LA DOTTRINA PRIMAKOV, di GILLES GRESSANI

Questo documento del 1998 di Yevgeny Primakov, all’epoca Ministro degli Esteri e Primo Ministro russo, rappresenta il punto di svolta nella politica estera ed interna della Russia, concomitante con il primo atto di rottura esplicita del Governo Russo nei confronti degli Stati Uniti e della NATO: l’opposizione all’intervento armato contro la Repubblica Serba. Da leggere con attenzione e con il senno di due decenni dopo assieme ai commenti di Henry Kissinger. Buona lettura, Giuseppe Germinario

LA DOTTRINA PRIMAKOV

Trent’anni fa, l’8 dicembre 1991, i vertici di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono il Trattato di Minsk, smantellando così l’URSS — per comprendere questa lunga sequenza bisogna rileggere la prima traduzione francese del testo chiave della dottrina geopolitica russa influente e meno conosciuta.

AUTORE
GILLES GRESSANI

TRAD.
DANILO KHILKO
La Dottrina Primakov

Abbiamo il piacere di pubblicare la prima traduzione francese di uno dei testi più rari e influenti della geopolitica russa contemporanea. L’autore, Yevgeny Primakov, all’epoca ministro degli Affari esteri nel governo Chernomyrdin e Kirienko, è senza dubbio uno dei più influenti professionisti delle relazioni internazionali della fine del XX secolo. L’indirizzo che ha dato alla politica estera russa durante il suo mandato resta essenziale per la classe politica russa, come ha recentemente riconosciuto  Sergei Lavrov, potente ministro degli Affari esteri dell’amministrazione Putin, attento lettore di questo testo inedito in francese.1La sua lezione, seguita da avversari politici come Henri Kissinger , va quindi studiata da vicino.


Внешнеполитическое кредо // Встречи на перекрёстках

Sono entrato al Ministero degli Affari Esteri in un momento completamente diverso.

Il paese aveva ormai intrapreso la strada dell’economia di mercato e del pluralismo politico. La disintegrazione dell’Unione Sovietica non è stata una gioia per tutti. Per niente. Molti cittadini erano tristi di perdere un paese potente e multinazionale.

Il passaggio dall’URSS alla Russia ha avuto gravi conseguenze. Il Patto di Varsavia e il Consiglio per la mutua assistenza economica sono stati smantellati. Da lì è iniziato tutto.
Alcune persone pensavano che da quel momento in poi la Russia sarebbe entrata nel “mondo civile” come paese di secondo livello. A volte in modo discreto, a volte pubblicamente, il popolo accettava che l’URSS avesse perso la “guerra fredda” e che la Russia avrebbe avuto successo. Si pensava che le relazioni con gli Stati Uniti si sarebbero sviluppate, come nel caso del Giappone e della Germania, dopo la loro sconfitta nella seconda guerra mondiale. Questi due paesi avevano visto la loro politica gestita da Washington e non si erano opposti.

Questa visione era condivisa dalla stragrande maggioranza dei politici nel 1991. Credevano che questa strategia avrebbe aiutato la Russia a superare i problemi del passato.

Così è diventato di moda dire che i responsabili della riforma economica dovevano trovare un modo per affrontare la “rovina del dopoguerra”.

Un politologo, Roi Medvedev (“Медведев Р. Капитализм в России ? М., 1998. С. 98.“, “Roi Medvedev, Il capitalismo in Russia?”), scrive: “è impossibile confrontare le conseguenze della Guerra Fredda a quelle della Guerra Civile [1917-1919] o a quelle della Grande Guerra Patriottica [Seconda Guerra Mondiale].

L’economia dell’URSS, divenuta Russia, non viene distrutta come alla fine di una guerra classica e può adattarsi a nuove prospettive. I problemi che deve affrontare l’economia russa sono il risultato delle politiche dei riformatori radicali, non della Guerra Fredda. In effetti, il livello di inflazione è stato più basso durante la Guerra Patriottica rispetto agli anni 1993-1994, così come la crescita.

L’adozione di un atteggiamento “disfattista”, in politica estera e interna, non ha permesso di cancellare gli elementi perniciosi dell’eredità sovietica (di cui è stato necessario, lo specifico, eliminare alcuni aspetti, e conservarne alcuni). Potremmo democratizzare e riformare la nostra società solo se non pensassimo che “con loro” [gli occidentali] tutto fosse armonioso, stabile, giusto, e che avremmo dovuto imitarli a tutti i costi, anche nel loro modo di fare politica .

Notare questo non significa negare che alla fine della Guerra Fredda, l’URSS ha cessato di essere una “superpotenza”. In effetti, la nuova situazione significava che ora c’era solo una superpotenza. Tuttavia, bisognava anche capire che il concetto stesso di “superpotenza” era stato ereditato dalla Guerra Fredda. Nessuno poteva contestare il fatto che gli Stati Uniti fossero allora la principale potenza militare, economica e finanziaria. Ma questo stato non poteva controllare e dirigere gli altri.

È un errore pensare che gli Stati Uniti siano talmente potenti che tutti gli eventi importanti del mondo ruotino attorno ad essi. Tale approccio ignora la grande trasformazione che costituisce il passaggio da un mondo bipolare conflittuale a un mondo multipolare. Questa trasformazione iniziò ben prima della fine della guerra fredda, trovando la sua origine nelle disuguaglianze di sviluppo, e il suo limite nella logica del confronto tra due blocchi.

La fine della guerra indebolì notevolmente i legami che univano la maggior parte dei paesi del mondo a una delle due superpotenze. La fine del Patto di Varsavia ha alienato i paesi dell’Europa centrale e orientale dalla Russia. Ciò è ancora più evidente con gli ex membri dell’URSS che sono diventati indipendenti. Anche, ma meno ovviamente, gli Stati Uniti hanno visto allontanarsi gli ex alleati. In particolare, i paesi dell’Europa occidentale adottarono un atteggiamento più indipendente, poiché la loro sicurezza non dipendeva più dall’”ombrello nucleare” americano. Allo stesso modo, il Giappone ha poi preso, in una certa misura, una maggiore indipendenza politica e militare.

È significativo, a questo proposito, notare che i paesi che non erano direttamente coinvolti nello scontro tra i due blocchi, una volta finita la guerra, mostravano una maggiore autonomia. Tale osservazione vale soprattutto per la Cina, divenuta rapidamente una grande potenza economica, nonché per i nuovi sindacati di integrazione in Asia, Oceania e Sud America.

Molti pensavano che una volta terminato il confronto ideologico e politico, non ci sarebbero più state tensioni tra gli stati un tempo rivali. Questo non accade. Anche se la situazione cambia, le mentalità restano.

Gli stereotipi che formavano il quadro di pensiero degli statisti della Guerra Fredda non sono scomparsi, nonostante l’eliminazione di missili strategici e migliaia di carri armati.

All’epoca non parlai male dei miei predecessori a causa delle mie convinzioni personali. Non voglio farlo oggi. Ma, per capire meglio lo stato d’animo che regnava all’interno del Ministero degli Affari Esteri negli anni ’90, vi parlerò di una conversazione tra il ministro russo e l’ex presidente americano. Lo ha rivelato Dimitri Simes, presidente del Nixon Center. Nixon stava chiedendo a Kozyrev di spiegare i nuovi obiettivi della Russia. Kozyrev ha poi risposto: “Vede, signor Presidente, uno dei problemi dell’Unione Sovietica era l’eccessiva enfasi sugli interessi nazionali. Ora pensiamo al bene di tutta l’umanità. D’altra parte, se ti capita di sapere come definire gli interessi nazionali, ti sarei grato se me lo spiegassi”. Nixon si è quindi sentito “non molto a suo agio” e ha chiesto cosa ne pensasse il signor Simes di questa conversazione. Simes ha risposto: “Il ministro russo è favorevole agli Stati Uniti, ma non sono sicuro che comprenda appieno la natura e gli interessi del suo Paese. Questo, un giorno, causerà problemi a entrambi i paesi”. Nixon ha poi risposto: “Quando ero vicepresidente, poi presidente,figlio di puttana e che avrei combattuto per gli interessi americani. Quest’uomo si presenta come una persona molto ben intenzionata e comprensiva, in un momento in cui l’URSS si sta disintegrando e la nuova Russia deve essere difesa e rafforzata.

C’erano molti nel MFA che dividevano il mondo in due parti: il civile e la “feccia” (“шпана”). Pensavano che avremmo avuto successo stringendo alleanze strategiche con i “civilizzati”, vale a dire i nemici della guerra fredda, accettando di avere un ruolo di supporto. Questa è stata una scommessa rischiosa poiché anche molti politici americani lo volevano. I Segretari di Stato e gli ex assistenti del Presidente americano volevano che Washington dominasse le relazioni Mosca/Washington. Così nel 1994 Zbigniew Brzezinski dichiarò: “D’ora in poi è impossibile collaborare con la Russia. Un alleato è un Paese pronto ad agire con noi in modo reale e responsabile. La Russia non è un alleato. Lei è una cliente”.

Certo, le relazioni con l’Occidente, e soprattutto con gli Stati Uniti, sono sempre state di grande importanza. Ma il nostro Paese non deve dimenticare i propri interessi e seguire il cambiamento storico verso un mondo multipolare. Dobbiamo preservare i nostri valori e le nostre tradizioni, acquisite nel corso della storia russa, anche durante il periodo imperiale e sovietico.

C’è una regola molto antica: i nemici non sono permanenti mentre lo sono gli interessi nazionali. Questa idea ha guidato e guida ancora oggi la politica estera della maggior parte dei paesi del mondo. D’altra parte, in epoca sovietica, abbiamo dimenticato questa massima e gli interessi nazionali sono stati talvolta sacrificati a sostegno degli “amici permanenti” e nella lotta contro i “nemici permanenti”.

Oggi, dopo la Guerra Fredda, la Russia, come altri paesi, ha il diritto di garantirne la sicurezza, la stabilità, l’integrità territoriale, di ricercare il progresso economico e sociale, di lottare contro le influenze esterne che potrebbero cercare di dividere la Russia e gli altri membri del ” Comunità degli Stati Indipendenti” [ex membri dell’URSS].

Coloro che vogliono avvicinare Russia e Occidente credono che l’unica alternativa sia un graduale ritorno al confronto. Questo non è vero.

Da un lato, la Russia deve cooperare in modo equo con le altre potenze e cercare interessi comuni per rafforzare la cooperazione in determinati settori. D’altra parte, nelle aree in cui gli interessi divergono, la Russia deve difendere i propri interessi evitando il confronto. Questa è la logica della politica estera russa in questo dopoguerra. Se si trascura l’esistenza di interessi comuni, probabilmente si verificherà una nuova guerra fredda.

Alcuni credono che la Russia non possa gestire una politica estera proattiva. Secondo loro, è necessario occuparsi degli affari interni, rafforzare l’economia, realizzare la riforma militare e poi entrare con notevole peso sulla scena internazionale. Ma questo punto di vista non regge al controllo. Soprattutto, sarà difficile per la Russia realizzare questi cambiamenti cruciali e mantenere la sua integrità territoriale senza una politica estera attiva. La Russia non è indifferente al ruolo che svolgerà nell’economia mondiale aprendo i suoi confini ai prodotti stranieri. Diventerà un fornitore discriminato di materie prime o un partner alla pari? Rispondere a questa domanda è anche una questione di politica estera.

Dopo il periodo degli scontri, è comunque importante che la Russia garantisca sicurezza e stabilità, all’interno dei suoi confini, ma anche nelle regioni limitrofe.

Se abbandona la politica estera attiva, non è possibile per la Russia mantenere la possibilità di tornare sulla scena mondiale come un paese potente. Le relazioni internazionali detestano il vuoto. Se un paese si disimpegna dai processi globali, verrà rapidamente sostituito. Se la Russia vuole rimanere una delle principali potenze, deve agire su tutti i fronti. Consideriamo gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina, il Giappone, l’India, i paesi del Medio Oriente, l’Asia, l’Oceania, il Sud America e l’Africa.

Ne siamo capaci? Naturalmente, è difficile raggiungere il successo su tutti i fronti con le nostre risorse limitate. Ma possiamo perseguire una politica estera attiva grazie alla nostra influenza politica, alla nostra posizione geografica, alla nostra appartenenza al club nucleare, al nostro status di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla nostra tradizione scientifica, alle nostre capacità economiche e alla nostra industria militare di punta .

Inoltre, la maggior parte dei paesi non desidera accettare la visione di un singolo paese. L’ho sentito durante i miei viaggi in Medio Oriente, Israele, Cuba, Brasile, Argentina e altri paesi centroamericani. I leader del Venezuela e del Messico mi hanno detto candidamente che vorrebbero vedere più presenza russa sulla scena mondiale per controbilanciare le conseguenze negative delle tendenze unipolari.

Infine, un paese come la Russia non può trascurare la crescente interdipendenza dei poteri.

La diversificazione dei partenariati della Russia consentirà al Paese di rafforzare la propria stabilità e sicurezza. La fine del confronto ideologico tra i due poli è diventata il punto di partenza per un mondo stabile e prevedibile a livello globale. Sebbene profonda, questa trasformazione non rende nemmeno impossibili i conflitti etnici regionali. D’altra parte, li ha resi meno probabili. Siamo tutti colpiti dall’ondata di attacchi terroristici che stiamo vivendo. Allo stesso modo, si stanno diffondendo armi di distruzione di massa. Ma questi fenomeni sono comparsi durante la Guerra Fredda, prima della comparsa della collaborazione multipolare.

La capacità della comunità internazionale di superare questi nuovi pericoli, minacce e sfide dell’era del dopo Guerra Fredda dipenderà soprattutto dai rapporti tra le maggiori potenze.

Per la transizione verso un nuovo ordine mondiale (миропорядок) sono necessarie le due condizioni seguenti.

Primo. Le divisioni di ieri non devono essere aggiornate su nuovi argomenti. Ciò significa opporsi, a mio avviso, all’allargamento della NATO nei paesi che prima facevano parte del “Patto di Varsavia”, nonché ai tentativi di trasformare la NATO nel principio del nuovo sistema mondiale. La sanguinosa operazione della NATO in Jugoslavia lo dimostra. Tale operazione è stata effettuata senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si è svolta al di fuori dei confini dei paesi membri ed era estranea alla garanzia della sicurezza dei paesi membri della NATO.

La comparsa di nuovi soggetti di conflitto può minacciarci, non solo in Europa, ma ovunque. L’evidente rifiuto dell’estremismo da parte di alcuni gruppi islamici dovrebbe incoraggiare a non considerare l’intero mondo musulmano come un nemico della civiltà contemporanea.

Ovviamente dobbiamo opporci fermamente alle forze estremiste e terroristiche, che sono pericolose soprattutto se gli Stati le appoggiano. Dobbiamo fare di tutto per impedire agli Stati di aiutare i gruppi terroristici.

Ovviamente è urgente elaborare nel quadro dell’ONU una convenzione generale che privi i terroristi dell’asilo politico. Tuttavia, le sanzioni non dovrebbero essere utilizzate per punire paesi o rovesciare regimi che non ci piacciono. È già chiaro che le operazioni militari contro i regimi nemici sono dannose, indipendentemente dal fatto che quei regimi supportino o meno i creatori di caos che sconvolgono il mondo. È molto più efficace sostenere iniziative pacifiche.

In secondo luogo, per andare verso un nuovo ordine universale e affrontare i pericoli reali, la comunità mondiale deve lavorare insieme in modo giusto. Affinché gli sforzi siano ben coordinati, devono essere messi in atto meccanismi efficaci.

È importante elaborare la dottrina (кредо) del Ministero degli Affari Esteri cercando di rispondere al seguente problema. Tutti sanno che la politica estera è legata alla politica interna. Ma ciò non implica che debba essere attuato per favorire determinate forze politiche. Allo stesso modo, non può essere utilizzato per scopi elettorali. Il ministro degli Esteri, indipendentemente dalle sue preferenze politiche, non dovrebbe dividere la società russa. Sono sicuro che la politica estera deve basarsi sull’accordo dei partiti politici. Deve essere nazionale e non partecipare a rivalità politiche, difendendo i valori che sono vitali per l’intera società.

Ho presentato queste idee e principi al presidente [Boris Eltsin] che ne era convinto. Mi ha detto: “Dovresti lavorare di più con il Parlamento, con i leader dei partiti politici”. Ho capito che non voleva tenermi al guinzaglio. Ma ho ritenuto che spettasse al presidente decidere la nostra politica estera e al ministro degli Esteri essergli fedele. D’altra parte ho capito che il presidente si fidava di me e non voleva trattenermi nelle mie iniziative.

FONTI
  1. Questo documento è stato originariamente pubblicato nel 1998 sulla rivista International Life (“Международная жизнь”) del ministero degli Esteri russo. È dedicato al Consigliere Gorchakov, Cancelliere di Stato al tempo dell’Impero russo. È stato incluso in una raccolta di opere di Primakov intitolata Meetings at the Crossroads (“Встречи на перекрестках”) nel 2015.

 

CREDITI
I commenti sono stati tratti dalla traduzione inedita della conferenza di Henry Kissinger al Fondo Gorchakov di Mosca sulle relazioni Russia/Stati Uniti.

HENRY KISSINGER

Dal 2007 al 2009, Evgeny Primakov ed io abbiamo presieduto un gruppo di ministri in pensione, alti funzionari e capi militari dalla Russia e dagli Stati Uniti, alcuni dei quali sono con noi oggi. Il suo scopo era di appianare i punti difficili nelle relazioni USA-Russia ed esplorare le possibilità di approcci cooperativi. In America, questo gruppo è stato descritto come Track II, cioè bipartisan e incoraggiato dalla Casa Bianca a riflettere, ma non a negoziare per suo conto. Abbiamo organizzato incontri in ciascuno dei due paesi, in alternativa. Il presidente Putin ha ricevuto il gruppo a Mosca nel 2007 e il presidente Medvedev nel 2009. Nel 2008, il presidente George W.

Tutti i partecipanti hanno ricoperto posizioni di alta responsabilità durante la Guerra Fredda. Durante i periodi di tensione, hanno affermato l’interesse nazionale del loro paese. Ma hanno anche compreso, informati dall’esperienza, i pericoli della tecnologia che minacciano la vita civile e si muovono in una direzione che, in una situazione di crisi, potrebbe distruggere tutta la vita umana organizzata. Il mondo attraversava delle crisi, alle quali la differenza delle culture e l’antagonismo delle ideologie portavano una certa grandezza.

In questo lavoro, Yevgeny Primakov è stato un partner indispensabile. La sua mente acuta e analitica, arricchita da una comprensione globale delle tendenze del nostro tempo, acquisita negli anni trascorsi vicino, poi, infine, al centro del potere, ma anche la sua grande devozione al suo paese, hanno permesso di affinare il nostro pensiero e per contribuire alla ricerca di una visione comune. Non siamo sempre stati d’accordo, ma ci siamo sempre rispettati. Manca a tutti noi, e in particolare a me come collega e amico.

HENRY KISSINGER

Alla fine della Guerra Fredda, russi e americani hanno immaginato una partnership strategica sulla base delle loro recenti esperienze. Gli americani si aspettavano che un periodo di minore tensione avrebbe portato a una cooperazione produttiva su questioni globali. L’orgoglio che i russi avevano nella modernizzazione del loro paese fu ferito dalle difficoltà causate dalla trasformazione dei loro confini e dalla scoperta dei compiti erculei che restavano loro da compiere per ricostruire e ridefinire la loro nazione. Molti, da entrambe le parti, hanno capito che i destini della Russia e degli Stati Uniti non potevano essere separati. Preservare la stabilità e prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa è diventato ogni giorno più necessario.

Si aprivano nuove prospettive per gli scambi economici, per gli investimenti e, ciliegina sulla torta, per la cooperazione energetica.

HENRY KISSINGER

Non c’è bisogno che ti dica che i nostri rapporti oggi sono molto peggiori di dieci anni fa. In effetti, sono probabilmente peggio di quanto non fossero prima della fine della Guerra Fredda. La fiducia reciproca si è dissipata da entrambe le parti. Il confronto ha sostituito la cooperazione. So che negli ultimi mesi della sua vita Evgeny Primakov ha cercato il modo di superare questo stato di cose che lo preoccupava. Onoreremo la sua memoria facendo nostra questa ricerca.

HENRY KISSINGER

Forse il problema più importante era il baratro abissale tra due concezioni della storia. Per gli Stati Uniti, la fine della Guerra Fredda ha rafforzato, per così dire, la sua profonda convinzione nell’inevitabilità della rivoluzione democratica. Prefigurava l’estensione di un sistema internazionale governato principalmente da norme di diritto. Ma l’esperienza storica russa è più complessa. Per un Paese il cui territorio subisce da secoli invasioni militari, provenienti da Est o da Ovest, la sicurezza deve basarsi, sicuramente su basi legali, ma soprattutto sulla geopolitica. Da quando il confine, baluardo di sicurezza, è stato spostato dall’Elba di 1000 km in direzione di Mosca, la percezione russa dell’ordine del mondo non può prescindere da una dimensione strategica.

