È guerra, Josep, ma non come la conosciamo_di Aurelien
Cercando di capire cos’è l’Ucraina.
Ho in gran parte evitato di scrivere qualcosa di troppo attuale sul conflitto in Ucraina e dintorni, perché non mi piace la polemica, e comunque non ho abbastanza conoscenze tecniche per scrivere di questioni militari quotidiane. Nondimeno, non posso fare a meno di essere colpito dal senso di disorientamento e confusione intellettuale che mostra molta della scrittura occidentale sulle operazioni militari. A sua volta, questo deriva, suggerisco, da una fondamentale riluttanza occidentale a fare il duro lavoro di apprendere la strategia e gli usi politici della forza militare, e ad alzare gli occhi dagli eccitanti scoppi e boom, avanzate e ritirate sul campo di battaglia, e guardare il quadro generale.
Quindi qui, proverò a fare un passo se non tre indietro; parlerò del più grande dei grandi quadri e cercherò di mostrare come vari fattori politici ed economici debbano essere presi in considerazione per capire cosa pensano i russi e cosa stanno cercando di fare. Qualunque sia la tua opinione sul conflitto, è molto difficile dire qualcosa di utile al riguardo (sto guardando te, Josep Borrell, per esempio) a meno che tu non faccia uno sforzo per capire l’importanza di questi fattori.
Fortunatamente, altri si sono comportati così prima di scrivere di strategia, e nessuno più fruttuosamente del grande soldato prussiano e teorico militare, Carl von Clausewitz. Ora uno dei motivi per cui Clausewitz è importante è che fa parte di un gruppo molto ristretto di teorici e storici, tra cui Machiavelli e Tucidide, che erano praticamente coinvolti nelle cose di cui scrivevano. Come loro, si fa riferimento a lui molto più di quanto lo si legga, e si fraintende anche quando lo si legge. Ma Clausewitz è stato il primo teorico importante ad abbandonare gli scritti dettagliati sulla tattica e a porre (e in effetti a rispondere) alla domanda: a cosa serve effettivamente la guerra? Perché gli stati ricorrono alla forza militare? La sua risposta è stata semplice: la guerra è “un atto di forza per costringere il nostro nemico ad accettare la nostra volontà”. Vogliamo che il nostro nemico faccia qualcosa, o smetta di farlo, e quindi, dice Clausewitz, dobbiamo mettere il nostro nemico in una “situazione che è ancora più spiacevole del sacrificio che gli chiedi di fare”. Inoltre, aggiunge, questa situazione non può essere transitoria, tale che il nemico può semplicemente aspettare che le cose migliorino, ma in cui il nemico è effettivamente indifeso o è probabile che lo diventi.
Ma Clausewitz insiste sulla necessità di situare la guerra nel contesto della politica statale in generale (non “politica” come spesso qui si traduce erroneamente politik ). Le guerre iniziano, dice, a causa di qualche “situazione politica, e l’occasione è sempre dovuta a qualche oggetto politico”. Così, “la guerra non è semplicemente un atto di politica, ma un vero strumento politico, una continuazione del rapporto politico, portato avanti con altri mezzi… L’oggetto politico è l’obiettivo, la guerra è il mezzo per raggiungerlo, e il mezzo non può mai essere considerato isolatamente dal loro scopo ” (corsivo mio). Sebbene On War sia un testo proibitivo, queste citazioni (nella traduzione standard di Howard e Paret) sono tutti presi dal Libro I, e puoi scaricare una vecchia traduzione di pubblico dominio di quel Libro e leggerla in un’ora. (Forse l’ufficio del signor Borrell dovrebbe considerare di farlo.)
Dopo averlo fatto, le cose diventano immediatamente molto più chiare, e una serie di domande non poste dai media e dai politici occidentali diventano ovvie. Quali sono, ad esempio, i più grandi obiettivi politici russi? Quanto sono significativi gli attuali combattimenti in Ucraina, e in effetti quanto sono significative le singole battaglie? Quali attività parallele stanno accadendo, politicamente ed economicamente, tutte nella stessa direzione? E quale visione hanno i russi della situazione che vogliono realizzare, quello che Clausewitz chiama lo “stato finale”?
Ma perché queste domande non vengono poste in modo sistematico dall’Occidente? Dopotutto, se si vuole frustrare i piani russi, potrebbe avere senso provare a dedurre quali sono quei piani e come i russi si aspettano di realizzare il loro stato finale.
