Stati Uniti! Riposizionamenti e resa dei conti_con Gianfranco Campa

Le dimissioni di Victoria Nuland sanciscono definitivamente il riposizionamento della leadership statunitense su due aspetti: il fronte principale del confronto geopolitico è sempre meno collocato in Europa e il suo epicentro in Ucraina ha rivelato soprattutto le debolezze e l’avventurismo di una ostinazione russofobica che lascerà nude ed esposte soprattutto le élites europee. Di fatto si sta cercando una via di uscita che comporterà comunque il pagamento di un prezzo particolarmente elevato o di un azzardo dagli esiti catastrofici. Il conflitto interno agli Stati Uniti detterà sempre di più le dinamiche geopolitiche; la gran parte delle energie della attuale dirigenza statunitense dovrà essere spesa all’interno. La Nuland promette di essere uno dei personaggi chiave incaricato alla bisogna. Sentiremo parlare meno di lei, ma non vorrà dire che cesserà di fare danni. Fa parte di un élite che si sente sempre più minacciata e riterrà di lottare per la propria stessa sopravvivenza anche a scapito della sicurezza e stabilità del proprio paese. L’anno terribile è iniziato in queste ultime settimane. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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“RESA INCONDIZIONATA” – parla Medvedev, di Daniele Lanza

Mandatari probabili di un messaggio_Giuseppe Germinario
14.03.2024
All’intervista del presidente l’altro ieri, segue rapida quella del numero 2 del consiglio di guerra – Dmitry Medvedev – che va ad implementare quanto lo stesso aveva già dichiarato una decina di giorni orsono in studio televisivo, con tanto di nuove mappe politiche alle sue spalle che ridefiniscono i connotati dell’est-europeo per la prima volta dal 1992 (…).
In breve, parla di “resa incondizionata”, come possibile epilogo dello scacchiere ucraino con annullamento dello stato omonimo come entità indipendente. Oppure di partizione (le cui varianti sarebbero molteplici).
Vi è qualcosa di volutamente eccessivo, oserei dire, nell’intervento: termini ed espressioni utilizzate sono radicali al punto tale da coincidere in pieno con la narrativa caricaturale dei media d’occidente in merito alla voracità imperiale del Cremlino (!). Pare quasi che tenti deliberatamente di confermarla che giochi sulle paure pregresse di ucraini e alleati in modo di scuoterli quanto serve e portarli ad ascoltare di più l’ultima intervista del presidente. E allora iniziamo proprio da questo: le uscite (volutamente) esagerate di Medvedev e le sue cartine geografiche a colori vivaci, stridono con il tono assai più calmo, severo e ponderato di Vladimir Putin, che esprime un quadro meno estremo e più realistico……..e soprattutto le seguono a ruota (cioè Medvedev si è espresso immediatamente dopo).
Ad occhio, sono portato a credere in una riedizione – a livello di politica internazionale – della dinamica negli interrogatori di polizia “POLIZIOTTO BUONO e POLIZIOTTO CATTIVO”, di antichissima memoria.
Per aiutare l’opinione pubblica ucraina e di chi li “aiuta” a capire che vale la pena considerare la mano tesa di Putin , gli si presenta anche possibili alternative di carattere catastrofico, su cui riflettere, arrivando alla conclusione logica che la proposta di un paio di giorni fa è in fondo il minore dei mali. Al Cremlino non si ipotizzano seriamente scenari del genere riportato sulla mappa (in basso), non li si pianificano, non li si era mai pianificati….erano più che altro negli incubi di UE-USA e Kiev. Ora si è deciso di usare tali incubi per dare una scossa al nemico, per la serie “Volete che siamo dei mostri ? Possiamo esserlo se vogliamo……” (ecco tutto).
D’altro canto un rischio persiste eccome: che l’oltranzismo di Kiev renda REALE qualcosa che si era solo immaginato nella caricature più estreme. Anche una dozzina di anni fa non ci si immaginava veramente un’operazione russa su larga scala in Ucraina, eppure le circostanze hanno letteralmente obbligato il Cremlino a reagire, dando vita ad un quadro come nessuno si sarebbe sognato.
Come si è detto molte altre volte in passato, se a Kiev vi fosse un governo NORMALE a questo punto si sarebbe già da tempo ai negoziati, le ostilità sarebbero quantomeno state sospese: ma a Kiev è stata messa al potere una giunta che NON rispecchia nemmeno la società ucraina quanto la sua frangia più oltranzista (quella più disposta a battersi fino alla morte), incapace di essere “interlocutore” in alcun modo e forzando di conseguenza la controparte ad azioni sempre maggiori……fino ad ottenere risultati maggiori di quanto avrebbe pianificato.
Volendo prendere analizzare la mappa in basso…..è chiaramente uno spauracchio: gioca non soltanto sul timore ucraino di essere fagocitata da est (dalla Russia), ma anche dal timore di essere fagocitati da ovest (dalla Polonia). Si direbbe che l’intendo criptico del disegno sia quello di dare una scossa proprio ai nazionalisti ucraini, ricordandogli che l’occidente non è necessariamente così amico e che sarebbe pronto ad annetterli al medesimo modo se il caso lo impone (magari mettendosi d’accordo proprio con il Cremlino….), quanto il fatto che vi sono anche altre componenti etniche NON ucraine pronte a sganciarsi, dalle province prossime a Slovacchia ed Ungheria, sino alla Romania (…).
Sì, forse si tratta di un quadro diretto agli ucraini stessi – pur patrioti – invitandoli a riflettere sul fatto che devono evitare di risultare parcellizzati e disgregati come mai prima.
Il fatto è che se non lo capiscono………..quella che oggi è una provocazione spaccona, rischia di ricalcare (e per davvero) una qualche futura realtà, temo: lo stato di KIEV che si vede al centro, come incarnazione del muro di Berlino per il secolo XXI in Europa (?).
Non so proprio dire.
 
TRE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DELLA DIFESA
(per chiudere la giornata in modo idilliaco**)
1# “Oggi Putin ha detto chiaramente che lui la pace non la vuole, non vuole smettere di bombardare in Ucraina.”
(risposta mia)
?!…..ma l’onorevole Crosetto ha ascoltato o letto per conto proprio l’intervista di Putin ? Integralmente ? A giudicare dalla sua replica pare gli abbiano fornito il testo sbagliato o tradotto male i dialoghi (?).
2# “Le provocazioni di Putin – ha aggiunto – sono all’ordine del giorno. Finché spedisce le truppe ai confini (con la Finlandia, ndr) per l’esercitazione va bene, ma il problema è quando glieli fa scavalcare ai carri armati come in Ucraina”
(ris. mia)
Dunque: la Finlandia dopo 80 anni di neutralità, nel contesto criticissimo che osserviamo, decide di ADERIRE alla Nato (che implicherà il posizionamento di armi pericolosissime contro San Pietroburgo ed altri grandi centri della Russia nord-occidentale), blocca il confine al transito usuale di russi e dichiara di costruire un muro di acciaio per tutta la lunghezza del confine (1300 km).
La risposta russa di quale tipo dovrebbe essere ? Invitare a cena il ministro della difesa finlandese ?
3# “Così almeno anche a livello italiano quelli che pensano sia facile dialogare con Putin si renderanno conto che non è facile”.
(ris. mia)
Gli italiani che siano un minimo informati e si ritrovino a leggere cosa dichiara l’onorevole Crosetto…..si renderanno conto che non è facile capire se il ministro della difesa ha la capacità di leggere per conto proprio i comunicati internazionali (…)
Mi dispiace soprattutto per gli italiani, dato che per quanto mi riguarda, Guido Crosetto NON è il mio ministro della difesa.
Buon proseguimento di serata

L’elezione di Trump riporterà l’isolazionismo e minaccerà la NATO?_di Uriel Araujo

Le tesi di Uriel Araujo, esposte nel suo articolo, ma particolarmente diffuse nell’area del dissenso qui in Italia, ma anche nel movimento dei BRICS, sono particolarmente significative su almeno quattro aspetti:

  • ha certamente ragione quando sottolinea l’ingenuità di quelle componenti che vedono in Trump, in particolare nella sua passata ed eventualmente prossima amministrazione, il salvatore delle patrie altrui, il sostenitore ed il fiero paladino del multipolarismo e dell’isolazionismo. Trump è espressione rigorosamente statunitense e sintesi particolarmente conflittuale di due componenti, una delle quali più presente tra i centri decisori, l’altra più radicata nel movimento popolare a loro supporto e condizionamento di questi e dell’emersione di nuove élites decisorie. Al meglio Trump, tutto dipende da come si evolverà il confronto interno alla sua compagine, potrà prendere atto dell’affermazione del multipolarismo, piuttosto che di un bipolarismo dai rapporti di forza squilibrati e propugnerà un confronto più improntato alla attività diplomatica, corroborata da esibizione di forza puntuale e dosata, piuttosto che ad un improbabile isolazionismo o ad un uso generalizzato e destabilizzante della forza e delle attività sovversive. È, per altro, il filo logico che ha percorso le intenzioni e in parte la condotta pratica della passata presidenza di Trump e che, probabilmente, percorrerà quella futura, sempre che riesca in qualche maniera, a dispetto dei malintenzionati, a conseguirla. Si vedrà allora, a sua volta, con quale coerenza.
  • ha torto, gravemente torto, a parere dello scrivente, quando definisce in maniera univoca ed unidirezionale il rapporto tra centri decisori, specie quelli presenti e annidati nei settori cruciali dello Stato e la compagine di Governo. Nella fattispecie degli Stati Uniti tra i centri decisori presenti in particolare nelle centrali di intelligence, negli apparati militari e nel complesso militare-industriale-finanziario e la compagine governativa. Ha torto per vari motivi, tra i quali due essenziali: 1- la funzione del Governo e della sua compagine amministrativa non è solo e puramente di immagine e di offerta di un volto presentabile a centri decisori “occulti”. Ha il compito di regolare la circolazione, l’esecuzione, l’accettazione e la pervasività delle decisioni dei centri decisori nel rapporto circolare che si determina tra vertici e base popolare ed intermedia e che si dirama partendo e ritornando solitamente ai vertici 2- riveste, o quanto meno contribuisce a rivestire in maniera determinante, una funzione di sintesi politica e di coerenza delle azioni conseguenti nella gestione dei rapporti di cooperazione/conflitto tra centri decisori all’opera nei vari apparati. Su questo aspetto, Nicos Poulantzas, Louis Althusser e Theda Skocpol, negli anni 70/80, pur non arrivando alla distinzione tra funzione degli apparati e azione dei centri decisori all’interno di essi, esplicitati successivamente ad esempio in Italia dal professor Gianfranco La Grassa, hanno comunque scritto pagine egregie di segnalazione e denuncia degli scompensi e delle fibrillazioni e, in fase acuta o di incancrenimento,  eventualmente dei punti di crisi acuta e di dissesto che si creano nel funzionamento dello stato quando parte di questi apparati si atrofizzano, si destabilizzano o si dissociano dagli orientamenti e dall’azione comune e di sintesi a seguito di dinamiche interne ed esterne sfuggite al controllo sino, a volte, a creare condizioni di rivolgimento rivoluzionario
  • Arajuio, ma non è purtroppo il solo, ha torto, quindi, nel presentare l’azione politica di Trump assimilandola e uniformandola in un unico coacervo a quella della Amministrazione e governo di Trump. A corroborare la propria tesi Arajuio adduce numerosi esempi che in realtà offrono il destro a interpretazioni opposte. Cita l’episodio gravissimo dell’assassinio del generale iraniano Suleimani, ma ignora il fatto che fu una reazione all’atteggiamento gradasso e troppo spregiudicato della dirigenza iraniana nell’assalto all’ambasciata statunitense a Bagdad e dell’umiliazione legata all’ostentazione televisiva dei marinai americani fatti prigionieri e liberati dopo un attacco ad una unità navale della flotta del Golfo Persico sino a scatenare l’istinto di vendetta tra le truppe del quale si era fatto espressione il Generale Flynn ed abile profittatore Pompeo. Atteggiamento che, di fatti, la dirigenza iraniana si è guardata bene dal ripetere in un contesto geopolitico successivo, per altro, ad essa ben più favorevole. Lo stesso Trump, nelle more, è stato colui che, con un atto di imperio, ha bloccato la missione degli aerei ormai in volo, su ordine del suo Segretario Pompeo, per bombardare l’Iran. Lo stesso dicasi per l’analogo contrasto alla decisione di Pompeo di eliminare fisicamente Maduro, in Venezuela e creare una situazione di golpe e di guerra civile; e ancora della citazione del bombardamento, come azione guerrafondaia piuttosto che atto simbolico e senza vittime, di una base siriana dell’esercito di Assad a seguito della montatura dello scandalo dell’uso di gas tossici. Quanto all’atteggiamento bellicoso nei confronti della Cina, l’impostazione originaria di Trump, diversa da quella di parte della sua amministrazione, è stato quello di un confronto duro, ma di carattere diplomatico e prettamente rivolto agli aspetti economici delle relazioni sino-statunitensi. Sulla successiva e progressiva prevalenza della componente più propensa ad un confronto militarista, per altro in combutta sempre più sodale e saldata con la componente di confronto aggressivo e destabilizzante dell’integrità della Russia, ha per altro influito la probabile illusione della dirigenza cinese di poter procrastinare le dinamiche di globalizzazioni sino a quel momento a lei così favorevoli. Illusione resa verosimile dall’atteggiamento più comprensivo manifestato inizialmente nei confronti di Biden e della sua componente demo-neoconservatrice. Quanto all’approccio con la dirigenza russa e all’ostilità crescente con la Russia il discorso è troppo complesso per essere affrontato compiutamente in questa chiosa. Va sottolineato, però, che i centri decisori della NATO, i nuclei decisori rappresentati dal quartetto Nuland, Kagan, Blinken, Sullivan e dei quali fanno parte a pieno titolo la quasi interezza delle élites europee ed europeiste in una particolare scala gerarchica, hanno avuto, durante la Presidenza Trump, un ruolo del tutto autonomo e proattivo sia nel condurre la propria politica russofoba, sia nel sabotare ed infiltrare ulteriormente l’amministrazione presidenziale. Quanto si sta muovendo attualmente in casa Europa non fa che presagire e confermare per il futuro tale attivismo.  Nelle more, le recenti annunciate dimissioni di Nuland dalla sua carica, rappresentano certamente una presa d’atto della situazione vacillante in Ucraina, ma potrebbero nel contempo rappresentare un nuovo riconoscimento delle sue note capacità di destabilizzatrice e di fomentatrice di “rivoluzioni colorate” questa volta ad uso interno agli Stati Uniti, in previsione di una nuova presidenza di Trump e della necessità di distrugger, una volta per tutte il movimento MAGA. Queste sono, infatti, le voci ricorrenti in Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti.
  • Araujo sbaglia, quindi e a mio parere, nel presentare l’azione dell’amministrazione di Trump come una serie di atti coerenti, piuttosto che contraddittori, legati alle vicende interne e antitetiche della sua compagine e al conflitto cruentemente ostile, ma sordo con la compagine neocon ancora presente nel Partito Repubblicano ed esplicito con quella neocon-democratica esterna molto ben rappresentate tra i centri decisori e radicati nella società statunitense. Va ricordato, tra l’altro, che il movimento MAGA e Trump non sono riusciti ancora ad assumere il controllo del comitato del Partito Repubblicano che gestisce i fondi, non ostante il crescente radicamento popolare e la presenza sempre più pervasiva negli apparati degli stati federali. Tutto questo a prescindere dalle capacità indubbie, ma anche dalla evidente inadeguatezza sulle motivazioni e sui tanti aspetti delle scelte di Trump. Non a caso il comitato promotore della prima candidatura di Trump, che avrebbe dovuto supportarlo auspicabilmente nell’azione presidenziale, si sciolse a pochi mesi dal suo insediamento e si dissolse dopo la defenestrazione di Flynn da Segretario di Stato.

Non si tratta, quindi, di adottare un atteggiamento falsamente disincantato o partigiano verso un possibile “Podestà Straniero” più o meno benevolo. Atteggiamento, purtroppo, particolarmente diffuso in ambienti così immaturi politicamente come quelli cosiddetti “sovranisti” in Europa, ma presenti anche nei pochi livelli decisori più elevati diffusi nel mondo.

Al contrario si tratterebbe di valutare come l’azione di forze politiche mature, eventualmente presenti in Europa e soprattutto in Italia, visto che qui viviamo e siamo presenti, può approfittare delle contraddizioni e dell’aspro conflitto politico nel paese egemone e contribuire in qualche misura, mi si perdoni il velleitarismo, a determinare l’esito di quello scontro.

La forza e la chiarezza di intenti del movimento MAGA, solo parte delle componenti che sostengono, tollerano o prendono atto del ritorno di Trump e, possibilmente, dell’ascesa di nuovi leader più capaci, sono i fattori in grado di cambiare gli equilibri tra i centri decisori del paese egemone e la formazione di nuovi centri basati su nuove componenti e nuove gerarchie sociali, politiche ed economiche.

Al contrario si tratta di comprendere che solo da un rivoluzionamento e da una destabilizzazione della situazione negli Stati Uniti potranno nascere, assieme ai rischi intrinseci, le condizioni oggettive di una riduzione della presa sul nostro continente e sull’Italia e di una acquisizione di maggiore autonomia, di indipendenza e potenza politica.

Condizioni oggettive, appunto. Quanto a quelle soggettive, ancora più determinanti, quanto, allo stato, scoraggianti, saranno il parametro indispensabile in grado di discernere tra un élite e una classe dirigente in cerca di nuovi padroni cui asservirsi ed una con ambizioni di autonomia in grado di costruire e ricostruire un blocco sociale, una formazione sociale ed uno stato coesi, dinamici, equilibrati e più equi. Un blocco sociale nel quale dovranno trovare posto tutte le figure sociali, ma con pesi e gerarchie diverse.

Per finire, come sottolinea giustamente Urie, ci sono dei limiti nell’efficacia dell’azione di un Presidente, per quanto influente come quello statunitense, sia in politica estera che interna, contano sempre più le dinamiche geopolitiche e le forze esterne al paese, pesano i centri decisori interni, ma i suoi atti non possono essere semplicemente ridotti a pure rappresentazioni scenografiche e semplici espressioni eterodirette.  Giuseppe Germinario

L’elezione di Trump riporterà l’isolazionismo e minaccerà la NATO?

Uriel Araujo, ricercatore specializzato in conflitti internazionali ed etnici

L’accademico indiano Pratap Bhanu Mehta, ex presidente del Center for Policy Research, scrive che un’elezione di Trump rappresenterebbe una minaccia per la democrazia negli Stati Uniti. Altri esperti hanno sostenuto che Trump potrebbe mettere in pericolo la NATO e riportare indietro l’isolazionismo americano. Le cose potrebbero non essere così semplici, però.

Come ho scritto di recente, oltre alla tanto discussa questione dell’allargamento della NATO, bisogna considerare anche l’espansione della famigerata Central Intelligence Agency (CIA) statunitense: secondo un recente articolo del New York Time, negli ultimi dieci anni l’Agenzia ha sostenuto un La “rete di basi di spionaggio” in Ucraina, che comprende “12 luoghi segreti lungo il confine russo” e una “partnership segreta di intelligence”, ha trasformato il Paese in “uno dei più importanti partner di intelligence di Washington contro il Cremlino”. Commentando ciò , Mark Episkopos, ricercatore sull’Eurasia presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft, sottolinea il fatto che tale partnership tra CIA e Ucraina in realtà “si è approfondita sotto l’amministrazione Trump, smentendo ancora una volta l’idea infondata secondo cui l’ex presidente Trump era in qualche modo incline agli interessi della Russia mentre era in carica”.

Inoltre, nel dicembre 2017 l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha venduto a Kiev armi “difensive” che, secondo il professore di scienze politiche dell’Università di Chicago John Mearsheimer, “certamente sembravano offensive per Mosca e i suoi alleati nella regione del Donbas”. Naturalmente, i legami ucraino-americani sono cresciuti sotto il presidente in carica degli Stati Uniti Joe Biden, con le provocazioni dell’Operazione Sea Breeze del 2021, la Carta USA-Ucraina sul partenariato strategico dello stesso anno, e molto altro ancora, fino alla crisi odierna. Il punto, tuttavia, è che, sebbene meno palesemente ostile a Mosca (in alcune aree), sarebbe inesatto descrivere la precedente presidenza Trump come qualcosa di lontanamente simile a un’amministrazione “filo-russa”.

È vero che il mese scorso, parlando a una manifestazione, Trump ha affermato di aver detto una volta a un anonimo alleato della NATO che, in qualità di presidente, non avrebbe difeso gli alleati che non rispettassero gli obblighi di spesa per la difesa dell’Alleanza. Secondo lui stesso ha detto: “Non hai pagato? Sei delinquente? No, non ti proteggerei. In effetti, li incoraggerei a fare quello che diavolo vogliono. Devi pagare. Devi pagare le bollette. Questo tipo di retorica, tuttavia, tipico dello stile dell’ex presidente, dovrebbe piuttosto essere interpretato come retorica pre-elettorale per infiammare la sua base – oltre che come una valida critica, dal punto di vista americano, del fatto che la maggior parte dei paesi della NATO non non riescono a raggiungere l’obiettivo di spesa concordato di utilizzare almeno il 2% del loro PIL in spese militari.

Ciò ovviamente sovraccarica Washington, a scapito dei suoi contribuenti. Il punto (retorico) di Trump è stato denunciato da molti come una seria minaccia di lasciare che la Russia “conquisti” gran parte dell’Europa. Nel mondo reale, però, Mosca non ha alcun obiettivo di conquistare l’Ucraina (come vi dirà qualsiasi esperto serio – le sue preoccupazioni principali riguardano l’allargamento della NATO), tanto meno alcun interesse a invadere i paesi NATO dell’Europa occidentale e provocare così la Terza Guerra Mondiale. – e, anche se così fosse, gli Stati Uniti, con o senza Trump, avrebbero ovviamente le proprie ragioni strategiche per opporsi a tale ipotetico scenario intervenendo in difesa dei propri alleati europei, siano essi delinquenti o meno.

Nel mondo immaginario dei propagandisti pro-Biden, Trump è una sorta di “agente russo” determinato a distruggere l’egemonia americana a livello globale e quindi a lasciare prevalere il “male”. Le fantasie di alcuni degli analisti più ingenui di convinzione “antimperialista” sono abbastanza simili, con l’unica differenza che percepiscono ciò come una buona cosa e immaginano il favorito repubblicano come un campione del multipolarismo, della pace mondiale e persino del Sud del mondo, se vuoi ( i venezuelani potrebbero non essere d’accordo ). Niente di tutto ciò dovrebbe essere preso sul serio, ma sfortunatamente, nell’era della propaganda e della guerra dell’informazione, spesso lo fa.

Retorica a parte, lungi dall’essere una posizione marginale, l’idea che la vittoria militare in Ucraina sia irraggiungibile sta lentamente guadagnando terreno nell’establishment americano. Trump potrebbe probabilmente essere un po’ più veloce nel lasciar perdere, ma questo è tutto. James Stavridis, ex comandante supremo alleato in Europa della NATO, scrivendo per Bloomberg nel novembre 2023, ad esempio, ha sostenuto che Washington dovrebbe imparare dalle “lezioni della Corea del Sud” e negoziare un accordo “terra in cambio di pace” per porre fine ai combattimenti in Ucraina. Questo scenario implicherebbe una sorta di ritirata strategica, da una prospettiva occidentale, per poi investire nell’Ucraina occidentale, per così dire, in modo da coltivarla come una sorta di Corea del Sud dell’Europa orientale (con una presenza persistente della CIA, ci si potrebbe aspettare). .

Non è sempre finita, anche quando è “finita”: uno scenario del genere chiaramente non farebbe molto per la stabilità regionale o la pace nel lungo periodo. Come ho scritto in più di un’occasione, anche dopo il raggiungimento della pace, finché la minoranza russa rimarrà emarginata in Ucraina e finché continuerà l’allargamento della NATO, ci sarà ancora ampio spazio per tensioni e conflitti.

C’è ancora un’altra questione: con l’escalation del conflitto in Palestina, il centro di gravità delle tensioni globali è cambiato. Anche la campagna militare in corso di Israele a Gaza e in Cisgiordania, così come le sue operazioni in Siria e Libano, fanno parte della “guerra non ufficiale” dello Stato ebraico contro l’Iran , con conseguenze globali . L’attuale crisi nel Mar Rosso, che coinvolge gli Houthi, è in gran parte un effetto collaterale della disastrosa campagna israeliana nel Levante, sostenuta dagli Stati Uniti. Ebbene, si scopre che Trump è, a detta di tutti, un sostenitore incondizionato di Israele più di Biden, indipendentemente da quante linee rosse siano oltrepassate dallo Stato ebraico in Medio Oriente. Si potrebbe ricordare, ad esempio, che fu allora il presidente Trump ad assassinare il generale iraniano Soleimani . Recentemente, Trump ha notoriamente affermato che Tel Aviv deve “risolvere il problema”.

Quando è stato intervistato per un articolo del Boston Globe intitolato “ Vota tutto quello che vuoi. Il governo segreto non cambierà ”, nel 2014, Michael J. Glennon, professore di diritto internazionale alla Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University (e autore di “National Security and Double Government”), spiegava che gran parte del I “programmi” di politica estera degli Stati Uniti sono, come disse una volta John Kerry, “con il pilota automatico” e che “una politica dopo l’altra continuano tutte praticamente allo stesso modo in cui erano durante l’amministrazione George W. Bush”. Questa situazione viene spiegata da questo analista con il concetto di “doppio governo”, così descrive un apparato di difesa e sicurezza nazionale quasi autogovernato che opera negli Stati Uniti senza molta responsabilità. Il suddetto libro di Glennon è stato elogiato da ex membri del Dipartimento di Stato, del Dipartimento della Difesa, della CIA e della Casa Bianca. Non c’è motivo di ritenere che le sue conclusioni siano meno vere oggi.

Per riassumere, ci sono dei limiti alla quantità di cambiamenti che un presidente degli Stati Uniti, da solo, può apportare al sistema di “doppio governo” della superpotenza in termini di difesa e politica estera. Il centro di gravità delle tensioni globali sta cambiando e, per dirla senza mezzi termini, l’Ucraina non è più così importante. Infine, il passato di Trump come ex presidente non consente in alcun modo di descrivere la sua amministrazione come “isolazionista” o “filo-russa”.