HENRY KISSINGER

Così, e in modo paradossale, ci troviamo nuovamente di fronte a un problema essenzialmente filosofico. Come possono andare d’accordo gli Stati Uniti con la Russia, che non ne condivide affatto i valori, ma che è un elemento essenziale dell’ordine internazionale? Come può la Russia garantire la sua sicurezza senza allarmare i suoi vicini e farsi nemici? La Russia può ottenere un posto negli affari mondiali senza disturbare gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti possono difendere i propri valori senza che le persone credano di volerli imporli? Non cercherò di rispondere a tutte queste domande, ma piuttosto incoraggerò la loro esplorazione.
Molti commentatori, sia russi che americani, hanno affermato che la cooperazione tra i due paesi per creare un nuovo ordine internazionale è impossibile. Per loro, gli Stati Uniti e la Russia sono entrati in una nuova Guerra Fredda.
Oggi il pericolo non è tanto un ritorno allo scontro militare quanto continuare a credere, da una parte o dall’altra, in una profezia che si autoavvera. Gli interessi a lungo termine di entrambi i paesi ci invitano a creare un mondo in cui i problemi fluttuanti del giorno lasciano il posto a un nuovo equilibrio, sempre più multipolare e globalizzato.

HENRY KISSINGER

In un paese come nell’altro, il discorso prevalente consiste nel porre tutte le responsabilità sull’altro. Allo stesso modo, in entrambi i paesi c’è la tendenza a demonizzare, se non l’altro paese, almeno i suoi leader. Mentre i problemi di sicurezza nazionale continuano ad emergere, sono riemersi sospetti e sfiducia, ereditati dai periodi più tesi della Guerra Fredda. Questi sentimenti furono accresciuti dal ricordo del primo decennio post-sovietico, durante il quale la Russia stava attraversando un’incredibile crisi economica e politica, mentre gli Stati Uniti gioivano per la continua crescita economica e per un lungo periodo senza precedenti. Tutto ciò ha alimentato divergenze politiche, su temi come i Balcani, i territori ex sovietici, il Medio Oriente,

HENRY KISSINGER

Siamo di fronte a un nuovo tipo di pericolo. Fino a tempi molto recenti, la messa in pericolo dell’ordine internazionale andava di pari passo con l’accumulo di potere da parte di uno Stato dominante. Oggi, le minacce derivano piuttosto dal fallimento delle strutture statali e dal numero crescente di stati senza leader. Il problema del fallimento del potere, che si sta diffondendo sempre più, non può essere risolto da uno Stato, per quanto grande, da una prospettiva esclusivamente nazionale. Richiede una cooperazione continua tra Stati Uniti, Russia e altre potenze. Di conseguenza, la rivalità tra paesi nella risoluzione dei conflitti tradizionali, in un sistema interstatale, deve essere limitata affinché questa rivalità non vada oltre i limiti e non crei un precedente.

HENRY KISSINGER

Negli anni ’60 e ’70, le relazioni internazionali per me si sono ridotte a una relazione conflittuale tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. L’evoluzione della tecnologia ha fatto sì che una visione strategica stabile potesse essere attuata dai due paesi, pur mantenendo la loro rivalità in altri settori. Da allora il mondo è cambiato profondamente. In particolare, in un mondo multipolare in divenire, la Russia dovrebbe essere vista come un elemento essenziale di qualsiasi equilibrio globale e non, soprattutto, come una minaccia per gli Stati Uniti.

Ho trascorso la maggior parte degli ultimi settant’anni impegnato in un modo o nell’altro nelle relazioni USA-Russia. Sono stato al centro delle decisioni quando sono scoppiate le crisi e nelle celebrazioni congiunte durante i successi diplomatici. I nostri paesi e i popoli del mondo hanno bisogno di una prospettiva più sostenibile.

HENRY KISSINGER

Purtroppo, gli sconvolgimenti del mondo hanno avuto la meglio sull’intelligence politica. Ne è un simbolo la decisione presa da Yevgeny Primakov, che, in qualità di Primo Ministro volando a Washington attraverso l’Atlantico, ha preferito voltarsi e tornare a Mosca per protestare contro l’inizio delle manovre militari della Nato in Jugoslavia. Le nascenti speranze che hanno fatto della stretta cooperazione contro Al-Qaeda e talebani in Afghanistan il primo passo di un partenariato più profondo, hanno sofferto il magma dei conflitti in Medio Oriente, prima di essere schiacciate dalle operazioni militari russe nel Caucaso nel 2008, poi in Ucraina nel 2014. I recenti tentativi di trovare punti di accordo sul conflitto siriano e di rilassare la mente delle persone sulla questione ucraina non sono stati in grado di contrastare un crescente sentimento di estraneità.

HENRY KISSINGER

Sappiamo che ci aspettano un certo numero di soggetti divisivi, come l’Ucraina o la Siria. Negli ultimi anni, i nostri paesi hanno occasionalmente discusso di questi argomenti senza fare progressi di rilievo. Ciò non sorprende, perché le discussioni si sono svolte al di fuori di un quadro globale. Tutti questi problemi specifici sono l’espressione di un problema più ampio. L’Ucraina deve far parte della sicurezza internazionale ed europea, per fungere da ponte tra la Russia e l’Occidente, e non da avamposto dell’uno o dell’altro. Per quanto riguarda la Siria, sembra ovvio che le fazioni locali e regionali non riescano da sole a trovare una soluzione. D’altra parte, gli sforzi congiunti USA-Russia, accompagnati dal coordinamento con le altre grandi potenze, potrebbero aprire la strada a soluzioni pacifiche,

HENRY KISSINGER

Qualsiasi sforzo dedicato al miglioramento di queste relazioni deve lasciare spazio alla consultazione sugli equilibri del mondo a venire. Quali sono le tendenze che sfidano l’ordine di ieri e plasmano quello di oggi? Quali sono le sfide poste da questi cambiamenti agli interessi sia della Russia che dell’America? Quale ruolo vuole svolgere ciascun paese nella costruzione di questo ordine, e quanto ci si può ragionevolmente aspettare che sia importante? Come possiamo conciliare le visioni del mondo radicalmente diverse che sono emerse in Russia e negli Stati Uniti – così come in altre grandi potenze – sulla base della loro esperienza storica? L’obiettivo dovrebbe essere quello di concettualizzare le relazioni UE/Russia in una visione strategica all’interno della quale potrebbero essere risolte questioni controverse.

HENRY KISSINGER

Sono qui per difendere la possibilità di un dialogo che cerchi di unire il nostro futuro piuttosto che giustificare i nostri conflitti. Ciò richiede che ciascuna parte rispetti i valori fondamentali e gli interessi dell’altra. Tali obiettivi non possono essere raggiunti entro il termine dell’attuale amministrazione. Ma la loro ricerca non dovrebbe essere ritardata dalla politica interna statunitense. Saranno raggiunti solo grazie alla volontà comune di Washington e Mosca, della Casa Bianca e del Cremlino, di andare oltre le lamentele e il sentimento di persecuzione per resistere alle grandi sfide che attendono i nostri due Paesi negli anni a venire futuro.

Il futuro del concetto strategico della NATO, Di  Antonia Colibasanu

Il futuro del concetto strategico della NATO

Il dibattito che porta a nuovi documenti è importante quanto i documenti stessi.

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Il 2022 porterà due importanti eventi diplomatici per la comunità transatlantica. In primo luogo, a marzo, l’Unione europea adotterà la sua bussola strategica, un documento destinato a stabilire una visione comune sulla sicurezza e la difesa dell’UE e quindi a definire, per quanto vagamente, la nozione di “autonomia strategica” dell’Europa. Quindi, al vertice di Madrid di giugno, la NATO adotterà il suo nuovo Concetto strategico, che definisce la strategia dell’alleanza, delineandone lo scopo e i compiti fondamentali in materia di sicurezza e identificando le sfide e le opportunità che deve affrontare nel mutevole contesto di sicurezza. E come tutti questi documenti, servono anche a uno scopo politico in quanto segnalano al mondo come l’UE e la NATO vedono la difesa, la sicurezza e i legami transatlantici.

Ma il dibattito che porta alla firma dei documenti è più importante della formulazione finale. Le questioni sollevate da ora in poi e le discussioni sulle loro risposte dipingono una nuova realtà europea che sta prendendo forma, che potrebbe lasciare il posto a un aumento del bilateralismo oa uno stretto coordinamento regionale all’interno della NATO e tra specifici Stati membri su questioni strategiche fondamentali.

Il passato

La fine della Guerra Fredda ha offerto alla NATO e all’UE un’opportunità unica di espandersi verso est. I costi per farlo erano minimi, i benefici della globalizzazione erano molti e l’assenza di uno sfidante regionale lo rendeva relativamente sicuro. Ma poiché la Russia e la Cina sono diventate potenze regionali e la crisi economica del 2008 ha messo in luce le debolezze della globalizzazione, l’UE e la NATO hanno dovuto adattarsi alle nuove realtà globali.

L’UE ha risposto ristrutturandosi come meglio poteva, un processo complicato dalla lotta per mantenere il consenso tra membri che non condividono molti interessi. La NATO, un’organizzazione militare dominata da una potenza non europea, si è adattata sviluppando funzioni politiche che assicurano la collaborazione e il coordinamento degli Stati membri e, dal 2008, un focus pratico sulla costruzione del suo fianco orientale e della linea di contenimento tra il Baltico e il il mare nero.

Durante quel periodo, la definizione di “difesa e sicurezza” è diventata molto diversa per l’Europa orientale e occidentale. Una Russia risorgente era una questione di sicurezza nazionale per gli stati membri dell’UE orientale, quindi hanno speso di più per aumentare le capacità militari della NATO. Gli stati membri occidentali dell’UE hanno lottato con problemi economici e flussi migratori dall’Africa e dal Medio Oriente, cose su cui la NATO può fare poco. Nel frattempo, la realtà della Cina che diventa una potenza regionale in Asia ha aumentato le preoccupazioni degli Stati Uniti per il Pacifico. Questo, a sua volta, ha fatto sì che Washington chiedesse agli europei di alzare il tiro nella NATO e garantire la propria sicurezza. Con un Regno Unito post-Brexit che cerca di rinnovare i legami con il Commonwealth e si interessa maggiormente anche al Pacifico,

La Francia ha proposto che l’UE sviluppi una posizione comune in materia di sicurezza e difesa. La Francia manterrà la presidenza di turno dell’UE nei primi sei mesi del 2022 e il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il 9 dicembre che tra le priorità francesi per i prossimi mesi c’è quella di aumentare la capacità dell’UE di difendere i propri confini. Contestualmente, il presidente della Commissione europea ha annunciato una conferenza sulla difesa in vista della firma di Strategic Compass a marzo. Più volte, il termine “autonomia strategica” è emersa come la soluzione per costruire la sicurezza e la difesa dell’UE. Aspettati che faccia lo stesso nei prossimi mesi.

Il presente

È un concetto importante perché, come abbiamo detto prima, gli Stati membri hanno minacce diverse. Alcune di queste minacce cambiano – in effetti, molte lo hanno fatto a causa della fragilità e dell’incertezza dell’economia globale post-2008 – ma altre no. Alcuni sono mitigati in modo più appropriato da un’istituzione piuttosto che da un’altra. Ad esempio, la natura delle minacce contro l’Europa orientale, e per estensione contro gli Stati Uniti, implica una crescente influenza russa, compreso un rafforzamento militare, a est. La soluzione per una tale minaccia riguarda la difesa e la deterrenza e quindi rientra nell’ambito della NATO piuttosto che dell’UE. Gli europei occidentali e meridionali stanno affrontando problemi di sicurezza socio-economica, qualcosa che rientra nell’ombrello dell’UE e chiede a Bruxelles di fornire una soluzione.

Non sorprende che il dibattito sul Concetto strategico e sul significato di autonomia strategica sarà una funzione degli interessi divergenti dei membri. E la risoluzione è ancora più complessa di quanto appaia a prima vista. Per prima cosa, il contesto di sicurezza in Europa si sta deteriorando grazie in parte ai problemi socioeconomici, compresa la migrazione, causati dalla pandemia di COVID-19. Questi problemi interesseranno in modo diverso i diversi paesi dell’UE, il che significa che il processo di negoziazione tra ovest e est e nord e sud deve garantire un equilibrio tra gli interessi di tutti gli Stati membri.

Poi ci sono gli Stati Uniti, che hanno di gran lunga l’esercito più forte di tutti i membri della NATO. C’è una crescente pressione negli Stati Uniti affinché Washington risolva alcuni problemi da sola. Gli europei devono assicurarsi che gli Stati Uniti possano mantenere la loro garanzia di sicurezza all’Europa oltre il fianco orientale, dove Washington ha un interesse strategico a frenare l’influenza russa. Promettere di aumentare la spesa per la difesa, come hanno fatto molti membri, è un buon modo per mantenere impegnati gli Stati Uniti, ma funziona solo per così tanto tempo. L’Europa è quindi sotto pressione per spendere soldi veri in misure di difesa reali in un momento economicamente difficile.

Terzo, tutti nella NATO e in Europa hanno interessi diversi nell’Indo-Pacifico. La Francia, ad esempio, si è apertamente lamentata del fatto che il Regno Unito lavora contro i suoi interessi nel Pacifico, pur ammettendo che l’UE dovrebbe collaborare con il Regno Unito su tutte le questioni relative alla migrazione. Il Regno Unito ha sostenuto e ha persino contribuito alla formazione del fianco orientale. Inoltre, le relazioni dell’Europa con la Cina stanno plasmando la politica nell’Indo-Pacifico – e mentre la maggior parte degli stati dell’Europa orientale sono al fianco degli Stati Uniti, non tutti lo sono.

Infine, e forse la cosa più importante, c’è la semantica, perché con la semantica vengono le interpretazioni politiche. Ci sono importanti distinzioni tra i significati francese e inglese della parola “autonomia”, che hanno già creato tensioni e incomprensioni. Gli anglofili – coloro che preferiscono l’inglese come lingua preferita (in questo gruppo contano gli europei dell’est) – intendono l’autonomia come “indipendenza” nel senso di uguaglianza con gli altri giocatori, mentre i francofili la intendono come “autorità” o “decentramento”, nel senso di autogoverno in materia di difesa. In effetti, costruire un “esercito europeo” o una difesa europea “sovrano” che sia completamente indipendente e uguale agli Stati Uniti rimane impossibile per molti anni a venire. Autonomia, nel senso francofilo di costruire un ruolo europeo più forte nel quadro dell’Alleanza atlantica, può essere visto come una metafora per una maggiore responsabilità europea. Ciò sarebbe particolarmente utile se gli europei avessero l’ambizione, come hanno suggerito attraverso recenti discorsi e documenti, di agire come credibili primi soccorritori di fascia alta dentro e intorno all’Europa in un’emergenza in cui le forze statunitensi potrebbero essere impegnate altrove entro il 2030.

Il dibattito sulla semantica sta sollevando un’altra domanda: stiamo parlando di UE o di responsabilità strategica europea? Il modo in cui è strutturata la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’UE consente all’UE di intraprendere modestamente operazioni di risposta alle crisi. Scenari impegnativi di impegno e deterrenza necessitano del sostegno della NATO, così come degli Stati Uniti e del Regno Unito Pertanto, se l’autonomia strategica deve essere costruita sulle fondamenta della PSDC, sarebbe necessario rafforzare le relazioni pratiche stabilite tra PSDC e così- chiamati paesi terzi. Ciò stabilirebbe il meccanismo affinché l’UE possa accedere alle risorse e alle strutture della NATO. Ma è probabile che tali discussioni siano complesse poiché farebbero riferimento a modalità pratiche che renderebbero operativo il partenariato NATO-UE.

Il futuro

Affinché l’autonomia strategica europea o la responsabilità europea crescano all’interno della NATO come propone la Francia, Parigi deve assicurarsi il consenso di Londra e Berlino. Il nuovo governo tedesco ha suggerito che manterrà l’impegno della NATO in investimenti per la difesa e che è dedicato ai piani della NATO. Berlino sarà la prima a preoccuparsi dell’interpretazione politica del termine autonomia ea sottolineare la necessità dell’unità dell’Europa. Per la Germania, qualsiasi discussione sulla “sovranità” europea è accettabile se è collegata alla NATO e alle sue capacità di difesa. Il Regno Unito, nel frattempo, sta negoziando la sua posizione con l’UE e sta cercando di costruire legami bilaterali con paesi europei come la Polonia e altri al di fuori dell’Europa, ma è convinto che l’Europa debba aumentare la sua responsabilità strategica all’interno della NATO dallo status quo operativo del alleanza.

Di tutti i membri della NATO, gli Stati Uniti sono i più interessati a un’Europa più strategicamente responsabile. Washington lo ha detto fin dall’amministrazione Obama. I vantaggi sono abbastanza evidenti. Gli europei potrebbero assumersi maggiori responsabilità per il Mediterraneo occidentale e parti del Nord Africa e rendere possibile la difesa collettiva senza la necessità che le divisioni americane si precipitino in soccorso. E anche se le discussioni in corso falliscono, prevarranno le relazioni bilaterali o le alleanze regionali sia all’interno dell’UE che della NATO.

Il dibattito intorno al Concetto strategico della NATO, insieme a quello sull’autonomia strategica europea, è complesso e impegnativo. Considerando gli attuali problemi socio-economici che gli Stati Uniti e l’Europa stanno affrontando, non solo è difficile raggiungere il consenso, data la moltitudine di questioni che i paesi stanno affrontando, ma è anche difficile che le discussioni vengano interpretate allo stesso modo. Tuttavia, se il dibattito porta a un compromesso che faciliti una maggiore responsabilità europea attraverso l’autonomia strategica, promette l’opportunità di un rinnovato legame tra Stati Uniti ed Europa.

https://geopoliticalfutures.com/the-future-of-natos-strategic-concept/

Le guerre e i fallimenti dell’America_Di  George Friedman

Le guerre e i fallimenti dell’America

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Sessant’anni fa, nel 1962, gli Stati Uniti presero la decisione di entrare in guerra in Vietnam, schierando per la prima volta in battaglia importanti forze aeree e di terra. Questa era una frazione degli uomini e degli aerei che sarebbero serviti lì negli anni a venire. Era una linea che l’amministrazione Kennedy si rese conto di attraversare. Ha visto il coinvolgimento degli Stati Uniti come una mossa minore, persino sperimentale. Ma quando una nazione manda i suoi soldati in guerra, una logica prende piede. Quando gli uomini muoiono, la nazione presume che sia per un interesse vitale. I leader non possono dichiarare l’esperimento un fallimento perché non possono ammettere di aver sperimentato la vita dei soldati. Una morte richiede una ragione degna, e stabilire che la morte non è stata vana è incompatibile con “tagliare e scappare”, nelle parole di Lyndon B. Johnson. L’intervento è difficile. Il ritiro sotto tiro è agonia.

Per capire la strategia americana dal 1962 ad oggi, dobbiamo capire cosa vedeva e pensava John F. Kennedy quando prese il primo grande impegno. Kennedy è stato creato dalla seconda guerra mondiale, e anche i militari più anziani lo erano. Nella seconda guerra mondiale, l’America ha capito il suo nemico. La Germania era governata da Hitler, e Hitler e i suoi subordinati erano intelligenti, spietati e come noi nel combattere una guerra di macchine e industria. Abbiamo capito che Hitler era un tiranno senza principi. Il Giappone era un impero governato da un governo brutale e, come abbiamo visto in Cina, combattenti spietati. Sapevamo anche che, come i tedeschi e gli americani, stavano combattendo una guerra industriale. Conoscevamo il nemico, non ne sottovalutavamo mai la forza, e facevamo coincidere la nostra guerra con la produzione industriale. Conoscevamo il valore degli alleati, gli usi delle portaerei e dei carri armati, e come addestrare gli uomini alla guerra. Abbiamo imparato questo e altro. E avremmo combattuto fino alla fine, senza quartiere né chiesto né dato.

Gli Stati Uniti hanno superato il Vietnam del Nord e il Viet Cong in ogni misura che ha vinto la seconda guerra mondiale. Non ci rendevamo conto di non aver capito il nostro nemico. Non erano industriali, né erano divisi tra comunisti e una serie di fazioni. Chiaramente i non comunisti del sud odiavano la tirannia del nord. La popolazione anticomunista doveva essere mobilitata e armata con le migliori attrezzature e la bandiera degli Stati Uniti, insieme a quella vietnamita, avrebbe sorvolato Hanoi. La folla nel sud si allineava sulle strade accogliendo gli americani anche se gli Stati Uniti non prendessero Hanoi. Lo scopo dell’intelligence è prevedere cosa faranno gli altri, e proprio come la CIA non è riuscita a capire le conseguenze della Baia dei Porci, non ha capito il Vietnam. Anch’esso era bloccato nella seconda guerra mondiale.

Il Vietnam non era la SS che combatteva contro i Maquis (combattenti della Resistenza francese). Il Vietnam era diviso per trattato, ma era un paese. I comunisti si erano impossessati del nord ei non comunisti governavano il sud. I non comunisti venivano in molte forme, ma l’unica cosa che condividevano con i comunisti del nord era che erano vietnamiti. Non erano scioccati da un regime comunista repressivo quanto dal pensiero di una guerra civile vietnamita, che è ciò che gli americani stavano vendendo, che la chiamassero così o meno. Non volevano combattere altri vietnamiti. Quello che volevano era essere lasciati soli. I vietnamiti non vedevano gli americani come liberatori e protettori. Li vedevano come consegnare i terrori della guerra industriale. Dopo aver sopportato l’occupazione francese e l’oppressione dei vietnamiti che i francesi avevano elevato a governanti fantoccio, non avrebbero scelto tra un nuovo imperialismo e una dittatura comunista. Ciò non significava che l’anticomunismo non fosse presente, né che molti non vedessero gli americani come una forza amica. Significava che le passioni dei vietnamiti erano divise, complesse e volubili.

