russia  e operando per la sua   distruzione.

  E questa  è una cosa   che  Putin non poteva  accettare.

Anche  Xi, come tutti i cinesi , è un pragmatico, ispirato   da  Sun Yat  Sen; la stella  polare della  dirigenza  cinese  era solo porre  fine  al  “secolo  delle umiliazioni” , cosa  che oggi si può  considerare  raggiunta. Non   ci sono per ora spiriti di  rivalsa;  la Cina  non  desider(av)a  nessuna  contrapposizione   con gli  U$A/€uropa.

Pure   quel  gran furbacchione  di Modi   è un pragmatico; la  sua India  fa  affari  con tutti  e alle spalle di  tutti. 

Non è  questa una postura molto prudente ma Modi,   calcola giustamente che  il peso   de l’ India  nel  calcoli  geopolitici  altrui   “copra il rischio”.

Ma   se  gli  USA  lo minacciano  direttamente non può che  reagire  anche lui;  “la faccia” anche  se in “Occidente” è ormai un “asset”    che può essere     venduta  e rivenduta  in continuazione,   in Asia  è ancora  una cosa    molto seria  che non può essere  pubblicamente perduta.

Così come molti commentatori  hanno  già notato,   sono  stati  gli U$A   a     fare  “Tianjin “,    cosa  che può essere  vista come un atto di chiarificazione  geopolitica di principio   ma che  nei fatti    ancora non significa nulla   più  che la proclamazione  di un “club  di renitenti”;  nessuno  dei  suoi “soci”   desidera   realmente    andare    “dalle parole  ai fatti”  e  tantomeno   andarci “fino in fondo”.

Saranno  solo le modalità  con cui gli U$A   raccoglieranno  questa  reazione  a decidere  gli  eventi  futuri.

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IL SECOLO IN CORSO, di Daniele Lanza

IL SECOLO IN CORSO ***

(Cesare: “Segui sempre le leggi in ogni caso. Se devi violarle allora fallo fino in fondo: dichiara guerra allo stato stesso e fai la rivoluzione per poi fare le leggi tu stesso” (parafrasi).

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Una quindicina di giorni orsono, malgrado promesse al pubblico (e a me stesso), alla fine non ho inondato la bacheca di considerazioni in merito all’evento diplomatico dell’estate, ossia il meeting russo/statunitense tra le solitudini dell’Alaska.

Malgrado la natura estremamente sensibile del momento, la copertura mediatica roboante e, conseguentemente, mi sono ritrovato inaspettatamente come prosciugato di ogni interesse: non di energia (notare), ma proprio di “interesse”……e questo proprio in coincidenza con la fase decisiva della maggiore guerra convenzionale dal 1945 ad oggi, sul suolo europeo.

Proprio io, commentatore incallito, perdo l’occasione ? Roba da non credere.

Più a freddo adesso, comprendo invece bene la ragione del mio agire: il punto di tutto, immutato da era immemorabile (!), il saper distinguere e selezionare cosa è rilevante – tra gli eventi che si osservano – rispetto a cosa non lo è………..operazione intellettuale che viene chiaramente PRIMA della riflessione chilometrica da dare in pasto al pubblico (in parole altre: prima ancora di preoccuparsi di dare le giusta risposta, fare attenzione a PRIORI di porsi la giusta domanda, signori miei). Detta in breve: a scanso di aspettative, il via vai che si è sviluppato tra il 15 e il 20 agosto scorsi, altro non è stato che la cover ad effetto di una rivista dal modesto contenuto, il trailer pomposo di un film che si vorrebbe vedere…….ma che in realtà non uscirà mai in sala. Ciò che si proietta palpabile è più il desiderio di qualcosa che non la realizzabilità della cosa in questione.

Di fatto ognuno dei tre protagonisti principali ha acconsentito a partecipare a codesto “trailer” per le proprie intime motivazioni: D. Trump per smania di protagonismo che lo porti al soglio pontificio (pardon, a quello del premio Nobel si intende), V. Putin in quanto rappresenta una vittoria di immagine di grandi proporzioni alla faccia di Kiev ed alleati europei tagliati fuori. Questi ultimi si inseriscono nel secondo round di Washigton pochissimi giorni dopo, ma unicamente per salvare il salvabile: Zelensky per non vedersi completamente tagliato fuori, coi “magnifici sette” dell’UE a far capriole nel disperato tentativo di far sembrare che l’Europa sia ancora “qualcosa” su questo pianeta (…). Gli avvenimenti tra il 15-20 agosto non hanno avuto e non avranno alcun impatto sul proseguimento effettivo della guerra sul campo (che si risolverà tragicamente da sè): tanto il presidente russo quanto quello ucraino – ben consapevoli della volubile tempra del capo di stato americano – hanno imparato a dire a Trump quanto lui vuole sentirsi dire….dargli quel tanto che basta di corda per evitarne gli scoppi collerici, ma senza tuttavia arretrare di un singolo millimetro dalle rispettive posizioni. Può apparire spaventoso, vista la portata della guerra in corso che si appresta ad aver superato di 2 milioni di vittime complessive, ma questa è la cinica realpolitik: ancora comprensibile da parte di un capo di stato in vantaggio sul campo (Putin), molto di meno da parte di un leader perdente (Zelensky) che così facendo ottiene di allungare I tempi all’inverosimile, ma a danno del proprio stesso paese, portandolo sull’orlo di una catastrofe di significato storico (da segnare il destino di stato e società ucraine per il secolo corrente, sino alla sua fine ed oltre).

NO. Basta miraggi. Che cosa si vuole davvero ? Si vuole inzeppare bacheche e pagine di giornali di voli pindarici, forbite proiezioni (che non si avvereranno mai) e masturbazioni mentali oppure si intende andare al vero “cuore barbaro” dei problemi e della storia ? Se la risposta è la seconda………allora lasciate perdere l’Alaska I dazi di Trump I piagnistei dell’Europa arcobaleno (che si sogna “porcospino d’acciaio”), insomma inserite costoro in un più ampio contesto politico/storico che si incarna nell’immagine scelta per il post (*): allora si inizierà a capire dove sta sorgendo il nuovo mondo per il secolo in corso, dove si colloca il VERO campo di battaglia (non in Ucraina ! Quello, in ottica di lungo periodo, è in realtà già il passato, con buona pace di tutti I poveri militari che vi hanno perso tutto: l’Ucraina è solo un minuscolo punto di incontro di collisione tra due placche oceaniche – per dirla così – già da tempo in avvicinamento. Una è l’occidente e l’altro è il polo emergente incarnato dai molteplici – ed imponenti – partecipanti all’ SCO (Organizzazione Cooperazione di Shanghai) che che vede il suo raduno in questi giorni tra Tianjin e la capitale cinese (…).

Evidente come I paesi dell’SCO coincidano sempre più con quelli di un BRICS via via più allargato che ormai copre una fascia di spazio geopolitico che partendo dalla Bielorussia arriva sino al mar del Giappone, inglobando quasi tutto quello che vi è in mezzo. Banale ribadire I dati di fondo, ma ricordiamone almeno uno che valga per 1000 altri: si ha a che fare col 40% della popolazione del pianeta (tra cui la seconda potenza economica globale, ormai quasi alla pari con gli USA, amalgamata strategicamente a quella che in fondo è ancora la prima potenza nucleare al mondo. Insomma il binomio Cina/Russia traina). Un polo che si mette credibilmente a capo del sud globale (AFRICA in primo luogo) a scanso delle proteste e del gesticolio piccato da parte di una cricca europea che smania di conservare almeno una frazione del prestigio ereditato da ere remote che ormai non gli appartiene più (se gli europei delle ere passate in qualche modo VEDESSERO coi propri occhi i loro discendenti contemporanei, preferirebbero ridiscendere seduta stante nelle tombe, domandandosi per cosa abbiano lottato, alla fine).

Sì è da tutto questo che bisogna partire: I prodromi del secolo XIX in cui viviamo si collocano qui e costituiscono il campo di battaglia globale. In considerazione di quest’ultimo e delle sue logiche che si fanno le autentiche considerazioni STRATEGICHE, quelle per il mondo che verrà.

Durante I conflitti mondiali del 900 vi era ancora chi ragionava col metro breve (non più in là del suo naso, ovvero) e percepiva la guerra in corso come un confronto tra potenze europee, eterne protagoniste nei loro giochi di potere, quando a ben vedere si trattava invece di altro non che la fase “calda” di un processo di lungo corso ben più grande dell’Europa stessa, che avrebbe portato al suo termine: con la prospettiva di poi, I “grandi” protagonisti europei sarebbero stati derubricati a “piccoli stati europei” avventuratisi in un gioco più grande di loro (iniziarono nel 1914 da padroni del globo e terminarono nel 1945 padroni nemmeno più di sè stessi, come ancora oggi si vede).

Ma attenzione: anche il macrosistema che conosciamo come ”Occidente democratico” non è immune alle leggi della storia ed esattamente come le potenze europee di inizio 900 può ritrovarsi in un gioco più grande di sè stesso.

Vladimir Putin ha intuito il punto sopra da molto, moltissimo tempo, agendo di conseguenza: anzichè perdere tempo ed energie per guadagnarsi la simpatia e l’amore del suddetto occidente democratico (che MAI vedrà la Russia come amica o partner a prescindere da quale sia il regime al potere) e intravedendone il declino storico, ha strategicamente deciso di infischiarsene integralmente dell’occidente (in modo lungimirante, cioè non semplicemente combatterlo con furia cieca, ma modificare il campo di gioco su cui poggia I piedi).

In concreto: L’occidente ti sarà sempre contro ? Tale occidente detta le regole del mondo ? Perfetto: allora A – non serve domandare comprensione o dialogo (posto che è un nemico giurato, allora è inutile), B – inutile combatterlo sul suo terreno (combattere il tuo nemico su uno spazio del quale egli stabilisce a priori le leggi ? Assurdo). Occorre piuttosto fare qualcosa di più ambizioso: se la terra stessa sotto I tuoi piedi non ti è cogeniale, non impuntartici ma cambialo, anche se questo comportasse cambiare il globo terrestre per intero ! Come a dire: se le leggi non fanno per te, allora è inutile violarle (finisci solo dietro le sbarre), ma piuttosto agisci alla radice del male e fai una RIVOLUZIONE che porti alla fine dello status legale presente e quindi alla promulgazione di nuove leggi e consuetudini.

L’occidente dalla propria prospettiva tende a ridurre le cose e vedere nella Russia ad una mera “ribellione” all’ordine costituito: errore. La Russia punta piuttosto ad una RIVOLUZIONE, una matamorfosi vera e propria di quest’ultimo.

CONCLUSIONE

Ogni secolo ha la sua rivoluzione (o più di una) che cambia sembianza e senso a seconda delle circostanze: in questo ultimo secolo in corso essa è il sorgere del BRICS (blocco eurasiatico) tanto quanto lo è stato l’ideologia socialista a suo tempo ai primi del 900. Il presidente di Russia – non per tesserne le lodi – lo ha intuito e ha fatto in modo da piazzare il proprio paese assieme ai cavalli vincenti (e per tempo). Anche quella di sapersi trovare nel campo vincente al momento giusto è arte antica, artificio indispensabile dei vincitori (mi si scusi il gioco di parole).

Questo è il modo di pensare (lo spazio di riflessione, la portata) di uno statista come l’attuale presidente di Russia: la capacità di superare il momento presente per quanto appariscente (meeting in Alaska) e pensare in un’ordine di grandezza maggiore, ovvero interagisce/collide necessariamente con l’ordine mondiale occidentale da un lato, ma al tempo medesimo partecipa attivamente al superamento fisiologico dello stesso, contribuendo alla creazione di un ordine futuro del tutto diverso – “post-occidentale” assieme alle realtà emergenti dello spazio asiatico. Si occupa tanto dell’ordine PRESENTE quanto di quello che verrà, alla civiltà del futuro e non ad un mero sopravvivere (che caratterizza maggiormente l’occidente).

Esiste chi compara le astuzie di Putin a quelle di Zelensky tanto per equiparare I due personaggi: per parte mia direi…….ma certo compariamole pure. In sincerità ritengo sia illuminante farlo.

Il machiavellismo putiniano, come lo si potrebbe definire, appena descritto estensivamente in alto, contro l’astuzia contadina (che nessuno nega) della volpe di Kiev, la quale coi propri di giochi machiavellici guadagnerà per la propria nazione altro non che….un ulteriore mezzo milione di morti e feriti nel corso dell’anno a venire optando per la resistenza ad oltranza.

Beh, diciamo allora che esiste machiavellismo e machiavellismo (ad esser clementi).

L’economista Li Xunlei mette in guardia contro una febbre del mercato azionario che nasconde un rallentamento economico, di Fred Gao

L’economista Li Xunlei mette in guardia contro una febbre del mercato azionario che nasconde un rallentamento economico

Sollecita a fermare la riduzione dell’indebitamento, a passare da infrastrutture inefficienti a tecnologie di nuova generazione e ad aumentare il reddito delle famiglie

Fred Gao3 settembre
 LEGGI NELL’APP 

In molte occasioni, gli intellettuali cinesi parlano di paesi stranieri quando in realtà intendono la Cina, o discutono di storia quando in realtà stanno commentando la realtà odierna. Questo crea un gioco di parole intelligente e piacevole tra gli addetti ai lavori, ma può davvero confondere gli estranei che non colgono il contesto culturale. L’ultimo articolo di Li Xunlei sul Giappone ne è un esempio perfetto. Sembra analizzare i successi e gli insuccessi politici del Giappone durante i suoi “trent’anni perduti”, ma in realtà sta offrendo consigli per l’economia cinese, e credo che alcuni dei miei lettori abbiano bisogno di una sorta di “traduzione”.

Li Xunlei è capo economista presso Zhongtai Securities, con oltre trent’anni di esperienza nella ricerca macroeconomica, finanziaria e sui mercati dei capitali. Tra i pionieri dell’analisi del mercato azionario cinese, continua a esercitare un’influenza significativa negli ambienti politici, partecipando di recente al simposio del 9 aprile del Premier Li Qiang sulle condizioni economiche, insieme ad altri importanti esperti e leader aziendali.

Fonte: nbd.com

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Nell’articolo, sostiene che investire ingenti somme di denaro pubblico in infrastrutture in aree in cui la popolazione se ne va crea solo un enorme debito pubblico con pessimi ritorni sugli investimenti. Il suo punto: la Cina non dovrebbe investire in progetti con rendimenti decrescenti solo per sostenere i numeri di crescita a breve termine, soprattutto quando questi progetti vanno contro le esigenze delle persone in termini di vita e lavoro.

Esaminando le industrie giapponesi, osserva che, quando i settori tradizionali sono andati in declino, il Giappone non si è impegnato a fondo nella creazione di nuove industrie competitive a livello globale. Il risultato è stato un’economia svuotata, priva di nuovi motori di crescita. Questo lo porta a promuovere una politica industriale proattiva: vuole che il governo impegni ingenti risorse per modernizzare la produzione e sviluppare industrie all’avanguardia per rimanere competitivo a livello globale. (Altre interessanti risorse da investire)

Riguardo alla spesa dei consumatori, sottolinea che il Giappone si è concentrato troppo sugli investimenti produttivi e non abbastanza sul far spendere le persone. Quindi, per la Cina, il successo dovrebbe essere misurato in base al fatto che le persone comuni guadagnino di più e si sentano abbastanza sicure di sé da spendere. In conclusione: l’approccio americano (mettere soldi nelle tasche delle persone) supera quello giapponese (costruire più cose).

Per quanto riguarda l’effettiva attuazione delle politiche, ritiene che il più grande errore del Giappone siano state le sue politiche macroeconomiche incoerenti e scoordinate. La banca centrale è stata lenta a reagire, ha continuato a oscillare tra spese folli e misure di austerità, e i primi ministri “a porte girevoli” non hanno portato a una strategia coerente. La Cina deve evitare di passare in preda al panico all’austerità solo a causa di dati mensili negativi o di preoccupazioni sul debito: ciò ostacolerebbe qualsiasi slancio di ripresa.

Riguardo all’elevato debito derivante da grandi spese, la sua opinione è che sia del tutto normale che i governi si indebitino di più quando imprese e famiglie stanno ripagando il debito: costringere tutti a ridurre l’indebitamento contemporaneamente sarebbe un disastro. La vera questione non è ridurre i rapporti debito/PIL in questo momento, ma spendere saggiamente il denaro pubblico, ottenendo il massimo rendimento dal proprio investimento e costruendo un’economia più forte in grado di gestire il peso del debito (è bello vedere che la riunione del Politburo dello scorso settembre abbia adottato questo tipo di approccio).

L’articolo è stato pubblicato per la prima volta sul suo account WeChat (un altro esempio del perché WeChat è essenziale). Ma per chi non lo sapesse, ecco la versione sul web :

https://finance.sina.cn/zl/2025-09-02/zl-infpatcf6903070.d.html?vt=4&cid=79615&node_id=79615

Di seguito la versione tradotta dell’articolo:

Grazie per aver letto Inside China! Questo post è pubblico, quindi sentiti libero di condividerlo.

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Perché sentiamo “caldo” quando siamo ipotermici?

Ho letto molti resoconti sull’ipotermia. Uno che mi ha profondamente colpito è la storia di Lincoln Hall, un alpinista australiano. Nel 2006, durante la discesa dalla cima dell’Everest, si ammalò improvvisamente. I suoi compagni pensarono erroneamente che fosse morto e lo abbandonarono sul fianco della montagna a oltre 8.000 metri di altitudine. Eppure sopravvisse alla notte a temperature inferiori a -30 °C e con una quantità di ossigeno limitata. Quando lo trovarono, stava in realtà cercando di togliersi la giacca.
Un altro caso di ipotermia ampiamente segnalato si è verificato nel 2021 durante un’ultramaratona nella regione della Foresta di Pietra del Fiume Giallo a Baiyin, nella provincia di Gansu, dove le condizioni meteorologiche estreme hanno causato ipotermia e la tragica morte di 21 partecipanti.

L’ipotermia si verifica generalmente quando il corpo perde calore più velocemente di quanto riesca a produrlo, causando un calo della temperatura corporea interna al di sotto dei 35 °C. Questo provoca sintomi come brividi, confusione, insufficienza cardiaca e respiratoria e può persino essere fatale.
Ricercatori medici svedesi hanno analizzato 207 casi fatali di ipotermia e hanno scoperto che 63 di questi erano dovuti a uno “svestimento paradossale”. Cosa spiega questo fenomeno?
Si scopre che quando la temperatura corporea interna scende troppo, la capacità del cervello di percepire e regolare la temperatura viene compromessa. I vasi sanguigni vicino alla superficie cutanea si dilatano in modo anomalo, causando un afflusso di sangue alla superficie corporea e creando una falsa sensazione di calore . Allo stesso tempo, la trasmissione alterata del segnale nervoso confonde la persona, inducendola a credere di essere surriscaldata.

Non sono certo un esperto di medicina, ma mi chiedo: quando l’economia diventa “ipotermica”, anche il mercato potrebbe sperimentare la stessa falsa sensazione di calore? Quanto danno possono causare segnali così fuorvianti all’economia?

Perché c’è un divario così significativo tra la temperatura percepita e quella effettiva? Allo stesso modo, c’è spesso una discrepanza evidente tra i dati economici e la percezione dell’economia. Gran parte dei dati economici è in ritardo perché si tratta di una registrazione statistica di eventi già accaduti. La nostra prospettiva limitata nell’osservare la macroeconomia porta inevitabilmente a una situazione simile alla parabola dei ciechi e dell’elefante; nel frattempo, gli esseri umani sono esseri emotivi che tendono ad attribuire maggiore importanza ai dati recenti, spesso con conseguenti errori di valutazione.

Il primo caso che mi viene in mente sono i tre decenni perduti del Giappone. Dal crollo della bolla immobiliare negli anni ’90, l’economia giapponese è impantanata in una deflazione di lungo termine. Ad esempio, nel 1991, quando il mercato immobiliare raggiunse il picco, l’indice dei prezzi al consumo (IPC) giapponese si attestava a 93,1. Solo alla fine del 2021 raggiunse quota 100,1. Nell’arco di 30 anni, l’incremento cumulativo è stato solo del 7,5%, con una media annua di appena lo 0,25%. Sebbene l’IPC giapponese abbia registrato brevi rialzi durante la crisi finanziaria dell’Asia orientale e la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, si è attestato intorno allo zero per i 30 anni successivi allo scoppio della bolla.

Se paragoniamo la deflazione giapponese all’ipotermia, allora l’economia giapponese è in uno stato di ipotermia da 30 anni, i cosiddetti “tre decenni perduti”. In termini di PIL pro capite denominato in dollari, nel 1991 era di 28.666 dollari (calcolato al tasso di cambio medio di quell’anno, come indicato di seguito). Nel 1994, il PIL pro capite del Giappone era rapidamente salito a 38.467 dollari. Questo significativo aumento, tre anni dopo lo scoppio della bolla immobiliare, fu dovuto al forte apprezzamento dello yen, che passò da 145 yen per dollaro nel 1990 a 94 yen per dollaro nel 1995. Nel 1994, il PIL pro capite del Giappone era il più alto al mondo, nonostante il Paese stesse già registrando un aumento dei tassi di crediti in sofferenza presso le banche, fallimenti di alcune banche e società di intermediazione mobiliare, un forte calo degli utili aziendali e un’economia gravemente indebolita.

Trent’anni dopo, nel 2024, il PIL pro capite del Giappone ammonta a soli 32.420 dollari. Al netto dell’inflazione, utilizzando i prezzi costanti del 1994, si attesta a circa 25.824 dollari, con un calo del 33% rispetto a 30 anni fa. Al contrario, il PIL pro capite degli Stati Uniti era di 28.000 dollari nel 1994. Calcolato a prezzi costanti del 1994, il PIL pro capite degli Stati Uniti nel 2024 raggiunge i 57.000 dollari, più del doppio rispetto al 1994. Pertanto, a giudicare dall’andamento del PIL pro capite, il Giappone non solo ha perso 30 anni, ma potrebbe addirittura essere regredito di diversi anni rispetto a trent’anni fa.

Il mercato azionario è un barometro dell’economia. Alla fine del 1989, l’indice Nikkei 225 raggiunse i 38.900 punti. In seguito, crollò significativamente. Nonostante i numerosi rimbalzi, a luglio 2012 si attestava ancora a circa 8.700 punti, una frazione irrisoria del suo valore del 1989.

Chiaramente, l’economia giapponese ha attraversato un periodo prolungato di ipotermia. Ma ciò che appare sconcertante è il motivo per cui, durante un periodo di ipotermia così prolungato, non siano state adottate misure efficaci per riportare l’economia a una “temperatura normale”? Ciò è dovuto a una serie di “errate valutazioni” da parte del governo giapponese riguardo all’economia di quel periodo.

Ad esempio, le autorità giapponesi erano eccessivamente ottimiste nel stimare l’impatto del crollo della bolla immobiliare sull’economia. I *Libri Bianchi Economici* pubblicati dall’Agenzia di Pianificazione Economica Giapponese nel 1991 e nel 1992 affermavano entrambi che l’impatto negativo dello scoppio della bolla sui consumi privati ​​e sugli investimenti aziendali era molto limitato e sarebbe scomparso dopo il 1993. Allo stesso tempo, le autorità non prestarono sufficiente attenzione ai rischi che le istituzioni finanziarie avrebbero dovuto affrontare. Gli anni ’90 videro un’ondata di fallimenti bancari, tra cui quelli più noti come Daiwa Bank, Hokkaido Takushoku Bank e la Long-Term Credit Bank of Japan. Inoltre, il fallimento della principale società di intermediazione mobiliare Yamaichi Securities fu collegato al fallimento diffuso di aziende giapponesi.

In termini di politica macroeconomica, la politica monetaria non passò rapidamente da una politica restrittiva a una politica espansiva. La Banca del Giappone (BOJ) esitò a tagliare i tassi di interesse. A partire dall’agosto 1990, la BOJ mantenne il tasso di sconto ufficiale al 6%. Solo nel luglio 1991, 18 mesi dopo l’inizio del calo del mercato azionario, la BOJ iniziò finalmente a tagliare i tassi, e solo nel settembre 1995 il tasso fu ridotto allo 0,5%. I lenti tagli dei tassi da parte della BOJ furono una delle ragioni per cui il Giappone non riuscì a sfuggire rapidamente alla deflazione.