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La grande lezione dell’ultima invasione della Russia da parte dell’Occidente, Theodore Bunzel

Come imparare dalla storia e ricaderci

La grande lezione dell’ultima invasione della Russia da parte dell’Occidente

Cosa ci insegna l’intervento alleato nella guerra civile russa sull’Ucraina di oggi.

A cura di , Managing Director e responsabile della Consulenza geopolitica di Lazard.
A historic image of American soldiers in snow.
Un’immagine storica di soldati americani nella neve.
Soldati americani del 339° reggimento si riuniscono sul fronte settentrionale nel 1919. UNIVERSAL HISTORY ARCHIVE/UNIVERSAL IMAGES GROUP VIA GETTY IMAGES

La Russia settentrionale deve aver fatto sentire un freddo pungente ai soldati statunitensi, anche se quasi tutti provenivano dal Michigan. Il 4 settembre 1918, 4.800 truppe statunitensi sbarcarono ad Arkhangelsk, in Russia, a sole 140 miglia dal Circolo Polare Artico. Tre settimane dopo, si trovarono a combattere contro l’Armata Rossa tra imponenti foreste di pini e paludi subartiche, a fianco di inglesi e francesi. Alla fine, 244 soldati statunitensi morirono in due anni di combattimenti. I diari delle truppe statunitensi dipingono un quadro straziante del primo contatto:

Ci imbattiamo in un nido di mitragliatrici, ci ritiriamo. [I bolscevichi continuano a bombardare pesantemente. Perry e Adamson della mia squadra sono feriti, un proiettile mi colpisce la spalla da entrambi i lati. … Sono terribilmente stanco, affamato e tutto sommato anche il resto dei ragazzi. Le vittime di questo attacco sono 4 morti e 10 feriti.

Queste anime sfortunate rappresentavano solo una parte del vasto e sfortunato intervento alleato nella guerra civile russa. Dal 1918 al 1920, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Giappone inviarono migliaia di truppe dai Baltici alla Russia settentrionale, dalla Siberia alla Crimea – e milioni di dollari in aiuti e forniture militari ai russi bianchi anticomunisti – nel tentativo abortito di strangolare il bolscevismo nella sua culla. Si tratta di uno dei più complicati e spesso dimenticati fallimenti di politica estera del XX secolo, raccontato in modo accattivante e dettagliato da Anna Reid nel suo nuovo libro, A Nasty Little War: The Western Intervention Into the Russian Civil War.

I dettagli del conflitto, che Reid intreccia brillantemente con i diari personali dei partecipanti, sembrano spesso ultraterreni. Le truppe giapponesi occuparono Vladivostok nell’Estremo Oriente russo. I mercuriali francesi – all’inizio i più falchi a favore dell’intervento tra tutti gli Alleati – guidarono l’occupazione dell’Ucraina meridionale, contendendo ai rossi città ormai familiari ai lettori: Mykolaiv, Kherson, Sebastopoli, Odessa. I britannici – che avevano investito di più nell’intervento, con 60.000 soldati – si muovevano ai margini della Russia: difendevano Baku dai turchi in arrivo, conducevano sabotaggi navali contro i bolscevichi nei Baltici e, infine, evacuavano i bianchi dai porti del Mar Nero che si sgretolavano di fronte all’assalto dell’Armata Rossa.

L’inquietante domanda che aleggia sull’eccellente libro di Reid è se l’Occidente sia destinato a ripetere la storia. L’intervento è fallito e, se si strizza l’occhio, l’intervento odierno in Ucraina può apparire altrettanto futile di fronte a una Russia vasta e determinata con un pozzo apparentemente infinito di materiali, uomini e volontà politica. Questo è ciò che i repubblicani di estrema destra al Congresso, Viktor Orban in Ungheria e l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump vorrebbero far credere. Un senso di disperazione articolato da Edmund Ironside, il comandante britannico delle forze alleate nel nord della Russia durante l’intervento: “La Russia è così enorme che dà una sensazione di soffocamento”.

Ma nonostante i forti echi storici, le differenze tra i due interventi sono più istruttive delle loro somiglianze. Uno studio approfondito pone forse una domanda ancora più grande: Quali sono le condizioni per il successo di un intervento straniero? Sì, gli Alleati hanno commesso dei pasticci, ma, in tutta onestà, hanno fallito soprattutto a causa di ciò che era fuori dal loro controllo, piuttosto che di ciò che lo era. Il fattore più limitante era costituito dagli alleati della Russia Bianca, un gruppo eterogeneo di socialisti antibolscevichi e di ex ufficiali zaristi incompetenti che in fondo erano autocrati della Grande Russia. Non avevano il consenso né della popolazione russa né, cosa fondamentale, dell’arazzo di minoranze etniche della Russia zarista – dagli ucraini ai baltici – che cercavano di riportare sotto il tallone della Russia.

Oggi le circostanze sono molto più favorevoli. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno un partner unito e determinato nell’Ucraina di Volodymyr Zelensky, in una lotta di accecante chiarezza morale. L’economia russa può essere in condizioni di guerra, ma collettivamente l’Occidente ha a disposizione molte più risorse. E il compito di difendere un’Ucraina motivata da un’invasione ostile è molto meno ambizioso del tentativo di rovesciare il governo del più grande Paese del mondo. Un sobrio confronto tra i due interventi dovrebbe infatti rafforzare la convinzione dell’Occidente di poter portare a termine l’Ucraina, a patto che la sua volontà politica, in calo oggi come allora nelle capitali occidentali, non si metta di traverso.


A historic image of American interventionists landing in Vladivostok, Russia.Un’immagine storica dell’atterraggio degli interventisti americani a Vladivostok, in Russia.

Interventisti americani sbarcano a Vladivostok, in Russia, nel 1918. ARCHIVIO STORICO UNIVERSALE/VIA GETTY IMAGES

Gli ingredienti critici di qualsiasi intervento straniero sono obiettivi chiari e raggiungibili, alleati affidabili sul campo, un avversario attaccabile, mezzi materiali e la volontà politica di portare a termine il lavoro. L’intervento alleato in Russia è stato fatalmente carente sotto tutti i punti di vista.

La cosa forse più sorprendente della narrazione di Reid è che spesso non è chiaro cosa esattamente le truppe alleate dovessero fare in Russia. Certo, tutti i governi occidentali detestavano il bolscevismo e temevano il suo potenziale espansionistico e infettivo. Ma al di là di questo, c’era ben poco in termini di strategia o scopo condiviso. In effetti, le truppe occidentali furono inizialmente inviate per sorvegliare le ferrovie e i depositi militari alleati nella Russia settentrionale e orientale, che si temeva potessero arrivare nelle mani dei tedeschi. Ma la situazione si complicò leggermente dopo la resa della Germania nel novembre 1918. Come disse George F. Kennan nel suo magistrale volume La decisione di intervenire, “le forze americane erano appena arrivate in Russia quando la storia invalidò in un colpo solo quasi tutte le ragioni che Washington aveva concepito per la loro presenza lì”.

Gli zelanti ufficiali britannici sul campo – sostenuti da ministri falchi in patria come il Segretario alla Guerra Winston Churchill, che quasi esaurì il proprio capitale politico sostenendo la donchisciottesca avventura russa – presero presto l’iniziativa di intervenire attivamente e combattere i rossi. In altre aree, tra cui l’Ucraina meridionale, la missione fu più chiara a sostegno delle forze bianche locali, anche se la Francia si perse rapidamente d’animo e tornò a casa nell’aprile 1919 dopo aver subito una serie di battute d’arresto e ammutinamenti.

A racchiudere questa ambiguità furono le istruzioni per l’intervento militare degli Stati Uniti, scritte personalmente in un promemoria del luglio 1918 dal Presidente Woodrow Wilson, il quale era tipicamente tormentato dalla decisione e “sudava sangue su ciò che è giusto e fattibile fare in Russia”. Egli aprì il promemoria avvertendo che l’intervento militare avrebbe “accresciuto l’attuale triste confusione in Russia piuttosto che curarla”, ma poi impegnò le truppe statunitensi ad aiutare la Legione Ceca che operava in Siberia e a recarsi nella Russia settentrionale per “rendere sicuro per i corpi russi riunirsi in corpi organizzati nel nord”. Non è certo una cosa chiarificatrice.

Gli ufficiali statunitensi accolsero queste istruzioni con perplessità. Il generale William Graves, responsabile degli 8.000 soldati in Siberia, era decisamente scettico sul ruolo degli Stati Uniti nel conflitto e interpretò le istruzioni di Wilson come se gli permettessero solo di sorvegliare le ferrovie, non di combattere i rossi. In seguito scrisse nelle sue memorie che non aveva idea di cosa Washington stesse cercando di ottenere. Tutto ciò fu motivo di disappunto per i suoi colleghi britannici più favorevoli all’intervento in Siberia, che invece aiutarono in modo proattivo il “capo supremo” dei bianchi, mostruosamente incompetente, l’ammiraglio Alexander Kolchak, ex capo della flotta russa del Mar Nero, che si trovò incongruamente a combattere nel profondo della Siberia senza sbocco sul mare. (Tra l’altro, era anche un sosia dell’attuale presidente russo Vladimir Putin).

White Russian commander Admiral Alexander KolchakIl comandante della Russia bianca, l’ammiraglio Alexander Kolchak

Il comandante della Russia Bianca, ammiraglio Alexander Kolchak, ispeziona le sue truppe a Omsk, in Siberia, nel 1919. UNIVERSAL IMAGES GROUP VIA GETTY IMAGES

Il che ci porta ai russi bianchi. Forse la conditio sine qua non di qualsiasi intervento straniero, soprattutto se ambizioso come quello occidentale in Ucraina e nella guerra civile russa, sono gli alleati sul campo. È la differenza tra il caos che ha seguito l’intervento occidentale in Libia e il successo dell’intervento nei Balcani. Su questo punto, i bianchi hanno fallito miseramente.

È difficile sapere da dove cominciare. Oltre a Kolchak, c’era l’inarrivabile generale Anton Denikin che guidava le forze bianche nella Russia meridionale e che dissimulava ai governi alleati gli orribili pogrom contro la popolazione ebraica dell’Ucraina perpetrati dai bianchi sotto il suo controllo. Oltre a operare su un fronte impossibilmente ampio e scollegato che copriva l’intera periferia della Russia – un Paese con 11 fusi orari – le diverse fazioni bianche agivano essenzialmente come signori della guerra, con scarsa lealtà o coordinamento tra loro.

Altrettanto fatale per i bianchi fu una vistosa mancanza: un’ideologia coerente o convincente. Antony Beevor, nella sua nuova favolosa storia della guerra civile russa, attribuisce la sconfitta dei bianchi sia alla loro mancanza di programma politico sia alla loro natura frammentaria: “In Russia, un’alleanza assolutamente incompatibile di rivoluzionari socialisti e monarchici reazionari aveva poche possibilità contro una dittatura comunista dalla mente unica”.

Tutto ciò è in contrasto con i rossi. Essi controllavano il cuore industriale di Mosca e San Pietroburgo, operando dall’interno verso l’esterno con linee di comunicazione interne più forti. Questo permise al commissario Leon Trotsky – che, nota Reid, “si trasformò in un leader di guerra quasi geniale: accorto, deciso e di un’energia sconfinata” – di salire sul suo treno blindato per puntellare i fronti in crisi mentre i bianchi avanzavano da est e da sud. I bolscevichi, pur attuando politiche economiche rovinose e iniziando le prime ondate di terrore in patria, erano motivati e possedevano una chiara ideologia che esercitava, almeno in quel momento, un certo fascino sulla popolazione locale.

E, fondamentalmente, la loro volontà era molto più forte di quella dei bianchi o dell’Occidente. Dopo le devastazioni della Prima Guerra Mondiale, i governi alleati temevano la diffusione del bolscevismo, ma non riuscirono a trascinare con sé le loro opinioni pubbliche esauste. In questo caso, gli echi storici sono più preoccupanti. Il sostegno pubblico è comprensibilmente diminuito e le pressioni di bilancio sono aumentate. Come disse il Daily Express britannico nel 1919, riecheggiando la retorica repubblicana di oggi negli Stati Uniti: “La Gran Bretagna è già il poliziotto di mezzo mondo. Non sarà e non può essere il poliziotto di tutta l’Europa. … Le pianure ghiacciate dell’Europa orientale non valgono le ossa di un solo granatiere britannico”. Le battute d’arresto dei bianchi in Siberia e nella Russia meridionale sono state il chiodo fisso. Allora, come oggi in Ucraina, il sostegno politico straniero all’intervento dipendeva soprattutto dalla sensazione di slancio sul campo di battaglia.


A historic image of flag-draped coffins.Un’immagine storica di bare avvolte dalla bandiera.

Le bare avvolte dalle bandiere di 111 militari americani uccisi in Russia arrivano a bordo di una nave a Hoboken, nel New Jersey, intorno al 1920. HULTON ARCHIVE/VIA GETTY IMAGES

Il compito dei responsabili della politica estera è quello di distinguere tra ciò che è in e ciò che è fuori dal loro controllo. Nella misura in cui intuiscono le condizioni favorevoli – gli alleati, la geografia, la vulnerabilità del nemico – allora il compito è quello di concentrarsi e ottimizzare le cose che possono gestire: la strategia e gli obiettivi, la mobilitazione della volontà politica, la fornitura dei materiali per sostenere lo sforzo e il coordinamento con gli alleati.

Nonostante il pessimismo che pervade le capitali occidentali, l’odierna guerra in Ucraina presenta alcune delle circostanze più propizie che un politico possa sperare di trovare, a differenza di quelle affrontate dagli alleati durante la guerra civile russa. L’Ucraina è un alleato degno e competente, che combatte per difendere il proprio territorio con una popolazione altamente motivata. La causa ucraina è giusta, con una qualità manichea facilmente spiegabile al pubblico occidentale. Sebbene la volontà personale di Putin di vincere sia forte, è chiaro dalle sue azioni e dalla sua esitazione a mobilitare completamente la società russa che egli percepisce un limite massimo a ciò che può chiedere alla sua popolazione. Sebbene la forza lavoro e il materiale della Russia siano maggiori di quelli dell’Ucraina, la quantità necessaria per mantenere l’Ucraina armata e in lotta è del tutto gestibile. Un supplemento di aiuti di 60 miliardi di dollari da parte degli Stati Uniti – attualmente bloccati dai repubblicani di estrema destra alla Camera dei Rappresentanti – è un’inezia se paragonato ai ritorni: mantenere la linea sulle norme internazionali; difendere gli ucraini e, così facendo, i valori occidentali; impantanare la Russia in una voragine strategica e ridurre la sua capacità di minacciare il resto del fianco orientale della NATO; fortificare l’alleanza transatlantica. Oggi le capitali occidentali sono molto più unite di quanto non lo fossero nel 1918 e il coordinamento della difesa tra loro è forte. Anche se possono affinare il senso condiviso di una partita finale in Ucraina, tutti sanno che il conflitto si concluderà con una sorta di soluzione negoziata: si tratterà di stabilire a quali condizioni.

Se gli Stati Uniti e i loro alleati riusciranno a evitare le insidie dell’intervento occidentale nella guerra civile russa – sviluppando una chiara strategia a lungo termine, continuando a coordinarsi strettamente e rafforzando il sostegno interno facendo leva sulle proprie popolazioni – allora avranno una reale possibilità di prevalere su Putin. Date le condizioni favorevoli, il principale, forse unico ostacolo al successo a lungo termine è la volontà politica di portare a termine il lavoro.

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Theodore Bunzel è amministratore delegato e responsabile della consulenza geopolitica di Lazard. Ha lavorato nella sezione politica dell’ambasciata statunitense a Mosca e presso il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.
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SITREP 3/7/24: Macron alza la temperatura della retorica, prima uccisione di HIMARS, battute d’arresto della flotta del Mar Nero e altro ancora, di SIMPLICIUS THE THINKER

Gli eventi si risolvono in una leggera tregua al momento poiché si dice che le truppe russe sui precedenti fronti attivi stiano prendendo una breve pausa tattica per riorganizzarsi e consolidare i guadagni. Nel frattempo, prendiamoci un momento per aggiornarci su alcune interessanti raccolte di articoli, che continuano a colmare le lacune della nostra comprensione continua.

Il primo è un articolo del Washington Post che rivela alcune cose interessanti:

So che il ritiro di Avdeevka è stato riproposto ossessivamente, e ne ho abbastanza, proprio come probabilmente lo sei tu. Ma ecco un paio di cose degne di nota, che si collegheranno in un insieme più ampio. Per prima cosa si concentrano su un soldato dell’AFU di 21 anni che è appena riuscito a sopravvivere all’avanzata russa:

Quando la sua unità si ritirò, era lui al comando. Erano rimasti feriti così tanti soldati che “non era rimasto nessuno più anziano”, ha detto il 21enne.

Quando finalmente il suo gruppo lasciò completamente la città, guardò il convoglio davanti a lui esplodere in fuoco mentre l’artiglieria li eliminava. “Era solo un convoglio di persone. Un convoglio dei migliori uomini di sempre. E davanti ai nostri occhi questo convoglio è stato distrutto dall’artiglieria. Persone della mia età, tra i 20 e i 30 anni”.

Pubblico questo specificamente perché i sostenitori pro-UA continuano a sostenere la narrativa secondo cui la Russia ha subito più perdite ad Avdeevka. Ma i resoconti di prima mano delle loro stesse truppe indicano il contrario. Alla luce di quanto sopra, oggi è stato pubblicato un nuovo video d’archivio della grande ritirata che mostra molto bene uno dei tiri al tacchino a cui il soldato sopra potrebbe aver assistito:

Geolocalizzato vicino a Lastochkino:

“Questa era la strada della morte”, ha detto, “l’ultima uscita da Avdiivka”.

Il soldato che segue fa un’affermazione interessante:

Circa tre quarti dei russi che hanno combattuto sembravano avere un discreto addestramento militare, ha detto. Il resto era “semplicemente confuso”. Ma solo poco più della metà delle sue truppe aveva esperienza di combattimento.

Ciò mette le cose in prospettiva: così tanti pro-UA sostengono che le truppe russe siano così inadeguate ma dimenticano che le loro sono molto peggiori a questo punto. Ciò corrisponde a un nuovo articolo del corrispondente freelance della CNN Matyas Zrno , che ha affermato quanto segue sulla situazione attuale: leggi la parte in grassetto:

“Quindi: la situazione è brutta. Le munizioni per l’artiglieria scarseggiano davvero. C’è poca gente. Molte posizioni sul fronte sono occupate solo simbolicamente. Nessun’altra linea esiste e non viene costruita (o solo sporadicamente). Gli ucraini devono morire perché in questo – non sistematico.

Allo stesso modo, l’anno scorso, quando cadde Bachmut, i soldati si lamentarono del fatto che non si costruiva nulla. Il soldato semplicemente si ritira, scava una buca e col tempo la collega con la buca del soldato accanto e costruisce così una linea difensiva.

La strategia russa è efficace. Sfondano le difese con bombardamenti di artiglieria e bombe plananti (quelle sono davvero terrificanti), poi logorano i difensori con ondate umane di “soldati usa e getta”, e solo allora entrano i soldati ben addestrati ed equipaggiati. Anche i russi hanno il sopravvento nei droni.

Sono semplicemente riusciti a passare alla produzione bellica (con l’aiuto cinese). Si sente spesso dire: “Potremmo inventare qualcosa, i russi lo copieranno e lo produrranno in quantità molto maggiori”. Ma ecco la luce alla fine del tunnel nella produzione al decollo dell’Ucraina. La mobilitazione è un tema importante. Logicamente, i soldati si infastidiscono quando vedono i giovani della città godersi una vita normale mentre disertano. “Se ci fossimo mobilitati due anni fa, ora avremmo un esercito pronto”, ha detto un ufficiale. I dilemmi su come garantire la difesa del paese in modo che sia efficace, l’economia non collassi e non rovini finanziariamente il paese, comprensibilmente non interessano molto i soldati. 

Tutti vogliono mandare al fronte poliziotti (ci sono mezzo milione di poliziotti nel paese e nessuno capisce perché, ad esempio, sei poliziotti armati di mitragliatrici debbano pattugliare contemporaneamente il centro di Uzhhorod) e soprattutto doganieri. li capisco…

La sostituzione di Zaluzny ha sconvolto alcuni, altri no, ma a quanto pare non ha suscitato grande scalpore in ambito militare. I soldati preferirebbero sostituire la metà dei comandanti. La qualità del comando è molto variabile, per dirla educatamente. Probabilmente non è un segreto che dove ci sono buoni comandanti che si prendono cura dei propri uomini, il morale è alto. Spesso non è così.

Il grande colpo è stata la caduta di Avdijivka, o meglio, il modo in cui è caduta. La ritirata tardiva con ogni evidenza ha provocato pesanti perdite inutili. Gli ucraini non sprecano la gente come i russi, ma credetemi, anche alcuni comandanti non ne hanno paura…

Quando scoppiò la prima guerra mondiale, Lord Kitchener disse al governo britannico che ci sarebbero voluti due anni per costruire l’esercito necessario per quella guerra. Lo guardavano come un disco. Aveva ragione… La guerra ormai durerà per anni e l’Ucraina dovrebbe preparare un “nuovo” esercito come fece una volta Kitchener. 

E un’altra lezione di storia (britannica). Nel 1915, la carenza di munizioni per l’artiglieria (sì, c’erano già tutte…) portò ad una riforma del governo e alla creazione di un nuovo ministero per la produzione di munizioni. Solo una guerra totale è una guerra totale e richiede la mobilitazione totale della società in Ucraina (cosa che non è ancora avvenuta) e il massimo sostegno da parte nostra (cosa che non è ancora avvenuta, anche se in verità avrebbe potuto andare peggio…)

L’Ucraina dovrebbe costruire una forte difesa, addestrare un “nuovo” esercito e, insieme all’Europa (che dovrebbe sporgere la testa dal suo sedere “ESG” ecologicamente sostenibile e socialmente responsabile), avviare una produzione bellica corrispondente all’intensità della guerra. .”

Quanto sopra è corroborato da un altro pezzo recente:

NYT sul problema delle bombe aeree russe con l’UMPK. Le bombe pianificate hanno distrutto tutte le fortificazioni dell’AFU ad Avdiivka e contribuito al rapido avanzamento dell’esercito russo nello sviluppo urbano. “Queste bombe distruggono completamente qualsiasi posizione”, ha detto sui social media Yegor Sugar, un soldato ucraino. Tutti gli edifici si trasformano in fosse dopo gli attacchi delle forze aerospaziali russe.

Ricordiamo ciò che ho scritto in precedenti rapporti proprio su quella tattica: la Russia li ammorbidisce con massicci bombardamenti, quindi invia unità come truppe penali Storm-Z o unità DPR. Solo alla fine, quando la svolta è aperta, la Russia invia forze d’élite e una parte maggiore dell’esercito russo nominale.

Il famoso corrispondente Andrei Filatov, che ha lavorato fin dall’inizio in prima linea ad Avdeevka, ha recentemente affermato che la presa finale della zona di Dachas in particolare ha comportato “perdite molto minime” per la Russia. Ciò ha aperto gli occhi sul fatto che Filatov è diventato noto per aver criticato pesantemente le perdite russe non necessarie, i cattivi generali e le cattive tattiche russe, ecc. Quindi per lui dire che la disfatta finale è arrivata con perdite minori è molto significativo e quasi certamente vero, visto che lui non avrebbe alcun problema ad ammettere grandi perdite come ha fatto nella strofa di apertura della campagna di Avdeevka.

Poi arriva un altro pezzo WaPo , anche solo per una rivelazione potenzialmente sbalorditiva che offre:

In sostanza descrive in dettaglio come Zelenskyj e la sua leadership abbiano continuato a fallire nell’elaborare un piano di mobilitazione completo nonostante gli avvertimenti di grave carenza di truppe sul fronte:

L’incapacità di Zelenskyj di creare un consenso politico su una strategia di mobilitazione – nonostante mesi di avvertimenti su una grave carenza di truppe qualificate sul fronte – ha alimentato profonde divisioni nel parlamento ucraino e più in generale nella società ucraina. Ha lasciato i militari a fare affidamento su un miscuglio di tentativi di reclutamento e ha seminato il panico tra gli uomini in età da combattimento, alcuni dei quali si sono nascosti, preoccupati di essere arruolati in un esercito mal equipaggiato e mandati a morte certa, dato che gli aiuti per L’Ucraina restano bloccati a Washington.

Ciò è in accordo con un altro nuovo articolo:

Ma la notizia bomba dell’articolo WaPo che ha messo tutti di malumore è la seguente:

Sì, l’articolo sembra implicare che 700.000 soldati ucraini siano semplicemente scomparsi o siano dispersi – almeno questo è ciò che ne ricava la critica filo-russa.

Ed è vero. Recentemente i funzionari ucraini hanno continuato a sostenere che ci sono da 700.000 a 1 milione di ucraini nelle forze armate, ma hanno anche affermato specificamente che circa 250-300.000 o meno sono “in prima linea”. Questo è esattamente il numero che ho fornito molto tempo fa, per coloro che ricordano, attraverso i miei calcoli sulle diverse zone di combattimento e confrontandoli con le fughe di notizie del Pentagono dall’inizio del 2023.

Ma permettetemi di dire che non penso che ciò significhi necessariamente che 700.000 persone siano scomparse o morte come molti lasciano intendere, anche se potrebbe essere. Vedete, in qualsiasi esercito il rapporto tra la forza della baionetta e le forze non combattenti è generalmente nell’ordine di 3:1 o più; il rapporto nell’esercito americano, ad esempio, è ancora maggiore. Ciò significa che tecnicamente avrebbe senso per l’Ucraina avere 200-300.000 truppe da combattimento in prima linea , con i restanti 700.000 e più nelle retrovie come parte di unità logistiche o riserve in fase di ulteriore addestramento, nonché guardie di frontiera, ecc.

Tuttavia, l’articolo del WaPo sembra chiaramente suggerire che nessuno, nemmeno tra i funzionari ucraini, sa dove siano quei 700.000, il che implicherebbe qualcosa di più terribile della mia spiegazione pratica.

