le virtù di Soros e la solerzia dei Torquemada, di Giuseppe Germinario

Di Soros si raccontano le peggiori nefandezze. Non gli si possono negare, però, due qualità fondamentali: la capacità di operare su grande scala, per lo più quella planetaria; il rispetto della parola data nonché la determinazione nel perseguirla. Mesi fa il paladino, a Davos, http://italiaeilmondo.com/2018/01/26/george-soros-la-parabola-di-un-filantropo_-di-gianfranco-campa-e-giuseppe-germinario/aveva sentenziato sulla necessità di regolamentare l’attività dei social network e ripristinare la verità con un tono però, a dire il vero, inquietante, tra il profetico e il minatorio. 

Detto, fatto!

Da allora la campagna sulle fake news ha conosciuto toni sempre più virulenti e azioni sempre più insidiose. Zuckerberg ha aperto il corteo dei penitenti della comunicazione, osannati sino al giorno prima; ha conosciuto la gogna della inquisizione del Congresso americano. Ha dovuto con fare contrito sottostare ad un pubblico processo conclusosi con un solenne impegno a ripulire Facebook degli spiriti bollenti e delle anime impenitenti troppo esposte nella critica ai benpensanti e al politicamente corretto. Da allora si sono intensificate, specie negli Stati Uniti, censure e chiusure di siti, anche con accessi milionari, ma sempre più caratterizzabili per la loro collocazione politica piuttosto che per la loro eccessiva irruenza. Il prodromo alla istituzione di veri e propri tribunali della verità i giudici dei quali avranno poco da invidiare a Torquemada. http://italiaeilmondo.com/2018/03/01/1517/

La Commissione Europea, come al solito solerte, approfittando, a dispetto del suo liberalismo conclamato, del legame tuttora tenue ed evanescente con una cittadinanza europea di là da materializzarsi e di quello più che solido e perverso, connaturato con le varie lobby presenti in pianta stabile a Bruxelles, sta precorrendo i tempi. Sta affidando ad associazioni di “provata fede democratica” il compito di identificare, segnalare e proscrivere i “mestatori” della notizia. Tra queste non potevano mancare associazioni di diretta emanazione ed affiliazione alla Open Society del noto filantropo naturalizzato americano. Ce lo rivela Breibart http://www.breitbart.com/london/2018/04/28/european-union-advocates-independent-fact-checkers-combat-fake-news/  (in basso la traduzione effettuata con un traduttore) Per quanto prodigo, ed i recenti 18.000.000.000,00 (diciottomiliardi) di $ (dollari) messi a disposizione dell’umanità sono tutti lì ad attestarlo, George Soros non può rimuovere del tutto la sua propensione all’affare e l’indole da realizzo propria di un finanziere predatore.http://italiaeilmondo.com/2017/10/22/un-torrido-inverno-di-giuseppe-germinario/ Ci pensa quindi il buon Junker, il Presidente della C.E., tra una bottiglia e l’altra, a rimpinguarlo con i contributi europei, quindi a spese nostre, di una opera tanto meritoria e ricompensarlo di tanto afflato. Dall’Europa, al Nord-Africa, all’Ucraina al Medio Oriente, per parlare delle ultime prodezze, ad ogni angolo sperduto del mondo il benefattore si è speso e prodigato per la libera umanità a spese degli uomini. Le fregature e le nefandezze in corso d’opera sono solo eventi collaterali, probabilmente il giusto obolo da offrire al BENE. Merita quindi laute ricompense.

Soros, si badi bene, non è un eroe, un cavaliere solitario. E’ parte integrante, forse l’anima più appariscente, ma non più importante di centri decisori e di potere ai quali ultimamente deve essere sfuggito il pieno controllo delle redini, o presunto tale.

La fretta e la sicumera nel ripristinare le condizioni precedenti può essere fatale; c’è un solco di profonda diffidenza che divide ormai i facitori di opinioni e i loro consumatori.

Il tentativo di ripristino, sempre che sia coronato da un pieno successo, comporterà comunque un fìo da pagare particolarmente pesante ai restauratori. Le reti dei social network, a causa di queste pressioni e inbragature, sono destinate sempre più a perdere il loro carattere universalistico, luogo comune di confronto e palestre dei punti di vista più disparati. Rischieranno di diventare dei recinti riservati a gruppi chiusi e conformisti sempre meno comunicanti tra di loro. Una vera e propria ghettizzazione dei luoghi di comunicazione. I paesi che ambiscono a mantenere e accrescere la propria condizione di sovranità ed autonomia politica e decisionale, in particolare la Cina e la Russia stato già provvedendo alla costruzione di proprie reti sociali. I paesi europei sono desolatamente estranei a queste tentazioni; con essi la Commissione Europea. Eppure le reti arrivano ormai a gestire non solo le comunicazioni degli individui, ma sempre più anche i flussi decisionali e le stesse attività produttive. Non basta. E’ probabile che si inneschi anche la segmentazione delle reti secondo le affinità ideologiche e culturali dei gruppi promotori all’interno dei singoli paesi. Una tendenza e una reazione alla censura strisciante già emersa negli Stati Uniti. Una possibilità di mantenere sotto altre forme alcuni spazi di libertà. Il prodromo però a quella ulteriore incomunicabilità e frammentazione tra gruppi sociali che sta caratterizzando la formazione sociale statunitense già da diverso tempo.

Certamente un altro prossimo eclatante successo dei paladini dell’europeismo e dell’armonia tra i popoli ospiti della ormai appendice occidentale dell’Asia.

Di certo una soluzione non risolutiva. A quel punto i tentativi di controllo si sposteranno ulteriormente verso i detentori dei server materni attraverso i quali passano i flussi informatici. Una ulteriore sfida che i paesi e i centri competitori dovranno affrontare per mantenere la propria autonomia di giudizio e decisionale e un ulteriore divario da quelle ambizioni delle attuali classi dirigenti europee.

VIVA LA LIBERTà, quindi, purché ben utilizzata e soprattutto conforme alle direttive e al sentimento dei predicatori del bene comune.

Ci aspettano, quindi, nuove forme surrettizie ed esplicite di censura tanto più efficaci quanto più si potranno ricomporre o mettere sotto traccia i contrasti tra gruppi decisori.

Contrariamente alla rappresentazione corrente, però, i poteri forti detentori di tale capacità non sono a Bruxelles. Lì trovano posto semplici funzionari dotati di potere riflesso e con scarse prerogative sovrane. Dovremo cercarli piuttosto oltreatlantico e di risulta nelle due/tre principali capitali europee. Da quelle parti sarà possibile individuare i veri artefici. Si potranno controllare le chiavi di casa propria e negare gli ingressi e l’agibilità ai filantropi mestatori di turno. L’Ungheria e l’Austria ci hanno indicato la strada. Si dovrebbe cogliere il loro esempio. Giuseppe Germinario

L’Unione europea appoggia i “controllori di fatti indipendenti” finanziati da Soros per combattere “false notizie”

La Commissione europea ha proposto nuove misure per contrastare la disinformazione e le cosiddette “false notizie” online, compreso un codice di condotta a livello UE sulla disinformazione e il sostegno a una “rete indipendente per il controllo dei fatti”.

La Commissione europea ha annunciato la nuova proposta all’inizio di questa settimana, sostenendo che le nuove misure “stimoleranno il giornalismo di qualità e promuoveranno l’alfabetizzazione mediatica”, secondo un comunicato stampa pubblicato sul sito web della Commissione.

“L’armamento di notizie false online e disinformazione rappresenta una seria minaccia alla sicurezza per le nostre società. La sovversione dei canali fidati per diffondere contenuti perniciosi e divisivi richiede una risposta chiara basata su maggiore trasparenza, tracciabilità e responsabilità “, ha  dichiarato il commissario per l’Unione di sicurezza Sir Julian King .

“Le piattaforme Internet hanno un ruolo vitale da svolgere nel contrastare l’abuso delle loro infrastrutture da parte di attori ostili e nel mantenere i loro utenti e la società al sicuro”, ha aggiunto.

Le nuove pratiche intendono rendere più trasparenti le pubblicità politiche sui social media e creare una rete indipendente di controllo dei fatti a cui prenderanno parte alcuni membri della Rete internazionale di controllo dei fatti (IFCN).

Breitbart London@BreitbartLondon

Sweden’s government will be giving funds to the mainstream media to fight “fake news” http://www.breitbart.com/london/2017/10/30/sweden-media-million-fight-fake-news-election/ 

Sweden to Give Mainstream Media £1.2 Million to Fight Fake News in Run-up to National Election

The Swedish government will be granting four mainstream media outlets £1.2 million to combat “fake news” ahead of next year’s election.

breitbart.com

L’IFCN è stato fondato dal Poynter Institute, con sede negli Stati Uniti, che,  secondo il suo sito web, è in gran parte finanziato da varie fondazioni – tra cui l’Open Society Foundations del miliardario di sinistra George Soros.