La risposta, credo, viene da una combinazione di due fattori. In primo luogo, gran parte dell’impulso politico sull’Ucraina viene dai paesi anglosassoni, la cui storia di guerra, e il cui pensiero sulla guerra, è essenzialmente di corpi di spedizione e circoscritto. A parte brevissimi periodi nel 1916-18 e nel 1944-45, gli inglesi e gli americani non dovettero mai considerare l’uso di grandi forze terrestri e aeree e sviluppare una dottrina per il loro impiego. Storicamente le spedizioni militari erano piccole, con obiettivi limitati, lontane dalla madrepatria. La guerra delle Falkland del 1982, nonostante sia stata una notevole conquista militare, si inserisce perfettamente in questa tradizione, di tattiche di piccole unità, leadership individuale e improvvisazione sul campo di battaglia.
Il tipo di operazioni militari che gli europei hanno effettivamente condotto dal 1945, e soprattutto dal 1989, tende a seguire questo modello. Sebbene generazioni di ufficiali della NATO abbiano pianificato ed esercitato scontri apocalittici con il Patto di Varsavia, quei paesi che hanno effettivamente effettuato operazioni nella vita reale sono stati coinvolti in missioni di controinsurrezione o di mantenimento della pace di livello molto inferiore. E quando gli europei, ancora un po’ storditi dalla caduta del muro di Berlino, iniziarono a pensare a quali compiti avrebbero potuto svolgere i loro militari in futuro, la loro ipotesi migliore fu più o meno la stessa: missioni di pace, evacuazioni con assistenza militare, gestione delle crisi e relativo dispiegamento e così via. E così il servizio nazionale e i grandi eserciti furono abbandonati, la guerra su larga scala ad alta intensità smise di essere studiata se non come storia e le carriere venivano costruite guidando piccoli gruppi di soldati in missioni lontane.
Il secondo fattore è semplicemente che in generale le guerre dell’Occidente sono state guerre a responsabilità limitata, dove ci sono state poche vittime in patria. È vero, le guerre in Algeria, Angola e, probabilmente, Vietnam, hanno prodotto convulsioni politiche e fatto cadere i governi, ma la morte e la distruzione vere e proprie sono avvenute quasi tutte altrove.
Per i russi, la geografia imponeva un diverso insieme di criteri. Da sempre un paese enorme con una popolazione relativamente numerosa e lunghi confini, la nazione ha subito ripetutamente invasioni militari straniere nella sua storia. È abituato a combattere sul proprio territorio e nella sola seconda guerra mondiale ha subito quasi trenta milioni di morti, in gran parte civili. Pertanto, la difesa nazionale è letteralmente una questione di vita o di morte; pensare e pianificare la guerra avviene a un livello strategico enormemente più alto e più complesso. Vale anche la pena sottolineare che il formidabile edificio della scienza militare marxista-leninista non ha perso la sua influenza, e il marxismo era soprattutto una dottrina basata sul predominio delle forze materiali tangibili.
Questa esperienza russa produce inevitabilmente un modo di guardare al conflitto radicalmente diverso da quello occidentale, fermo restando che lo stesso Occidente ha dovuto dolorosamente imparare simili lezioni durante due Guerre Mondiali, per poi dimenticarsele ogni volta puntualmente. La guerra è vista in senso totale: come lotta politica, economica e militare combinata. Numeri puri, disciplina politica, enormi riserve di uomini e attrezzature, capacità di mobilitazione totale e pianificazione strategica a lungo raggio e ambiziosa sono caratteristiche inevitabili di un tale approccio, quindi se vogliamo vedere cosa cercano i russi, sarebbe bene includere questi fattori. Lo stato finale non è, per definizione, militare, e quindi i militari possono contribuire a tale stato finale in un’ampia varietà di modi. La vittoria sul campo di battaglia potrebbe non essere la priorità assoluta, se altri fattori stanno operando a tuo favore, e l’impiego di grandi forze su una vasta area imporrà esso stesso un modo di pensare di livello superiore. Ad esempio, dare battaglia, anche se pensi di vincere, potrebbe essere una cattiva idea se consuma unità ed equipaggiamento che saranno assolutamente necessari altrove. Meglio ritirarsi. Al contrario, invitare un nemico ad attaccare le tue posizioni, anche se tatticamente svantaggioso, può essere una buona idea se infliggi pesanti perdite che il tuo nemico non può sostituire.