Sul fronte della politica fiscale, il governo giapponese ha oscillato tra l’espansione della spesa pubblica e il consolidamento fiscale (aumento delle imposte), con conseguente scarso coordinamento tra politiche fiscali e monetarie. Ad esempio, nel 1997, l’aliquota dell’imposta sui consumi è stata aumentata dal 3% al 5%, alcuni tagli fiscali sono stati revocati e la quota di spese mediche a carico dei privati ​​è stata aumentata. L’incoerenza nell’orientamento della politica macroeconomica era anche legata ai frequenti cambi di Primo Ministro e alla mancanza di continuità politica. Dal 1991 al 1998, il Giappone ha avuto sette diversi Primi Ministri, ognuno con approcci diversi alla risoluzione del problema.

Non è difficile comprendere come la politica fiscale giapponese dell’epoca mancasse di un approccio mirato, con spese fiscali effettive relativamente basse nelle fasi iniziali e scarsa efficienza. Ad esempio, durante la fase di espansione fiscale, il governo si concentrò sugli investimenti produttivi e incanalò ingenti fondi pubblici in progetti infrastrutturali in aree remote. Ciò non riuscì a stimolare i consumi e gli investimenti privati ​​e non generò un effetto moltiplicatore significativo.
Come si può vedere dal grafico sopra, la spesa per opere pubbliche in Giappone è aumentata significativamente dal 1992 al 1996. Tuttavia, in termini di investimenti infrastrutturali, i fondi sono stati principalmente destinati a strade, ponti, tunnel, grandi dighe e progetti di gestione delle risorse idriche e montane in regioni con una popolazione in netto calo, con conseguente scarsa efficienza degli investimenti. Numerosi centri civici, musei e stadi di lusso sono stati inoltre costruiti su larga scala, con conseguente aumento sostanziale del debito pubblico. Inoltre, molte di queste strutture sono state fortemente sottoutilizzate, mentre i giovani hanno continuato a migrare verso grandi aree metropolitane come Tokyo.

Perché si sono verificati investimenti così inefficienti? In primo luogo, erano motivati ​​da interessi politici, poiché il Partito Liberal Democratico, al potere da tempo, faceva molto affidamento sui voti delle regioni remote. In secondo luogo, c’era una convinzione tradizionale nello sviluppo regionale equilibrato, partendo dal presupposto che la costruzione di strade avrebbe ridotto il divario di ricchezza. L’amministrazione Hashimoto, formata all’inizio del 1996, propose i “Sei Principi di Riforma Principale” per affrontare i problemi persistenti degli enormi deficit fiscali e del debito pubblico, che comportavano essenzialmente l’attuazione di politiche di contrazione fiscale.

Quali lezioni si possono trarre dall'”ipotermia” economica a lungo termine? Nel 2002, uno studioso americano di nome Alex Kerr ha scritto un libro intitolato “Cani e demoni”. Il titolo apparentemente singolare allude in realtà a una nota parabola cinese: “Disegnare fantasmi è più facile”. Kerr ha usato questa metafora per evidenziare la difficile situazione del Giappone: mentre soluzioni efficaci ai problemi esistenti erano difficili da trovare, investire ingenti somme di denaro in progetti di grande portata era un’impresa ardua. Dal 1995 al 2007, il bilancio infrastrutturale del Giappone ha raggiunto i 65 trilioni di yen, superando di tre-cinque volte quello degli Stati Uniti nello stesso periodo. Anche Wu Jinglian ha approvato la versione cinese di questo libro al momento della sua pubblicazione.

Dico spesso che i percorsi in salita hanno tratti in discesa e i percorsi in discesa hanno tratti in salita, ma nessuno dei due cambia la tendenza generale. Nei mercati finanziari, esiste una definizione di mercato rialzista tecnico: un rialzo di oltre il 20% da un minimo significativo. Tuttavia, un mercato rialzista tecnico non indica un miglioramento fondamentale dell’economia. Quindi, un rialzo di oltre il 50% si qualifica come un mercato rialzista che funge da barometro economico? Durante il prolungato declino del mercato azionario giapponese, si sono verificati tre importanti “mercati rialzisti” con guadagni sostanziali.

Il primo si verificò nel giugno 1995, quando la Banca del Giappone iniettò circa 2.000 miliardi di yen (un fondo di stabilizzazione) per salvare il mercato. A settembre, la BOJ tagliò il tasso di interesse ufficiale dall’1% allo 0,5%, segnando l’inizio dell’era dei tassi di interesse zero in Giappone e l’attuazione di una politica monetaria fortemente accomodante. Da giugno 1995 a giugno 1996, l’indice Nikkei aumentò del 55%. Il secondo mercato rialzista si verificò nel 1998, durante la crisi finanziaria asiatica, quando lo yen si deprezzò bruscamente e le banche erano sull’orlo del collasso. Il Giappone iniettò capitali nelle banche, la BOJ acquistò yen in modo aggressivo e il governo stanziò 30.000 miliardi di yen per investimenti pubblici. Da settembre 1998 a marzo 2000, l’indice aumentò del 52%. Il terzo mercato rialzista si è verificato da aprile 2003 a luglio 2007, quando l’indice è balzato da circa 7.800 punti a 16.800 punti, con un guadagno del 132%. Ciò è stato probabilmente trainato dalla ripresa economica globale alimentata dalla prosperità delle economie emergenti. Durante questo periodo, anche le azioni statunitensi hanno registrato un importante mercato rialzista, mentre il mercato azionario cinese di classe A ha registrato guadagni ancora maggiori, con l’indice composito di Shanghai che è balzato da circa 1.000 punti a oltre 6.000 punti.

Tuttavia, vale la pena riflettere sul perché il mercato azionario giapponese sia infine sceso ai minimi storici. Il motivo è che, dopo lo scoppio della bolla immobiliare nel 1991, il Giappone non è riuscito a coltivare nuovi settori con influenza globale. Che si trattasse dell’e-commerce dopo l’ascesa di Internet, dell’industria degli smartphone, delle nuove energie, dei veicoli elettrici, dei droni, della robotica di nuova generazione o dell’intelligenza artificiale, oggi fortemente competitiva, il Giappone non si è impegnato pienamente a partecipare. Senza l’ascesa dei settori emergenti, i settori tradizionali diventano inevitabilmente settori al tramonto. In assenza di settori o aziende con profitti in crescita, il mercato azionario perde naturalmente fiducia e aspettative.

Dal punto di vista dell’allocazione del credito in Giappone, gli investimenti nel settore manifatturiero hanno continuato a diminuire, mentre il settore immobiliare ha mantenuto un trend positivo. Ciò riflette il problema dello sprofondamento industriale nel settore manifatturiero. La quota del settore manifatturiero sul totale dei saldi attivi è scesa dal 35% nel 1977 all’11% nel 2021. Al contrario, la quota dei prestiti immobiliari è aumentata dal 12,4% dopo lo scoppio della bolla immobiliare nel 1993 al 16,7% nel 2021.

Perché la quota di prestiti al settore manifatturiero in Giappone ha continuato a diminuire? Ciò è probabilmente dovuto al forte apprezzamento dello yen nei primi anni ’90 e alle riforme e all’apertura della Cina. L’apprezzamento della valuta favorisce l’espansione all’estero, mentre il deprezzamento favorisce le esportazioni. Nella prima metà degli anni ’90, lo yen si è apprezzato significativamente, mentre il renminbi si è fortemente deprezzato. Le aziende giapponesi hanno investito massicciamente all’estero, in particolare in Cina. L’afflusso di capitali globali ha portato a un aumento sostanziale della quota di valore aggiunto industriale della Cina nell’economia globale, mentre la quota del Giappone è diminuita.

Nel 1992, il rapporto debito pubblico/PIL del Giappone era solo del 69%. Nel 2021, ha raggiunto circa il 225%. La rapida crescita del debito non ha corrisposto a una ripresa economica, indicando un effetto moltiplicatore molto basso. Pertanto, il caso del Giappone merita una riflessione approfondita: gli investimenti possono essere utilizzati per stabilizzare la crescita, ma in cosa conviene investire?

In primo luogo, investimenti eccessivi in ​​infrastrutture con rendimenti marginali decrescenti sono inappropriati, poiché comportano sprechi enormi, come autostrade con traffico insufficiente. In secondo luogo, investimenti eccessivi in ​​aree remote, dove il flusso di capitali contraddice il flusso demografico, si traducono in effetti moltiplicatori molto scarsi. In terzo luogo, vi è una reale necessità di politiche industriali lungimiranti. Gli investimenti pubblici di capitale nell’ammodernamento del settore manifatturiero sono essenziali; altrimenti, la competitività globale andrà persa.

È possibile ridurre la leva finanziaria del governo? Quasi impossibile. Durante una crisi immobiliare, sia il settore delle famiglie che quello delle imprese stanno riducendo la leva finanziaria. Solo aumentando la leva finanziaria del governo è possibile mantenere l’equilibrio economico. La lezione del passato giapponese risiede nell’incoerenza delle politiche. Quando l’economia era percepita come surriscaldata, o quando la leva finanziaria del governo era ritenuta troppo elevata e le entrate fiscali diminuivano, si cercava di ridurre i deficit fiscali aumentando le imposte sui consumi. Di conseguenza, la politica fiscale è passata da espansiva a restrittiva. Ad esempio, l’amministrazione Hashimoto, formata all’inizio del 1996, ha proposto i “Sei principali principi di riforma” per affrontare i problemi persistenti degli enormi deficit fiscali e del debito pubblico, che essenzialmente comportavano l’attuazione di politiche di contrazione fiscale. Nel 1997, l’aliquota dell’imposta sui consumi è stata aumentata dal 3% al 5%, alcuni tagli fiscali sono stati revocati e la quota di spese mediche a carico dei privati ​​è stata aumentata.

Nel caso delle economie sviluppate, una volta entrati in una fase di profondo invecchiamento (tasso di invecchiamento superiore al 14%), il rapporto debito pubblico/PIL aumenta invariabilmente e i tassi di crescita economica diminuiscono invariabilmente. Pertanto, la riduzione della leva finanziaria pubblica può essere solo temporanea; la tendenza a lungo termine è al rialzo. La chiave è utilizzare la spesa pubblica in modo efficace. Il Giappone si è concentrato principalmente sugli investimenti infrastrutturali, mentre gli Stati Uniti si sono concentrati principalmente sull’aumento del reddito delle famiglie e sulla stimolazione dei consumi. Il modello statunitense è chiaramente superiore a quello giapponese.

La macroeconomia è un sistema ampio, quindi è essenziale coltivare l’abitudine al pensiero sistemico. Ad esempio, l’aumento degli investimenti può stabilizzare la crescita, e anche l’espansione dei consumi può stabilizzarla. Tuttavia, un aumento cieco degli investimenti pubblici può portare a squilibri economici strutturali, dove l’offerta supera la domanda. Negli sforzi di stimolo economico del Giappone durante gli anni ’90, investimenti insufficienti sono stati indirizzati a stimolare i consumi, che è stata la causa principale della deflazione a lungo termine. Anche dopo la proposta di Abe di un obiettivo di inflazione del 2% nel 2012, il Giappone non è comunque sfuggito alla deflazione, poiché la crescita dei salari delle famiglie è rimasta lenta.

Le lezioni apprese dalle esperienze altrui possono aiutarci a migliorare le nostre.

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SITREP 9/5/25: voci di una nuova “importante” offensiva russa mentre le unità d’élite si riorganizzano_di Simplicius

SITREP 9/5/25: voci di una nuova “importante” offensiva russa mentre le unità d’élite si riorganizzano

5 settembre
 
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All’indomani della parata cinese per il Giorno della Vittoria, Putin ha rilasciato alcune interessanti dichiarazioni prima di ripartire per la Russia. La più degna di nota è stata quella secondo cui, se non si dovesse raggiungere un accordo, la Russia raggiungerà semplicemente i propri obiettivi con mezzi militari:

Ma in un certo senso l’affermazione più interessante e significativa è stata la seguente, data in risposta a una domanda su come le truppe russe vedono i cosiddetti negoziati e la fine della guerra con un cessate il fuoco, che il giornalista ha sottinteso essere prematuro:

Putin risponde che la stragrande maggioranza delle truppe russe al fronte vuole che la Russia raggiunga tutti i suoi obiettivi SMO. Il motivo per cui questo è particolarmente degno di nota è che la domanda qui presentata offriva a Putin l’opportunità di tergiversare o temporeggiare se la sua intenzione fosse davvero quella di portare il conflitto a una conclusione anticipata e deludente. Avrebbe potuto esagerare la realtà con una piccola bugia innocente, magari usando un linguaggio “diplomatico” e politico per suggerire che le truppe russe sarebbero state soddisfatte di un cessate il fuoco, al fine di sostenere i propri piani subdoli.

Ma invece, ha detto la cruda verità, che dovrebbe essere uno schiaffo in faccia ai critici e ai pessimisti che continuano a dipingere Putin come un uomo che cede alle pressioni per debolezza, o cose del genere. Ammettendo così apertamente i sentimenti delle vere truppe russe, si assume la responsabilità di portare a termine il mandato del conflitto.

Per inciso, durante la recente riunione dello Stato Maggiore trasmessa in diretta da Gerasimov, è stata notata una mappa appesa alla parete che mostra il territorio russo come comprendente tutte le regioni di Kherson, Nikolayev e Odessa:

La portavoce del Ministero degli Esteri Zakharova ha nuovamente smentito le voci secondo cui la Russia avrebbe in qualche modo allentato le sue richieste, ribadendole per l’ennesima volta:

E dato che gli eurocrati senza spina dorsale stanno attualmente riunendo la loro piccola camarilla per complottare l’invio delle cosiddette truppe in Ucraina, Zakharova ha nuovamente respinto questa prospettiva:

https://www.aljazeera.com/news/2025/9/4/russia-says-it-will-not-discuss-foreign-troops-in-ukraine-in-any-format

Con il passare del tempo, la natura superficiale dello spettacolo messo in scena da Trump in Alaska viene rivelata nella sua interezza. Come avevamo immaginato, non è stato ottenuto nulla di concreto e tutto è stato fatto solo per motivi di pubbliche relazioni e per ottenere titoli sensazionali sui giornali.

Ora Trump cerca di giustificare la sua evidente impotenza sostenendo che la Russia sta solo “facendo piccoli passi” mentre sgancia bombe in quantità che non si vedevano dalla Seconda guerra mondiale:

Ebbene, Israele sta facendo lo stesso, tranne per il fatto che sta sganciando quelle bombe sui civili, non su obiettivi militari come sta facendo la Russia, eppure Trump continua a sostenere con fermezza che Hamas dovrebbe “liberare gli ostaggi” e si rifiuta di condannare o agire contro Israele fino a quando tutti gli obiettivi israeliani non saranno raggiunti.

Allo stesso modo, anche in questo caso, non dovrebbe avere alcun problema con il fatto che la Russia raggiunga i propri obiettivi per il bene dei propri interessi vitali in materia di sicurezza. Trump sta scavando una buca sempre più profonda per se stesso perché più si impegna nella guerra, rendendo evidente che ha un interesse fondamentale in un esito a lui favorevole, più questo danneggerà la sua reputazione e il suo mandato presidenziale in seguito, quando l’errore del costo irrecuperabile si ritorcerà contro di lui e i media lo divoreranno per aver fallito tutti i suoi obiettivi.

A proposito dei media, ecco come hanno descritto il momento multipolare della Cina:

Ora tutta l’attenzione è rivolta alle prossime mosse della Russia, mentre si diffondono voci su un presunto “massiccio” nuovo dispiegamento di forze russe in preparazione di una nuova offensiva verso Pokrovsk e le zone circostanti.

Oggi questa dichiarazione di un ufficiale delle forze speciali ucraine ha fatto il giro delle emittenti radiofoniche:

I russi hanno effettuato il più grande raggruppamento delle loro forze dal 2022 a Kiev. Hanno preparato forze significative e sono pronti per la battaglia finale e decisiva per il resto della regione di Donetsk. Vedremo nuovamente l’uso di colonne corazzate. E sarà molto sanguinoso per entrambe le parti.

Presto.

Preso da solo, sembrava dubbio, soprattutto considerando che i rapporti adiacenti continuavano a riportare la cifra di “100.000 soldati russi” intorno a Pokrovsk, utilizzata ormai da mesi per creare un clima minaccioso per la disperata campagna elettorale di Zelensky in Europa. Tuttavia, un numero crescente di fonti ora indica una sorta di “carica delle molle” da parte della Russia.

La figura ucraina dei droni Berlinska ha scritto quanto segue sul suo canale ufficiale:

ISW ha seguito l’esempio:

Questa parte almeno è stata confermata da altre fonti: l’affermazione secondo cui la Russia avrebbe ridispiegato diverse unità d’élite da altre regioni in preparazione della prossima serie di attacchi.

I canali nemici riferiscono che l’esercito russo è stato trasferito dalla direzione di Sumy a Pokrovskoye. In particolare, sono state dispiegate la 40ª e la 155ª brigata marina, il 177° reggimento, i paracadutisti dell’11ª brigata aviotrasportata e i reggimenti della 76ª divisione aviotrasportata. Sono comandati dal generale Akhmedov, noto per il suo primo assalto fallito a Ugledar.

Ora anche Bloomberg si è unito all’allarme:

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-09-04/zelenskiy-s-allies-fear-putin-is-readying-new-assault-in-ukraine

L’articolo sostiene che la “massiccia offensiva estiva” della Russia non abbia ottenuto grandi conquiste territoriali, ma gli autori pubblicano un grafico che mostra i costanti progressi russi negli ultimi mesi.

Gli analisti online hanno svolto un lavoro ancora più approfondito, dimostrando che i guadagni di agosto sono leggermente diminuiti rispetto a luglio, ma sono comunque rimasti comparabili:

Le ultime due settimane hanno visto un leggero rallentamento, anche se sembra che negli ultimi giorni la situazione sia tornata a migliorare, ma di questo parleremo più avanti.

Un altro analista ucraino riflette sul riposizionamento delle truppe russe e sulle diversioni nell’accumulo di forze:

Senti, il fatto è questo.

Qualche tempo fa, c’è stato un dispiegamento di numerose forze e mezzi nemici nelle direzioni di Huliaipole e Orikhiv.

Ci sono unità di sbarco, fanteria marina e molte unità di artiglieria.

Ma in questo momento sono stati avvistati mentre attaccavano nella direzione di Pokrovsk.

Quindi la domanda è: si tratta di una manovra diversiva o hanno deciso di complicare la loro logistica (cosa difficile da credere)?

Oppure l’iniziale dispiegamento era solo una “finta”?

Penso che solo il tempo potrà dirlo. Ma la situazione è insolita.

Il nemico talvolta ricorre a questa strategia quando avvia un’operazione tattico-operativa più o meno imponente.

 Posta ucraina

Ora gli ufficiali ucraini stanno nuovamente lanciando l’allarme sulla situazione a Kupyansk, dove secondo quanto riferito anche la Russia avrebbe mobilitato le riserve:

Una grave minaccia incombe su Kupyansk, ha affermato l’ufficiale delle forze armate ucraine Andrey Tkachuk.

Secondo lui, l’esercito russo ha raccolto notevoli riserve per operazioni di assalto in questa zona.

E Forbes ha richiamato l’attenzione sulla crescente minaccia della famigerata forza di droni russi “Rubicon” che sta scuotendo le AFU nel profondo:

https://www.forbes.com/sites/davidkirichenko/2025/09/03/russias-growing-rubicon-drone-force-is-a-major-threat-to-ukraine/

La formazione di droni Rubicon della Russia è rapidamente emersa come una delle forze più efficaci sul fronte, contribuendo ad ampliare la zona di combattimento e rendendo molto più difficile la logistica ucraina.

A causa dei continui attacchi dei droni russi, l’Ucraina sta affrontando una carenza di camion, pick-up e veicoli blindati, molti dei quali vengono distrutti durante le operazioni di rifornimento ed evacuazione.

Qualunque sia il fronte su cui arriva Rubicon, la situazione cambia immediatamente, secondo l’AFU:

A luglio, il New York Times ha riportato che i soldati ucraini hanno identificato Rubicon come il punto di svolta nella campagna russa di miglioramento dei droni. Rebekah Maciorowski, una volontaria americana che guida l’unità medica della 53ª brigata meccanizzata ucraina, ha dichiarato al NYT: “Il gioco è cambiato quando sono arrivati qui”.

L’articolo afferma che Rubicon sta coordinando sempre più strettamente le sue forze di droni con le unità d’assalto russe, ad esempio utilizzando il drone Molniya (“Fulmine”) per attaccare i difensori ucraini in collaborazione con le unità d’assalto russe.

L’analista ucraino Serhii “Flash” Beskrestnov ha sottolineato in un post su Telegram che Rubicon ora svolge un ruolo centrale negli attacchi contro le rotte di rifornimento, coordinandosi strettamente con le unità di ricognizione in prima linea. Egli sostiene che l’unità fa parte di un più ampio cambiamento verso la centralizzazione e la professionalizzazione nella guerra dei droni in Russia.

A questo proposito, una breve digressione. Il drone russo Lancet ha recentemente dimostrato ancora una volta la sua capacità di puntamento basata sull’intelligenza artificiale, in particolare nell’identificazione di unità nemiche mimetizzate. Southfront ne ha dato notizia:

L’intelligenza artificiale sta ora aiutando le munizioni vaganti russe Lancet a riconoscere bersagli accuratamente mimetizzati nella zona delle operazioni militari speciali in Ucraina, ha rivelato il 4 settembre ZALA Aero Group, il produttore del sistema.

“Le munizioni vaganti della famiglia Lancet, dotate di un sistema intelligente di guida e riconoscimento del bersaglio, sono in grado di rilevare attrezzature nemiche accuratamente mimetizzate”, ha affermato l’azienda in un comunicato stampa pubblicato su Telegram.

Leggi in particolare questa sezione:

A luglio, l’azienda ha annunciato che sia i sistemi di navigazione che quelli di puntamento delle munizioni vaganti sono stati aggiornati con l’aggiunta di funzionalità di intelligenza artificiale e il miglioramento della resistenza alle interferenze.

Il filmato diffuso da ZALA insieme al suo ultimo comunicato stampa mostrava due attacchi Lancet riusciti contro obici accuratamente mimetizzati delle forze di Kiev nella direzione di Dnipropetrovsk. In entrambi i casi, la funzione di riconoscimento dei bersagli basata sull’intelligenza artificiale del sistema elettro-ottico del Lancet è stata in grado di riconoscere automaticamente gli obici che sono stati poi colpiti con estrema precisione.

Il filmato:

All’altra estremità della scala, un rapporto ucraino sulle tattiche di camuffamento russe nel settore di Pokrovsk:

Ukrochannels scrive delle nuove tattiche dell’esercito russo. La nostra fanteria sta utilizzando sempre più spesso mantelli anti-termici economici per infiltrarsi nella linea del fronte durante la notte. Questa tattica non è nuova, ma è diventata più diffusa nella direzione di Pokrovsk. I mantelli offuscano la firma termica dei soldati, rendendo difficile individuarli con droni termici e sistemi di imaging termico a terra. Le truppe d’assalto russe stanno aggirando le posizioni ucraine, distruggendo le squadre di mortai e gli operatori di droni nelle retrovie.

Passiamo ora ad alcuni aggiornamenti sul campo di battaglia.

Il venerabile Suriyak ha finalmente ottenuto il pieno controllo del distretto commerciale all’interno di Pokrovsk dopo aver conquistato Troyanda e Leontovychi:

Appena più a ovest, le forze russe hanno completamente conquistato Udachne e hanno iniziato ad espandere il territorio più a ovest, verso il confine con Dnipropetrovsk:

Nella famosa avanzata a nord di Pokrovsk, la Russia ha respinto i contrattacchi ucraini e ha ricominciato ad espandere il saliente verso l’esterno. Ha riconquistato gran parte di Nove Shakhove e ha leggermente esteso i fianchi su entrambi i lati con nuove posizioni:

E come potete vedere sul lato orientale del calderone di Shakhove appena formatosi, le forze russe hanno conquistato una nuova piattaforma, espandendo il calderone verso nord.

Sulla linea Velyka Novosilka, le forze russe hanno conquistato Zaporizka e Komyshuvakha, ottenendo poi ulteriori conquiste territoriali sui fianchi in direzione ovest:

La zona di Kupyansk è l’altro grande punto focale degli ultimi tempi, con varie fonti che sostengono che le truppe russe abbiano nuovamente iniziato a infiltrarsi verso il centro della città.