Dopotutto, supponiamo che abbiano quei 700.000 nelle retrovie: non sarebbe molto più facile addestrarli come truppe da combattimento e inviarli al fronte, visto che hanno già esperienza militare? Perché, allora, la folle corsa e la disperazione per la carne fresca dalle strade? Ricordiamo che l’Ucraina aveva precedentemente ammesso di aver richiesto 20-30.000 mobilitazioni mensili solo per raggiungere il pareggio, presumibilmente con perdite.

Quindi: lo scivolone del WaPo è stato uno sguardo dietro le quinte alle vere perdite dell’Ucraina? Lascerò decidere a te, ma sembra certamente suggerire che stia succedendo qualcosa di molto sospetto con i loro numeri, tanto che anche i principali punti vendita mainstream come WaPo stanno ora mettendo apertamente in discussione le cifre ufficiali di Zelenskyj. Nella migliore delle ipotesi, potrebbero trattarsi di bugie intese a nascondere la vera gravità dell’attuale problema delle truppe e della mobilitazione dell’Ucraina; e, nel peggiore dei casi, potrebbe rivelarsi un indizio rivelatore delle perdite totali dell’Ucraina.

Per inciso, anche Marco Rubio ha ora ammesso che le sue precedenti valutazioni eccessivamente positive erano in realtà bugie destinate a sostenere il morale dell’Ucraina, quando in realtà ora non vede alcuna vittoria possibile:

Passiamo alla questione più urgente.

La continua retorica dell’escalation da parte dell’Europa resta preoccupante. Dopo che lo stato maggiore tedesco è stato smascherato nello scandalo Taurus della scorsa settimana, i partiti hanno cominciato a mettere sempre più le carte in tavola.

Macron ha rilasciato diverse nuove dichiarazioni belligeranti e inquietanti che sembrano suggerire che la mia teoria sull’umiliazione della Francia e la conseguente ricerca di vendetta possa essere accurata:

Sebbene ci siano altre ragioni concomitanti. Ad esempio, la Francia è tra i primi 5 paesi più esportatori di prodotti agricoli al mondo e vuole proteggere tale status. Il loro ministro degli Esteri ha recentemente condiviso la sua trepidazione per ciò che accadrebbe se la Russia prendesse il controllo di tutta l’Ucraina:

La vittoria di Mosca in Ucraina comporterà gravi perdite finanziarie per l’Europa; dal punto di vista economico la situazione diventerà catastrofica – Ministro degli Esteri francese Séjourné.

In questo caso, secondo il ministro, nel campo dell’agricoltura la Russia potrà assumere il controllo di oltre il 30% del mercato mondiale del grano.

L’Occidente deve riuscire a sconfiggere la Russia senza iniziare un conflitto con essa: “non stiamo parlando della guerra in Ucraina”, ha aggiunto il funzionario.

Lo ha affermato in seguito il presidente ceco Petr Pavel l’invio di truppe NATO in Ucraina dovrebbe essere un’opzione da “esplorare”.

Questo sembra essere in concomitanza con diverse cose. In primo luogo, oggi la Svezia è stata ufficialmente inserita nella NATO. Nel frattempo, si dice che le esercitazioni European Steadfast Defender e Dragon 24 in Polonia pratichino l’attraversamento del fiume Vistola:

⚡️ Filmato dell’attraversamento della Vistola da parte delle truppe NATO nell’ambito dell’esercitazione Stalwart Defender 24 in Polonia.

Secondo quanto riferito, l’evento di tre giorni ha visto 3.500 soldati e centinaia di equipaggiamenti traghettati attraverso il fiume.

L’attraversamento è stato tradizionalmente un obiettivo importante per le forze di terra della NATO, ma non vi è alcuna indicazione se questa componente includa il contrasto a un attacco aereo o missilistico che potrebbe rendere impossibile l’attraversamento.

Sebbene la qualità dell’esercitazione sia discutibile:

Un soldato polacco gravemente ferito durante un’esercitazione è morto, portando a due il bilancio delle vittime, hanno riferito mercoledì le autorità militari. 

Martedì un veicolo cingolato militare ha investito due soldati, uccidendone uno e ferendone l’altro durante un’esercitazione in un poligono di prova a Drawsko Pomorskie, nella Polonia nordoccidentale. Il soldato ferito è stato trasportato in aereo in un ospedale.

Ciò ha spinto il russo Patrushev a sottolineare che la NATO sta decisamente provando per l’inevitabile:

Ma se ciò non bastasse, allo stesso tempo si svolgono le esercitazioni di risposta nordica a pochi chilometri dal confine russo, nel nord:

Risposta nordica in dettaglio:
Contenuto del programma di esercizi:
– operazioni di sbarco (mare);
– Esercitazioni dell’Aeronautica Militare;
– formazione spontanea dei paramedici e molto altro ancora.
Unità che fungeranno da istruttori durante l’esecuzione dei compiti:

-SAS;
– FOCA;
-UTJR;
– Berretti verdi. 

Secondo le specificità delle unità, riteniamo logico che partecipino ai seguenti elementi:

1) Gli istruttori di SAS e SEAL condurranno lezioni sullo sbarco anfibio di unità, sulla cattura delle linee di difesa e sulla distruzione di oggetti importanti del presunto nemico nel territorio costiero. Il berretto verde, rappresentato da gruppi di istruttori del 10° Reggimento Paracadutisti delle Forze Speciali, eserciterà operazioni d’assalto, offensive e difensive a terra. 

Pertanto, il ciclo si consolida: atterrare, occupare la prima linea di difesa, spostarsi più in profondità.

2) Un gruppo dell’UTJR Finlandia condurrà le lezioni nello specifico dei compiti svolti in un clima rigido. 

Da ciò ne consegue che le lezioni saranno finalizzate alla pratica di tattiche in condizioni climatiche difficili, al lavoro in zone montuose e boscose e alla formazione ingegneristica nelle foreste e in montagna. 

Vale la pena notare che le esercitazioni si svolgono in condizioni climatiche scandinave, dove molti combattenti incontreranno difficoltà per la prima volta. 

Secondo fonti aperte, a queste esercitazioni partecipano non solo i paesi del nord, ma ci sono anche rappresentanti di Spagna, Francia, Italia, per loro un tale cambiamento nella geografia dei compiti, sebbene nell’ambito della formazione, è un’esperienza fondamentalmente nuova .

Le conoscenze dei ranger vengono scambiate con altre unità delle forze speciali della NATO. Questa è una buona pratica in termini di possibilità di migliorare le competenze e le capacità delle unità. 

Notiamo che i rappresentanti delle forze armate ucraine e del servizio di sicurezza ucraino non sono affatto coinvolti nelle esercitazioni della NATO.

A cosa è collegato questo?

– Carenza di personale di specialisti nelle fila delle Forze Armate dell’Ucraina.

– L’Ucraina non può garantire la propria partecipazione alle esercitazioni.

– C’è una guerra in Ucraina, non sono distratti, ma la usano come banco di prova.

E mentre tutto questo accade, sia la Germania che la Russia stanno apparentemente pianificando di testare i loro sistemi nazionali di allarme nucleare:

🇷🇺🚨 Il 6 marzo in tutta la Russia verrà controllato il sistema di allarme pubblico

Il Ministero delle situazioni di emergenza ha invitato a non aver paura delle sirene che suonano durante il giorno nelle città russe.

🔹Loro, come i segnali trasmessi dalla televisione, dalla radio e dagli altoparlanti, faranno parte di un controllo globale generale.🔹

Ho già detto che il tedesco Pistorius sta ora accelerando la reintroduzione del servizio obbligatorio, cioè della coscrizione obbligatoria, al fine di accelerare l’incombente guerra della NATO contro la Russia?

Ciò segue l’esempio dopo che la Lettonia ha già introdotto la misura il mese scorso:

Per non essere escluso, Lukashenko ha firmato un nuovo decreto che semplifica le misure per portare la Bielorussia in operazioni a pieno titolo in tempo di guerra, se e quando necessario:

Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha firmato un decreto per portare tutte le agenzie governative in “condizioni operative di guerra”.

Infine, anche sul fronte dello sviluppo della Moldavia continuano le escalation:

L’esperto militare Alexander Zimovsky: “La Moldavia si è ritirata a tempo indeterminato dal Trattato sulle armi convenzionali in Europa (Trattato CFE). Ciò ha aperto la strada al libero ingresso delle forze della NATO in qualsiasi numero nel territorio della Moldova.” Allora cosa ne pensi? La NATO intende distruggere la Russia, come hanno affermato in precedenza. Li hai sentiti abbandonare questa idea? E non l’ho sentito neanche io.

Ecco perché Putin ha incontrato il rappresentante gaugaziano. per ascoltare le sue richieste di sicurezza:

Martedì, nella città di Sochi, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha incontrato nella città di Sochi Evghenia Guțul, la più alta rappresentante del popolo gagauzo (governatrice della Gagauzia) e politica della Moldavia.

L’ho informato delle azioni illegali delle autorità della Moldavia, che si vendicano di noi per il nostro stato civile e la lealtà agli interessi nazionali. 

Passo dopo passo, Chisinau ci toglie i poteri, taglia il bilancio, viola i diritti legali e provoca instabilità e destabilizzazione in Gagauzia e in tutto il paese.

L’incontro pubblico è stato un chiaro messaggio inviato da Putin che affronterà le questioni di Gaugazia e Pridnestrovie come contrappeso alle crescenti provocazioni della NATO.

Suppongo che valga la pena ricordare che il generale polacco Jaroslav Kraszewski ha recentemente dichiarato le intenzioni, o almeno i desideri, della Polonia di ottenere armi nucleari per “ragioni di sicurezza”:

Lo ha dichiarato all’emittente RMF FM il generale polacco, ex capo del dipartimento per la supervisione delle forze armate presso l’Ufficio per la sicurezza nazionale, Jaroslav Kraszewski.

Ha definito uno scenario del genere “molto realistico”.

Alla domanda sul costo del mantenimento di tali armi, il generale ha risposto che “la sicurezza non ha prezzo”. E ha invitato le autorità polacche ad affrontare seriamente la questione nei prossimi anni, perché “di solito i paesi con potenziale nucleare non vengono attaccati”.

Il concetto di condivisione nucleare implica che i paesi membri della NATO che non dispongono di proprie armi nucleari possano partecipare alla pianificazione dell’uso delle armi nucleari dell’Alleanza, nonché trasportarle e immagazzinarle sul loro territorio.

La Polonia potrebbe dotarsi di armi nucleari entro pochi anni Lo ha affermato il generale polacco Jarosław Kraszewski in un’intervista a RMF FM. Ha definito tale scenario abbastanza realistico, nel quadro del programma di condivisione nucleare della NATO. “Considero la disponibilità di un simile arsenale come un compito per diversi anni. Spero che ciò accada”, ha concluso. Al commento che possedere e usare armi nucleari comporta un costo, il generale Kraszewski ha risposto che “la pace e la sicurezza non hanno prezzo”.

Infine, si è parlato molto dell’annuncio del ministro della Difesa di Singapore, Nga Eng Hen, che, secondo lui, la NATO ha recentemente utilizzato gli F-35 per effettuare la sorveglianza di dati/segnali delle risorse russe:

Tuttavia, in qualche modo nel “gioco del telefono”, questo si è trasformato in segnalazioni secondo cui gli F-35 sono entrati in territorio ucraino, cosa che non sembra dire. In effetti, già l’anno scorso era stato riferito che gli F-35 venivano utilizzati intorno a Kaliningrad per curiosare sulle risorse russe, ma dalla sicurezza dello spazio aereo della NATO. Si può solo supporre che gli F-35 operino allo stesso modo degli AWAC della NATO e dei velivoli ELINT/SIGINT da qualche parte sul confine rumeno, ma non sarei sorpreso se spingessero i limiti per entrare in Ucraina in linea con la continua invasione escalation dall’Occidente.

Per riassumere questa sezione, senza commenti:

La prossima questione urgente di cui parlare brevemente è l’escalation del pericolo nel Mar Nero, dato che un’altra nave lanciamissili russa, la Sergei Kotov, è stata appena potenzialmente distrutta o pesantemente danneggiata dai sempre più letali droni navali dell’Ucraina.

Questo arriva dopo un periodo di due mesi brutali che ha visto la corvetta Ivanovets colpita a gennaio, la nave da sbarco Cesar Kunikov distrutta a febbraio e ora la Sergei Kotov a marzo. Queste tre navi sono state colpite da droni navali nell’arco di due mesi e tutti e tre gli incidenti hanno evidenziato vari livelli di irresponsabilità o quasi incompetenza della Flotta del Mar Nero.

Perché dico questo per queste unità in particolare? Perché alcune delle navi precedentemente colpite, come la nave da sbarco Novocherkassk, sono state colpite da missili o da sabotaggi di qualche tipo, il che è molto più giustificabile, dato che è quasi impossibile sfuggire a un attacco missilistico/drone a saturazione, dato che possono aggirare qualsiasi confine. Ma i droni navali che colpiscono continuamente le navi all’aperto sono un’altra cosa, soprattutto quando quelle navi potrebbero non aver nemmeno bisogno di rischiare di trovarsi in acqua al di fuori delle reti e delle barriere anti-drone dei porti.
Alcuni ricorderanno che alla fine dello scorso anno, dopo che la Novocherkassk era stata “colpita” a Feodosia, avevo liquidato gli sforzi dell’Ucraina perché era diventata solo la terza nave ad essere stata completamente distrutta in guerra, dopo la Moskva e la Saratov – senza contare le navi minori o i rimorchiatori – e le altre erano tutte riparate o in corso di riparazione. Tuttavia, i tempi cambiano e noi aggiorniamo la nostra analisi. Non si tratta più di una cosa da ridere, visto che da allora sono state distrutte tre navi in successione. Ora il problema sta diventando serio e non può più essere ignorato.

Tuttavia, attenzione: non ci sono prove definitive che l’ultima nave sia stata distrutta. La gente lo ha solo ipotizzato a causa dei video dei colpi – si vede chiaramente che è proprio vicino al porto e alcuni rapporti affermano che è stata rimorchiata ma potrebbe essere affondata, ma non ci sono prove effettive in un senso o nell’altro. La vicinanza al porto offre ottime possibilità di recupero della nave, quindi, attenendomi solo ai fatti, non posso in buona fede dichiararla “distrutta” senza una reale conferma. Qualcuno potrebbe chiamarlo “piedipiatti”, ma in realtà si tratta di semplice diligenza.

Quando la Novocherkassk è stata colpita in porto a dicembre, letteralmente il giorno dopo sono apparse foto satellitari che mostravano chiaramente il relitto sotto la linea di galleggiamento. Le ultime navi sono state colpite e presumibilmente “affondate” in acque molto basse proprio vicino al porto, e almeno una o due di esse sono state persino rimorchiate fino al porto stesso – eppure non esiste una sola foto della loro “distruzione”. Penso che sia una richiesta ragionevole chiedere agli analisti pro-UA di fornire qualsiasi prova prima di considerare inequivocabilmente le navi distrutte. La Cesar Kunikov credo sia stata confermata, e si può vedere l’affondamento nei filmati, ma le altre no. Naturalmente è molto probabile che siano state distrutte, ma l’unico dato che abbiamo è che gli equipaggi sono in gran parte sopravvissuti in ogni caso. Dopo tutto, abbiamo una serie di foto della nave britannica “Rubymar” affondata dagli Houthi giorni fa:

Sicuramente l’onnisciente ISR della NATO può farci sapere qualcosa se le navi sono effettivamente affondate.

Dopo che le due navi precedenti sono state colpite, è stato riferito che l’ammiraglio della Flotta del Mar Nero è stato rimosso per la sua incompetenza:

È stato riferito che l’ammiraglio Viktor Sokolov è stato finalmente rimosso dall’incarico di comandante della flotta russa del Mar Nero.

Sembra che sia diventato impossibile ignorare le ultime pesanti perdite della flotta, nella persona della nave missile Ivanovets e del grande mezzo da sbarco Caesar Kunikov, anche se questi sono ben lontani dagli unici “meriti” dell’ammiraglio.

Sokolov ricopre questo incarico dal 14 agosto 2022, sostituendo l’ammiraglio Igor Osipov, sotto la cui severa guida la Flotta russa del Mar Nero ha perso la sua nave ammiraglia GRKR “Mosca” e non è riuscita a controllare le acque nord-occidentali del Mar Nero. Sokolov ha anche ottenuto la perdita del controllo stabile anche sulla sua parte meridionale.

Ci auguriamo che il terzo candidato a questa posizione esecutiva in due anni sia finalmente in grado di correggere gli errori dei suoi predecessori e di trovare una soluzione che permetta alla Flotta del Mar Nero non solo di nascondersi nelle baie dai missili ucraini e dalle imbarcazioni kamikaze, ma anche di esercitare nuovamente un’influenza significativa sul corso delle ostilità.

È impossibile confermare le voci, ma alcuni sostengono che questo “ammiraglio” si sia spinto fino a vietare agli equipaggi delle navi l’uso di attrezzature esterne specializzate che potrebbero aiutare a rilevare i droni, compresi i dispositivi di visione notturna. Se è vero, è certamente un’accusa al fatto che rimangono in servizio molti vecchi comandanti russi, incapaci di adattarsi alle esigenze della guerra moderna e sotto la cui guida inetta e inflessibile sono andate perse innumerevoli persone e attrezzature insostituibili. Dico insostituibili perché, nel caso delle navi da sbarco della classe Ropucha, fanno parte di un’ampia classe di navi di epoca sovietica che non sono riproducibili oggi – in realtà, la Polonia ha prodotto gli originali per l’URSS.
Vediamo come si è svolto l’ultimo attacco per capire le carenze della Flotta del Mar Nero nel rispondere a tali minacce.
In primo luogo, ecco gli ultimi video conosciuti dell’ultima nave, la Sergei Kotov, ripresi da una nave vicina. Notate quanto è vicino il porto sul retro e guardate fino alla fine per vedere il colpo del primo drone di superficie:

Il mezzo sembra eseguire almeno le procedure più standard per un caso del genere, ovvero procedere a tutta velocità per cercare di superare i droni e persino quello che sembra essere un tentativo di scarico di fumo per accecare le mire dei droni. Sfortunatamente, poiché i droni operano tramite il satellite Starlink, non sono realmente in grado di intervenire con la classica guerra EW.
Ecco il filmato che l’Ucraina ha rilasciato proprio dai droni, che li mostra mentre colpiscono il Kotov – così si può vedere la battaglia da entrambi i lati:

È stato detto che sono stati utilizzati circa 10 o più droni e che forse fino a 4-5 sono stati disattivati o abbattuti, ma chiaramente non è sufficiente.
Ma ciò che è molto più chiarificatore è stato il rilascio in esclusiva da parte di Fighterbomber del filmato di bordo della precedente nave da sbarco Cesar Kunikov colpita. Hanno oscurato gran parte dell’audio per motivi di OPSEC, ma il filmato da solo è molto deprimente:

Il messaggio dei marinai che gli hanno inviato il filmato:

Ciao compagno FB!

L’equipaggio della BDC “Caesar Kunikov” ha respinto l’attacco dei BEC (droni) con tutte le forze e i mezzi disponibili, la battaglia è durata 20 minuti.

4 dei 10 BEC sono stati distrutti. Il 5° BEC ha colpito la BDC CK a poppa (elica posteriore), immobilizzando così la nave, poi 6,7,8,9, BEC a loro volta, hanno colpito la BDC sul lato sinistro nella zona di mezza nave (centro) e più vicino alla poppa, al fine di capovolgere la nave (per l’afflusso di una grande quantità di acqua da un lato).

Il 9° BEC è entrato parzialmente nella breccia creata dal BEC precedente ed è esploso quasi all’interno.

Non è stato possibile salvare la BDC (il rollio stava rapidamente aumentando, la nave era adagiata sul lato sinistro).

Dal momento del rilevamento dei BEC nemici e dell’inizio della battaglia, fino al completo affondamento della BDC, sono passati poco più di 40 minuti.

L’equipaggio del BDC ha lasciato la nave su zattere di salvataggio, senza perdita di L/S, evacuando tutta la documentazione segreta e parte dell’equipaggiamento segreto con le armi.

L’ultimo 10° BEC, ha condotto l’osservazione (riprese) della nave morente fino al momento dell’affondamento, dopo di che, il 10° BEC ha cercato di attaccare il rimorchiatore che accompagnava il BDK Tsesar Kunikov, ma è stato distrutto da un gruppo di PDSS a bordo”.

A questo punto, l’equipaggio viene trasformato in vigliacchi e mascalzoni.

Ho rimosso l’audio dal video, ma sono sicuro che il comando lo ha per intero. C’è una battaglia, secondo le migliori tradizioni dei nonni.

 

Personalmente, ho visto l’equipaggio lavorare duramente fino all’ultimo uomo.

L’equipaggio, a mio avviso, merita almeno di non essere considerato un mascalzone. 

Nonostante l’eroismo con cui hanno combattuto, ciò che mi sembra evidente è che non esiste un modo chiaro e sistematico di affrontare la minaccia dei droni. Si tratta solo di una folle corsa casuale dell’equipaggio per sparare da qualsiasi lato, senza alcun equipaggiamento specializzato, visione notturna, ecc. Solo fuoco casuale e impreciso con armi di piccolo calibro, che ovviamente è un gioco da ragazzi e non può in alcun modo affrontare una tale minaccia su una base coerente e formalizzata.

Il problema è che non c’è molto da fare a bordo quando la minaccia è già così vicina. Ci sono tutti i tipi di cannoni automatizzati e di fantasiosi CIWS, ma niente di tutto ciò funzionerebbe contro questi droni che sciamano come squali, in modo veloce e casuale. La soluzione deve partire da un raggio di rilevamento di gran lunga migliore. Per raggiungere questo obiettivo, sono necessarie vaste e potenti capacità di ISR sul Mar Nero, che comprendono la ricognizione aerea e potenzialmente gli aerei di tipo AWAC, anche se non sono certo che i loro radar siano in grado di rilevare tali obiettivi.

Tuttavia, i droni di classe pesante e di lunga durata, dotati di ottiche IR sensibili e di altri sensori, dovrebbero certamente sorvegliare il Mar Nero in lungo e in largo.

Ma la Russia ha dimostrato gravi carenze nella sorveglianza del Mar Nero, permettendo regolarmente alle imbarcazioni ucraine con equipaggio di sbarcare sulle coste della Crimea, per esempio. Certo, una volta sbarcate, le truppe vengono facilmente eliminate, come nel recente attacco di settimane fa. Ma il problema è che il fatto che possano anche solo avvicinarsi alla costa e sbarcarvi dimostra la totale mancanza di qualsiasi tipo di ISR sensibile a lungo raggio sul Mar Nero. Le cose semplicemente vanno e vengono e la Russia ha una capacità di rilevamento molto limitata, a quanto pare. Anche quando i missili volano verso la Crimea, in genere vengono abbattuti direttamente sui loro obiettivi e raramente sul Mar Nero stesso, anche se ultimamente la situazione è un po’ aumentata, ancora una volta a causa della mancanza di AWAC e di controlli regolari a lungo raggio . Regolare è il termine chiave: Non intendo dire che un AWACS voli una volta al giorno per qualche ora, ma che sia presente 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come la NATO fa sulla parte occidentale del mare.

I Mig-31 e potenzialmente anche i Su-30/35 potrebbero potenzialmente rilevare tali droni navali in arrivo con i loro potenti radar di osservazione, così come gli elicotteri navali con vari equipaggiamenti: la Russia ha ad esempio dei Ka-31 navali a traino radar:

Ma, come ho detto, richiede una presenza costante, non un intervento al primo segnale di minaccia, quando ormai è troppo tardi. Ecco perché i droni ISR di classe pesante a lunga resistenza sono ideali per questo: possono essere impostati per sorvegliare l’intero Mar Nero da cima a fondo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, anche in modalità automatica; ma ahimè, questa è un’area in cui la Russia è indietro di decenni rispetto alla maggior parte degli altri Paesi, ancora incapace di mettere in campo un UAV da ricognizione utilizzabile a lungo raggio e a lunga resistenza con suite elettroniche sensibili e sufficientemente avanzate, come gli RQ-4 Global Hawk o persino le varianti avanzate degli MQ-9 con la famigerata suite “Gorgon Stare”.
Sappiamo che utilizzano gli Starlink, che emettono segnali che possono essere tecnicamente captati. Certo, Starlink è un phased array avanzato, il che significa che non “sparge” il suo segnale in ogni direzione, ma è altamente direzionale verso la posizione precisa del satellite, il che significa che è probabilmente difficile rilevarlo da lontano. Tuttavia, ho letto rapporti di truppe russe in prima linea che sono riuscite a rilevare le parabole Starlink perché anche la configurazione phased array emette un po’ di segnale lateralmente, il che significa che un drone con un equipaggiamento abbastanza sensibile dovrebbe essere in grado di rilevare i droni navali ucraini se il problema viene preso abbastanza sul serio dai responsabili, ma ahimè…
Tra l’altro, oggi è emerso che una nave mercantile di passaggio ha segnalato i droni a circa 150 km a sud della Crimea ore prima che colpissero il Sergei Kotov:

❗️

Secondo quanto riportato da ❗️As, le imbarcazioni nemiche senza equipaggio (che poi hanno attaccato a Feosia) sono state avvistate nel pomeriggio del 4 marzo dall’equipaggio della nave “Ella” a una distanza di 237 (127 miglia nautiche) km da Feodosia.

L’informazione del ritrovamento è stata trasmessa alla direzione della compagnia di navigazione.

Il motivo per cui questa informazione non è stata trasmessa ulteriormente rimane un mistero…

La mappa ci dà un’idea di quanto la rotta del drone viri verso sud per evitare i controlli a tappeto della Russia sul Mar Nero:

Rimangono molto lontani dalle coste quando si avvicinano all’obiettivo con un percorso molto tortuoso, il che rivela anche che la resistenza a lungo raggio dei droni è piuttosto incredibile.
Alcuni hanno suggerito di tornare alle reti anti-siluro delle navi della prima e seconda guerra mondiale:

Si tratterebbe dell’equivalente navale della “gabbia per carri armati”, ormai standard sul campo di battaglia.

Infine, Fighterbomber scrive che la Russia chiaramente non ha ancora la capacità di affrontare questa minaccia e quindi per ora è meglio ritirare tutto:

Si può affermare che i BEC hanno mostrato la loro massima efficienza, e accettare che al momento le grandi navi non possono resistere efficacemente ai BEC.

La velocità, la notte, la furtività e il numero di BEC che partecipano all’attacco risolvono i problemi con le immagini termiche e le armi da fuoco aggiuntive a bordo e in generale con tutto.