Gli americani hanno commesso tre errori. La prima era che pensavano che, come in Belgio, il loro arrivo in Vietnam sarebbe stato accolto con gioia universale. Non lo sapevano perché la leadership non ha ascoltato l’intelligence.

In secondo luogo, non capivano il nemico comunista. I comunisti trassero gran parte della loro legittimità dall’aver cacciato i francesi. Il loro comunismo e nazionalismo erano legati. Questo era vero anche per il comunismo cinese di Mao e il discorso di Stalin in difesa della patria. Ci sono quelli che combattono per convinzioni astratte, ma molti di più che combattono per la loro patria. Non sono sicuro di quanti americani nella seconda guerra mondiale abbiano combattuto per la democrazia liberale o per l’America, ma sospetto che la protezione della patria abbia risuonato di più. Il Vietnam era stato governato da molti bruti, ma almeno i comunisti erano bruti vietnamiti. Erano comprensibili.

Infine, hanno combattuto la guerra dal punto di vista della percezione, in particolare della percezione del pubblico statunitense. Piuttosto che fare ciò che è stato fatto durante la seconda guerra mondiale, che era chiarire che questa sarebbe stata una guerra lunga e sanguinosa e quindi vincolare il pubblico alla verità, il governo ha cercato di allineare la strategia con l’idea che la vittoria si stava avvicinando e che le vittime sarebbero declino. Ciò significava che l’offensiva del Tet aveva infranto ogni fiducia. Si spera che mentire funzioni meglio quando la realtà collabora.

Gli Stati Uniti non hanno capito il loro nemico oi suoi amici. Temeva i comunisti meno dell’opinione pubblica americana. Nelle guerre, il momento più buio potrebbe essere appena prima del successo. Pensa alla battaglia delle Ardenne. Il momento più buio non poteva essere un momento come questo perché assurde pretese di successo non avevano preparato il pubblico americano ad esso.

Quando pensiamo di non capire il proprio nemico, di plasmare una guerra per non sconvolgere le falsità del conflitto, e di cercare di sopraffare con la guerra industriale un nemico che sta combattendo una guerra molto diversa, possiamo pensare anche alle guerre in Iraq e Afghanistan. Il nemico poteva o meno odiare il governo, ma un numero sufficiente di persone odiava gli americani perché non erano iracheni o afgani. L’ideologia e la religione hanno avuto un ruolo ma non sono state la chiave. C’era uno sconosciuto in casa loro e dovettero cacciarlo via.

Gli americani dovrebbero esserne consapevoli, perché la nostra rivoluzione è stata progettata per scacciare i superbi britannici, con le loro regole e regolamenti. La rivoluzione era impegnata nella Dichiarazione di Indipendenza, ma il vero nemico erano gli inglesi. Erano stranieri in casa nostra e dovettero essere espulsi. Il principio morale c’è, ma gli uomini muoiono per amore del proprio.

Ci sono poche guerre come la prima e la seconda guerra mondiale, grazie a Dio. Ragionare su come abbiamo vinto quei conflitti di solito porterà al fallimento in altre guerre. L’ondata di guerre americane dopo la seconda guerra mondiale e i loro risultati insoddisfacenti dovrebbero testimoniarlo. Andare in guerra e fallire rappresenta una leadership senza discernimento, con una fede irrazionale nelle proprie forze e un folle rifiuto della motivazione e dell’intelligenza del nemico. Anche se molti ci accolgono come liberatori, saranno questi fattori a determinare il nostro destino. Fortunatamente per l’America, è troppo ricca e forte per essere abbattuta da un fallimento. Ma è importante non sfidare la fortuna.

Le guerre sono necessarie e accadranno, ma dovrebbero iniziare come la seconda guerra mondiale: con paura e timore reverenziale nei confronti del tuo nemico. Qualsiasi altra cosa ti rende negligente. Come ha notato Tucidide, la guerra non può essere combattuta da una città divisa e spaventata. Ciò si è dimostrato vero in Vietnam, Iraq e Afghanistan. La domanda più importante non è mai stata posta: come trarrebbero vantaggio gli Stati Uniti dalla vittoria e quanto costerebbe la sconfitta? La sconfitta non è mai stata immaginata e il beneficio del successo è stato ampiamente sopravvalutato. Il mondo non è finito, né il potere americano. Ma temendo le conseguenze della sconfitta, rimandiamo l’inevitabile. Oggi gli Stati Uniti collaborano con il Vietnam contro la Cina. Ciò che allora era impensabile e insopportabile non lo è nemmeno oggi. Le guerre, quindi, dovrebbero essere rare e assolutamente necessarie.

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MASSIMO MORIGI LA LOGGIA “DANTE ALIGHIERI” NELLA STORIA DELLA ROMAGNA E DI RAVENNA NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE (1863 – 2003)* _________ I PARTE

Un lavoro inattuale di Massimo Morigi, quindi molto adeguato per i tempi attuali. Dalla prefazione dell’autore stesso: «Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022.»

Buona lettura.

Giuseppe Germinario

MASSIMO MORIGI LA LOGGIA “DANTE ALIGHIERI” NELLA STORIA DELLA ROMAGNA E DI RAVENNA NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE (1863 – 2003)* _________

I PARTE

*In frontespizio: Friedrich der Große nach der Schlacht bei Kolin von Julius Friedrich Anton Schrader (Federico il Grande dopo la battaglia di Kolin, di Julius Friedrich Anton Schrader, 1849)

Prefazione di inizio 2022 dell’autore ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” dopo circa un ventennio della non pubblicazione della Loggia “Dante Alighieri” nella storia della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863 – 2003 ) Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022 Massimo Morigi

La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 2

AI COMBATTENTI DEL BARKA Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 3

INDICE Pag. Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

a Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

b Capitolo 1 – GLI INIZI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

x Capitolo 2 – LA LOGGIA MASSONICA DANTE ALIGHIERI . . . . . . . . . . . . . . .

by Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … –

Capitolo 1

Pag. 4

INTRODUZIONE Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1

Pag. 5 PREFAZIONE

Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1

Pag. 6

Capitolo 1 GLI INIZI Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 7

Se neppure così ci riesci, sii almeno uno di coloro che ci credono: “Iddio innalzerà d’altri gradi coloro di voi che avran creduto e ricevuta la scienza”, e la scienza è al disopra della fede e l’esperienza al disopra della scienza. L’esperienza è emozione , la scienza è procedere per analogie, la fede è pura accettazione per conformismo. Abbi buona opinione di coloro che provano l’emozione o di coloro che posseggono la conoscenza. Sappi, ora che hai appreso quali sono i cinque spiriti, che tutti quanti sono luci, perché rendono palese ogni sorta di cosa esistente, sensibile e immaginaria. Al Ghazali, La nicchia delle luci

“PROCUL O PROCUL ESTE PROPHANI”, dovette sembrare un’esortazione molto a tono ai primi liberomuratori ravennati che intrapresero la sgrossatura della pietra grezza nei locali del monastero di S.Vitale, sulla cui architrave dell’entrata la ammonitrice formula con cui Virgilio dà voce alla sibilla che inizia Enea nel suo percorso nell’Averno respingendone però i compagni(… Via, via profani /gridò la profetessa, itene lunge / dal bosco tutto;e tu meco te n’entra.) il visitatore meno distratto (o meno intruppato nel mordi e fuggi del turismo di massa dei gruppi organizzati) può tuttora leggere traendone, come i primi massoni ravennati di inizio Ottocento ,il confortante pensiero che nella ricerca della parola perduta(o, se vogliamo esprimerci altrimenti, nella ricerca della libertà spirituale)siamo sempre da altri preceduti e guidati. Del resto, non solo le virgiliane reminiscenze poterono sembrare di buon augurio a questi ravennati “liberi e di buoni costumi” che per primi nella città degli Esarchi osarono sfidare la scomunica di Clemente XII (Papa Corsini, forse il Pontefice che attraverso i lavori di miglioramento del suo porto, più si adoperò per lo sviluppo di Ravenna, e da qui il nome di “Porto Corsini” del borgo marinaro che sorge accanto alla riva del porto canale – e di Canale Corsini – e la cui effige marmorea voluta dai ravennati riconoscenti per eternarlo, ironia della sorte, dopo essere stata collocata nell’odierna Piazza del Popolo ,vi fu, nel 1867, rimossa per essere posata proprio nel monastero di S.Vitale ,nel secondo chiostro, dove è tuttora, e da dove la sua veneranda e nobile figura sembra vegliare a che l’ex monastero- ma semel abbas, semper abbas – non debba mai più subire altre latomistiche profanazioni).Oltre alle molto profane e metalliche sollecitazioni del momento storico(la politica napoleonica favoriva la nascita di logge massoniche),di per sé forse del tutto necessarie e sufficienti a spegnere le sempre più fioche ritrosie suscitate dalla scomunica clementina in animi che, pur nella provinciale e sonnacchiosa Ravenna dello Stato della Chiesa, erano state raggiunte e plasmate dalla rivoluzione dei “lumi” e dal suo più grezzo e militare inveramento della conquista napoleonica, altri potenti e vivaci stimoli esoterici potevano promanare dal luogo eletto per le prime tornate e dalla città stessa. Dalla chiesa di S.Vitale in primo luogo. Nella basilica sorta all’inizio del sesto secolo su ordine del Vescovo Ecclesio non vi è solo da prestare attenzione ai mirabili mosaici bizantini. Pure estremamente significativa, per quanto assolutamente opaca dal punta immaginifico e perciò Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 8

inevitabilmente persa da parte del turista mordi e fuggi, ne è la struttura. Questo tempio, infatti, è a pianta centrale ottagonale, tipica peraltro delle chiese bizantine, attraverso la quale i costruttori agli ordini del supremo architetto Giuliano Argentario intesero con ogni evidenza richiamarsi al simbolismo dell’ottagono, figura geometrica che unisce la terra al cielo perché ritenuta momento intermedio fra il quadrato (che rappresenta la terra) e il cerchio (il cielo). Da qui la predilezione bizantina per lo svolgimento dei sacri offici in fabbriche con questa pianta per favorire appunto il congiungimento dell’uomo con Dio. In seguito, la pianta ottagonale fu ripresa nell’Islam (esempio classico la Moschea di Omar a Gerusalemme), nelle chiese templari e per fare un esempio di un edificio non strettamente adibito al culto ma dalle valenze strettamente simboliche, nell’enigmatico castello di Federico II che sovrasta la piana di Andria in Puglia. Un templarismo che se è discutibile che rappresenti un episodio dell’ipotetico continuum iniziatico che partendo dai misteri dell’antico Egitto ,attraversa l’ellenismo e il Medioevo per poi approdare, tramite il momento fondamentale dell’ermetismo neoplatonico rinascimentale, alla moderna liberomuratoria, rappresenta ,invece uno dei principali miti di fondazione dell’ideologia della massoneria simbolica settecentesca e che, con ogni verosimiglianza, non mancò di colpire l’immaginazione di quegli ardimentosi ravennati (non ne andava della salute del corpo ma di quella dell’anima sì, visto che in fondo, anche per spiriti educati illuministicamente, non si può mai essere sicuri cosa ci si debba aspettare una volta passati all’Oriente Eterno…)che per primi si adunarono ritualmente in luoghi così carichi di tradizioni e di insegnamenti per il futuro. Il pavimento di mezzo ,che è stato rialzato dal primo piano in proporzione del sotterramento della Chiesa, è ricoperto di scelti marmi antichi componenti de’ vaghi intrecci ,e dirimpetto al Presbiterio un Laberinto .1 Così Francesco Beltrami nel 1783 parlando di S.Vitale nel suo Forestiere instruito, ci fa capire che sul finire del diciottesimo secolo si era ben consapevoli dell’importanza(ed, ovviamente, del significato, che, pendente la scomunica di Clemente XII e non ancora arrivati i francesi a liberare o ad occupare, se si preferisce, il territorio pontificio, non poteva essere esplicitato in una guida turistica ante litteram quale Il Forestiere) del labirinto pavimentale della più importante chiesa ravennate. “Concetto simbolico proprio dell’ iniziazione massonica – che si riallaccia all’immagine di un viaggio labirintico – che riteniamo non sia soltanto della massoneria “moderna” o “speculativa”, ma probabilmente nella massoneria “antica”, c.d. “operativa” , giacché l’idea del labirinto ,associata a quella della morterinascita iniziatica, si ricollega a molteplici tradizioni ed era ben presente nel Tardo Medioevo ,come attestano molteplici opere degli antichi maestri costruttori e molte opere letterarie.”2 E dalla città stessa in secondo luogo, o perlomeno dall’idea che su di essa si era venuta formando nell’intellighenzia non clericale della città ove riposano le spoglie di Dante(altro topos fortemente identitario per gli avversari del romano pontefice, tanto che nella seconda metà del diciannovesimo secolo a Ravenna la massoneria sarà rappresentata dalla Loggia “Dante Alighieri”),promanavano profonde suggestioni, tant’è che sul Mausoleo di Teodorico, uno dei maggiori simboli “laici”,assieme alla tomba del Poeta costruita dal Morigia nel 1780,della città dell’epoca, sempre il Forestiere instruito ci informa che il mausoleo del re ostrogoto “Vedesi ideato con tal regolare ,e proporzionata disposizione di tutte le sue parti ,che il celebre Polifilo, altrove da me citato ,ne’ suoi misteriosi scientifici sogni Lib.I.cap.17 lo rassomiglia ad un sontuoso rotondo Tempio di elegante struttura da esso lui immaginato ,e descritto.”3 Ora, che nella “Bibbia” della cultura ermetica rinascimentale, l’Hypnerotomachia Poliphili appunto, nel luogo indicato da Beltrami si alluda al mausoleo di Teodorico è un’affermazione del tutto discutibile che meriterebbe ben altro approfondimento di quello che si degnò di fornirci Beltrami (o che fu possibile concedersi al Beltrami stesso, visti i profondi condizionamenti ambientali su cui è inutile ripetersi).Nel capitolo 7 dell’Hypnerotomachia si parla sì di un tempio antico e costruito con perizia architettonica, e a queste caratteristiche potrebbe conformarsi il nostro mausoleo ma la fabbrica

Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 9

ammirata dal trasognato spasimante di Polia è a pianta circolare(il Mausoleo di Teodorico è, invece, a pianta centrale con due ordini sovrapposti ma decagonale l’inferiore e decagonale prima e circolare poi quello superiore, e ciò ci porterebbe ad escludere che il Polifilo prenestino abbia esemplato ,anche se solo in parte ,il suo onirico edificio dal mausoleo ostrogoto)e consacrato alla Dea Venere Genitrice(e qui il Mausoleo di Teodorico è totalmente irriconoscibile).Ma dando per scontato il pluralismo ed anche l’opacità semantica della cultura iniziatica e riservandoci ad un ulteriore studio lo sviluppo di un argomento che riteniamo di una certa importanza per la nostra storia locale, quello che qui importa sottolineare è che gli antesignani massonici della città della tomba di Dante si mossero in un ambiente che se per quanto riguarda le sollecitazioni essoteriche dovette aspettare la tutela delle armi francesi per la fondazione di una loggia massonica, era certamente aduso per sensibilità e per suggestioni storicomonumentali al discorso esoterico. Ma non vi sono solo le pur importanti – anche se timide e filologicamente discutibili- avance beltramiane nel campo ermetico e simbolico a suffragare l’idea che i reperti monumentali di Ravenna furono uno degli aspetti decisivi per l’affermazione anche a Ravenna sotto il dominio temporale del Papa della cultura esoterica che fra diciottesimo e diciannovesimo secolo investì l’Europa. Uno slancio che doveva avere realmente un gran momento se Camillo Morigia ,accettando la commessa del Cardinal Valenti per edificare il monumento sepolcrale al Divin Poeta , non si peritò d’inserire ad ornamento del timpano del tempietto una serpe che si morde la coda ,l’uroboros, simbolo ermetico-iniziatico dell’eternità del tempo e, per traslato ,dell’eternità del messaggio dantesco. Addirittura, nel progetto originario il simbolismo era ancora più denso: “nel timpano all’interno del cerchio, che si preciserà in un ouroboros, splende un esuberante sole raggiante; sui suoi lati insistono due slanciati pinnacoli piramidali che esibiscono il simbolo della città (la pigna) […] mentre ai lati della lunetta soprastante la porta d’ingresso, la lira e il serto dall’oro completano l’esibizione dei trofei del divino cantore”4 . Rispetto ai segni consentiti da Santa Madre Chiesa tutto ciò era troppo osare e infatti non si osò. Anche l’uroboros che si può considerare ad un tempo un estremo lascito dell’iniziale tessuto simbolico ed anche segno di una fortissima valenza espressiva esoterica, nel suo passaggio dall’ideazione alla realtà attenua la sua carica eversiva. L’osservatore è facilmente indotto a confondere le metalliche verdi squame del serpente con più stereotipate foglie dall’alloro, una sorta di convenzionale tributo al genio poetico al padre della lingua italiana.5 Ma la tomba di Dante non è il solo episodio che ci attesta che la Ravenna di fine diciottesimo secolo fu teatro di tensioni generate dallo scontro fra una Chiesa chiusa nell’ortodossia e la cultura esoterica della nascente massoneria simbolica settecentesca. La sfida si produsse anche all’interno di un edificio sacro, dentro la chiesa di Santa Maria Maggiore. In questa chiesa, infatti, venne sepolto Camillo Morigia, morto il 16 gennaio 1795.Sulla pietra del suo sepolcro volle fosse scritto: “Camillo Morigia ultimo di sua famiglia si raccomanda alle vostre orazioni”. Una iscrizione molto asciutta ,come si vede, con un fioco e convenzionale richiamo alla religione (le orazioni) ma che non denota alcuna palese tensione con la religiosità dominante. Ma il ricordo dell’architetto nella chiesa che accolse le sue spoglie, non è limitata all’iscrizione sulla pietra tombale ma è affidata anche ad un monumento funebre ,del quale è particolarmente significativo il busto in bassorilievo di Morigia poggiante alla base su una panoplia dei principali strumenti liberomuratori. Ora pur ammettendo che squadra, compasso e riga possano costituire un richiamo all’attività professionale del defunto, non si può peraltro non concedere, e con tanta maggiore convinzione, che dopo la scomunica clementina del 1738,la rappresentazione degli attrezzi simbolici dell’Arte Reale ,per di più dentro una chiesa, costituisse una diretta sfida contro il clementino interdetto dell’ In eminenti specula Apostolatus, una sfida ed una polemica che solo chi fosse stato iniziato e fosse profondamente impregnato di cultura esoterica poteva decidere di portare avanti anche al di là della vita terrena. E si deve anche convenire che a distanza di pochi decenni dalla scomunica e dalle conseguenti persecuzioni alla comunità liberomuratoria italiana, non solo In eminenti avesse perso ogni efficacia come deterrente secolare ma fosse pure caduta in profondo discredito presso gran parte di quel clero che avrebbe dovuto proteggere il suo gregge dal diabolico influsso degli