Diversi altri servizi di “fact-checking”, incluso il Correctiv tedesco, sono stati anche collegati a Soros e alle Open Society Foundations.

L’UE, così come i vari singoli paesi all’interno del blocco come la Germania e la Svezia, ha esercitato un’enorme pressione sui giganti dei social media come Google e Facebook per affrontare “false notizie” e “incitamento all’odio” sulle loro piattaforme.

Il governo svedese è stato uno dei più rumorosi sostenitori della lotta alle “false notizie” in vista delle elezioni nazionali del paese entro la fine dell’anno. Il governo ha tenuto incontri di alto profilo  con aziende tecnologiche nelle ultime settimane, e Facebook ha persino concesso al governo un permesso speciale per eliminare “account falsi”.

guerra e diplomazia in Siria, di Antonio de Martini

Sergueï Lavrov, Mevlüt Cavusoglu e Mohammad Javad Zarif, i tre ministri degli esteri di Russia, Turchia e Iran si riuniscono oggi a Mosca per l’ennesima volta con l’intento di allargare le quattro zone di de-escalation create da gennaio ad oggi.

A Ginevra continuano a riunirsi, sotto l’egida ONU il governo legittimo siriano e i rappresentanti dei gruppi ribelli.
A parte una certa convergenza sul numero delle vittime (350.000 invece dei 600000 di fonte occidentale), non si fanno passi avanti.

Assenti gli USA, a parte lo scoppio di un ordigno MOAB – una sorta di super bomba di dimensioni e peso mega già usata in Vietnam di cui un esemplare è esposto a Hanoi- che adesso cercano di attribuire a Israele.

Non si giunge a conclusioni di pace a causa delle divergenze di interessi tra i diplomatici e il bombardamento americano ” ufficiale” e questo ultimo ” ufficioso” hanno lo scopo di incrinare i rapporti tra Russi e Iraniani.

Gli uni vogliono la pace per potersene andare, gli altri, per restare. I turchi, intanto continuano a minacciare da Efrin il contingente USA di Manbij perché ci sono le elezioni, ma non attaccano perché , evidentemente non vogliono rompere definitivamente con lo zio Sam.

Restano irremovibili sulla rimozione di Assad che i russi considerano inamovibile. Da Gennaio a oggi gli incontri tripartiti sono stati quattro, ma a parte l’accordo sulle modalità e calendari degli incontri, non si riesce a raggiungere un accordo su un cessate il fuoco permanente.

SIRIA, DOSSIER E FAKE NEWS, di Giuseppe Germinario

Tranne rare eccezioni in un confronto militare la particolare posizione dell’aggressore richiede solitamente un’azione specifica che possa innescare o giustificare l’iniziativa. La gamma di iniziative è particolarmente nutrita. Si va dalla provocazione all’induzione alla reazione, alla istigazione, alla vera e propria montatura del casus belli. Un evento così traumatico deve essere giustificato, richiede la necessaria motivazione specie in un agone ancora delimitato dalla presenza degli stati nazionali e dal riconoscimento reciproco della propria esistenza.

Il conflitto in Siria non sfugge a queste dinamiche.

Partito da un movimento di contestazione, grazie ad alcune provocazioni mirate soprattutto verso le forze di polizia si è trasformato in guerra civile; da guerra civile in pochi mesi si è evoluto in un confronto prevalente con orde di uomini, da soli o con la propria famiglia, provenienti dall’Europa e dai luoghi più disparati del Nord-Africa e del Medio Oriente in cerca di fortuna; messe a mal partito queste ultime, la Siria sta ormai diventando sempre più terreno di confronto diretto di potenze regionali e globali. Una condizione che difficilmente le consentirà di salvaguardare totalmente l’integrità territoriale.

L’attitudine alla resistenza del regime di Assad è stata mirabile come pure la sua capacità di guadagnare consenso tra la popolazione. Nel suo cammino ha incontrato fortunatamente la volontà dei russi di porre finalmente un limite all’incalzare sino all’interno dei propri confini delle strategie americane; volontà senza la quale Assad probabilmente avrebbe già raggiunto Gheddafi nel suo tragico destino e la Siria avrebbe subito una sorte analoga alla Libia, ma con consistenti parti di territorio predate dai vicini.

Le forze esterne presenti sul campo sono ancora, almeno ufficialmente e con la parziale eccezione dell’esercito turco, in numero limitato e sono attente ad evitare scontri diretti tali da innescare un crescendo imprevedibile del conflitto.

Non mancano di certo casi di attacchi diretti, in parte legati alla casualità, in parte al tentativo di testare le reazioni, in parte ancora dovuti alla conduzione schizofrenica delle campagne militari dettata dal conflitto di strategie e dal drammatico scontro politico interno soprattutto ai centri americani e sauditi. In quest’ultimo caso sono il probabile esito di pesanti provocazioni dei fautori di un conflitto più aperto presenti anche nelle potenze regionali, in particolare Israele e Arabia Saudita, intenzionate a trascinare i grandi nel conflitto a loro sostegno e in loro vece. Ne hanno fatto le spese, circa un mese fa, alcune decine di contractors russi (ex militari) vittime di bombardamenti aerei americani e israeliani.

Sta di fatto, però che le forze irregolari disposte a prestarsi a strumento di questi giochi sono in via di significativo prosciugamento, mentre gli eserciti regolari sono restii ad entrare in campo sia per un’opinione pubblica ancora ostile agli interventi, sia per l’insostenibilità di un eventuale numero elevato di perdite specie del campo occidentale, sia per la condizione caotica del fronte che ancora per la concreta possibilità di estensione incontrollata del conflitto.

Da qui la ricerca di una giustificazione e la costruzione di pretesti verosimili che legittimino gli interventi e motivino le forze disponibili.

Gli attacchi chimici sono tornati di gran voga ad essere il motivo scatenante delle intromissioni, salvo essere smentiti se non addirittura attribuiti alle presunte vittime nel breve volgere di pochi giorni e a seguito di rapidi accertamenti.

Dal punto di vista emotivo sono ancora un buon detonatore; quanto alla verosimiglianza delle versioni offerte lasciano però ormai a desiderare, visti i precedenti ingannevoli e la relativa permeabilità del sistema di informazione.

Il rapporto dato in pasto dai servizi segreti francesi e utilizzato per giustificare l’intervento anglo-franco-americano del quattordici aprile in Siria rappresenta al momento lo stato dell’arte della pretestuosità e dell’arroganza.  https://www.les-crises.fr/frappes-syrie-les-preuves-presentees-par-le-drian-le-vide-comme-nouveau-fondement-juridique-a-l-agression/

https://www.les-crises.fr/en-quete-de-verite-dans-les-decombres-de-douma-et-les-doutes-dun-medecin-sur-lattaque-chimique-par-robert-fisk/

Alcuni siti francesi si sono premurati di smontarlo punto per punto nei vari aspetti praticamente in tempo reale

  • Hanno stigmatizzato la scarsa serietà dei redattori affidatisi esclusivamente a immagini raccogliticce, definite spontanee, senza data e indicazioni precise
  • Hanno sottolineato l’ipocrisia dell’affermazione riguardante l’assenza di informatori sul campo, quando gli stessi servizi sono stati in grado di fornire l’esatta composizione delle fazioni impegnate a resistere agli attacchi delle truppe lealiste
  • Hanno denunciato la palese capziosità dell’indicazione in Assad dell’unico beneficiario possibile di tale utilizzo, a dispetto dei precedenti rapporti di organizzazioni internazionali

Sta di fatto che ciò che è apparso poco attendibile per una parte dello stesso staff presidenziale americano è rimasta una incontrovertibile verità per l’altra parte e soprattutto per il giovane Macron.

In altri tempi, quando le cortine di ferro delimitavano più chiaramente le sfere di influenza e ingessavano il confronto mediatico, tanta sfrontatezza sarebbe passata inosservata se non spacciata con buone probabilità di successo addirittura per autorevolezza.

Oggi lo scontro politico attraversa platealmente e apertamente i centri decisionali specie americani, senza esclusione di colpi. L’allentamento della presa sta facendo emergere potenziali competitori globali e una miriade di potenze regionali ambiziose in un turbinio di posizioni e di giravolte repentine tali da rendere sempre meno credibile la parola e la costruzione mediatica. Una complessità della quale rischiano di rimanere vittime, oltre che artefici anche gli attori più importanti e navigati.