Non so quali conclusioni si possano trarre se non il fatto che ora è necessario accettare questo fatto, spostare tutte le grandi navi al di fuori del raggio d’azione effettivo dei BEC, chiudere le aree di ormeggio con mezzi ingegneristici per evitare che i BEC danneggino le navi agli ormeggi, trasferire i compiti della Flotta del Mar Nero a imbarcazioni piccole e veloci e a barche tipo “Raptor”, a sottomarini e ad aerei.

È naturale accelerare il taglio dei BEC.

Lungo la strada, testando 24 ore su 24 da qualche parte a Vladivostok varie opzioni di armi difensive, di rilevamento, di guida e di equipaggiamento per la guerra elettronica sulle navi della Marina esistenti, simulando all’infinito gli attacchi BEC nella pratica.

Ripeto, ripeto. Oggi non dobbiamo simulare attacchi da parte di sottomarini di un ipotetico nemico, ma attacchi da parte di bersagli ad alta velocità e di piccole dimensioni con guida televisiva.

Bene, per il meglio, tutto questo avrebbe dovuto essere fatto, come al solito, ieri.

Qualsiasi altra marina del mondo sarebbe in grado di affrontare una simile minaccia? Personalmente, ne dubito. Abbiamo assistito di recente a un’umiliazione dopo l’altra: la Marina britannica, ad esempio, non è più in grado di far navigare le sue navi principali. La Marina tedesca ha subito un’umiliazione ancora peggiore, sparando accidentalmente due missili SM-2 di classe mondiale contro un drone americano, con entrambi i missili che hanno fallito, come riportato da BILD.

La Marina degli Stati Uniti avrebbe probabilmente più sensori e migliori, come le ottiche per la visione notturna, per avere almeno una possibilità, ma alla fine un attacco a sciame dello stesso calibro farebbe fuori anche loro.
E non dimentichiamo chi dirige davvero questi attacchi:

Quindi, in definitiva, mentre si possono muovere molte critiche ad alcuni sforzi o sviste della Russia in questo caso, la NATO non avrebbe fatto meglio in circostanze simili. E chiunque non sia d’accordo è libero di offrire un esempio concreto di un conflitto parallelo tra pari in cui la NATO ha dovuto risolvere un dilemma strategico anche solo lontanamente simile a quello che sta affrontando la Russia.
Oh, dimenticavo, c’è stato un caso semi-comparabile, e in quello scenario il Regno Unito ha perso più navi capitali della Russia in una frazione di tempo:

In definitiva, se è vero che le perdite navali non hanno alcuna rilevanza reale sul conflitto ucraino in sé, perché non aiutano in alcun modo l’Ucraina nella lotta sul terreno, tuttavia mettono un po’ di vento nelle vele dello sforzo propagandistico, dato che i recenti successi nel Mar Nero sono diventati l’unico appiglio a cui la parte pro-USA può aggrapparsi come “prova” putativa della sua posizione vincente:

Qualche ultima considerazione:
Mentre l’Ucraina ha fatto qualche danno nel Mar Nero, continua a subire gravi perdite sul terreno nella vera battaglia. Il primo, poi il secondo, il terzo e potenzialmente anche il quarto Abrams sono stati distrutti:

Da National Interest:

Sintesi: in meno di una settimana, l’Ucraina ha assistito alla distruzione di tre carri armati M1 Abrams di fabbricazione statunitense, secondo quanto riferito da missili guidati anticarro russi. Queste perdite, particolarmente evidenziate sui social media, sono servite alla Russia come spinta propagandistica.

Ma come vittoria propagandistica, Konashenkov sostiene addirittura che è stato un T-72B3 russo a sconfiggere l’ultimo Abrams in un leggendario duello tra carri armati:

Certo, in assenza di filmati rimango scettico, perché si tratta di una vittoria propagandistica talmente bassa che è quasi troppo allettante per lasciarsela sfuggire. Più probabilmente, come suggeriscono i filmati in nostro possesso, i carri armati sono stati distrutti con ATGM e droni, ma rimango in attesa di essere smentito se appare il filmato di una liquidazione di un carro armato contro un carro armato.
Ma in una vittoria propagandistica ancora più grande, è stata finalmente realizzata la prima uccisione HIMARS pienamente confermata:

Da uno delle autorità dell’UA:

In questo caso, è molto probabile che si sia trattato di un vero e proprio duello, con un lanciatore GMLRS russo Tornado-S “HIMARS-killer” che si è imposto in un’azione di controbatteria sul suo rivale a lungo contestato.
Abbiamo anche nuove sorprendenti riprese dell’enorme aumento dell’uso delle bombe a grappolo RBK-500 da parte della Russia sulle posizioni ucraine:
Si dice che devastino le posizioni in un momento in cui l’Ucraina è a corto di DPICMS, per non parlare del fatto che la Russia le ha adattate alle bombe a frammentazione UMPK che ora fanno piovere quotidianamente questi frammenti mortali sulle posizioni dell’AFU. Ecco tre nuovi video combinati:

Il giornalista Evgeny Poddubny:

Ricordate come il nemico si rallegrò del fatto che i Paesi occidentali, con un’acuta carenza di armi a frammentazione ad alto esplosivo, portarono al fronte le munizioni a grappolo. Ma la gioia non durò a lungo, perché si aprì il vaso di Pandora.

Il video mostra l’uso della bomba RBK-500 da parte della nostra aviazione operativo-tattica contro una concentrazione nemica in una fascia forestale. Non ci sono più luoghi sicuri sulla LBS. Anche relativamente. Tra l’altro, questo è un gruppo che copre il confine di Stato. E le perdite del nemico continuano ad aumentare.

Per non parlare delle bombe a razzo che vengono utilizzate in modo così spietato da essere lanciate contro le postazioni e le trincee della cintura forestale ucraina, come mostra questo video di oggi:


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APPELLO A UN CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA DEL CIRCOLO INTERARMI DI RIFLESSIONE

Qui sotto il testo di un appello lanciato dal CIRCOLO INTERARMI DI RIFLESSIONE, una associazione di militari francesi in congedo, a favore di un cessate il fuoco immediato sul fronte ucraino.

Queste associazioni non sono nuove a tali iniziative.

L’appello segue ad una aspra presa di distanza dalle recenti dichiarazioni di Macron e, più in generale, da una critica netta e spietata alla condotta oltranzista e supina di gran parte degli statisti europei e, in particolare, del presidente francese.

L’iniziativa è probabilmente intempestiva e rischia, nel peggiore dei casi, di fornire un ulteriore alibi alle fibrillazioni sempre più convulse delle leadership occidentali. Difficile che prima del prossimo autunno si creino le condizioni per almeno una sospensione dei combattimenti.

È comunque la conferma di un profondo malessere e dissenso che attraversa alcune istituzioni cruciali e buona parte della popolazione francese. Un disagio che non riesce ancora a trovare una espressione politica adeguata, anche se la Francia continua ad essere uno dei maggiori candidati alla guida di un futuro movimento di opposizione e alternativo all’attuale miserabile deriva.

Ci si chiederà come mai le attuali élites europee sembrano superare, nel loro radicalismo. anche le fila statunitensi più oltranziste. 

Basterà ricordare il recente esempio storico dell’implosione del blocco sovietico: le componenti più abbarbicate al mantenimento dell’ordine sovietico ormai decadente sono state proprio le élites dell’Europa Orientale, piuttosto che quelle sovietiche, proprio perché le più fragili e le meno dotate di forza e risorse proprie. Non a caso i più esagitati sono proprio gli ultimi arrivati  ad un banchetto sempre più spoglio.  Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

APPELLO A UN CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA DEL CIRCOLO INTERARMI DI RIFLESSIONE

Quanti morti?

Quanti morti ancora?

Ciascuna delle parti che si affrontano continua a sacrificare invano la propria gioventù in questa guerra ormai diventata di usura, nella quale non si intravede nessun sfondamento decisivo, ma nemmeno un collasso.

La guerra russo-ucraina è già un disastro assoluto. Centinaia di migliaia di persone uccise o ferite. Milioni di rifugiati. Distruzioni ambientali ed economiche incalcolabili.

Le devastazioni future potrebbero essere esponenzialmente più gravi nella misura in cui le potenze nucleari si avvicinano al conflitto aperto.

Oggi qualche timida voce si azzarda a parlare di pace. È del tutto inutile sino a quando un cessate il fuoco non sarà stabilito nel più breve tempo possibile sulla linea di contatto nel giorno e nell’ora che sarà stabilita.

Non si tratta più, in questa fase, di disperdersi in sterili battaglie oratorie per definire le responsabilità rispettive nella perpetuazione di questo dramma. Sarà fatto più tardi, nel momento in cui si istituirà un tribunale internazionale che dovrà prendere in considerazione gli elementi a carico e a discarico di tutte le parti implicate, dirette ed indirette.

Al momento occorre cogliere le opportunità che si presentano per lanciare un immenso movimento a sostegno della cessazione dei combattimenti.

Si tratta di emulare la capacità che ha avuto il presidente Macron di riunire in maniera autonoma, il 26 febbraio, gli alti rappresentanti politici di 27 paesi europei per definire il prosieguo dell’aiuto in Ucraina in modo che riesca a far fronte alla spinta offensiva russa.

Ma una tale capacità dimostra che un analogo simposio può essere di fatto realizzato alle stesse condizioni per decidere, con un atto di volontà tenace e convinto, di mettere sul piatto un cessate il fuoco sul teatro di combattimento.

Soltanto in seguito, che piaccia o meno, cogliendo alla lettera le dichiarazioni del Presidente Putin nel corso dell’intervista con Carlson Tucker del 8 febbraio, durante la quale, senza che si scarti per altro l’eventualità di un travisamento della sua versione, il presidente conferma per tre volte, alla fine dell’intervista, la propria disponibilità al negoziato anche se a qualche condizione preliminare.

E così, visto che l’opportunità che si presenta e che il problema che si pone è essenzialmente europeo, noi dobbiamo, noi Francesi, noi Europei, spingere le due parti ad un accordo che dichiari immediatamente un cessate il fuoco pur che sia. Per essere convincenti occorrerà che i negoziatori, su mandato dell’ONU, portino con sé un canovaccio sulle modalità di attuazione.

tratto da: https://lecourrierdesstrateges.fr/2024/03/06/alerte-des-officiers-generaux-se-rebellent-contre-la-guerre-de-macron-en-ukraine/

Il comitato di intelligence ucraino si sta preparando allo scenario peggiore, di ANDREW KORYBKO

Quello che è considerato lo scenario peggiore dal punto di vista dell’élite ucraina al potere e dei suoi padroni occidentali, è lo scenario migliore per il resto del mondo. Nel caso in cui Zelenskyj venga deposto e i colloqui di pace riprendano immediatamente non appena la Russia sfonda la linea di contatto, allora la NATO potrebbe non sentirsi così sotto pressione a causa del dilemma della sicurezza con la Russia ad intervenire convenzionalmente in Ucraina, riducendo così il rischio di una terza guerra mondiale. errore di calcolo.

Il Comitato dell’intelligence ucraino ha messo in guardia in un post su Telegram sullo scenario peggiore che potrebbe verificarsi entro giugno, in cui una svolta russa attraverso la linea di contatto (LOC) si fonde con le proteste sulla coscrizione obbligatoria e sull’illegittimità di Zelenskyj nell’infliggere un colpo mortale allo Stato. Prevedibilmente hanno affermato che quelle proteste, insieme alle accuse di crescente stanchezza all’interno delle società occidentali e ucraine e alle tensioni civili-militari a Kiev, sono solo “disinformazione russa”, anche se esistono davvero.

“ Zelenskyj cerca disperatamente di screditare preventivamente le possibili proteste contro di lui ” ed è per questo che a fine novembre ha affermato che la Russia sta cospirando per orchestrare un cosiddetto “Maidan 3” contro di lui, che è ciò a cui fa esplicito riferimento il Comitato di intelligence nel suo post . Il loro avvertimento è arrivato anche quando i media ucraini hanno riferito che Zelenskyj intende chiedere alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sullo svolgimento delle elezioni durante la legge marziale al fine di mantenere la legittimità dopo la scadenza del suo mandato, il 20 maggio.

Il precedente rapporto ipertestuale dei media turchi menziona anche come “i leader del partito di opposizione Petro Poroshenko e Yulia Tymoshenko abbiano proposto di formare un governo di coalizione per evitare una crisi di legittimità”, ma sono stati rimproverati dal capo del Consiglio di sicurezza nazionale Danilov. La cosa così interessante di questa proposta è che è stata presentata per la prima volta da un esperto del potente think tank dell’Atlantic Council in un articolo pubblicato su Politico a metà dicembre con lo stesso identico scopo.

Questo promemoria e la successiva proposta di questi due leader del partito di opposizione sfatano l’idea che le domande sulla legittimità di Zelenskyj siano esclusivamente il risultato della “disinformazione russa”, proprio come l’ultimo sondaggio di gennaio di un importante think tank europeo sfata lo stesso riguardo alla stanchezza per questo conflitto. Il Consiglio Europeo per le Relazioni Estere , che non può essere definito credibilmente “filo-russo”, ha rilevato che solo il 10% degli europei pensa che l’Ucraina sconfiggerà la Russia.

Dall’altra parte dell’Atlantico, lo stallo del Congresso su ulteriori aiuti all’Ucraina dimostra che tali sentimenti sono condivisi nelle stanze del potere, e coloro che sostengono queste opinioni comprensibilmente non vogliono continuare a gettare i soldi dei contribuenti duramente guadagnati in un paese condannato. proxy in caso di fallimento guerra . I leader occidentali nel loro insieme, tuttavia, sono chiaramente nel panico per le ultime dinamiche strategico-militari seguite al fallimento della controffensiva di Kiev la scorsa estate e alla recente vittoria della Russia ad Avdeevka .

Per questo motivo molti di loro hanno discusso se intervenire convenzionalmente in Ucraina durante l’incontro di lunedì a Parigi, al quale hanno partecipato oltre 20 leader europei. Il presidente francese Macron ha affermato che ciò non può essere escluso nonostante non vi sia consenso sulla questione, che il suo omologo polacco ha confermato essere stata la parte più accesa delle discussioni di quel giorno. Ciò ha provocato forti smentite da parte di tutti gli altri leader occidentali che hanno affermato che non lo autorizzeranno mai, ma le loro parole non possono essere prese sul serio.

Dopotutto, lo scenario peggiore, da cui il Comitato di intelligence ucraino ha messo in guardia e sta attivamente cercando di screditare in quanto presumibilmente guidato esclusivamente dalla “disinformazione russa”, potrebbe spingerli a intervenire convenzionalmente per evitare il collasso dello Stato e un disastro simile a quello afghano. in Europa. È improbabile che la NATO rimanga a guardare in disparte se la Russia dovesse precipitare tra le rovine dopo aver sfondato la LOC entro quest’estate, ecco perché un intervento convenzionale non può davvero essere escluso.

Sarebbe molto impopolare in Occidente, come dimostrato dall’ultimo sondaggio del think tank menzionato in precedenza e dall’attuale stallo del Congresso sugli aiuti all’Ucraina, ma ciò non significa che le élite non lo faranno poiché non prendono in considerazione l’opinione pubblica. considerazione nella formulazione della politica estera e militare. Anche così, le proteste su larga scala che potrebbero seguire in Europa sono qualcosa che le élite vogliono evitare, ma potrebbero comunque rischiarle affinché il loro progetto geopolitico in Ucraina non sia del tutto inutile.

La gente media al di fuori dell’Ucraina non può influenzare il corso degli eventi, ma quelli in quel paese potrebbero svolgere un ruolo storico se si ribellassero con il sostegno di elementi amici nei servizi di intelligence militare come quelli che circondano l’ex comandante in capo Zaluzhny . Metterebbero a rischio la propria vita dal momento che la SBU abusa, incarcera e uccide i dissidenti, ma un numero sufficiente di loro è evidentemente pronto a farlo, come suggerito dai frenetici sforzi del Comitato di intelligence ucraino per screditarli.

È troppo presto per prevedere se si ribelleranno, per non parlare della portata e della durata necessarie per deporre Zelenskyj con l’obiettivo di riprendere immediatamente i colloqui di pace poiché la SBU sostenuta dalla CIA potrebbe far naufragare i loro piani arrestando i loro leader (soprattutto quelli nei servizi di intelligence militare). Se lo facessero e ciò coincidesse con la svolta della Russia attraverso la LOC, allora ciò potrebbe rapidamente porre fine a questa guerra per procura, a condizione che ci siano anche élite amichevoli disposte a rischiare la propria vita.

Considerando la portata globale di questo conflitto, quello che è considerato lo scenario peggiore dal punto di vista dell’élite ucraina al potere e dei suoi padroni occidentali è quindi lo scenario migliore per il resto del mondo. Nel caso in cui Zelenskyj venga deposto e i colloqui di pace riprendano immediatamente non appena la Russia sfonda la LOC, la NATO potrebbe non sentirsi così pressata dal suo dilemma di sicurezza con la Russia ad intervenire convenzionalmente in Ucraina, riducendo così il rischio di una terza guerra mondiale per errori di calcolo.

La NATO sta pianificando una possibile svolta russa attraverso la linea di contatto entro la fine dell’anno, ma non è ancora sicura di come reagire se ciò dovesse accadere.

Lunedì il presidente francese Macron ha ospitato più di 20 leader europei a Parigi per discutere le prossime mosse in Ucraina , inclusa la possibilità di un intervento convenzionale della NATO, che secondo lui non è stato escluso per ragioni di “ambiguità strategica” nonostante non sia stato raggiunto un accordo. consenso su questo. Anche il suo omologo polacco Duda ha confermato che questo argomento è stato il punto più acceso delle loro discussioni. Il fatto stesso che questo scenario venga ufficialmente preso in considerazione dimostra quanto sia diventata disperata la NATO.

La vittoria della Russia ad Avdeevka , che è stato il risultato naturale della sua vittoria nella “ corsa logistica ”/“ guerra di logoramento ” con la NATO, ha spinto i politici a riflettere su cosa fare nel caso in cui si riuscisse a raggiungere una svolta attraverso la linea di contatto. (LOC) e inizia a invadere il resto dell’Ucraina. In precedenza non avevano considerato questa una seria possibilità fino a quando la fallita controffensiva della scorsa estate non ha messo in luce la debolezza del loro complesso militare-industriale e della pianificazione tattico-strategica.

Ora è uno scenario credibile che sta riaccendendo le speculazioni su un intervento guidato dalla Polonia volto a tracciare una linea rossa nella sabbia per fermare qualsiasi potenziale svolta russa prima che diventi troppo lontana. Ciò preserverebbe la “sfera di influenza (economica)” del G7 in Ucraina, impedendo al tempo stesso il collasso dell’ex Repubblica sovietica e scongiurando così un altro disastro di politica estera simile a quello afghano per l’Occidente. Il problema, però, è che anche la Polonia non vuole subire una situazione del genere solo per restare a secco.

Sebbene la Polonia si sia completamente subordinata alla Germania dopo il ritorno al potere del primo ministro Tusk, sostenuto da Berlino, alla fine dello scorso anno e intenda ritagliarsi una propria “sfera di influenza” nell’Ucraina occidentale , ciò non significa che voglia guidare un’economia occidentale. intervento lì. Il rischio che la Terza Guerra Mondiale scoppi con la Russia per un errore di calcolo è troppo alto e la Polonia potrebbe temere che la NATO non attivi l’Articolo 5 in caso di scontro con la Russia in Ucraina per evitare che ciò accada.

Queste preoccupazioni potrebbero spiegare il motivo per cui non c’è stato alcun consenso durante l’incontro di lunedì su questo tema, dal momento che gli altri membri saggiamente non vorranno correre il rischio di catalizzare uno scenario apocalittico, per questo motivo l’Occidente potrebbe complottare una false flag in Polonia per colpa su Russia e Bielorussia . Il presidente Lukashenko lo ha messo in guardia alla fine di febbraio e, se dovesse realizzarsi, potrebbe servire da stimolo per spingere la Polonia a guidare un intervento occidentale in Ucraina senza il pieno sostegno della NATO.

Varsavia potrebbe essere indotta a credere, senza alcuna garanzia scritta, di avere il sostegno del blocco e che l’Articolo 5 verrebbe attivato se le sue forze si scontrassero con quelle russe, ma solo per essere lasciata a secco se ciò accadesse, in modo da evitare la Terza Guerra Mondiale. errore di calcolo per il bene comune. Tuttavia, servirebbe comunque allo scopo di tracciare una linea rossa nella sabbia che potrebbe fermare l’avanzata della Russia, dal momento che la NATO potrebbe in seguito intensificarsi attraverso la politica del rischio calcolato, promettendo di attivare l’Articolo 5 se gli scontri continuassero.

In tal caso, anche la Polonia sarebbe lasciata a pagare il conto, dovendo pagare i costi finanziari e fisici di questo intervento di fatto della NATO, rappresentando così una forma amorale di “ripartizione degli oneri” che ricadrebbe esclusivamente sui suoi contribuenti invece che sul paese. resto del blocco. Le proteste degli agricoltori che stanno scuotendo il paese in questo momento potrebbero portare a una vera e propria ribellione se ciò accadesse, poiché altri potrebbero unirsi, tuttavia, cosa che i liberali-globalisti al potere preferirebbero non manifestare perché temono di rischiare di perdere. energia.

Ecco perché sono riluttanti a guidare un intervento occidentale in Ucraina poiché c’è un’alta probabilità che si ritorcerà contro di loro in particolare e sugli interessi nazionali della Polonia in generale, nonostante vada a vantaggio dell’egemonia occidentale nel suo insieme. Qualunque cosa accada, il risultato dell’incontro di lunedì a Parigi e i dettagli emersi dalle loro discussioni è che la NATO sta pianificando una possibile svolta russa nella LOC entro la fine dell’anno, ma non è ancora sicura di come reagire se ciò accadesse.

La Polonia potrebbe essere spinta a prevenire ciò volontariamente o dopo essere stata manipolata dalla false flag che il presidente Lukashenko aveva avvertito la scorsa settimana fosse stata pianificata, con la seconda opzione potenzialmente utilizzata subito dopo ogni svolta decisiva. Se ciò dovesse accadere prima che le esercitazioni NATO “Steadfast Defender 2024” si concludano a giugno, allora quelle forze del blocco che attualmente si stanno addestrando in Polonia per le esercitazioni continentali più grandi dai tempi della Vecchia Guerra Fredda potrebbero svolgere un ruolo di supporto fondamentale o eventualmente partecipare anche loro. .

Tuttavia, se una svolta dovesse verificarsi dopo la fine di quelle esercitazioni di guerra come parte dell’offensiva russa che Zelenskyj sostiene sia pianificata già a maggio, allora la Polonia probabilmente non potrebbe contare sullo stesso sostegno della NATO e sarebbe probabilmente sotto pressione per agire da sola. (almeno all’inizio) con solo vaghe promesse. Un’altra possibilità è che le esercitazioni vengano estese, in tutto o in parte, anche attraverso lo stazionamento semipermanente di altre forze NATO, come quella tedesca, fino alla fine dell’offensiva.

Ciò potrebbe dare alla Polonia sufficiente rassicurazione per fare un atto di fiducia nel tuffarsi a capofitto in Ucraina con l’aspettativa che il resto della NATO seguirà, anche se resteranno di proposito indietro per evitare la terza guerra mondiale con la Russia per un errore di calcolo, come spiegato in precedenza. . Resta da vedere cosa accadrà, ma come ha detto lo stesso Macron, “faremo tutto il necessario affinché la Russia non possa vincere la guerra” e questo significa quindi che la NATO interverrà sicuramente in una certa misura se la Russia dovesse rompere la LOC.

Il blocco non può permettersi un altro disastro simile a quello afghano, tanto meno sul suolo europeo nel modo più geostrategico. significativo conflitto dalla seconda guerra mondiale, ed è per questo che non resterà in disparte mentre l’Ucraina crolla, se c’è una possibilità credibile che ciò accada e che la Russia travolga le rovine. L’unica ragione per cui ora stanno pianificando questo è perché la vittoria della Russia nella “corsa logistica”/“guerra logistica” lo rende concepibile entro la fine dell’anno, anche se ovviamente non può nemmeno essere dato per scontato.

È già noto, dopo la tacita ammissione del cancelliere tedesco Scholz la scorsa settimana, che la guerra per procura NATO-Russia in Ucraina si è trasformata in una guerra calda non dichiarata ma limitata, ma questo tenue stato di cose potrebbe facilmente collassare in un conflitto incontrollabile se la Transnistria cadesse.

La scorsa settimana si è ipotizzato che la regione separatista non riconosciuta della Transnistria potrebbe diventare il filo conduttore di una guerra più ampia dopo che il suo parlamento ha richiesto l’assistenza russa per alleviare il blocco economico che Chisinau e Kiev le hanno imposto. Tiraspol ha anche richiesto gli sforzi diplomatici di Mosca per rilanciare i colloqui in fase di stallo sul suo status, che il Cremlino ha promesso di prendere in considerazione perché circa la metà dei 450.000 residenti della regione sono cittadini russi.

Quasi esattamente un anno fa, alla fine di febbraio del 2023, i vertici della Russia avvertirono che l’Ucraina stava complottando una provocazione sotto falsa bandiera in Transnistria che sarebbe stata portata avanti dai militanti dell’Azov in uniformi russe. All’epoca venne analizzato qui , ma alla fine non accadde nulla, molto probabilmente perché l’Occidente era iper concentrato sulla preparazione della controffensiva, alla fine fallita, quell’estate. Tuttavia, sei mesi dopo che il disastro era diventato innegabile, la Transnistria è tornata a far notizia.

L’Occidente preferirebbe forzare la capitolazione politica di quella regione attraverso mezzi economici per ottenere una vittoria a costo zero e risollevare il morale mentre l’Ucraina lotta per frenare le conquiste della Russia all’indomani della sua vittoria ad Avdeevka alla fine del mese scorso. Ciò spiega il blocco, la guerra d’informazione antigovernativa e l’infiltrazione speculativa di agenti delle cellule dormienti in quella regione, che sono diventate sempre più insopportabili per le autorità locali e per questo motivo hanno chiesto l’appoggio russo.