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scomunicati massoni ma che in pratica ,come accadde a Santa Maria Maggiore in Ravenna, aveva preferito chiudere gli occhi davanti a tanta ostentata impudenza liberomuratoria, esibita ,addirittura, dentro una chiesa di una città sotto il dominio temporale del Papa. Che lo scontro fra l’ortodossia religiosa e la cultura esoterica che aveva preso la forma della moderna massoneria speculativa fosse una vicenda che accanto a momenti di alta tensione contemplasse pure fasi di appeasement ,era del resto un portato quasi inevitabile dei cambiamenti generali (anche nel clero, specialmente in quello basso, come ci insegna l’imminente rivoluzione francese),nelle prospettive e nei gusti introdotti dalla nuova cultura settecentesca, di cui l’illuminismo costituiva ,se vogliamo, il versante maggiormente esposto sul versante politico, mentre la massoneria speculativa, ultima gemmazione dell’ermetismo rinascimentale dava spazio e possibilità di espressione a tutte quelle istanze di autorappresentazione individuale e di riconoscimento identitario di gruppo messe in crisi dalla secolarizzazione della società e alle quali il discorso troppo pubblico e razionalista dell’illuminismo non riusciva a concedere un soddisfacente ascolto. L’arte del giardino costituisce un esempio estremamente significativo della recherche di questa nuova spiritualità massonica a cavallo fra discorso pubblico prudentemente accennato, istanze private pubblicamente esposte(sempre prudentemente e con circospezione) e autorappresentazione e riconoscimento identitario di gruppo protetto dal velo del segreto(e cioè ,per rifarci ai casi menzionati: uroboros nella tomba di Dante, monumento funebre di Morigia in Santa Maria Maggiore, le riunioni massoniche che avvennero per la prima volta nel suggestivo convento di S.Vitale).Un esempio estremamente significativo che non mancò di manifestarsi anche a Ravenna. Ci stiamo riferendo al giardino del Palazzo della Provincia di Ravenna. Nonostante le varie trasformazioni e demolizioni subite ad iniziare dall’ultimo scorcio dell’Ottocento dal palazzo del conte Ferdinando Rasponi (nel 1866 il palazzo venne venduto dal suo propietario caduto in rovina, il conte Ferdinando Rasponi, ad un certo Geremia Zoli “un cameriere del circolo dei signori [che] trasformò l’intero edificio in un albergo sontuoso: l ’hotel Byron”6 . Nel 1918 ,in seguito all’incapacità dei nuovi gestori subentrati dopo la morte di Zoli ,l’edificio venne acquistato dalla federazione delle Cooperative di Ravenna ,sede che nel 1922 venne incendiata e distrutta dalle squadre fasciste e sulle sue ceneri, nella seconda metà degli anni Venti, venne edificato ,su disegno dell’Arata ,l’attuale palazzo della Provincia),nonostante queste traversie il giardino racchiuso dall’originario palazzo Rasponi ha conservato – non integralmente che sarebbe troppo pretendere – significativi tratti dell’idea originaria. Un’idea che, dicevamo, fu profondamente influenzata dalla cultura esoterica. Ad iniziare dalle piccole piramidi ornamentali collocate sulle balaustre del terrazzo intermedio(la piramide fu uno dei principali simboli della massoneria settecentesca e rifletteva la vera e propria mania culturale “egiziana” di quel secolo, la quale costituì uno dei trait d’union fra l’esoterismo in senso stretto e una moda culturale molto più affine ad un volgare esotismo, anche se è necessario sottolineare che l’ “egizianesimo” non attese il Settecento per manifestarsi ma ,ad iniziare dal mondo greco-romano, approdò nell’epoca moderna legandosi indissolubilmente all’ermetismo rinascimentale, una delle scaturigini della massoneria simbolica appunto). E cariche di simbolismo neoplatonico sono “le sfere collocate ,la prima sulla colonna del capitello corinzio all’ingresso inferiore del parterre, la seconda all’inizio della scalinata che conduce alla sommità del giardino pensile”7 . Abbiamo poi, appesa alla volta della cripta annessa al giardino, un’ulteriore sfera- vero e proprio occultum lapidem – recante la scritta “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Su questo occultum lapidem è necessario soffermarci. Abbiamo appena detto che essa è appesa alla volta della cripta ma tale ancoraggio avviene tramite un’erma posta all’esterno della stanza ,sulla sommità del giardino pensile, così da evidenziare le analogie micromacrocosmiche(microcosmo l’interiorità dell’uomo, sfera all’interno della cripta; macrocosmo l’universo esterno, l’erma sulla sommità del giardino).E non è neppure senza significato che la possibilità della sfera (il microcosmo) di rimanere agganciata alla volta sia affidata ad un’erma, che nell’antichità, e probabilmente anche in questo caso, rappresentava il dio Ermete. Trova così spiegazione il motto “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Non tanto una mesta e stereotipata considerazione sulla

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caducità dell’umana condizione stretta fra gli imprescrittibili diktat dell’Ananke o della divina provvidenza (la pesante sfera lapidea minacciosamente appesa alla volta con un legame che non si riesce ad intuire quanto solido e il motto superficialmente inteso trasmettono esattamente questo stato d’animo di precarietà che ha ben poco di esoterico ma è molto più debitore alla rassegnata Weltanschauung di Santa Madre Chiesa) ma l’orgogliosa e gioiosa affermazione della capacità dell’uomo(il microcosmo) di congiungersi al macrocosmo(l’esterno della cripta ,la sommità del giardino pensile) e che questa potenzialità è garantita sì da Dio ma non il dio che impone un cieco atto di fede (il Dio-Cristo paolino per il quale la fede è superiore alla ragione) ma dal Dio che simboleggia la vera conoscenza, Ermete simbolo della profonda conoscenza interiore. Del resto ,la semantica della continuità micro-macrocosmica è comprovata da ulteriori elementi. La pianta della cripta è ottagonale ,come pure “la sfera in pietra ,sospesa all’apice della volta, ha un decoro [una stella a otto punte ]che allude all’ottagono”8 .Sull ‘ottagono simboleggiante l’unione della terra con il cielo abbiamo già detto, solo che nella fattispecie non si tratta dell’unione della creatura (terra) con il cielo (dio creatore) ma dell’unione micro-macrocosmica assicurata dalla gnosi rappresentata da Ermete. Certamente il degrado imposto da Cronos e dalle vicissitudini della storia ,ha inevitabilmente modificato ed obliterato buona parte dei segni originariamente intesi per dare a questo luogo un senso intimo e profondo non solo legato ad una superficiale fruizione e divertissement (che è il destino ancillare di gran parte dei giardini).Ma i ruderi simbolici affioranti e allora voluti per conferire al giardino la funzione di vero e proprio percorso iniziatico non hanno perduto la capacità di ammonirci che la responsabilità di dare senso alla nostra vita è unicamente nostra ,solo se si abbia la sensibilità ed il coraggio di comprendere che non siamo monadi isolate ma parte di un tutto (rapporto micromacrocosmico).E per essere convinti di ciò basta essere uomini liberi e di buoni costumi e non altro. Ma simboli voluti da chi? Di proposito ,non essendo le nostre ricerche riuscite a svelare né il committente, né il disegnatore né il progetto originario del giardino, ci siamo limitati al commento del simbolismo strettamente archittettonico trascurando quello delle essenze del giardino, le più esposte ai rimaneggiamenti e alle cancellazioni dell’intervento umano. Il giardino esoterico, abbiamo visto, riflette un gusto tipicamente settecentesco, come in Europa ed in Italia fra fine del Settecento ed inizio Ottocento testimoniano le numerose realizzazioni di arte topiaria a sfondo simbolico .Siamo propensi a datare il giardino verso la fine del diciottesimo secolo ,quando lo scontro anche nei territori dello Stato della chiesa fra il cattolicesimo e la massoneria subiva strane pause ed obnubilamenti (ouroboros tomba di Dante e monumento funebre del Morigia docent) o tuttalpiù l’inizio Ottocento della Ravenna sotto il dominio francese(Napoleone favoriva il sorgere di logge massoniche, vista dal gran Corso come instrumentum regni e ,quindi ,in quel periodo un giardino esoterico sarebbe stato ben accetto),mentre escludiamo che ripiombata Ravenna sotto il dominio diretto del Papa (del clima dell’epoca fa testo la famigerata sentenza Rivarola ) ci fosse qualcuno che mai si sarebbe azzardato in un’impresa del genere. Ed anche se vogliamo considerare la famigerata sentenza (1825) come il momento più acuto della repressione delle istanze liberali e settarie, di tutto si può dire sul dominio temporale della Chiesa nell’Ottocento tranne che fosse rivolto ad una sorta di appeasament verso tutto ciò che non fosse riconducibile all’alleanza fra trono ed altare. (L’umanamente triste vicenda di Pio IX nel ’48 col suo iniziale apparente volgersi verso disegni più moderati rispetto ai predecessori per poi ritrarsi impaurito – giustamente – dalle conseguenze delle sue aperture, è l’inconfondibile segno del ruolo regressivo ,al di là della volontà dei singoli, svolto dalla Chiesa nell’Ottocento).E visto che non abbiamo alcuna notizia dell’edificazione dell’esoterico giardino ad unità avvenuta ed anzi dalla segnalazione di Primo Uccellini dal suo Dizionario Storico del 1855,peraltro molto scialba ed opaca9 , apprendiamo il giardino essere già esistente, non ci rimane che tornare agli anni in chiusura del Settecento nel momento dell’appeasement della Chiesa con il latomismo o imperante il dominio francese. Conclusione non molto esaltante ma che ci consente di formulare un’ipotesi d’attribuzione, almeno per quanto riguarda il progettista del giardino. Del massonismo del Morigia abbiamo detto .Non abbiamo però ancora detto

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che la nutritissima biblioteca privata di Camillo Morigia ,conservata presso la Biblioteca Classense di Ravenna, contiene oltre una preziosa copia dell’Hypnerotomachia ( ad ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, delle passioni ermetiche del Conte) ,anche diversi manuali di giardinaggio, alcuni dei quali impregnati di un forte simbolismo massonico, che ben s’inseriscono nell’ipotetico quadro degli interessi simbolico-ermetici del Conte architetto per una progettazione topiaria a sfondo simbolico. Oltre non è possibile andare e riservandoci di approfondire l’argomento in ulteriori studii, molto conviene al momento fare nostra l’ammonizione “Procul O Procul Este Prophani”, su cui dovettero riflettere i primi massoni ravennati e che, oltre ad un evidente risvolto misterico, può anche essere essotericamente intesa come un invito alla prudenza per il ricercatore storico qualora in difetto di documentazione. Documenti di cui si è però in possesso riguardo i primi massoni ravennati, lasciati all’inizio del nostro discorso a confrontarsi con ammonitori ammaestramenti all’entrata del convento dove iniziarono a riunirsi, piante ottagonali di basiliche bizantine(ma evocanti anche ottagoni di chiese templari e moschee) e labirinti pavimentali che suggerivano che l’unione fra il cielo e la terra (l’ottagono) era da conseguire attraverso una morte-rinascita di tipo iniziatico piuttosto che attraverso atteggiamenti fideistici incoraggiati da Santa Madre Chiesa. Ma oltre che cercare di instaurare con questi ardimentosi esploratori di una filosofia e mistica “più efficaci” un legame empatico basato sull’archeologia esoterica della città degli Esarchi e su quanto ci è dato sapere sulla mentalità massonica e cattolica di fine ‘700,possiamo imbatterci, attraverso lo sfoglio degli Annali di Ravenna di Padre Benedetto Fiandrini, nel primo documento ravennate che contiene l’attribuzione ad un nominativo dell’appartenenza massonica. Scrive Padre Benedetto Fiandrini di essere venuto in possesso di una “Sattira in cattivi versi”: Fu ritrovata questa mattina una Sattira in cattivi versi ,quale faceva il ritratto di tutti li Fanatici Giacobini di Ravenna :tal quale fu ritrovata la riporteremmo qui ,con la spiegazione dei diversi nomi.

Vuo’ spiegarvi in pochi versi Li Caratteri diversi De Patriotti nostri Sel permette i miei inchiostri. Costa in primis1 il sapiente. Con stupore della Gente, Da uom rio ,e scelerato, Gesù Cristo ha rinegato, La Madonna ,i Santi suoi. E ancor vive in mezzo a noi? Degno è vivere in Turchia, La tra mezzo a gente ria, E non già frà noi Cristiani Buoni ,e ver Repubblicani. De seguaci poi gran stuolo, A cotesto dietro a volo Se ne vengono portando Ogni vizio esecrando. Se conoscer li volete, Quì descritti li vedrete. Truffatore Lovatelli. 2 Un Ruffiano Maccabelli. 3 Un’Apostata il Severi. 4 Una spia Cervelieri. 5 Ignorante egli è Gambini.6 Altra spia è il Contarini. 7 Il Collina guercio audace

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8 Egli è un ver mostro triface Ignorante ,arciminchione, Che vuol far da Sacentone. Una Scimia, un Papagallo, Ve lo mostro ,ed io non fallo Il Cristino dei Rasponi 9 Vero Rege dei Coglioni. Quello poi ,che non ha pari. E’ l’indegno Montanari.10 Uccellini è un gran birbante,11 Pien di fame e protestante. Spia è Pio e farabutto.12 Un Crocìmaco Cornuto E’ la mummia Garavini , 13 Che il Preposto de Tiatini Ei sembrava. E’ un Scellerato, Un iniquo,un Sciagurato. Piavi14 avaro, ingordo, insano, Vende Cristo di sua mano. Fanticcini,o sia Casoni15 Prima feccia de’Bricconi, Questi alfine ha operato Sempre a norma del Casato, Che il proverbio dice, dà Quella botte il vin, che ha. Lovatelli Castellano16 E’ un rio Ladro, un torcimano. Valentini Prete tristo17 Che segnato è pur da Cristo Da Costui state lontani Quel nemico de’Cristiani. Del Roncuzzi la bottega,18 Io lo dico, e niun lo nega, E’ il ridotto de’ Giudei, La Nazion de Farisei; E a mostrarveli più tristi Son peggior de Calvinisti. Ve ne sono a precipizj Oltre tanti pien di vizj. L’Amador i 19,ed il Toschini20 E l’ippocrita Baldini ; 21 Se del figlio22 poi parliamo, Tutti già il lo conosciamo. Evvi il Serra23, evvi il Baroni o . 24 Evvi il Ladro de Spadoni , 25 E il più saggio ,e il più eccellente , D.Corlari26 uom valente. Certo Pampan i 27 Ex frate Valoroso in briconate. Certo Zucch i 28 Bolognese Truffatore del Paese. E Collina29 del Libraro, Magni30 ,e Fava31 van de paro Rota32 il piccolo ,e Ginanni33 D. Perelli34,e Camerani , 35 Il Fuschini Religioso36 Un Bendandi orgoglioso

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37 Ed il Bezzi Capitano38 Certo Sirmen uomo insano39 Traversari Segretario,40 Pien d’umore molto vario. Un Serena ,qual penello41 Posto al vento, ha il suo cervello, Come appunto la Farfalla La sua testa or vola ,or balla. Il Cachettico Bianchini42 Si distingue fra i più fini Li più empi malandrini Perfettissimi Giacobini. Il Landoni Poetastro,43 Che nel Club è Capo Mastro. V’entra pur fra tanti sciocchi Il notaro Miserocchi44 Sono insomma tutti quanti Una ciurma di birbanti, Finti son repubblicani Son Fanatici Anticristiani. Oh Repubblica beata! Se la turba qui notata, Di color ,che non han legge, Con un’ordin di chi regge, Dal tuo seno t’estirpasser, Tutti al diavol se n’andasser, Sì ,felici allor saremmo, Tutti quanti ci ameremmo, Come cari,e ver fratelli, Senza aver timor di quelli, Che il bel nome democratico, Or confondon col fanatico; Concambiando con dispreggio, D’esser liberi il bel preggio, Con i vizj, e le sozzure, Le lordezze ,e cose impure, Questi stolti sciagurati, Viver degni frà i dannati. Dunque ,o buon repubblicani, Non fanatici ,né insani, Su la voce con me alzate, La Repubblica gridate, Viva sempre e il buon Governo, Viva sempre ,ed in eterno. E sia solo estirpati Tutti i tristi ,e scelerati. Vivan sempre i democratici, Muoian tutti li Fanatici10

Se la “Sattira” era in cattivi versi (ma abbiamo il fondato sospetto che l’autore altri non sia che il Fiandrini stesso ,il quale dà verosimilmente questo giustizio per depistare), le note biografiche che seguono la “Sattira” – che commentano i nominativi da questa citati – sono senza rischio di attribuzione proprio del Fiandrini e ,a parte di non essere in versi, mantengono lo stesso giudizio liquidatorio di questi:

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1) Costa Paolo figlio di Domenico Nob:di Rav:, e nipote di D: Vincenzo Luigi, e di d:Giulio Costa ,il pmo Parroco di San Nicandro, il secondo Rettore del Seminario .Questo giovane non scarso di talenti, ora maritato con…Milzetti di Faenza ,si guastò affatto nell’Università di Padova, e divenne il più empio tra miscredenti Ravennati, e che fù il diabolico maestro di tanta povera Gioventù. 2) Tommaso Conte Lovatelli dall’Aste figlio del qndam Ippolito Lovatelli Dall’Aste, che prese moglie … Correlli di Faenza .Questo Giovane dà saggi continuamente del più empio ,fanatico Atteismo. 3) Vitale Macabelli figlio di Giuseppe Macabelli speziale in Calzoleria, sciocco, ed ignorante fanatico. 4) D: Giuseppe Severi Sacerdote,e già canonico Lateranense ,e Lettore di Filosofia di S:a M: a in Porto ,e Confessore in Chiesa, ora Capitano della Truppa Civica di Galla Placidia, molto attaccato alle correnti massime francesi. 5) Luigi Cervelieri Orologiaro in Calzoleria ,incredulo perfetto. 6) Conte Ruggiero Gamba Ghiselli figlio dell’ottimo Conte Paolo Gamba Ghiselli, e della Religiosissima Marchesa Marianna Cavalli; ora Comandante della truppa Civica, Fanatico terrorista senza Religione. 7) Gregorio Contarini Curiale dimesso figlio del qndam Vittorio Contarini Procuratore, e Nipote del Sr d:.. Contarini Parroco di S:Agata .Ora è capitano della Truppa Civica. Fantico ignorante, ed incredulo. 8) Florio Collina figlio del qndam Marcantonio Collina Droghiere sotto i Volti della Piazza, e fratello di Filippo Centrale del Lamone ignorante irreligionario. 9) Cristino Rasponi figlio del qndam Teseo Rasponi ,e di Lucia Ginanni, che ha in moglie Maria Laderchi di Faenza. Fanatico ignorante e miscredente perfetto. 10) Domenico Montanari di Antonio ,e Rosa Montanari da S:Eufemia ,che sposò Giacinta figlia di Sebastiano Venturi; Ignorantissimo e perfido persecutore dei cattolici . 11) Luigi Uccellini figlio di Giuseppe Uccellini di Cesena Cuoco; al servizio della Stamperia Roveri,e Casali ,perfettamente empio, ed irreligionario. 12) Giambatta Pio figlio del qndam Francesco, e di Rosa Pio, Nipote del celebre d: Domenico Pio Tenore di questa Capella ,e Mansionario; Fratello del valente Antonio Pio ,morto poch’anni sono in età di 43: anni,dopo di essere stato Mro di Capella in Ravenna ,e Mro di Musica a Venezia ,ed alla Corte di Pietroburgo anni 4.Il sudetto sempre eguale a se stesso ,sempre irreligionario, ora stà in ferri a Venezia relegato all’Isola di S: Servolo. 13) Garavini Andrea figlio del valente Fabro Ferrajo Francesco Garavini .Questo Giovane ,che proseguiva la Professione del Padre prese in Moglie Barbara Montanari Sorella del Sudto Dmnco N° 10: entrò nella turba di quelli ,che atterrarono le Croci de’ Capuccini, Capucine &c:, ed era tenuto p. un buon Giovine, in paragone a Giuseppe suo fratello, ma il fatto decise il contrario. 14) Piavi Domenico fabbricatore di Bicchieri ,bocchie , Pistoni ,e Zucche ,che abita vicino al Piazzale di Porto, ora Municipalista. 15) Casoni Oste di Professione da S: Giorgio , uomo empio. 16) Conte Ippolito domnco Castellano Lovatelli ,che fù marito di Maria dal Corno, che abita a Porta Sisi, e che fù Centrale. 17) D:… Valentini Sacerdote, e Mansionario del Duomo, mezzo orbo, che prese in moglie ,op Concubina la Contessa Dejanira Lovatelli Dall’Aste, Sorella di Tommaso Lovatelli. 18) Bottega di Spezieria posta sotto il Palazzo del Sale in faccia al Suffraggio. 19) Amadori dottore… Curiale. 20) Toschini figlio di Mro Gio: Toschini marmorino. 21) dottor Gaspero Baldini Municipale ,che fù nel Cairo d’Egitto p anni 18: uomo doppio ,bacchettone ,ma di niuna Religione. Municipale. 22) Paolo Baldini figlio del sudto nato al Cairo ,che all’Università di Padova perdette il buon costume. 23) Paolo Serra figlio del qndam Antonio Mercante di Pannina sotto i Volti della Piazza. 24) Domenico Baronio figlio di Felice onorato Negoziante,e Banchiere ,che ha p moglie Geltrude Machirelli dama Imolese; quale fece grosse compre di Beni de Regolari, specialmente di Porto,e di S: Vitale. 25) Spadoni… 26) d: Andrea Corlari Sacerdote, e Mro di Rettorica delle Pubbliche Scuole, Poeta ,e factotum di Rav: a ,il primo tra i Preti ,che ponesse indosso l’abito verde Nazionale, e Parucca alla Bruta, e che fù suggeritore, ed inspettore della cassazione di tutte le Inscrizioni di marmo in Rav:a, fù Indi Secretario della Municipalità di Cesenatico ,prese in moglie Marianna Godi, dopo averla tenuta p tant’anni sua Concubina. Dopo finita la democrazia fù tradotto a Venezia in ferri relegato all’Isola di S: Giorgio in Alega. 27) Pampani… di Cervia ex frate Carmelitano ,che fù più volte veduto a far l’esercizio militare mischiato alla Truppa Civica, e specialmente nell’empia Compagnia de Granatieri; morì poscia ammazzato nel Riminese. 28) Zucchi… di Bologna Mercante di Paste di Puglia, e droghe nella Strada di Pal Serrato ;fanatico Giacobino. 29) Gasparo Collina figlio di Franco Collina Librajo nella Strada di Pal Serrato, grand’atteo Giacobino. 30) Clemente Magni ,figlio del così detto Capit: Magni da Porta Adriana perfetto Franc – Mason.

