DILEMMI MULTIPOLARI, di Pierluigi Fagan

DILEMMI MULTIPOLARI. Inizia oggi la tre giorni di Xi Jinping in Arabia Saudita. Raro Xi prenda l’aereo e vada fuori il suo Paese. La visita si articolerà in tre giorni e tre riunioni: bilaterale, Cina e Paesi del Golfo, Cina a Paesi arabi. la composizione di quest’ultimo non è al momento chiara. Vediamo in breve il significato.
Il primo e più importante è il venirsi a formare di due modelli di relazioni internazionali. Da una parte quello centrato sugli USA che di recente sembra propendere per una astiosa contrapposizione contro tutti coloro che non uniformano alle forme del modello lib-dem e dall’altra tutti gli altri. Questi altri procedono condividendo relazioni economiche e finanziarie di mercato, in modalità “doux commerce” à la Montesquieu. La formula delle relazioni bilaterali tra questi Paesi è “il rispetto per la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale e la non interferenza negli affari interni reciproci” che è il focus di IR cinese ma che già lo fu alla fondazione settanta anni fa del forum dei paesi non allineati, una configurazione terza rispetto alla contesa tra i due blocchi della guerra fredda che i più si dimenticano di considerare nelle analisi su gli ultimi settanta anni di storia.
Questo punto è assai rilevante. La Cina si presenta non come modello ma come partner, una posizione basata sul principio di reciprocità. Il mondo è pieno di diversità, ma tutti vogliamo star meglio. Star meglio significa sostanzialmente pace e sviluppo economico da riversare in consenso sociale e politico. Questo sul piano formale, su quello sostanziale, la Cina è oggi il principale soggetto statale dotato di capacità di investimento. Ognuno poi a casa sua fa come crede ma ci si incontra poi al crocevia degli scambi, al mercato potremmo dire, antichissima istituzione umana che risale alla notte dei tempi e su cui arabi e cinesi sono storicamente maestri.
Per la Cina, il “mondo arabo” è triplicemente importante: in sé per sé, per sottrarlo all’egemonia occidental-americana, come cerniera verso l’Africa. Quanto all’in sé per sé si declina in questioni energetiche sulle quali gli USA sono ormai autonomi mentre la Cina ha interesse a diversificare i fornitori e non legarsi in maniera troppo esclusiva alla Russia. Ma intorno a questo nucleo ci sono altri tre aspetti. Il primo è il reciproco sviluppo. Il giovane bin Salman, ma è questione che riguarda anche tutte le altre monarchie del Golfo, sa che in prospettiva la rendita energetica diminuirà ed è ora che bisogna avviare ipotetici progetti di diverso sviluppo economico il che, per paesi mono-risorsa e con ben poco di dotazione naturale e tradizione culturale economica moderna, non è facile.
Il secondo è la nascente convinzione che anni e decenni di conflitto armato da quelle parti non hanno portato alcun vantaggio. Dalla fine del conflitto siriano, in generale, da quelle parti soffiano venti di pace sostanziale. Si va dalla riappacificazione tra Qatar e sauditi, ai viaggi israeliani di qui e di là, ai colloqui riservati che vanno avanti da tempo tra sauditi ed iraniani, iraniani e turchi e così via. Fatti apparentemente banali di semplice soft power come i mondiali di calcio in corso, la stessa vittoria ieri del Marocco che è diventato il simbolo della rinascenza arabo-musulmana, forse anche i crescenti dubbi iraniani sulla c.d. “polizia morale”, sembrano dire che da quelle parti si sta formando una idea di comunità internazionale a modo suo simile a quella storicamente intesa dagli stessi occidentali, ma senza gli occidentali dentro. Sauditi ed affini sono da un po’ i maggiori acquirenti di armi, ma prima o poi si presenterà il dilemma tra spesa in armi e spesa in sviluppo.
Il terzo è molto rilevante e poco conosciuto. Noi stessi abbiamo a lungo scritto anni fa di come dietro al Qaida e soprattutto ISIS ci fossero chiari segni di presenza saudita-emiratina. Questo nucleo salafita-wahhabita era poi collegato a quello di diversa origine ma sostanziale similarità pakistano. Questa interpretazione integralista e ultra-tradizionalista dell’islam arrivava a turbare vaste porzioni del mondo musulmano non solo arabo o africano ma anche asiatico, i quattro “-stan” e ovviamente il Xinjiang cinese. Sappiamo che molta manovalanza ISIS nel conflitto siriano proveniva da quelle parti via Turchia. Forse poco noto a noi autocentrati sui destini occidentali ma più del 90% delle vittime di attentati di queste galassie di organizzazioni armate islamiche negli ultimi anni, erano nei paesi musulmani. La stessa penetrazione cinese in Africa deve farci i conti di convivenza. Sembra ora che in accordo anche con gli altri due punti, la strategia geopolitica di questa parte del mondo stia cambiando, la leva ideologico-religiosa sembra diventare meno importante, la cooperazione è in ascesa.