Il Ministero della Difesa russo ha suscitato scalpore e alcune polemiche a causa dello scetticismo espresso da alcuni commentatori come Yuri Podolyaka, pubblicando un filmato che mostra le truppe russe mentre piantano la bandiera nel centro di Kupyansk:

La geolocalizzazione lo collocherebbe nel punto più in basso del mirino sottostante:

Notate il punto 0:17 del video: quando la telecamera si allontana, si vede l’area amministrativa della città con una piazza che sembra un cimitero:

Il rosso indica la struttura simile a un cimitero, con il cerchio giallo che indica il punto in cui si trova il soldato:

Vista ingrandita:

Non sappiamo se si tratti solo di DRG o di truppe regolari che hanno consolidato le loro posizioni. Ma la cosa importante da notare è la vicinanza al ponte centrale e all’arteria di rifornimento principale che collega la parte orientale e occidentale di Kupyansk attraverso il fiume Oskil. Il ponte si trova a soli due isolati a sud della posizione dei soldati russi.

Alcuni ultimi elementi disparati:

Un gruppo investigativo ha scoperto che le affermazioni dei funzionari europei secondo cui nel 2024 sarebbero stati prodotti o acquistati oltre 1,5 milioni di proiettili di artiglieria erano infondate. In realtà, hanno scoperto che il numero totale era in realtà pari a un terzo o meno di tale cifra, ovvero compreso tra 400.000 e 600.000:

Da Bruxelles, tuttavia, arriva un messaggio più ottimistico. L’industria europea produrrà oltre 1,5 milioni di questi proiettili di artiglieria nel 2024.

Questa indagine condotta da nove testate giornalistiche europee dimostra che l’ottimismo dell’Europa è infondato. Alti funzionari e addetti ai lavori rivelano che la capacità effettiva è solo un terzo delle cifre ufficiali, ovvero tra le 400.000 e le 600.000 granate.

Questa rivelazione ha gravi implicazioni per il mantenimento degli aiuti militari cruciali all’Ucraina, nonché per la capacità dell’Europa di rifornire rapidamente i magazzini vuoti.

Ricordiamo che alcune stime della produzione/approvvigionamento della Russia variano da 250.000 a 350.000 al mese.

In una nuova intervista, il generale Zaluzhny ribadisce ancora una volta ciò che aveva spiegato molto tempo fa quando rivelò che Gerasimov era il suo idolo e affermò che la Russia è la capitale mondiale della scienza militare. Ricordiamo questo articolo di due anni fa:

Ora lo ha ribadito di persona, affermando di fatto che tutte le conoscenze militari risiedono esclusivamente in Russia e che il divieto di citare “lavori scientifici” russi è stupido perché Zaluzhny non sa parlare di guerra senza citare autorevoli fonti russe:

A corto di espedienti economici e trucchi da salotto per rimanere rilevante e proiettare un’aura di forza per il suo impero in declino, Trump ha rilasciato una dichiarazione che fa scuotere la testa, alla quale nessuna descrizione colorita può davvero rendere giustizia e che deve invece essere ascoltata:


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L’Europa deve essere realista su Russia-Ucraina e gli otto principi guida della politica estera statunitense_American Conservative

L’Europa deve essere realista su Russia-Ucraina

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Ecco cinque passi che i suoi leader possono compiere per contribuire a porre fine alla guerra.

European Leaders Join Ukrainian President Zelensky For White House Meeting With Trump

Andrew Day headshot

Andrew Day

3 settembre 202512:05

https://elevenlabs.io/player/index.html?publicUserId=cb0d9922301244fcc1aeafd0610a8e90a36a320754121ee126557a7416405662

Il MAGA ne ha abbastanza dell’Europa.

Non è una novità, naturalmente. I conservatori di America First hanno a lungo considerato l’Unione Europea come un superstato socialista e si sono lamentati delle repressioni degli Stati membri nei confronti dei partiti di destra, dei valori tradizionali e dell’identità nazionale.

Ma l’accelerazione della diplomazia statunitense su Russia-Ucraina il mese scorso ha portato a una maggiore irritazione nei confronti del vecchio continente. Molti conservatori americani e realisti di politica estera ritengono che i leader europei stiano rallentando, se non ostacolando, il processo di pace;

L’amministrazione Trump è d’accordo, a giudicare da un report di Axios pubblicato questo fine settimana dal titolo “Scoop: La Casa Bianca ritiene che l’Europa stia segretamente annullando la fine della guerra in Ucraina”. Per i conservatori MAGA, la storia era l’ennesima prova che l’intransigenza europea stava prolungando una guerra brutale e inutile.

In qualità di eurofilo residente qui a The American Conservative, mi duole ammettere che questi critici MAGA dell’Europa hanno ragione;

Anche se non in tutti i dettagli. Il rapporto di Axios ha colpito me (e il giornalista pro-Ucraina Christopher Miller) come un esercizio di scaricabarile da parte dell’amministrazione Trump. La campagna di pubbliche relazioni ha generato un titolo forte, ma una critica mossa ai leader europei (non nominati) è stata quella di non essere abbastanza “falchi” nei confronti della Russia, l’opposto di ciò che crede il MAGA. Inoltre, i funzionari della Casa Bianca citati hanno ammesso che Gran Bretagna e Francia – in questo contesto, i Paesi più importanti – stanno lavorando in modo costruttivo con gli Stati Uniti.

Tuttavia, sembra che gli europei stiano davvero gettando ostacoli sulla strada della pace. Si consideri, ad esempio, la tragicommedia della spinta europea a fornire all’Ucraina “garanzie di sicurezza” postbelliche.

Almeno da febbraio, Gran Bretagna e Francia hanno ventilato un dispiegamento di soldati europei in Ucraina. Ma, hanno aggiunto, questa “forza di rassicurazione” avrebbe bisogno di un “backstop” americano sotto forma di supporto aereo. Il Cremlino si oppone allo stazionamento di truppe NATO in Ucraina e la Casa Bianca si è opposta al coinvolgimento militare degli Stati Uniti, per cui la “proposta di pace” è sembrata a molti analisti più una pillola avvelenata. Ciononostante, il mese scorso il Presidente Donald Trump ha ceduto, offrendosi di sostenere le forze di pace europee “per via aerea” e affermando che Mosca era aperta a garanzie fornite dall’Occidente.

Eppure, mentre i funzionari europei si preparano a riunirsi questa settimana a Parigi per discutere della guerra in Ucraina, tutti i segnali suggeriscono una crescente divisione sul fatto che le loro nazioni debbano, o addirittura possano, dispiegare abbastanza truppe per scoraggiare la Russia. Quando ad agosto si è diffusa la notizia che Washington avrebbe aiutato con garanzie di sicurezza, Londra ha ridimensionato i suoi piani per l’invio di truppe e Berlino ha detto che probabilmente non avrebbe potuto inviarne, dal momento che il dispiegamento di una sola brigata in Lituania aveva messo a dura prova l’esercito tedesco;

È una situazione imbarazzante. Fortunatamente, c’è un modo migliore per andare avanti. Ecco cinque passi che le capitali europee possono compiere per aiutare Washington ad avvicinarsi alla risoluzione di questa guerra;

In primo luogo, e soprattutto, gli europei devono avere una visione più realistica del conflitto e delle relative capacità militari dei belligeranti. La triste realtà è che la Russia sta vincendo la guerra. Prima finisce, meglio è per l’Ucraina;

Secondo il rapporto di Axios, gli europei stavano spingendo Kiev a resistere per ottenere un “accordo migliore” di quello che Trump ha contribuito a mettere sul tavolo, piuttosto che fare concessioni territoriali a Mosca. Le fonti di questa affermazione erano funzionari statunitensi scontenti dell’Europa, ma è in linea con la retorica pubblica dei leader europei;

È un consiglio terribile. Se Kiev vuole mantenere uno Stato sovrano, anche se ridotto, dopo la guerra, allora dovrebbe accettare l’accordo imperfetto che Trump sta cercando di garantire. L’alternativa probabile sono altri combattimenti, altre perdite ucraine e un accordo molto peggiore, se non la capitolazione totale.

I due passi successivi riguardano garanzie di sicurezza che sarebbero più credibili delle promesse di truppe europee: 2) invitare l’Ucraina ad aderire all’Unione Europea come parte di un accordo di pace e 3) fare pressioni affinché l’Ucraina mantenga e anzi accresca il proprio deterrente militare nella misura massima tollerata da Mosca.

La carta costitutiva dell’UE include una clausola di difesa reciproca, che obbliga tutti i Paesi membri, quando uno di essi viene attaccato, ad “aiutarlo e assisterlo con tutti i mezzi in loro possesso”. A differenza dell’articolo 5 della NATO, questa clausola non è stata (erroneamente) intesa nel senso di richiedere ai membri di combattere direttamente l’aggressore, ma semplicemente di sostenere la nazione attaccata. Negli ultimi tre anni, gli europei hanno ampiamente dimostrato la loro disponibilità a inviare aiuti militari all’Ucraina in caso di invasione russa, quindi un tale impegno sarebbe credibile.

Non è chiaro se il Presidente russo Vladimir Putin permetterebbe all’Ucraina di partecipare al regime di mutua difesa dell’UE, anche se si è scaldato all’idea di un’adesione di Kiev all’Unione. Né è chiaro se l’UE accetterebbe di ammettere l’Ucraina, con diversi membri diffidenti e l’Ungheria che si oppone a gran voce. Trump sta giustamente spingendo il Primo Ministro ungherese Viktor Orban a riconsiderare questa posizione.

I leader europei dovrebbero anche usare la loro leva diplomatica per frenare la “smilitarizzazione” dell’Ucraina, un obiettivo bellico russo che ha un margine di manovra sufficiente per un negoziato produttivo. E dovrebbero impegnarsi a finanziare il riarmo dell’Ucraina dopo la guerra.

Mosca chiederà quasi certamente dei limiti alle forze armate ucraine, come ad esempio restrizioni sulla gittata dei missili e dell’artiglieria, e sarà necessario trovare dei compromessi. Ma gli europei otterranno maggiori risultati diplomatici se si concentreranno su questo tema, piuttosto che su piani strampalati di una “forza di rassicurazione”.

Quarto passo: I leader europei dovrebbero usare qualche carota diplomatica per integrare i bastoni. Nel corso della guerra, per costringere Putin al tavolo dei negoziati, hanno tendenzialmente proposto misure sempre più dure nei confronti di Mosca, il che significa immancabilmente un altro pacchetto di sanzioni (attualmente stanno preparando il numero 19).

A questo punto, la carota della riduzione delle sanzioni sarebbe più efficace. I sostenitori dell’Ucraina sperano che l’economia russa, che mostra segni di tensione, entri in recessione, ma una brusca flessione non porterebbe automaticamente alla pace. Gli europei dovrebbero offrire a Mosca una possibilità di reintegrazione economica, fornendo un’attraente valvola di sfogo per la sua economia di guerra in crisi.

Infine, i leader europei devono gettare le basi per una sorta di modus vivendi con la Russia dopo la fine della guerra. La guerra in Ucraina è, alla radice, un conflitto tra la Russia e l’Occidente, e qualsiasi soluzione stabile dovrà porre le relazioni tra loro su una base più stabile;

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I giornalisti e gli analisti occidentali che parlano con le élite di sicurezza russe possono testimoniare l’estrema antipatia che attualmente provano nei confronti dell’Europa e gli effetti deleteri di tale antipatia sui colloqui di pace. “A nostro avviso, gli europei svolgono un ruolo significativamente negativo, agendo spesso in modo irrazionale e contro i propri interessi economici”, mi ha detto la settimana scorsa un ricercatore senior di un istituto di politica strategica in Russia. “Non escludo che alla prima occasione utile cercheranno di rivedere tutte le conquiste già ottenute sul piano negoziale”.

Le recenti dichiarazioni dei leader europei, secondo cui Putin è un “ogre alle nostre porte“, che i russi sono “Unni” e che la guerra in Ucraina è un sintomo di un “cancro” russo di fondo, non aiutano di certo la situazione. Anzi, tali dichiarazioni sono grottesche e chiaramente controproducenti. I russi sono un popolo europeo orgoglioso, il cui contributo culturale ha arricchito tutti noi. Il mondo occidentale deve imparare ad accogliere la metà orientale di quello che ho definito il “Nord globale“.

Mentre l’era dell’egemonia americana si allontana e l’ascesa della Cina continua, l’Occidente vorrà riparare i legami con la Russia e allontanarla da Pechino. Trump ha saggiamente perseguito questo obiettivo come componente della fine della guerra in Ucraina. È ora che l’Europa si unisca a questo sforzo.

L’autore

Andrew Day headshot

Andrew Day

Andrew Day è redattore senior di The American Conservative. Ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze politiche presso la Northwestern University. Può essere seguito su X @AKDay89.

Ristrutturazione del Dipartimento di Stato da parte della Fellowship Ben Franklin

I funzionari di carriera conservatori stanno lottando per rompere la mentalità globalista profondamente radicata nella burocrazia degli affari esteri degli Stati Uniti.

Washington,Dc,,Usa,-,January,17,2021:,Department,Of,State

Credito: immagine via Shutterstock

Phillip Linderman

3 settembre 202512:01

https://elevenlabs.io/player/index.html?publicUserId=cb0d9922301244fcc1aeafd0610a8e90a36a320754121ee126557a7416405662

All’inizio degli anni Ottanta, la Federalist Society fu fondata per contrastare intellettualmente l’agenda dell’attivismo giudiziario che aveva conquistato la professione legale americana. A molti conservatori sembrava un’impresa senza speranza, ma i fondatori della FedSoc erano determinati a riconquistare il sistema giudiziario del Paese, le scuole di legge e le associazioni legali che erano state in gran parte abbandonate alla sinistra liberale e agli attivisti legali radicali. Con il tempo, fecero grandi progressi.

Nello stesso spirito, i conservatori della politica estera hanno creato un’organizzazione chiamata Ben Franklin Fellowship (BFF), impegnata a sfidare la mentalità che domina tra i funzionari di carriera del Dipartimento di Stato. Stufi delle ideologie globaliste e woke che pervadono lo Stato, un gruppo di ufficiali in pensione del servizio estero (FSO) ha lanciato la BFF all’inizio del 2024. Il BFF ha preso il nome iconico del dottor Franklin, il primo inviato d’America, come appello simbolico a tornare al buon senso in politica estera: Gli interessi nazionali degli Stati Uniti, la sovranità, la sicurezza dei confini e la meritocrazia – non il DEI e il wokeismo – nel servizio diplomatico;

Il piano ambizioso era quello di riaffermare idee e valori americani tradizionali, venerabili ma a lungo ignorati, all’interno della burocrazia degli affari esteri. Gli organizzatori del BFF intrapresero questo arduo sforzo mettendo silenziosamente in rete gli ufficiali di carriera che la pensavano allo stesso modo. Il concetto era abbastanza semplice e il nuovo gruppo era (ed è tuttora) una netta minoranza di funzionari di carriera, ma è un’impresa in crescita. Tutto ciò non significa che la mentalità da Golia dello Stato stia per essere abbattuta. Le vecchie ortodossie schiaccianti regnano ancora all’interno di Foggy Bottom, nonostante l’arrivo della seconda presidenza di Donald Trump.

I fondatori del BFF hanno lanciato la loro iniziativa proclamando otto principi guida di politica estera. I principi sono un quadro di riferimento per una grande comunità che può accogliere diverse scuole di politica estera statunitense di centro-destra, ma che è ancorata al realismo internazionale e a una visione conservatrice del mondo. Gli ampi principi del BFF non possono fornire tutte le risposte specifiche per le attuali e spinose sfide internazionali di Washington, come quelle in Ucraina, Cina e Medio Oriente, ma come dichiarazione di convinzioni, pongono nuove importanti basi per una nuova cultura di carriera all’interno di Foggy Bottom.

I principi sono un rifiuto del wilsonianismo e dell’avventurismo estero degli Stati Uniti del passato, che ha portato incautamente il Dipartimento di Stato in missioni infruttuose di costruzione di una nazione, guerre per sempre e lavoro sociale globale. I principi invocano la parsimonia del governo federale nella nostra epoca di enorme debito pubblico; chiedono confini sicuri e politiche che scoraggino l’immigrazione di massa, in modo da poterci prendere cura della nostra società ed economia in difficoltà mentre gli altri guardano alla loro.

Forse l’aspetto più importante è che i principi fanno anche un chiaro appello alla meritocrazia: rifiutare i favoritismi della DEI, trattare i dipendenti come individui e allineare lo Stato alla Costituzione e alle leggi sui diritti civili in materia di pratiche di impiego. Tutti questi concetti offrono una tabella di marcia che può aiutare a guidare le riforme tanto necessarie all’interno del Dipartimento di Stato e a dare forma a un’organizzazione più agile ed efficace.

È la campagna del BFF per la meritocrazia e il rifiuto del favoritismo della DEI che fa particolarmente arrabbiare la vecchia guardia dello Stato. Durante l’amministrazione Biden, i carrieristi di alto livello si sono uniti con entusiasmo all’ex Segretario di Stato Antony Blinken per iniettare con forza la DEI in tutti gli aspetti della diplomazia statunitense. L’indottrinamento DEI di Blinken, come tutte le campagne ideologiche radicali, puniva prevedibilmente i dipendenti scettici e non conformi. Due UST di medio livello raccontarono

Questa ideologia si è diffusa in ogni aspetto delle operazioni del dipartimento, costringendo i dipendenti a dimostrare il precetto del DEIA in modo soddisfacente per le commissioni di promozione del Servizio estero, appoggiando, promuovendo e attuando politiche che violano le loro convinzioni personali, l’etica professionale e che sono in contrasto con le opinioni della maggioranza degli americani.

L’eccessiva espansione del DEI di Blinken ha reso un numero significativo di dipendenti statali pronti per il reclutamento da parte del BFF. A partire dall’inizio del 2024, le reti personali della BFF all’interno di Foggy Bottom hanno collegato dapprima una manciata di dipendenti che la pensavano allo stesso modo, poi decine e infine centinaia di funzionari di carriera in servizio attivo e in pensione. Nonostante le tendenze liberali dominanti del dipartimento, i conservatori sono emersi e spesso sono stati affiancati dai moderati, che si sono resi conto di quanto alienanti ed estreme fossero in realtà le politiche di Blinken; molti hanno osservato che solo un approccio di centro-destra aveva il coraggio intellettuale e la potenza di fuoco morale per combattere davvero la piaga del wokeismo;

È stata l’esperienza della prima amministrazione Trump a sottolineare per i fondatori del BFF l’estrema necessità di avere una rete di funzionari di carriera conservatori all’interno di Foggy Bottom. Per decenni, i progressisti-liberali che dominano il mondo accademico, i media e quasi tutte le altre istituzioni nazionali hanno mantenuto solide alleanze professionali, collegando il personale di carriera di alto e medio livello dello Stato con gli istituti di politica estera di sinistra di Washington, le grandi università, il personale del Congresso e le associazioni diplomatiche. Sebbene Washington disponga di potenti fondazioni conservatrici per le politiche pubbliche, esse sono state largamente inette in questo tipo di networking. Pensavano che non ci fosse nessuno da trovare, ma non hanno cercato abbastanza;

Si consideri quanto siano andate male le cose all’arrivo del Segretario di Stato Rex Tillerson a Foggy Bottom nel 2017. Non aveva praticamente nessun funzionario di carriera conosciuto per aiutarlo a gestire la ferrovia, tanto meno per attuare il suo aggressivo programma di riforme. Prevedibilmente, Tillerson si è arenato per questo motivo e l’esperienza ha smascherato il mito, ancora una volta, che la burocrazia di carriera di alto livello allo Stato fosse composta da funzionari dedicati al successo del segretario. In realtà, volevano che fallisse. Quando Mike Pompeo ha assunto il comando, ha anche cercato di creare alleati tra i professionisti di alto livello, ma come chiarisce il ricordo dell’ex segretario, una burocrazia di carriera ostile ha ostacolato anche lui. 

Questo fallimento, basato sulla buona fede dei burocrati di carriera, è stato un errore da non ripetere nel 2025. Il BFF era un’azienda in attività prima dell’arrivo della seconda amministrazione Trump ed era pronto a svolgere un ruolo di supporto. Il gruppo di diplomatici di medio e alto livello del BFF comprendeva molti diplomatici pronti a lavorare con entusiasmo con il Segretario di Stato Marco Rubio il suo primo giorno. Strumenti legali come il Federal Vacancies Reform Act del 1998 autorizzavano il presidente a selezionare i propri funzionari “ad interim” dai ranghi di carriera, invece di affidarsi a quelli lasciati da Blinken, e la rete in espansione del BFF presentava un bacino di molti funzionari di carriera altamente qualificati che il Settimo Piano doveva prendere in considerazione. 

Molti membri del BFF sono stati elevati a posizioni di responsabilità e di influenza per assistere immediatamente il Segretario Marco Rubio. I funzionari di carriera hanno fornito al segretario preziose indicazioni su come gli uffici e i dipartimenti di Stato lavoravano effettivamente e su come attuare il suo progetto di riorganizzazione. Non sorprende che i critici di Rubio accusino il BFF di aver contribuito a “politicizzare” i ranghi di carriera, ignorando opportunamente la storia dell’establishment liberale, con le sue reti consolidate e il nepotismo;

La Ben Franklin Fellowship è una fondazione educativa e associativa apartitica. Non “fa politica” e i suoi membri non sono stati motivati dalla “partigianeria” nell’assistere l’amministrazione Trump. Tuttavia, i membri della BFF hanno visto nel segretario Rubio e nel suo team di leadership, come il vicesegretario Chris Landau e il consigliere Mike Needham, funzionari profondamente impegnati nei primi principi e nei valori americani duraturi;

La BFF sostiene l’ordine costituzionale che impone inequivocabilmente ai dipendenti statali di carriera di portare avanti le politiche del Presidente in carica, chiunque esso sia. I diplomatici professionisti, come gli ufficiali militari, hanno giurato di sostenere la Costituzione e devono appoggiare il loro comandante in capo nello svolgimento della sua missione o dimettersi. Non dovrebbero far trapelare documenti a media ostili, trascinare i piedi nell’attuazione delle politiche o minare deliberatamente un capo dell’esecutivo in carica, ma tutti sanno che succede;

La “resistenza” che lo Stato ha esibito durante entrambe le amministrazioni Trump rende abbondantemente chiaro che la burocrazia globalista ha la sua agenda. La disapprovazione pubblica espressa da circa 1.000 dipendenti statali nei confronti dei divieti legali imposti da Trump ad alcune categorie di migranti durante la prima amministrazione e la reazione ai recenti scioglimenti di Rubio all’interno di Foggy Bottom parlano chiaro. In confronto, all’interno dello Stato non c’è stata alcuna significativa espressione pubblica di protesta contro le politiche di Blinken in materia di carovita o contro le frontiere aperte di Biden, sebbene molti funzionari di carriera si siano opposti aspramente;

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In genere, la vecchia guardia del Dipartimento di Stato cerca nuovi diplomatici che siano in linea con le ortodossie radicate. Proprio come la Federalist Society aveva capito che la battaglia delle idee inizia nelle scuole di legge americane, la BFF riconosce che per riformare la cultura dello Stato è necessario un nuovo approccio al reclutamento dei diplomatici che non si concentri sulle università “woke” e su simili scuole di politica estera “d’élite”. Queste istituzioni inviano molti laureati (non tutti) alla professione di politica estera profondamente impregnati di una visione del mondo che è woke, anti-capitalista e globalista – e spesso ostile all’interesse nazionale degli Stati Uniti.

In risposta, la BFF sta trovando il modo di portare nuova linfa nella professione della politica estera. Il progetto di reclutamento del BFF si rivolge a giovani americani brillanti provenienti da comunità trascurate del nostro Paese, che spesso prosperano in un altro universo di centri di istruzione superiore, ignorati o disprezzati dall’establishment di Washington. Si tratta di università in cui l’attenzione è ancora rivolta all’eccezionalismo americano, al servizio e all’ottimismo – e i loro laureati sono drasticamente sottorappresentati all’interno dello Stato;

Gli organizzatori e i membri del BFF sono pronti a giocare la partita lunga per sfidare il vecchio ordine che si auto-perpetua nello Stato. È ancora un duro lavoro, ma il BFF trae ispirazione dall’esempio della vita di Ben Franklin: Inizi molto modesti portati avanti con principi, onore e buona volontà, e una passione per l’America, possono finire in un grande successo”;

L’autore

Phillip Linderman

Phillip Linderman è presidente della Ben Franklin Fellowship e membro del consiglio di amministrazione del Center for Immigration Studies.