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31) Domenico Fava Nipote di Giuseppe Fava Librajo in faccia al Piazzale di S: Francesco. 32) Bartolomeo Rota figlio del qndam Benedetto, e Benedetta Rota , e fratello di Giovanni Municipale, Giovine di poco sale. 33) Conte Girolamo Ginanni figlio del qndam Con: Bartolomeo, e Vittoria Ginanni, ignorante fanatico. 34) D: Gaspare Perelli Canonico della Marca Sacerdote, detto il Capelano de Giacobini. 35) Camerani Luigi droghiere, e che fù un tempo Municipale,accerrimo contro i Regolari. 36) D… Fuschini ex Canonico Lateranense di Porto. 37) Francesco Bendandi Chirurgo ,che abitava in faccia a S. Apollinare ,e che morì appresso 1799. 38) Francesco Bezzi già Capitano sotto il Papa ,che abita in Corso, in faccia alle Monache di Santa Chiara, che si fe’ ricco coll’usurpazione delle masserizie de Luoghi Regolari, allorché furono soppressi, e de quali n’era stato egli il Sopraintendente. 39) Lodovico Sirmen ,celebre suonatore di Violino insigne fanatico anticattolico, che p sua Confessione , era da 30: anni in poi ,che non erasi accostato ai Sagramenti. 40) Pietro Traversari Segretario della Municipalità p i meriti del Padre che fù celebre Segretario, e benemerito de Magistrati di Ravenna del suo tempo. 41) … Serena Computista della Municipalità. 42) Paolo Bianchini Chirurgo figlio di Gaetano Bianchini celeberrimo Professore di Chirurgia , ora Edile ,e del Comitato di Pulizia fanatico fautore delle correnti massime Francesi, abita in faccia al Monte di Pietà. 43) Jacopo Landoni Poeta Fanatico; che poi anche in tempo di democrazia mutò costume con edificazione dei buoni. Vedi p.371. 44) Francesco Maria Miserocchi Notaro da S: Eufemia figlio di Lorenzo Miserocchi . Fù Inspettore de Beni attinenti alla Pubblica Beneficenza, Gran Fanatico, assieme col Giovin Figlio Lorenzo , e che fù fautore di D: Giuseppe Loreta Parroco di Sta M: a in Coelos eo. Altri molti ne erano in Ravenna di simil razza ,ma troppo sarìa il volerli qui annumerar tutti ad uno p uno; basterà soltanto a tempo , e luogo indicarne i nomi. Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino; ma se anche li democratici condannavano l’empietà de Sudti, e simili anonimati, cosa avran dovuto dire i buoni, che in silenzio bevevano a sorsi il Calice amaro della Persecuzione.11 La nota 30 commenta il nome di Clemente Magni che viene ritratto nella satira come “perfetto FrancMason” ,osservazione del Fiandrini che ci permette di qualificarla come la prima fonte in ordine cronologico che ci parli della Massoneria a Ravenna. Ma ancor più importante al fine di inquadrare nella giusta prospettiva il documento è l’affermazione finale di Fiandrini che “Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino”, l’estremo tentativo di Fiandrini di depistare sull’attribuzione della satira, proposito tuttaltro che deplorevole viste le convulsioni che scuotevano la Repubblica Cisalpina all’inizio del ‘ 98. “La Cisalpina produceva in quei primi mesi del 1798 il suo massimo sforzo per aggiornare il ritmo e lo stile di vita di un’intera città [Ravenna] ai dettami delle nuove idee rivoluzionarie ,ma cercava di farlo con una pioggia di provvedimenti che rischiavano seriamente di sortire l’effetto opposto.[Si assistette così] a una sorta di violenza sulla società per farle accettare, volente o nolente, la nuova situazione[…].[L’ordine] giunto da Faenza di eliminare dalle strade o coprire le immagini votive della Madonna fu percepito dal popolo come l’inizio di un odio antireligioso[…]. [Ma il] peggio doveva ancora venire: la tensione in città crebbe rapidamente […] in un crescendo di satire politiche anonime e di atti sacrileghi che culminarono nella vicenda della “crocimachia” ”12 .Nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1798 quelli che vennero subito definiti crocimachi abbatterono tutte le croci che incontrarono sul loro cammino. Lo sdegno popolare fu immenso e le reazioni agli atti sacrileghi furono tenute a freno solo dalla paura dell’eventuale reazione delle forze francesi, che non avrebbero esitato, se necessario, a compiere una durissima repressione. La “Sattira in cattivi versi” – probabilmente del Fiandrini – e le successive note biografiche – sicuramente del Fiandrini – ,si inseriscono così in un cupo quadro dove al tradizionale antimassonismo cattolico si sovrappone una torbida situazione di tumulti, spiate, delazioni e liste di proscrizione a futura memoria (anche questo sono la “Sattira” e le note biografiche), che rende completamente impossibile distinguere il torto dalla ragione e dove appare del tutto evidente l’impraticabilità di una

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storiografia vista come una sorta di tribunale penale. Essere “uomini liberi e di buoni costumi” significa anche, pensiamo, non lasciarsi abbagliare da nessuna ideologia, in primo luogo la propria, ed impiegare gli strumenti critici che ci sono concessi, e quindi anche la ricerca storica, per esercitare una profonda compassione, nel senso etimologico del termine, verso le vicende di coloro che ci hanno preceduto e, conseguentemente, verso coloro che ci circondano. Il giornale di Ravenna del Conte Pompeo Raisi ,manoscritto conservato anch’esso presso la Biblioteca Classense di Ravenna, rappresenta la seconda fonte in ordine cronologico che si occupi della massoneria a Ravenna. Il 24 agosto 1803 Raisi annota nel suo Giornale di riunioni che avvengono a Ravenna fra i giacobini più esagitati e che i convenuti si distinguono per una particolare foggia del cappello. Più che di fronte ad una riunione massonica, ci troviamo probabilmente al cospetto di assemblee politiche che del cerimoniale massonico hanno mutuato un certo formalismo nel presentarsi alle riunioni e probabilmente dei segni di riconoscimento. Passano tre anni e il 23 maggio 1806 Raisi ci segnala una vera e propria riunione massonica: Non si mette più in dubbio la Loggia dei Liberi Muratori erretta in Forlì nel locale di S. Domenico ,il di cui capo è il Sig. ex canonico Albicini ammogliato e che esigge dai suoi conserti il titolo di Venerabile .Ieri notte in detto luogo dove stettero fino a giorno fecero una ben lauta cena alla quale intervennero 150 persone colà radunate da tutto il Dipartimento , e v’erano purtroppo ancora dei nostri Ravignani.13 La Loggia in questione è la “Reale Augusta”, Loggia tipicamente napoleonica ad iniziare, in primo luogo, dal trarre il nome dalla Viceregina d’Italia, la consorte di Eugenio Beauharnais ,la Principessa Augusta Amelia di Baviera. E siccome alla piaggeria non c’è mai limite, non solo a Forlì si era scelto di dare questo nome alla locale loggia massonica ma anche a Brescia ,Treviso, Ancona ed altrove. Ma quello che interessa più sottolineare del documento è che , per quanto non fosse ancora nata una vera e propria loggia ravennate, erano iniziati dei contatti con la vicina Forlì per giungere a questo risultato. Contatti che si dovevano svolgere a ritmo alquanto serrato se Raisi in data 20 giugno 1806 annota: Il Sig. ex canonico Albicini Capo della Loggia dei Liberi Muratori che si è eretta in Forlì è venuto a Ravenna e non si è fatto vedere che dai suoi seguaci, che ha radunati di notte in San Vitale, e tosto è ripartito per la sua patria. Questi sono i preliminari, ma la loggia qui non è ancora formata, o almeno scopertamente da poterlo asserire con verità.14 E finalmente in data 3 agosto 1806 possiamo considerare fondata la prima loggia massonica ravennate: In questa notte nel locale di S. Vitale vi è stata adunanza dei Muratori in numero di 18. Si chiusero alle ore 5 pom., cenarono in due tavole una di 6 l’altra di 12 dopo la mezzanotte nella cucina grande di detto luogo senza serventi e i piatti furono consegnati al principio del primo chiostro da un incognito ,e rimandati addietro quelli che li avevano portati. Li sei principali che mangiarono nella tavola separata furono il Sig.ri Casoni, Gaspare della Scala, Santini ,uno di Bertinoro, uno di Cesena e un altro di Faenza ,ch’erano venuti per comuni affari ,dopo avere tenuto una lunga seduta fuori di Faenza nel Palazzo Conti verso Bologna. Alla sud.a ora si fecero chiudere da un servente, che portò via la chiave, e in appresso presentatosi il Sig. Uccellini non fu ricevuto ,dicendo che non era compreso fra gli invitati. Vi erano tra i principali ancora il militare Tordo , Pietro Runcaldier, etc. etc. e la cena costò sc. 10,20. Sul far del giorno soltanto ritornarono alle loro case. Il pagamento si fa per via di mandati dal Sig. Gaspare Scala, e quando sono in radunanza si danno il titolo di cavagliere (!) 15 Una curiosa notazione. Il “Sig. Uccellini” – Luigi Uccellini, padre di Primo Uccellini – non fu ammesso alla riunione perché “non era compreso fra gli invitati”. Forse una giusta misura prudenziale e di buon senso verso un individuo che piuttosto che nell’ “edificare templi alla virtù” si era distinto in qualità di crocimaco nell’abbattimento per le pubbliche vie del principale simbolo della cristianità e nel prendere a sciabolate immagini sacre ? Ma nonostante l’accuratezza delle informazioni del manoscritto di Raisi che ci dà conto del numero e dei nomi dei protagonisti

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della nascita della loggia massonica di Ravenna ed anche del suo accrescersi (2 giugno 1807 : “E’ cresciuta di molto la Loggia dei Liberi Muratori in S. Vitale ,contandosi in oggi composta di 70 individui e più”16), fino ad arrivare a segnalare la costituzione di una sorta di loggia giovanile (30 gennaio 1808: “Si parla di una Unione che si va preparando con qualche effetto detta degl’Incipienti [per selezionare nuovi giovani elementi per] i Liberi Muratori”17), il Conte non ci informa sul nome della loggia Ravennate. Nome che apprendiamo dall’ultimo manoscritto da noi preso in considerazione, conservato sempre presso la Biblioteca Classense di Ravenna il Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807 di Don Luigi Badessi. Il manoscritto, datato 17 marzo 1808, non contiene informazioni rilevanti sulla loggia ravennate e sarebbe più significativo come indice di una cieca mentalità antimassonica ( “In Ravenna fuvi pure questa funesta semenza, ed in alcune stanze del soppresso Convento di S.Vitale fù piantata la presidenza de’ Miscredenti aleati. Da medesimi si fece cuniare la dicontro delineata Medaglia coi Moti, e cogli Emblemma , che si vedono descritti”18). Ma la descrizione della medaglia consiste nel disegno originale ,allegato al manoscritto, della Medaglia della Loggia “La Pigneta” di Ravenna, rappresentando un lato della medaglia una fenice che risorge dalle ceneri ancora ardenti19 spiccando il volo verso il sole e recante inciso il motto “Sic virtus resurgit”; l’altro lato con incisa la scritta “La Pigneta Or.:di Ravenna” – il nome appunto della Loggia – con la riproduzione di tre pini intrecciati e con alla base la cifra 5806, che indica il 1806, l’anno profano di fondazione della Loggia. Ovviamente la sorte di questa loggia ravennate sarà strettamente legata alle vicende del Regno d’Italia e riuscirà a sopravvivere solo pochi mesi alla sua dissoluzione e al ritorno dello Stato pontificio. L’ultima segnalazione del manoscritto Raisi sulla massoneria ravennate è in data 17 marzo 1815: Per ordine del comandante Carlos Ardos e del Maggior Brener furono fatte alcune perquisizioni in parecchie case .Furono arrestati il Sig. Verlicchi di Lugo qui dimorante, Marcello Nardi aiutante maggiore della guardia urbana assoldata ,Agostino Triossi ,Tomaso Lovatelli di Meldola Segretario generale di Governo, e il Colonnello Pietro Runcaldier Capitano del Porto nell’ufficio del quale furono trovati 25 fucili scarichi, e 45 nella sua casa nascosti tra due muri ,e fu arrestato Bergossi casermiere di S.Vitale per certo fuoco appiccatosi ad una camera ,dicono a bella posta da lui ,per abbruciare tutto quello che apparteneva setta dei Liberi Muratori ,nella qual camera tenevano le loro conferenze.20 Su Ravenna e sulla Romagna era così scesa la notte della reazione e le attività latomistiche ,ancor più che nel resto del Paese, dovettero praticamente cessare. Non cessò, invece, ed anzi assunse toni più accesi che nel resto d’Italia, l’insofferenza romagnola verso il ritorno dell’ancien régime: in fondo la ventata d’oltralpe ,nonostante tutti i suoi difetti e contraddizioni, aveva soffiato impetuosa e il confronto con la restaurazione – in Romagna nella versione Papa Re, una delle peggiori in assoluto – risultava impietoso e senza appello. La repressione papalina non ebbe troppa difficoltà a demolire la massoneria di tipo napoleonico: troppo conosciuti ,molto dei quali con ruoli pubblici, i suoi componenti, e sovente compromessi col passato regime. Non poteva però cancellare – compito veramente sovraumano che non poteva riuscire nemmeno da chi pensava di trarre forza e legittimità da Dio stesso – il ricordo delle passate libertà, di cui le logge massoniche con le loro riunioni dove sedevano gomito a gomito i più diversi ceti furono una delle più riuscite traduzioni pratiche, una nuova ed inedita forma di socialità che rivoluzionava la caratteristica principale e più odiosa dell’ancien régime ,la rigidissima separatezza fra le classi, un vero e proprio sistema castale che non aveva nulla da invidiare con quello induista. E se la Massoneria fu facilmente demolita ,il costume massonico di riunire uomini di diversa provenienza ed esperienza, non più ora “ per edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio” – come recita un odierno cerimoniale massonico ma ben espressivo delle finalità della Massoneria sin dai suoi esordi – e nel contempo fungere da supporto per la politica del gran Corso e dei suoi proconsoli italiani , ma per , mutate le circostanze , cospirare per la libertà , era definitivamente entrato nella mentalità italiana, specialmente in Romagna. Non altra spiegazione trova l’incredibile sentenza Rivarola del 1825 .

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Uso questo termine non in riferimento alla moltitudine di persone che furono colpite dalla sentenza che porta il nome del Cardinal Legato Agostino Rivarola : “La sentenza investì più di 700 persone e fra queste 7 furono condannate a morte (sentenza che però non fu eseguita) , 6 all’ergastolo, innumerevoli altre a pene carcerarie minori ( bisogna comunque tenere nel debito conto la durezza delle carceri del Papa Re) ,fino a giungere a quasi trecento persone le quali pur variamente condannate non dovettero subire il carcere.”21 No ,incredibile non fu tanto la sentenza ma lo spaccato che essa ci presenta della situazione sociale e cospirativa di allora ( in questo senso una delle migliori dimostrazioni della teoria dell’eterogenesi dei fini nella storia: Rivarola non intese certo lavorare per gli adepti di Clio) . “ La sentenza Rivarola, infatti, colpisce indistintamente individui di tutti i ceti e di tutte le condizioni: accanto al nobile viene condannato anche il nullatenente, dediti, tutti appassionatamente, alla cospirazione secondo i loro mezzi e le loro possibilità. Una cospirazione esercitata soprattutto attraverso le sette carbonare , come nel resto d’Italia, le quali però possiamo affermare attraverso la sentenza Rivarola che in Romagna ebbero uno degli sviluppi più rigogliosi di tutto il Paese”22 , segno evidente che il costume massonico di riunire uomini diversi per condizione e per censo ma legati dalla volontà di combattere per la libertà e contro il Papa Re ( in un certo senso la versione dell’ epoca dell’ essere “uomini liberi e di buoni costumi” ) era ormai una delle caratteristiche più peculiari – e a nostro giudizio migliori – della mentalità romagnola. Una mentalità romagnola che già di per sé portata all’iperbole e innestandosi nell’indubbia propensione massonica per una certa teatralità , non paga di rappresentare una sfida terribile per la reazione ( e di pagarne quindi, come si è visto, le durissime conseguenze) , arriverà anche ad informare ad una notevole melodrammaticità ( ma mai come in questo caso absit iniuria verbo ) i nomi di questi numerosi gruppi cospirativi : Figli di Marte, Figli della Speranza, Fratelli Artisti, Maestri Perfetti, Fratelli del Dovere, Ermolaiti, Illuminati, Latinisti, Adelfia, Siberia, Turba , Federati, Americani23. La sentenza Rivarola del ’25 costituisce quindi la terribile istantanea “di un popolo che, primo in Italia, in tutte le sue articolazioni, scinde decisamente le sue sorti da quelle della restaurazione”24, come era già stato anticipato dai moti del ’21 e come sarà dimostrato dal succedersi degli eventi dopo la sentenza. Nel ’31 la Romagna verrà scossa da moti cui seguirà una dura repressione ( il più tragico epilogo di quella vicenda sarà lo scontro presso Rimini fra i patrioti del generale Zucchi e le truppe austriache, un episodio di tale drammaticità ed esemplarità che spinse Mazzini a scrivere la sua prima opera politica, la commovente La notte di Rimini, maledizione alla Francia di Luigi Filippo). Nel ‘43 e nel ’45 la Romagna sarà lo scenario di ulteriori moti . Per la Repubblica Romana cadranno 96 romagnoli e 76 saranno i feriti. Forlì, con un abitato cittadino , alla vigilia della seconda guerra d’Indipendenza, di 15000 unità ,fornì a questa guerra 800 volontari, un contingente altissimo in rapporto alla popolazione urbana (in pratica, quasi tutti gli uomini idonei alle armi ). A Monterotondo ,glorioso episodio militare dell’altrimenti infausta spedizione di Garibaldi del ’67 nell’agro romano, dei 150 caduti complessivi, 32 sono i romagnoli di Caldesi e Valzania. Ma questo suo costante essere all’avanguardia nelle lotte risorgimentali, questa partecipazione incessante e generosa contro ogni forma di oppressione ( in primis quella pontificia ma, concluso il Risorgimento, contro la soluzione moderata che era stata data della questione nazionale) trovano il suo incunabolo nella radiografia della società romagnola che emerge dalla sentenza Rivarola. Una regione povera (i condannati dalla sentenza sono rappresentativi di tutti i ceti e professioni e numerosi sono anche gli indigenti) ma che nonostante tutto e a dispetto di tutto non ha mai smesso di sognare un avvenire migliore. E gli strumenti più adeguati per iniziare concretamente a lottare per questo sogno sono quelli lasciati in eredità dalla liberomuratoria, praticamente dissolta dall’alleanza del Trono con l’Altare ma trasmutatasi, come in una sorta di processo alchemico, nella Carboneria ed in tutte quelle sette e conventicole paracarboniche di cui la lettura della sentenza Rivarola ci restituisce uno degli spaccati più impressionanti ( ma anche più rasserenanti, ché la storia degli “uomini liberi e di buoni costumi” che si associano per scaraventare in “oscure e profonde prigioni” le tirannie è sempre edificante ).

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Sotto questo punto di vista, va giudicata e condannata con tutta la severità possibile la tesi del Luzio25 tesa a ridicolizzare l’apporto della Massoneria nel Risorgimento italiano, imperniata sulla fallace inferenza che siccome nel Risorgimento non si ebbe, in pratica, alcuna attività latomistica, l’influsso della Massoneria nel processo unitario debba considerarsi inesistente. Che è un po’ come dire che il Cristianesimo perché perseguitato e ridotto per lunghi periodi in clandestinità sotto l’Impero, poté acquisire un fondamentale ruolo storico e politico per la civiltà occidentale solo dopo l’Editto di Milano del 313, col quale Costantino il Grande rese per la prima volta esplicitamente tollerato il culto soterico cristiano – paolino. In realtà la tesi del Luzio più che un errore – orrore storiografico fu un vero e proprio calcio del somaro inflitto mentre la Massoneria stava spirando sotto le amorevoli cure del Cav. Benito Mussolini, il quale con il pronto intuito che caratterizzò sempre la sua attività politica, ben aveva compreso che la trasformazione dell’Italia postrisorgimentale liberale in stato totalitario passava attraverso la demolizione della Massoneria. E per dare più peso alla sua pseudotesi storiografica, non si peritò Luzio di brandire “contro la Libera Muratoria nientemeno che la relazione con la quale Mussolini intimò alle Camere di regolamentare l’iscrizione dei pubblici dipendenti alle associazioni (cioè vietò di iscriversi alla Massoneria). Proprio allora era in pieno svolgimento il dibattito che si concluse con il forzato autoscioglimento delle Logge, preludio a quello dei partiti politici e sindacati di opposizione”26. Se la tesi di Luzio non ne guadagnò in autorevolezza, quello che era andato così perduto in credibilità fu a tutto vantaggio della deterrenza rivolta contro la Massoneria e ,in generale, contro chiunque si fosse azzardato ad ergersi contro il novello dittatore, non importa se ricorrendo ai riservati strumenti muratorii e a quelli più essoterici dei partiti politici e dei sindacati. Anche se non certo annoverabile fra gli amici della Massoneria (anzi), fu in quelle circostanze più equanime Antonio Gramsci che bollò la Massoneria come il “partito della borghesia” e come tale il nemico di sempre delle forze progressiste. Ma in questa stereotipata fraseologia, è ben possibile cogliere un grano di verità insieme ad una profondissima inquietudine che tormentava il fondatore del partito comunista d’Italia. Il grano di verità. La Massoneria non era mai stato il partito della borghesia ma certamente con la borghesia (anche se non solo con questa : Andrea Costa e tutti i socialisti che transitarono fra le Colonne molto difficilmente potrebbero essere definiti borghesi per censo e mentalità) essa fu uno dei momenti privilegiati per il formarsi dell’identità italiana. L’inquietudine. Al di là delle parole d’ordine sul socialismo prossimo venturo che avrebbe fatto dell’Italia la copia latina della Repubblica dei Soviet, Gramsci aveva capito benissimo che per molti anni i giochi erano fatti e che sarebbe scesa sull’Italia per molto tempo la cappa della dittatura mussoliniana. Definire la Massoneria il partito della borghesia, corrispose da parte di Gramsci, in quelle circostanze storiche, nient’altro che ad un esercizio consolatorio e di rimozione che consisteva nella creazione di un nemico di cartapesta ( la massoneria – borghesia ) per non vedere il nemico in carne ed ossa, il fascismo, che si stava facendo un solo boccone di Massoneria (messa fuori legge) , borghesia ( nel senso dell’Italia liberale che dopo la prima guerra mondiale ed il fascismo non riuscirà più a ritrovare sé stessa) e di socialisti riformisti o rivoluzionari che dir si voglia che, come Gramsci, dovettero scontare anni di carcere e di confino (assieme a chi socialista o comunista non lo era affatto come il Gran Maestro Domizio Torrigiani, Carlo Rosselli, Emilio Lussu e tanti altri il cui unico difetto era di amare la libertà) se non addirittura l’eliminazione fisica (come don Minzoni, Matteotti, Gobetti e Amendola, uccisi dal fascismo proprio perché nel ventaglio delle loro rispettive posizioni costituivano ,comunque, l’alternativa possibile alla rivoluzione dei soviet e alla controrivoluzione totalitaria che aveva travolto il paese). Una sorta quindi, quello di Gramsci, di omaggio postumo alla liberomuratoria, da parte di un avversario che ha intuito – ma che non ha il coraggio di esplicitare fino in fondo – che la fine di questo suo nemico, sostituito da un ben più terribile leviatano ,che non sarà mai partito di nessuno ma solo di sé stesso, significa anche la sua fine. D’ora in avanti la parola sarebbe passata ai Luzio e, ancor più, ai suoi mandanti morali. Per molti anni non l’avrebbero ceduta a nessuno.