Sta di fatto che la Siria è ormai diventato prevalentemente un campo di battaglia tra forze esterne dove le stesse forze lealiste di Assad, le più gelose paladine delle prerogative sovrane del paese, anche in caso di vittoria definitiva, per altro ancora lungi dall’essere conseguita, difficilmente potranno recuperare in tempi rapidi l’autonomia politica di un tempo. La posta in palio, ormai, nel breve periodo non è più l’allontanamento di Assad e nemmeno la sconfitta dei russi; è piuttosto il drastico contenimento dell’Iran. Un obbiettivo in grado di conciliare in qualche modo, in casa americana, le posizioni del nucleo originario sostenitore di Trump favorevole ad un accordo e la componente del vecchio establishment sostenitrice di uno scontro più tattico verso la Russia di Putin. Il sacrificio di Flynn e di Bannon e lo snaturamento dei propositi iniziali sono stati l’obolo necessario alla sanzione del compromesso e della stessa sopravvivenza di Trump.

Sul piano degli schieramenti internazionali hanno sancito il sodalizio americano con l’Arabia del giovane Saud e l’Israele del vecchio Netanyau; una alleanza che si sta trasformando rapidamente in un vero e proprio processo di integrazione degli stessi comandi militari nel teatro siriano i frutti del quale non tarderanno purtroppo a manifestarsi.

Si sente parlare sempre più spesso di una prossima vittoria in campo aperto rispettivamente della Russia, dell’Iran e di Assad. La sproporzione evidente delle forze militari in campo e delle risorse economiche, umane e tecnologiche disponibili dovrebbe indurre a maggior prudenza.

La maggiore coesione, la motivazione più convinta, una maggiore sagacia tattica, il parziale recupero del gap tecnologico sono i fattori che hanno consentito la tenuta dello scacchiere siriano e del regime di Assad nel breve periodo; nel lungo il logoramento potrebbe incidere più pesantemente sullo schieramento lealista.

Di tenuta tuttavia si tratta. Di una strategia tutto sommato ancora difensiva anche se dall’esito diverso rispetto a quanto accaduto in Libia e nell’Europa Orientale negli ultimi trenta anni.

Sono altri i fattori in grado di determinare un ribaltamento dei rapporti e un eventuale collasso, per lo più inerenti la situazione interna dei paesi coinvolti.

Anche la Siria ha conosciuto la propria nemesi.

Da oggetto delle brame del vicinato e da punto focale di una crisi definitiva della capacità di resistenza russa e iraniana si è trasformata in punto di irradiamento di crisi e destabilizzazione verso i predatori.

Lo si è visto in Turchia con la recrudescenza dell’irredentismo curdo e con il tentativo di colpo di stato di Gulen, duramente sopito da Erdogan. Eventi che hanno spinto il governo turco ad una inedita aspirazione di autonomia e ad un controllo ferreo delle leve anche a scapito dell’immediata efficienza degli apparati.

 Lo si intravede in Israele con la sorda guerra di Netanyau con parti della magistratura e dei servizi di intelligence che rischia di trascinare il leader verso un destino simile al suo ex-omologo Sarkozy

Lo si sospetta in Arabia Saudita dove il processo ambizioso e inderogabile di ammodernamento istituzionale, quello di riconversione di una economia troppo legata alla monocoltura di giacimenti petroliferi in via di esaurimento e di (apparente?) distanziamento dai settori più integralisti e oscurantisti del sunnismo viene sostenuto dai classici strumenti di una struttura tribale costituiti da rapimenti, sequestri e uccisioni di notabili rivali, espropriazione di patrimoni e colpi di mano su rituali di successione codificati nel tempo. Il colpo di mano nella notte di sabato scorso, documentato da immagini nelle quali riecheggiavano nutrite sparatorie nel palazzo reale a base di fucili di assalto e granate, apparse solo per pochi minuti e miracolosamente scomparse assieme all’assoluto silenzio stampa in prima mondiale, rivela quanto siano ancora precari e instabili gli equilibri in quel paese con un delfino impegnato a stringere relazioni sempre più strette, quasi simbiotiche con il nemico conclamato del mondo arabo, Israele e con il “profanatore della terra sacra” dai tempi della prima guerra a Saddam, gli Stati Uniti e coinvolto ormai direttamente in due conflitti apparentemente minori, quanto inaspettatamente logoranti. Una irruenza e un cumulo di contraddizioni e contrapposizioni giunte sino ai regimi sunniti della penisola che potrebbero costare cari alle ambizioni se non addirittura alla vita del delfino Salman.

Quanto all’Iran si è visto offrire su un piatto d’argento, grazie all’intervento americano in Iraq, l’allargamento della sfera di influenza ad occidente dopo aver approfittato della situazione precaria in Afghanistan. Si è guadagnato sul campo il potere di influenza in Siria, Libano e Striscia di Gaza incuneandosi tra le rivalità di Turchia e Arabia Saudita. E’ riuscita a mantenere un equilibrio in Libano e continua a strumentalizzare, come il resto degli attori, la questione palestinese. Allarmato dalle primavere arabe ha intensificato lo sviluppo del programma nucleare diventando un avversario temibile di Israele e dell’Arabia Saudita e cercando di entrare nel club della dissuasione nucleare. Alcune iniziative propagandistiche apparentemente gratuite ai danni degli Stati Uniti hanno forse mitigato le irruenze dei più oltranzisti, ma hanno certamente contribuito a lacerare il tenue filo che li univa agli USA. Con l’arrivo di Trump gran parte delle mediazioni raggiunte sono destinate a saltare; a meno che nel frattempo non salti il Presidente. Si tratta, comunque, di un regime e di una società molto più permeabili rispetto alle apparenze. Lo scempio operato dai servizi israeliani e americani tra i tecnici e i responsabili del programma nucleare sono un evidente indizio dello stato presente.

Lo si arguisce in Francia con un giovane e intraprendente presidente smanioso di acquisire il supporto indispensabile del paese ancora più potente, gli Stati Uniti, necessario a preservare le proprie residue sfere di influenza, di riserva economica in Africa, in Siria e nel Pacifico. Quanto sia però precaria e debole questa posizione lo rivela l’aleatorietà degli impegni economici che il regime saudita ha stretto con esso a differenza della consistenza con quelli americani. Una aleatorietà, concretizzatasi in un semplice accordo di valorizzazione del settore turistico in Arabia in netto contrasto con la pesante influenza e con le compromissioni pesanti di essa nel sistema economico-finanziario e sociale della Francia. Legami che hanno già fatto saltare le ambizioni di Sarkozy, con l’affaire libico e che promettono ulteriori sviluppi.

La fretta tradita e la grossolana costruzione di quel documento rivelano la fragilità della sicumera tutta francese di Macron, piuttosto che la sua fattiva determinazione. Il comunicato finale seguito all’incontro tra Trump e il Presidente di Francia, non ostante le effusioni, è tutta lì a rivelare le divergenze con la dirigenza americana e i legami troppo stretti, sia pur discreti, di Macron con il vecchio establishment.

Tutto dipenderà dalla prosecuzione della deriva che sta seguendo Trump. A determinarla però non sarà certamente ed eventualmente il nuovo Napoleone, se non in misura irrilevante.

Il passo dalle fake alle bolle può consumarsi rapidamente e imprevedibilmente.

Questo secolo ha rivelato la rapida evaporazione di tanti leader di successo dalle promettenti carriere. E siamo appena all’inizio.

 

Il 25 aprile nulla da festeggiare, di Max Bonelli

 

Il 25 aprile nulla da festeggiare.

 

Alla stanchezza fisiologica che si accompagna alla primavera (con l’ondata di pollini e le  allergie connesse) si sente nel bel paese un’altra stanchezza che scaturisce da una data rossa sul calendario dove in teoria dovremmo festeggiare la liberazione dall’occupazione tedesca avvenuta dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943.

I festeggiati i circa 20.000 partigiani e i “liberatori” americani, sono venuti piano, piano a mancare negli anni ma non solo per un motivo fisiologico di morte degli stessi ma per la trasformazione di questi e dei loro discendenti morali in occupanti e collaboratori degli occupanti. Questa è la situazione ad oggi  in data 25 aprile 2018. Certo non come liberatori si possono indicare  gli  USA che hanno scalzato l’occupante tedesco per sostituirlo con un nodo da “cravattaro” che si fa di ogni anno più stretto. Nuove basi aprono sul nostro territorio, impunità dei loro soldati per i crimini commessi sul nostro suolo (Cermis docet) ed imposizioni in politica estera sempre più lesioniste dei nostri interessi (Libia).