Le forze armate sovietiche e russe hanno una lunga tradizione nello studio delle terribili guerre passate dal loro paese; ci sono una serie di conclusioni ovvie traibili da qualsiasi analisi del genere. Uno è l’importanza dei numeri, del personale, delle attrezzature e delle munizioni. In una lunga guerra, che i russi, a differenza dell’occidente, si sono sempre aspettati di combattere, queste cose contano moltissimo. Nella Guerra Fredda, l’Armata Rossa pianificò di vincere con una tattica nota come echeloning. In sostanza, invii prima le tue forze migliori, che vengono per lo più distrutte, ma distruggi anche le migliori forze nemiche. Quindi invii il tuo secondo scaglione e rastrelli le forze rimanenti del nemico, anche se perdi la maggior parte delle tue. Il tuo terzo scaglione non ha effettivamente opposizione e vinci. (Questo non avrebbe sorpreso Clausewitz, il quale sosteneva che era importante essere “forti ovunque, soprattutto nel punto decisivo.”) Allo stesso modo con le scorte di munizioni. Se hai due milioni di colpi di munizioni e il tuo nemico ne ha mezzo milione, il tuo nemico si esaurirà prima di te, dopodiché avrai il dominio. L’Occidente ha optato, dalla fine degli anni ’40, per avere meno armi e meno manodopera, sperando che la qualità prevalga sulla quantità. Durante la Guerra Fredda, prevedeva anche di utilizzare presto armi nucleari tattiche, poiché non poteva accettare l’onere economico di mantenere massicce forze convenzionali come fece l’Unione Sovietica. Per fortuna, non lo sapremo mai se tutto ciò avrebbe funzionato durante la Guerra Fredda, ma chiaramente è esattamente l’opposto della politica che i russi hanno perseguito di recente.
Se questo suona come una guerra su scala industriale, è esattamente quello che è. E’ letteralmente così, in quanto l’importanza della produzione bellica fu un’altra lezione tratta dal 1941-45, quando l’Unione Sovietica superò i tedeschi in attrezzature militari anche dopo aver spostato le sue fabbriche ad est degli Urali. Inoltre, l’equipaggiamento sovietico e successivamente russo era progettato per essere utilizzato dai coscritti, e quindi era mantenuto relativamente semplice, in modo da poter essere impiegato in numero molto elevato. Stiamo vedendo i risultati ora in Ucraina, dove i carri armati T-62, tenuti in riserva per molti anni, vengono inviati nel Donbass per essere gestiti dalle milizie locali e dai richiamati riservisti con standard di addestramento inferiori. L’Occidente ha optato per piattaforme che individualmente potrebbero funzionare meglio in combattimento (finora nessuno lo sa) ma sono molto più complesse e difficili da gestire e mantenere.
L’Occidente ha una difficoltà intrinseca con questo tipo di approccio. In particolare, la sua tradizione di storia e teoria militare si concentra molto più sulle battaglie che sulle campagne, molto più sui leader che sulle forze, molto più sulle storie dei singoli sistemi d’arma che sulla produzione bellica. Anche gli storici che scrivono sul fronte orientale nella seconda guerra mondiale tendono ancora a scrivere di singole battaglie (in particolare Kursk), mentre i migliori resoconti (di Chris Bellamyad esempio) solgono concentrarsi correttamente sul livello della campagna. In effetti, è stato argomentato in modo persuasivo che le singole battaglie in quel terribile conflitto influenzarono in gran parte solo il calendario preciso e che i fattori sottostanti determinarono il risultato fin dall’inizio. In particolare, la catastrofica sottovalutazione tedesca delle dimensioni e del potere di combattimento dell’Armata Rossa e l’incapacità della Wehrmacht di terminare la campagna entro l’inizio dell’autunno, sono state ritenute limitazioni molto più importanti della vittoria o della sconfitta in ogni singola battaglia. È come può essere, ma è chiaro che anche quel tipo di approccio è del tutto estraneo alla cornice intellettuale di quei commentatori occidentali che seguono ogni video, ogni voce, ogni svolta della sanguinosa partita che si sta giocando in Ucraina. Difficile trovare una metafora appropriata: forse critici musicali che discutono sul costume della primadonna in un’opera, senza menzionare se la produzione sia stata finalmente salutata da fiori e standing ovation, o dal cast bersagliato di uova marce.