Se la situazione dovesse peggiorare, sia a causa delle pressioni di cui sopra, sia a causa di una provocazione simile a quella da cui la Russia aveva messo in guardia l’anno scorso, allora questa regione separatista potrebbe diventare il filo conduttore di una guerra più ampia. Si sa già, dopo la tacita ammissione della scorsa settimana da parte del cancelliere tedesco Scholz, che l’accordo NATO-russo La guerra per procura in Ucraina si è trasformata in una guerra calda non dichiarata ma limitata , ma questo tenue stato di cose potrebbe facilmente precipitare in un conflitto incontrollabile se la Transnistria cadesse.

La Russia ha più di 1.000 forze di pace lì secondo un precedente accordo degli anni ’90 con la Moldavia, che oggi vuole che se ne vadano , oltre a circa 200.000 cittadini in quella regione. Il primo potrebbe essere facilmente sopraffatto da un’offensiva congiunta tra Moldova e Ucraina, appoggiate dalla Romania, lasciando così la sicurezza del secondo alla mercé di quei due. La Russia non può restare a guardare mentre ciò accade, ma non può nemmeno intervenire convenzionalmente per scongiurare tale scenario poiché non ha un “ponte terrestre” con la Transnistria.

Il presidente Putin potrebbe quindi sentirsi obbligato a “intensificare l’escalation” ordinando una salva missilistica a tutto campo contro le forze attaccanti moldave e ucraine appoggiate dalla Romania e/o eventualmente utilizzando armi nucleari tattiche secondo quanto recentemente riportato sulla soglia apparentemente bassa del suo paese . . Non si può nemmeno escludere che le infrastrutture di supporto all’interno della Romania possano essere colpite con munizioni convenzionali a questo scopo, nonostante il rischio di attivare l’articolo 5 se si prevede che il blocco si ritirerà.

Iniziare la Terza Guerra Mondiale sulla Transnistria sembra assurdo, motivo per cui né la Russia né la NATO probabilmente rischierebbero di farlo, ma ciascuna potrebbe tentare di infliggere un grave danno alla reputazione all’altra nel caso in cui l’Occidente si muova per primo autorizzando la Moldavia e/o la Moldavia appoggiata dalla Romania. L’Ucraina per catturare quella regione. La NATO potrebbe prendere in considerazione questo “frutto a portata di mano” che potrebbe sollevare il morale dell’Occidente in questo momento difficile , mentre la Russia potrebbe mettere alla prova l’Articolo 5 come spiegato sopra se non si aspetta una ritorsione diretta e schiacciante.

Nel caso in cui questo scenario rimanesse gestibile, il che non è scontato, la Russia perderebbe la Transnistria insieme ai suoi oltre 1.000 soldati e almeno un quinto di un milione di cittadini (che probabilmente non verrebbero massacrati ma soffrirebbero sotto l’occupazione). ) mentre l’articolo 5 verrebbe screditato. È nell’interesse di entrambe le parti evitare questo esito reciprocamente dannoso, ma ciò può avvenire solo dissuadendolo attraverso la ripresa dei colloqui di pace o, più rischiosamente, con la Russia che, se costretta a farlo, “escalation per allentare l’escalation”.

Se Scholz ha espresso con sincerità le ragioni per cui è contrario all’invio di missili Taurus in Ucraina, ciò suggerisce che non ha idea di ciò che le sue forze armate stanno facendo alle sue spalle, il che rischia di trascinare la Germania sempre più in questo conflitto. .

La caporedattrice di RT Margarita Simonyan ha affermato venerdì in un post su Telegram di aver ascoltato una registrazione trapelata da alti ufficiali della Bundeswehr che discutevano su come bombardare il ponte russo di Crimea in un modo che avrebbe consentito al cancelliere tedesco Olaf Scholz di mantenere una plausibile negabilità. Ciò fa seguito alla sua involontaria rivelazione secondo cui Francia e Regno Unito hanno clandestinamente schierato truppe in Ucraina per assistere con il “controllo degli obiettivi”, spiegando allo stesso tempo perché il suo paese non invierà lì missili Taurus a lungo raggio.

Sebbene non abbia condiviso la registrazione con i suoi follower, è possibile che lei, RT o qualche altra fonte possano farlo in futuro. Nel frattempo, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha risposto al suo post in cui invitava i media tedeschi a dimostrare la loro indipendenza, chiedendo al ministro degli Esteri Annalena Baerbock di parlare di questa affermazione. In assenza di prove si può solo speculare sulla sua veridicità, ma questo sviluppo è ancora sufficiente per chiedersi se la Bundeswehr si stia comportando in modo ribelle.

Se Scholz ha espresso con sincerità le ragioni per cui è contrario all’invio di missili Taurus in Ucraina, ciò suggerisce che non ha idea di ciò che le sue forze armate stanno facendo alle sue spalle, il che rischia di trascinare la Germania sempre più in questo conflitto. . Il loro paese sta attualmente riprendendo la sua traiettoria di superpotenza perduta da tempo con il pieno sostegno americano , dopo aver subordinato completamente la Polonia al fine di contenere la Russia in Europa mentre gli Stati Uniti “ritornano verso l’Asia”.

Questo nuovo ruolo potrebbe aver incoraggiato alcuni membri d’élite della Bundeswehr a pensare di poter espandere ulteriormente l’influenza della Germania in Ucraina competendo con Francia e Regno Unito attraverso l’invio clandestino di truppe e missili Taurus a sua insaputa. Se lo avessero fatto e avessero colpito con successo il ponte di Crimea, questi due avrebbero potuto attribuire la colpa a loro per distogliere dalla responsabilità di Berlino, dopodiché Scholz sarebbe stato costretto ad accettare questo fatto compiuto.

La pressione che potrebbe essere esercitata su questi due potrebbe creare spazio affinché la Germania possa espandere la propria influenza in Ucraina a loro spese, mentre i G7 competono tra loro su chi otterrà la fetta più grande della sua torta economica nel periodo precedente a ciò. Il gruppo ha riferito di voler nominare un inviato speciale lì. La Germania è già il secondo fornitore militare dell’Ucraina, ma la sua industria degli armamenti potrebbe temere di perdere i contratti postbellici con Francia e Regno Unito se continua a trattenere questi missili e truppe.

Nessuno dei rivali storici della Germania vuole vederla diventare una superpotenza, ma l’unico modo per rallentare questa traiettoria è indebolire la sua influenza in Ucraina attraverso la loro “diplomazia militare”, che prende la forma del dispiegamento non ufficiale di truppe. Mentre lo “ Schengen militare ” che si è formato tra Paesi Bassi, Germania e Polonia porterà probabilmente Berlino a espandere presto la sua influenza nei Paesi Baltici, questi due potrebbero influenzare i Balcani come contrappeso.

L’“ Autostrada Moldova ” che attraversa i porti greci , Bulgaria e Romania, sempre più cruciali per la NATO, insieme al “Corridoio del Mar Nero”, creato in modo informale con il sostegno britannico dopo la fine dell’accordo sul grano, potrebbe combinarsi per mantenere un controllo sull’influenza tedesca post-bellica in tutto il mondo. il continente. Questo non vuol dire che sarebbe abbastanza adeguato da far deragliare la ripresa della traiettoria di superpotenza di quel paese, ma semplicemente che potrebbe consentire alla Francia e al Regno Unito di ritagliarsi le proprie “sfere di influenza”.

Lo scenario sopra menzionato è subordinato al fatto che continuino a fornire all’Ucraina il sostegno militare che la Germania finora non è stata disposta a fornire, vale a dire missili a lungo raggio e relativi dispiegamenti di truppe per il “controllo degli obiettivi”, senza i quali questi corridoi perdono la loro importanza. Sebbene entrambi potrebbero utilizzare lo “Schengen militare” guidato dalla Germania a questi fini, Berlino ovviamente darebbe priorità all’esportazione delle proprie attrezzature attraverso questa rotta, da qui la necessità per loro di avere alternative per ogni evenienza.

Tornando all’affermazione di Simonyan dopo aver informato i lettori del contesto strategico, potrebbe benissimo essere che una nebulosa fazione all’interno della Bundeswehr voglia agire unilateralmente alle spalle di Scholz per compensare questa sfida latente al previsto controllo dell’Europa da parte della Germania. I loro piani però sono stati semplicemente sventati dal momento che la presunta registrazione significa che il loro paese non può più mantenere una “negabilità plausibile” nel caso in cui missili e truppe Taurus vengano segretamente schierati in Ucraina per attaccare il ponte russo di Crimea.

Scholz ora può o smantellare questo gruppo sovversivo oppure seguire la corrente se non è in grado di farlo, la prima delle quali è l’opzione più responsabile ma cederebbe l’influenza in Ucraina a Francia e Regno Unito, mentre la seconda coinvolgerebbe ulteriormente la Germania in questo conflitto per mantenere la propria influenza. Esiste anche la possibilità che questa fazione annulli i suoi piani senza essere smembrata dopo che sono stati appena scoperti. In ogni caso, la prossima settimana farà maggiore chiarezza, sia sul potere di Scholz che sul ruolo della Germania.

Il segreto peggio custodito di questa guerra per procura è che si tratta già di una calda guerra NATO-Russia, ma non dichiarata e limitata, in cui entrambe le parti si attengono ancora a “regole d’ingaggio” informali.

L’insinuazione del cancelliere tedesco Scholz secondo cui Francia e Regno Unito avrebbero schierato clandestinamente truppe in Ucraina per assistere nel “controllo degli obiettivi” contro le forze russe ha provocato una dura reazione da parte degli inglesi, ma il suo lapsus ha semplicemente rovesciato il sacco sul peggior gestito di questa guerra per procura. segreto. Nessun osservatore onesto ha creduto alle precedenti smentite riguardo alle truppe occidentali in quel paese, poiché le loro controparti ucraine non potevano realisticamente essere addestrate a utilizzare armi così moderne in così poco tempo.

La sua involontaria rivelazione, condivisa per spiegare perché la Germania non invierà missili Taurus a lungo raggio in quel paese poiché non vuole seguire l’esempio degli altri schierando clandestinamente truppe lì, è arrivata poco dopo la scandalosa affermazione del presidente francese Macron . Ha detto che i paesi della NATO hanno discusso se intervenire convenzionalmente in Ucraina quando molti dei loro leader si sono incontrati lunedì a Parigi, anche se non è stato raggiunto alcun consenso su questa questione estremamente delicata.

Anche se praticamente tutti i suoi colleghi hanno negato che si sia discusso di qualcosa del genere, il Financial Times ha poi citato un anonimo alto funzionario della difesa europea che ha confermato senza mezzi termini che “tutti sanno che ci sono forze speciali occidentali in Ucraina, ma non lo hanno riconosciuto ufficialmente”. .” Finora tali affermazioni venivano liquidate come “teorie del complotto russo”, ma ora, prevedibilmente, si sono rivelate affermazioni di “fatti complottisti”, con sorpresa solo degli osservatori più disonesti e ingenui.

Il conflitto ucraino è sempre stato per conto della NATO guerra alla Russia che è stata intrapresa con mezzi ibridi attraverso l’ex Repubblica Sovietica, con quest’ultimo sviluppo che rimuove ogni “plausibile negazione” al riguardo dopo le parole appena uscite dalla bocca del leader de facto dell’UE . Ciò induce a riconsiderare il modo in cui è stato gestito fino a questo momento il dilemma senza precedenti della sicurezza NATO-Russia.

Il 24 febbraio 2022 il presidente Putin ha affermato quanto segue riguardo a coloro che vorrebbero interferire con l’operazione speciale: “Non importa chi cerca di ostacolarci o di creare minacce per il nostro Paese e il nostro popolo, deve sapere che la Russia risponderà immediatamente e le conseguenze saranno quali non avete mai visto in tutta la vostra storia. Non importa come si svolgeranno gli eventi, noi siamo pronti. Sono state prese tutte le decisioni necessarie al riguardo. Spero che le mie parole vengano ascoltate”.

Col senno di poi, il suo avvertimento volto a scoraggiare un intervento convenzionale della NATO in Ucraina del tipo di quello ora affermato da Macron è oggetto di dibattito (anche se in un contesto strategico-militare completamente diverso), e quindi ha avuto successo in questo senso. Saggiamente non volendo rischiare la Terza Guerra Mondiale per errori di calcolo, l’Occidente è invece intervenuto clandestinamente tramite i suoi servizi di intelligence, forze speciali e “mercenari” (alcuni dei quali sono presumibilmente militari “in congedo” mentre fanno “volontario” lì).

Il Cremlino ne è stato consapevole per tutto il tempo, ma a quanto pare ha concluso che non si trattava di un superamento della linea rossa, anche se ciò non significa che sia rimasto a guardare mentre ciò accadeva. Piuttosto, alcuni dei suoi attacchi missilistici di precisione contro obiettivi militari e formazioni “mercenarie”, come quello francese a fine gennaio, sono state risposte contro coloro che non hanno ascoltato l’avvertimento del presidente Putin di non interferire. Per gestire il dilemma della sicurezza, la Russia non ha rivelato che alcuni dei morti erano soldati occidentali.

Le notizie sulla loro reale identità sono inevitabilmente trapelate sui social media e in particolare sui canali dei blogger militari russi, ma né Mosca né l’Occidente ne hanno mai confermato ufficialmente la veridicità. Tuttavia, gli osservatori onesti presumevano che ci fosse una certa credibilità in loro per la ragione precedentemente menzionata, legata alla difficoltà di addestrare gli ucraini ad utilizzare armi così moderne in così poco tempo. Quanto ai “mercenari”, questi dovevano sostituire il tritacarne e intimidire i nuovi coscritti.

Il segreto peggio custodito di questa guerra per procura è che si tratta già di una calda guerra NATO-Russia, ma non dichiarata e limitata, in cui entrambe le parti si attengono ancora a “regole d’ingaggio” informali. Sebbene le truppe britanniche, francesi e presumibilmente anche statunitensi e di altri paesi occidentali – alcune delle quali sono schierate lì come “mercenari” – aiutino l’Ucraina a colpire la Russia, il loro obiettivo si è astenuto dal reagire all’interno della NATO. Entrambe le parti hanno anche tacitamente concordato di non confermare la presenza delle truppe occidentali in Ucraina finché Scholz non avesse goffamente vuotato il sacco.

Ciò suggerisce che la NATO sa che la Russia potrebbe sentirsi costretta a ricorrere alla politica del rischio calcolato nucleare se il blocco si vantasse di ciò che le sue truppe stanno facendo in Ucraina, ma dal momento che finora hanno fatto finta di niente, la Russia non ha segnalato alcuna intenzione di testare l’Articolo 5. Ciò a sua volta scredita le affermazioni secondo cui la Russia nutre intenzioni aggressive contro la NATO poiché non approverà nemmeno pubblicamente il suddetto scenario per autodifesa, nonostante le truppe NATO in Ucraina siano responsabili dell’uccisione delle sue stesse truppe e anche dei suoi civili.

Il dilemma senza precedenti della sicurezza NATO-Russia viene quindi gestito dalla NATO che si astiene da un intervento convenzionale su larga scala, la Russia non risponde all’interno della NATO dopo gli attacchi ucraini facilitati dall’Occidente contro le sue truppe e civili, e non conferma nemmeno la presenza di truppe occidentali lì. Queste “regole d’ingaggio” informali mantengono limitata la guerra calda non dichiarata, sebbene la Terza Guerra Mondiale possa sempre scoppiare accidentalmente, da qui la necessità di congelare subito questo conflitto per ridurre tale rischio.

I politici russi farebbero bene a riflettere sul consiglio di Medvedev, che questa volta è abbastanza sensato.

L’ex presidente russo e vicepresidente in carica del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev ha criticato lunedì in un tweet gli ambasciatori degli stati dell’UE per aver rifiutato l’invito del ministro degli Esteri Sergey Lavrov a partecipare a un incontro per discutere di ingerenze straniere nelle prossime elezioni. Questo alto diplomatico ha rivelato di avergli inviato una lettera due giorni prima dell’incontro con la loro decisione, che i media locali hanno citato come giustificazione della missione dell’UE sulla base del fatto che non volevano ricevere “una lezione”.

In risposta, il precedente leader russo ha scritto che “Ciò va totalmente contro l’idea stessa dell’esistenza di missioni diplomatiche e di incarichi di ambasciatori. In realtà, tutti questi ambasciatori dovrebbero essere cacciati dalla Russia e il livello delle relazioni diplomatiche dovrebbe essere abbassato”. Sebbene Medvedev si sia guadagnato la reputazione di “intransigente” fin dall’inizio dell’operazione speciale e talvolta condivida quelle che oggettivamente possono essere descritte come proposte irrealistiche, questo particolare suggerimento ha molto senso.

Dopotutto, lo stesso Lavrov ha detto subito dopo aver condiviso questo aneddoto: “Riuscite a immaginare relazioni diplomatiche con paesi i cui ambasciatori hanno paura di partecipare a un incontro con il ministro del paese in cui prestano servizio?” La sua osservazione è tanto più rilevante se si considera che si stava preparando a condividere con loro la prova dei “meccanismi di interferenza che usano, riguardo ai progetti a sostegno della nostra opposizione non sistemica. In generale, su ciò in cui le ambasciate non hanno il diritto di impegnarsi”.

In passato i diplomatici russi sono stati espulsi in massa dall’UE con vaghi pretesti di spionaggio senza che alcuna prova fosse stata condivisa con i rispettivi ambasciatori delle loro presunte attività illegali, ma l’UE si aspetta che Mosca non tocchi i suoi, nonostante le prove a portata di mano. . Ancora più offensivo è il fatto che tutti gli ambasciatori europei pensassero di poter snobbare il massimo diplomatico russo senza conseguenze, anche se sicuramente avrebbero espulso un ambasciatore russo se avesse osato snobbare il loro.

Per non parlare del fatto che l’UE partecipa per procura della NATO guerra alla Russia attraverso l’Ucraina , anche attraverso l’invio di armi e in alcuni casi anche di truppe, come rivelato inavvertitamente la settimana scorsa dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha portato ad una guerra calda non dichiarata ma finora limitata. Affinché la Russia mantenga lo stesso livello di relazioni diplomatiche con loro è necessario un santo livello di tolleranza per la mancanza di rispetto che rischia di danneggiare la reputazione del paese agli occhi di alcuni sostenitori stranieri.

Per essere chiari, la Russia ha il diritto di formulare la politica in base a ciò che i suoi esperti accreditati ritengono necessario per promuovere i propri interessi nazionali oggettivi, quindi potenzialmente mantenere i legami allo stesso livello dopo quest’ultima provocazione dovrebbe essere interpretato come l’intenzione (parola chiave) di far avanzare questo obiettivo. “bene più grande”. Tuttavia, non si può negare che alcuni dei suoi sostenitori stranieri potrebbero percepirlo come un segno di debolezza, il che potrebbe portarli a rivalutare il modo in cui valutano la Russia e le sue politiche.

Da un lato, non fare altro che convocare quegli ambasciatori per una sferzata di parole (che potrebbero anche non presentarsi per ricevere dato il precedente che hanno appena stabilito) o inviare una lettera di malcontento alle loro ambasciate potrebbe mantenere aperti i canali di dialogo. Ciò consentirebbe a sua volta di fare affidamento su di loro in caso di crisi o anche semplicemente di mantenere il basso livello di scambi post-sanzioni tra di loro, entrambi i quali in effetti promuovono alcuni degli interessi nazionali oggettivi della Russia.

D’altro canto, tuttavia, le comunicazioni di crisi potrebbero essere gestite direttamente tra i massimi rappresentanti diplomatici, militari e/o politici, se necessario, senza dover passare attraverso il livello degli ambasciatori. Per quanto riguarda il basso livello di scambi commerciali post-sanzioni, ciò non richiede il coinvolgimento dell’ambasciatore poiché è condotto tramite le rispettive attività commerciali di entrambe le parti, che possono interagire tra loro in caso di controversie. Gli interessi russi quindi non verrebbero danneggiati se venissero espulsi.

Alla fine spetta ai politici russi decidere la migliore linea d’azione per il loro Paese dopo quello che è appena successo, cosa che i suoi sostenitori stranieri dovrebbero rispettare anche se non sono d’accordo. La cosa più importante è comprendere gli imperativi dietro qualunque politica promulghino, che può essere criticata in modo costruttivo ma non dovrebbe essere sfruttata per screditare il Paese. Prima di prendere una decisione, i politici farebbero bene a riflettere sul consiglio di Medvedev, che questa volta è abbastanza sensato.

Lo scopo dietro la diffusione di queste false percezioni sulla Polonia è quello di screditare il suo impegno nella guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina, dopo di che Kiev spera che l’Occidente costringa Varsavia a interrompere questo commercio, disperdendo con la forza i manifestanti che stanno bloccando il confine, e consentendo importazioni illimitate dall’Ucraina.

I legami polacco-ucraini sono diventati nuovamente difficili dopo che gli agricoltori polacchi hanno ripreso il blocco del confine per protestare contro il continuo afflusso di prodotti agricoli ucraini sul mercato interno. Sebbene la Polonia si sia completamente subordinata alla Germania da quando è tornato al potere il primo ministro Donald Tusk, sostenuto da Berlino , questi è stato riluttante a usare la forza per disperdere i manifestanti per paura che il loro movimento si fondesse in una versione moderna di Solidarnosc se avesse osato. fare così.

Questi calcoli politici egoistici spiegano perché finora ha lasciato che la situazione peggiorasse nonostante fosse contraria agli interessi dell’Occidente e ha persino flirtato con la chiusura temporanea del confine nel tentativo di fare appello a questi manifestanti patriottici. L’approccio di Tusk potrebbe ovviamente cambiare, ma è importante che i lettori comprendano come tutto è arrivato a questo punto. Questi sviluppi hanno naturalmente scatenato il panico in Ucraina e spiegano perché ha cercato di screditare la Polonia attraverso un attacco di guerra dell’informazione.

L’Ukrainska Pravda ha pubblicato il 29 febbraio un rapporto dettagliato su “ Come la Polonia continua ad importare prodotti agricoli russi ”, in cui si sostiene che non è solo ipocrita ma anche immorale che la Polonia mantenga questi legami commerciali rimanendo nella sua feroce rivalità con la Russia. È stato rilasciato pochi giorni dopo che la Polonia ha trattenuto per diverse ore uno dei suoi giornalisti al confine bielorusso, dove stava indagando sul ruolo svolto dalla Bielorussia nel facilitare il commercio agricolo polacco-russo.

Tutto ciò fa sembrare il loro rapporto in apparenza molto scandaloso, ma in realtà è solo un mucchio di chiacchiere poiché la stessa Ukrainska Pravda ha informato i lettori che queste importazioni non sono vietate e che il livello delle importazioni russo-bielorusse è quasi dieci volte inferiore a quello Quelli ucraini. Inoltre, sono concentrati soprattutto nei semi oleosi e negli oli di semi, non nei cereali come nel caso dell’Ucraina. Nel complesso questi fatti rendono l’importazione di prodotti agricoli russi da parte della Polonia molto meno distruttiva di quelli ucraini.

Tuttavia, la persona media probabilmente non leggerà tutto il rapporto per ottenere quei dettagli cruciali, poiché molti si limitano a sfogliare i titoli e reagiscono in base alle poche parole che vedono. L’introduzione è inoltre strutturata in modo da esagerare emotivamente tutto per rafforzare queste false percezioni nel caso in cui qualcuno faccia clic sul collegamento e legga i primi paragrafi. Questa non è una negligenza giornalistica di per sé, ma è sicuramente manipolativa e quindi probabilmente una forma di propaganda.

Lo scopo dietro la diffusione di queste false percezioni sulla Polonia è quello di screditare il suo impegno nei confronti della NATO guerra alla Russia attraverso l’Ucraina , dopo di che Kiev spera che l’Occidente costringa Varsavia a interrompere questo commercio, disperdendo con la forza i manifestanti e consentendo importazioni illimitate dall’Ucraina. La riluttanza di Tusk a farlo per ragioni politiche egoistiche potrebbe quindi essere interpretata nel senso che sta considerando un ritorno alle politiche favorevoli alla Russia che hanno caratterizzato il suo precedente periodo al potere.

Tali preoccupazioni furono screditate dopo che il suo governo accettò l’” esercito ” proposto dalla Germania Schengen ” con quel paese e i Paesi Bassi a fine gennaio che accelererà la costruzione della “ Fortezza Europa ” su cui la Germania sta riprendendo la sua traiettoria di superpotenza perduta da tempo con il sostegno degli Stati Uniti . Tuttavia, possono ancora essere utilizzati come arma per indurre gli occidentali ad agitarsi contro di lui su questo argomento, tutto per garantire che i loro leader seguano poi l’esempio secondo il piano dell’Ucraina.

Dal punto di vista di Kiev, questo blocco mette in pericolo l’affidabilità delle importazioni militari occidentali nel prevenire lo scenario peggiore di una svolta russa, ecco perché è imperativo ricorrere a qualsiasi mezzo – compresa la guerra dell’informazione e l’ingerenza politica – per riaprire il confine polacco. Questa mossa ostile potrebbe però rivelarsi controproducente, spingendo ancora più polacchi contro l’Ucraina , il che potrebbe portare a un raddoppio delle proteste al confine che dissuaderanno Tusk dal dare un giro di vite per evitare una massiccia reazione.

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Il conflitto polacco-ucraino occidentale per la Galizia orientale nel 1918-1919

La parte orientale dell’Europa e la fine della prima guerra mondiale

La fine della prima guerra mondiale ha portato a cambiamenti significativi nei confini politici dell’Europa centrale, orientale e sudorientale. A causa della portata di questi cambiamenti e delle nuove guerre regionali per la distribuzione del territorio che scoppiarono in diverse mini-regioni della parte orientale dell’Europa, ci vollero circa cinque o sei anni prima che i nuovi confini tra gli Stati fossero finalmente stabiliti e stabilizzati almeno fino al 1938.

La trasformazione politica della porzione orientale dell’Europa dopo il 1918 fu il risultato diretto del crollo del Secondo Impero tedesco e dell’Impero austro-ungarico negli ultimi mesi del 1918, nonché dei confini occidentali incerti dell’ex Impero russo (crollato nel 1917), ancora coinvolto nella rivoluzione e nella guerra civile. La maggior parte dei cambiamenti dei confini in questa metà dell’Europa dopo la prima guerra mondiale furono il risultato diretto delle decisioni prese dalle potenze dell’Intesa (potenze alleate e associate durante la prima guerra mondiale) alla Conferenza di pace di Parigi, iniziata all’inizio del 1919, che portò a cinque trattati di pace, che prendono il nome dai castelli fuori Parigi in cui sono stati firmati. Ognuno di questi trattati di pace riguardava in parte, ma in alcuni casi interamente, Stati dell’Europa centrale, come ad esempio la Polonia, che nel dopoguerra era in conflitto politico-militare con i nazionalisti ucraini occidentali per il territorio della Galizia orientale.