Riguardo i collaboratori degli occupanti PD=PD-L: la prima parte dell’equazione rappresentano gli eredi immorali dei partigiani comunisti.  Il PCI almeno fino alla famigerata svolta  fatta con il viaggio di Napolitano negli USA era l’unico partito che si professava sovranista in Italia (volevano un Italia neutrale fuori dalla Nato). Già riecheggiano le urla dei “destrorsi” che dicono “non è vero ci volevano nel patto di Varsavia”. Illazioni mai provate dalla Storia e dette spesso per giustificare  il servilismo dell’MSI nei confronti della Nato e dei suoi apparati senza contare la scarsa propensione storico dinamica dell’URSS all’espansione geopolitica.

Ora il pronipote è rappresentato dal PD renziano, collaborazionisti degli USA ,fedeli servi che fanno della lotta alle timide istanze sovraniste della Lega e di Fratelli d’Italia la loro ragione di esistere.

I loro antenati morali si stanno rivoltando nella tomba,chi siede a botteghe oscure è un servo del capitalismo e traditore della Patria.

La seconda parte dell’equazione è composta dagli odiosi opportunisti spesso alto borghesi benestanti che diedero avvallo allo squadrismo degli anni venti per fermare l’avanzare del socialismo e tradirono il fascismo quando fu chiaro che era ormai cavallo perdente. Anche  essi fedeli servi del più forte ed in questo caso della bandiera a stelle strisce.

 

L’occupazione militare è solo un espressione di un’altra occupazione che subisce il paese: quella economica dell’Europa a conduzione tedesca.

Presenza ancor più pesante di quella militare descritta in precedenza, perchè sta uccidendo l’Italia, il suo substrato manifatturiero, quello che

l’ ha reso  una piccola potenza economica.

La moneta unica sta uccidendo la nostra economia che non avendo in mano lo strumento della svalutazione è costretta a riversare sul lavoro le leve per attuare concorrenza dei prodotti, precarizzando le condizioni degli occupati a tutti i livelli e non ultima la classe della piccola borghesia impiegatizia.

Questa occupazione a 360|gradi Germano-Americana la stiamo vivendo in tutta la sua implacabile stretta nel mandato del presidente  Mattarella al secondo schieramento per numero di eletti il M5S con il preciso intento di unirsi al PD uscito perdente dalle elezioni. Tutto dettato dal pericolo populista sovranista che Lega e Fratelli d’Italia si fanno espressione seppur in maniera timida. Se analizziamo le parole espresse dal PD “si al dialogo con il M5S se cessano di dialogare con la Lega” si capisce a quale padrone rispondono, lo schiavo perdente che vuole prendersi in carico l’addestramento del nuovo il M5S.

Il peccato della Lega? Il timido accenno di ribellione all’occupazione. Proprio ora che Salvini parla non più di Padani, ma di Italiani e da partito secessionista timidamente fa passi verso il Sovranismo patriottico rappresentato dall’On. Bagnai e nelle loro file eletto?

 

Questa rinnovata lotta tra occupanti e loro collaborazionisti da una parte e dall’altra  patrioti che con diversi colori,contraddizioni emergono nel paese si rinnova e ci dovrebbe far riflettere che non c’è niente da festeggiare in questa data. Ci sono ragioni per una ribellione, per una lotta contro l’occupazione. Bisognerebbe rileggersi le figure di veri eroi come :

Bottai

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Bottai

 

Mattei https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Mattei

 

ed altri patrioti sovranisti  sconosciuti che in silenzio rifiutarorno di versare sangue italiano

http://www.conflittiestrategie.it/il-25-aprile-nel-ricordo-di-mio-nonno-gigi-ed-altre-storie-sconosciute-ai-piu-di-max-bonelli

 

e rivolsero le loro energie contro gli occupanti.

Eroi  che rifiutarono  la logica dei Guelfi e Ghibellini che porta ad ammazzarci con facilità tra di noi italiani e  che indicarono una strada:

rivolgere le nostre energie ad una vera lotta di liberazione perchè questa è rimasta incompiuta.

Bisognerebbe far partire un tavolo di conciliazione nazionale che parta da una base comune data di tanti patrioti che dopo l’8 settembre decisero di combattere da una parte e dall’altra i due occupanti il tedesco e l’americano senza  versare sangue italiano. Per fare questo occorre potare sia a destra che sinistra la faziosità partitica e far rimanere centrale il fusto su cui si poggia l’Italia la Patria fatta di lavoratori e piccola media borghesia con l’attività produttiva incentrata nei confini nazionali.

 

Max Bonelli

 

 

 

L’ARABIA SAUDITA PERDE LA FIDUCIA DEGLI USA PER UNA PROPOSTA DEMENZIALE CHE NE MOSTRA L’ISOLAMENTO E L’INADEGUATEZZA MENTALE, di Antonio de Martini

L’ARABIA SAUDITA PERDE LA FIDUCIA DEGLI USA PER UNA PROPOSTA DEMENZIALE CHE NE MOSTRA L’ISOLAMENTO E L’INADEGUATEZZA MENTALE.

Adel al Jubeir, il primo e unico ministro saudita a non essere membro della famiglia reale, ha presentato una proposta ” per combattere l’ISIS” – presa in considerazione dal consigliere per la sicurezza di Trump, Bolton- che ha suscitato scetticismo tra tutti gli esperti di questioni arabe.

L’idea, dato che gli USA sono riluttanti a rimanere in Siria col rischio di confrontarsi direttamente con Hezbollah o i miliziani iraniani, ha proposto di sostituire i soldati USA con una ” forza araba” non meglio definita.

Al momento di sostanziare la proposta con dati di fatto, gli americani si sono trovati di fronte a ERIK PRINCE, lo stesso avventuriero che creò l’organizzazione mercenaria Blackwater e che due anni fa si vide respingere dal Pentagono la proposta di privatizzare la guerra in Afganistan subappaltandola a lui.

Scartata la soluzione PRINCE, sono iniziati incontri a livelli di capi dei servizi segreti con le controparti egiziane e sudanesi per ottenere ” volontari” arabi.

Questa soluzione si è scontrata con il fermo atteggiamento turco a non volere truppe egiziane alla propria frontiera e col colore dei sudanesi che in Siria apparirebbero come mosche nel latte.

I volontari reclutati in Francia e UK ( partiti da Manchester) e i tunisini, sono stati bruciati nei sette anni di guerra.

La coalizione di 22 Stati islamici reclutata un paio di anni fa tra gli staterelli africani, ha chiarito che è disponibile a ricevere aiuti e addestramento, ma non a combattere e meno che mai in Siria.

Tra gli emirati del golfo, la spaccatura provocata dai sauditi col Katar non è ancora sanata e rende inagibile il CDG ( Consiglio di difesa del Golfo) creato a suo tempo dagli inglesi per attività del genere. E comunque sarebbero tre gatti.

Gli Iracheni vengono dati per ufficialmente impegnati in casa, ma in realtà, l’aver affidato a sciiti il governo del paese si è rivelato il più clamoroso autogol della storia americana. Sono inutilizzabili.

La Giordania, i cui regnanti furono spossessati dai Saud , godono in silenzio delle difficoltà della casata nemica con cui condividono il grande fratello anglosassone, ricco e stupido.

Insomma la proposta saudita ha messo in luce alcuni fatti fondamentali:

a) non ci sono siriani disposti a combattere contro il loro governo legittimo. Infatti, non vengono nemmeno presi in considerazione dalla proposta.

b) i sauditi hanno parlato a nome degli ” arabi” senza averli consultati.

c) l’Egitto ha una posizione più vicina a Assad che ai sauditi e ha già rifiutato di intervenire in Yemen.

d) parlano di combattere l’ISIS , ma l’avversario da affrontare sono gli iraniani e l’Hezbollah.

e)gli yemeniti sono tutti impegnati contro i sauditi che non riescono a difendere nemmeno le proprie frontiere e annaspano già in casa.

f) i curdi, vantati dalla propaganda israeliana come combattenti valorosi e impegnati, non esistono che in fotografia e a presidio di qualche crocicchio.

g) il Marocco ha appena finito di criticare il comportamento e le politiche arabe dell’alleato americano.

h) agli algerini che hanno subìto per primi l’aggressione saudita negli anni novanta ( centomila morti) non è il caso di rivolgere la parola.

Gli USA non vogliono rimanere in Siria e Macron rappresenta l’ex potenza coloniale che nel 1925 massacrò i siriani e cannoneggiò Damasco.
Gli inglesi incoraggiano sottobanco Erdogan perché rivogliono il petrolio di Mossul.
Però i turchi non sono arabi, come non lo sono i pakistani, dati più volte in arrivo, ma non stupidi.