Infine, i russi stanno operando, per ribadire l’osservazione che, secondo una tradizione Clausewitziana, vede la forza militare utile solo quando è chiaramente legata a uno scopo politico. (E uno scopo non è solo un’aspirazione.) L’invasione sovietica dell’Afghanistan, ad esempio, includeva una chiara strategia politica per creare sostegno al nuovo regime tra la classe media professionale, riformare lo stato e il sistema politico e creare forze di sicurezza efficaci . Alla fine non funzionò, almeno non dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ma almeno fu una strategia. Al contrario, il tipo di piani per la ricostruzione afghana che ricordo di aver visto circolare in Occidente negli anni 2000, erano solo una serie di aspirazioni vagamente collegate, in cui si presumeva che le frecce sulle diapositive di Powerpoint rappresentassero in realtà una sorta di relazione causale . Più o meno lo stesso era vero al tempo della guerra in Iraq (sebbene il Dipartimento di Stato americano avesse fatto del suo meglio). A Washington, il futuro dell’Iraq era visto in termini di una serie di fantasie concordanti e sequenziali, senza alcuna idea di come si sarebbero realizzate. Principalmente, questo è dovuto al fatto che il liberalismo presuppone sempre che certi elementi politici esistano universalmente e che una volta che i Cattivi saranno rimossi dal potere, le nazioni si svilupperanno automaticamente e ineluttabilmente verso un modello democratico liberale. Questo è ancora il punto di vista prevalente odierno. Se hai a che fare con qualcosa di simile ad idee scambiate come ricostruzione post-conflitto o costruzione della pace, in particolare come commercializzazioni da organizzazioni come le Nazioni Unite e l’UE, ti verrà presentata una serie di passaggi sequenziali verso un’ipotetica utopia, ma con niente che li tenga insieme. Così, ad esempio, viene mostrato che un cessate il fuoco porta alla smobilitazione, quindi al riavvio del processo politico, quindi alle elezioni, quindi alla stabilità. Ma se chiedi con precisione come un cessate il fuoco porterà a riavviare il processo politico (o addirittura perché dovrebbe farlo) verrai accolto con un imbarazzato silenzio. E naturalmente nella vita reale generalmente non è così; è strano che sia il liberalismo, piuttosto che il marxismo, a credere nell’inevitabilità storica.
Quindi, se questa è la tradizione da cui provengono i russi, e se è per questo che l’Occidente ha difficoltà a capire cosa sta avvenendo in Ucraina, allora cosa ci dice sul tipo di piano più ampio e a lungo termine che i russi potrebbero avere, e come lo perseguiranno? Tuttavia, prima di iniziare è necessario aggiungere due chiose.
In primo luogo dovremmo evitare la tentazione di assumere ovunque “masterplan”. È facile cadere nelle teorie del complotto sugli Illuminati, il gruppo Bilderberg, la “cabala anglo-sionista” o qualche complotto per distruggere l’economia europea ideato da Washington. Ma questa è roba da bestseller aeroportuali, non da vita reale. In secondo luogo, e in parte di conseguenza, non stiamo parlando di un piano complesso e dettagliato nel corso delle generazioni, ma piuttosto di una serie di obiettivi relativamente semplici a diversi livelli, coerenti con le affermazioni russe fino ad ora, e con uno sguardo imparziale ragionevole su ciò che possono essere ovviamente i loro obiettivi di sicurezza. Da bravi studenti di Clausewitz, ci aspetteremmo che i russi considerino la guerra a tutti i suoi livelli, quindi affidiamoci di nuovo a lui come nostra guida.
Si consideri anzitutto quanto disse Clausewitz circa la necessità che la vittoria sia completa, e definitiva, per evitare che il nemico possa ricominciare la guerra. E qui ricordiamo che, nel 1945, l’Armata Rossa non si fermò al confine russo, ma arrivò fino a Berlino, dove occupò metà del paese e installò un regime fantoccio. Questo tipo di conclusione di una guerra in realtà non è insolito: nel 1814, le truppe russe occuparono effettivamente Parigi dopo la sconfitta finale di Napoleone. È solo negli ultimi decenni che accordi di pace pienamente inclusivi che affrontano le cause alla base dei conflitti, con la partecipazione di gruppi vulnerabili e complessi regimi di costruzione della pace dopo negoziati dettagliati e trattati di pace onnicomprensivi, sono diventati la norma. Quest’ultimo certamente non accadrà questa volta, motivo per cui dobbiamo stare molto attenti a come utilizziamo la parola “negoziazione”, ma non è nemmeno probabile che i russi vogliano occupare fisicamente l’Ucraina più del necessario. Quindi cosa significherebbe vittoria completa, in questo senso?