Principi guida della politica estera


  1. L’impegno internazionale degli Stati Uniti dovrebbe riconoscere il primato della sovranità americana e l’obbligo di difendere i confini nazionali.
  2. Lo scopo centrale della diplomazia statunitense è quello di servire l’interesse nazionale. Siamo a favore di un’attenta gestione delle risorse limitate, sia di bilancio che di personale, piuttosto che impegnarsi in un’espansione perpetua e non finanziata.
  3. Gli Stati Uniti, sempre più indebitati, stanno gradualmente perdendo la libertà economica all’interno e il margine di manovra all’estero. Riteniamo che i disavanzi di bilancio federali attuali e previsti, insieme al debito nazionale storicamente elevato, siano insostenibili e debbano essere affrontati sia dal ramo esecutivo che dal Congresso per ripristinare il contenimento della spesa, la responsabilità fiscale e la fiducia internazionale nel valore del dollaro statunitense.
  4. Gli Stati Uniti devono sempre mantenere una forte capacità di difesa nazionale per scoraggiare atti di aggressione straniera e di terrorismo contro il nostro Paese. Non crediamo in interventi illimitati in conflitti stranieri, senza ricorrere all’approvazione del Congresso.
  5. Elemento vitale del potere nazionale, il Dipartimento di Stato è al servizio del Presidente, che dirige la politica estera, ma lo Stato, come tutte le agenzie esecutive, deve rendere conto al Congresso e al popolo americano in base alla Costituzione.
  6. Gli Stati sovrani hanno il diritto e l’obbligo di decidere chi entra nel loro territorio determinando le politiche nazionali sull’immigrazione, compresa l’applicazione delle leggi sui rifugiati e sull’asilo che sono nell’interesse nazionale di ciascuno Stato.
  7. Crediamo in nazioni forti e sovrane. Nella misura in cui la cooperazione tra le nazioni nelle sedi internazionali contribuisce alla prosperità e alla sicurezza degli Stati partecipanti e serve gli interessi nazionali, sosteniamo le organizzazioni multinazionali.
  8. Il corpo diplomatico e consolare degli Stati Uniti dovrebbe, sulla base del merito, reclutare, selezionare, assegnare e promuovere americani di ogni provenienza da tutto il Paese, senza discriminazioni o preferenze di razza, etnia, sesso o altre caratteristiche immutabili.

Sabino Cassese, Varcare le frontiere. Una autobiografia intellettuale, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Sabino Cassese, Varcare le frontiere. Una autobiografia intellettuale, Mondadori 2025, pp. 280, € 20,00                     

Quanto mai ben scelto il titolo di questa autobiografia intellettuale di Sabino Cassese.

In primo luogo per l’opera svolta  dall’autore e per la varietà delle esperienze e degli incarichi ricoperti: da quelli presso le università – italiane ed estere – agli impegni presso l’ENI e nel settore bancario; dall’attività di governo a quella di consulente di Ministeri ed enti pubblici; dell’incarico di Giudice della Corte costituzionale alla costante presenza nel dibattito pubblico. La poliedricità di tali attività compensa largamente quello che i suoi colleghi d’università in genere sono: insegnanti – studiosi, serrati nelle tane (d’avorio) della didattica, ovvero insegnanti – avvocati, legati alla realtà dell’applicazione del diritto, fino al punto di esserne spesso distratti dall’insegnare (ma almeno abituati al confronto quotidiano con il diritto concreto).

Tuttavia le frontiere si possono varcare anche in altro modo e così Cassese relativamente allo studio del diritto ricorda che “Lo studio del diritto era, negli anni Cinquanta, diverso da oggi. Era ispirato ai principi del purismo (ricordo solo la teoria pura del diritto di Kelsen; ma i kelseniani sono stati molto peggiori di Kelsen stesso). La maggior parte dei manuali si apriva con numerose pagine dedicate a dimostrare l’autonomia di quella disciplina dalle altre, giuridiche e no” Cassese si era convinto anche per l’insegnamento di M.S. Giannini che “Mi fu chiaro fin da allora, anche se non in maniera analitica, che vi sono problemi, non discipline; che è sbagliato parlare di un metodo esclusivamente giuridico come unico metodo del giurista; che il purismo comporta una separazione che non consente di esaminare l’ordinamento nella sua complessità; che il positivismo conduce all’omissione di tutti i dati che non consistono nella legge e nella norma”. Chiudendo le frontiere con la storia, la sociologia e la scienza politica, il normativismo perde di senso (e quindi di giustizia concreta) e di esatta applicazione quanto guadagna in purezza. Peraltro a valorizzazione la norma come elemento primario del diritto, corre il rischio, nelle decisioni amministrative o giudiziarie, di ridursi a fondarle su una norma piuttosto che sul diritto. Incorrendo così nell’errore, stigmatizzato da Celso quasi venti secoli fa: Incivile est,  nisi tota lege perspecta, una aliqua particula ejus. Praeposita, iudicare vel respondere.

Inoltre allargare la prospettiva d’esame, invece di costruire mura, ha il vantaggio di garantire  meglio una visione d’insieme. L’eccessiva specializzazione soffre l’inconveniente contrario: come scriveva Spengler, la prima assicura una visione da aquila, la seconda da ranocchia. Per cui, come sostiene Cassese “La famosa frase di Vittorio Emanuele Orlando secondo la quale i giuristi sono stati troppo filosofi, politici, storici e sociologi e troppo poco giureconsulti andrebbe oggi rovesciata. Lo sono stati troppo poco”. In ogni caso a sottovalutare il momento applicativo del diritto. Il quale si realizza, nello Stato moderno, con l’organizzazione di un’amministrazione burocratica che rende effettiva la tutela (anche) dei diritti, anche attraverso il monopolio della violenza legittima (Weber).

Hegel aveva espresso in un paragrafo dei Lineamenti di filosofia del diritto, tale carattere dello Stato moderno “Lo Stato è la realtà della libertà concreta”. Dimenticarlo o sottovalutarlo significa farne l’immaginazione della libertà astratta (nel senso che quelle proclamate nella legge non sono le regole di fatto applicate).

Sostiene l’autore, poiché  “il diritto non è mai immobile va studiato quindi nel suo sviluppo storico”. Tale affermazione è del tutto condivisibile e va collegata a quanto Cassese scrive sul neo-positivismo kelsenisano e al giudizio che Maurice Hauriou dava di Kelsen (e di Duguit); che le loro concezioni del diritto erano statiche, mentre quella del doyen de Toulouse – fondata sull’istituzione – ne considerava il continuo movimento, di guisa che, in uno dei passi critici, la paragona all’agmen; a un’armata in marcia che cambia forma ma mantiene la struttura essenziale.

Il libro si conclude con un appendice in cui l’autore enumera le proprie attività in oltre sessant’anni di lavoro: vastità e varietà sono impressionanti e corroborano il senso del titolo, le frontiere sono state varcate: da quelle tra disciplina, oggetti e “campi” trattati, tra diritti nazionali e “rami” del diritto. Ottima ragione per leggere il saggio; e per il recensore che deve chiudere con questa raccomandazione per non incorrere nelle censure del direttore alle recensioni lunghe.

Teodoro Klitsche de la Grange

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**********************************

Il tema dell’Ucraina continua a farsi strada nella mia lista di argomenti di cui scrivere, sebbene al momento siamo in una sorta di pausa e abbia detto praticamente tutto quello che volevo sulla politica e sulla strategia della crisi per il momento. Ma ciò che lo ha spinto in cima alla lista degli argomenti che richiedevano che scrivessi non sono stati tanto gli eventi sul campo, quanto il crescente clima di paura, bellicosità e anticipazione apocalittica che sembra aver travolto esperti e politici occidentali, a prescindere dalle loro posizioni politiche o dalle loro simpatie. Se a questo si aggiunge il fatto che altri esperti parlano con calma di una guerra con la Cina, credo che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto simile a una psicosi da guerra, che potrebbe portare a direzioni molto strane e pericolose.

Inizialmente avrei voluto concentrarmi solo sull’estrema dissociazione dalla realtà che questo tipo di pensiero rappresenta. A questo proposito, anche se entrerò un po’ nei dettagli, il mio punto principale sarà che l’idea di combattere una guerra con la Russia o la Cina è una fantasia sbavante per coloro che pensano e sperano che l’Occidente possa vincere, e una visione apocalittica per coloro che pensano e sperano che l’Occidente perda. Nessuna delle due ha molto a che fare con le effettive capacità e organizzazione militare. Quindi questo saggio sarà un mix un po’ strano, persino per me, di analisi simboliche e culturali esoteriche e di riflessioni molto concrete sulle capacità e gli schieramenti militari. Ma seguitemi.

Possiamo tutti concordare sul fatto che si parli di guerra ovunque, anche se in pochi hanno davvero idea di cosa si stia parlando (un punto su cui tornerò più avanti). Guerra con la Russia, guerra con l’Iran, guerra con la Cina, ora vedo persino la guerra con il Venezuela, sono tutte discusse liberamente, sia da coloro che si battono per tali conflitti sia da coloro che ne sono terrorizzati. Ora l’Occidente sta già sostenendo una delle parti in Ucraina, e le forze occidentali hanno già attaccato l’Iran, quindi non è chiaro se la gente capisca quale sarebbe la differenza in caso di “guerra”. (In realtà ce n’è una, ed è molto seria.) In effetti, né i sostenitori né gli oppositori sembrano aver riflettuto molto su come sarebbe effettivamente la “guerra” e quali potrebbero essere le sue conseguenze pratiche. La “guerra” in questo contesto sembra essere sfuggita a qualsiasi realtà, un significante staccato dal significato, un concetto puramente esistenziale, che riflette uno stato (o persino uno stato d’animo) piuttosto che un insieme di circostanze effettivamente definite.

Quindi, prima di tutto, sgomberiamo un po’ di terreno. Ho già affrontato questi temi in modo più dettagliato qui , ma ora li riprenderò rapidamente. La prima cosa da dire è che “guerra” è ormai un concetto obsoleto e non è più un diritto sovrano degli Stati. Secondo la Carta delle Nazioni Unite, un’azione militare deliberata contro un altro Stato, o anche solo la minaccia di tale azione, è illegale, a meno che non faccia parte di un’operazione approvata dal Consiglio di Sicurezza. Ciò non significa che tali attacchi non avvengano, ma significa che devono ricorrere a una serie di perifrasi e travestimenti. Nessuno Stato si considera più “in guerra” legalmente, sebbene politici ed esperti usino spesso questo termine per negligenza e ignoranza.

Tradizionalmente, essere “in guerra” era uno stato di diritto, il che significava che le proprie forze armate erano mirate a contrastare gli interessi dei propri nemici ovunque. Così, tra il 1914 e il 1918, truppe britanniche e tedesche si combatterono in Africa, e i sottomarini tedeschi cercarono di affondare le navi britanniche in tutto il mondo. Furono effettuati raid aerei sulle città dei rispettivi paesi. Ora abbiamo il “conflitto armato”, che non è la stessa cosa di “guerra”, poiché è un concetto di fatto e non di diritto , e si applica quando determinati criteri oggettivi sono soddisfatti in determinate aree geografiche. Le guerre combattute dall’Occidente nell’ultima generazione circa – persino l’Iraq 1,0 – sono state più limitate e si sono concentrate principalmente su aree geografiche piccole e remote. Il risultato è che la maggior parte delle persone che oggi parlano con disinvoltura di “guerra” non ha idea di cosa significhi, e sembra dare per scontato che significhi semplicemente che andremo da qualche parte e attaccheremo delle persone. Non include il pensiero che potrebbero colpirci a loro volta.

Quindi prendiamo un secchio d’acqua fredda e gettiamolo addosso a chi spera, o teme, che scoppi una “guerra” tra NATO e Russia. (Agli aspetti pratici di queste cose tornerò più avanti: diamo per scontato che teoricamente possa accadere). Come si presenterebbe una guerra del genere? È abbastanza chiaro che l’Occidente non ha piani di alcun tipo per una simile eventualità, quindi prendiamo per primi i russi. Il loro obiettivo sarebbe quello di porre fine rapidamente alla guerra a loro favore, colpendo le principali strutture nemiche. Hanno missili a lungo raggio e ad alta velocità per farlo, e questa sarebbe la loro opzione preferita. Si ritiene che alcuni sistemi di difesa missilistica occidentali abbiano una certa capacità contro alcuni missili russi.sistemi, ma questo deve ancora essere dimostrato in condizioni operative su larga scala.

Quindi cosa farebbero? Beh, colpirebbero edifici governativi e sedi strategiche politiche e militari. Inizierebbero dal quartier generale della NATO, da SHAPE a Mons, dall’UE a Bruxelles, da Downing Street e dall’Eliseo, dalla Casa Bianca e dal Pentagono. Colpirebbero le principali basi aeree e i quartier generali militari operativi, così come le strutture di riparazione e manutenzione e gli aeroporti civili che verrebbero utilizzati per la dispersione in caso di crisi. Colpirebbero i principali porti, i principali snodi ferroviari e gli impianti di produzione di energia, così come le fabbriche di armamenti e munizioni. Con un preavviso sufficiente, il danno alle funzioni governative potrebbe essere contenuto attraverso la dispersione, ma l’Occidente non dispone più dell’apparato di ridondanza bellica di un tempo. E quasi tutti questi missili colpiranno i loro bersagli.

A questo si aggiunge, ovviamente, l’aspetto economico. Tutti i voli aerei verrebbero immediatamente interrotti, così come quasi tutte le spedizioni marittime. Anche se i russi non considerassero le spedizioni marittime in arrivo nei porti occidentali come un obiettivo militare, il semplice annuncio della presenza dei loro sottomarini nella regione bloccherebbe definitivamente il commercio, poiché nessuno assicurerebbe le navi.

In tali circostanze, concentrazioni impressionanti di unità militari della NATO potrebbero essere quasi irrilevanti. Il fatto è che il contributo della NATO alle fasi iniziali di una “guerra” contro la Russia si limiterebbe forse ad alcuni attacchi missilistici lanciati dall’aria su San Pietroburgo e sulla base navale di Murmansk, da qualsiasi base aerea sopravvissuta in Scandinavia. Ma si tratterebbe di un attacco a una delle zone militari più pesantemente difese al mondo, quindi come linea d’azione è accettabile solo sulla base del fatto che non c’è molto altro da tentare, a parte forse attacchi indesiderati nel sud del paese. In generale, quindi, il problema è che i russi possono danneggiare l’Occidente molto più di quanto l’Occidente possa danneggiare i russi in una “guerra”. Allora perché l’Occidente è ossessionato dalla guerra? Credo che dobbiamo prima considerare il livello simbolico.

La funzione simbolica di una guerra anticipata è sempre stata importante. Già negli anni ’50 dell’Ottocento, il nazionalista irlandese John Mitchel coniò la famosa frase “manda la guerra nel nostro tempo, o Signore”, sperando che la guerra avrebbe posto fine al decadente e mercantile stato britannico e permesso l’indipendenza irlandese. (Questa è un’aspirazione comune: quanti in Occidente speravano nel 2022 che l’Ucraina sarebbe diventata il “Vietnam della Russia”?) Ed è un luogo comune storico che prima del 1914 molti guardassero alla guerra in astratto per i benefici che avrebbe portato: spazzare via sistemi politici, economici e sociali obsoleti e corrotti per alcuni; offrire avventure e fuga dalla monotona routine per altri. Chi era preoccupato per l’aumento dei conflitti politici interni o delle tensioni interne agli imperi multinazionali pensava che una buona guerra avrebbe potuto promuovere l’unità. (Molti ottennero ciò che volevano, anche se non necessariamente nel modo in cui lo desideravano: in ogni caso, nessuno poteva dire che i risultati della guerra fossero banali.)

Fu, naturalmente, l’invenzione delle armi atomiche a porre fine a questo modo di pensare: l’attesa della Seconda guerra mondiale era stata traumatica e l’esperienza stessa ancora peggiore, ma l’avvento delle armi nucleari sembrò segnare la fine della teoria secondo cui la guerra avrebbe mai potuto portare benefici, anche accidentali.

Le armi nucleari non furono la prima tecnologia ritenuta da alcuni in grado di annientare la razza umana. Si trattava di gas velenosi, solitamente diffusi da un bombardiere con equipaggio, come nelle prime pagine di ” Ultimi e primi uomini” di Stapledon (1930).Ma con l’avvento dell’era atomica, qualcosa di significativo si era mosso, e per la prima volta l’idea che una guerra potesse significare la fine letterale dell’umanità sembrava ampiamente plausibile. Non era tanto la devastazione causata dalle prime armi nucleari a far pensare in questo modo, quanto piuttosto il fatto che una singola arma potesse causare così tanti danni. Logicamente, sembrava, un’arma cento o mille volte più grande avrebbe potuto spazzare via il mondo intero, se usata con rabbia. Il meccanismo con cui una guerra del genere sarebbe scoppiata era pressoché irrilevante: nella cultura popolare, spaziava da scienziati pazzi a generali folli a semplici incidenti.

Non sorprende quindi che fin dall’inizio gli esperti abbiano cercato di venderci la guerra nucleare come il logico passo successivo in Ucraina. Forse ricorderete che in primavera gli ucraini hanno preso di mira una base aerea in Russia che ospitava alcuni velivoli con capacità nucleare. Immediatamente, il panico è scoppiato e, tra i siti Internet e i canali video che ho consultato in seguito, ho visto titoli come “LA GUERRA NUCLEARE È ORA INEVITABILE” e “CONTO ALLA ROVESCIA PER LA TERZA GUERRA MONDIALE”, e titoli simili. Ora, bisogna ammettere che questo dipende in parte dai clic su Internet e dalle visualizzazioni su YouTube, e bisogna ammettere che alcuni esperti hanno la (giustificata) reputazione di essere troppo eccitati. Ma si sono manifestati anche alcuni schemi simbolici più profondi, che approfondirò tra poco. In realtà, i russi non hanno reagito realmente – e certamente non contro obiettivi che avessero qualche collegamento con le armi nucleari – e nel giro di poche settimane l’incidente è stato dimenticato. In effetti, uno dei messaggi subliminali del recente incontro Trump/Putin in Alaska è stato che nessuna delle due parti si preoccupava abbastanza dell’esito dei combattimenti in Ucraina da rischiare una guerra tra loro. Eppure, qualcosa sta ancora accadendo sotto la superficie.

Ricordiamo che le armi nucleari hanno presto trovato il loro posto nella cultura popolare: spesso in modi sorprendenti. Ad esempio, esisteva (e ora esiste ancora di più) una sottocultura popolare devota all’idea che ci siano state guerre devastanti in periodi dimenticati della storia umana che hanno coinvolto armi nucleari, e che lontani ricordi di esse siano conservati nell’Antico Testamento della Bibbia e in poemi epici indiani come il Mahabharata. Tali teorie si muovono poi logicamente attraverso Atlantide, l’Apocalisse, il Terzo Reich, l’assassinio del presidente Kennedy e la fine del programma Apollo sulla Luna. A volte, d’altra parte, i visitatori extraterrestri sono benefici e portano avvertimenti sul pericolo delle armi nucleari, come in Ultimatum alla Terra. (1951.) Bastano pochi clic su Google per scoprire che, ancora oggi, esiste una fiorente sottocultura di UFO che avvertono la Terra del pericolo rappresentato da queste armi o, in alternativa, che cercano di dirottare i sistemi di comando e controllo per scatenare una guerra nucleare.

Ciò che è pertinente qui è l’elemento didattico ed escatologico presente in molte di queste storie fin dai tempi più remoti. Si dice che il fuoco scenderà dal cielo e distruggerà i malvagi, mentre gli innocenti saranno salvati. Le armi nucleari sono state discusse nel vocabolario religioso fin dall’inizio, e non passò molto tempo dopo il 1945 – un’epoca in cui la gente andava ancora in chiesa – che si iniziò a fare l’ovvio collegamento tra le armi nucleari e l’Ira di Dio. In effetti, sebbene la nostra epoca non sia più biblicamente alfabetizzata, parole come “apocalisse” vengono ancora usate liberamente quando si parla di armi nucleari. Questo, forse, è il motivo per cui persino le relativamente poche e primitive armi nucleari del dopoguerra erano ancora ritenute in grado di svolgere il loro ruolo biblico di provocare la fine del mondo.

Gli interventi divini sotto forma di fuoco dal cielo erano, come nell’esempio sopra riportato, generalmente una punizione per comportamenti peccaminosi. (Ricordiamo in questo contesto che il Libro dell’Apocalisse inizia con ammonimenti contro le chiese dell’Asia Minore per la loro apostasia). Abbastanza rapidamente dopo il 1945, iniziò a diffondersi l’idea che le armi nucleari potessero effettivamente essere una forma di punizione per i peccati dell’umanità. Ai margini della comunità evangelica, questa idea si diffuse rapidamente e sembra essere ancora oggi molto diffusa. E dai primi giorni del movimento ecologista fino ai giorni nostri, c’è stata anche una frangia sterminazionista che crede che la gestione della Terra da parte dell’umanità sia stata così carente da meritare di perire come specie, e le armi nucleari sono un meccanismo popolare per raggiungere questo obiettivo. L’idea che la guerra possa “scoppiare”, che possa poi “intensificarsi” e infine “diventare nucleare” è molto forte nella cultura popolare, e da un lato evita noiose discussioni su chi inizierebbe una guerra del genere (dato che le guerre, dopotutto, non hanno un’agenzia), e dall’altro evita perché qualcuno dovrebbe decidere di usare armi nucleari, e dall’altro presenta la fine del mondo come qualcosa di esterno e al di là del controllo umano: abbastanza naturale, dato che l’ispirazione per questo modo di pensare è religiosa. (Lo scrittore di fantascienza Norman Spinrad ha persino scritto un racconto intitolato The Big Flash , in cui un gruppo rock chiamato Four Horsemen scatena un’apocalisse nucleare).

L’incurante attribuzione di un’agenzia alla guerra nella cultura popolare, l’idea che le guerre semplicemente “accadano” e poi “si intensifichino”, che possano sfuggire al controllo e sfociare inesorabilmente nell’uso di armi nucleari, è una delle ragioni dell’attuale psicosi bellica. Il problema è che studiare le dottrine del rilascio nucleare e le catene di fuoco (difficili, per ovvie ragioni) non è poi così interessante o entusiasmante, e le poche persone che possono parlarne con cognizione di causa generalmente non lo fanno. Quindi, come al solito, le idee cattive e sensazionalistiche scacciano quelle buone.

In questo contesto di paura generalizzata, mettere insieme queste idee e ricordare che “guerra” in questo contesto è simbolico, non letterale, ci permette di vedere più chiaramente le motivazioni consce e inconsce di coloro che approvano una possibile guerra, o affermano di temerla. Esaminerò alcune delle principali tendenze, accettando che in alcuni casi tendano a confondersi tra loro. (Salvo diversa indicazione, d’ora in poi per “guerra” si intende una guerra generale tra Stati Uniti/Europa e Russia o Cina.)

Il caso più facile da comprendere è quello di coloro che vogliono che gli Stati Uniti e la NATO “si coinvolgano” nei combattimenti in Ucraina. Questo desiderio di coinvolgimento è essenzialmente simbolico: ha la sua origine ultima nei ricordi popolari della conquista israelita della città di Gerico (Giosuè, VI, 1-27), dove gli Israeliti marciarono intorno alla città e poi ne abbatterono le mura con il suono dei corni. Questo tipo di aspettative apocalittiche per le conseguenze di un’azione in gran parte simbolica sopravvive fino ai tempi moderni: la setta giapponese Aum Shinrikyo credeva che il loro attacco con il Sarin alla metropolitana di Tokyo nel 1996, in una stazione frequentata da funzionari pubblici, sarebbe stato sufficiente a far cadere il governo. Da parte sua, Al Qaeda sperava di decapitare il sistema politico, militare ed economico degli Stati Uniti con un solo colpo nel 2001.

