Draghi sarà il Presidente della Repubblica? a cura di Luigi Longo

Draghi sarà il Presidente della Repubblica?

a cura di Luigi Longo

1.E’ opportuno, in occasione della elezione del Presidente della Repubblica, rileggere l’intervento di Mario Draghi fatto sullo yacht Britannia il 2 giugno 1992 sul progetto di privatizzazione iperliberista in Italia (l’intervento è ripreso dal sito www.ilfattoquotidiano.it del 22/1/2020 e la divisione in paragrafi è mia). Per inciso, fa ridere la boutade apparsa sui mass media che narra di Mario Draghi allievo del grande keinesiano Federico Caffè (della serie “la situazione è drammatica ma non è seria”!).

L’opportunità è data dal fatto che Mario Draghi rappresenterebbe per i pre-dominanti USA e i sub-dominanti europei il Presidente della Repubblica ideale per garantire non solo la totale servitù italiana verso le strategie statunitensi in Italia, in Europa, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente (così come è stato per tutti i precedenti presidenti), ma anche la garanzia del controllo dei Fondi Europei del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e del debito pubblico, che, per essere chiari, nulla hanno a che fare con lo sviluppo del Paese e per il benessere della maggioranza della popolazione [ si veda la proposta del duo Draghi-Macron di creare una Agenzia del debito dell’Eurozona cedendo i debiti al MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) che imporrebbe una forte riduzione del debito pubblico con tagli drastici sulle spese sociali, per approfondimenti si rimanda a Fabio Bonciani, Il piano Draghi-Macron per cedere i debiti al MES: come trasformare dei numeri in debiti in www.comedonchisciotte.org del 17/1/2022].

Per una riflessione sul ruolo del Presidente della Repubblica ripropongo un mio scritto, apparso su www.Italiaeilmondo.com il 4/9/2018, con il titolo Le istituzioni e il conflitto che introduce una stimolante lettura di Marco Della Luna sulla costituzione del Quirinale.

2.Sono scettico sul fatto che Mario Draghi possa diventare il Presidente della Repubblica per le seguenti ragioni:

la prima: la sua elezione a Presidente comporterebbe, visto il ruolo di garante che dovrà svolgere e considerata la fase storica multicentrica, la formale transizione da una Repubblica democratica ad una Repubblica presidenziale, cioè, l’adeguamento, in pratica, della forma alla sostanza. Trovo arduo, se non impossibile, tale passaggio istituzionale, sia osservando il panorama politico, economico e sociale, sia considerando ed evidenziando che Mario Draghi è un agente strategico esecutore incapace di pensare, né tantomeno di gestire, strategie di sviluppo del Paese;

la seconda: il suo potere esecutivo (mostrato con la faccia gaberiana scolpita nella pietra che con grande autorevolezza spara cazzate) da Presidente del Consiglio, gli permette di eseguire meglio, attraverso lo strumento della pseudo pandemia da Covid-19 (sulla pseudo pandemia si veda Massimo Cascone, intervista a Stefano Dumontet, Morti, vaccini e speculazioni economiche, parte 1 e 2, www.comedonchisciotte.org, del 20/1/2022 e 21/1/2022), le strategie dei pre-dominanti USA (il dominio sull’Europa attraverso la Nato essendo il progetto statunitense dell’Unione Europea esaurito) e dei sub-dominanti europei che occupano spazi istituzionali di potere usando gli strumenti finanziari, monetari, economici, culturali, mediatici e giudiziari per gestire e appropriarsi della ricchezza prodotta dai popoli europei (gestione dei fondi europei, pagamento del debito pubblico, erosione del risparmio privato e delle riserve auree).

E’ sempre utile ricordare che l’Europa non è un soggetto politico e quindi non può esprimere un’idea di sviluppo autonomo in relazione all’Occidente e all’Oriente, avendo da tempo perso ogni identità e peculiarità travolta da un processo di americanizzazione dei territori giunto a saturazione come conseguenza di una grave crisi di civiltà occidentale.