Credo che gli USA rimpiangano amaramente i tempi ( dal 48 ai sessanta inoltrati) in cui collaboravano con l’Italia, prevedevano ogni cambiamento e gestivano l’area senza sangue e dispendio di mezzi, come invece accade ora che il loro consigliere è Israele ( che difende i propri interessi) e un clan di cammellieri arricchiti e fanatici.

Come vedete, il successo politico di Putin nel Vicino Oriente, è dato dalla altrui insipienza

LA SIRIA PUNTO DI SVOLTA DELLA FASE MULTICENTRICA, di Luigi Longo

LA SIRIA PUNTO DI SVOLTA DELLA FASE MULTICENTRICA

 

di Luigi Longo

 

 

  1. La fase multicentrica sta avendo delle impennate per il dinamismo degli USA. Un dinamismo criminale, spregiudicato, delinquenziale e fuorilegge basato sulla forza militare che assume un peso specifico nelle relazioni interne ed esterne alla potenza mondiale USA nelle fasi multicentrica e policentrica.

Le suddette fasi mondiali tolgono il velo della ipocrisia e della falsa coscienza necessaria sulla democrazia e sulla libertà praticate in Occidente e portate a modello a livello mondiale [si pensi, per esempio, a quella democrazia esportata e difesa in tutto il mondo attraverso il bombardamento etico (è il titolo di un bel libro di Costanzo Preve), statunitense, con mandato divino (sic)] che ora si rivelano essere principi decisamente astratti, che poco hanno a che fare con la realtà nella quale gli agenti strategici dominanti, vettori del conflitto strategico tra le potenze mondiali, hanno bisogno di decisioni, con una filiera del comando accorciata all’essenziale duro e sbrigativo, attraverso le articolazioni istituzionali presenti sul peculiare e storico territorio nazionale che chiamiamo Stato. Il diritto, inteso come forma di organizzazione dei rapporti sociali e territoriali subisce così processi di ri-modulazione, ri-pensamento e re-invenzione. Lo stato di eccezione schmittiano diventa una eccezione regolare storicamente data che si ripresenta necessariamente nelle fasi multicentrica e policentrica del conflitto mondiale. E’ una costante storica che deve portarci a ri-considerare le relazioni e i rapporti sociali reali nelle diverse fasi della storia mondiale che definiamo monocentrica (la presenza di una potenza mondiale che funge da centro di coordinamento), multicentrica (la presenza di più potenze che fungono da coordinamento di diversi centri egemonici che si contengono l’egemonia mondiale), policentrica (il conflitto mondiale tra centri consolidati per il dominio mondiale).

 

 

  1. Gli USA sono una potenza egemone in declino che non riesce a trovare una sintesi intorno ad un gruppo strategico dominante (per i conflitti interni tra gli agenti strategici delle diverse sfere sociali) capace di frenare il proprio declino e rilanciare una nuova sfida per l’egemonia mondiale (alla Russia e alla Cina con le loro aree di influenza sempre più larghe e penetranti il territorio mondiale) che si basi su una nuova idea di società, di sviluppo, di rapporto sociale; va ricordato che non è nella storia statunitense la cultura multicentrica del mondo e la capacità di confronto tra nazioni e tra Occidente e Oriente.

La guerra in Siria, al contrario delle altre guerre nel Medio Oriente (Iraq), nei Balcani (ex Jugoslavia) e nel Nord Africa (Libia), può rappresentare il punto di svolta verso il consolidamento del polo di aggregazione intorno alla Russia e alla Cina [che già collaborano nella sfera economica (risorse energetiche, via della seta, trattati di area, accordi commerciali, eccetera)] capace di approntare una strategia tutta orientale che lancia un confronto tra nazioni eguali con una visione multicentrica del mondo e un nuovo rapporto tra Oriente e Occidente [senza dimenticare né l’influenza della sedimentazione storica del rapporto tra Russia ed Europa a partire dalla metà del XV secolo con lo zar Ivan III (1440-1505), né l’attrito storico tra Russia e Cina]. Non si tratta di un confronto basato sulla forza militare ma sul dialogo e sul confronto tra storie, culture, popoli diversi. Tale confronto non esclude affatto le questioni fondamentali quali i rapporti sociali basati sul potere e sul dominio che riguardano sia le logiche interne che esterne delle nazioni e delle relazioni con le nazioni divenute potenze mondiali [si pensi, per esempio, a quanta influenza ha l’egemonia USA nel decidere lo sviluppo e la politica delle nazioni europee e dell’Unione Europea (che è bene ricordarlo non è l’Europa della nazioni, ma un luogo istituzionale sovranazionale nato da un progetto pensato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti e gestito da sub-agenti dominanti)].

Gli USA devono bloccare con la forza militare la possibilità di formazione del polo Russia-Cina perché sanno che l’avverarsi di tale polo, unito alla loro incapacità di fermare il proprio declino egemonico e alla convinzione che l’unica strada percorribile sia quella della guerra (è attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale), non sarebbe altro che l’inizio della transizione egemonica con una diversa riorganizzazione sistemica. Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, due importanti protagonisti delle strategie di dominio statunitensi, hanno sempre combattuto e temuto la formazione di un polo sia euroasiatico (Europa-Russia) sia asiatico (Russia-Cina) perché vedevano in esso una seria minaccia alla egemonia mondiale statunitense.

La guerra USA, al contrario di quello che pensava Niccolò Macchiavelli (ne Il Principe) che la intendeva come portatrice di benessere, è solo distruzione di popoli, di territori e di nazioni per contenere la Russia e distruggere sul nascere il polo di formazione asiatico intorno a Russia e Cina.

Il declino egemonico mondiale degli USA sta nella perdita della capacità di un modello sociale di benessere interno ed esterno; gli Stati Uniti basano la loro resistenza egemonica solo sulla forza militare aggressiva e distruttrice senza creazione, senza consenso e senza confronto.

 

 

  1. L’Europa resta il teatro passivo del conflitto tra le potenze mondiali che si andrà sviluppando nelle surriportate fasi della storia mondiale. I sub agenti strategici, che dominano i luoghi istituzionali dell’Unione Europea, da tempo stanno accompagnando le diverse strategie USA di contenimento della Russia e di contrasto alla formazione del polo asiatico. Si pensi al ruolo dell’UE e delle singole nazioni europee all’interno della NATO, alla trasformazione della NATO da strumento di difesa contro la minaccia sovietica a strumento di attacco fuori area (la Nato Responce Force), alla militarizzazione tramite Nato del territorio europeo, alle infrastrutture civili da supporto a quelle militari della Nato, alla nascita della PeSCO (Permanent Structured Cooperation, Cooperazione Strutturata Permanente) del campo della difesa UE, agli interventi del Pentagono (Dipartimento della Difesa degli USA) sulle strutture militari presenti sul territorio europeo, all’americanizzazione del territorio europeo, eccetera; temi dei quali ho già trattato in precedenti scritti.

Il processo di americanizzazione europeo ha condizionato fortemente lo sviluppo e l’autonomia delle singole nazioni; ha ridotto l’Europa ad una espressione geografica a servizio delle strategie statunitensi nelle diverse aree mondiali. Tutte le succitate guerre degli USA [di invasione e di violenza alla sovranità nazionale tramite ONU o tramite NATO o tramite coalizione internazionale o tramite attacco diretto con alleati), a partire dalla implosione dell’URSS (1991)] hanno visto la partecipazione di diverse nazioni europee che si sono ritagliate spazi nella sfera economica (gestione di risorse energetiche, allargamento di aree di influenza e di mercato per le imprese, eccetera), ma sotto stretta sorveglianza delle diverse strategie politiche della potenza imperiale statunitense sempre per contrastare le nascenti potenze mondiali (Russia e Cina) capaci di sfidare l’egemonia statunitense [ esempi recenti la guerra di Libia (iniziata nel 2011) e la guerra in Siria (iniziata nel 2011)].

La stessa storia si ripete oggi, in maniera diversa, con il recente attacco USA alla Siria, dopo sette anni di tentativi di smembramento di una nazione sovrana, con morti e sofferenze inenarrabili della popolazione, insieme agli alleati ufficiali europei (Francia e Regno Unito) interessati alla sfera economica, per contrastare l’egemonia dell’area della Russia e il consolidamento di una potenza regionale come l’Iran che minerebbe il ruolo di Israele come potenza regionale vassallo USA nella politica in Medio Oriente (senza dimenticare la questione storica, politica e territoriale della Turchia), area nevralgica del conflitto strategico mondiale. Il pretesto dell’uso di armi chimiche non regge: perché Bashar al-Assad avrebbe dovuto usare le armi chimiche sulla popolazione di Douma, nell’ambito di un’offensiva globale nei confronti della regione Ghouta orientale, quando ormai i ribelli erano pronti alla resa?