Quindi, lo schieramento di truppe occidentali contro la Russia sarebbe essenzialmente simbolico. Il semplice coinvolgimento occidentale deciderebbe tutto. Dopo forse una resistenza simbolica, le truppe russe, confrontate con armi, leadership e addestramento superiori, semplicemente si darebbero alla fuga. Il governo di Mosca cadrebbe e la crisi sarebbe finita. Per quanto possa sembrare folle, questa è solo una versione potenziata dell’illusione del 2023 secondo cui le forze ucraine equipaggiate e addestrate dall’Occidente potrebbero facilmente sconfiggere i russi. Come vedremo più avanti, pochi dei sostenitori di questa idea hanno la più remota idea delle questioni geografiche e operative coinvolte, ma poiché si tratta essenzialmente di magia, non è questo il punto.

C’è anche chi nutre ragionevoli timori su cosa potrebbe significare per le nostre società il coinvolgimento in una guerra con la Russia, anche se limitata. In Occidente, siamo lontani generazioni dalla sofferenza delle conseguenze pratiche della guerra, e le nostre società sono molto più divise e molto più fragili di quanto non fossero in passato. L’idea che le società crolleranno semplicemente sotto lo stress della guerra è, per quanto ne so, esagerata, in quanto esiste una lunga storia di popolazioni che hanno collaborato per affrontare il disastro. Ed è anche vero che tali timori non sono nuovi: erano molto diffusi negli anni ’30, quando la minaccia era rappresentata dagli attacchi aerei tedeschi, e naturalmente durante la Guerra Fredda, quando la minaccia proveniva dalle armi nucleari. Ma la paura è almeno razionale.

Da qualche parte nel mezzo della discussione ci sono coloro che ne hanno abbastanza, che sono stanchi della cattiva gestione politica e della corruzione, del declino sociale e dell’aumento della criminalità, delle promesse non mantenute e dei servizi in costante declino, della società che si sgretola, senza apparente via d’uscita. Bruciare tutto è un sentimento estremo, seppur comprensibile, che si incontra sempre più spesso di questi tempi. Come Travis Bickle in Taxi Driver , sperano che “arrivi una vera pioggia a lavare via tutta questa feccia dalle strade”. Se le nostre società sono ormai irrecuperabili, come alcuni pensano, allora questo atteggiamento è abbastanza comprensibile.

E alcuni proverebbero un segreto piacere nell’immaginare le conseguenze di un attacco aereo, come fece molto tempo fa George Bowling di Orwell in ” Coming Up for Air” (1939). Supponiamo che i razzi distruggessero Wall Street o la City di Londra? Supponiamo che tra le prime vittime ci fossero star dei reality, influencer di Internet, calciatori strapagati, dirigenti pubblicitari, venditori di fumo di intelligenza artificiale, manager di private equity… e così via. Forse un certo numero di gestori di hedge fund e trader di materie prime morti è, come direbbe Madeline Albright, un prezzo che vale la pena pagare per sbarazzarsi del sistema attuale. Beh, è ​​un punto di vista, ma presuppone qualcosa di meglio per sostituire quello che abbiamo, e non sarà automaticamente così. Nel 1939, George Bowling (parlando a nome dell’autore) prevedeva cupamente che, dopo l’inevitabile guerra,

“… ci saranno un sacco di stoviglie rotte e piccole case sventrate come casse da imballaggio… Succederà tutto. Tutte le cose che hai in mente, le cose di cui sei terrorizzato, le cose che ti dici essere solo un incubo o che accadono solo in paesi stranieri. Le bombe, le file per il cibo, i manganelli di gomma, il filo spinato, le camicie colorate, gli slogan, le facce enormi, le mitragliatrici che schizzano fuori dalle finestre delle camere da letto.”

A questi sentimenti si sovrappone un senso di rabbia, più che giustificabile, nei confronti delle figure politiche che ci hanno condotto in questo caos e di coloro che le hanno incoraggiate. Per il momento si tratta di un’opinione minoritaria, ma con il deteriorarsi della situazione sempre più persone arriveranno a vedere una sorta di giustizia karmica nella caduta di un’intera classe politica, o addirittura nel suo annientamento fisico in una guerra generalizzata. Che si adotti la visione del buon senso di stupidità, arroganza, presunzione, ostilità inutile e senso messianico della missione, o che si creda in una cabala segreta che opera da un bunker sotterraneo sotto il quartier generale della NATO, elaborando piani di guerra sconosciuti persino ai leader nazionali, non credo che nessuno possa contestare che l’Ucraina rappresenti un fallimento in politica estera di un tipo e di una portata mai visti nella storia moderna, e che i responsabili debbano pagarne le conseguenze. I razzi sul Pentagono e al numero 10 di Downing Street potrebbero essere un modo in cui ciò potrebbe accadere, ma, anche in quel caso, bisogna essere pronti ad accettare anche (probabilmente) mezzo milione di morti del conflitto, come prezzo per sfrattare una classe politica e sostituirla con… cosa, esattamente?

È questa tendenza al nichilismo – un prodotto comprensibile di un’epoca nichilista e la mancanza di un’ovvia alternativa al sistema attuale – che è più preoccupante in queste fervide fantasie sulla guerra. La nostra classe politica ha alienato a tal punto i suoi sudditi che per alcuni, quasi ogni mezzo per rimuoverli è, almeno teoricamente, preso in considerazione come una possibilità. Ma se pensiamo ad alcune delle sconfitte della storia moderna – diciamo la guerra di Crimea o le sconfitte della Francia nel 1870 e nel 1940 – ognuna è stata seguita da una rinascita nazionale o da una serie di rinascite. Ma ciò richiedeva un’ideologia politica ampiamente accettata e la capacità e la volontà di imparare dagli errori e ricostruire. Oggi non vedo nulla di tutto ciò. Anche se il risultato della guerra si limitasse a una schiacciante sconfitta politica occidentale, senza un coinvolgimento diretto delle forze occidentali, la carneficina politica tra i leader occidentali sarebbe impressionante. Se la Russia dovesse effettivamente ricorrere alla forza contro paesi o interessi occidentali, le potenziali conseguenze politiche sarebbero imprevedibili nei dettagli, ma potenzialmente estremamente gravi. Per me, questa è tra le possibili conseguenze più preoccupanti e meno discusse di tutta questa orribile vicenda.

Ma per alcuni, la sconfitta, che si limiti all’Ucraina o che implichi una vera e propria “guerra” tra Occidente e Russia, è qualcosa di realmente auspicabile, quasi patologico, quasi una sorta di punizione meritata. Gran parte di questo sentimento sembra provenire dagli Stati Uniti, sebbene da allora si sia diffuso più ampiamente. Fin dalla guerra del Vietnam, e ormai alla terza generazione, negli Stati Uniti ci sono gruppi che detestano il proprio Paese, lo considerano l’origine di tutti i mali del mondo e ne anticipano con gioia la sconfitta militare e l’umiliazione. In Russia, per la prima volta hanno trovato una nazione in grado di farlo (la Cina è una questione leggermente diversa). E naturalmente ci sono moltissime persone in tutto il mondo che vorrebbero vedere gli Stati Uniti sminuiti. Se valga la pena rischiare una guerra importante per ottenerlo, con risultati completamente imprevedibili, è una vera domanda.

Ancora più strano, negli Stati Uniti ci sono molti che accolgono con favore la sconfitta e la rovina dell’Europa a seguito di una guerra con la Russia. Parte di questo, ovviamente, è il desiderio di vendetta basato su un senso di inferiorità storica e di gelosia – la storia, la cultura, il cibo, i monumenti – ma c’è anche l’insistenza decennale sul fatto che gli Stati Uniti stessero in qualche modo “proteggendo” l’Europa, e che l’Europa non ne fosse grata, così come quella sgradevole arroganza e disprezzo che gli americani di ogni colore politico possono mostrare per le nazioni più piccole e meno potenti quando la maschera cade. L’indecente gioia di alcuni commentatori per la presunta imminente rovina dell’Europa è sgradevole da vedere. (Per quel che vale, penso che l’Europa resisterà alla tempesta imminente meglio degli Stati Uniti, ma questa è un’altra storia.)

E infine, sotto lo stress della guerra, l’odio quasi patologico nei confronti della Gran Bretagna, che si riscontra in molti ambiti politici degli Stati Uniti, è diventato visibile. Gran parte di esso è legato al fatto di essere stata un possedimento coloniale della Gran Bretagna, e in effetti non ho mai trovato un paese al mondo così incapace di fare i conti con il proprio passato coloniale come l’America. In effetti, gli Stati Uniti sono molto più ossessionati dalla propria immagine dell’Impero britannico, con tanto di miti, interpretazioni errate della storia e accuse di un suo persistente potere oscuro, di quanto lo sia la Gran Bretagna stessa, o lo sia mai stata. Quindi non sorprende che ai margini dei commenti sull’Ucraina, troviamo gli inglesi incolpati di tutto, incluso il lavoro segreto svolto nell’ombra per decenni o generazioni per abbattere la Russia e salvaguardare il suo Impero, o qualcosa del genere. (Stalin soffriva di una forma particolarmente virulenta di questa paranoia, che lo portò a sottovalutare la minaccia nazista). Scorrendo le sezioni dei commenti di alcuni blog e siti Internet, ci si imbatte in idee sulla Gran Bretagna e sul suo ruolo nel mondo che sembrano essere il prodotto di menti decisamente disordinate. (Credo di aver riso ad alta voce quando ho sentito che la guerra era stata causata dalla “Città sionista di Londra”. Ma forse non è poi così divertente.)

Quindi è chiaro, credo, che la psicosi bellica di cui sto parlando non è una cosa sola, ma un mix di diverse, ed è il prodotto di speranze, paure e fantasie di diversi gruppi lungo l’intero spettro ideologico. La “guerra”, che è variamente auspicata, temuta e semplicemente data per scontata come inevitabile, è essenzialmente un evento simbolico, piuttosto che reale. Non è possibile discutere seriamente i timori di una guerra nucleare “accidentale” (anche se diversi anni fa ho fatto un tentativo ) se non dicendo che sono probabilmente molto esagerati. Ma è possibile fare un rapido controllo della realtà sulle fantasie dell’Occidente che si impegna in una “guerra” con la Russia, e dimostrare che sono effettivamente fantasie.

Come ho già accennato, nessuno in Occidente sembra essere riuscito a comprendere appieno la realtà di cosa significherebbe una “guerra”. Diversi leader europei sembrano confonderla con l’idea di schierare una “forza di pace” o di un “dispiegamento deterrente” dopo un cessate il fuoco. (Vorrei solo osservare che schierare una forza militare senza un’idea concordata di cosa si voglia fare è inevitabilmente una ricetta per il disastro). L’idea che obiettivi in ​​Europa e negli Stati Uniti verrebbero rapidamente distrutti da missili altamente precisi e potenti lanciati da navi, aerei e sottomarini, che l’Occidente abbia scarse difese contro tali sistemi e una capacità molto limitata di rispondere con la stessa moneta, sembra aver completamente aggirato gli apparati decisionali delle capitali occidentali. Ma la guerra sarebbe proprio così, e per ragioni geografiche, l’Occidente troverebbe molto difficile e molto costoso condurre attacchi contro la Russia che si riducessero a incursioni di disturbo e propaganda. (Ma un’intera generazione di politici occidentali è cresciuta con l’idea che è l’immagine che conta, non la realtà.) Quindi qualsiasi “guerra” lanciata contro la Russia dovrebbe avere una portata molto limitata.

E questo pone un problema immediato. La prima cosa di cui si ha bisogno per scatenare una guerra non sono truppe ed equipaggiamento, ma un obiettivo. Tale obiettivo, come abbiamo già detto, è politico e viene normalmente descritto in termini di uno “stato finale” legato al mondo reale. Quindi “opporsi alla Russia” o “dimostrare determinazione”, o altri esempi di termini confusi, non sono obiettivi: questi obiettivi devono essere tangibili e misurabili. L’unico obiettivo che, a mio avviso, abbia un minimo di senso sarebbe quello di provocare la caduta dell’attuale governo russo e la sua sostituzione con uno che volesse essere amico dei suoi aggressori. Sì, lo so, non sembra molto logico, ma questo è praticamente l’unico stato finale politico che avrebbe un minimo di senso.

Come possiamo fare, allora? Per ragioni pratiche, attacchi diretti alla Russia sono esclusi, quindi l’idea di truppe tedesche di nuovo in vista del Cremlino deve rimanere nel regno della fantasia. L’unica altra opzione concepibile sarebbe quella di infliggere una sconfitta così devastante alla Russia nell’attuale conflitto in Ucraina da far cadere il governo e insediarne uno filo-occidentale, pronto a fare ciò che l’Occidente vuole. Vale la pena ricordare che un simile esito finale dipende da tutta una serie di eventi politici successivi sui quali non abbiamo alcun controllo, ma una sconfitta così devastante è probabilmente l’unico modo in cui una tale sequenza potrebbe anche solo essere avviata. Come possiamo fare, allora ?

Si dovrebbe supporre che l’introduzione di forze occidentali invertirebbe il corso della guerra in modo rapido e decisivo, poiché le scorte occidentali di munizioni ed equipaggiamento sono limitate e qualsiasi forza di questo tipo potrebbe non essere in grado di impegnarsi in combattimenti ad alta intensità per più di pochi giorni. Cosa servirebbe? Ebbene, nel 2022, l’esercito ucraino aveva una ventina di brigate operative sul campo, ben addestrate, ben equipaggiate e con anni di esperienza di combattimento. Questa forza è stata in gran parte distrutta da un esercito russo inesperto e in inferiorità numerica nei primi mesi di guerra, e ha dovuto essere ricostruita con addestramento ed equipaggiamento occidentali più volte. In nessun momento durante la guerra gli ucraini hanno avuto la meglio, e l’unica posizione che hanno conquistato è stata quando i russi hanno ceduto territori che, a quel punto, non avevano le forze necessarie per controllare. Da allora, i loro successi si sono limitati ai contrattacchi su piccola scala che si verificano in qualsiasi guerra, e la maggior parte di questi successi è stata rapidamente annullata.

Non possiamo dire con precisione quali forze l’Occidente potrebbe contribuire a una “guerra” con la Russia. Ma a quanto pare è stata proposta una forza di quattro o cinque brigate con un ruolo di “mantenimento della pace” o “deterrente”, e possiamo supporre che questo numero rifletta le indicazioni militari su ciò che potrebbe essere effettivamente possibile schierare. Si tratterà probabilmente di brigate meccanizzate, ovvero con un numero relativamente ridotto di carri armati e modeste quantità di artiglieria, strutturate e addestrate secondo ipotesi e modelli pre-2022. Non avranno unità di droni integrate (dato che queste non esistono) né dottrina e addestramento per combattere in un ambiente dominato dai droni. Si tratterà di una forza multinazionale, che utilizzerà equipaggiamenti diversi e (se l’esperienza recente è indicativa) radio e logistica incompatibili. Richiederà la creazione di nuovi quartier generali a livello operativo e tattico e presumibilmente una sorta di comando congiunto con Kiev. Dovrà operare in condizioni di superiorità aerea russa, per la quale attualmente non esiste alcuna dottrina. Gli aerei occidentali potrebbero provare a mettere in discussione questa superiorità aerea, ma i russi per ottenerla si affidano principalmente ai missili, ed è difficile immaginare come gli aerei occidentali possano operare per un periodo di tempo prolungato sopra l’Ucraina senza subire perdite enormi.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma credo che quanto sopra dimostri che la “guerra” contro la Russia è una fantasia tanto quanto qualsiasi altro esempio di follia simbolica descritto sopra. La difficoltà, però; e forse il pericolo, deriva dal fatto che i governi hanno effettivamente il potere di lanciare operazioni di questo tipo, o almeno di provarci, e potrebbero convincersi, per disperazione, di poter avere successo. Il signor Macron ha mostrato segnali inquietanti di questo tipo di pensiero nelle ultime settimane, e il governo francese sta ora apparentemente progettando ospedali in grado di accogliere centinaia di migliaia di vittime di una futura guerra.

In conclusione, dovrebbe essere ovvio che parlare di “guerra” con la Cina rappresenta una sorta di parodia simbolica della guerra con la Russia, che di per sé è già di per sé una parodia. Detto in parole povere, l’Occidente non ha alcun motivo per la guerra, nessun obiettivo razionale concepibile e nessuna possibilità di vincere uno scontro che abbia un significato concreto. Suppongo che sia quasi immaginabile che la Cina possa tentare di invadere Taiwan e che gli Stati Uniti possano sentire il bisogno di rispondere, ma non c’è nulla di “inevitabile” in un conflitto. Non siamo vittime indifese della storia e le guerre non “accadono” e basta.

In una certa misura, naturalmente, e come spesso accade nella storia, queste speranze e paure sono esternazioni simboliche del senso di crisi e disintegrazione delle nostre società. Auguriamo la distruzione a ciò che odiamo e temiamo, e temiamo la distruzione di ciò a cui siamo attaccati. Per questo motivo, stiamo entrando in un periodo molto pericoloso, in cui persone che dovrebbero saperne di più potrebbero iniziare a confondere la fantasia con la realtà, e comportarsi come se potessero ottenere ciò che desiderano, o ciò che temono, semplicemente pensandoci. Forse ciò di cui abbiamo bisogno non sono più uomini in uniforme, ma più uomini in camice bianco.

Conferenza stampa del Primo Ministro Putin da Pechino, di K Sanchez e L Johnson

Conferenza stampa del Primo Ministro Putin da Pechino

Una serata romantica sul prato antistante un palazzo.

Karl Sánchez3 settembre
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Nella calda aria notturna di Pechino, la stampa russa ha potuto assistere a un incontro di 50 minuti con il presidente Putin, di fronte a un palazzo cinese non identificato.

V. Putin: Buonasera!

Prego.

K. Panyushkin: Konstantin Panyushkin, Canale Uno.

La sua visita in Cina è senza precedenti e ha lavorato per quattro giorni. Durante questo periodo, ha incontrato il Presidente Xi Jinping numerose volte. Come valuta i risultati dei negoziati russo-cinesi e qual è il risultato più importante di questa visita di più giorni?

V.Putin: Si tratta effettivamente di un evento di più giorni, come ha detto. Questo perché qui si sono svolti diversi eventi. Quando abbiamo pianificato questo lavoro, lo abbiamo pianificato in modo tale da non dover percorrere lunghe distanze più volte. Vorrei ricordarle che c’è stato il vertice della SCO, seguito da un incontro trilaterale tra Russia, Mongolia e Cina e da una visita nella Repubblica Popolare Cinese.

Devo dire che questo formato di lavoro ci permette di parlare non solo al tavolo delle trattative, ma soprattutto di incontrarci ripetutamente in un contesto informale e di discutere di qualsiasi argomento di interesse comune in un’atmosfera informale, ma già di per sé del tutto amichevole. Questo si è rivelato molto importante e utile.

Per quanto riguarda i risultati, a mio parere sono molto positivi. I documenti adottati, e adottati da tutti i partecipanti, sono rivolti al futuro . A questo proposito, vorrei sottolineare l’ iniziativa cinese sulla governance globale. Credo che sia molto tempestiva . E, cosa importante, questa iniziativa mira a promuovere una cooperazione positiva tra i Paesi riuniti per il vertice in Cina e i nostri potenziali partner tra i Paesi che al momento non intendono dichiarare questo partenariato.

Tutto questo, unito all’unità di tutti i presenti, è una dimostrazione molto importante di atteggiamento positivo e di fiducia nel fatto che possiamo raggiungere i nostri obiettivi.

Prego.

L. Samsonia: Lana Samsonia, Interfax.

Vorrei continuare a parlare della vostra visita in Cina, ma nell’ambito dell’agenda bilaterale. A seguito della vostra visita è stato firmato un consistente pacchetto di documenti, principalmente relativi al progetto “Power of Siberia 2”. Questo progetto è diventato il tema principale dei recenti negoziati ad alto livello e un indicatore delle relazioni globali tra Russia e Cina.

Ritiene che gli accordi raggiunti possano vanificare le speculazioni che circolano nel mondo sui rapporti tra Russia e Cina e i tentativi di interferire dall’esterno e influenzare i rapporti tra i due Paesi?

V. Putin: A dire il vero, non capisco nemmeno di cosa stai parlando, perché sono impegnato con il mio lavoro attuale e cerco di evitare di lasciarmi distrarre da voci e speculazioni, come hai detto.

Si tratta di un lavoro che dura da molto tempo e di cui abbiamo discusso a lungo con i nostri partner. C’erano diverse strade, ognuna con i suoi vantaggi e svantaggi. I negoziati sono durati a lungo, diversi anni. Tuttavia, sappiamo tutti che l’economia globale è ancora in crescita, nonostante molti Paesi, come le principali economie dell’Eurozona, stiano attraversando una fase di recessione.

Il fabbisogno energetico è in crescita, anche nell’economia cinese, che continua a essere una delle potenze economiche mondiali. Con un tasso di crescita superiore al 5%, questa crescita si basa su una base crescente. Alcuni sostengono che il tasso di crescita del PIL cinese abbia subito un rallentamento. Nonostante il rallentamento, la base è cresciuta nel tempo e il tasso di crescita superiore al 5% che osserviamo oggi è diverso da quello superiore al 5% che abbiamo visto 10-15 anni fa. Cosa significa questo? Significa che il fabbisogno energetico è in aumento.

Infine, le parti negoziali hanno raggiunto un consenso. Sapete, non c’è alcuna beneficenza da nessuna delle due parti; si tratta di accordi reciprocamente vantaggiosi. Si basano su principi di mercato, tenendo conto delle condizioni di mercato in questa regione. Inoltre, il prezzo di questo prodotto non è determinato in base ai prezzi correnti, ma secondo una formula specifica, puramente oggettiva e basata sul mercato.

Pertanto, la crescente economia cinese ha delle esigenze e noi abbiamo l’opportunità di fornire questa materia prima. Dopotutto, questo non è il risultato del nostro incontro; è semplicemente il risultato di molti anni di lavoro da parte delle aziende di entrambe le parti.

Naturalmente, questo creerà un vantaggio competitivo per i nostri amici cinesi, perché, ripeto, riceveranno il prodotto a prezzi di mercato, non a prezzi gonfiati, come vediamo nell’Eurozona. E, cosa più importante, garantirà una fornitura stabile e affidabile.

Tutti sono soddisfatti, tutti sono felici di questo risultato e, a dire il vero, lo sono anch’io. Dopotutto, Gazprom è una delle nostre aziende leader e sta espandendo i suoi mercati. Avremo 50 miliardi [di metri cubi di gas] attraverso la Mongolia. Attualmente ne abbiamo 38 miliardi, e ci sono un paio di altre rotte che aumenteranno. In totale, avremo oltre 100 miliardi di metri cubi di gas.

Pavel, per favore.

P. Zarubin: Buonasera!

Pavel Zarubin, canale televisivo russo.

Lei parla spesso delle cause profonde della crisi ucraina e ieri, tra l’altro, ha anche parlato delle ragioni dell’adesione dell’Ucraina alla NATO. Tuttavia, ora assistiamo a leader europei che affermano di fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina, ma sono principalmente concentrati sul dispiegamento delle loro truppe in Ucraina. Inoltre, molti continuano a sostenere l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.

Ma vediamo anche che l’Unione Europea si sta rapidamente trasformando da unione economica in blocco politico-militare, con decisioni e dichiarazioni aggressive quasi costanti.

Come puoi commentare tutti questi scenari?

V.Putin: Concordo con chi ritiene che ogni Paese abbia il diritto di scegliere il proprio sistema di sicurezza. Questo vale per tutti i Paesi, compresa l’Ucraina. Tuttavia, significa anche che la sicurezza di una parte non può essere garantita a scapito della sicurezza di un’altra parte , in questo caso la Federazione Russa.

Ci siamo sempre opposti all’adesione dell’Ucraina alla NATO, ma non abbiamo mai messo in discussione il suo diritto di condurre le proprie attività economiche e commerciali come ritiene opportuno, compresa la sua appartenenza all’Unione Europea.

A. Yunashev: Possiamo continuare a parlare dell’Ucraina?

V. Putin: Puoi farlo.

A. Yunashev: Alexander Yunashev, Vita.

Quando Russia e Stati Uniti discutono dei loro sforzi per raggiungere una risoluzione pacifica in Ucraina, la formula delle “garanzie di sicurezza in cambio di territorio” sta diventando sempre più popolare. Questo è in linea con quanto discusso con Trump in Alaska?