3. Un uomo di potere come Francesco Cossiga, che si divertiva a fottere il potere sempre sotto l’ordine statunitense (Francesco Cossiga con Andrea Cangini, Fotti il potere. Gli arcana della politica e dell’umana natura, Aliberti editore, Roma, 2010), aveva avvisato che “Non si può nominare primo ministro [Mario Draghi, mia precisazione LL] chi è stato socio o lavora per la Goldman Sachs, grande banca di affari americana […] Un vile affarista. E’ il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, della svendita dell’industria pubblica italiana, quando era direttore generale del Tesoro. E immagina cosa farebbe se fosse eletto presidente del consiglio dei ministri. Svenderebbe tutto ciò che rimane ai suoi comparuzzi della Goldman Sachs”.

Il ruolo di Mario Draghi è quello di eseguire le strategie pre-dominanti statunitensi e sub-dominanti europee; per la sua storia, per le funzioni svolte a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, è illuminante, per questo è un pericolo per gli interessi nazionali e le sue articolazioni sociali

Nella corruzione di questo mondo, la mano dorata del delitto può scansare la giustizia, e si vede spesso la legge farsi accaparrare dalla sua preda […] La consuetudine, quel mostro che ogni sensibilità consuma, il demonio delle abitudini, è però anche angelo, quando con lo stesso viso veste di livrea le azioni buone e le malvage, vestito che s’indossa con facilità estrema […] L’abitudine può cambiare lo stampo della natura e domare il diavolo o cacciarlo del tutto, con forza meravigliosa (Shakespeare, Amleto, Mondadori, Milano, 1988, pp.177 e 193).

IL DISCORSO DI MARIO DRAGHI

Privatizzazioni inevitabili, ma da regolare con leggi ad hoc”: il discorso del 1992 (ma attualissimo) di Mario Draghi sul Britannia

Pubblichiamo il discorso di Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, alla Conferenza sulle Privatizzazioni tenutasi sullo yacht Britannia, del 2 giugno 1992: l’ex presidente della Bce parlò della vendita delle azioni pubbliche. Un processo con cui, 28 anni dopo, l’Italia fa i conti. Nelle sue parole i mercati come strada per la crescita, la fine del controllo politico, l’idea di public company, ma anche i tanti rischi: “Sarà più difficile gestire la disoccupazione. Non c’è una Thatcher – disse – servono strumenti per ridurre i senza lavoro e i divari regionali. Andranno tutelati gli azionisti di minoranza”. E ancora: “Questo processo lo richiede Maastricht, facciamolo prima noi. Ma va deciso da un esecutivo forte e stabile. Ridurremo il debito”.

La servitù del debito pubblico

Signore e signori, cari amici, desidero anzitutto congratularmi con l’Ambasciata Britannica e gli Invisibili Britannici per la loro superba ospitalità. Tenere questo incontro su questa nave è di per sé un esempio di privatizzazione di un fantastico bene pubblico. Durante gli ultimi quindici mesi, molto è stato detto sulla privatizzazione dell’economia italiana. Alcuni progressi sono stati fatti, nel promuovere la vendita di alcune banche possedute dallo Stato ad altre istituzioni cripto-pubbliche, e per questo la maggior parte del merito va a Guido Carli, ministro del Tesoro. Ma, per quanto riguarda le vendite reali delle maggiori aziende pubbliche al settore privato, è stato fatto poco.

Non deve sorprendere, perché un’ampia privatizzazione è una grande – direi straordinaria – decisione politica, che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per quasi cinquant’anni, induce un ampio processo di deregolamentazione, indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante. In altre parole, la decisione sulla privatizzazione è un’importante decisione politica che va oltre le decisioni sui singoli enti da privatizzare. Pertanto, può essere presa solo da un esecutivo che ha ricevuto un mandato preciso e stabile.
Altri oratori parleranno dello stato dell’arte in quest’area: dove siamo ora da un punto di vista normativo, e quali possono essere i prossimi passaggi. Una breve panoramica della visione del Tesoro sui principali effetti delle privatizzazioni può aiutare a comunicare la nostra strategia nei prossimi mesi. Primo: privatizzazioni e bilancio. La privatizzazione è stata originariamente introdotta come un modo per ridurre il deficit di bilancio. Più tardi abbiamo compreso, e l’abbiamo scritto nel nostro ultimo rapporto quadrimestrale, che la privatizzazione non può essere vista come sostituto del consolidamento fiscale, esattamente come una vendita di asset per un’impresa privata non può essere vista come un modo per ridurre le perdite annuali. Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del debito, non alla riduzione del deficit.