Dopo Clausewitz, la prima variabile sarebbe quella del tempo. Per i russi, l’Ucraina deve essere lasciata in una situazione in cui non sia in grado di costituire una minaccia in tempi ragionevoli. È difficile essere precisi, ma venticinque anni suonano bene. Ora, anche se i russi non facessero altro, l’ipotesi migliore è che ci vorranno dieci anni buoni per ricostituire le forze ucraine a qualcosa di simile al livello di efficacia del febbraio 2022. Ma si noti che ciò implica la disponibilità di massicci fondi (di cui l’Ucraina non dispone) o massicci, organizzati e sostenuti aiuti dall’estero, inclusi sostanziali dirottamenti di nuovi armamenti dalle già esaurite forze armate statunitensi ed europee, o sostanziali investimenti in nuova produzione di strutture soprattutto per l’Ucraina. Nessuno dei due sembra molto probabile. Inoltre, una nuova generazione di ufficiali dovrebbe essere reclutata e addestrata, l’infrastruttura militare riparata o ricostruita, e dovrebbe essere sviluppato un processo globale di conversione dall’equipaggiamento militare ex-sovietico a quello occidentale, insieme alla dottrina operativa associata. E naturalmente l’infrastruttura di base del paese dovrebbe essere riparata affinché l’esercito possa funzionare. Le possibilità di raggiungere questo obiettivo, figuriamoci nel breve periodo di un decennio, non sono grandi.
Quindi il problema potrebbe risolversi da solo. Tuttavia, probabilmente non è nell’interesse della Russia che l’Ucraina sia completamente disarmata, perché ciò porterebbe a una potenziale instabilità, che potrebbe estendersi alla Russia stessa. Qualunque governo succederà all’attuale regime di Kiev dovrà essere in grado di controllare il proprio territorio. Quindi i russi potrebbero imporre un trattato di pace all’Ucraina che, ad esempio, includa la creazione di una gendarmeria professionale, autorizzata a guidare veicoli corazzati leggeri ed elicotteri, ma non di più. I tentativi di sviluppare o acquisire sistemi più potenti sarebbero impossibili da nascondere e facili da schiacciare. Questa è una soluzione molto più elegante e molto più economica rispetto ai tentativi di costruire massicce fortificazioni o occupare territori non di lingua russa.
Tuttavia, è ovvio da tempo che l’Ucraina è solo la parte visibile dell’iceberg strategico, per entrambe le parti. L’Occidente vuole, grosso modo, un ritorno agli anni ’90 e la fine di un concorrente ideologico e strategico. Gli obiettivi russi ovviamente includono la frustrazione, ma quasi certamente vanno molto oltre. A differenza di molte persone, non ho idea di cosa ci sia nei capi collettivi del governo russo, ma è possibile fare alcune ampie deduzioni dalle bozze di trattati che i russi hanno fatto circolare nel dicembre dello scorso anno. Questi sono testi di trattati, e per di più bozze, quindi è improbabile che costituiscano qualcosa di più di una lista di obiettivi che in realtà dovrebbero probabilmente essere aggiustati verso il basso. Ma possiamo fare alcune deduzioni ragionevoli.
Il principale obiettivo russo in Europa è quello di essere la superpotenza militare locale, in un’Europa che è militarmente debole, in parte dipendente economicamente dalla Russia, e non rappresenta una minaccia militare. Per quanto riguarda la stessa Europa occidentale, ora non siamo lontani da questo: si poteva dire che solo l’Ucraina rappresentava una minaccia militare, e non è più così. L’idea sarebbe allora quella di convertire l’anello di Paesi attorno ai confini di Russia, Ucraina e Bielorussia (in pratica, Baltici, Romania e Polonia) in effettivi stati neutrali, senza truppe straniere di stanza lì. Ciò non significherebbe necessariamente che questi paesi lascino la NATO, perché le truppe statunitensi, ad esempio, sono comunque di stanza in paesi non NATO. Piuttosto, ci sarebbe un tacito accordo (come con la Finlandia durante la Guerra Fredda) che questi stati si sarebbero comportati bene nei confronti della Russia. Una componente di questa soluzione sarebbe il ritiro del numero relativamente piccolo di truppe statunitensi ancora in Europa. È probabile che ciò faccia parte dell’obiettivo parallelo di distruggere efficacemente la NATO come alleanza, dimostrando che, in pratica, non ha alcuna utilità militare e, per estensione, che quella che viene generalmente chiamata la “garanzia di sicurezza” americana è priva di valore. Si noti che questo non significa che la NATO non possa sopravvivere in qualche forma dormiente e rudimentale; è improbabile che i russi si oppongano a questo.