E cosa intende quando afferma che la Russia è pronta a partecipare allo sviluppo di queste garanzie? Chi dovrebbe essere il garante, secondo lei?

E, se non le dispiace, a proposito di Zelensky: ha senso incontrarlo ora, nelle circostanze attuali? È possibile raggiungere un accordo durante questo incontro?

Grazie.

V. Putin: Ancora una volta la prima parte.

A. Yunashev: Gli sforzi degli Stati Uniti – ora si ipotizza che esista una formula di “garanzie di sicurezza in cambio di territori”.

V. Putin: No, non abbiamo mai sollevato questa questione né ne abbiamo discusso in questo modo.

Le garanzie di sicurezza sono naturali e ne parlo spesso. Crediamo che qualsiasi Paese dovrebbe avere queste garanzie e un sistema di sicurezza, compresa l’Ucraina. Ma questo non è collegato ad alcuno scambio, soprattutto a quello territoriale.

Voglio sottolineare che non stiamo lottando tanto per i territori, ma per i diritti umani e per il diritto delle persone che vivono in questi territori a parlare la propria lingua, a vivere nel quadro della propria cultura e delle proprie tradizioni tramandate dalle generazioni precedenti – dai loro padri, dai loro nonni, e così via. Prima di tutto, è di questo che stiamo parlando.

E se queste persone, nel corso delle procedure democratiche elettorali, compresi i referendum, hanno espresso il loro sostegno all’adesione alla Federazione Russa, questa opinione dovrebbe essere rispettata. Questa è la democrazia – voglio ricordarlo a chi se ne dimentica. E, tra le altre cose, questo è pienamente in linea con il diritto internazionale: vorrei ricordare i primi articoli della Carta [dell’Organizzazione] delle Nazioni Unite, che sanciscono esplicitamente il diritto delle nazioni all’autodeterminazione.

Ma non colleghiamo l’uno all’altro: territori e garanzie di sicurezza. Certo, possiamo dire che sono argomenti correlati, ma non li colleghiamo direttamente. Questo non è stato un argomento discusso durante la discussione di Anchorage.

Per quanto riguarda i possibili incontri con il signor Zelensky, ne ho già parlato. In generale, non ho mai escluso la possibilità di un incontro del genere. Hanno senso questi incontri? Vediamo.

Secondo la Costituzione ucraina – alcuni potrebbero essere d’accordo, altri no, basta leggere attentamente il testo – non ci sono disposizioni nella Costituzione ucraina che possano estendere il mandato del Presidente dell’Ucraina. Se si viene eletti per un mandato di cinque anni e sono trascorsi cinque anni, il mandato è terminato.

Esiste una disposizione secondo cui le elezioni non si tengono durante la legge marziale. Sì, è vero. Tuttavia, ciò non significa che i poteri del presidente vengano estesi. Significa piuttosto che i suoi poteri scadono e i suoi diritti vengono trasferiti al Presidente della Rada, inclusa la sua autorità di Comandante Supremo in Capo.

Cosa dovrebbero fare le autorità attuali se vogliono essere legittime e partecipare pienamente al processo di risoluzione? Innanzitutto, dovrebbero indire un referendum: secondo la Costituzione ucraina, le questioni territoriali possono essere risolte solo tramite referendum, per quanto ne so. Tuttavia, un referendum non può essere indetto durante lo stato di guerra, che è anche una disposizione costituzionale. Pertanto, per indire un referendum, lo stato di guerra deve essere revocato. Una volta fatto ciò, si dovranno indire le elezioni. Questo processo continuerà indefinitamente.

Il risultato delle elezioni non è chiaro, ma qualunque esso sia, è necessario ottenere un parere corrispondente dalla Corte Costituzionale, come stabilito dalla legge principale. Tuttavia, come si può ottenere un parere della Corte Costituzionale quando, dopo che le autorità hanno chiesto alla Corte Costituzionale ucraina di confermare l’estensione dei poteri del presidente, e la corte si è di fatto rifiutata di farlo, cosa è successo in Ucraina? Può sembrare ridicolo, ma le guardie di sicurezza si sono rifiutate di permettere al presidente della Corte Costituzionale di entrare nel suo ufficio.

Ecco, il film è finito. Ma non proprio, perché per quanto ne so, non so dove si trovi in ​​questo momento, ma a un certo punto è andato all’estero. Tuttavia, negli ultimi anni, i poteri di alcuni membri della Corte Costituzionale sono scaduti. Di conseguenza, la Corte non ha il quorum necessario per prendere decisioni. Pertanto, tenere semplicemente riunioni con l’attuale capo dell’amministrazione, diciamo, in modo delicato, è una strada senza uscita.

È possibile – non mi sono mai rifiutato di farlo – se questo incontro sarà ben preparato e porterà a qualche risultato positivo. A proposito, Donald mi ha chiesto se fosse possibile organizzare un incontro del genere. Ho risposto di sì, è possibile. Dopotutto, se Zelensky è pronto, può venire a Mosca e l’incontro avrà luogo.

A. Kolesnikov: Andrey Kolesnikov, quotidiano Kommersant.

Buonasera!

Dimmi, pensi che il mondo multipolare, di cui hai parlato nel tuo discorso di Monaco del 2007, e che sembra avere Russia, India e Cina come nuovi poli, sia finalmente stato creato? O c’è ancora qualcosa a cui aspirare?

E se non le dispiace, un’altra domanda. Qualche ora fa, il cancelliere tedesco, signor Merz, l’ha definita forse il più grave criminale di guerra dei nostri tempi. Cosa ne pensa?

V. Putin: Quando?

A. Kolesnikov: Solo un paio d’ore fa.

V. Putin: Capisco.

Se un mondo multipolare si sia sviluppato o meno. In generale, i suoi contorni, ovviamente, si sono evoluti. Ma allo stesso tempo, non parlerei di alcun potere dominante in questo mondo multipolare. Dopotutto, quando parliamo di multipolarità, ciò non significa che debbano emergere nuovi egemoni. Nessuno solleva tali questioni: né nell’ambito della SCO, né in quello dei BRICS. Tutti i partecipanti alla comunicazione internazionale dovrebbero avere uguali diritti e tutti dovrebbero trovarsi nella stessa posizione in termini di diritto internazionale.

Sì, certo, ci sono giganti economici come India e Cina. A proposito, il nostro Paese è uno dei quattro più grandi al mondo in termini di parità di potere d’acquisto. Queste sono tutte le realtà odierne. Non si tratta di calcoli nostri, ma di calcoli di organizzazioni internazionali. Ma questo non significa che qualcuno debba dominare la politica o qualsiasi altra sfera, compresa la sicurezza.

Pertanto, non diamo per scontato che sorgeranno nuovi stati dominanti. Tutti dovrebbero essere su un piano di parità.

Quanto alle dichiarazioni da lei citate, che Peskov mi ha riferito anche solo pochi minuti fa, cosa ne penso? Credo che si tratti di un tentativo fallito di assolvere, non personalmente, ma il suo Paese e l'”Occidente collettivo” in generale, dalla responsabilità della tragedia che si sta attualmente consumando in Ucraina.

Cosa intendo? L’ho già detto molte volte: nel 2014, i ministri di tre paesi europei si sono recati a Kiev e hanno firmato un documento che era essenzialmente un accordo tra l’attuale governo, l’allora presidente Yanukovich, e l’opposizione. Secondo questo accordo, tutte le controversie politiche dovevano essere risolte nel quadro costituzionale, pacificamente e legalmente.

E solo un giorno o due dopo, ci fu un colpo di Stato, sanguinoso e brutale. Nessuno di questi garanti fece nulla per riportare la situazione nel quadro legale. Fu qui che iniziò il conflitto, perché subito dopo, gli eventi iniziarono a svolgersi in Crimea, e il regime di Kiev lanciò operazioni militari con veicoli blindati e aerei contro la popolazione civile di quelle regioni dell’Ucraina che non erano d’accordo con il colpo di Stato. Poi minarono tutti i nostri tentativi di risolvere pacificamente la questione e si rifiutarono pubblicamente di attuare gli accordi di Minsk.

Quindi, chi è il colpevole della tragedia che sta accadendo? Coloro che ci hanno portato a questa situazione ignorando completamente gli interessi di sicurezza della Russia. Se qualcuno ritiene accettabile trattare il popolo del nostro Paese con tale disprezzo, sappia che non permetteremo mai una situazione del genere, in cui la Russia rimane passiva e non risponde agli eventi che si svolgono intorno a lei.

O. Skabeeva: Buonasera!

Olga Skabeeva, canale televisivo russo.

In Europa, sempre più persone parlano della necessità di prendere i nostri soldi – 300 miliardi di dollari – e darli all’Ucraina. Certo, c’è ancora chi crede che questa non sia una buona idea e che sia molto pericolosa, ma c’è anche chi è disposto a sostenere e sostenere questo furto. Qual è la sua opinione al riguardo?

E un’altra domanda importante sull’operazione speciale: Vladimir Vladimirovich, c’è la possibilità che si concluda nel prossimo futuro? Cosa ne pensa, pensa che ci stiamo avvicinando alla fine?

V.Putin: Probabilmente inizierò con la seconda parte, perché è quella fondamentale.

Già nel 2022 avevamo proposto alle autorità ucraine di rispettare la scelta della popolazione del sud-est dell’Ucraina, ritirare le truppe e porre fine immediatamente al conflitto. Devo dire che questa proposta non è stata completamente respinta.

Ma dopo aver ritirato le nostre truppe da Kiev su insistenza dei nostri colleghi dell’Europa occidentale, la situazione cambiò e ci fu detto, quasi alla lettera, che avremmo continuato a combattere finché non ci fossimo voltati o non ci fossimo voltati noi. Non ricordo se lo dissi pubblicamente, ma fu più o meno così, seppur in termini più schietti, ma in modo piuttosto aperto e, stranamente, amichevole: o noi o voi. Questa situazione è ancora in corso.

Tuttavia, mi sembra che, se prevarrà il buon senso, sarà possibile concordare un modo accettabile per porre fine a questo conflitto. Questa è la mia supposizione.

Inoltre, possiamo osservare lo stato d’animo dell’attuale amministrazione statunitense sotto la presidenza Trump, e non si tratta solo dei loro appelli, ma del loro genuino desiderio di trovare una soluzione. Credo che ci sia un barlume di speranza alla fine del tunnel. Vedremo come evolverà la situazione. In caso contrario, dovremo affrontare le nostre sfide con mezzi militari.

O. Skabeeva: Se non le dispiace, non ha risposto all’Europa, al furto dei nostri soldi.

Vladimir Putin: Rubare soldi – ne abbiamo già parlato molte volte. Qui, secondo me, non si può dire nulla di nuovo. Lei ha detto: qualcuno vuole prenderli, qualcuno non vuole. Chi è più intelligente non vuole. Sì, è vero, eccomi qui senza alcuna ironia [dico] e senza attaccare chi è più stupido.

Perché? Perché le persone intelligenti sono quelle che si occupano di finanza ed economia, e capiscono che questo distruggerà completamente tutti i principi dell’attività economica e finanziaria internazionale e causerà senza dubbio danni enormi all’economia globale e alle finanze internazionali.

Questo perché molti paesi in tutto il mondo stanno già creando alleanze nel tentativo di attuare i propri piani di sviluppo economico all’interno delle singole regioni e, se ciò continua, il separatismo economico non farà che intensificarsi e l’ordine finanziario ed economico globale verrà distrutto.

K.Kokoveshnikov: Posso chiedere informazioni sull’SVO?

V. Putin: A proposito dell’SVO? Per favore, faccia pure.

K.Kokoveshnikov: Buongiorno!

Canale televisivo Zvezda, Konstantin Kokoveshnikov.

Potresti condividere le ultime informazioni sulla situazione nell’area dell’operazione militare speciale? Quali rapporti, se non sono segreti, ti giungono dai comandanti del fronte? E in generale, come è cambiata di recente la situazione sul campo di battaglia?

V. Putin: Tutti i gruppi delle Forze Armate russe stanno avanzando in tutte le direzioni. Avanzano con successo, a ritmi diversi, ma in quasi tutte le direzioni, non li elencherò. Se rappresentate il canale televisivo Zvezda, allora conoscete i nomi di questi gruppi e le direzioni delle loro operazioni di combattimento.

Come reagisce il nemico a tutto questo? Quello che vediamo è che stanno cercando di colmare le lacune trasferendo le loro unità più capaci da un’area per loro ostica a un’altra area di combattimento che considerano più critica. Ad esempio, se non ricordo male, il nemico ha recentemente trasferito la 95a Brigata dalla regione di Sumy a un altro settore.

È più facile per loro sul fronte di Sumy? No, li ha semplicemente sostituiti con un’unità meno pronta al combattimento e ha inviato il 95° dove riteneva fosse più importante. E questo sta accadendo lungo tutta la linea del fronte, da un settore all’altro. Non possiamo permetterci di rilassarci, perché potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa, inclusa la preparazione delle riserve per operazioni più significative.

Tuttavia, un’analisi preliminare dei nostri esperti militari mostra che il nemico, le Forze Armate ucraine, non possiede tali capacità. Non sono in grado di condurre operazioni offensive su larga scala e il loro obiettivo è il mantenimento delle linee esistenti, seppur nel modo che ho descritto.

Questo non è un caso isolato; sta accadendo praticamente lungo tutta la linea di contatto. Questa è la prova che, come crediamo noi e come credono anche gli esperti occidentali, le Forze Armate ucraine stanno esaurendo le riserve e le loro unità pronte al combattimento sono attualmente dotate di personale solo al 47-48%. La situazione è critica.

Tuttavia, il combattimento è un’attività complessa e brutale. Pertanto, non è opportuno fare previsioni in questa sede, e l’analisi è esattamente quella che ho appena descritto.

Prego.

I. Zhdanov: Buonasera!

Igor Zhdanov, RT.

Vladimir Vladimirovich, sulla via del ritorno in Alaska: Appena atterrato, ha iniziato a parlare con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump direttamente sul red carpet. Dopo il servizio fotografico, è salito in macchina con lui e ha continuato la conversazione. Potrebbe raccontarci di cosa avete parlato e che linguaggio avete usato? Ci fornisca qualche dettaglio sulla vostra conversazione.

Grazie mille.

V.Putin: Abbiamo parlato, ovviamente, in inglese, ma era un inglese così stentato – quello che mi è rimasto in parte del mio vocabolario. Ma all’inizio – l’ho detto alla conferenza stampa – gli ho detto: Sono molto contento di vederti, caro vicino – molto contento di vederti, caro vicino, sano e salvo. E nella limousine, mentre guidavamo, sono stati solo 30 secondi, ci siamo scambiati frasi generiche, e questo è stato tutto.

Nota: hai trascorso un’ora a parlare con il Primo Ministro Modi nella tua auto.

V.Putin: Sì, non c’è nessun segreto. Gli ho raccontato cosa stavamo negoziando in Alaska.

N. Ivanov: Una questione culturale.

V. Putin: Qui tutti sono colti, non ci sono persone incolte.

N.Ivanov: I nostri legami con la Cina si stanno sviluppando non solo in ambito economico ed energetico, ma anche in ambito culturale. Uno degli eventi più significativi di quest’anno è stata l’uscita del film congiunto “Red Silk”. Ne ha parlato a Xi Jinping durante la sua visita a Mosca a maggio, e ne ha parlato anche in un’intervista a Xinhua. Può dirci se ci saranno altri progetti simili?

E magari sei anche riuscito a guardare “Red Silk”? Condividi le tue emozioni allora.

Grazie.

V. Putin: In realtà, questa è stata un’idea del presidente Xi Jinping. Eravamo a un evento insieme e gli ho fatto notare che era molto difficile per i nostri produttori entrare nel mercato cinese. Lui ha sorriso maliziosamente e ha detto: “Produciamo dipinti insieme e poi il mercato sarà aperto”.

In effetti, è vero. E uno dei primi ad uscire è “Seta Rossa”. Non ho visto questo film, ma so che verrà presentato qui letteralmente domani o dopodomani. A quanto pare, il film è popolare e la gente lo guarda volentieri. E naturalmente, abbiamo qualche idea. Se siete interessati, potete chiedere al Ministro della Cultura, Lyubimova, che vi fornirà informazioni più dettagliate sui nostri piani.

Per quanto ne so, ci sono già altri film in lavorazione. È un ottimo modo per entrare nel vasto, potente e attraente mercato cinese.

Prego.

A. Savinykh: Vladimir Vladimirovich, se non ti dispiace, continuiamo a parlare di cinema. È uscito di recente in Occidente un film in cui uno dei personaggi sei tu. Il film si intitola “Il mago del Cremlino”. Hai visto questo film? Ti hanno mostrato qualche scena? Il tuo ruolo è stato interpretato dall’attore britannico Jude Law. Forse lo conosci?

V.Putin: No, non solo non ho visto questo film, ma è la prima volta che ne sento parlare. Non posso commentare nulla perché non lo so.

A. Savinykh: Allora, se non le dispiace, continuo con un altro argomento. Stava parlando di salute, e oggi è trapelato accidentalmente in onda un filmato in cui lei e il presidente Xi discutevate di età, immortalità e trapianto di organi.

V. Putin: Non ci ho nemmeno fatto caso. E allora?

A. Savinykh: Pensi davvero che le persone potranno vivere 150 anni o più?

V.Putin: Ah, questo, credo, quando stavamo andando alla parata, il Presidente ne stava parlando. Sì, questo argomento è stato sviluppato attivamente dal signor Berlusconi all’epoca.

I mezzi moderni, come il miglioramento della salute, i trattamenti medici e persino varie procedure chirurgiche legate alla sostituzione di organi, consentono all’umanità di sperare che la vita attiva continuerà in modo diverso da oggi. Sebbene l’età media vari nei diversi paesi, l’aspettativa di vita aumenterà significativamente.

Sai, non ricordo a che anno si riferiscono i dati delle Nazioni Unite, ma credo sia il 2050, anche se potrei sbagliarmi. Entro il 2050, ci saranno più persone sul pianeta con più di 65 anni che bambini di cinque o sei anni. Questo avrà implicazioni sociali, politiche ed economiche.

R.Sobol: Vladimir Vladimirovich, per favore, posso farti una domanda sul programma?

Grazie.

Tornando al tema della sua visita e al suo programma, ci dica: questo vertice della SCO è stato forse il più grande nella storia dell’organizzazione. Qual è il ruolo di questa organizzazione nel turbolento mondo odierno e può la SCO diventare un’alleanza politica in grado di contrastare efficacemente le minacce provenienti dall’Occidente?

Grazie.

V.Putin: La SCO non è stata concepita per scontrarsi con nessuno. Non ci siamo prefissati un compito del genere. E vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che, durante le discussioni e gli incontri bilaterali, non si è mai verificato nulla che potesse essere descritto come un inizio conflittuale in questi quattro giorni.

Siamo tutti pronti a lavorare e, soprattutto, a collaborare con una mentalità positiva. Non pensiamo a superare o battere qualcuno, o a ottenere risultati migliori attraverso la competizione. Ci concentriamo invece su come organizzare il nostro lavoro in modo efficace e raggiungere risultati positivi lavorando insieme.

Ecco a cosa serve la SCO.

I. Baldin: Posso porre una domanda correlata allo stesso argomento?

V. Putin: Puoi farlo.

I. Baldin: Vladimir Vladimirovich, mi dica per favore: l’Europa sta attualmente preparando il 19° pacchetto di sanzioni e non minaccia noi, ma i nostri partner. Cosa ne pensiamo? Lei ha parlato con un gran numero di membri e partner della SCO che potrebbero essere seriamente colpiti, tra cui India e Cina. Cosa ne pensano? Come possiamo reagire? Chi pensa che soffrirà di più?

V.Putin: Sai, stranamente, non abbiamo discusso molto di questi argomenti. Perché? Beh, a dire il vero, non ci riguardano molto. Gli eventi in Ucraina sono solo un pretesto per affrontare questioni economiche relative ad alcuni Paesi i cui legami economici non sono graditi a tutti.

Ad esempio, sì, esiste uno squilibrio commerciale tra Stati Uniti e India, e tra Stati Uniti e Cina. Ma non esiste alcuno squilibrio economico tra Brasile e Stati Uniti.

La scadenza era fissata per l’8 agosto e il 6 sono stati imposti dazi aggiuntivi al Brasile. Cosa c’entra l’Ucraina? Sebbene ci fossero riferimenti all’Ucraina. Cosa c’entra l’Ucraina? Niente. Ci sono problemi, in particolare nella situazione politica interna, incluso il rapporto tra l’attuale governo e l’ex presidente Bolsonaro. Cosa c’entra l’Ucraina? Niente. Questo è il primo punto.

Sì, ci sono alcuni problemi e squilibri negli scambi commerciali. Ma, a nostro avviso, dovrebbero comunque essere risolti durante il processo negoziale. Abbiamo appena tenuto consultazioni molto lunghe e approfondite con alcuni dei nostri partner, e non ne rivelerò i dettagli in questo momento. Abbiamo anche uno squilibrio a nostro favore con alcuni di loro.

Ma a cosa miriamo? Ci impegniamo a collaborare con i nostri partner per concordare cosa possono fornirci e cosa possiamo fornire loro, e a trovare soluzioni a questi problemi nell’ambito di questo sforzo collaborativo. E, tra l’altro, ci stiamo riuscendo. Abbiamo un partner con cui la nostra offerta di mercato è tre volte superiore a quella del nostro partner. E allora? Stiamo cercando pazientemente una soluzione.

In secondo luogo. Dopotutto, paesi come l’India – quasi un miliardo e mezzo di persone – o la Cina – un miliardo e 300 milioni, con economie potenti, ma anche con le proprie leggi politiche interne. Capite, perché quando dall’esterno dicono: e ora vi uccideremo, ora vi puniremo… Come leader di questi paesi – potenti, grandi, che hanno attraversato periodi molto difficili della loro storia, legati al colonialismo, legati a tentativi di attentato alla loro sovranità per un lungo periodo storico – come dovrebbero reagire?

Se uno di loro cede, la sua carriera politica sarà finita, proprio come è finita l’era coloniale. Oggi è impossibile parlare con questi partner con questo tono. Credo che prima o poi tutto si sistemerà e si tornerà a un normale dialogo economico.

D. Peskov: Ci viene posta l’ultima domanda.

V. Putin: Diamo alle ragazze qualche informazione sui negoziati. Di che tipo di negoziati stiamo parlando? Ne abbiamo avuti molti.

O. Matveeva: Lei ha detto di essere pronto ad alzare il livello del gruppo negoziale nei contatti con l’Ucraina. Mi dica, per favore, chi potrebbe essere? Sergej Lavrov, per esempio, il suo assistente Ushakov o il Ministro della Difesa Belousov?

In questo contesto, è soddisfatto dei risultati delle negoziazioni del gruppo precedente, in particolare del lavoro di Medinsky?

Grazie.

V.Putin: Sono soddisfatto del lavoro di Medinsky. Se c’è bisogno di fare qualcosa per elevare il livello del suo lavoro a livello politico, siamo pronti. Non vorrei specificare o nominare persone specifiche in questo momento, ma siamo pronti a elevarlo a un livello politico veramente elevato. L’importante è il risultato.

Penso che ciò che sta facendo ora il nostro team di negoziazione, sotto la guida del mio assistente, Vladimir Rostislavovich Medinsky, sia un buon esempio di moderazione e approccio professionale.

G. Ivanov: Posso chiederti di un altro assistente?

V. Putin: Forse puoi chiederglielo.

G. Ivanov: Il fatto è che volevo parlarti del lavoro di Steve Whitkoff.

Il fatto è che attualmente sta affrontando molte dure critiche da parte sia dei media che dei politici occidentali. Viene accusato di avervi frainteso durante i negoziati, di aver travisato il contenuto dei vostri incontri con il presidente Donald Trump e persino di essere troppo simpatizzante nei confronti della Russia. Come valuterebbe la sua performance?

Grazie.

V. Putin: Non è mio compito né mia competenza valutare il lavoro dell’Assistente del Presidente degli Stati Uniti. Questo compito spetta al suo datore di lavoro, ovvero il Presidente Trump.

Sono assolutamente convinto che il signor Whitcoff stia trasmettendo a me e agli altri membri del team dirigente russo la posizione del Presidente americano, e non un’altra posizione. I nostri negoziati ad Anchorage hanno dimostrato, come è emerso chiaramente dal contesto delle nostre discussioni, che sta trasmettendo correttamente la posizione russa al Presidente Trump.