I debiti da pagare

Quando un governo vende un asset profittevole, perde tutti i dividendi futuri, ma può ridurre il suo debito complessivo e il servizio del debito. Quindi, la privatizzazione cambia il profilo temporale degli attivi e dei passivi, ma non può essere presentata come una riduzione del deficit, solo come il suo finanziamento. (Questo fatto, nella visione del Tesoro, ha alcune implicazioni che vedremo in un secondo momento). Le conseguenze politiche di questa visione sono due. Dal punto di vista della finanza pubblica, il consolidamento fiscale da mettere a bilancio per l’anno 1993 e i successivi non dovrebbe includere direttamente nessun ricavo dalle privatizzazioni. Nel contempo, dovremmo avviare un piano di riduzione del debito con gli incassi dalle privatizzazioni. Ciò implicherà più enfasi del Tesoro sulle implicazioni economiche complessive delle privatizzazioni e sull’obiettivo ultimo di ricostruire gli incentivi per il settore privato.

La centralizzazione della ricchezza finanziaria

Secondo: privatizzazioni e mercati finanziari. La privatizzazione implica un cambiamento nella composizione della ricchezza finanziaria privata dal debito pubblico alle azioni. L’effetto di riduzione del debito pubblico può implicare una discesa dei tassi di interesse. Ma l’impatto sui mercati finanziari può essere molto più importante, quando vediamo che la quantità di ricchezza privata in forma di azioni è piccola in relazione alla ricchezza privata totale e che con le privatizzazioni può aumentare in modo significativo. In altre parole, i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati. L’implicazione politica è che dovremmo vedere le privatizzazioni come un’opportunità per approvare leggi e generare cambiamenti istituzionali per potenziare l’efficienza e le dimensioni dei nostri mercati finanziari.

La crescita selvaggia del mercato

Tre: privatizzazioni e crescita. (In molti casi) vediamo le privatizzazioni come uno strumento per aumentare la crescita. Nella maggior parte dei casi la privatizzazione porterà a un aumento della produttività, con una gestione migliore o più indipendente, e a una struttura più competitiva del mercato. La privatizzazione quindi potrebbe parzialmente compensare i possibili – ma non certi – effetti di breve termine di contrazione fiscale necessaria per un bilancio più equilibrato. In alcuni casi, per trarre beneficio dai vantaggi di un aumento della concorrenza derivante dalla privatizzazione, potrebbe essere necessaria un’ampia deregolamentazione. Questo processo, se da una parte diminuisce le inefficienze e le rendite delle imprese pubbliche, dall’altra parte indebolisce la capacità del governo di perseguire alcuni obiettivi non di mercato, come la riduzione della disoccupazione e la promozione dello sviluppo regionale. Tuttavia, consideriamo questo processo – privatizzazione accompagnata da deregolamentazione – inevitabile perché innescato dall’aumento dell’integrazione europea. L’Italia può promuoverlo da sé, oppure essere obbligata dalla legislazione europea. Noi preferiamo la prima strada.

La mancanza di una strategia di sviluppo nazionale

Le implicazioni di policy sono che: a) un grande rilievo verrà dato all’analisi della struttura industriale che emergerà dopo le privatizzazioni, e soprattutto a capire se assicurino prezzi più bassi e una migliore qualità dei servizi prodotti; b) nei casi rilevanti la deregolamentazione dovrà accompagnare la decisione di privatizzare, e un’attenzione speciale sarà data ai requisiti delle norme comunitarie; c) dovranno essere trovati mezzi alternativi per perseguire obiettivi non di mercato, quando saranno considerati essenziali. Quarto: privatizzazioni e depoliticizzazione. Un ultimo aspetto attraente della privatizzazione è che è percepita come uno strumento per limitare l’interferenza politica nella gestione quotidiana delle aziende pubbliche. Questo è certamente vero e sbarazzarsi di questo fenomeno è un obiettivo lodevole. Tuttavia, dobbiamo essere certi che dopo le privatizzazioni non affronteremo lo stesso problema, col proprietario privato che interferisce nella gestione ordinaria dell’impresa. Qui l’implicazione politica immediata è l’esigenza di accompagnare la privatizzazione con una legislazione in grado di proteggere gli azionisti di minoranza e di tracciare linee chiare di separazione tra gli azionisti di controllo e il management, tra decisioni societarie ordinarie e straordinarie.