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1 F. Beltrami, Il Forestiere instruito delle cose notabili della città di Ravenna, Ravenna, 1783, p.167. 2 E. Bonvicini, Esoterismo nella massoneria antica, vol. 1, La simbologia celata nelle regole costruttive, Roma, Atanor, 1993, p.225. 3 F. Beltrami, Il Forestiere instruito… cit., pp.193-194. 4 N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia (1743-1795). Architettura e riformismo nelle Legazioni, Imola, Santerno Edizioni, 1976, p.75. 5 Un altro uroboros con evidenti richiami simbolici è quello posto al vertice dell’ iscrizione sulla facciata del Capanno Garibaldi di Ravenna. L’iscrizione di datazione incerta – ma probabilmente risalente al periodo immediatamente successivo all’ entrata di Ravenna nel Regno d’Italia – celebra con ampollosi riferimenti al tema della natività – ma bisogna tenere conto della mentalità del tempo e degli entusiasmi per la fine del potere temporale del Papa – l’impresa dei salvatori ravennati di Garibaldi dopo la caduta della Repubblica Romana del 1849: “Questa sacra capanna/ che nel 1849 tolse alla strage/degli erodiani austriaci e di Roma/Garibaldi liberatore/i battezzati italiani/onoreranno/come quella/di Betlemme di Nazaret” 6 U. Foschi, Case e famiglie della vecchia Ravenna, Ravenna, Longo, p.55. 7 E. M. Ferrucci, Il Palazzo della Provincia di Ravenna. Suggestioni di un percorso d’architettura, Ravenna, Longo, 1997, p. 62. 8 Ibidem, p.48. 9 P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna e di altri luoghi di Romagna, Ravenna, 1855, p.343. 10 B. Fiandrini, Annali ravennati dalla fondazione della città fino alla fine del secolo XVIII, vol.III, ms. ,presso Biblioteca Classense di Ravenna , alla data 28 luglio 1798. 11 Ibidem. 12 A. Varni, L’età giacobina e napoleonica a Ravenna, in A. Varni (a cura di ) “I giacobini” nelle Legazioni. Gli anni napoleonici a Bologna e Ravenna, ( Atti dei convegni di studi svoltisi a Bologna il 13-14-15 novembre 1996, a Ravenna il 21-22 novembre 1996), Costa Editore, vol. III, p. 16. 13 P. Raisi, Giornale di quanto è avvenuto di più rimarcabile dopo l’arrivo dei francesi in Ravenna proseguito dal cittadino Pompeo Raisi dal 1798, vol. VI, ms., presso Biblioteca Classense, alla data 23 maggio 1806. 14 Ibidem, vol. VI, alla data 20 giugno 1806. 15 Ibidem, vol.VII, alla data 4 agosto 1806. 16 Ibidem, vol. VII, alla data 2 giugno 1807. 17 Ibidem, vol.VII, alla data 30 gennaio 1808. 18 L. Badessi, Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare , e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807,ms., datato 17 marzo 1808, presso Biblioteca Classense di Ravenna. 19 Molto curiosamente ,alla base della colonna sud di Piazza del Popolo di Ravenna, quella che sorregge la statua di S. Apollinare, è scolpita una fenice. Sia il basamento della colonna sud che quello della colonna nord furono scolpiti nel 1483 da Pietro Lombardo, lo stesso scultore che scolpì il bassorilievo di Dante Alighieri posto sopra l’arca che custodisce le ossa del Poeta, che fu “fedele d’amore” e quindi non ignaro di esoterismo. Forse i fondatori della Loggia “La Pigneta” si ispirarono direttamene a questo motivo per la loro medaglia, forse è un’ipotesi azzardata come molte altre che potrebbero essere formulate su questa singolare coincidenza. Certamente , tutte s’inscrivono nell’ orizzonte di quei numerosi affioramenti misterico-simbolici che- come si è visto – contraddistinguono la nostra città. 20 P. Raisi, cit.,vol. VIII, alla data 17 marzo 1815. 21 M. Morigi, Perché dalla Romagna la continuità democratica, in “Nuova Repubblica “, 11 aprile 1996, n.5. 22 Ibidem. 23 Singolare, al limite del folcloristico ma ben espressivo di una mentalità romagnola totalmente “ all’opposizione”, rispetto al nuovo ordine reazionario, è l’incontro di Byron con gli “Americani”, riportato in L. Miserocchi, Ravenna e ravennati nel secolo XIX .Memorie e notizie, Ravenna, Società Tipo-editrice Ravennate e mutilati, 1927,pp.252-253:”Nello stesso anno sorse pure in Ravenna una compagnia di cacciatori denominata “Gli Americani” (in ricordo ,sembra ,della rivoluzione d’America). Essa è così rievocata da Byron nel Diario del suo soggiorno in Romagna sotto la data del 29 gennaio 1821. ‘Cavalcando nella foresta (intendi pineta) m’inbattei in una compagnia di uomini tutti armati, i quali erano denominati “Gli Americani”; essi cantavano a tutta possa in romagnolo: Siam tutti soldati per la libertà! Sem du ,sem tri-sem tot d’un partì/semsi,sem ott – sem tot patriot! Passando ,mi salutarono. Io restituii loro il saluto e proseguii nel mio cammino’. Per questo spirito patriottico e per una cavalcata in maschera ,con gilè rosso, cappello rosso e pantaloni bianchi, organizzata dalla compagnia nel febbraio 1821, e che riuscì una clamorosa manifestazione di sentimenti liberali, il Legato Cardinale Rusconi comprese che non si trattava di una semplice società di cacciatori , ma di una nuova e pericolosa setta politica. Cominciarono quindi le persecuzioni contro coloro che fossero gravemente indiziati di appartenere alla setta degli Americani.” 24 M. Morigi, Perché dalla Romagna…,cit. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 22 25 A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna, Zanichelli, 1925, 2 voll. 26 A. A. Mola ,Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1993,

p.22. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – 

logica capitalistica e logica geopolitica, di Roberto Buffagni

Spunto di riflessione: logica capitalistica e logica geopolitica, loro compatibilità e incompatibilità.
Secondo me: a) dopo la sconfitta del socialismo realmente esistente, oggi nessuno, ripeto nessuno ha un’idea complessiva, coerente e praticabile di come uscire, con un salto di paradigma, dalla logica sistemica capitalista. b) dunque, oggi la logica sistemica capitalista si identifica con la società industriale avanzata (se vuoi “la gabbia d’acciaio” weberiana, o la Tecnica heideggeriana). Da questa logica nessuna potenza statuale può prescindere, per il semplice motivo che essa sviluppa una potenza tecnologico-scientifica incomparabile, senza la quale tu vieni spazzato via da chi invece ne dispone c) la logica sistemica capitalista, però, è sotto alcuni aspetti confliggente e incompatibile con altre logiche, non meno cogenti, quali anzitutto la logica geopolitica, che guida il conflitto tra le potenze. d) la logica geopolitica, infatti, ha come suoi principali criteri elementi, quali la posizione geografica, la demografia, la cultura, la coesione sociale, etc., che esistevano prima della logica sistemica capitalista ed esisteranno anche dopo la sua fine (niente è eterno). La logica sistemica capitalista, invece, dopo l’implosione dell’URSS e la conseguente globalizzazione economica, che è solo un aspetto dell’egemonia mondiale USA, si globalizza anch’essa, tende ad esplicarsi globalmente, e a non tener conto delle differenze tra Stati, culture, popoli, etc.: la sua conclusione logica sarebbe il governo mondiale, che però non si verifica mai perché le differenze continuano ad esistere, e il conflitto è la caratteristica permanente della dimensione politica, la quale a sua volta è insita nella costituzione antropologica dell’uomo (la concordia universale non si darà mai, è un obiettivo escatologico, non storico) e) il conflitto tra logica sistemica capitalista e logica geopolitica, e la loro reciproca parziale incompatibilità, si vede chiarissimo nel fatto storico macroscopico della massiccia delocalizzazione delle manifatture USA in Cina seguito all’implosione dell’URSS. Dal pdv della logica capitalista è una mossa razionale (teoria dei costi comparati di Ricardo), dal pdv della logica geopolitica è una follia, perché così gli USA hanno fornito alla Cina, una potenza del loro stesso ordine di grandezza, i fattori di potenza economici, scientifici, tecnologici di cui mancava: fattori necessari perché essa potesse divenire il loro nemico principale, e minacciare la loro egemonia mondiale f) quindi le potenze anti-egemoniche, Cina e Russia, per resistere all’egemonia USA e contrastarla, che cosa devono fare? Devono da un canto obbedire alla logica sistemica capitalistica, ossia sviluppare la potenza economica, accettare il mercato, etc.; dall’altro devono obbedire alla logica geopolitica, ossia dare al Politico la supremazia sull’Economico. Ecco perché sono entrambi, in forme diverse, Stati autoritari (nel senso di non liberali) ed ecco perché e come limitano la logica sistemica capitalistica. Per concludere: né Cina né Russia superano il capitalismo, impiantando un sistema sociale qualitativamente diverso; ma entrambe vi pongono limiti politici e culturali, perché vogliono e devono seguire la logica geopolitica per difendersi dagli USA e, in prospettiva, soppiantarli.
Emiliano Laurenzi

Roberto Buffagni grazie a te. Diventa sempre più difficile individuare uno spazio di riflessione e critica: la bolla mediale all’interno della quale esistiamo pare voler “tatuare sugli occhi e sulla coscienza” delle persone un’unica visione, un’unica verità. Ed a questa pretesa dal chiaro sentore religioso – che però della religione non ha né teologia, né escatologia, ma solo la dimensione culturale del consumo, un dimensione, per altro, radicalmente nichilista – è difficile rispondere con le armi del pensiero perché ci si ritrova davanti a persone indottrinate, sia per essersi nutrite ed imbevute di certe credenze tanto da scambiarle per “la” realtà, sia per il continuo e radicato formarsi di lobbies e di interessi professionali ed economici mirato ad escludere chiunque la pensi diversamente.
Giampaolo Zanaboni

Il presupposto a) andrebbe rivisto: da «nessuno» a “quasi nessuno”. Infatti esiste una proposta del sottoscritto, che si declina nel documento “Cenni di un Nuovo Sistema Economico, Monetario, Fiscale e di Giustizia”, a disposizione sul mio profilo FB. Tale documento costituisce un passo avanti, che si pone trasversalmente rispetto al capitalismo, al socialismo e al comunismo, e in generale a ogni “ismo” apparso finora sul pianeta.
Massimo Manassero

Bravissimo Roberto Buffagni… inizi l’anno con un post egregio, da quale si potrebbero trarre spunti, più che per un saggio, per una intera biblioteca. Il punto e) è quello che mi affascina da una 10na di anni, ossia l’apparente autolesionismo della scelta Usa di delocalizzare ecc. ecc., con successive ridicole lacrime -di coccodrillo- sulla Cina cattiva che si impadronisce dei brevetti – servitile su un piatto di platino, manco argento! Se la Cina fosse comunista (non solo nominalmente) verrebbe da citare Lenin ‘i capitalisti ci venderanno anche la corda con cui li impiccheremo’, ma sappiamo che non è così che funziona. In realtà la scelta Usa fu una scelta del capitalismo Usa, o della nazione Usa? Entrambe, perchè la nazione Usa è occupata dai capitalisti Usa; e il capitalismo sostanzialmente se ne frega delle nazionalità, perchè è una (pessima ed economicistica) forma di universalismo, e nei suoi esponenti più sinceri lo dice chiaramente – il famoso ‘flat world’ di Thomas Friedman. Inutile aggiungere che discorsi simili in un Paese come il nostro, accucciato su un atlantismo servile, con piccole eccezioni di antiamericanismo ridicolo alla 68, risultano comprensibili come l’etrusco arcaico.
Roberto Buffagni

Massimo Manassero Grazie. Sì, l’idea di traslocare in Cina una quantità enorme di manifatture, comprese industrie indispensabili per la sicurezza militare, lascia a bocca aperta. Non mi è noto un episodio autolesionista di queste proporzioni, nella storia umana. Si può spiegare con la marea di hybris che ha ubriacato la classe dirigente USA dopo l’implosione dell’URSS, con tanto di proclami accademici sulla fine della storia e altre amenità. Certo che l’hanno fatta grossa.
Massimo Manassero

Roberto Buffagni non grossa, enorme. Alla base ci fu, secondo me, la presunzione sborona texana unita al disprezzo verso tutto ciò che è ‘non americano’ : ‘Ma sì, dai, diamo pure un po’ di tecnologia ai musi gialli, tanto, prima che arrivino al nostro livello, hai voglia! 😊 ‘ Pensavano di poterli sfruttare come confezionatori di smartphone per chissà quanti anni ancora. Imbecilli. Hanno creato un mostro che creerà guai grossi a loro ma ancor più a noi, eterno vaso d’argilla.
Persio Flacco

L’intervento merita una lettura approfondita, però in prima battuta mi permetto di contestare questa tua affermazione:
“nessuno ha un’idea complessiva, coerente e praticabile di come uscire, con un salto di paradigma, dalla logica sistemica capitalista. “
Penso invece se ne possa uscire in diversi modi, dei quali tutti in primo luogo richiedono il forte impegno nella (ri)affermazione del metodo democratico. Ci siamo adagiati troppo a lungo nella comoda tolleranza della delega.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni Severino articola il suo ragionamento per arrivare a concludere che la potenza tecnica soppianterà tutte le altre. Nel farlo mette a confronto le grandi forze della storia occidentale (Cristianesimo, Comunismo, Capitalismo e Democrazia) e ne evidenzia gli obiettivi costitutivi. Per esempio, se il capitaliamo ha come obiettivo la crescita indefinita del profitto, il comunismo ha invece quella dell’uguaglianza degli uomini (indifferente se ciò si sia realizzato o meno). Queste forze competono per la supremazia e per affermarsi dato che i loro obiettivi sono confliggenti. Tutte queste forze tuttavia si servono della tecnica per affermarsi (vedere guerra fredda, che e stata sostanzialmente una corsa decennale alla tecnologia che conferisse la supremazia definitiva). Severino dice che queste forze credono di servirsi della tecnica perchè considerano la tecnica un semplice mezzo (da notare secondo me come questa idea di tecnica come mezzo sia il luogo comune di molti intellettuali oggigiorno) senza rendersi conto che è anche la tecnica una delle potenze di cui sopra. La tecnica persegue l’espansione indefinita della nostra capacità di generare scopi. Dovendo ricorrere alla tecnica per affermarsi, le altre potenze ricorrono alla tecnica rendendosi dipendenti da essa. L’unico argine all’espansione della tecnica sono quei limiti assoluti che da secoli vengono rimossi (qui Severino fa un discorso sull’uomo etico che secondo me è potentissimo e descrive perfettamente l’uomo etico contemporaneo).
Perciò le potenze ricorrono alla tecnica per affermare la loro supremazia e nel farlo non si rendono conto che la tecnica si serve di esse per perseguire i propri scopi. In questo senso tutti i paesi sono tra loro indistinguibili nel lungo periodo: essi diventeranno meri gestori della potenza tecnica e la loro esistenza si giustificherà in base a quanto saranno efficaci nel promuoverne lo scopo. Se l’obiettivo della geopolitica è la supremazia delle nazioni, esse si servono della tecnica per perseguirla.
Nicolò Bragazza

Nello specifico perchè capitalismo e tecnica sono in contrasto? Perchè capitalismo ha come obiettivo crescira indefinita del profitto. E questo dipende in ultima analisi dal mantenimento di una certa scarsità. La tecnica mantiene la scarsità solo fintantochè essa è funzionale al perseguimento del suo scopo (che ha come corollario l’eliminazione della scarsità).
Nicolò Bragazza

Sulle radici antropologiche della questione tecnica, credo che sia Heidegger che Anders abbiano scritto della natura intrinsecamente tecnica dell’uomo.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Grazie della sintesi. Nei limiti della mia ignoranza (totale) degli scritti di Severino, un piccolo commento. In questa visione, l’eventuale punto di arresto o di contraddizione non superabile è la natura umana. Se non esiste, la dinamica da lei sintetizzata non ha punto d’arresto. Se esiste, come è costituita? In particolare, è costituita anche in rapporto alla trascendenza, o no?
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Allora articolo meglio la domanda, così lei può rispondere più precisamente. Se la natura umana non esiste, e l’uomo è indefinitamente trasformabile (dalla storia, dalla tecnica, dall’ingegneria sociale, dai marziani, etc.) salvo i limiti (ignoti) che gli impone la biologia, allora l’estensione totale della Tecnica e della logica che la informa non incontra limiti. Se la natura umana esiste, e non esiste in forma di dato ad esempio biologico, ma in forma di rapporto – per esempio, di rapporto con il trascendente comunque inteso, o di rapporto con il mistero, inteso come quanto non è conosciuto e non è conoscibile mai – allora la Tecnica intesa come la intende Severino incontra un limite assoluto. Il limite assoluto è il conflitto tra una logica che si pretende totale, e un’altra logica che con essa è incompatibile e che le è, in linea di principio, sovraordinata, perché è la logica dell’uomo. Così che si giunge all’alternativa: o logica dell’uomo, o logica della Tecnica.
Nicolò Bragazza

La questione sul punto d’arrivo ha a che fare con l’ontologia di Severino, cioè sul fatto che tutto è eterno e il divenire non è altro che un illusione. La tecnica ci condurrà a questa “scoperta”, cioè che tutti gli enti sono eterni. In questo scenario la nostra dimensione esistenziale perde di significato perchè se siamo eterni non esiste più la paura della morte ecc ecc. A quel punto immagino si arresterà anche la nostra necessità di generare scopi. Perchè bisogna ricordare che in Severino la tecnica non è altro che la manifestazione più autentica della nostra follia, cioè la pretesa di condurre le cose dall’essere al non essere o viceversa. Se questa è un’illusione allora la tecnica è folle.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Ah ecco. Mi sembra un po’ tanto ma magari ha ragione lui, chissà. In effetti con questo presupposto tutto fila logicamente, l’apocalissi è il risveglio alla realtà che non ce n’era bisogno, la Gerusalemme celeste era già qui.
Nicolò Bragazza

A livello più “basso”, venendo alla tua ultima domanda, direi che la questione sulla natura umana è la vera questione dei prossimi decenni. E questo perchè le tecnologie oggi (in particolare quelle genetiche) rendono impellente un ragionamento su ciò che ci rende “umani”. La tecnica ci umanizza o ci disumanizza? Questa è la vera questione. Perchè se l’uomo è un essere intrinsecamente tecnico, allora la tecnica è “umanizzante”. Come mai sentiamo che questo stride con la nostra intuizione (cioe che la tecnica disumanizza)? Beh, credo che qui sia il punto di partenza di una riflessione politica nuova, che lasci indietro gli schemi novecenteschi
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Qui concordo al 100%. Ti faccio notare che persino il presidente cinese, nel suo ultimo discorso al Plenum del partitone, ha rilevato un paio di fatterelli importanti, su questo tema: che l’espansione della ricchezza è una buona cosa ma compromette la formazione della personalità, specie nei giovani, e la coesione sociale: e ha predisposto alcuni rimedi (campagna pedagogica di massa alla cinese). Al di là della ricetta del dott. XI, è notevole che abbia diagnosticato il morbo così in fretta.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni interessante. In ogni caso in questo vedo una preoccupazione mediata dal punto di vista di essere “classe dirigente”. In un certo senso è la stessa delle nostre classi dirigenti occidentali. Il timore non mi sembra essere sulla direzione di marcia, ma sugli ostacoli che si possono trovare nel tragitto. Di qui il fondamento emergenziale della politica neoautoritaria odierna: abbiamo moltissimo da perdere, sia nel presente che nel futuro, e per evitare imprevisti dobbiamo aumentare il controllo. Lo sviluppo tecnico ha dato troppo potere ai singoli: dobbiamo bilanciare con maggiore controllo.
Claudio Valisi