I confini statali della Polonia del dopoguerra furono decisi dalla Conferenza di pace di Parigi in tre modi: 1) attraverso le decisioni del Consiglio degli ambasciatori; 2) attraverso plebisciti tenuti sotto la direzione dell’Intesa; 3) attraverso il risultato della guerra con l’Ucraina occidentale e la Russia bolscevica. Per quanto riguarda la Polonia, la soluzione finale dei suoi confini orientali divenne la più complessa. Infatti, il primo problema di confine fu la Galizia, o più precisamente la Galizia orientale, dove i polacchi entrarono in guerra aperta con gli ucraini. Il 1° novembre 1918, quando il dominio dell’Austria-Ungheria crollò definitivamente nella regione, i leader nazionalisti ucraini locali proclamarono l’indipendenza della Repubblica nazionale (popolare) dell’Ucraina occidentale. Questo nuovo Stato rivendicava l’ucrainità dell’intera Galizia orientale (a est del fiume San con Lwów), seguita dalla Bucovina settentrionale e dalla Rus’ dei Carpazi. Tuttavia, queste rivendicazioni territoriali furono immediatamente contestate dai polacchi locali che combatterono in tutta la Galizia per essere uniti alla Polonia del secondo dopoguerra. Ne risultò una guerra polacco-ucraina che durò dal novembre 1918 all’estate del 1919, quando i distaccamenti militari galiziani e ucraini occidentali furono espulsi dalla Galizia orientale, che divenne finalmente parte della Polonia tra le due guerre.

La Galizia orientale e le potenze centrali

Prima della prima guerra mondiale, il territorio della Galizia orientale era incluso nell’Austria-Ungheria (parte austriaca), con una composizione etnica mista (come la maggior parte delle province della monarchia austro-ungarica dell’epoca). La popolazione della Galizia orientale prima della prima guerra mondiale era di quasi 5 milioni di abitanti: la maggior parte era costituita da “ucraini” (3,1 milioni), polacchi (1,1 milioni) ed ebrei (620.000), seguiti da numerose altre piccole comunità etnolinguistiche. Gli ucraini (qualunque cosa significasse questo termine etnico all’epoca) avevano il dominio della popolazione nelle campagne (villaggi), ma le città erano abitate dalle maggioranze polacca ed ebraica.

La politica generale di tolleranza di Vienna nei confronti delle minoranze nazionali ha fatto sì che le organizzazioni politiche e nazionali ucraine, polacche ed ebraiche esistessero fianco a fianco in pace.

Le organizzazioni nazionali ucraine hanno lottato per difendere la propria autonomia etnico-regionale e per rafforzare l’identità nazionale ucraina tra le popolazioni slave locali. Tuttavia, la realtà sul campo non era così favorevole per la propaganda nazionale ucraina, proprio per il motivo che, se da un lato l’intellighenzia che accettava l’identità etnolinguistica ucraina stava rapidamente progredendo, dall’altro la stragrande maggioranza dei contadini (la maggioranza della popolazione della Galizia orientale) non era interessata dalla propaganda dell’identità nazionale ucraina. Un altro fatto è che sia l’etnia polacca che quella ebraica avevano un chiaro dominio nei settori dell’istruzione, della cultura, dell’economia regionale e dell’amministrazione civile. I polacchi consideravano la città di Lwów/Lvov/Lemberg/L’viv (che era l’insediamento più importante della Galizia orientale) come una delle città più importanti della cultura e della nazione polacca dopo Cracovia, Varsavia e Wilno/Vilnius.

Durante la prima guerra mondiale (1914-1918), le potenze centrali, ma soprattutto la Germania, sostennero ostinatamente l’identità nazionale ucraina, il nazionalismo e gli obiettivi nazionali, tutti diretti contro la Russia e gli interessi nazionali russi. Il 9 febbraio 1918 fu firmato a Brest-Litovsk il trattato di pace tra le potenze centrali (Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria e Impero Ottomano) e la Repubblica Popolare Ucraina (RPU) – Brotfrieden in tedesco (“Pace del pane”). Il trattato di pace pose fine alla guerra nella Galizia orientale e riconobbe la sovranità della Repubblica Popolare Ucraina. Uno dei punti più importanti di questo trattato di pace fu che le Potenze Centrali vincitrici promisero all’Ucraina alcuni territori che includevano la regione di Kholm (popolata dalla maggioranza di lingua polacca) e la regione di Kholm. Era anche un’iniziativa segreta per trasformare entrambe le province della Bucovina e della Galizia orientale in un territorio della corona dell’Austria-Ungheria (parte austriaca), ma il piano divenne presto estremamente problematico perché i polacchi vi si opposero insistendo sull’indivisibilità dell’intera Galizia in cui avrebbero avuto un dominio. In altre parole, per i polacchi la politica filo-ucraina delle Potenze Centrali durante la Prima Guerra Mondiale e soprattutto nel 1918 non era solo anti-russa, ma ancor più anti-polacca. Pertanto, a causa della politica di Berlino sulla questione ucraina nel 1918, il conflitto interetnico tra polacchi e ucraini divenne di fatto inevitabile.

Il conflitto

Nell’autunno del 1918, durante il crollo della Monarchia danubiana (Austria-Ungheria), i lavoratori nazionali di diversi gruppi etnici all’interno della monarchia stavano preparando piani per la creazione o la ricostituzione dei propri Stati nazionali (uniti) dopo la guerra. Questo era il caso anche dei politici polacchi in Galizia, che volevano includere l’intera regione della Galizia (occidentale e orientale) nello Stato nazionale unito del popolo polacco. Tuttavia, i lavoratori politici ucraini della Galizia occidentale si opposero a questa idea polacca e la notte del 1° novembre 1918 organizzarono un colpo di Stato. Di conseguenza, aiutati dalle unità nazionali ucraine, riuscirono a occupare Lvov e altre città della Galizia orientale. Allo stesso tempo, proclamarono la Repubblica Popolare Ucraina Occidentale come Stato ucraino indipendente. I polacchi di Lvov (che sono la maggioranza della città) furono colti di sorpresa, ma organizzarono una difesa militare (compresi gli studenti delle scuole) e presto espulsero le forze ucraine dalla maggior parte della città. Tuttavia, in altre città della Galizia orientale, gli ucraini ebbero i maggiori successi, tranne che nella città di Przemyśl/Peremyshl. Le truppe polacche avanzarono in altre città della Galizia orientale occidentale, ma d’altra parte la Polonia fallì in diversi tentativi di risolvere il conflitto polacco-ucraino con un arbitrato. In altre parole, prima che la Polonia proclamasse la propria indipendenza l’11 novembre 1918, la guerra tra le forze polacche e ucraine era già in corso per la Galizia orientale e la sua città più importante – Lvov.

Le forze armate polacche espulsero l’esercito ucraino da Lvov il 22 novembre 1918. Tuttavia, Lvov rimase sotto assedio, con il fuoco costante dell’esercito ucraino, fino all’aprile 1919 (cinque mesi). Tuttavia, subito dopo l’allontanamento delle forze ucraine da Lvov, si verificarono i pogrom contro gli ebrei in cui morirono fino a 80 persone. Il problema era che i polacchi locali accusavano gli ebrei di sostenere la parte ucraina per quanto riguardava il destino di Lvov. In particolare, le unità paramilitari ebraiche armate dalla parte ucraina sono state accusate dai polacchi di fare politica anti-polacca in città.

Durante la guerra tra le forze polacche e ucraine per la Galizia orientale nel 1918-1919, la parte polacca stava gradualmente vincendo sul nemico. Per la parte ucraina nel conflitto, il problema cruciale fu che i leader politico-militari dell’Ucraina occidentale non riuscirono a mobilitare la maggior parte dei contadini ucraini per il loro corso, poiché i contadini erano molto più coinvolti nei loro interessi economici che in quelli politici dell’esistenza. Un altro problema/domanda è quanto si siano sentiti “ucraini” per combattere contro i polacchi. In una tale situazione politica, per attirare i contadini verso il corso ucraino, i nazionalisti ucraini cercarono di fare uso di alcuni slogan socio-economici e, quindi, promisero ai contadini una riforma agraria dopo la guerra – la distribuzione delle terre (lo stesso propagandavano i bolscevichi russi nello stesso periodo). Tuttavia, i nazionalisti ucraini usarono tutti i mezzi di forza per mobilitare i contadini dell’Ucraina occidentale a favore dell’esercito ucraino per combattere i polacchi nella Galizia orientale.

La mediazione dell’Intesa

Dopo la Grande Guerra, nel 1919 le potenze dell’Intesa tentarono di mediare nella guerra polacco-ucraina con lo scopo finale di porre fine alla guerra il più rapidamente possibile, tenendo conto della conferenza di pace postbellica a Parigi e dei castelli. In realtà, ciò che preferivano era la priorità della lotta contro il bolscevismo russo e, quindi, la guerra polacco-ucraina non faceva altro che indebolire le forze europee contro la politica potenzialmente aggressiva dei bolscevichi, che all’epoca sostenevano ogni tipo di rivoluzione di sinistra in Europa centrale. In altre parole, questa guerra che si svolgeva ai confini con la Russia bolscevica impediva la creazione di un fronte unito antibolscevico polacco-ucraino che potesse bloccare l’eventuale aggressione dell’Armata Rossa di Lenin all’Europa. La prima mossa concreta da parte delle forze dell’Intesa per la realizzazione della pace tra le forze militari ucraine e polacche avvenne nel febbraio 1919, quando una speciale commissione militare guidata dalla Francia negoziò sia una tregua che una linea di demarcazione tra Polonia e Ucraina. Secondo questa proposta, la città di Lvov e la regione petrolifera a sud intorno a Boryslav dovevano andare alla Polonia. In altre parole, circa 2/3 della Galizia orientale sarebbero stati inclusi nell’Ucraina occidentale.

La commissione dell’Intesa decise anche che la Repubblica Popolare Ucraina dell’Ovest era uno Stato fallito, non vitale. La vera ragione di questa conclusione era il fatto che il movimento indipendentista della Galizia orientale si basava solo su un piccolissimo strato di intellighenzia, senza un massiccio sostegno da parte della popolazione, soprattutto nelle campagne. I nazionalisti e i politici ucraini, per attirare i contadini locali della Galizia orientale, promisero loro, oltre alla riforma agraria, anche case e castelli di Lvov. Tuttavia, accadde che i combattenti nazionali dell’Ucraina occidentale persero il controllo sul movimento contadino che essi stessi avevano ispirato.

Di fatto, i leader polacchi coinvolti nel conflitto accettarono (a malincuore) la serie di condizioni di pace richieste dalla commissione dell’Intesa. Tuttavia, le stesse condizioni furono rifiutate dai leader ucraini e, automaticamente, posero fine alla tregua polacco-ucraina precedentemente concordata. Di conseguenza, il 10 marzo 1919 le forze armate ucraine iniziarono una nuova offensiva per occupare la città di Lvov, che crollò subito dopo dieci giorni. In sostanza, questo divenne un vero e proprio punto di svolta nella guerra polacco-ucraina del 1918-1919 per la Galizia orientale e la definizione di un confine definitivo tra la Polonia appena ristabilita e l’Ucraina appena formata. Tuttavia, a partire dalla metà di marzo del 1919, furono i polacchi a prendere le iniziative militari e politiche rispetto agli ucraini. In sostanza, divenne ovvio che la parte ucraina avrebbe perso la guerra contro la Polonia per quanto riguardava la Galizia orientale e la città di Lvov. Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1919, i polacchi sferrarono un fruttuoso attacco che portò Lvov a non essere più messa a ferro e fuoco dall’artiglieria ucraina. L’offensiva polacca ebbe un tale successo che nel maggio 1919 i polacchi conquistarono diverse altre città della Galizia orientale (Stanislawów in polacco o Ivano-Frankivsk in ucraino) – che all’epoca era la sede delle autorità politiche e militari ucraine.

All’inizio del giugno 1919, i distaccamenti militari dell’Ucraina occidentale controllavano solo alcune aree dell’Ucraina orientale. La commissione dell’Intesa fece pressione sulla Polonia affinché interrompesse l’offensiva e i negoziati per la tregua bilaterale tra Polonia e Ucraina furono rinnovati. Tuttavia, i leader dell’Ucraina occidentale non rispettarono l’accordo di tregua e iniziarono improvvisamente un’offensiva il 7 giugno 1919 con il risultato di riconquistare alcune aree della Galizia orientale da parte polacca. Pertanto, i polacchi incolparono gli ucraini per il prolungamento del conflitto militare in Galizia orientale e sulla Galizia orientale a tal punto che gli Stati dell’Intesa furono costretti a inviare una commissione nella città di Lvov per indagare su gravi denunce di crimini contro la popolazione civile della città commessi, in realtà, da entrambe le parti. La commissione alla fine non trovò prove rilevanti di crimini di guerra polacchi ma, al contrario, molti casi di crimini di guerra furono commessi dalla parte ucraina. Ciò che probabilmente è di cruciale importanza sottolineare in questa sede è il fatto che la commissione ha riscontrato un’accoglienza molto entusiastica delle truppe polacche da parte degli abitanti della città come liberatori contro il terrore delle “bande ucraine”.

La commissione composta dai rappresentanti delle potenze dell’Intesa, per risolvere definitivamente il problema della Galizia orientale, propose che l’intero territorio di questa regione fosse occupato dalle truppe polacche e, di fatto, incluso nello Stato nazionale polacco del secondo dopoguerra. Per questo motivo, il 25 giugno 1919 il Consiglio dei Ministri degli Esteri di Parigi autorizzò apertamente il governo polacco di Varsavia a lanciare una nuova offensiva militare in Galizia orientale con lo scopo finale di espellere tutti i distaccamenti militari dell’Ucraina occidentale dalla regione e occuparla completamente. Fu concordato che l’Armata Haller (armata in Francia) fosse inviata in Polonia e impiegata nella lotta contro le unità comuniste. Per quanto riguarda la Galizia orientale, doveva essere concessa l’autonomia all’interno della Polonia, e la decisione finale sullo status della Galizia orientale sarebbe stata decisa tramite referendum (ma organizzato dalle autorità polacche).

Infine, il 2 luglio 1919 l’esercito polacco guidato dallo stesso Piłsudski iniziò l’attacco militare decisivo contro le truppe militari dell’Ucraina occidentale e riuscì a espellerle dall’intero territorio della Galizia orientale. Fino al 18 luglio 1919, le forze dell’Ucraina occidentale, composte da circa 20.000 soldati, attraversarono il fiume Zbruch ed entrarono nel territorio della Repubblica Popolare Ucraina. Pertanto, il destino della Galizia orientale fu deciso a favore della Polonia fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Osservazioni finali

La guerra tra la Polonia e l’Ucraina occidentale durò dal novembre 1918 al luglio 1919. Secondo diversi studiosi, la guerra costò la vita a circa 25.000 soldati di entrambe le parti: circa 10.000 polacchi e 15.000 ucraini. Tuttavia, a causa della mancanza di fonti, possiamo stimare molto difficilmente il numero di perdite tra la popolazione civile. Tuttavia, era inferiore al numero complessivo di soldati persi da entrambe le parti. Un’altra caratteristica di questa guerra fu il fatto che le atrocità commesse sia contro la popolazione civile che contro i prigionieri di guerra non furono su larga scala rispetto ad altri casi durante la Prima Guerra Mondiale, come ad esempio la Serbia che perse circa il 25% della sua popolazione.

Questa guerra tra polacchi e ucraini, tuttavia, ha avvelenato le relazioni polacco-ucraine per decenni ed è diventata evidente durante la Seconda guerra mondiale, quando gli ucraini hanno commesso un genocidio su larga scala contro i polacchi (e gli ebrei) in Galizia.

La disputa polacco-ucraina riguardava la terra:

1. Per la parte polacca, i problemi relativi alle proprietà della Galizia orientale non sono finiti con la sconfitta militare delle forze armate dell’Ucraina occidentale nel luglio 1919. Tuttavia, il problema continuò ad essere tale per i due decenni successivi, esercitando un’influenza determinante negli affari interni ed esteri di Varsavia.
2. Per quanto riguarda l’Ucraina, il problema è stato risolto da J. V. Stalin alla fine della Seconda guerra mondiale, quando, in base alla sua decisione, la Galizia orientale è stata annessa all’Ucraina sovietica. I polacchi locali sono stati costretti a vivere al di fuori della loro madrepatria – la Polonia – fino ad oggi, mentre gli ucraini sono riusciti a creare all’interno dell’URSS una Grande Ucraina attraverso l’annessione del territorio da tutti i vicini.
3. Le potenze dell’Intesa, tuttavia, preoccupate dalla minaccia diretta dell’esportazione della rivoluzione bolscevica dalla Russia all’Europa, concessero la Galizia orientale (temporaneamente) alla Polonia, avendo in mente di creare in tal modo un corridoio di difesa più forte contro la Russia bolscevica. Tuttavia, il Trattato di Saint Germain, firmato nel settembre 1919, concesse alla Polonia solo la Galizia occidentale (a ovest del fiume San), lasciando quindi la risoluzione definitiva dell’appartenenza della Galizia orientale come una questione problematica da risolvere in futuro.
4. Nel dicembre 1919, lo statista britannico Lord Curzon propose due possibili linee di confine per la Galizia: 1) una di queste sarebbe servita come estensione meridionale di quelli che egli proponeva essere i confini orientali della Polonia. Questa fu ufficialmente accettata e denominata Linea Curzon. La variante 2), che si trovava più a est e comprendeva Lwów, sarebbe servita come confine della Polonia. In realtà, nessuna di queste soluzioni proposte fu accettata da Varsavia, la cui annessione di tutta la Galizia orientale fu riconosciuta, nel marzo 1923, dal Consiglio degli Ambasciatori dell’Intesa.

Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex professore universitario
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com © Vladislav B. Sotirovic 2024
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La vera sfida di Trump 2.0 Il mondo avrà bisogno di nuovi modi per affrontare le solite vecchie tattiche Di Peter D. Feaver

La vera sfida di Trump 2.0
Il mondo avrà bisogno di nuovi modi per affrontare le solite vecchie tattiche
Di Peter D. Feaver
19 febbraio 2024

https://www.foreignaffairs.com/united-states/real-challenge-trump-20

I commenti dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump sulla NATO all’inizio di febbraio hanno provocato un rimprovero insolitamente rapido da parte dei leader di tutto il mondo. Parlando a un comizio elettorale in South Carolina, Trump ha detto che, da presidente, avrebbe incoraggiato la Russia a “fare quello che diavolo vuole” a qualsiasi membro dell’alleanza che non spenda il 2% del PIL per la difesa, un obiettivo che tutti i membri della NATO hanno concordato nel 2014. Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha definito l’osservazione “sconsiderata”. Il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha detto che “mina tutta la nostra sicurezza”. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden l’ha definita “antiamericana”.

L’apparente invito alla guerra è stato scioccante, ma il disprezzo di fondo per la NATO non è stato particolarmente sorprendente: Trump ha da tempo reso nota la sua insoddisfazione per gli altri membri della NATO. Inoltre, ha una storia di amicizia con i leader autoritari, forse nessuno più ardentemente del Presidente russo Vladimir Putin. Piuttosto che segnare una nuova indignazione, quindi, le chiacchiere di Trump sulla NATO sembravano sottolineare un punto più ampio sul suo possibile secondo mandato: avendo vissuto il Trump 1.0, tutti hanno un’idea abbastanza buona di ciò che potrebbe accadere nel 2.0, ma poiché le condizioni intorno a Trump sono cambiate, il 2.0 sarà un’esperienza molto più tumultuosa.

Trump non ha cambiato molto le sue idee da quando ha lasciato l’incarico, ma il suo ambiente, in patria e all’estero, è cambiato e forse anche la sua comprensione di come esercitare il potere esecutivo. La situazione di Washington è molto più pericolosa di quanto non fosse durante gli anni della sua amministrazione, con guerre multiple sul piatto, l’intensificarsi della rivalità tra grandi potenze e un ordine liberale che si sta sfilacciando. Inoltre, mentre è fuori dal potere, la squadra di Trump ha fatto il lavoro di transizione che non ha fatto la prima volta; sarà potenziata da un Partito Repubblicano trasformato e dotata di un elenco molto dettagliato di amici e nemici – e quindi sarà meglio posizionata per piegare la politica burocratica alla sua volontà. Gli Stati che potrebbero prosperare con un secondo mandato di Trump sono i rivali e gli avversari degli Stati Uniti, come la Cina e la Russia; quelli che probabilmente ne soffrirebbero sono i tradizionali amici degli Stati Uniti, come i Paesi europei, il Giappone e i partner dell’emisfero occidentale.

Naturalmente, le politiche precise di una futura amministrazione Trump sono impossibili da prevedere, anche perché avrebbero le caratteristiche di un presidente emotivo, indisciplinato e facilmente distraibile. Ma ci sono buone ragioni per pensare che Trump 2.0 sarebbe Trump 1.0 con gli steroidi. Il suo ritorno porterebbe a Stati Uniti più unilaterali, più distaccati e talvolta più aggressivi, meno impegnati a sostenere le strutture geopolitiche e i valori liberali che sono già sottoposti a crescenti pressioni.

A meno di un’impennata sorprendente dell’ambasciatore Nikki Haley, Trump è sulla buona strada per diventare il candidato repubblicano alla presidenza ed è testa a testa con il presidente Biden nei sondaggi nazionali. Dato che gli esperti di sicurezza nazionale compiono ogni giorno sforzi considerevoli per valutare le conseguenze di potenziali shock geopolitici che hanno una probabilità di gran lunga inferiore, è fondamentale cercare di pianificare un’altra Casa Bianca di Trump e comprendere le sfide che una tale amministrazione porrebbe agli affari internazionali.

NESSUN ADULTO NELLA STANZA
La visione generale di Trump sul mondo oggi è poco diversa da quella che aveva durante il suo primo mandato. A quanto pare, continua a credere che la rete di alleanze globali di Washington sia un ostacolo, non una risorsa; che distruggere i regimi commerciali globali sia la strada migliore per la sicurezza e la prosperità economica; che gli Stati Uniti abbiano più da guadagnare da alleanze diplomatiche con i dittatori che da relazioni profonde con alleati democratici di lunga data; e che una politica estera unilaterale e ipertransazionale sia il modo migliore per trattare sia con i nemici che con gli amici. Continua inoltre a confondere gli interessi degli Stati Uniti con i propri interessi, sia politici che economici.

Ciò che è cambiato è che i membri di una nuova amministrazione Trump saranno molto meno propensi a frenare i suoi peggiori impulsi. Nel primo mandato di Trump, molti dei membri più importanti della sua squadra di sicurezza nazionale, così come gli alleati repubblicani a Capitol Hill, avevano opinioni repubblicane più tradizionali. Quando Trump ha espresso il desiderio di andare in una direzione diversa, hanno avuto accesso e potere per spiegare perché questa potrebbe essere una cattiva idea, e spesso lo hanno convinto. Questo è ciò che si è verificato, ad esempio, nella revisione della strategia per l’Afghanistan del 2017. Altrettanto importante, per le molte questioni su cui Trump semplicemente non si impegna, i suoi tradizionali incaricati sono stati in grado di condurre una politica normale sotto il suo radar, come nel caso della Strategia di Difesa Nazionale del 2018. Infine, nei pochi settori in cui sono stati utilizzati rallentamenti e scorciatoie e altri normali espedienti burocratici per ostacolare una determinata politica trumpiana, la scarsità di veri guerrieri MAGA a ogni livello della burocrazia ha reso difficile per Trump esaudire i suoi capricci. È tutt’altro che chiaro che questa volta ci saranno tali guardrail.

Trump ha già sviluppato piani per intimidire la burocrazia riclassificando i dipendenti in modo da negare loro le tutele del servizio civile e rendere possibile il licenziamento in massa. I suoi alleati parlano di usare i poteri della presidenza per estirpare i membri delle forze armate che non mostrano una sufficiente inclinazione MAGA. Di certo Trump non ripeterà l’errore commesso al primo mandato di nominare alti funzionari e militari, come i generali in pensione Jim Mattis e John Kelly, che sono stati irremovibili nell’anteporre la loro fedeltà alla Costituzione alla fedeltà personale a Trump. E molti lealisti del MAGA che hanno servito nella prima amministrazione ora hanno una migliore comprensione delle burocrazie che un tempo li frustravano – e saranno meglio posizionati per attuare cambiamenti più radicali se dovessero riprendere il potere.

In teoria, il Congresso potrebbe ancora limitare un presidente distruttivo. Se i Democratici riuscissero a mantenere il controllo del Senato o a riprendere il controllo della Camera, sarebbero in grado di usare il potere della borsa per indirizzare ciò che il ramo esecutivo può o non può fare. Ma questi strumenti legislativi sono più deboli di quanto sembri. Il Congresso, ad esempio, ha approvato una legge che rende più difficile per un presidente ritirarsi formalmente dalla NATO. Ma la legge è di dubbia costituzionalità. E un presidente che semplicemente disconosce queste alleanze come questione politica – ad esempio, riducendo a zero il numero di truppe statunitensi dispiegate nella NATO o insistendo ad alta voce che non interverrà in difesa dei Paesi se la Russia li attacca – può effettivamente minare l’alleanza anche senza un ritiro formale degli Stati Uniti. Semplicemente, non c’è un modo valido per il Congresso di rendere la politica estera degli Stati Uniti a prova di Trump, dati i considerevoli poteri del ramo esecutivo. Trump si troverebbe inoltre di fronte a un Congresso meno incline a imporre tali vincoli, avendo acquisito la padronanza ideologica del Partito Repubblicano, le cui vecchie élite non possono più sostenere che il suo programma sia aberrante e debba essere contrastato.