In tutto questo, bisogna tenere presente un altro concetto di Clausewitz: il Centro di Gravità. Clausewitz ha scritto molto su questo in diverse parti di On War, ma il modo più semplice per concepirlo consiste nel definire l’obiettivo più importante della guerra, da cui dipende tutto il resto. È “la sostanza ultima della forza nemica” sulla quale dovrebbe essere concentrato il massimo sforzo possibile. Clausewitz osserva che queste possono essere, ma non devono necessariamente essere, le forze militari del nemico. Alla fine del libro, monta una forte difesa della decisione di Napoleone di entrare a Mosca nel 1812, piuttosto che inseguire l’esercito russo sconfitto. Nessuna vittoria militare concepibile, sostiene, avrebbe potuto buttare fuori dalla guerra un paese delle dimensioni della Russia, mentre prendere e detenere la capitale nemica avrebbe potuto farlo. Alla fine, accetta che il piano sia fallito, ma in realtà valeva la pena tentare la sola cattura di Mosca. Se lo zar e l’aristocrazia fossero stati scossi dalla perdita della città come sperava Napoleone, la guerra sarebbe finita.
Clausewitz osserva inoltre che il centro di gravità potrebbe essere lo sferrare un colpo contro un alleato più potente. Quindi, nel caso delle operazioni nella stessa Ucraina, ciò significa la volontà dell’Occidente di continuare a sostenere militarmente, politicamente ed economicamente il regime di Kiev, perché se questo si ferma, finirà anche un’effettiva resistenza ucraina e questo aprirà la strada ad altri obbiettivi strategici. In una guerra in cui sia la Russia che l’Occidente stanno attenti a non colpirsi direttamente, questa volontà dovrà essere attaccata indirettamente, convincendo di fatto l’Occidente ad arrendersi, perché il successo è impossibile. Ci sono precedenti per questo, anche se possono sembrare sorprendenti. Le forze NVA/VietCong che combattevano contro gli Stati Uniti e le forze del Vietnam del Sud erano ben consapevoli di non poter ottenere una vittoria militare convenzionale. Quello che potevano fare era portare gli americani al punto in cui si rendevano conto che la lotta era senza speranza, semplicemente continuando la guerra e infliggendo danni politici ed economici agli stessi Stati Uniti. Questo lo fecero debitamente. La situazione era abbastanza simile con i francesi in Algeria e i portoghesi in Angola; entrambi erano militarmente dominanti, ma ogni guerra si concludeva con l’esaurimento politico ed economico e un cambio di governo. L’Afghanistan è un esempio più recente di un simile approccio. Quindi qui, l’obiettivo russo è probabilmente l’esaurimento politico ed economico dell’Occidente al punto in cui un ulteriore sostegno all’Ucraina sembra inutile, o addirittura impossibile. E anche se potrebbe non essere stato parte dei piani originali, è difficile credere che i russi si sarebbero pentiti che l’Occidente continuasse, almeno per un po’, a indebolirsi militarmente ed economicamente per una causa senza speranza.
Quindi, a quel livello, i russi stanno presumibilmente cercando di far rinunciare all’Occidente ad ogni speranza di una soluzione a loro favorevole. Ciò significa che non hanno alcun incentivo a scendere a compromessi o ad accettare colloqui di pace. In effetti, cercano solo di dettare i termini della pace, forse lungo le linee delineate sopra. Se l’Occidente non si arrende, le operazioni in Ucraina continueranno finché sarà necessario. A un livello strategico più alto, i russi probabilmente intendono anche che la guerra duri abbastanza a lungo da rendere trasparente la debolezza della NATO e l’impotenza degli Stati Uniti, in modo tale da poter raggiungere più facilmente il tipo di obiettivi più ampi che ho appena delineato , oltre a indebolire le economie occidentali.
Ora, non ho idea se questo sia effettivamente ciò che i russi intendono fare: posso solo dire che mi sembra del tutto possibile. Questa è, dopotutto, una società che prende Clausewitz più seriamente di Harry Potter e Tolstoy come una guida alla guerra migliore di Twitter. E non ho idea se avrà successo. Ma ancora più importante, se l’analisi di cui sopra è corretta anche lontanamente, allora il fatto che l’Occidente è intellettualmente e politicamente mal equipaggiato per capire cosa stanno facendo i russi, figuriamoci circa la capacità di reagire efficacemente.
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