E’ emblematico che nessuna nazione europea abbia protestato duramente contro il criminale attacco degli USA e dei suoi alleati; anzi, è stato sostenuto dal Segretario della Nato Jens Stoltenberg e appoggiato dalla UE, dalla Germania (Angela Merkel: risposta “necessaria e appropriata” agli attacchi chimici), Giappone, Canada e Israele. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha bocciato una bozza di risoluzione proposta dalla Russia che “condannava l’aggressione contro la Siria da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, in violazione delle leggi internazionali e della Carta delle Nazioni Unite”.

 

 

  1. L’Italia è una drammatica espressione geografica a servizio degli USA che considerano il territorio italiano fondamentale per le loro strategie nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente, oltre ad ospitare basi Nato-USA di grande rilievo e importanza.

L’Italia, a partire dalla sua Unità sotto il coordinamento inglese fino alla direzione statunitense, dalla seconda guerra mondiale in poi, può essere un laboratorio storico e politico per capire come l’egemonia inglese prima e quella degli Stati Uniti dopo, hanno piegato lo sviluppo del nostro Paese alle loro strategie di dominio, sia con la forza ( uccisioni di agenti strategici che pensavano alla sovranità e allo sviluppo del Paese), sia con il consenso (selezione di sub agenti strategici pronti a sacrificarsi per il bene del Paese alla servitù inglese e statunitense).

Qual è la reazione dell’Italia alla criminale aggressione degli Stati Uniti e dei suoi alleati alla nazione sovrana della Siria fatta in questi giorni? E’ emblematica della stupidità della nostra classe dirigente ben selezionata per il bene del nostro Paese.

L’account Twitter ItaMilRadar, che monitora il traffico aereo militare sui cieli italiani e sul Mediterraneo, ha riferito che due aerei militari della US Navy sono decollati dalla base Sigonella. Il primo, per pattugliare l’area al largo del porto siriano di Latakia nei cui pressi si trova la base militare russa, il secondo per svolgere attività di pattugliamento verso Est. Un Boeing E-3 della Nato ha invece svolto attività di pattugliamento nei pressi del confine tra Turchia e Siria. Ovviamente è un pattugliamento di carattere ordinario! ( www.lasicilia.it, 11/4/2018).

Il 10 aprile scorso l’Agenzia Al Sura ha segnalato che una cisterna volante italiana KC-767 è entrata in Giordania dallo spazio aereo dell’Arabia Saudita.

Le basi Nato-Usa in Italia sono in piena allerta e pronte per gli interventi in Siria. Inoltre, l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Pasquale Preziosa, ci ha ricordato che la base Nato di Sigonella in Sicilia, dove sono ubicati i droni strategici RQ-4 Global Hawk, è importante sia geograficamente sia strategicamente per l’attacco USA in Siria (intervista di Paolo S. Orrù pubblicata su www.tiscali.it, 14/4/2018).

Bene. Cosa fanno i nostri leader politici? Silenzio: il silenzio della paura. L’unica dichiarazione ambigua e strumentale è stata quella di Matteo Salvini che ha criticato l’attacco USA e ha precisato comunque l’importanza di stare dentro l’alleanza atlantica e che il problema è Donald Trump, come se la qualità di un Presidente facesse venir meno la criminalità imperiale statunitense.

E i nostri parlamentari? I più intelligenti hanno chiesto al Governo di conferire in Aula per conoscere i fatti ed informare il Parlamento delle iniziative prese nelle sedi competenti per una inchiesta internazionale indipendente per far luce su quanto accaduto.

 

 

  1. 5. Questo ruolo di servitù volontaria ha impedito all’Europa di essere un soggetto politico espressione di una Sintesi delle Nazioni con una propria autonomia e con un proprio ruolo da giocare nello scambio sociale, economico, culturale e politico tra Occidente e Oriente: Perché? Quali le ragioni storiche e politiche? Quali le strategie per cambiare sguardo e guardare a Oriente per un mondo multicentrico che allontani sempre più la fase policentrica?

Occorrono nuovi agenti strategici in un mondo in forte movimento per il trapasso di epoca così come sosteneva Niccolò Macchiavelli, nella Mandragola la più bella commedia italiana scritta tra il 1513 e i primi mesi del 1514, :<< […] L’espressività di Nicia, il suo sputare motti popolari a raffica diventano emblematici di un attaccamento ottuso a una fiorentinità senza prospettive, in un’epoca in cui […] la crisi politica e morale che stringe Firenze e l’Italia richiederebbe uomini nuovi, lungimiranti, tutt’altro che intenti a tenere lo sguardo fisso all’ombra del proprio campanile >>.

 

La crisi siriana e l’Italia, di Roberto Buffagni

La crisi siriana e l’Italia

 

Mentre scrivo è in corso la riunione del Consiglio di Sicurezza ONU sulla crisi siriana. Registro le due dichiarazioni molto dure e direttamente antirusse di Stati Uniti e Francia, la dichiarazione interlocutoria della Cina che invita a una soluzione politica e non militare della crisi, e la dichiarazione più cauta del Regno Unito che non dà per scontata la responsabilità siriana nell’uso dei gas: il governo May è debole, i laburisti protestano, i conservatori non sono saldamente uniti, e il Ministro della Difesa russo proprio oggi ha ufficialmente accusato il governo britannico di aver appoggiato chi ha inscenato “il falso attacco provocatorio con i gas”.

In Italia non si registrano prese di posizione serie sulla crisi siriana. Si è costretti a prendere atto, con dispiacere e vergogna, di un allineamento totale del PD alle posizioni USA più oltranziste, quando persino all’interno dell’Amministrazione americana e tra gli alti gradi delle FFAA USA ci sono serie perplessità e posizioni nettamente contrarie a un attacco non dimostrativo contro Siria e Russia. Unico a invitare alla calma e a non invischiarsi in una situazione pericolosa, Matteo Salvini: nel paese dei ciechi l’orbo è re, ma non basta.

Che cosa rischiano l’Italia e il mondo intero? In sintesi, quanto segue. In caso di un attacco USA non dimostrativo contro la Siria e il suo alleato russo, l’enorme superiorità di mezzi di cui dispongono gli USA nel teatro mediterraneo può soverchiare le difese siriane e russe. Una prima fitta ondata di missili viene abbattuta dal sistema difensivo russo-siriano che però esaurisce lo stock missilistico, che non è possibile rifornire in tempo utile per le difficoltà logistiche imposte dalla distanza tra Russia e Siria. Una seconda ondata passa e causa gravi danni, colpendo personale siriano e russo. I russi sono costretti a rispondere dal Mar Caspio e dal Mar Nero, forse anche dal suolo russo. Gli USA rispondono, lo scontro si internazionalizza. Se un missile USA colpisce il suolo russo, la Russia colpirà il suolo americano. Sebbene lo scenario sinora tratteggiato non preveda l’uso di armi nucleari, nessuno può escludere che l’escalation vi conduca. E naturalmente, a ogni passo dell’escalation diventa sempre più difficile la de-escalation, sempre maggiori le probabilità di una perdita di controllo da parte di uno o entrambi i contendenti.

Per la sua posizione geografica, in caso di attacco USA non dimostrativo l’Italia sarà in prima linea, perché gli USA vorranno usare le loro basi situate su territorio italiano. Chi dice “siamo nella NATO e dunque dobbiamo appoggiare l’intervento americano contro la Siria” mente spudoratamente. La NATO non, ripeto NON c’entra niente con l’intervento USA contro la Siria. Un’azione aggressiva NATO esige l’accordo unanime, ripeto unanime, dei membri dell’alleanza. Né alcun membro NATO è stato aggredito dalla Siria o dalla Russia. Se dalle basi USA (USA, non NATO) presenti sul territorio italiano partissero truppe o voli diretti ad aggredire la Siria, questo avverrebbe con la piena corresponsabilità del governo italiano e della nazione. Nelle basi USA su territorio italiano, infatti, ci sono due comandanti, uno americano uno italiano. Il comandante americano è tenuto a comunicare in anticipo al comandante italiano tutte le operazioni, e il comandante italiano può autorizzarle oppure no, ripeto OPPURE NO. In caso di attacco USA contro la Siria che parta da basi USA su territorio italiano, il comandante italiano della base USA è tenuto a comunicare ai superiori gerarchici il piano operativo a lui sottoposto dal comandante americano, e i superiori gerarchici a informarne il governo e il Presidente della Repubblica, comandante in capo delle FFAA, perché un atto di guerra contro la Siria e la Russia intrapreso da base USA su territorio italiano configura un identico atto di guerra dell’Italia contro Siria e Russia. Per intenderci: se la Russia rispondesse a un attacco USA partito dall’Italia attaccando obiettivi militari su territorio italiano, sarebbe giustificata dal diritto di guerra. Invitiamo caldamente tutte le forze politiche che abbiano a cuore la sicurezza e l’onore nazionale a fare pressione sul governo e sul Presidente della Repubblica, comandante in capo delle FFAA, perché con apposita comunicazione scritta ribadiscano a tutti comandanti italiani di basi militari USA che è loro diritto e dovere esigere dal comandante americano il controllo preventivo del piano di operazioni, e comunicare prontamente per via gerarchica al governo eventuali piani di operazioni USA contro Siria e Russia che partano dal suolo italiano. Se questa possibilità si verifica, viste le gravi ripercussioni possibili e anzi probabili, il governo è politicamente e moralmente tenuto a darne notizia al Parlamento, e a sottoporre a un voto delle Camere l’autorizzazione italiana di qualsivoglia operazione americana contro Siria e Russia in partenza dal territorio nazionale. Vogliamo sperare che i rappresentanti del popolo italiano si mostrerebbero all’altezza del loro ufficio, negando l’autorizzazione e così tutelando sicurezza e onore dell’Italia. Chi non lo facesse si assumerebbe una gravissima responsabilità storica e morale.