Quanto alla relativizzazione occidental-americana la faccenda è complicata e forse anche non così come l’abbiamo espressa sbrigativamente. Di fatto, l’Europa si sta sottraendo o tentennando ai legami progettuali sul progetto Vie della Seta, nel frattempo però i cinesi puntano all’Asia minore e l’Africa. Le strategie giocano su tempi medio-lunghi e nei fatti, l’Europa potrebbe trovarsi accerchiata dalla rete cinese-multipolare.
Ad un osservatore terzo, tutto ciò non potrà che esser giudicato come sostanzialmente positivo. Che questi Paesi cerchino la loro Via, commercino, si allaccino in reti di reciproco investimento, si scambino culture, è il modo penso auspicato da tutti di trovare un modo di convivenza planetaria in un mondo complesso. Ma forse, “l’osservatore terzo” è una astrazione, siamo tutti geo-storicamente e geo-politicamente collocati.
E veniamo appunto ai “dilemmi”. Qualche giorno fa, le cancellerie tedesco Scholz, ha rilasciato un lungo articolo sulla testata principe delle IR occidentali cioè americane: Foreign Affairs. Scholz ha introdotto un nuovo concetto: lo Zeitenwende, lo “spostamento tettonico epocale”, unitamente al riconoscimento ormai stabilito che la cifra della fase storica è il mondo multipolare, suoi ordini, assetti, problemi ed opportunità.
Lo Zeitenwende è tutta colpa di Putin, la rottura dei principi di convivenza stabiliti dalla carta dell’ONU e per altro anche dal semplice buonsenso. Non una parola sulla responsabilità europee o sulle comprensibili paturnie russe in fatto di sicurezza come fatto di recente da Macron, anzi, è colpa di Mosca se non si sono implementati gli Accordi di Minsk che erano l’unica strada perseguibile in Ucraina.
Da leggere la lunga requisitoria di Scholz contro Putin, un saggio di argomentazioni accusatorie perfettamente in linea con la posizione americo-anglosassone ed anche sintoniche con le idee dell’est Europa su cui Berlino ha rischiato di perdere la storica egemonia con i tentennamenti iniziali. Il pezzo di Scholz vale la pena di esser letto anche perché disegna una strategia del riarmo tedesco e la sua chiara volontà di porsi come futura forza armata di riferimento per l’intera Europa, fatto di non secondaria importanza a cui è legato anche un certo tipo di sviluppo di ricerca tecnologica e produzione industriale. Forse è questa prospettiva imposta nei primi giorni dagli americani che ha portato i tedeschi a cambiare atteggiamento da un giorno all’altro, quasi un anno fa. Ipotizzo che a Macron la lettura dell’articolo non piacerà, ma non è delle questioni interne la nostra area che qui volevamo parlare.
Se Scholz si mostra allineato e coperto nella strategia antirussa degli USA con portati energetici importanti ed altrettanto in termini NATO-Europa centro-nord/orientale, si smarca con decisione dall’idea di accettare il format democrazie-vs-autocrazie americano, quindi di iscriversi alla guerra fredda 2.0 voluta da Washington per mettere ordine al -per loro- “disordine” del mondo complesso. Per Berlino quindi, Europa dentro, Russia sotto ma NON Cina fuori. Infatti, l’ha visitata da poco con codazzo di industriali e banche a ribadire gli storici legami. Tutta l’industrializzazione cinese anni ’80-’90 quella a capitale 51% cinese e 49% partner nelle zone industriali speciali e poi in tutto il paese, era coi tedeschi. Insomma, il mercantilismo tedesco non ha alcuna intenzione di uscire dai circuiti finanziario-commerciali globali.
Le cronache del mondo nuovo multipolare e complesso ci impegneranno molto nei prossimi anni. Un vero peccato che la cultura politica media del nostro Paese ne sia completamente estranea nel pensiero quando ne è e sempre più ne sarà, dipendente nella sostanza.