Ma forse il motivo più importante per cui Trump 2.0 sarà diverso da Trump 1.0 sono i cambiamenti dell’ambiente geopolitico all’estero. Se tornasse nello Studio Ovale, Trump agirebbe in un mondo molto più disordinato. Nel 2017, Trump è entrato in carica mentre l’era post-Guerra Fredda stava finendo. C’erano tensioni con la Cina e guerre calde in Medio Oriente contro i Talebani e lo Stato Islamico, noto come ISIS, ma oggi la situazione è molto più grave. Ora si candida per un secondo mandato in mezzo a grandi guerre calde in Europa orientale e in Medio Oriente, a un crescente rischio di conflitto attraverso lo Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale, all’escalation delle tensioni con l’Iran e la Corea del Nord e ad altre crisi. Un mondo in disordine richiede un maggiore impegno internazionale e la leadership che Washington ha spesso fornito dal 1945, l’opposto di ciò che probabilmente otterrà con il ritorno di Trump.

PIÙ KABUKI, PIÙ CAOS
La politica estera di una seconda amministrazione Trump sarà probabilmente un insolito mix di continuità e cambiamento. Alcune delle sue politiche, in un primo momento, sembrerebbero differire da quelle di Biden solo per gradi. Trump intensificherebbe sicuramente la competizione economica con la Cina, anche se concentrandosi sulla riduzione del deficit commerciale bilaterale e sulla delocalizzazione delle catene di approvvigionamento critiche. Potrebbe annunciare un programma di “pace attraverso la forza” di stampo reaganiano che aumenti la spesa per la difesa degli Stati Uniti, un obiettivo che potrebbe dividere i falchi dalle colombe all’interno del Partito Democratico, proprio come gli aiuti all’Ucraina ora dividono gli internazionalisti dai neoisolazionisti all’interno del Partito Repubblicano.

Ma tali politiche sarebbero naturalmente accompagnate da un’interpretazione trumpiana. Un rafforzamento militare sarebbe probabilmente accompagnato da un’aggressiva politicizzazione delle forze armate, in quanto Trump cercherebbe di estirpare gli alti dirigenti che ritiene abbiano dimostrato una lealtà inadeguata nei suoi confronti in passato. La competizione economica con la Cina andrà probabilmente di pari passo con una rinnovata ricerca di un accordo commerciale “storico”, come quello che Trump ha cercato di ottenere, senza riuscirci, tra il 2017 e il 2020. E nel trattare con molti avversari, Trump ripiegherà ancora una volta su una strategia di competizione kabuki: retorica calda e tensioni crescenti, ma senza una politica coerente o un chiaro scopo strategico.

Cosa ancora più importante, Trump probabilmente perseguirebbe una versione più netta delle politiche della sua prima amministrazione. Come la sua campagna elettorale ha già chiarito, sembra certo che intensificherà i suoi attacchi alle alleanze statunitensi, in particolare alla NATO: l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha avvertito che Trump si sarebbe ritirato dall’alleanza se avesse vinto un secondo mandato nel 2020. Indipendentemente dal fatto che Trump si spinga fino a questo punto, potrebbe facilmente, da solo, porre ulteriori condizioni all’effettiva partecipazione degli Stati Uniti alla NATO e alla partnership con gli alleati del trattato in Asia orientale, chiedere tributi finanziari esorbitanti agli altri Stati membri o semplicemente minare le relazioni all’interno di questi gruppi multilaterali alimentando le tensioni su questioni come la politica climatica e il commercio. Trump ha già proposto una tariffa universale, che farebbe a pezzi il regime commerciale internazionale esistente tassando unilateralmente tutte le importazioni negli Stati Uniti.

Alcune delle politiche di Trump differiranno da quelle di Biden solo di poco.
Nel frattempo, gli Stati europei che si trovano in prima linea nella NATO e i governi asiatici come Taiwan e la Corea del Sud dovranno fare i conti con uno Stato americano più transazionale e meno impegnato. Trump ha già ipotizzato di porre fine alla guerra in Ucraina in 24 ore, e il suo tentativo al primo mandato di tenere in ostaggio la sicurezza dell’Ucraina per perseguire una vendetta contro Biden potrebbe indicare la disponibilità a imporre a Kiev un accordo di pace sfavorevole. Trump sarebbe anche meno impegnato nella sicurezza di Taiwan. Se Pechino attacca l’isola, ha osservato una volta, “non c’è un cazzo di niente che possiamo fare”.

In generale, un’amministrazione Trump sembra destinata ad allontanarsi ulteriormente dal Medio Oriente. Poiché Trump non ha alcun interesse a garantire la sicurezza degli Stati Uniti nel mondo, la sua amministrazione sarebbe presumibilmente meno disposta a prendere provvedimenti, come ha fatto l’amministrazione Biden, insieme al Regno Unito, per proteggere le rotte di navigazione vitali dagli attacchi degli Houthi.

È difficile immaginare che l’amministrazione Trump si impegni come l’amministrazione Biden a raggiungere una pace stabile che tenga conto degli interessi sia israeliani che palestinesi. Il desiderio di un grande accordo con l’Arabia Saudita potrebbe spingere Trump ad affrontare la questione palestinese, che era fuori dal tavolo degli accordi di Abraham ma che non può essere ignorata dopo gli attacchi del 7 ottobre e la guerra a Gaza. Ci sono pochi scenari plausibili per un risultato favorevole in Medio Oriente e nessuno che non richieda un impegno significativo degli Stati Uniti. È quindi difficile capire come Trump potrebbe conciliare il suo sostegno a Israele con il desiderio di liberarsi degli impegni statunitensi in Medio Oriente.

Tuttavia, un secondo mandato di Trump comporterebbe probabilmente anche un’ulteriore incoerenza politica in Medio Oriente, poiché potrebbe anche essere disposto a combinare un ritiro dalla regione con qualche azione militare drammatica mentre esce dalla porta. Dato l’ordine di Trump di assassinare Qasem Soleimani, il capo del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, nel 2020 – una mossa rischiosa che molti nell’amministrazione temevano potesse innescare una spirale di escalation con Teheran – potrebbe dimostrarsi più disposto di quanto non lo sia stato Biden a condurre attacchi letali contro l’Iran e i suoi proxy se questi prendono di mira il personale statunitense, o a tornare a quella che l’amministrazione Trump ha definito una politica di “massima pressione” volta a ottenere un accordo nucleare migliore di quello ereditato nel 2017.

Una nuova amministrazione Trump quasi certamente declasserà ulteriormente la democrazia e i diritti umani come obiettivi politici. E così come Trump ha parlato all’infinito di migranti e della costruzione di un muro al confine con il Messico durante il suo primo mandato, probabilmente adotterà un approccio più estremo nel suo secondo: un confine più militarizzato e politiche più restrittive sui rifugiati, unite a un’intensificazione della guerra alla droga.

ABBRACCI, COPERTURE E ALTRI HACKING
Durante la prima amministrazione Trump, molti leader stranieri hanno sviluppato “trucchi Trump” per trattare con questo presidente così insolito. Il primo approccio consisteva nel nascondersi e nel coprirsi, una strategia che piaceva a Paesi come Francia e Germania che avevano più da perdere se Trump avesse smantellato l’ordine internazionale a guida americana. Così, il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno cercato di mantenere una certa distanza da Washington per minimizzare i punti di attrito con Trump, ma allo stesso tempo hanno cercato di riempire il vuoto di leadership nelle istituzioni transatlantiche e di affermare un ruolo maggiore per organismi come l’Unione Europea. Sebbene abbiano evitato una vera e propria crisi transatlantica, non hanno potuto impedire a Trump di scatenare numerosi insulti e schermaglie diplomatiche che sono state in qualche modo mitigate dalle rassicurazioni delle fazioni più favorevoli all’amministrazione Trump e dei repubblicani al Congresso. Inoltre, non disponevano dell’intera gamma di strumenti – militari, politici, economici e diplomatici – per compensare l’abdicazione di Trump al tradizionale ruolo di leadership dell’America.

Il secondo approccio per affrontare Trump prevedeva l’abbraccio e l’assecondamento, una strategia che faceva appello a leader con personalità ben assortite a quelle di Trump. Il primo ministro britannico Boris Johnson si è adoperato per adulare Trump e per accarezzare il suo ego, al fine di migliorare le relazioni. Allo stesso modo, il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha fatto di tutto per corteggiare Trump, regalandogli persino un golf club placcato in oro dopo la sua vittoria elettorale nel novembre 2016. Questi sforzi hanno dato i loro frutti: Il Giappone è andato meglio di altri alleati degli Stati Uniti nell’Asia-Pacifico durante la presidenza di Trump e Trump non ha riservato a Johnson il trattamento di prepotenza riservato al suo predecessore. Tuttavia, pochi altri leader stranieri hanno avuto il mix di audacia e sostegno interno per rischiare un simile approccio.

Un terzo approccio prevedeva emulazione ed emolumenti per entrare nelle sue grazie. Questa tattica è piaciuta ai leader che condividono le inclinazioni autoritarie di Trump e comprendono il suo bisogno di risultati apparentemente spettacolari: Viktor Orban in Ungheria, Recep Tayyip Erdogan in Turchia, Mohammed bin Salman in Arabia Saudita e persino Benjamin Netanyahu in Israele. Il risultato diplomatico più significativo di Trump, gli accordi di Abraham, ha mostrato le possibilità e i limiti di questo approccio. Netanyahu è riuscito a convincere l’amministrazione Trump a mediare un accordo – la normalizzazione tra Israele e diversi Stati arabi – che è stato a lungo immaginato come una parte cruciale di un accordo di pace globale in Medio Oriente, ma la variante di Trump non prevedeva che Israele facesse alcuna delle concessioni richieste o che riconoscesse la questione palestinese. Questa strategia sembrava funzionare meglio di quanto ci si aspettasse, finché Hamas non l’ha mandata all’aria con il suo feroce attacco terroristico del 7 ottobre contro Israele. (Probabilmente, l’approccio di emulazione e di emolumenti ha funzionato anche per la Russia, anche se in quel caso era chiaro che Putin era il leader da corteggiare e Trump quello che lo faceva).

I governi che hanno adottato una posizione dura sono stati spesso in grado di fare affari con Trump.
Infine, un quarto approccio adottato da alcuni leader stranieri è stato quello di mantenere una posizione avversaria e sfidare Trump a mettere in pratica le sue minacce. I Paesi che hanno causato più problemi a Trump (Iran, Corea del Nord, Venezuela) hanno tutti perseguito questa linea in qualche misura. Sebbene ciascuno di essi abbia ricevuto alcune delle forme più intense di diplomazia coercitiva da parte di Trump – nel caso dell’Iran, fino all’uccisione mirata di Soleimani nel gennaio 2020 – tutti hanno concluso il primo mandato di Trump in una posizione di sfida più forte, non avendo fatto concessioni significative alle sue richieste. Probabilmente, questo è l’approccio su cui si è basata anche la Cina, soprattutto quando Trump ha iniziato a inasprire la guerra dei dazi.

Da questo record emergono diverse lezioni. Abbracciare, assecondare ed emulare può essere umiliante, perché il comportamento erratico di Trump richiede frequenti cambi di rotta. Inoltre, potrebbe non funzionare nel lungo periodo: Il Giappone ha dovuto affrontare la richiesta di quadruplicare la somma di denaro pagata per compensare il costo di ospitare le forze statunitensi, nonostante l’ardente corteggiamento di Abe nei confronti di Trump. La copertura e la clandestinità sono una strategia praticabile solo per gli Stati i cui interessi non sono molto influenzati dal potere degli Stati Uniti o che possono plausibilmente compensare il disimpegno degli Stati Uniti dalle strutture di alleanza esistenti. Al momento, solo la Cina ha il potenziale per riempire il vuoto di potere lasciato dagli Stati Uniti, che hanno smesso di svolgere il loro tradizionale ruolo geopolitico di punto focale per le alleanze, ma l’economia statunitense rimane troppo importante per la prosperità della Cina per rendere praticabile una vera strategia di occultamento e copertura.

D’altra parte, i governi come la Cina che hanno adottato una posizione negoziale dura sono stati spesso in grado di fare affari con Trump a loro vantaggio. Questo perché Trump si è dimostrato così desideroso di un accordo da minare la sua stessa leva negoziale: l’accordo che Trump stava disperatamente cercando di finalizzare con la Cina all’inizio del 2020 avrebbe offerto pochi benefici, a parte un aumento a breve termine delle esportazioni di soia. Infine, i leader che hanno sfidato apertamente Trump hanno sopportato molte tensioni, ma di solito ne sono usciti con i loro interessi intatti. Ciò è stato particolarmente vero per gli Stati che condividevano il disprezzo di Trump per l’ordine internazionale liberale. Persino il gruppo terroristico ISIS ha visto risultati positivi nel tenere duro: Trump ha interrotto bruscamente la lotta contro l’ISIS prima che fosse raggiunta una vittoria decisiva, l’equivalente del lancio della palla sulla linea delle cinque iarde.

EVITARE UNA SCONFITTA
Per gli alleati degli Stati Uniti, ci sono molte ragioni per cui sarà più difficile affrontare Trump durante un secondo mandato che durante il primo. Innanzitutto, sarà molto più difficile sostenere che Trump sia un’aberrazione rispetto al modello tradizionale di leadership degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, la maggior parte degli alleati liberaldemocratici troverà sgradevole avvolgere le buone politiche in emolumenti cattivi ma esigenti per convincere Trump a seguirle. Poiché i repubblicani tradizionali che occupano posti chiave sono molto meno numerosi, i governi stranieri avrebbero pochi sostenitori e partner all’interno dell’amministrazione che li aiutino a mitigare gli impulsi anti-ali di Trump. Ciò lascerebbe molti alleati liberali impegnati a preservare il maggior numero possibile di vantaggi del vecchio sistema internazionale basato sulle regole, senza che il potere degli Stati Uniti li sostenga. Di conseguenza, una seconda presidenza Trump potrebbe approfondire la regionalizzazione, includendo, ad esempio, una maggiore cooperazione tra Giappone e Australia o tra Regno Unito e Paesi dell’Europa orientale, ma senza gli Stati Uniti come connettore diplomatico e militare. Francia e Germania potrebbero tentare di rilanciare una versione della visione di Macron di un sistema di sicurezza a guida europea, nonostante le prospettive non siano migliori di prima.

Paradossalmente, se la diagnosi di Trump sull’ordine internazionale è corretta – cioè se tutti i benefici dell’ordine guidato dagli Stati Uniti possono essere preservati senza la leadership americana se gli alleati smettono di fare il free-riding – allora le conseguenze di una restaurazione di Trump sarebbero gestibili. È possibile che una combinazione di altre medie potenze che si facciano avanti e perseguano una copertura prudente possa essere sufficiente a tenere insieme l’ordine esistente, almeno per un certo periodo. Ma una ritirata degli Stati Uniti guidata da Trump potrebbe rapidamente trasformarsi in una disfatta, con il crollo dell’ordine che per quasi 80 anni ha garantito una relativa prosperità globale senza una conflagrazione tra grandi potenze. Molto dipenderebbe dal vantaggio che avversari tradizionali come Cina e Russia cercheranno di ottenere, e quanto velocemente.

Come nella prima presidenza Trump, i maggiori beneficiari di una seconda presidenza saranno probabilmente gli avversari degli Stati Uniti, perché avranno una serie di nuove opportunità per sconvolgere l’ordine esistente. La Cina potrebbe sfruttare il fatto che Trump non si preoccupa di difendere Taiwan e perseguire un’azione rapida per riconquistare la provincia “ribelle”. Il leader cinese Xi Jinping potrebbe sedersi e lasciare che Trump incendi le alleanze statunitensi in Asia a vantaggio della Cina in un secondo momento. Putin potrebbe assecondare l’accordo di “pace” proposto da Trump sull’Ucraina come modo per far sì che l’Occidente santifichi i suoi guadagni a spese dell’Ucraina. Potrebbe anche fare ostruzionismo nella speranza che Trump interrompa del tutto gli aiuti all’Ucraina, lasciando la Russia libera di marciare ancora una volta su Kiev. Indipendentemente dalla strada scelta, gli avversari potranno probabilmente contare su Trump come strumento utile nei loro sforzi per minare il tradizionale sistema di alleanze guidato dagli Stati Uniti, che è stato a lungo il principale limite al loro potere.

Anche un altro paniere di Stati, alleati arretrati e partner ipertransazionali, accoglierà con favore una replica di Trump. Se l’assediato Netanyahu è ancora aggrappato al potere dopo l’insediamento di Trump, la promessa di quest’ultimo di sostenere incondizionatamente Israele potrebbe servire come ancora di salvezza per evitare di dover rendere conto della sua catastrofica gestione della sicurezza israeliana. I regimi arabi che hanno contribuito alla realizzazione degli Accordi di Abraham probabilmente accoglieranno con favore il ritorno della diplomazia transazionale, anche se potrebbero essere molto meno propensi a perseguire ulteriori accordi di normalizzazione in assenza di un piano di pace palestinese realizzabile. Anche i leader populisti in Argentina, Ungheria e forse anche in India apprezzerebbero la copertura fornita da una nuova presidenza Trump nei loro sforzi di resistere alle pressioni internazionali per sostenere i diritti delle minoranze.

Nel complesso, queste diverse reazioni al ritorno di Trump alla Casa Bianca porterebbero a un sistema internazionale altamente volatile, caratterizzato da una straordinaria instabilità geopolitica e da un vuoto di potere al suo centro. In una ritirata caotica degli Stati Uniti, gli alleati e i partner tradizionali di Washington rimarrebbero per lo più senza approcci praticabili per gestire le loro relazioni. E gli avversari tradizionali avrebbero il sopravvento nei loro rapporti con gli Stati Uniti. Uno degli interrogativi più interessanti nelle relazioni internazionali contemporanee è quanto l’ordine internazionale esistente sia in grado di resistere: quanto a lungo possa continuare a funzionare senza l’impegno attivo e costruttivo della potenza più forte del mondo. Dal 1945, la risposta a questa domanda è sconosciuta. Se Trump vincerà a novembre, tuttavia, il mondo potrebbe scoprirlo rapidamente.

A cosa serve la NATO?_di OLIVIER KEMPF

Due articoli di stretta osservanza atlantica importanti non tanto per le affermazioni, quanto per il non detto, per i ragionamenti che sottendono.

Intanto alcune confutazioni:

  • la NATO, nata per altro cinque anni prima del Patto di Varsavia, non è una organizzazione difensiva. Gli stessi studi successivi alla implosione del blocco sovietico hanno confermato, a dispetto di decenni di narrazione, la diversa postura dell’assetto militare della NATO e del Patto di Varsavia, l’una offensiva, l’altra difensiva. Attribuire, del resto, carattere difensivo alle coalizioni NATO di volenterosi in Iraq, nella ex-Jugoslavia, in Libia ed ora, addirittura, nell’Indo-Pacifico significa stravolgere la realtà, come, del resto, assume lo stesso significato negare il proprio coinvolgimento attivo e diretto, anche sul terreno, di proprie forze nel conflitto ucraino
  • la NATO per continuare ad esistere ha bisogno di un nemico, il che non comporta che l’ostilità fattiva nei confronti della Russia, nella sua attuale conformazione statale, sia fittizia, tutt’altro. Alimentare quel bisogno consente, altresì, di mettere ordine, integrare inestricabilmente e rafforzare le gerarchie a controllo statunitense all’interno dell’alleanza e di orientare e forzare le propensioni e gli interessi delle stesse élites europee dominanti verso quel nemico, a dispetto dei loro stessi interessi strategici.

Siamo giunti, quindi, al nocciolo delle due questioni di fondo sottese nei due articoli:

  • la NATO è sorta come parte di una triade, distinta e funzionale, composta dall’Alleanza Atlantica e dalla Unione Europea, con funzioni distinte ed autonome. Con la caduta del muro di Berlino la NATO sta assumendo un ruolo guida della triade sempre più stringente sino ad assorbirne progressivamente compiti e funzioni destinate un tempo ad altri e, comunque, assumendo dichiaratamente la funzione di controllo e coordinamento. Un processo che le fa guadagnare in incisività politica e postura tetragona, rendendola però al contempo più fragile ed esposta
  • lo spauracchio di Trump. Da un paio di settimane l’intera stampa europea si è accorta con inquietudine del possibile e realistico ritorno di Trump alla presidenza statunitense. In Europa, solo le élites dominanti più asservite, hanno colto, piuttosto subodorato, il pericolo di un consolidamento, allora, e di un suo ritorno, adesso, con propositi più definiti, alla presidenza. Non a caso è in Europa, precisamente nei centri di comando della NATO e nei gangli più importanti della Unione Europea e degli stati nazionali, che hanno agito parte dei suoi nemici più fieri e subdoli. Il resto dei movimenti politici europei, compresi i cosiddetti sovranisti, lo hanno etichettato con supponenza come una scheggia impazzita oppure come una diversa espressione delle mire imperiali globali statunitensi quando, in realtà, è il risultato di una giustapposizione, più che di una sintesi, di due movimenti: uno isolazionista e dalle mani libere in termini di rigide alleanze, impegnato soprattutto nella ricostruzione economica e sociale interna, l’altro impegnato ad aprire le ostilità e il confronto geopolitico con la Cina, separandola dagli interessi strategici della Russia. Personalmente dubito che la sintesi, visti anche i precedenti storici, si risolva a favore dei primi; manca, quantomeno, come osservato acutamente da un nostro commentatore, un Cesare risolutore. Il confronto, e lo scontro, è comunque aperto e in realtà molto più complesso di questa semplice rappresentazione. Basterebbe questa fase di transizione conflittuale ad essere colta come una prima opportunità da eventuali nuove élites emergenti in Europa, al momento quasi del tutto assenti. Servirebbe a noi europei, ma anche a condizionare l’epilogo dello scontro d’oltreoceano.

Il dato più importante di questi due articoli, specie il secondo, è dato dall’oltranzismo avventurista e dalla proattività che queste élites europoidi preannunciano. Nulla di strano che dietro e a fianco ci sia comunque la manina di parte dei centri decisori statunitensi. Guarda caso uno di questi, rappresentato dalla triade Nuland, Blinken, Kagan, Sullivan, sono regolarmente presenti e protagonisti nei focolai che si accendono dal Medio Oriente, al Caucaso, al Nord-Africa, al Kossovo, all’Ucraina, alla Moldova, al Baltico. Sta di fatto che ambiscono, per calcolo e disperazione, ad assumere un ruolo da protagonisti e da provocatori sino a puntare ad entrare militarmente in aree, la Moldova, a diretto contatto con l’Armata Russa, forzando di proposito ancora una volta sugli stessi problemi di accesa divisione politica interna di quelle aree di confine. Una delle spinte ad assecondare i propositi di un maggior controllo europeo del riarmo e delle strategie militari della NATO in Europa, assecondando per altro le richieste americane di maggior contribuzione, è quella di dover agire con più assertività nell’azione di condizionamento e di contrasto di una nuova presidenza di Trump; tanto più che, questa volta, i centri decisori interni a lui avversi avranno presumibilmente strumenti di contrasto meno efficaci. L’altra è, però, la forza interna che tali élites possiedono e la possibilità da parte loro di innescare dinamiche irreversibili che portino comunque ad uno scontro catastrofico con la Russia, alimentando revanscismi ed appetiti già emergenti nel cosiddetto Trimarium, in Scandinavia, ma presenti anche in Germania e in Francia; gli stessi impulsi che hanno portato alla catastrofe della seconda guerra mondiale. Non solo l’esperienza ucraina, ma anche quella jugoslava dovrebbero far riflettere sulla reale consistenza delle forze politiche in campo in Europa, sul loro radicamento sociale ed economico e sulla efficacia esercitata dal canto delle sirene angloamericane su di esse. Non solo meri tentacoli di forze esterne, ma centri comunque dotati di qualche forza propria in grado di agire ed eventualmente sopperire in parte alle carenze del cuore del sistema. Giuseppe Germinario

A cosa serve la NATO?
di OLIVIER KEMPF

La guerra in Ucraina è in corso dal febbraio 2022, riportando per la prima volta dopo venticinque anni lo scontro delle armi nel continente europeo e l’ultimo conflitto nei Balcani. Immediatamente, le cosiddette potenze occidentali, soprattutto Europa e Stati Uniti, si sono schierate a fianco dell’Ucraina per sostenerne lo sforzo militare. Mentre molte azioni sono state intraprese a livello bilaterale e la stessa Unione Europea ha adottato misure forti, anche la principale organizzazione europea di difesa e sicurezza ha fatto la sua parte. La NATO, di cui stiamo parlando, ha tenuto diversi vertici strategici e sembra essersi rinvigorita, mentre solo poco tempo fa il Presidente Macron aveva detto che era “cerebralmente morta”. Oggi nessuno sembra dubitare del suo ruolo, dal momento che è stato “resuscitato”. Allora perché metterne in dubbio il ruolo e l’utilità?
Articolo pubblicato sul numero 49, gennaio 2024 – Israele. La guerra infinita.

Perché, nonostante le apparenze attuali, le osservazioni fatte quattro anni fa dal presidente Macron restano valide. La NATO è ancora utile, anche per i francesi, ma non necessariamente per le ragioni che pensiamo.

Ruolo strategico
Innanzitutto, la NATO ha un ruolo strategico, quello della difesa collettiva, unico al mondo. È importante ricordare che ciò che ci sembra la norma è eccezionale in termini di storia delle alleanze. Ma come ogni eccezione, anche questa può finire, proprio come le alleanze del passato che, fino al XX secolo, erano temporanee e mirate. Qui abbiamo un’alleanza permanente che ufficialmente non è diretta contro un nemico, e anche questa è un’ambiguità. Ma le ambiguità devono essere utilizzate anche nelle relazioni internazionali. Ciò che è ambiguo ha più probabilità di durare. La NATO è innanzitutto un’organizzazione militare (il che la distingue dall’Alleanza Atlantica, il cui ruolo è politico e la mette in ombra). Riunisce ufficiali in quartieri generali congiunti, organizza la mobilitazione degli sforzi di difesa dei Paesi partecipanti, conduce esercitazioni, addestramenti ed esercitazioni, dispiega un deterrente nucleare, si impegna in operazioni e missioni all’estero, stabilisce norme, procedure e standard, ecc.

La NATO è quindi un luogo in cui ufficiali francesi e tedeschi, turchi, greci e polacchi imparano a lavorare insieme, il che è già un risultato straordinario. Ma soprattutto, la NATO produce sicurezza. Questo può avvenire al di fuori dei suoi confini (operazioni in Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Afghanistan, Mediterraneo, Libia; missioni in Iraq, Pakistan, Africa, Sudan, ecc.) Ma soprattutto può avvenire ai suoi confini, o più precisamente ai confini degli Stati alleati che ne fanno parte. In questo senso, la NATO è un’alleanza strutturalmente difensiva.

