LE MANI SULL’UCRAINA, SU TAIWAN E SUL KOSOVO: SINO A CHE PUNTO SI STANNO SPINGENDO GLI USA?_di Marco Giuliani
Intanto, in Italia, i maggiori partiti si raccomandano alla Casa Bianca per paura di perdere voti
La delicatissima fase in tema di relazioni internazionali che sta attraversando il pianeta (tutto) in questo 2022 sembra degenerare di giorno in giorno, senza soluzione di continuità. Ma qualcuno, in particolare, non si accontenta del conflitto russo-ucraino, tanto meno dello stato di enorme difficoltà che sta passando l’Unione Europea a fronte delle sanzioni inflitte a Mosca e del conseguente taglio delle forniture dei materiali energetici da parte del Cremlino. Viene spontaneo porsi alcune domande e tentare, previa analisi della situazione in divenire e dei relativi dati, di fornire delle risposte, che per altro appaiono sempre più come delle conclusioni fondate anziché delle supposizioni. Nel superare, infatti, la cosiddetta “linea rossa” citata da diversi capi di Stato sparsi nel mondo, gli Stati Uniti stanno gettando benzina sul fuoco della tensione già presente in diverse aree alimentando uno scontro che talvolta essi stessi hanno innescato senza ragioni apparenti. Quali sono gli obiettivi reali non tanto di Joe Biden – ormai in piena fase senile – quanto dell’establishment politico-finanziario-statunitense, oltre a quello di rimpinguare le casse delle grandi multinazionali che producono armi?
Andiamo per ordine. L’Europa orientale sta vivendo il suo sesto mese di guerra, e le dinamiche sono più o meno rimaste le stesse: i russi si allargano e gli ucraini reagiscono come possono grazie all’invio di armi da parte di UE e Washington e facendosi scudo con strutture residenziali. I caduti, tra militari e civili, potrebbero essere oggi qualcosa come 40-50.000, anche se le stime, per vari motivi, non possono (e non potranno, se non tra diversi anni) essere precise. A Bruxelles non importa, tanto meno alla Casa Bianca; i due soggetti terzi, di fatto, continuano a “dirigere” le ostilità con una regia che Zelensky – mentre fornisce previsioni cervellotiche per cui Putin attaccherà anche altri paesi – asseconda tout court dalle stanze del “grande fratello” di Kiev.
Contemporaneamente, nell’emisfero opposto del globo si inasprisce la tensione tra la Cina e i soliti Usa per la questione-Taiwan, presso cui ha transitato la Pelosi, facendo arrabbiare di brutto Pechino. Anche in questa circostanza, sembra abbastanza chiaro l’intento degli americani di mostrare i muscoli e dare dimostrazione di poter fare il loro comodo ingerendo dall’Atlantico al Pacifico tramite la ormai ben nota guerra ibrida. Ma attenzione, i cinesi non sono gli afghani, e visto il coinvolgimento del nucleare, la lite potrebbe diventare spiacevole per tutti. Ora, rispetto allo status dei rapporti tra le due superpotenze, rientra probabilmente il disegno di creare una lacerazione profonda tra l’Occidente e suoi dirimpettai orientali fornendo arsenali e denaro a coloro che l’Occidente stesso vorrebbe diventassero alleati strettissimi. Contrapponendosi, in omnibus et pro omnibus, ai paesi che al contrario sta trasformando in nemici senza che in tempi recenti abbiano operato delle mosse per diventarlo. A margine di una politica del genere, anche Ronald Reagan avrebbe potuto sembrare un moderato.
Terza questione: Kosovo. Provincia autonoma storicamente a grande maggioranza albanese, fa parte del reclutamento di quanti più paesi europei possano entrare a far parte dell’alleanza atlantica, forzatura che Nato e Usa vogliono per creare un punto di contatto tra la crisi ucraina e l’instabilità nei Balcani; stavolta, il nemico inquadrato è la Serbia, vicina a Vladimir Putin e guarda caso uno dei pochi stati dell’area che non ha chiuso lo spazio aereo a Mosca. In più c’è la minaccia diretta: «Se i serbi prevaricano, la Nato interverrà con la forza», fanno sapere dal KFOR, missione militare interforze a presidio dell’area, che conta la presenza di quasi mille unità italiane sul campo. In forma più leggera, ma analogamente a quanto è successo dai primi anni Duemila in Ucraina nei confronti dei russofoni, le autorità kosovare stanno operando un graduale ma continuo smantellamento di tutto ciò che contrassegna l’identità serba (targhe, documenti, simboli). Il risultato è che i serbi kosovari protestano inducendo le autorità locali a opporre un controllo di polizia, il quale ha provocato già diversi scambi a fuoco presso il confine. È una strategia rozza della Nato? Forse, o forse no. Annotiamo esclusivamente che alcuni giorni fa ha avuto luogo un incontro tra il Segretario di Stato statunitense Blinken e il premier kosovaro Kurti per definire la futura integrazione euro-atlantica del Kosovo.
Dalle nostre parti, intanto, in vista delle politiche di settembre, in un clima da mercato delle vacche, si pensa più alle poltrone che al fabbisogno dei cittadini. Tra i maggiori partiti italiani, in relazione all’appiattimento che da mesi contraddistingue la loro propaganda, si è formata la fila per raccomandarsi a Washington, ribadendo fedeltà – per non dire asservimento – al Patto Atlantico in fatto di rapporti bilaterali e fornitura di armi (più soldi) agli ucraini. Ergo: anziché manifestare apertamente una propria autonomia di pensiero e anteporre la salvaguardia degli interessi nazionali, il grande centro allineato preferisce l’endorsement della Casa Bianca. L’Italia politica del terzo millennio è arrivata anche a questo.
MG
BIBLIOGRAFIA
AA.VV., The Last of the Whampoa Breed: Stories of the Chinese Diaspora, Columbia University Press, 2003 –
- Biagini, Storia dell’Albania, Milano, Bompiani, 1998 –
SITOGRAFIA
www.tag24.it, pagina del 04/08/2022 consultata il 04/08/2022 –
www.lantidiplomatico.it, pagina del 04/08/2022 consultata il 04/08/2022 –
Tra Serbia e Kosovo è ancora guerra delle targhe, articolo pubblicato il 01/08/2022 sulla pagina www.ispionline.it, consultata il 05/08/2022 –
Segretario Blinken incontra il presidente kosovaro Osmani e il Primo Ministro Kurti, articolo pubblicato il 26/07/2022 su www.state.gov, sito del Dipartimento di Stato Usa, consultato il 05/08/2022 –