 

L’ULTIMO UOMO-L’ULTIMA BATTAGLIA, di Gianfranco Campa

L’ULTIMO UOMO-L’ULTIMA BATTAGLIA

 

E così un’altra presidenza scivola via nella fogna della storia americana. Storia composta da guerre di annientamento, indipendenza, fratricide, mondiali, regionali. Come quelli che lo avevano preceduto, Trump ha completato la sua mutazione da presidente antisistema a parte integrante del sistema guerrafondaio, imperialista dei neocon e neoliberali. Non per giustificare Trump, ma d’altronde avere una pistola puntata costantemente alla testa, non è la condizione ideale.  All’ultimo presidente che ha cercato di opporsi al complesso industriale militare americano  hanno fatto esplodere il cervello a Dallas in Texas, in un pomeriggio di tanti anni fa…

Come prevedibile, dopo l’attacco alla Siria, gli esperti americani di politica estera si sono uniti nell’elogiare Trump. Per l’élite americana quello che fino a dieci minuti prima era un mentecatto arancione è ora diventato un brillante genio. Gli apprezzamenti verso Trump di questa gentaglia sono ingannevoli, finti; dureranno il tempo di una estate come fra i ghiacci del Polo Nord. Niente salverà Trump dal destino che gli è stato tracciato da questi esseri beceri; l’oblio politico e personale, soprattutto nel momento in cui riprenderanno completamente in mano il potere nelle stanze di Washington. Trump non sopravviverà mai alla controffensiva dell’establishment, una volta che l’establishement stesso avrà domato la rivolta in atto nelle stanze del potere americano. Lo odiano visceralmente solo per aver messo in pericolo la loro egemonia in questi ultimi due anni e costretto molti di loro ad esporsi più del dovuto. Quelli che gli potranno salvare il culo saranno quegli stessi a cui Trump oggi ha sputato in faccia, tradendoli  con la decisione di attaccare la Siria.

Dobbiamo comunque ringraziare soprattutto il movimento anti-trump, quello composto dai democratici liberali che ci hanno martellato la testa ed altro per due anni con la storia di Trump pupazzo di Putin. Trump ha prima provato a difendersi, poi ha infine ceduto vistosi circondato ormai da tutte le posizioni. La costante opera di logoramento ai fianchi, costante quanto dolorosa ha finito per erodere la volontà di resistenza di Donald Trump. Attaccando la Siria probabilmente Trump innescherà una serie di conflagrazioni che potrebbero determinare degli eventi capaci di trascinarci sull’orlo della apocalisse. Nel frattempo per chi crede che gli americani limiteranno gli attacchi alla Siria solo dal cielo, avverto che si sbaglia di grosso: ci sono più di 2000 soldati americani già presenti in Siria ed è proprio di queste ora la notizia che un contingente di 3600 marines sta arrivando in Siria attraverso la Giordania.

Questa notizia arriva direttamente dalla bocca del Pentagono:

https://www.marinecorpstimes.com/news/your-marine-corps/2018/04/13/thousands-of-us-troops-and-marines-arrive-in-jordan/?utm_source=Facebook&utm_medium=Socialflow

L’attacco alla Siria vede anche per la prima volta l’uso in combattimento dei missili JASSMs lanciati dai B-1B; questi sono i missili con cui Trump minacciava i Russi nel suo delirante tweet di 3 giorni fa.

Sotto una foto dei missili in questione.

 

In quest’ottica ora si capisce il perché delle lettere di allerta mandate a migliaia di riservisti americani l’anno scorso. All’epoca si credeva possibile un conflitto nella penisola coreana; in realtà potrebbe essere stata pianificata da tempo una guerra su scala mondiale da attuare nei prossimi mesi e anni.

Nelle ore che hanno preceduto l’attacco di Trump alla Siria si è sentito di tutto e il contrario di tutto. Alla fine ha prevalso il partito della guerra e Trump (Bolton) con la May e Macron ( Israele, Arabia Saudita nell’ombra) sono diventati  i principali  responsabili di questo intervento militare in Siria  L’attacco arriva poco prima che il OPCW (https://www.opcw.org/)  avesse avuto la possibilità di procedere con la sua inchiesta, ormai pronta a partire. Ma la pazienza non è la virtù dei criminali poiché è necessario agire in fretta per cancellare le tracce dei loro crimini e delle loro falsità.

C’è molta costernazione e molta delusione tra quelli che hanno sostenuto Trump contro tutto e tutti. La base anti-interventista, anti-globalista, che ha sostenuto, direi anzi creato il fenomeno Trump e permesso a Trump di arrivare alla presidenza ha perso la sua battaglia finale per il controllo della presidenza americana, anche se la guerra contro l’establishment era ormai compromessa sin dall’anno scorso, dopo l’uscita di scena cioè del compianto Michael Flynn seguito dopo alcuni mesi da Stephen Bannon. Su molti dei siti, canali radio, personaggi anti-establishment, da Infowars a Breitbart, da Michael Savage a Roger Stone, da Pat Buchanan a Wikileaks, da Tucker Carlson a Laura Ingraham elevano un coro di rabbia espresso in commenti e video. Personalmente ho passato le ultime ore a comunicare con le persone che insieme a me hanno reso possibile l’ascesa di Trump e con le quali ho condiviso appassionatamente le battaglie politiche che hanno coinvolto molti di questi ultimi 10 anni della mia vita. Tanti sacrifici, impegni, viaggi, programmi, riunioni a scapito personale, a volte anche a costo di compromettere l’incolumità personale per ritrovarsi qui punto e a capo.

La guerra, lo scontro politico fra una parte della società americana e l’establishment politico elitario al potere continua; è una guerra che trascende l’esistenza, le trasformazioni politiche e umorali di Donald Trump.

Vi lascio con i twitter di Trump pubblicati qui sotto. Scritti da lui stesso nell’ormai lontano 2013, giusto per non dimenticare chi fosse Trump prima di questa mutazione compiutasi in una notte Siriana sotto le bombe umanitarie trumpiane:

Cosa otterremo bombardando la Siria oltre a più debito e un possibile conflitto a lungo termine? Obama ha bisogno dell’approvazione del Congresso.

…Rimani fuori dalla Siria (Obama), non abbiamo la leadership per vincere guerre o strategie.”

“La debolezza e l’indecisione del presidente Obama ci hanno forse risparmiare un attacco orribile e molto costoso in Siria!”

“Se gli Stati Uniti attaccano la Siria e colpiscono bersagli sbagliati, uccidendo civili, ci sarà un inferno in tutto il mondo da pagare. Stai (Obama) lontano e curati degli Stati Uniti”

“L’unico motivo per cui il presidente Obama vuole attaccare la Siria è quello di salvare la faccia sulla sua stupida dichiarazione della RED LINE. NON attaccare la Siria, curati degli U.S.A.”

“Quello che sto dicendo è stare fuori dalla Siria.”

“Dovremmo smettere di far chiacchiere, stare fuori dalla Siria e da altri paesi che ci odiano, ricostruire il nostro paese e renderlo forte e grande di nuovo, USA!”

 

GLI USA NEL LABIRINTO MEDIO-ORIENTALE, di Fabio Falchi

GLI USA NEL LABIRINTO MEDIO-ORIENTALE

In questi giorni sembra tornato di attualità il paragone tra la Clinton e Trump. Ma è una questione che si pone in termini sbagliati se non si distingue tra Trump in quanto avversario della Clinton e Trump in quanto presidente degli Usa.