La recente guerra in Ucraina ne è una perfetta illustrazione. L’inizio degli eventi nel 2014 ha portato a un primo sforzo di rafforzamento in Europa orientale, con battaglioni dispiegati dal 2017 in poi in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia. In seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, la NATO ha innalzato il livello difensivo a otto gruppi tattici (livello battaglione), con quattro nuovi gruppi tattici dispiegati in Bulgaria (nazione quadro: Italia), Ungheria, Romania (nazione quadro: Francia) e Slovacchia. È stata inoltre rafforzata la presenza aerea e marittima nell’area.

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Tuttavia, queste forze sono stanziate sul territorio dell’Alleanza a scopo difensivo. Non si tratta di aiutare l’Ucraina con un’azione militare diretta, che spingerebbe gli alleati verso una co-belligeranza che non vogliono. Infine, questa posizione difensiva è sostenuta da un deterrente nucleare. L’ombra proiettata dal nucleare è uno dei modi per stabilizzare il continente e proteggere i nostri alleati. Vale la pena sottolineare che la Francia (e il Regno Unito) sono unici ad aver sviluppato un proprio deterrente nucleare, che nel caso della Francia è totalmente indipendente. Questo spiega perché la Francia sia così eccezionale in termini di approccio strategico e perché sia così spesso in contrasto con il resto degli Stati europei. Per tutti i membri dell’Alleanza (esclusa la Gran Bretagna), la copertura nucleare è assicurata dall’Alleanza e dalla garanzia americana. Quindi, a partire dal febbraio 2022, la maggior parte di loro ha confermato la scelta strategica dell’Alleanza. L’Alleanza fornisce una garanzia americana, e quindi una garanzia nucleare, e quindi un deterrente efficace. Va detto che ha funzionato, visto che dall’inizio del conflitto non si sono verificati incidenti tra la Russia e gli Alleati.

Il confine esterno dell’Alleanza è una linea rossa funzionante. Ma di conseguenza, chiunque si trovi al di fuori di questa linea non beneficia di questa protezione: è il caso dell’Ucraina. D’altro canto, la Russia, anch’essa nucleare, dissuade i sostenitori occidentali dell’Ucraina dal farsi coinvolgere direttamente nel conflitto, proprio perché teme un’escalation. La Russia beneficia di una dissimmetria che le consente di condurre una guerra convenzionale, all’ombra della sua capacità nucleare, che impedisce al conflitto di estendersi.

Ruolo politico
Ma la NATO non è semplicemente un’organizzazione militare integrata. È anche un’organizzazione internazionale specializzata con una vocazione principalmente politica. Ecco perché, per essere precisi, occorre distinguere tra Alleanza e NATO. L’Alleanza porta con sé la dimensione politica, cioè il trattato internazionale, ma anche ciò che le permette di funzionare: il Segretario Generale e la sede dell’Alleanza, che consente di tenere regolarmente il Consiglio Nord Atlantico. Mentre il Consiglio si riunisce ogni settimana in forma di ambasciatori, si riunisce più volte all’anno in forma ministeriale (Ministro degli Affari Esteri o Ministro della Difesa) e circa ogni due anni in forma di Capi di Stato e di Governo: si tratta del cosiddetto Vertice dell’Alleanza. L’ultimo vertice si è tenuto a Vilnius nel luglio 2023 e non è stato molto favorevole all’Ucraina.

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Un vertice è una sorta di liturgia che permette a tutti di riaffermare l’atto di fede, quello della difesa comune simboleggiato dal famoso articolo 5 del trattato. Questo articolo è sorprendentemente breve e la sua formulazione lascia spazio all’interpretazione. Molti ritengono che costringa tutti a impegnarsi, mentre la formulazione è molto più ambigua: “Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse che si verifichi in Europa o nell’America del Nord sarà considerato come un attacco contro tutte le Parti, e di conseguenza convengono che, se tale attacco si verifica, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite, si difenderà da tale attacco”, o di autodifesa collettiva riconosciuta dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la Parte o le Parti così attaccate prendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre Parti, le azioni che riterrà necessarie, compreso l’uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area dell’Atlantico settentrionale. ”

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Ma, come avrete capito, l’essenziale non è l’alleanza tra europei, anche se il trattato permette di mettere a tacere le differenze intraeuropee: queste sono tutt’altro che trascurabili, soprattutto dopo secoli di guerre interne. Di conseguenza, permette anche a molti Paesi di ridurre il loro sforzo di difesa, con un risparmio prezioso. Per dieci anni, gli alleati hanno ripetuto a ogni vertice la promessa di raggiungere il 2% del PIL in spese per la difesa. E sono dieci anni che la maggior parte di loro non lo fa… L’Alleanza permette quindi di risparmiare, cosa che non accadrebbe se fossimo tutti diffidenti nei confronti dei nostri vicini più prossimi. Il recente aumento delle spese per la difesa in Europa ha più a che fare con la guerra in Ucraina che con un fermo impegno di solidarietà.

Ma la radice del problema resta, ovviamente, il coinvolgimento degli Stati Uniti. Il ruolo ultimo dell’Alleanza Atlantica è proprio quello di mantenere questa presenza americana. La storia ci ha dimostrato che non c’è nulla di automatico in questo, sia nel 1917 che nel 1941. Allo stesso modo, quando nel 2019 il Presidente Macron afferma che l’Alleanza è cerebralmente morta, si riferisce direttamente all’evidente ostilità di D. Trump (ma anche all’atteggiamento ambiguo della Turchia di R. Erdogan). Eccoci alle soglie del 2024, con l’inizio della campagna presidenziale americana nel novembre di quest’anno. Nessuno sa dove si collochi la parentesi storica: dobbiamo parlare di una parentesi Trump o di una parentesi Biden? In caso di rielezione di Trump, è probabile che il legame transatlantico ne risenta pesantemente, poiché gli Stati Uniti potrebbero lasciare l’Alleanza da un giorno all’altro.

Infine, va ricordato che l’ultimo consenso rimasto a Washington è l’identificazione della Cina come sfidante storico. In altre parole, il sostegno dell’amministrazione Biden all’Ucraina dal febbraio 2022 è, agli occhi di molti analisti e decisori americani, una distrazione dall’obiettivo primario degli Stati Uniti. Di conseguenza, vi è un ampio sostegno al rafforzamento della postura difensiva dell’Europa, certo nel quadro dell’Alleanza, ma con maggiore autonomia. Il rafforzamento del pilastro europeo dell’Alleanza sembra essere l’unica strada percorribile per costruire lentamente l’autonomia strategica europea. In questo modo, l’Alleanza potrebbe servire indirettamente questo obiettivo europeo, in uno dei paradossi a cui la storia ci ha abituato.

[Di fronte alla minaccia di Trump, gli europei si ribellano! Nove modi per reagire (v2)
Nicolas Gros-Verheyde
11 febbraio 2024
Autonomia strategica
Deterrenza nucleare
Donald Trump
PESCO
sostegno all’Ucraina
(B2) L’ipotesi di un ritorno di Donald Trump non è oggi solo un’ipotesi. E i suoi rimproveri alla NATO e agli europei sono più forti che mai. Gli europei devono prendere in mano la situazione e reagire. Dagli aiuti all’Ucraina all’ombrello nucleare, gli europei devono imparare a essere autonomi per poter dire domani a Washington: Europa First!

L’aria marziale di Donald Trump in campagna elettorale (Foto: DonaldJTrump web)
Cosa ha detto Trump, come interpretarlo

Nel corso di un incontro tenutosi sabato (10 febbraio) a Conway, in South Carolina, Donald Trump è tornato ai suoi vecchi trucchi: farla pagare agli europei. Tuttavia, è necessario ascoltare attentamente l’intero passaggio, non solo due piccole frasi ripetute ovunque. Non sta parlando del futuro, ma del passato.

Se non paghi, non sei protetto

Cosa ha detto Trump? La NATO è stata distrutta fino al mio arrivo. Ho detto: tutti devono pagare. Mi hanno detto: beh, se non paghiamo, ci proteggerete lo stesso? Ho detto: assolutamente no! Non potevano crederci. (…) Poi uno dei presidenti di un grande Paese mi ha chiesto: se non paghiamo e veniamo invasi dalla Russia, lei ci proteggerà? (Ebbene) No, non vi proteggerei. Anzi, li incoraggerei ad attaccarvi. Dovete pagare i vostri conti” (1).

Jens, il mio più grande fan

Donald Trump non si ferma qui”. E poi i soldi hanno iniziato a piovere! (…) Centinaia di miliardi di dollari sono stati immessi nella NATO. Ed è per questo che oggi hanno i soldi, grazie a quello che ho fatto”. Il cambiamento è reale, è vero (2). Ma in realtà non è dovuto a Donald Trump, bensì a Vladimir Putin e all’offensiva russa in Ucraina. Ma a D. Trump non importa. Il Segretario Generale della NATO, “Jens Stoltenberg, che è uno dei miei più grandi fan, (mi ha detto): tutti i miei predecessori sono arrivati, hanno fatto un discorso (…) e questo è tutto. Ed è così: (io) ce l’ho fatta”. E ripete un’argomentazione stringente: “O si paga il conto o non si ottiene alcuna protezione, è così semplice!

Gli europei devono pagare per l’Ucraina

Un esempio per giustificare la sua posizione sull’Ucraina. “Perché dobbiamo pagare 200 miliardi di dollari? Quando gli europei pagano solo 25 miliardi di dollari”. Un confronto numerico palesemente falso (come spesso accade con Donald Trump), che mette a confronto il totale degli aiuti americani (civili, umanitari e militari) con i soli aiuti militari europei. E anche in questo caso, conta solo gli aiuti degli Stati membri (non quelli dell’UE). In totale, gli Stati membri e l’Unione europea hanno contribuito con oltre 85 miliardi di euro in varie forme di aiuto tra il 2022 e il 2023 (pari a circa 92 miliardi di dollari), di cui circa 28 miliardi di euro in aiuti militari. E questi aiuti saliranno a oltre 150 miliardi di euro (circa 162 miliardi di dollari).

Un vanto?

Si potrebbe definire uno sfogo verbale o semplicemente una dichiarazione da campagna elettorale. Un vanto per giunta. È vero. Ma risponde a una dottrina costante del candidato alla presidenza che sembra essere indiscussa nel suo campo: l’Europa deve pagare. Non è una novità per il leader repubblicano. Le sue esternazioni sono state regolari (vedi riquadro). E di confronti numerici a volte distorti (leggi: Dov’è l’obiettivo del 2% della NATO? Trump dice la verità?). Anche se, fondamentalmente, non ha torto: gli europei non dovrebbero assumersi la responsabilità della propria sicurezza?

Un rischio di instabilità

Al di là delle parole, che ci si creda o meno, questo argomento dei carpetbagger presenta un serio rischio per l’Alleanza: l’instabilità. In un mondo in cui la Russia è alla ricerca di qualsiasi segno intangibile di debolezza, questo potrebbe essere visto come un significativo via libera a qualsiasi tentativo di destabilizzare i Paesi ai suoi confini. Una violazione dell’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, ovvero della clausola di mutua difesa.

Nove modi per reagire

L’Europa deve reagire. Con forza, politicamente, tecnicamente e militarmente.

1. Affermare la posizione dell’Europa nei confronti degli USA: Europe First!

Gli europei devono immediatamente corazzarsi di fronte a questi attacchi, dimostrando che stanno facendo tanto quanto gli americani, e addirittura passando all’offensiva mettendo in guardia gli americani dal tagliare i loro aiuti. Di fronte a un Trump vociante, la calma placida non è sufficiente. Dobbiamo passare al contrattacco verbale. Precisamente, mettendo gli americani di fronte alle loro responsabilità oggi. Sono loro a tentennare sugli aiuti all’Ucraina, non gli europei. I giorni dell’esitazione europea durante l’era Trump 2017-2021 devono finire. L’argomento “non facciamo arrabbiare gli Stati Uniti” non ha più molto peso di fronte alle turbolenze della politica interna americana. Gli europei devono ribaltare lo slogan di Donald Trump: Europa First!

2. Osare l’autonomia, togliere il potere alla NATO

Gli europei dovranno imparare a fare a meno degli americani, se non altro perché la loro protezione e il loro impegno alla solidarietà transatlantica saranno d’ora in poi condizionati, almeno a parole. Ciò significa una rivoluzione accelerata degli strumenti di difesa europei. Indipendentemente dal fatto che ciò avvenga attraverso l’Unione Europea o attraverso un eventuale pilastro europeo della NATO, o addirittura a livello multinazionale, gli europei dovranno agire in maniera più raggruppata se vogliono avere un peso e apparire come una forza dissuasiva nei confronti della Russia e non dipendere dalla buona volontà degli americani. Anche gli europei dovranno prepararsi a occupare posizioni di rilievo nell’Alleanza. Perché il posto di comando supremo (SACEUR) non dovrebbe essere occupato da un europeo?

3. Portare il sostegno all’Ucraina sotto l’ombrello europeo

L’aiuto all’Ucraina non dovrebbe essere organizzato sotto l’egida della NATO, come ha proposto Jens Stoltenberg su Handelsblatt. È una pessima idea. Non risolverebbe affatto la questione americana della condivisione degli oneri. Sarebbe alla mercé del minimo veto (americano, turco o ungherese).

Un’opzione intelligente sarebbe quella di portare l’attuale cooperazione multinazionale (il Gruppo Ramstein) sotto la gestione dell’UE. In questo modo sarebbe più facile tenere traccia dei contributi di ciascuno ed evitare scorciatoie alla Trump. Gli europei della UE potrebbero pensare di estendere il loro sistema agli altri partner europei. Il che non è molto complicato. La Norvegia è già coinvolta per metà (Oslo ha contribuito al Fondo europeo per la pace per l’Ucraina EUMAM e partecipa al Fondo europeo per la difesa). Nulla impedisce al Regno Unito o addirittura al Canada (entrambi già coinvolti in alcuni progetti PESCO) di fare lo stesso.

Agli scettici che diranno: sì, ma è complicato, possiamo rispondere: niente di più semplice. Basterebbe inserire il sostegno militare all’Ucraina tra i progetti di Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO). Questo avrebbe l’ulteriore vantaggio di eliminare qualsiasi tentazione di veto (ad esempio, l’Ungheria). Inoltre, stimolerebbe le varie fonti di finanziamento (comunitarie e intergovernative, e anche al di fuori dell’UE) e riunirebbe i vari cluster di aiuto (artiglieria, aviazione, marittimo, ecc.).

4. Decidere più rapidamente e porre fine ai litigi

Gli europei dovranno imparare a decidere più rapidamente e più apertamente. Quello che era il caso all’inizio dell’offensiva russa nel febbraio 2022 si è notevolmente ammorbidito dall’estate scorsa. I 27 sembrano essere tornati al loro principale difetto: la procrastinazione! Ad esempio, la proposta dell’Alto rappresentante dell’UE di destinare altri cinque miliardi al Fondo europeo per la pace, avanzata nel luglio 2023, non è ancora stata adottata. E non è colpa dell’Ungheria, contrariamente a quanto dicono alcuni, ma degli Stati membri più grandi, Francia e Germania in primis (leggi: [Esclusivo. Fondo di assistenza per l’Ucraina: cosa funziona, cosa si blocca). La coppia franco-tedesca deve risolvere con determinazione tutte le sue divergenze interne.

5. Risolvere la questione della preferenza europea

La questione si ripropone ad ogni discussione su uno strumento europeo. Dobbiamo acquistare “a scatola chiusa”, dove l’attrezzatura è disponibile ed efficace? Oppure si dovrebbe dare la preferenza alla base industriale europea? I sostenitori di ciascuna posizione hanno argomenti molto comprensibili (la Francia non ha forse acquistato il Reaper per mancanza di altri equipaggiamenti). Dobbiamo superare questo antagonismo. Una soluzione potrebbe essere che i maggiori gruppi europei (Airbus, Thales, Mbda, ecc.) interagiscano più strettamente con i Paesi dell’Europa orientale. Come Rheinmetall in Slovacchia. Una sorta di trickle-down industriale che farebbe sentire ogni Stato membro più coinvolto. Perché non riprendere l’idea di una partecipazione polacca in Airbus?

6. Utilizzare appieno gli strumenti esistenti

Dobbiamo utilizzare appieno gli strumenti europei esistenti, come l’Agenzia europea per la difesa, che deve essere trasformata in una vera e propria agenzia europea per gli appalti. Inoltre, non dobbiamo più avere paura di dare priorità a certi tipi di produzione. Anche se ciò significa infrangere qualche tabù liberale. La Commissione europea lo aveva proposto sotto l’egida del Commissario Thierry Breton nell’ambito dell’Atto di sostegno alla produzione di munizioni (ASAP). Gli Stati membri hanno rifiutato. Un errore.

7. Sviluppare altri strumenti europei

Oggi esiste un Fondo europeo per la difesa per la ricerca e lo sviluppo e un altro strumento per gli acquisti congiunti (EDIRPA e ASAP). Quindi i finanziamenti non mancano. Ma ci sono ancora alcune singolari lacune. Non esiste un meccanismo di sostegno per uno Stato che voglia acquisire scorte in un segmento sensibile e incompleto (UAV, ecc.) da mettere a disposizione di altri Stati membri (sul modello del RescEU per la protezione civile). Manca anche uno strumento (che combini finanziamenti, prestiti, donazioni di attrezzature di seconda mano, manutenzione, formazione, ecc.) che fornisca un’offerta completa che permetta a uno Stato di acquistare da un produttore, sul modello dell’FMS americano (vedi: Non c’è bisogno di un FMS europeo?). Perché non svilupparli, con l’obiettivo di aiutare l’Ucraina, ma anche di assistere gli Stati membri nel rifornimento delle loro attrezzature?

8. Costruire un ombrello europeo di difesa nucleare e missilistica

Questo tabù dovrà senza dubbio essere infranto. L’idea di estendere l’ombrello nucleare francese – sollevata in modo subliminale da Emmanuel Macron in Svezia – dovrebbe essere esplorata rapidamente e concretamente con i Paesi disposti a farlo. Non in modo discreto, come si potrebbe pensare, ma in modo visibile, in modo che sia i russi che gli americani sappiano che gli europei sono in grado di farlo e lo stanno finanziando. Berlino e Varsavia potrebbero essere i primi beneficiari. Nello stesso spirito, la Francia dovrebbe smettere di opporsi al progetto di difesa missilistica lanciato dai tedeschi (European Sky Shield Initiative). I due sistemi sono pienamente compatibili.

9. Basi di potere europee permanenti?

Infine, gli europei potrebbero pensare di trasformare la loro presenza a rotazione nelle forze NATO in basi militari permanenti nei Paesi più vicini alla Russia (3). Perché non una base marittima a Costanza (Romania) e una base terrestre tra Polonia e Lituania, vicino al corridoio di Suwalki? Sarebbe anche utile avere una presenza in Moldavia per contrastare le forze russe in Transnistria. Questo ha un costo e richiede la mobilitazione di truppe e risorse. Ma è un deterrente altrettanto efficace della presenza americana, se gli europei sono disposti a fare questo sforzo.

(Nicolas Gros-Verheyde)

Il Presidente americano confonde (come sempre) il contributo alla NATO che tutti i Paesi versano, in proporzione al loro prodotto interno lordo, con il contributo alla difesa euro-atlantica, cioè con i bilanci della difesa. Il che è un’altra storia.
Secondo l’analisi di B2, basata sulle ultime statistiche pubblicate dalla NATO, undici Paesi dell’UE avrebbero superato la soglia del 2% o vi si sarebbero avvicinati (± 1,90%) entro il 2023 (leggi: [Décryptage] Les dépenses de défense des Alliés montent en flèche).
Il finto accordo Gorbaciov-Baker di non installare basi permanenti nei Paesi dell’ex Europa orientale riguarda solo gli americani e i russi (NATO). Gli accordi bilaterali tra i Paesi europei…
Leggi anche: [Analisi] L’Europa è ancora in seconda divisione quando si tratta di difesa. Paradossale in un contesto travagliato (2023)

Un promemoria dell’era Trump 2016-2020

Non me ne frega niente di essere popolare in Europa. Gli europei devono pagare – Trump (luglio 2019).
Vertice NATO: Trump, le sue diatribe, i suoi tweet (luglio 2018)
Quando Donald II (Tusk) ricorda a Donald I (Trump) alcune verità (luglio 2018).
Il doppio avvertimento del capo della NATO a Donald Trump e agli europei (intervista esclusiva a Jens Stoltenberg) (novembre 2016)
Trump farà decollare la difesa europea? Non è detto… (novembre 2016)
L’America “first” di Trump. Per l’Europa, un certo linguaggio di verità (ottobre 2016)

Un secondo mandato Trump e le relazioni transatlantiche

Analisi & Ricerche

dal sito Stroncature
Trump minaccia l'Europa. Cosa aspettano gli europei a creare una difesa comune? – Euractiv Italia

La prospettiva di un secondo mandato di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti solleva questioni importanti per l’Europa e per l’Alleanza Atlantica. Il precedente mandato di Trump ha mostrato un approccio non lineare alla NATO, con momenti di supporto alternati a critiche e minacce di disimpegno, oltre a relazioni ambigue con leader come Vladimir Putin. Questa incertezza genera domande su come potrebbe evolversi la politica estera americana in un ulteriore mandato Trump e quali sarebbero le conseguenze per la sicurezza e la politica europea.

La potenziale rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti solleva interrogativi cruciali sulla futura direzione della politica estera americana, con un focus particolare sull’impatto che questa avrebbe sulle relazioni con l’Europa e l’integrità dell’Alleanza Atlantica. Il primo mandato di Trump è stato caratterizzato da una politica estera ambivalente nei confronti della NATO, oscillando tra momenti di sostegno, come il rafforzamento delle forze nell’ala orientale dell’Alleanza e l’assistenza all’Ucraina, e minacce di ritirarsi dall’Alleanza, lodando contemporaneamente figure controversie come Vladimir Putin. Questo comportamento ambiguo suscita preoccupazioni su quale potrebbe essere l’approccio di Trump in un secondo mandato, soprattutto in termini di sicurezza collettiva e stabilità geopolitica europea. La gestione delle relazioni internazionali da parte di Trump, in bilico tra sostegno e ostilità o indifferenza, pone domande sulla coesione futura e la strategia di difesa transatlantica.

Le recenti osservazioni di Trump, che mettono in discussione l’obbligo di supporto degli Stati Uniti verso i membri della NATO che non adempiono all’obiettivo di spesa per la difesa del 2% del PIL, rappresentano una sfida diretta al concetto di deterrenza, pilastro della sicurezza dell’Alleanza dal 1949. Tali commenti rischiamo di minare la fiducia nell’impegno per una sicurezza reciproca, definito dall’Articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord, potenzialmente incoraggiando gli avversari a mettere alla prova la determinazione dell’Occidente, e aumentando il rischio di conflitti. Di conseguenza, sorge l’urgenza di riaffermare la solidarietà interna dell’Alleanza e di assicurare un contributo equo alla difesa collettiva da parte di tutti i membri.

La pressione esercitata da Trump affinché gli alleati aumentino le loro spese per la difesa ha portato a risultati contrastanti. Mentre alcuni paesi hanno effettivamente incrementato i loro budget militari, l’approccio di Trump ha sollevato preoccupazioni riguardo alla percezione dell’Alleanza Atlantica, vista meno come un’unione di valori e più come un’entità basata su obbligazioni finanziarie. Un possibile rinnovo dell’isolazionismo americano, con un supporto militare condizionato da contributi economici, potrebbe esporre l’Europa a rischi accresciuti, in particolare di fronte all’assertività della Russia. La sfida attuale consiste nell’equilibrare l’esigenza di un maggiore impegno finanziario degli alleati con la visione dell’Alleanza come custode dei valori democratici condivisi.

La risposta internazionale alle politiche di Trump riflette una preoccupazione diffusa tra i leader europei e le istituzioni internazionali per l’affidabilità del patto di difesa transatlantico. La ferma opposizione espressa da importanti figure europee e dalla NATO stessa evidenzia l’importanza critica della coesione e della sicurezza collettiva. Vi è la preoccupazione che la strategia di Trump possa, anche indirettamente, favorire gli interessi di avversari come la Russia, compromettendo gli sforzi per la sicurezza europea. Emergono, pertanto, riflessioni profonde su come rafforzare l’Alleanza e assicurare la sua resilienza di fronte a potenziali divisioni.

In questo contesto di incertezza, l’Europa deve valutare l’opportunità di intensificare la propria autonomia difensiva, incrementando la spesa per la difesa e sviluppando capacità militari indipendenti dagli Stati Uniti, al fine di prepararsi al paggio, vale a dire rispondere da sola ad un attacco di Mosca. Ciò comporta un maggiore impegno non solo nel raggiungimento degli obiettivi finanziari ma anche nell’integrazione delle industrie della difesa e nello sviluppo di capacità nucleari, per garantire una deterrenza efficace e una difesa autonoma. La preparazione a un futuro di maggiore insicurezza rappresenta un percorso necessario per mantenere la stabilità dell’alleanza occidentale e mitigare gli effetti di una politica estera potenzialmente avversa di un Donald Trump rieletto. L’Europa si confronta con la sfida di equilibrare la sua dipendenza transatlantica con la ricerca di una maggiore autonomia strategica in un contesto globale in rapida evoluzione.

Se l’Europa riceve un forte impulso, per dirla con Jean Monnet, dalle crisi, allora i cambiamenti che potrebbe portare quella che si prospetta come la più grave crisi politica della storia dell’Unione potrebbero essere enormi. L’incertezza legata alla potenziale rielezione di Donald Trump e la sua politica estera ambivalente pongono l’Europa davanti a un bivio storico, in cui le scelte fatte oggi determineranno il ruolo del continente sul palcoscenico mondiale per i decenni a venire. Di fronte a questa crisi, l’Europa ha l’opportunità di trasformarsi in un forte attore internazionale, indipendente e capace di difendere i propri valori e interessi. Ma esiste anche la possibilità concreta che, senza una risposta unita e decisa, l’Europa possa ritrovarsi indebolita, diventando un vassallo nell’orbita di influenza della Russia di Putin. La crisi attuale richiede quindi un impegno senza precedenti verso l’integrazione, la difesa comune e la coesione politica, per assicurare che l’Unione emerga da questa prova non solo intatta, ma rafforzata..

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