La svendita totale del Paese

A cosa dobbiamo fare attenzione, per valutare la forza del mandato politico di un governo che voglia veramente privatizzare? Primo, occorre una chiara decisione politica su quello che deve essere considerato un settore strategico. Non importa quanto questo concetto possa essere sfuggente, è comunque il prerequisito per muoversi senza incertezze. Secondo, visto che non c’è una Thatcher alle viste in Italia, dobbiamo considerare un insieme di disposizioni sui possibili effetti delle privatizzazioni sulla disoccupazione (se essa dovesse aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza), sulla possibile concentrazione di mercato, e sulla discriminazione dei prezzi (quest’ultima in particolare per la privatizzazione delle utility). Terzo, occorre superare i problemi normativi. Un esempio importante: le banche, che secondo la legislazione antitrust (l. 287/91) non possono essere acquisite da imprese industriali, ma solo da altre banche, da istituzioni finanziarie non bancarie (Sim, fondi pensione, fondi comuni di investimento, imprese finanziarie), da compagnie assicurative e da individui che non siano imprenditori professionisti. In pratica, siccome in Italia non ci sono virtualmente grandi banche private, gli unici possibili acquirenti tra gli investitori domestici sono le assicurazioni o i singoli individui. Una limitazione molto stringente.

La strategia del Trattato di Maastricht

In ordine logico, non necessariamente temporale, tutti questi passaggi dovrebbero avvenire prima del collocamento. In quel momento, affronteremo la sfida più importante: considerando che una vasta parte delle azioni sarà offerta, almeno inizialmente, agli investitori domestici, come facciamo spazio per questi asset nei loro portafogli? Qui giunge in tutta la sua importanza la necessità che le privatizzazioni siano a complemento di un piano credibile di riduzione del deficit, soprattutto per ridurre la creazione di debito pubblico. Solo se abbiamo successo nel compito di ridurre “continuamente e sostanziosamente” il nostro rapporto tra debito e Pil, come richiesto dal Trattato di Maastricht, troveremo spazio nei portafogli degli investitori. Allo stesso tempo, l’assorbimento di queste nuove azioni può essere accelerato dall’aumento dell’efficienza del nostro mercato azionario e dall’allargamento dello spettro degli intermediari finanziari. Qui il pensiero va subito alla creazione di fondi pensione ma, di nuovo, i fondi pensione sono alimentati dal risparmio privato che da ultimo deve essere accompagnato dal sistema di sicurezza sociale nazionale verso i fondi pensione. Ma un ammanco dei contributi di sicurezza sociale allo schema nazionale implicherebbe di per sé un deficit più elevato. Questo ci porta a una conclusione di policy sui fondi pensione: possono essere creati su una base veramente ampia solo se il sistema nazionale di sicurezza sociale è riformato nella direzione di un sistema meglio finanziato o più equilibrato rispetto a quello odierno.

Il disegno complessivo del disastro

Questa presentazione non era fatta per rispondere alla domanda su quanto possa essere veloce il processo di privatizzazioni – non è il momento giusto per affrontare il tema. L’obiettivo era fornirvi una lista delle cose da considerare per valutare la solidità del processo. La conclusione generale è che la privatizzazione è una delle poche riforme nella vita di un paese che ha assolutamente bisogno del contesto macroeconomico giusto per avere successo. Lasciatemi sottolineare ancora che non dobbiamo fare prima le principali riforme e poi le privatizzazioni. Dovremmo realizzarle insieme. Di certo, non possiamo avere le privatizzazioni senza una politica fiscale credibile, che – ne siamo certi – sarà parte di ogni futuro programma di governo, perché l’aderenza al Trattato di Maastricht sarà parte di ogni programma di governo.