Nicolò Bragazza direi che Tolkien ha intuito artisticamente (anche se non solo, essendo uomo di grande cultura) questo dilemma. Il centro di tutto è il potere indefinito, il cui simbolo (l’anello) va distrutto, perché la potenza, come tale, è nulla e nullifica. A ciò si aggiunga che, in maniera secondo me corretta, Tolkien sa che l’uomo non è eterno, ha il dono della morte e, quindi, del limite: se riesce a porlo anche alla realtà, dando cioè un ordine ad essa, sopravvive, altrimenti viene sopraffatto. La sua eternità deriva da altro da sé, da Qualcuno che lo trascende. Certo in una prospettiva immanentistica quale quella di Severino ciò cade e la stessa potenza coincide con l’atto, nullificandolo. Spero di non aver detto stupidate, ma il tema è centrale e volevo aggiungere qualcosina. Buon anno!
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Sì. E contemporaneamente, più si aumenta il controllo, più aumenta la complessità sistemica, che a sua volta esige maggior controllo, e così via.
Nicolò Bragazza

Roberto Buffagni secondo principio della termodinamica
Stefano Vaj

Per questo io penso che sistema occidentale e “tecnocrazia” siano fondamentalmente tecnofobi ed antitecnologici, perché la tecnica ha intrinsecamente la capacità di destabilizzarne potere e valori, così che l’unico mezzo per esso di autoperpetuarsi è l’utilizzo della tecnologia stessa per impedire e prevenire il cambiamento. Ma Huxley nel Brave New World, libro poco capito, offre già una ricostruzione abbastanza realistica del processo, che richiede un controllo sociale *e* internazionale sempre più assoluto. http://www.biopolitica.it/biop-xiii.html
Stefano Vaj

L’uomo è sì indefinitamente trasformabile, e rappresenta solo un fotogramma arbitrario di un processo, non una “essenza” in qualche modo speciale. Non lo è d’altronde *infinitamente*, nel senso che in ogni fase i tratti costitutivi della sua storia evolutiva, della sua etologia e della sua dotazione organica rappresentano il materiale con cui abbiamo inevitabilmente a che fare, e che tentano automaticamente a frustrare il tentativo di ignorarli da parte di cose come il marxismo o il cristianesimo…
Nicolò Bragazza

Stefano Vaj si, la tecnica è una forza contrapoosta alla democrazia o ai sistemi politici occidentali. Quello che secondo me è il punto di debole di Huxley (non è una critica al libro, fantastico e consigliatissimo) è che sostanzialmente assume che lo sviluppo tecnico sia prevedibile e predicibile e come tale esso possa essere scoraggiato o stoppato quando minaccia la stabilità. Questa mi sembra un’ipotesi abbastanza inverosimile. Gli ultimi decenni dimostrano che il progresso tecnico è sostanzialmente imprevedibile ed impredicibile. L’unico sistema “robusto” rispetto al progresso tecnico è quello che ne abbraccia l’ideologia sottostante. Qualsiasi altro sistema dovrà ricorrere alla tecnica per stoppare la tecnica. È la grande contraddizione del nostro tempo. Le nostre società sono già fondate sulla tecnica e la dimostrazione è che l’uomo tecnico, cioè quello che vuole superare i limiti, è anche uomo etico (ethos, alleanza) perchè si è alleato con la potenza dominante (vedere come gli uomini progressisti vengano rappresentati come persone esemplari, buone…). Semplicemente, al momento, non vi è ancora consapevolezza di questo fatto sia negli intellettuali che nella popolazione.
Roberto Buffagni

Nicolò Bragazza Mi accorgo adesso che quanto dici a proposito dell’alleanza uomo-tecnica, con l’uomo progressista e buono in quanto alleato della Tecnica, è la stessa identica conclusione a cui giunge, sebbene in tono emotivo opposto, Oswald Spengler nel suo celebre “Tramonto dell’Occidente”. Dove, dopo aver lamentato per centinaia di pagine la decadenza dei valori tradizionali e dell’uomo occidentale proprio a cagione della tecnica (più altro) conclude con l’ esortazione ai giovani a dedicarsi interamente alla tecnica, e alla politica come tecnica della potenza. Curioso.
Emiliano Laurenzi

Roberto Buffagni grazie a te. Diventa sempre più difficile individuare uno spazio di riflessione e critica: la bolla mediale all’interno della quale esistiamo pare voler “tatuare sugli occhi e sulla coscienza” delle persone un’unica visione, un’unica verità. Ed a questa pretesa dal chiaro sentore religioso – che però della religione non ha né teologia, né escatologia, ma solo la dimensione culturale del consumo, un dimensione, per altro, radicalmente nichilista – è difficile rispondere con le armi del pensiero perché ci si ritrova davanti a persone indottrinate, sia per essersi nutrite ed imbevute di certe credenze tanto da scambiarle per “la” realtà, sia per il continuo e radicato formarsi di lobbies e di interessi professionali ed economici mirato ad escludere chiunque la pensi diversamente.
Giampaolo Zanaboni

Il presupposto a) andrebbe rivisto: da «nessuno» a “quasi nessuno”. Infatti esiste una proposta del sottoscritto, che si declina nel documento “Cenni di un Nuovo Sistema Economico, Monetario, Fiscale e di Giustizia”, a disposizione sul mio profilo FB. Tale documento costituisce un passo avanti, che si pone trasversalmente rispetto al capitalismo, al socialismo e al comunismo, e in generale a ogni “ismo” apparso finora sul pianeta.
Massimo Manassero

Bravissimo Roberto Buffagni… inizi l’anno con un post egregio, da quale si potrebbero trarre spunti, più che per un saggio, per una intera biblioteca. Il punto e) è quello che mi affascina da una 10na di anni, ossia l’apparente autolesionismo della scelta Usa di delocalizzare ecc. ecc., con successive ridicole lacrime -di coccodrillo- sulla Cina cattiva che si impadronisce dei brevetti – servitile su un piatto di platino, manco argento! Se la Cina fosse comunista (non solo nominalmente) verrebbe da citare Lenin ‘i capitalisti ci venderanno anche la corda con cui li impiccheremo’, ma sappiamo che non è così che funziona. In realtà la scelta Usa fu una scelta del capitalismo Usa, o della nazione Usa? Entrambe, perchè la nazione Usa è occupata dai capitalisti Usa; e il capitalismo sostanzialmente se ne frega delle nazionalità, perchè è una (pessima ed economicistica) forma di universalismo, e nei suoi esponenti più sinceri lo dice chiaramente – il famoso ‘flat world’ di Thomas Friedman. Inutile aggiungere che discorsi simili in un Paese come il nostro, accucciato su un atlantismo servile, con piccole eccezioni di antiamericanismo ridicolo alla 68, risultano comprensibili come l’etrusco arcaico.
Roberto Buffagni

Massimo Manassero Grazie. Sì, l’idea di traslocare in Cina una quantità enorme di manifatture, comprese industrie indispensabili per la sicurezza militare, lascia a bocca aperta. Non mi è noto un episodio autolesionista di queste proporzioni, nella storia umana. Si può spiegare con la marea di hybris che ha ubriacato la classe dirigente USA dopo l’implosione dell’URSS, con tanto di proclami accademici sulla fine della storia e altre amenità. Certo che l’hanno fatta grossa.
Massimo Manassero

Roberto Buffagni non grossa, enorme. Alla base ci fu, secondo me, la presunzione sborona texana unita al disprezzo verso tutto ciò che è ‘non americano’ : ‘Ma sì, dai, diamo pure un po’ di tecnologia ai musi gialli, tanto, prima che arrivino al nostro livello, hai voglia! 😊 ‘ Pensavano di poterli sfruttare come confezionatori di smartphone per chissà quanti anni ancora. Imbecilli. Hanno creato un mostro che creerà guai grossi a loro ma ancor più a noi, eterno vaso d’argilla.

Intervista con il professor David Arase dell’Università di Hong Kong e dell’Hopkins-Nanjing Center Di SCOTT FOSTER

Belt & Road Phase 2 va oltre l’infrastruttura
Intervista con il professor David Arase dell’Università di Hong Kong e dell’Hopkins-Nanjing Center
Di SCOTT FOSTER
29 DICEMBRE 2021
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Il corridoio economico Cina-Pakistan da 60 miliardi di dollari è una parte importante della Belt and Road Initiative cinese. Immagine: CPEC/Facebook
Tieni d’occhio la Belt & Road Initiative della Cina nel nuovo anno. Sta succedendo più di quanto generalmente si creda.

Belt & Road non è solo la costruzione di “corridoi” di trasporto terrestre e marittimo attraverso e intorno all’Asia verso l’Africa, l’Europa e oltre per facilitare il commercio; non solo porti e porti costruiti dai cinesi lungo le coste dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che potrebbero essere trasformati in basi navali; non solo una “diplomazia della trappola del debito” volta a trascinare le nazioni in via di sviluppo in un ordine internazionale cinese emergente.

David Arase, professore onorario presso l’Asia Global Institute presso l’Università di Hong Kong e professore residente di politica internazionale presso l’Hopkins-Nanjing Center della Johns Hopkins University School of Advanced International Studies, affronta questi punti in modo molto dettagliato.

Dettagli più che sufficienti per smentirci dall’idea che – i suoi metodi e i suoi scopi essendo stati chiamati in causa dalla rumorosa diplomazia americana – Belt & Road sia in svantaggio.

In un saggio pubblicato , Arase scrive che i cinesi sono da tempo consapevoli delle carenze dell’originale Belt & Road Initiative (BRI) incentrata sulle infrastrutture fisiche – compreso il rischio di credito, ambientale e reputazionale – e se ne stanno occupando in modo completo , modo lungimirante:

Con il secondo Belt and Road Forum (BRF) nel 2019, la Cina aveva reagito alle prospettive di rischio-rendimento negative della fase iniziale di cooperazione annunciando una nuova era “verde e sostenibile” per la Belt and Road…

Meno notato, ma forse più significativo, è stato il nuovo focus sull’armonizzazione di diversi regimi legali, politici e di standard tecnici tra i paesi BRI collegati. Nel suo discorso al BRF del 2019, [il presidente cinese] Xi ha sottolineato che “dobbiamo promuovere la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, dire no al protezionismo e rendere la globalizzazione economica più aperta, inclusiva, equilibrata e vantaggiosa per tutti”. In termini concreti, ciò significava promuovere standard uniformi per le zone di libero scambio, la protezione della proprietà intellettuale, le regole sul trasferimento di tecnologia, la riduzione delle tariffe, la stabilizzazione del tasso di cambio, l’applicazione dei trattati commerciali e la risoluzione delle controversie commerciali e di investimento…

Mentre sarebbe ancora necessaria la cooperazione in progetti di infrastrutture pesanti per aggiornare la connettività dei corridoi, la cooperazione BRI si è espansa nella tecnologia: tecnologie digitali ad alta intensità di conoscenza (la “via della seta digitale”), industrie legate alla salute (la “via della seta della salute”) e complesse Progetti di Internet of Things (IoT) basati sul 5G come le città intelligenti (“cooperazione per l’innovazione”).

Con questo come sfondo – e non potendo incontrarmi a causa del virus – ho intervistato via e-mail il professore di Tokyo. Ecco la prima parte dell’intervista modificata in due parti:

D: Hai parlato prima del fatto che la Belt & Road cinese non è solo una questione di promozione del commercio attraverso le infrastrutture, ma una geostrategia completa con una componente militare. Potresti approfondire?

I progetti infrastrutturali Belt & Road creano una testa di ponte per il commercio, gli investimenti, la finanza, la tecnologia e la logistica cinesi per entrare nelle economie dei paesi in via di sviluppo molto più piccoli e per modernizzare e dominare i settori in cui possono operare con profitto.

Se l’economia modernizzata di un paese raggiunge un punto in cui non può essere mantenuta senza le imprese cinesi e l’accesso alla finanza, al commercio e alla tecnologia cinesi, i governi messi in questa situazione sarebbero soddisfatti, corrotti o costretti a seguire le richieste e le preferenze cinesi per garantire le proprie interesse per la stabilità economica e politica.

Potrebbero persino essere persuasi a richiedere la cooperazione con l’Esercito di liberazione popolare e i ministeri della sicurezza civile cinese per proteggere e difendere i loro investimenti congiunti in infrastrutture e connettività Belt & Road con la Cina.

Se questo tipo di situazione si diffondesse in tutta l’impronta della Belt & Road, con le loro future prospettive economiche e politiche in gioco, i governi di tutta l’Eurasia non avranno altra scelta che cooperare con le agende di governance economica, politica e di sicurezza della Cina, anche se queste minano e sostituiscono quelle degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

La BRI promuove questo tipo di strategia geo-economica fornendo “hardware” o impianti fisici, attrezzature, trasporti, energia e infrastrutture digitali finanziate da banche statali e costruite e gestite da imprese statali cinesi.

Queste entità di punta dello stato di partito portano un intero ecosistema di esportatori cinesi, subappaltatori, fornitori di servizi di lavoro, imprese private e piccoli imprenditori ovunque siano costruiti i progetti Belt & Road.

D: Ma questo processo non crea sempre più risorse all’estero che la Cina deve proteggere?

Esattamente. Quando uno stato accumula interessi acquisiti all’estero, deve provvedere alla loro protezione. L’ordine [internazionale] basato su regole ha stabilito norme concordate a livello multilaterale e giuridicamente vincolanti che disciplinano l’acquisizione e la protezione degli interessi esteri.

Ma affinché il sistema funzioni in assenza di un governo mondiale, tutte le parti contraenti devono rispettare le norme che si sono impegnate a sostenere.

Secondo l’ordine attuale, ci sono due ragioni diverse per sviluppare capacità armate e reclutare alleati per difendere i tuoi interessi all’estero. Uno è quello di difendere i tuoi diritti legittimi secondo l’ordine basato sulle regole. L’altro è rivendicare con forza nuovi diritti e imporre nuove norme di governance per migliorare i propri interessi a spese delle norme esistenti e dei diritti di altri attori.

L’accumulo di interessi all’estero è ciò che la Belt & Road Initiative fa in grande stile attraverso e intorno all’Eurasia. Mentre la Cina costruisce porti, piantagioni, miniere, ferrovie, parchi industriali e zone commerciali, nuovi mercati, nuove rotte di trasporto e comunità di cittadini d’oltremare, non può essere criticata per aver cercato modi per proteggerli.

D: Significa che ciò che è iniziato come attività economica è ora collegato alla difesa nazionale della Cina?

Al contrario, lo è stato fin dall’inizio.

La Belt & Road Initiative è stata lanciata nell’autunno 2013 insieme a iniziative diplomatiche, politiche e istituzionali complementari per costruire un nuovo tipo di ordine internazionale incentrato sulla Cina. Queste iniziative dei partner includevano la “diplomazia della periferia”, la costruzione di una “comunità di destino comune” e l’Asian Infrastructure Investment Bank.

L’infrastruttura Belt & Road deve essere costruita in conformità con i mandati legali e politici formali della Cina che implementano l’integrazione o la fusione militare-civile. La legge sulla mobilitazione della difesa nazionale del 2010 stabilisce che i progetti di infrastrutture civili “strettamente correlati alla difesa nazionale devono soddisfare i requisiti di difesa nazionale e possedere funzioni di difesa nazionale” e devono essere consegnati per uso militare quando necessario.

Le guardie di sicurezza camminano davanti a un cartellone per il Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale a Pechino il 13 maggio 2017. Foto: AFP / Wang Zhao
Il 13 ° Piano quinquennale (2017-21) prevede progetti integrati di sviluppo civile-militare nelle regioni marittime d’oltremare. Il libro bianco sulla difesa del 2015 richiede uno sviluppo di infrastrutture che tenga conto sia dell’uso civile che militare che sia “compatibile, complementare e reciprocamente accessibile”.

E la legge nazionale sui trasporti del 2017 richiede “pianificazione, costruzione, gestione e utilizzo delle risorse nei settori dei trasporti come ferrovie, strade, corsi d’acqua, aviazione, condutture e porti allo scopo di soddisfare i requisiti della difesa nazionale”.

Le imprese statali cinesi che progettano e costruiscono infrastrutture BRI devono agire in conformità con queste leggi.

D: E questo, presumo, porta inevitabilmente all’espansione delle attività cinesi legate alla sicurezza all’estero?

Sì. La Cina non riconosce alcuna connessione formale tra Belt & Road e l’Esercito di Liberazione Popolare. Ma in realtà, l’estensione degli interessi di investimento all’estero tramite Belt & Road richiede che i ruoli e le missioni di protezione all’estero dell’esercito stiano al passo.

Secondo i pianificatori strategici dell’esercito, “dove gli interessi nazionali si espandono, deve seguire il supporto della forza militare”. Pertanto, l’influenza geopolitica della Cina avanza con l’Iniziativa Belt & Road all’avanguardia e con l’Esercito di Liberazione Popolare che fa da retroguardia per proteggere gli investimenti Belt & Road e le rotte commerciali da potenziali minacce.

Nello svolgere le sue missioni di protezione all’estero di Belt & Road, l’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe trovare governi partner di Belt & Road disposti ad accettare istruzione, addestramento e attrezzature militari che migliorano la propria sicurezza nazionale e la sicurezza degli investimenti cinesi.

L’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe anche trovare il porto di Belt & Road e le infrastrutture di trasporto accessibili, familiari e facili da usare in caso di emergenza, se necessario.

Con l’avvio della Belt & Road Initiative dal 2013, non è casuale che la legge antiterrorismo del 2015 abbia autorizzato la polizia armata popolare a svolgere missioni antiterrorismo all’estero e che il white paper della difesa del 2015 abbia aggiunto la salvaguardia della sicurezza degli interessi cinesi all’estero. e mantenere la pace regionale e mondiale per le missioni strategiche dell’Esercito di Liberazione Popolare.

Il white paper della difesa del 2019 descrive “interessi all’estero” come operazioni e supporto militari all’estero migliorati, strutture logistiche all’estero, operazioni di protezione delle navi, sicurezza strategica delle rotte marittime e operazioni di evacuazione all’estero e di protezione dei diritti marittimi.

Nel 2020, la legge sulla difesa nazionale è stata rivista per aggiungere “salvaguardia degli interessi cinesi all’estero” e ha autorizzato l’Esercito di liberazione popolare a “mobilitare le sue forze” per “difendere i suoi interessi nazionali e interessi di sviluppo e risolvere le differenze con l’uso della forza” come aggiunte. alle “missioni e compiti” dell’esercito.

Le attività della Belt & Road e gli investimenti commerciali e gli interessi commerciali successivi costituiscono ovviamente interessi di sviluppo all’estero, quindi ora l’Esercito di Liberazione Popolare, aiutato dalla diplomazia cinese, deve sviluppare cooperazione e capacità per difendere questi interessi se ordinato dal Partito Comunista Cinese. .

Non è che l’esercito cinese si sia fatto cogliere impreparato. La marina cinese completerà una terza portaerei (e nuovo modello) entro l’estate 2021 e ha iniziato a costruirne una quarta. Ha anche sviluppato una forza antiterrorismo in grado di dispiegarsi all’estero, un corpo di marina di spedizione e un corpo di paracadutisti con grandi nuovi tipi di navi da trasporto marittimo e aereo per dispiegare queste forze.

Con una sola base d’oltremare ufficialmente riconosciuta a Gibuti, la protezione all’estero degli interessi di sviluppo di Belt & Road richiederà la negoziazione di accordi con i paesi ospitanti per la transizione di porti, aeroporti e zone di sviluppo che fino ad ora erano esclusivamente civili in strutture a uso doppio o parallelo disponibili per supportare un livello rafforzato di presenza strategica dell’Esercito di Liberazione del Popolo per garantire gli interessi di sviluppo dei paesi partner cinesi e Belt & Road.

D: In che modo questo cambia il calcolo della geostrategia Belt & Road?

Oltre ad assicurare il sostegno alle operazioni dell’Esercito di Liberazione Popolare, i dividendi includono la definizione dell’agenda nei forum di governance regionale; la conquista dei mercati e l’approvvigionamento di risorse critiche; Belt & Road cooperazione con i partner militari e di polizia dello stato del partito per garantire interessi e aumentare l’influenza con i partner; e l’influenza politica attraverso l’istruzione e la formazione di politici, funzionari governativi, soldati e poliziotti e giovani nei paesi partner. Per un partito-stato dedito all’agenda del sogno cinese, tali guadagni politici e strategici potrebbero superare di gran lunga il costo finanziario delle cancellazioni del prestito del progetto Belt & Road.