E il fatto che stia trasmettendo in modo accurato e obiettivo questa posizione, la posizione della leadership americana, mi è diventato assolutamente chiaro durante la discussione ad Anchorage. Perché ciò di cui abbiamo discusso io e il signor Whitcoff, lo abbiamo pienamente confermato alla presenza del Presidente Trump, e lui non ha obiettato che questa fosse la sua posizione.

Ci sono molte domande molto difficili, è vero. Ma credo che questo sia il nocciolo della questione: chi critica Whitcoff è chi non apprezza la sua posizione, ma non apprezza nemmeno quella di Trump, e questo è ciò che conta.

Esistono diversi approcci alla soluzione. C’è chi sostiene che bisogna combattere fino all’ultimo ucraino, come alcuni in Europa stanno cercando di presentare, e c’è chi, come i rappresentanti dell’attuale amministrazione americana e il Presidente stesso, sta cercando di trovare una soluzione, e per giunta pacifica. E la prima parte, il “partito della guerra”, attacca sempre l’altra parte, il “partito della pace”, e tutto il resto sono solo speculazioni e insinuazioni, volte a sostenere la loro posizione.

Prego.

E. Mukhametshina: Trump ha commentato la parata prima ancora che avesse luogo, dicendo: “Spero che Xi si ricordi dei soldati americani che hanno aiutato la Cina durante la Seconda Guerra Mondiale”. Ha anche scritto: “Per favore, trasmetti i miei più sentiti saluti a Vladimir Putin e Kim Jong-un mentre complottano contro gli Stati Uniti”.

Come puoi commentare questo?

V. Putin: Il Presidente degli Stati Uniti non è privo di umorismo: tutto è chiaro, tutti lo sanno bene. Ho instaurato un buon rapporto con lui. Ci chiamiamo per nome.

Posso dirtelo, e spero che anche lui lo senta: può sembrare strano, ma durante questi quattro giorni di negoziati, sia informali che formali, nessuno ha mai espresso opinioni negative sull’attuale amministrazione americana. Questo è il primo punto.

In secondo luogo. Tutti i miei interlocutori, senza eccezioni, voglio sottolinearlo, hanno tutti sostenuto il nostro incontro ad Anchorage. E tutti hanno espresso la speranza che la posizione del Presidente Trump, della Russia e degli altri negoziatori porti alla fine del conflitto armato. Questo senza ironia o battute.

Dal momento che lo dico in pubblico, sarà visto e sentito in tutto il mondo, e questo è il modo migliore per garantire che dica la verità. Perché? Perché anche le persone con cui ho parlato negli ultimi quattro giorni lo sentiranno, e saranno loro a dire: “Sì, è vero”. Non l’avrei fatto se non fosse stato vero, perché mi avrebbe fatto fare brutta figura di fronte ai miei amici, alleati e partner strategici. È esattamente così che è successo.

E vorrei tornare a quanto ho detto al suo collega alla mia destra. Le attività della SCO e quelle dei nostri partner, compresi i nostri partner strategici, non mirano a combattere nessuno, ma piuttosto a trovare i modi migliori per sviluppare noi stessi, i nostri Paesi, i nostri popoli e le nostre economie.

Prego.

O. Samsonova: RIA Novosti, Olga Samsonova.

Vladimir Vladimirovich, recentemente a Baku sono state rilasciate diverse dichiarazioni sulla Russia. Vorremmo chiederle come valuta lo stato attuale delle relazioni tra i nostri due Paesi. Cosa è successo tra noi e come possiamo instaurare un dialogo?

Grazie

V.Putin: Ha detto che voleva porre una domanda, e ne ha poste quattro contemporaneamente. Posso rispondere brevemente? Nelle relazioni tra Paesi, ci sono sempre delle domande che nascono dalla situazione attuale o da qualche congiuntura politica.

Ci sono problemi. Ma oggi ho salutato il Presidente Aliyev e sua moglie e abbiamo scambiato qualche parola. Tuttavia, credo che le relazioni fondamentali tra Azerbaigian e Russia e il reciproco interesse per il loro sviluppo alla fine rimetteranno tutto a posto.

Per favore, riguardo ai combattenti.

V. Alfimov: Valentin Alfimov, Komsomolskaya Pravda.

Vladimir Vladimirovich, oggi abbiamo parlato molto della pace in Ucraina, degli accordi tra i Paesi, di ciò che l’Europa offre e di ciò di cui l’Ucraina ha paura. Ma credo che non abbiamo affrontato una questione importante.

V. Putin: Ognuno di voi nominerà quello più importante.

V. Alfimov: Ricevete regolarmente resoconti dal campo di battaglia e sappiamo che comunicate regolarmente con i comandanti nelle trincee e con i soldati nelle trincee. Cosa dicono della pace? Sono pronti ad accettare un cessate il fuoco e questi accordi, o insistono nel combattere fino alla fine?

V.Putin: Voglio sottolinearlo, sono in larga maggioranza a favore del raggiungimento da parte della Russia di tutti gli obiettivi delineati all’inizio dell’operazione militare speciale. Tutto il resto è di secondaria importanza.

E come? Meglio, ovviamente, con mezzi pacifici. Lo abbiamo ripetutamente offerto alla parte avversa, sia letteralmente che figurativamente. Vedremo come questo processo si svilupperà ulteriormente, anche con l’assistenza dell’attuale amministrazione [Trump].

Prego.

D. Peskov: Vladimir Vladimirovich, questo potrebbe continuare a lungo.

V. Putin: No, finiamo adesso.

Prego.

A. Nefyodova: Vladimir Vladimirovich!

Alyona Nefyodova, quotidiano Izvestia.

Al vertice di Anchorage, avete invitato Donald Trump a visitare Mosca e a incontrarvi. La prego di comunicarci se sono in corso i preparativi per questo incontro, se sono già stati presi accordi e se conoscete la data approssimativa dell’incontro.

V. Putin: La data non è nota e non sono in corso i preparativi per l’incontro, ma l’invito è sul tavolo.

Prego.

L. Alexandrov: Lyudmila Alexandrov, Moskovsky Komsomolets.

Lei afferma che Russia e Cina sono a favore di un ordine mondiale equo basato sulla maggioranza globale. Ci spieghi cosa, secondo lei, è ingiusto nell’attuale sistema mondiale e quali meccanismi potrebbero risolverlo?

V. Putin: È chiaro che questo è un mondo ingiusto e unipolare.

Il fatto è che costruiremo le nostre relazioni non sulla base della maggioranza, cioè non sulla base della quantità , ma sulla base di un’idea, sulla base di considerazioni ideologiche.

E l’idea – l’ho già detto – è che il mondo dovrebbe essere multipolare. Ciò significa che tutti i partecipanti alle relazioni internazionali dovrebbero essere uguali, e non dovrebbero esserci più diseguaglianze, e il mondo unipolare dovrebbe cessare di esistere, anche nell’interesse di quei popoli, almeno, di quei paesi i cui leader ancora difendono questo sistema obsoleto e, si potrebbe dire, obsoleto.

Concludiamo qui. Grazie mille. [Corsivo mio]

A mio parere, non potrebbe essere più chiaro: il futuro ordine mondiale multipolare sarà il prodotto di idee provenienti da numerose fonti – “sulla base di considerazioni ideologiche” – alcune vecchie, altre nuove. L’affermazione più rivelatrice: “Può sembrare strano, ma durante questi quattro giorni di negoziati, sia informali che formali, nessuno ha mai espresso opinioni negative sull’attuale amministrazione americana”. Ma non ha detto che sia stato espresso nulla di positivo. Molto probabilmente, tutti i delegati e i capi di Stato erano così profondamente coinvolti nel lavoro che erano venuti a svolgere che Trump non è mai entrato nella mente di nessuno – era irrilevante per la questione in questione; e per una persona come Trump, questo è molto negativo e poco lusinghiero. Stiamo costruendo qualcosa di nuovo ed entusiasmante; voi non volete farne parte; quindi, ignoreremo voi e il vostro comportamento e lavoreremo per il nostro futuro. Sfortunatamente, non è stata posta alcuna domanda sul perché Putin abbia detto “ilIniziativa cinese sulla governance globale. Credo che sia molto tempestiva.” Nello specifico, perché la ritiene “tempestiva”.

Nel frattempo, molti altri incontri con altri capi di Stato dopo la grande parata, e poi il quarto giorno la breve tappa a Vladivostok per l’Eastern Economic Forum, dove Putin parteciperà alla sessione plenaria di venerdì. Forse non è la melodia giusta in questo contesto, ma ” The Heat is On” è saltato fuori e ha fatto la sua comparsa, perché è questo che, a mio avviso, il mondo multipolare sta applicando al mondo unipolare in declino. Pepe Escobar capirà.

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Iniziativa di governance globale = Carta delle Nazioni Unite 2.0

Carlo Sánchez3 settembre
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In risposta alla Global Governance Initiative di Xi Jinping sono stati generati molti commenti costruttivi e illuminanti, che diventano ancora più evidenti se si considerano i punti simili della Dichiarazione di Tianjin . Considerati gli ultimi 80 anni di storia e il fatto che la Carta delle Nazioni Unite sia stata immediatamente violata dal suo principale autore, molti hanno ritenuto che l’Iniziativa di Xi cercasse di ignorare quella storia e di riavviare il processo apportando riforme chiave al documento iniziale, risolvendo problemi imprevisti inerenti alla Carta 1.0 originale delle Nazioni Unite e ad altri emersi negli ultimi 80 anni. La stragrande maggioranza delle nazioni ha aderito alla Carta 1.0 da quando l’ha ratificata diventando membro delle Nazioni Unite; quindi, non c’è una forte richiesta di riscriverla, mentre esiste una forte richiesta di riformarla e modificarla. Esiste anche una forte richiesta di una maggiore inclusione della Maggioranza Globale nelle sue organizzazioni, che porrà fine al controllo artificiale e ingiustificato da parte delle ex nazioni coloniali occidentali e dei principali violatori della Carta delle Nazioni Unite.

Il più grande ostacolo al corretto funzionamento dell’ONU come organo di governo globale è il diritto di veto concesso ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e il suo recente utilizzo da parte dell’Impero degli Stati Uniti fuorilegge per favorire il genocidio in Palestina, nonché l’incapacità di disciplinare i sionisti e attuare la soluzione concordata dall’ONU. Si sostiene che il diritto di veto abbia impedito lo scoppio di una guerra nucleare. Si sostiene anche che l’Impero degli Stati Uniti fuorilegge si rifiuterà di aderire a qualsiasi organizzazione in cui non abbia potere di veto. Il più grande violatore della Carta delle Nazioni Unite nei suoi 80 anni di storia è l’Impero degli Stati Uniti fuorilegge e, quando lo fa, viola anche la propria legge nazionale, la Costituzione. Si tratta di un comportamento che dura da 80 anni e che non è mai stato messo in discussione politicamente all’interno dell’Impero. Perché? La risposta ovvia è che le élite che governano l’Impero preferiscono essere fuorilegge piuttosto che cittadini globali rispettosi della legge. E il presidente Trump incarna questo comportamento. Forse la motivazione principale per una Carta ONU 2.0 è quella di eliminare il veto del Consiglio di Sicurezza e costringere l’Impero fuorilegge degli Stati Uniti a firmare e ratificare la Carta ONU 2.0. Data l’attuale composizione politica dell’Impero e il fatto che viola in modo sconsiderato le sue stesse leggi fondamentali, dubito fortemente che Trump la firmerebbe; e anche se lo facesse, dubito fortemente che il Senato la ratificherà.

Ora, Xi e i membri della SCO erano molto attenti a non citare direttamente l’Impero degli Stati Uniti fuorilegge come principale motore della Global Governance Initiative e nella Dichiarazione di Tianjin, ma a un certo punto le sottigliezze diplomatiche devono cessare e la vera politica deve prendere il sopravvento. L’autore ammette di aver cercato per decenni una soluzione all’egemonia illimitata e alla violazione della legge dell’Impero degli Stati Uniti fuorilegge che non invochi una guerra nucleare. La Carta 1.0 delle Nazioni Unite è stata scritta e approvata in un periodo di tempo piuttosto breve, mentre infuriava la Seconda Guerra Mondiale. Molti eminenti diplomatici e studiosi in tutto il mondo ne hanno elogiato la completezza. A questo link è disponibile il testo inglese del discorso di Xi ” Mettere in comune le forze dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai per migliorare la governance globale “, dove si può notare che i cinque punti principali non sono molto complessi e la maggior parte si trova nella Carta 1.0 delle Nazioni Unite. Più avanti nel discorso, quando si affrontano i dettagli della SCO, Xi afferma che la SCO non sta “prendendo di mira alcuna terza parte”; Eppure, il motivo per cui la governance globale richiede miglioramenti è dovuto a quella terza parte, e a mio parere tutti lo sanno, compresa quella terza parte, anche se probabilmente si opporrebbe a qualsiasi cambiamento dello status quo.

L’idea di riscrivere la Carta delle Nazioni Unite è già stata presa in considerazione in passato. Tuttavia, l’idea di presentare la Carta delle Nazioni Unite 2.0 come un aggiornamento dell’originale sembra più allettante e politicamente sostenibile laddove molto rimane com’era, mentre vengono modificati solo gli aspetti che richiedono un forte cambiamento. E la cosa più auspicabile sarebbe che le nazioni ratificassero nuovamente la Carta e accettassero i principi di buona governance proposti da Xi Jinping, che affondano le loro radici nel Trattato di Westfalia. Quelle poche nazioni che si sentono eccezionali e non hanno bisogno di rispettare le regole dell’umanità civile possono quindi rendere note le loro scelte, anche se mi auguro che consentano ai loro cittadini di fare tale scelta democraticamente.

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Vladimir Putin aggiorna i giornalisti e il mondo sulla politica russa nei confronti dell’Ucraina

Larry C Johnson5 settembre
 
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Vladimir Putin ha tenuto una conferenza stampa in Cina martedì sera, ora di Pechino, e ha fornito un aggiornamento completo sulla politica della Russia nei confronti dell’Ucraina e sui negoziati con gli Stati Uniti. Il testo completo è disponibile qui.

Per cominciare, vorrei richiamare la vostra attenzione sulla reazione del presidente Putin al post infantile pubblicato da Donald Trump su Truth, in cui accusava Putin e Kim Jong-un di cospirare contro gli Stati Uniti. La risposta di Putin è un classico esempio di come agisce uno statista:

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E. Mukhametshina: Trump ha commentato la parata prima ancora che avesse luogo, dicendo: «Spero che Xi ricorderà i soldati americani che hanno aiutato la Cina durante la Seconda guerra mondiale». Ha anche scritto: «Porgete i miei più cordiali saluti a Vladimir Putin e Kim Jong-un mentre complottano contro gli Stati Uniti».

Come puoi commentare questo?

V. Putin: Il presidente degli Stati Uniti non è privo di senso dell’umorismo: è tutto chiaro, lo sanno bene tutti. Ho instaurato un ottimo rapporto con lui. Ci chiamiamo per nome.

Posso dirvi, e spero che anche lui lo senta: può sembrare strano, ma durante questi quattro giorni di negoziati, sia informali che formali, nessuno ha mai espresso opinioni negative sull’attuale amministrazione americana. Questo è il primo punto.

Secondo. Tutti i miei interlocutori, senza eccezioni, voglio sottolinearlo, hanno appoggiato il nostro incontro ad Anchorage. E tutti hanno espresso la speranza che la posizione del presidente Trump e quelle della Russia e degli altri negoziatori possano portare alla fine del conflitto armato. Questo senza alcuna ironia o battute.

Dato che lo sto dicendo pubblicamente, sarà visto e sentito in tutto il mondo, e questo è il modo migliore per garantire che sto dicendo la verità. Perché? Perché anche le persone con cui ho parlato negli ultimi quattro giorni lo sentiranno, e saranno loro a dire: “Sì, è vero”. Non l’avrei fatto se non fosse vero, perché mi avrebbe fatto fare brutta figura davanti ai miei amici, alleati e partner strategici. È andata proprio così.

E vorrei tornare a quanto ho detto al suo collega alla mia destra. Le attività della SCO e quelle dei nostri partner, compresi i nostri partner strategici, non mirano a combattere nessuno, ma piuttosto a trovare i modi migliori per sviluppare noi stessi, i nostri paesi, i nostri popoli e le nostre economie.

Putin mantiene un atteggiamento dignitoso, almeno nei confronti di Donald Trump. Il signor Putin ha avuto una reazione leggermente diversa alle dichiarazioni del cancelliere tedesco Merz, che aveva etichettato il presidente Putin come criminale di guerra. Piuttosto ironico, detto da Merz, considerando le lodi che ha rivolto a Bibi Netanyahu, che è un vero criminale di guerra.

A. Kolesnikov: Andrey Kolesnikov, quotidiano Kommersant.

E, se non le dispiace, ancora una domanda. Qualche ora fa, il cancelliere tedesco Merz l’ha definita forse il criminale di guerra più grave dei nostri tempi. Cosa ne pensa?

V. Putin: Quando?

A. Kolesnikov: Solo un paio d’ore fa.

V. Putin: Capisco…

Per quanto riguarda le dichiarazioni che hai citato, che anche Peskov mi ha riferito pochi minuti fa, cosa ne penso? Penso che si tratti di un tentativo fallito di assolvere se stesso, non personalmente, ma il suo Paese e l’Occidente collettivo in generale, dalla responsabilità della tragedia che si sta consumando in Ucraina.

Cosa intendo dire? L’ho già detto molte volte: nel 2014 i ministri di tre paesi europei si sono recati a Kiev e hanno firmato un documento che era essenzialmente un accordo tra l’attuale governo, l’allora presidente Yanukovich e l’opposizione. Secondo questo accordo, tutte le controversie politiche dovevano essere risolte nel quadro costituzionale, in modo pacifico e legale.

E solo un giorno o due dopo, ci fu un colpo di Stato, sanguinoso e brutale. Nessuno di questi garanti fece nulla per riportare la situazione nel quadro giuridico. È qui che è iniziato il conflitto, perché subito dopo hanno cominciato a verificarsi gli eventi in Crimea e il regime di Kiev ha lanciato operazioni militari utilizzando veicoli blindati e aerei contro la popolazione civile delle regioni dell’Ucraina che non erano d’accordo con il colpo di Stato. Hanno poi minato tutti i nostri tentativi di risolvere la questione pacificamente e hanno pubblicamente rifiutato di attuare gli accordi di Minsk.

Allora, chi è responsabile della tragedia che sta avvenendo? Coloro che ci hanno portato a questa situazione ignorando completamente gli interessi di sicurezza della Russia. Se qualcuno ritiene accettabile trattare il popolo del nostro Paese con tale disprezzo, deve sapere che non permetteremo mai una situazione in cui la Russia rimanga passiva e non reagisca agli eventi che si stanno verificando intorno a lei.

Putin è piuttosto chiaro nel ritenere l’Occidente totalmente responsabile della creazione dei presupposti che hanno portato all’Operazione Militare Speciale (SMO) nel febbraio 2022. Il suo avvertimento all’Occidente è chiaro: se trattate la Russia con disprezzo, la Russia risponderà in modo adeguato.

La risposta del presidente Putin a una domanda su quando finirà la SMO ha rivelato che Putin continua a sperare che si possa raggiungere un accordo per porre fine alla guerra, ma è anche pronto a concluderla con mezzi militari.

O. Skabeeva: Buonasera! Olga Skabeeva, canale televisivo Russia TV. . . .

E un’altra domanda importante sull’operazione speciale: Vladimir Vladimirovich, c’è la possibilità che finisca nel prossimo futuro? Come la vede, ritiene che ci stiamo avvicinando alla fine?

V. Putin: Probabilmente inizierò dalla seconda parte, poiché è quella fondamentale.

Nel 2022 abbiamo suggerito alle autorità ucraine di rispettare la scelta della popolazione che vive nel sud-est dell’Ucraina, ritirare le loro truppe e porre immediatamente fine al conflitto. Devo dire che questo suggerimento non è stato completamente respinto.

Ma dopo che abbiamo ritirato le nostre truppe da Kiev su insistenza dei nostri colleghi dell’Europa occidentale, la situazione è cambiata e ci è stato detto, quasi testualmente, che avremmo continuato a combattere fino a quando voi non avreste cambiato idea o noi non avremmo cambiato la nostra. Non ricordo se l’ho detto pubblicamente, ma era qualcosa del genere, anche se in termini più schietti, ma era abbastanza aperto e, stranamente, amichevole: o noi o voi. Questo è ancora in corso.

Tuttavia, mi sembra che se prevarrà il buon senso, sarà possibile concordare un modo accettabile per porre fine a questo conflitto. Questa è la mia ipotesi.

Inoltre, possiamo vedere l’atteggiamento dell’attuale amministrazione statunitense guidata dal presidente Trump, e non si tratta solo delle loro richieste, ma del loro sincero desiderio di trovare una soluzione. Credo che ci sia un barlume di speranza alla fine del tunnel. Vediamo come si evolve la situazione. In caso contrario, dovremo affrontare le nostre sfide con mezzi militari.

Infine, vi invito a leggere le risposte di Putin a due domande che gli sono state poste in merito alle garanzie di sicurezza e al raggiungimento di un risultato negoziato. Non si limita a fare qualche abile gioco di parole da avvocato tap dancing mentre analizza la Costituzione ucraina… Putin spiega molto chiaramente perché negoziare con Zelensky sia un vicolo cieco.

P. Zarubin: Buonasera!

Pavel Zarubin, canale televisivo russo.

Lei parla spesso delle cause profonde della crisi ucraina e ieri, tra l’altro, ha anche parlato delle ragioni dell’adesione dell’Ucraina alla NATO. Tuttavia, stiamo assistendo a leader europei che affermano di fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina, ma che sono principalmente concentrati sul dispiegamento delle loro truppe in Ucraina. Inoltre, molti continuano a sostenere l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.

Ma vediamo anche che l’Unione Europea si sta rapidamente trasformando da un’unione economica a un blocco militare-politico, con decisioni e dichiarazioni aggressive quasi costanti.

Come puoi commentare tutti questi scenari?

V. Putin: Concordo con chi ritiene che ogni Paese abbia il diritto di scegliere il proprio sistema di sicurezza. Questo vale per tutti i Paesi, compresa l’Ucraina. Tuttavia, ciò significa anche che la sicurezza di una parte non può essere garantita a scapito della sicurezza di un’altra parte, in questo caso la Federazione Russa.

Ci siamo sempre opposti all’adesione dell’Ucraina all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, ma non abbiamo mai messo in discussione il suo diritto di condurre le proprie attività economiche e commerciali come ritiene opportuno, compresa l’adesione all’Unione Europea.

A. Yunashev: Possiamo continuare a parlare dell’Ucraina?

V. Putin: Certo che puoi.

A. Yunashev: Alexander Yunashev, Vita.

Mentre Russia e Stati Uniti discutono dei loro sforzi per raggiungere una soluzione pacifica in Ucraina, la formula “garanzie di sicurezza in cambio di territorio” sta diventando sempre più popolare. Questo è in linea con quanto discusso con Trump in Alaska?

E cosa intende quando dice che la Russia è pronta a partecipare allo sviluppo di queste garanzie? Chi dovrebbe essere il garante, secondo lei?

E, se non le dispiace, riguardo a Zelensky: ha senso incontrarlo ora, nelle circostanze attuali? È possibile raggiungere qualche accordo in questo incontro?

Grazie.

V. Putin: La prima parte, ancora una volta.

A. Yunashev: Gli sforzi degli Stati Uniti: attualmente circolano alcune ipotesi secondo cui esisterebbe una formula di “garanzie di sicurezza in cambio di territori”.

V. Putin: No, non abbiamo mai sollevato la questione né ne abbiamo discusso in questi termini.

Le garanzie di sicurezza sono naturali, e ne parlo spesso. Crediamo che ogni paese dovrebbe avere queste garanzie e un sistema di sicurezza, compresa l’Ucraina. Tuttavia, questo non ha nulla a che vedere con eventuali scambi, tanto meno con scambi territoriali.

Ad essere sinceri, vorrei sottolineare che non stiamo combattendo tanto per i territori quanto per i diritti umani e per il diritto delle persone che vivono in questi territori di parlare la propria lingua, di vivere nella propria cultura e di seguire le tradizioni tramandate dalle generazioni precedenti, dai loro padri, dai loro nonni e così via. Questo è l’obiettivo principale dei nostri sforzi.