Il primo Trump era un “estraneo” per il deep State, ossia per l’élite Usa che guida la globalizzazione e che da tempo ha separato il proprio interesse da quello della società americana nel suo complesso. Trump si è fatto invece portavoce di quest’ultima e per questa ragione ha sconfitto la Clinton.

Come presidente degli Usa però Trump non può “ignorare” che le basi della potenza degli Usa dipendono ormai dal ruolo di gendarme mondiale dell’America, che deve tutelare in primo luogo gli interessi dei gruppi dominanti occidentali.

Con l’elezione di Trump alla Casa Bianca è venuta alla luce questa contraddizione, che non è senza relazione con il declino degli Usa come centro egemonico, a causa della nascita di altri centri di potenza i cui interessi sono differenti e in alcuni casi perfino opposti rispetto a quelli dei gruppi dominanti occidentali, a loro volta in lotta tra di loro per conquistare nuove posizioni di potere o semplicemente perché perseguono fini diversi.

Il programma di Trump quindi era chiaro: difendere gli interessi della classe media Usa, ridefinire i rapporti con i gruppi dominanti occidentali e cercare un compromesso con la Russia di modo da lasciare tempo e spazio agli Usa necessari per ristrutturare il quadro dell’economia mondiale su basi nuove e più favorevoli alla società americana nel suo complesso.

Ma imperialismo Usa e multipolarismo non sono affatto facili da conciliare, tanto più che rinunciare al primo significherebbe per gli Usa, che dipendono orami pressoché totalmente dal Warfare State, andare incontro ad un declino di potenza incontrollabile e inaccettabile.

Si tratta ovviamente di un problema che va ben oltre la persona di Trump, che peraltro si è rivelato anche sotto questo profilo tutt’altro che deciso e capace tanto che il deep State è riuscito a mettere nel governo Usa due falchi come Pompeo e Bolton – certo avvantaggiato dallo stesso Trump che, del resto, ha sempre appoggiato la politica di Israele e dei sauditi contro l’Iran, non diversamente dai falchi neocon.

Questo groviglio di contraddizioni è reso ancor più ingarbugliato dalla mancanza di una strategia Usa chiara e definita, il che ha portato gli Usa a perdere l’iniziativa in una zona chiave come il Medio Oriente, in cui l’America adesso non solo rischia di perdere un alleato prezioso come la Turchia ma, per non essere declassata ad attore geopolitico di secondo piano, rischia, per così dire, di “andare a rimorchio” dalla politica israeliana e saudita. Insomma gli Usa si sono cacciati in un vicolo cieco.

Quel che davvero conta allora non è se Trump sia o no un falco o se sia più o meno capace (certo non è un’aquila….), ma come i vertici degli Usa intendono confrontarsi con la questione del multipolarismo. Una questione che fino adesso di fatto gli Usa non hanno affrontato, perché in sostanza non sono affatto disposti né sono pronti a confrontarsi su un piano di parità con altri attori geopolitici, in primis la Russia.

SULLA VIA DI DAMASCO O IL REVIVAL DEI DE FILIPPO?, di Antonio de Martini

Pubblichiamo una breve ed efficace puntualizzazione di Antonio de Martini sulla situazione in Siria. Nel frattempo:

  • in Italia l’aspetto che colpisce del nostro ceto politico è il silenzio. Probabilmente si aspetta qualche iniziativa un po’ più energica dei nostri alleati, in particolare Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, nei confronti dell’Italia prima di accodarsi nell’ennesima impresa contraria all’interesse del paese. Sino ad ora solo Salvini, tra i leader, ha osato mettere in dubbio la veridicità delle versioni ufficiali riguardanti il caso Skripal e l’attacco chimico a Goutha e contestato l’eventuale azione di rappresaglia. Alcuni esponenti di Forza Italia, a loro volta, hanno dato man forte. Per il resto, il M5S si è limitato ad una interrogazione parlamentare equidistante tra i contendenti in Siria. Un atteggiamento di neutralità che in realtà conferma il progressivo scivolamento verso l’atlantismo più remissivo. Tutt’attorno un assordante silenzio corroborato da complicità e connivenza
  • alla Casa Bianca, nello staff del Presidente, il confronto è aperto e duro. Al NSC (National Security Council), il Consiglio di Sicurezza che assiste il Presidente nelle sue decisioni, ci sono due posizioni contrapposte. Gli oltranzisti Bolton e Dunford cercano di organizzare la cordata dei sostenitori di un intervento massiccio. Mattis e Pompeo, due nomi pesanti, sono contrari adducendo ragioni geopolitiche e di incertezza riguardo l’esito militare. Kelly è in posizione di attesa. L’altra metà del gruppo attende lumi prima di prendere posizione. La decisione spetta comunque a Trump. La sua famiglia, in particolare il primogenito, questa volta sembra propendere per il non intervento. Lo zoccolo duro dell’elettorato di Trump è apertamente contrario all’intervento. Con il senno di poi si comprendono meglio le ragioni dell’estromissione di Flynn, lo scorso anno. La vittoria della fazione sarà sancita dal dosaggio di un intervento ormai inevitabile. La dinamica è stata spinta troppo in avanti.
  • in Europa Macron ha assunto il ruolo della mosca cocchiera. Probabile che sull’onda dell’entusiasmo inneschi l’attacco e rimanga alla fine solo a sostenere l’onere e la responsabilità politica dell’atto proditorio. La Germania si tira fuori dall’intervento, ma manda una nave militare, probabilmente attrezzata alle intercettazioni, nel teatro di guerra. Esattamente come nell’intervento in Libia. La Gran Bretagna agisce tra le quinte, organizza e sostiene gli “elmetti bianchi” responsabili della campagna di disinformazione e di provocazione in Siria, ma non si espone platealmente. Theresa May, già in bilico, su un’avventura del genere rischia grosso, anche personalmente.
  • Curioso che il presunto attacco chimico a Damasco sia stato immediatamente preceduto da un pellegrinaggio del Delfino saudita nelle capitali europee. La prospettiva di un accordo tra Russia, Turcia e Iran sui destini della Siria balenata nella recente conferenza stampa e il successivo annuncio di Trump della partenza delle truppe americane dal teatro siriano, prontamente contraddetto dagli eventi successivi, deve aver sconvolto le menti e le aspettative di Netanyau in Israele e soprattutto dei principi sauditi. Lo scontro tra diverse impostazioni di politica estera continua ad attraversare gli schieramenti specie del mondo occidentale. La Cina intanto cosa farà? Dal suo posizionamento dipenderanno tante cose _Giuseppe Germinario

SULLA VIA DI DAMASCO O IL REVIVAL DEI DE FILIPPO?

Se telefonate a Damasco a un amico, questo vi dirà che in città è un via vai di Russi e mezzi contraerei.

Al largo della base navale siro-russa di Tartous incrociano – e si incrociano – navi e aerei di numerose nazionalità, inclusi i tedeschi.

Il mondo dei media è attraversato da fremiti di guerra e fiumi di soldi per dimostrare che il pericolo di guerra è concreto.

Gli iraniani sono i principali destinatari di queste sceneggiate napoletane ( ” tenetemi che l’ammazzo”) alla De Filippo.

Trump – questo nuovo Peppino col toupet – sceneggia su Twitter ignaro che queste tecniche intimidatorie siano state inventate dall’impero persiano tremila anni fa a beneficio dei greci.

Il vero pericolo di guerra è costituito dalla inesperienza e inadeguatezza intellettuale e morale della squadra dirigente USA che volteggia attorno a un bullo che crede di giocare allo sceriffo.

Qualche solerte satellite potrebbe sparare un colpo per compiacerlo. Vanno bloccati gli “automatismi da alleanza” .

Questo crescendo di sceneggiate, nato per rafforzare Israele, punto irrinunciabile della strategia occidentale, in realtà lo fragilizzerà, al punto da metterne in forse l’esistenza stessa.

Sei ex capi del Mossad fecero, qualche anno fa, una pubblica dichiarazione che serviva una soluzione politica al problema palestinese e che non esisteva una soluzione militare.

Si spinsero fino a farsi intervistare nel film israeliano ” The Gatekeepers” avvertendo che una guerra contro l’intero Medio Oriente non poteva comunque essere vinta.

Netanyahu asseconda la spinta bellicista perché vuole distrarre dalle accuse di ruberie sulle forniture militari.

Erdogan e Putin per rafforzare i rispettivi consensi popolari e impedire alle opposizioni di casa di distinguersi fino a che esiste una crisi internazionale che richiede coesione.

Trump perché teme l’isolamento politico e militare degli USA che si verificherà non appena la tensione internazionale diminuirà.

È la Batracomiomachia di Omero buonanima.

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