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Scott Foster, laureato alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies di Washington, DC, è un analista presso LightStream Research a Tokyo. Seguilo su Twitter: @ScottFo83517667

FASCISMI VECCHI E NUOVI, di Antonio de Martini

FASCISMI VECCHI E NUOVI
Talleyrand, commentando la fucilazione del duca d’Enghien, spiegò che era più grave di un delitto: era un errore.
Sono d’accordo e invece di soffermarmi sui delitti del fascismo ( lo fanno ormai anche i fascisti), mi soffermerò sul suo errore: il disprezzo del consenso.
Non parlo, ovviamente, della ricerca del consenso a tutti i costi, sport favorito delle mezze tacche, ma del consenzo che nasce dal confronto che forma la volontà generale.
Il fascismo trasformò i comizi in riti, i giornali di opposizione, chiusero, fu creata l’EIAR, la radio che diffondeva il pensiero unico del capo e l’Agenzia Stefani che “notiziava” il popolo d’Italia.
Tutti presidiati da fidi omuncoli con l’obbiettivo di rendere impossibile qualsiasi alternativa.
La logica conseguenza fu la creazione disorganica e spontanea di una cultura divergente che guardava al passato ( la monarchia) o al futuro ( un nebbioso utopico socialismo).
Questa considerazione affiora alla mente, vedendo più che ascoltando, la diffusione televisiva del trentottesimo “discorso di addio” di Sergio Mattarella mentre la popolazione era ancora scioccata dai catastrofici aumenti delle utenze più indispensabili al vivere.
Il disprezzo degli italiani che costui millanta di aver servito, traspare dall’aver parlato solo bene di sè, col pretesto di fare l’identikit del prossimo presidente; con platee plaudenti a successi economici, salutistici e morali che abbiamo visto…
Ha portato avanti unicamente l’argomento della sua successione usando disinvoltamente persino la citazione di un pensionato deceduto – suprema gaffe- a causa di un esplosivo difetto nella fornitura di gas aumentato del 55% mentre la sua pensione – se fosse vissuto – avrebbe avuto un incremento dell’1,5%.
Cambiamenti dai tempi di “ Duce dacci la luce” ne abbiamo avuti e non solo nelle insegne dei tabaccai come insinuò quel disfattista di Salvemini.
L’EIAR ora ha invertito l’acronimo e si chiama RAI; la STEFANI si chiama ANSA, i giornali invece di assaltarli vengono riempiti di denari dalla presidenza del Consiglio di cui dovrebbero essere i controllori.
Questa riciclata fabbrica del consenso annidata al Quirinale promette “l’immancabile vittoria finale” fidando nel “ potente alleato” mentre gli italiani, specie i giovani guardano al passato ( il fascismo) che, per fortuna non hanno conosciuto, e al futuro ( un nebbioso cosmopolitismo).
Siamo di fronte a nullità che ci ripropongono il nulla parlando del nulla con una opposizione che vale ancor meno arrocata nei suoi neo acquisiti attici.
Pensare solo a sè non è un delitto .
È il solito errore.
Ci hanno negato il diritto di comunicare con la pubblica opinione.
Errore pagato dai vecchi fascisti.
Non saranno questi nuovi melliflui fascistelli a fare eccezione.

Crisi ambientale, catastrofismo climatico e avventurismo energetico_di Giuseppe Germinario

Il 29 dicembre scorso abbiamo pubblicato un breve articolo di Piergiorgio Rosso, apparso su www.conflittiestrategie.it, riguardante lo stato dell’arte, in casa ENI, sulle prospettive di ricerca del processo di fusione nucleare e un lungo articolo, dal carattere prevalentemente agiografico ma comunque interessante, del sito IndustriaItaliana, sulla partecipazione della piccola e media industria italiana allo sviluppo delle moderne tecnologie nucleari. http://italiaeilmondo.com/2021/12/29/fusione-nucleare-e-eni-perche-conta-di-piergiorgio-rosso/ Un testo, il primo, sintetico e incisivo, tipico dell’approccio di un tecnico professionista, che offre numerosi spunti di riflessione, in particolare, nell’economia di questo commento, nei punti 1° e 3°.Riguardo al 1° vale la pena sottolineare la costante irrilevanza del tema della sovranità ed autonomia nazionali, sia in forma individuale che condivisa con altri stati affini specie in un contesto multipolare come l’attuale e la sudditanza remissiva ed irriflessiva del sistema mediatico alle campagne allarmistiche e modaiole lanciate di volta in volta dai veri facitori di opinione pubblica più o meno discreti.

il 3° punto è in realtà propedeutico al 1° e per rendere evidente tale caratteristica occorre riprendere il principio informatore del recente articolo di Roberto Buffagni sulla gestione della pandemia http://italiaeilmondo.com/2021/12/19/sulle-strategie-di-approccio-alla-pandemia-da-coronavirus-tiriamo-le-fila_di-roberto-buffagni/ : la gestione positiva di una crisi sistemica complessa ed imprevista non può essere affidata ad un’unica soluzione salvifica, in pratica ad una scommessa. Un approccio unidimensionale all’apparenza occasionale, ma che viene riproposto pedissequamente, in realtà, in analoghe situazioni di reale o presunta crisi sistemica. Il segno a questo punto dei limiti di visione e di realistica ambizione di classi dirigenti ottuse e decadenti, prive di autonomia strategica; la causa prima dei comportamenti paradossali e incoerenti, dozzinalmente manipolatori di queste man mano che devono sbattere con l’evidenza della realtà. Lo abbiamo già visto nella crisi pandemica in corso; cominciamo ad intravederlo negli altri tre ambiti segnalati da questo articolo. Le questioni ambientale e climatica da una parte ed energetica dall’altra sono, quindi, tre delle vittime più illustri di questo approccio.

La questione ambientale/climatica si è trasformata rapidamente nella sua forma dogmatica e moralisticheggiante di ambientalismo catastrofico nel momento in cui ha attribuito all’UOMO, alla sua avidità e al suo delirio di potenza, la responsabilità prima e determinante dei cambiamenti climatici. Un assioma ancora tutto da dimostrare al quale seguono altre certezze più simili a dogmi indiscutibili che ad argomentazioni inoppugnabili, quali l’origine e la responsabilità antropica del cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse della terra.

Assiomi i quali, per essere inquadrati criticamente, necessitano intanto di due precisazioni preliminari:

  • la questione ambientale andrebbe prima separata nettamente da quella climatica per poi procedere all’individuazione delle correlazioni tra di esse;
  • la tematica ambientale/climatica non è un mero movimento culturale pregno di motivazioni idealistiche solo in un versante, ma un tema politico sostenuto in entrambi i versanti da lobby, dinamiche geopolitiche e gruppi di interessi, uno dei quali, in quanto allo stato nascente e intrinsecamente più limitato, dal carattere maggiormente assistito e parassitario e con alcuni attori di prima grandezza impegnati contemporaneamente nei due fronti. Uno per tutti il solito Soros, impegnato a finanziare i vari “gretini” per il mondo e nella partecipazione azionaria di CFS, impegnata nella ricerca applicata sulla fusione nucleare.

 

Il cambiamento climatico, per meglio dire i cambiamenti climatici, quando rilevati lungo tempi ragionevoli ed appropriati, hanno effetti opposti e non necessariamente negativi secondo la latitudine, il carattere e la morfologia dei terreni, la cura del territorio, il livello di antropizzazione incontrollata e squilibrata, sia in condizione di spopolamento che di inurbamento caotico ed incontrollato.

Ammessa e non concessa la determinante responsabilità antropica nei cambiamenti climatici, più che di “UOMO” si dovrebbe parlare di uomini nelle loro diverse aggregazioni sociali, nei loro vari gruppi di interesse e di visione delle cose, nelle loro diverse dinamiche legate al soddisfacimento delle necessità.

Conseguenze e problemi diversi in diversi contesti, ma anche e quindi approccio multidimensionale nella individuazione e circoscrizione dei problemi ed adozione di provvedimenti ed indirizzi secondo il criterio cautelativo del multirischio (AHP), tipico di azioni in contesti complessi e non sufficientemente controllabili.

Se, a titolo di esempio, i cambiamenti climatici possono innescare processi di desertificazione, l’intervento dell’uomo può contribuire a rendere irreversibile, contenere o a far regredire il fenomeno: lo sono, però, in un senso e nell’altro, tanto l’introduzione dell’allevamento estensivo, specie di ovini, come nel Sahel, quanto l’uso indiscriminato di fertilizzanti e anticrittogamici nelle coltivazioni intensive e specializzate; tanto la sovrappopolazione rispetto alla capacità dei bacini idrografici e alle tecnologie ivi disponibili di uso razionale delle risorse idriche, quanto l’abbandono e lo spopolamento di territori bonificati e trasformati dal paziente, millenario intervento dell’uomo; tanto i repentini processi di industrializzazione e sfruttamento dei terreni, come avvenuto nell’Asia sovietica, quanto la loro repentina interruzione. Per non parlare del problema delle risorse idriche e dei contenziosi geopolitici ad esse legate ( http://italiaeilmondo.com/2018/03/16/geopolitica-dellacqua-verita-controcorrente-di-aymeric-chauprade-traduzione-di-roberto-buffagni/ ). Si potrebbe continuare all’infinito. Come si potrebbe sindacare sugli sconvolgimenti ambientali ed economici provocati dall’interruzione repentina e senza alternative dell’uso di sostanze chimiche, ma rimossi da quegli ambientalisti così altrimenti sensibili ai mutamenti.

Ad un tale livello di complessità ed articolazione delle problematiche intrinseche ai sistemi ecologici si deve aggiungere l’ulteriore complicatezza di quelle estrinseche in azione in questo ambito, a cominciare dalle dinamiche geopolitiche, dalle esigenze di coesione e dinamicità delle formazioni sociali, dalla costante pressione esercitata dall’accumulazione capitalistica, dal modello di sviluppo e di progresso che informa le diverse strategie politiche delle classi dirigenti.

Da qui il carattere irrealistico delle ipotesi di governo mondiale di questi fenomeni, tanto più in una fase multipolare delle dinamiche geopolitiche. Si potrebbe pervenire tutt’al più alla definizione di indirizzi e di qualche strumento finanziario e di incentivazione a patto che si passi dalla velleità del contrasto all’obbiettivo più praticabile dell’adattamento, principio accettato in coabitazione solo dopo quattro decenni di proclami apocalittici quanto sterili.

Troppo poco rispetto all’annuncio drammatico della imminente catastrofe; sufficiente, però, a spingere alla soluzione salvifica e al discrimine moralistico rispetto al posizionamento dei vari attori; esattamente come è successo per la crisi pandemica, per il discrimine umanitario dei regimi e via dicendo.

Non poteva non cadere nel mirino il principale bersaglio predestinato: la produzione ed il consumo dell’energia fossile; non potevano non essere il principale soggetto promotore e la vittima suicida di queste scelte i paesi europei e la loro sintesi politica di impotenza e subordinazione, l’Unione Europea. Nel nostro piccolo, gli artefici ed apologeti del PNRR.

L’obbiettivo di conversione integrale e subitanea alle fonti di energia rinnovabile è di per sé irrealizzabile per i limiti fisici di trasformazione delle fonti originarie e di estensione territoriale degli impianti necessari. Imposta come soluzione salvifica e redentiva induce a sottovalutare i problemi di inquinamento e di dipendenza geopolitica derivati dall’estrazione e dalla lavorazione delle materie prime, del tutto analoghi a quelli delle fonti fossili; spinge a rimuovere il problema dell’intermittenza della produzione e dell’accumulazione e trasporto di questi prodotti; sopprime di fatto ogni obbiettivo di ricerca delle fonti fossili, di miglioramento delle loro rese proprio nella fase più delicata di questo processo, quella della transizione; impedisce una realistica politica integrata e diversificata delle fonti e delle modalità di produzione ed espone, con la fretta nell’adozione ed i ritardi nella capacità di produzione, alla dipendenza tecnologica. Il mix perfetto per perpetuare la propria dipendenza geoeconomica e geopolitica e per esporsi pericolosamente a crisi drammatiche quanto prevedibili ampiamente preannunciate e già in corso. Crisi non cagionate dal fato, ma da precise responsabilità e ottusità politiche, aggravate per di più da scelte economiche come quella di affidarsi, in tempi così incerti, alle contrattazioni hot spot nel mercato delle fonti fossili e dalla subordinazione geopolitica come accade sulle vicende south-stream, north-stream 2, della gestione schizofrenica dei giacimenti nell’Mediterraneo Orientale, del mancato sfruttamento delle risorse proprie per ragioni avulse da quelle del mantenimento di riserve strategiche proprie.

Un mix esplosivo e inconfessabile in grado di mettere assieme sodalizi improbabili ed apparentemente inconciliabili, laddove il dogmatismo di gran parte dei movimenti ambientalisti, la subordinazione e passività politica e geopolitica delle classi dirigenti europeiste e dei paesi europei, la natura speculativa di quegli ambienti finanziari adusi a trarre profitto dalle situazioni di crisi e di transizioni sgovernate, l’indole assistenziale e parassitaria di quelli capaci di fondare il proprio successo su incentivi massicci e procrastinati indefinitamente, incapaci di gestire i tempi necessari alla sperimentazione e alla applicazione industriale delle scoperte scientifiche trovano un humus comune nel quale coltivare utopia millenaria ed interessi prosaici.

Non è solo, purtroppo, un problema di buon senso, ma quello di un continuo tentativo di procrastinare situazioni più o meno reali di emergenza tali da giustificare l’esistenza e la legittimità di classi dirigenti altrimenti improbabili e da rendere schizofrenici i necessari bagni nella realtà ai quali si è costretti a cedere, come nel caso del riconoscimento dell’energia nucleare come fonte indispensabile alla transizione, quando in realtà necessaria strategicamente e in più campi.

La notizia evidenziata da Piergiorgio Rosso, nel nostro testo del 29 dicembre scorso, rappresenta un barlume positivo, ma ancora tutto da interpretare nella sua consistenza; il successivo articolo di Industria Italiana, nello stesso testo, valorizza la capacità manifatturiera della piccola e media industria nel settore nucleare, ma glissa elegantemente sul carattere complementare dell’industria italiana nella catena del valore. Non a caso è totalmente assente, nell’articolo, un qualche accenno sul ruolo, pur esistente e resistente, della residua grande industria strategica italiana.

Un provincialismo ed economicismo consapevole perfettamente in linea con la vacuità e la passività della nostra classe dirigente ma del tutto inadeguati l’uno e l’altra ai frangenti che dovremo affrontare.

Il PNRR, del quale si celebrano quotidianamente i fasti, rappresenta la summa di queste modalità operative ed opacità, ad essere generosi, degli obbiettivi. Un argomento che sarà necessario approfondire proprio per trovare conferme in sede di bilancio, dovesse essercene l’opportunità.

Buon Anno a modo nostro dalla redazione e da TKG

Anche il 2021 è andato. Auguriamo un 2022 migliore del precedente. Sarà un anno intrigante e inquietante nel mondo; dal destino segnato, ahimé, per il nostro paese. Sappiamo però che i destini privati non coincidono necessariamente con quelli di una comunità. E’, comunque, nostro dovere e nel nostro piccolo far emergere le risorse vitali che pur esistono nel nostro paese. Come con gli auguri natalizi intendiamo affermare lo spirito che alimenta l’impegno nel nostro sito con la pubblicazione di un contributo di una figura esterna, ma ormai affezionatissima_Giuseppe Germinario

PANDEMIA DOCET, di Teodoro Klitsche de la Grange

A detta di tanti, la pandemia – ormai biennale – ha insegnato molte cose, e altrettante ne cambierà. Perciò m’intruppo anch’io in questa (folta) compagnia, onde esporre quale ammaestramento – a mio avviso – se ne può trovare.

Il pensiero prevalente a livello di comunicazione mainstream prima della pandemia trovava il proprio nocciolo duro nelle credenze che: a) il mondo viaggiasse sul binario di un progresso lineare ed irreversibile dal più povero al più ricco, dal più violento al meno violento, dal più malato al più sano (e così via) b) all’orizzonte, ma già in larga misura in atto, c’era un ordinamento sociale privo d’eccezioni e quindi puramente normativo ed essenzialmente statico.

Nell’utopismo marxista (finito) era la società senza classi; nel successivo pensiero unico (e anche debole) ha assunto forme e nomi (parzialmente) diversi, dalla “fine della storia” alla “governance globale”. Tutte accumunate dal fatto che le emergenze, in tutte le loro manifestazioni, erano sostanzialmente finite, quali stroncate (il più delle volte) dal progresso, e ridotte in altre – più limitate (dal terremoto all’incidente aereo)- dalla capacità di contenerne e ridimensionarne gli effetti negativi.

La pandemia ha mostrato il carattere illusorio, anzi affabulatorio di certe credenze: è stata l’irruzione della realtà in un mondo di favole.

Il fatto che ci sia già costata oltre cinque milioni di morti e danni enormi (economici e sociali); e perfino che abbia limitato al minimo i consumi voluttuari (con scorno delle élite), rende impossibile ricondurla alla prima o alla seconda categoria: quanto alla seconda, per le dimensioni (non è un terremoto appenninico); quanto alla prima perché è evidente che il progresso non ci protegge da certi eventi. Anzi, una verosimile spiegazione della nascita e diffusione del Covid lo ascrive ad un errore nel laboratorio di Wu-Han, costruito – si dice – per lo studio delle malattie virali. Un classico caso di eterogenesi dei fini, scriverebbe Max Weber (a non fare ipotesi più maligne).

Resta il fatto che il progresso non produce solo il bene, ma anche il male: e in ogni caso, ci aiuta, ma non elimina i rovesci della fortuna.

Uso il termine impiegato da Machiavelli nel XXV capitolo del Principe, perché il genio fiorentino contrappone alla fortuna la virtù (dei governanti). La fortuna assomiglia a un fiume che allaga e distrugge edifici e colture; ciononostante gli uomini possono limitarlo con argini e ripari “Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza, dove non è ordinata virtù a resisterle: e quivi volta a sua impeti, dove ella sa che non sono fatti gli argini né ripari a tenerla”. In Italia trova una campagna senza argini, ossia manca virtù nei governanti. Cosa che non succede nella “Magna, la Spagna e la Francia”.

Ad applicarla alla situazione italiana nelle crisi di questo secolo (quella finanziaria del 2008 e la pandemica), abbiamo la conferma di quanto sosteneva il segretario fiorentino: le due crisi sono state affrontate da governanti carenti di virtù. Tant’è che la prima si è trascinata in Italia per oltre un decennio, e in Europa (in Magna….) è durata assai di meno e provocato danni inferiori.

Quanto alla seconda, per trovare una risposta organizzativa non scadente in misure da “parata” (primule, banchi a rotelle, ecc. ecc.) abbiamo dovuto cambiare governo. Non so se questo basterà. Ma qualche miglioramento sicuramente l’abbiamo visto. Resta il fatto che la pandemia ci ha insegnato che i paternostri dispensati a piene mani dalla classe dirigente erano inutili; che tale inutilità era data essenzialmente dal non comprendere che la virtù consiste nella capacità di dare una risposta efficace a situazioni improvvise; che norme e progresso servono a poco se non adatte ad affrontare l’emergenza. E che la vita non è un viaggio in treno dove comunque, senza fatica, si arriva a destinazione. Ma soprattutto che per affrontare le crisi occorre la virtù, ossia la capacità prima di prevederle e prepararsi, poi di gestirle. Cioè tutto il contrario di quanto ci hanno propinato da decenni. Non so se l’anno prossimo vedremo il capitolo XXVI del Principe, ossia il riscatto generato proprio dall’aggravarsi della crisi. Non si vede il Principe adatto, né moderno né antico; d’altra parte la stessa sorte toccò a Machiavelli e all’Italia del XVI secolo, che trovò il proprio Principe solo nel XIX.

Teodoro Klitsche de la Grange

Stati Uniti, il ritorno dei naufraghi_con Gianfranco Campa

Negli Stati Uniti stiamo assistendo ai primi segnali di un ribaltamento della narrazione che ha giustificato sino ad ora la gestione della pandemia da parte dell’establishment dominante. Di fronte alla evidenza stridente della realtà, alle nubi che si affacciano all’orizzonte circa il dissesto economico provocato e le probabili implicazioni di lunga durata delle scelte farmacologiche adottate in grande fretta diventa sempre più arduo proseguire sulla stessa strada non ostante il sostegno monolitico della gran cassa mediatica. Rappresenta il tentativo, probabilmente estremo, di consentire ai naufraghi dell’attuale panorama politico non solo di riemergere dalla crisi di consenso, di autorità e di autorevolezza in cui sono sprofondati, ma di riprendere saldamente in mano il controllo della situazione, riuscendo nel capolavoro di coinvolgere pesantemente nella responsabilità di una gestione fallimentare e cinica Donald Trump. E’, infatti, il primo reale momento di rottura, probabilmente non ancora irreparabile, del profondo legame dell’ex presidente con lo zoccolo duro del suo elettorato, grazie anche ad una clamorosa ingenuità. Non sappiamo se fatale. Siamo ancora agli inizi e il finale dello spartito non è ancora stato scritto. Richiederà il sacrificio di alcuni capri espiatori in campo democratico e neocon. Le incognite però sono ancora troppe: il caso Epstein, di fatto oscurato, ma non ancora chiuso; il dilemma dei rapporti con la Cina e soprattutto con la Russia non più eludibile, grazie ai passi intrapresi da Putin e Lavrov; l’immigrazione sempre più incontrollata e la situazione economica a dir poco incerta; gli stati federati che sempre più intraprendono iniziative contrastanti con gli indirizzi del governo centrale; la polarizzazione drammatica all’interno del Partito Democratico; le possibili alternative che stanno emergendo nella leadership trumpiana. Tutti fattori che rischiano di risucchiare la ciurma dei naufraghi proprio nel momento in cui riescono ad aggrapparsi a qualche relitto per rimanere a galla, rendendo improcrastinabile l’avvento di nuovi timonieri. Sempre che ci siano. In Italia i sintomi di una crisi quantomeno di autorevolezza non mancano; come al solito la classe dirigente tarderà a cambiare lo spartito, scritto da altri e riprodotto malamente dai nostri epigoni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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