E se queste persone, nel corso delle procedure democratiche elettorali, compresi i referendum, hanno espresso il loro sostegno all’adesione alla Federazione Russa, questa opinione dovrebbe essere rispettata. Questa è democrazia – vorrei ricordarlo a chi lo ha dimenticato. E, tra l’altro, ciò è pienamente conforme al diritto internazionale: vorrei ricordare i primi articoli della Carta [dell’Organizzazione] delle Nazioni Unite, che sanciscono esplicitamente il diritto delle nazioni all’autodeterminazione.

Ma non colleghiamo l’uno all’altro: territori e garanzie di sicurezza. Naturalmente, possiamo dire che si tratta di argomenti correlati, ma non li colleghiamo direttamente. Questo non è stato un argomento discusso durante il dibattito di Anchorage.

Per quanto riguarda eventuali incontri con Zelensky, ne ho già parlato. In generale, non ho mai escluso la possibilità di un incontro del genere. Questi incontri hanno senso? Vedremo.

Secondo la Costituzione dell’Ucraina – alcuni potrebbero essere d’accordo, altri no, basta leggere attentamente il testo – non esistono disposizioni nella Costituzione dell’Ucraina che prevedano la proroga del mandato del Presidente dell’Ucraina. Se si viene eletti per un mandato di cinque anni e i cinque anni sono trascorsi, il mandato è terminato.

Esiste una disposizione secondo cui durante la legge marziale non si tengono elezioni. Sì, è vero. Tuttavia, ciò non significa che i poteri del presidente vengano estesi. Significa invece che i suoi poteri scadono e che i suoi diritti vengono trasferiti al presidente della Rada, compresa la sua autorità di comandante supremo delle forze armate.

Cosa dovrebbero fare le attuali autorità se vogliono essere legittime e partecipare pienamente al processo di risoluzione? Innanzitutto, dovrebbero indire un referendum: secondo la Costituzione ucraina, le questioni territoriali possono essere risolte solo attraverso un referendum, per quanto mi ricordo. Tuttavia, un referendum non può essere indetto durante uno stato di guerra, come previsto dalla Costituzione. Pertanto, per indire un referendum, è necessario revocare lo stato di guerra. Una volta fatto ciò, si devono tenere le elezioni. Questo processo continuerà a tempo indeterminato.

Il risultato delle elezioni non è chiaro, ma qualunque esso sia, è necessario ottenere un parere corrispondente dalla Corte costituzionale, come stabilito dalla legge principale. Tuttavia, come si può ottenere un parere della Corte costituzionale quando, dopo che le autorità hanno chiesto alla Corte costituzionale ucraina di confermare l’estensione dei poteri presidenziali e la Corte ha di fatto rifiutato di farlo, cosa è successo in Ucraina? Può sembrare ridicolo, ma le guardie di sicurezza hanno impedito al presidente della Corte costituzionale di entrare nel suo ufficio.

Ecco, il film è finito. Ma non proprio, perché per quanto ne so, non so dove si trovi adesso, ma a un certo punto è andato all’estero. Tuttavia, negli ultimi anni, i poteri di alcuni membri della Corte costituzionale sono scaduti. Di conseguenza, la corte non ha il quorum necessario per prendere decisioni. Pertanto, limitarsi a tenere riunioni con l’attuale capo dell’amministrazione, diciamo, in modo delicato, è una strada senza uscita.

È possibile – non mi sono mai rifiutato di farlo – se l’incontro è ben preparato e porta a risultati positivi. A proposito, Donald mi ha chiesto se fosse possibile organizzare un incontro del genere. Ho risposto di sì, è possibile. Dopotutto, se Zelensky è pronto, può venire a Mosca e l’incontro avrà luogo.

Questo è il paragrafo chiave del suo discorso:

Secondo la Costituzione ucraina, le questioni territoriali possono essere risolte solo tramite referendum, per quanto mi ricordo. Tuttavia, un referendum non può essere indetto durante uno stato di guerra, come previsto dalla Costituzione. Pertanto, per indire un referendum, è necessario revocare lo stato di guerra. Una volta fatto ciò, è necessario indire le elezioni. Questo processo continuerà all’infinito.

Spero che il presidente Trump e il suo inviato, il signor Witkoff, prestino attenzione alle parole scelte con cura dal signor Putin.

Oggi ho registrato due podcast: il primo con i ragazzi di The Duran, e il secondo con Garland Nixon. Buon ascolto!

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Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma, di Cesare Semovigo

Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma 

Il Circo Multipolare a Scuola dal Mainstream

Il Paradiso delle aspettative va pazzo per il fascino irresistibile delle voci di corridoio geopolitiche da social, quelle che si diffondono come un virus glamour in un party esclusivo, promettendo scandali succosi e rivelazioni epiche, ma lasciando solo hangover di disinformazione. 

Sembra che quel brivido effimero che fa impazzire le masse digitali sia più di moda delle orride ballerine che vestivano le ragazze qualche anno fa , sinonimo azzeccato per tutti coloro che scambiano il dramma per amore crepuscolare  per il trash-grottesco del mille non più mille al plutonio . 

In questo teatrino multipolare dove tutti fingono di ballare la rumba sul palco – ma in quello quello vero, però, c’è poco del movimento virtuale, solo coreografie goffe e sincopate – e tutti finiscono per pestarsi i piedi in un caos di alleanze precarie e egoismi nazionali e ricatti del vorrei ma non posso . 

Come da pronostici, spunta la chicca della settimana enigmistica multipolare (quella poco sopra ai lividi sulle mani di Trump, sì, quel new sangue di cervo di Putin che macchia le pagine della diplomazia):

 Narendra Modi, il leone indiano con la criniera di saggezza orientale ( scherzo ) , avrebbe snobbato quattro chiamate dal bulldozer atlantico Donald Trump, in mezzo a una tempesta di tariffe e insulti sull’economia “morta”.

Una narrazione succulenta un po’ Bollywood e un po’ serie tratta da Asimov su Apple TV ( ma scritta da un team di sceneggiatori Lgbt woke ) , amplificata da media indiani come India Today e WION, con un tocco internazionale dal Daily Express britannico( lo avreste mai detto? ) , tutti a citare il solido Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) come se fosse il Vangelo secondo Adenauer . 

Peccato che una verifica OSINT su faz.net riveli un vuoto cosmico: nessun articolo originale, solo un echo chamber semi-artificiale, gonfiato per clickbait anti-Modi, con un retrogusto pro-Pakistan o anti-BRICS che puzza di calcolo predatorio. 

Modi “offeso”? Trump il persuasore seriale? O forse è frizione tattica in un partenariato strategico che resiste da 25 anni, dove l’India bilancia autonomia energetica senza isolarsi come un eremita in Himalaya. In un quadro multipolare moderato, evitiamo le favole BRICS-friendly: qui si gioca a scacchi, non a Monopoli con quel gioco che sembra domino al quale il maschio medio cinese sputtana gli stipendi in un ora . 

Verifica e l’Effetto Echo Chamber: Un Circo di Specchi Deformanti

La bufala parte da resoconti secondari che invocano FAZ come un totem sacro, ma ricerche mirate su faz.net – con query tipo “Trump Modi Anrufe abgelehnt” – producono solo echi di nulla, deviando su festival cinematografici o altre amenità frivole, come se il mondo della diplomazia fosse un sideshow al carnevale di Venezia. Invece, il web pullula di cloni: The Telegraph India, Tasnim News Agency, tutti a rimbalzare la palla senza un link diretto, come in una partita di ping-pong truccata dove la pallina è invisibile e il punteggio truccato. 

Su X, la viralità è da manuale: post sensazionali con immagini di Modi e Trump, condivisi da Deccan Chronicle e affini, creano un loop di feedback che amplifica il nulla, un vortice digitale che succhia credulità come un buco nero di fake news. Bias evidenti? Pro-Pakistan, con enfasi sulle cene ovali di Trump con generali pakistani, o anti-BRICS, dipingendo l’India alla deriva verso la Cina per “provocazioni” yankee.

 È l’economia del clickbait al suo meglio: sfrutta frizioni indo-americane per minare Modi, il decisore che non si piega ai capricci atlantici. In un’era multipolare, dove l’informazione è guerra ibrida – un cocktail letale di propaganda e pixel – queste voci erodono fiducia come acido su un’armatura arrugginita – senza un briciolo di fatti, lasciando solo residui di sospetto e manipolazione.

Distorsioni e Frizione Commerciale: Le Tariffe sono Vere ma gli Insulti sono Fantasma

Le chiamate ignorate? Pura fantasia, un’illusione evanescente come un miraggio nel deserto del Rajasthan. Gli insulti trumpiani sull’“economia morta”? Fantasie effimere , volatili come un tweet cancellato all’alba sostenendo di avere subito un attacco hacker .

E le tariffe ? Quelle sì sono reali , assestate come un pugno nello stomaco: 25% per surplus commerciale, più 25% per petrolio russo, totalizzando 50% su tessili e auto parts, effettive dal 27 agosto 2025. 

L’amministrazione Trump le vede come punizione per chi finanzia la “macchina da guerra di Putin”, ma Nuova Delhi ribatte: “Ingiuste, ingiustificate, irragionevoli”, difendendo una diversificazione energetica che è linfa vitale in un mondo volatile, un balletto di forniture che evita la dipendenza da un solo ballerino. 

Quindi qual’è l’ultimo contatto confermato? 

È la chiamata del 17 giugno 2025, con Modi a chiarire: nessuna mediazione USA post-Operation Sindoor tra India e Pakistan. Frizione tattica, non frattura: surplus da 30 miliardi annui, un quinto delle esportazioni indiane verso USA – interdipendenza che resiste, come un matrimonio di convenienza dove si litiga ma non si divorzia, rafforzando i vincoli attraverso le tempeste vere o media-virtuali che siano . 

La Complessità: Multipolare ma senza Illusioni sui BRICS

Per non ridurci a spettatori rumorosi e impotenti come l’UE di Ursula la disgregatrice – quella maestra di divisioni eleganti, che trasforma unioni in frammenti con un sorriso burocratico – aggiungiamo strati di complessità, come veli su un antico manoscritto indiano. 

Post-Cipro (giugno 2025, Modi insignito della Grand Cross Makarios III, un “collare blu”( Grand Cross Makarios III, un “collare blu” per legami UE-Medio Oriente), l’India flirta con venture UK nella City of London: 6 miliardi di sterline in tech verdi, allineandosi a neocon USA e globalisti dem, lontana da una “mentalità BRICS completa” che sa di trappola cinese, un labirinto di promesse che celano catene. Spaccature Cina-India: Galwan 2020 evolve in dialoghi sussurrati, ma CPEC pakistano – con progetti idrici e militari in Kashmir – è una spina nel fianco, come un vicino che ti ruba l’acqua dal rubinetto, prosciugando risorse con un ghigno diplomatico. 

Trump e big tech? Apple sposta fabbriche anti-Cina in India, decoupling che attira Nuova Delhi senza rompere con Mosca – energia low-cost contro sanzioni atlantiche, un equilibrio che profuma di pragmatismo orientale.

 Modi multi-allineato ( cosa altro potrebbe fare ): evita binari ideologici, usa frizioni per diversificare, in un multipolarismo moderato che non è egemonia “zen” cinese né caos yankee, ma un mosaico di opportunità intrecciate con cautele antiche.

Prospettive Macro Predittive: Pivot Fluido e nessun Eldorado

Avanti, con realismo kissingeriano – quel genio degli equilibri precari, che orchestrava superpotenze come un direttore d’orchestra in un concerto di tuoni –: 60% status quo, bilancia BRICS-Occidente per autonomia, un ponte sospeso tra Oriente e Occidente; 30% escalation trade war, crescita al 5,5% con perdite export, un rallentamento che morde ma non azzoppa; 10% breakthrough via dialoghi Cina-USA, un’alba di compromessi che dissolve nubi. Non un Eldorado BRICS – che puzza di foto di famiglia male assortita, con sorrisi forzati e coltelli nascosti – ma equilibrio precario: rischi polarizzazione vs opportunità tech, un giardino di possibilità dove i fiori sbocciano tra le spine.

 Disseminiamo complessità, schivando semplificazioni propagandistiche che riducono la geopolitica a un dramma da social media o scuola media ( analista rappresentate istituto con Kefia ), un palcoscenico di dove i fili sono tirati da burattinai invisibili che giocano tutti allo stesso gioco .

Quello che conviene alla Ragion di Stato . 

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Mentre il Consiglio di Stato ha tenuto una serie di conferenze stampa sui risultati del 14° piano quinquennale, sta preparando il terreno per il prossimo 15°. Sebbene il governo centrale non abbia ancora pubblicato una bozza, ritengo che sia il momento giusto per raccogliere spunti dalle raccomandazioni politiche dei principali economisti cinesi. Vorrei condividere le opinioni di tre voci influenti: Yin Yanlin尹艳林 (ex vicedirettore dell’Ufficio della Commissione centrale per gli affari finanziari ed economici), Liu Yuanchunl刘元春 (Presidente dell’Università di Finanza ed Economia di Shanghai; economista) e Lu Feng卢锋 (Professore di Economia presso la Scuola Nazionale di Sviluppo dell’Università di Pechino).

Ho scelto questi tre economisti proprio per la loro vicinanza al sistema decisionale cinese e per il loro orientamento politico pratico. Yin proviene dall’interno del sistema stesso; Lu e Liu partecipano spesso a dibattiti sulla progettazione delle politiche legate alle realtà di attuazione. Liu ha informato Xi durante le sessioni di studio del Politburo sulla governance del mercato dei capitali nel 2022. In altre parole, sanno come vengono effettivamente elaborate e attuate le politiche in Cina.

Dopo aver letto le loro prospettive, ho individuato diversi temi convergenti che probabilmente segnalano la direzione politica del 15° piano quinquennale:

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La sfida dal lato della domanda

La Cina ha compiuto notevoli progressi in termini di capacità di offerta, ma il principale vincolo macroeconomico si è decisamente spostato verso la domanda, in particolare il consumo finale debole, con i servizi che registrano il ritardo maggiore. Lu Feng osserva che la tradizionale strategia di aggiustamento della Cina basata su “maggiori investimenti, riduzione della capacità e espansione delle esportazioni” sta producendo rendimenti decrescenti, ostacolata dal calo dell’efficienza degli investimenti e da un contesto esterno sempre più difficile. Il 15° piano quinquennale dovrebbe quindi passare da una situazione di “offerta forte, domanda debole” al raggiungimento di una forza in entrambi i settori, elevando l’espansione dei consumi a pari priorità con l’innovazione e l’aggiornamento industriale. Lu suggerisce addirittura al governo di fissare un obiettivo chiaro per aumentare il tasso di consumo di 5-10 punti percentuali durante il 15° piano quinquennale. Anche Yin pone la stimolazione della domanda in cima alla lista delle priorità politiche, chiedendo l’eliminazione delle politiche che limitano i consumi. Liu Yuanchun aggiunge una prospettiva complementare: l’espansione della domanda deve essere ottenuta non attraverso stimoli una tantum, ma attraverso la riforma della distribuzione del reddito, l’espansione della protezione sociale, l’innovazione negli scenari di consumo e l’eliminazione delle strozzature nell’offerta di servizi, in particolare nell’assistenza sanitaria, nell’assistenza agli anziani e nei servizi culturali e ricreativi. La mia opinione: L’indicatore del “tasso di consumo” sarà probabilmente incorporato negli obiettivi del 15° piano quinquennale e potremmo non vedere un obiettivo chiaro per il PIL, analogamente al 14°. Tale proposta figura anche nelle raccomandazioni di Peng Sen 彭森, ex vicepresidente della NDRC e presidente della China Society of Economic Reform. Egli suggerisce di aumentare il tasso di consumo finale di 5-8 punti percentuali in cinque anni. Lo stesso concetto è stato espresso anche nelle interviste condotte il 27 agosto da ChinaNews a Bai Chong-En, preside della Facoltà di Economia e Management dell’Università Tsinghua, il quale ha affermato:

“Rendere la crescita dei consumi residenziali uno degli indicatori di valutazione più importanti è fondamentale per noi al fine di ottenere una crescita equilibrata e a lungo termine.”

Ribilanciamento delle risorse pubbliche

Una raccomandazione fondamentale riguarda il riequilibrio sostanziale dell’allocazione delle risorse pubbliche. Il modello di spesa cinese, basato da decenni sul “recupero del ritardo”, ha dato priorità agli investimenti, alle infrastrutture e alla capacità industriale, ottenendo risultati impressionanti ma limitando il consumo delle famiglie in percentuale del PIL. Lu Feng sostiene la necessità di reindirizzare una parte consistente delle risorse pubbliche verso il miglioramento delle condizioni di vita e il sostegno ai consumi, pur mantenendo gli investimenti essenziali nella produzione avanzata e nella tecnologia. Yin ritiene che ciò richieda una riforma dei parametri di valutazione delle prestazioni dei governi locali, spostando l’attenzione dall’attrazione di progetti limitati a risultati equilibrati che diano priorità alla fornitura di servizi pubblici, al benessere dei cittadini e all’equilibrio tra domanda e offerta. Liu sottolinea che per finanziare una svolta verso uno Stato orientato ai servizi e al sostentamento, è necessario adeguare la struttura della spesa fiscale, passando moderatamente da un governo fortemente orientato agli investimenti a un governo incentrato sui servizi e sulle persone, in modo che l’ampliamento della copertura e la generosità dei programmi sociali abbiano un finanziamento stabile.

La perequazione dei servizi pubblici come pietra miliare

L’equalizzazione dei servizi pubblici emerge come il fulcro di questa strategia. Lu ritiene che ampliare l’accesso a un’istruzione di qualità, all’assistenza sanitaria, all’assistenza agli anziani, alla sicurezza abitativa e alla previdenza sociale, in particolare per i lavoratori migranti e i nuovi residenti urbani, possa contemporaneamente sbloccare il consumo di servizi e migliorare la mobilità sociale. Le misure pratiche includono un aumento del cofinanziamento da parte del governo centrale per i servizi pubblici di rilevanza nazionale, miglioramenti mirati alle pensioni di base e pacchetti di prestazioni trasferibili che seguono i cittadini da una regione all’altra. La prospettiva di Liu rafforza questo concetto: una maggiore copertura previdenziale e una maggiore capacità di condivisione delle risorse sono essenziali per aumentare la fiducia dei consumatori e liberare la domanda repressa di servizi. Rendere i servizi essenziali universalmente accessibili e prevedibili riduce la necessità delle famiglie di risparmiare per precauzione, liberando risorse per la spesa discrezionale.

PS: Oltre a questi tre, Liu Shijin, ex vicedirettore del Centro di ricerca per lo sviluppo del Consiglio di Stato, ha recentemente chiesto di prendere in considerazione il trasferimento di una parte consistente del capitale finanziario statale all’assicurazione pensionistica di base per i residenti urbani e rurali. Egli propone che il 15° piano quinquennale aumenti le pensioni dei residenti rurali in due fasi: la prima fase le porterebbe a 620 yuan entro tre anni, mentre la seconda fase le aumenterebbe a 1.000 yuan entro due anni. Egli stima che ciò genererebbe una nuova domanda pari a 8,3 trilioni di yuan, aumentando la crescita del PIL cinese di 0,3-0,5 punti percentuali. Ciò contribuirebbe anche a stabilizzare i mercati dei capitali cinesi e a ridurre il divario pensionistico tra aree urbane e rurali da 15:1 a 3,5:1, promuovendo l’equità sociale.

La riforma fiscale e tributaria come fondamento

La riforma fiscale e tributaria è alla base di un governo più efficace. Yin chiede la modernizzazione del quadro fiscale centrale-locale: ampliare la responsabilità centrale per i servizi con ricadute nazionali, migliorare l’equità e l’efficienza dei trasferimenti e ampliare le basi imponibili locali stabili. Le riforme fiscali dovrebbero allineare gli incentivi, ridurre le distorsioni e sostenere lo sviluppo del settore dei servizi. Le riforme relative alla proprietà, attuate con prudenza, possono sostenere le finanze locali e stabilizzare il mercato immobiliare, mitigando gli impatti dell’adeguamento immobiliare senza ricorrere a cicli di investimento basati sul debito. Gli accordi fiscali devono inoltre garantire finanziamenti prevedibili per il miglioramento dei servizi a livello di contea e l’integrazione sistematica dei residenti migranti come titolari di hukou a pieno titolo.

Liu Yuanchun attribuisce particolare importanza alla riforma della governance per rendere possibile tutto ciò: spostare la “funzione obiettivo” del governo da un modello di crescita incentrato sull’industrializzazione/urbanizzazione/internazionalizzazione a uno allineato con la modernizzazione in stile cinese e una gestione più dettagliata. Concretamente, riorientare i governi locali dalla priorità data alla produzione manifatturiera di fascia medio-bassa verso i servizi produttivi e il consumo legato ai mezzi di sussistenza; e sincronizzare questo processo con modifiche al sistema fiscale che passino dalle imposte sul fatturato in fase di produzione a una struttura fiscale “orientata ai risultati di consumo”, compreso il trasferimento a monte del punto di riscossione dell’imposta sui consumi e il relativo decentramento.

(La mia opinione: nell’attuale sistema fiscale, le entrate fiscali degli enti locali provengono ancora principalmente dal lato della produzione, il che li incentiva a privilegiare gli investimenti rispetto alla promozione dei consumi. Pertanto, i fondamenti della riforma fiscale e tributaria risiedono nell’attuazione dell’obiettivo del Terzo Plenum di “spostare il punto di riscossione dell’imposta sui consumi a valle e devolverla gradualmente agli enti locali”, aumentando così le entrate fiscali degli enti locali dal lato dei consumi. Solo quando ciò sarà integrato dall’inserimento di parametri di consumo locali nelle valutazioni delle prestazioni degli enti locali, questa trasformazione potrà essere realmente realizzata).

Integrazione istituzionale urbano-rurale

L’approfondimento della riforma della registrazione delle famiglie (hukou) per smantellare il sistema a doppio binario, combinato con riforme calibrate relative alla terra rurale, ai diritti di proprietà e ai regimi immobiliari, può aumentare il reddito immobiliare rurale, facilitare l’integrazione urbana dei nuovi cittadini ed espandere la base di consumatori nei mercati provinciali e di livello inferiore. L’obiettivo è migliorare la mobilità dei fattori e consentire a un maggior numero di residenti di consumare dove vivono e lavorano, accelerando la formazione di un mercato nazionale unificato. Liu Yuanchun sottolinea che il “15° piano quinquennale” deve portare a una svolta nel ridurre il divario tra città e campagna in materia di sicurezza sociale e servizi pubblici, sia per completare la cittadinanza di circa 300 milioni di lavoratori migranti (il divario tra l’urbanizzazione dei residenti vicino al 70% e l’urbanizzazione dell’hukou inferiore al 50%), sia per fornire un percorso per risolvere gli squilibri immobiliari attraverso un’urbanizzazione di alta qualità e incentrata sulle persone.

I servizi come principale lacuna

Tutti e tre gli economisti identificano i servizi come il principale punto debole dal lato della domanda. Sebbene le “due nuove” politiche abbiano stimolato il consumo di beni, la Cina è in ritardo rispetto alle economie avanzate sia in termini di quota che di sofisticazione del consumo di servizi. La politica dovrebbe espandere l’offerta di servizi di alta qualità e a prezzi accessibili riducendo le barriere all’ingresso, incoraggiando la partecipazione responsabile del capitale privato e sociale e allineando i sistemi di determinazione dei prezzi, di rimborso e di pagamento, in particolare nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’assistenza agli anziani, dell’assistenza all’infanzia, dell’istruzione, della cultura, del turismo e dei servizi domestici. In combinazione con regole di mercato unificate e un’apertura selettiva ad alto livello, questo approccio sposta i motori della crescita dalla domanda esterna volatile verso un ciclo interno resiliente. Liu sostiene inoltre che, per frenare le dinamiche di “involuzione” nei settori emergenti, la Cina dovrebbe modernizzare la governance per bilanciare le politiche industriali e di concorrenza, standardizzare i sussidi e consentire una concorrenza basata sulle dimensioni e sull’innovazione, in modo che i servizi e la produzione avanzata si rafforzino a vicenda in termini di domanda sostenibile, anziché alimentare gare a somma zero.

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