La logica dei mercati

Lasciatemi concludere spiegando, nella visione del Tesoro, la principale ragione tecnica – possono esserci altre ragioni, legate alla visione personale dell’oratore, che vi risparmio – per cui questo processo decollerà. La ragione è questa: i mercati vedono le privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del nostro governo dai mercati stessi, dal loro buon funzionamento come principale strada per riportare la crescita. Poiché le privatizzazioni sono così cruciali nello sforzo riformatore del Paese, i mercati le vedono come il test di credibilità del nostro sforzo di consolidamento fiscale. E i mercati sono pronti a ricompensare l’Italia, come hanno fatto in altre occasioni, per l’azione in questa direzione. I benefici indiretti delle privatizzazioni, in termini di accresciuta credibilità delle nostre politiche, sono secondo noi così significativi da giocare un ruolo fondamentale nel ridurre in modo considerevole il costo dell’aggiustamento fiscale che ci attende nei prossimi cinque anni.

 

LE ISTITUZIONI E IL CONFLITTO

a cura di Luigi Longo

Suggerisco la lettura dell’articolo di Marco Della Luna, “Come prevenire un nuovo Euro-golpe” apparso sul sito www.marcodellaluna.info il 29 agosto 2018.

La sua lettura è stimolante perché evidenzia come le istituzioni sono luoghi di conflitto e di gestione del potere (degli agenti strategici sub-dominanti europei) e del dominio (degli agenti strategici pre-dominanti statunitensi).

Bisogna uscire dal campo delle istituzioni come luoghi di interesse generale, come luoghi neutrali dove si curano l’interesse della popolazione e di una nazione; occorre, invece, mettersi nel campo delle istituzioni come parti integranti del conflitto che attraversa la vita sociale di una nazione (con le sue forme di organizzazioni storicamente date) che è inserita nelle relazioni internazionali e nelle dinamiche di conflitto tra le nazioni-potenze che si configurano nelle diverse fasi storiche per il dominio mondiale.

COME PREVENIRE UN NUOVO EURO-GOLPE

di Marco Della Luna

Perché il Quirinale non può contenere il Presidente degli Italiani

Nell’estate del 2018 parecchi editorialisti stanno a congetturare sui possibili modi in cui, probabilmente, per abbattere il governo sovranista e rimetterne su uno europeista e immigrazionista, nel prossimo autunno, in tempo di legge di bilancio, verrà orchestrato un colpo di Stato dai soliti “mercati”, dal duo franco-tedesco, assieme alla BCE, ai “sorosiani”, ai magistrati “progressisti”.

Già i mass media pre-legittimano tale colpo di stato, come lo pre-legittimavano nel 2011, ripetendo a josa il concetto che il pericolo è il sovranismo e l’euroscetticismo, che lo scopo è come vincerli salvando l’integrazione europea, e tacendo completamente sui meccanismi e gli squilibri europei che danneggiano l’Italia a vantaggio di Germania e Francia soprattutto. Si comportano come sicuri che il golpe si farà.

Anche grazie a tali, ricorrenti campagne propagandistiche, l’idea del colpo di Stato degli interessi stranieri col tradimento del Quirinale in loro favore è oramai sentita come qualcosa di rientrante nell’ordine delle cose, di non sorprendente né, in fondo, scandaloso.

In particolare, è chiaro che il Quirinale (la cui cooperazione è indispensabile a un golpe politico, avendo esso la funzione di delegittimare il governo legittimo e legittimare quello illegittimo) è una sorta di rappresentante degli interessi e della volontà delle potenze straniere dominanti sull’Italia; e che la sua forza politica, la sua temibilità e la sua inattaccabilità derivano dal rappresentare esse, non certo dalle caratteristiche personali dei suoi inquilini. Il Quirinale è stato concepito e costruito, nella Costituzione italiana del 1948, al fine di far passare come alto giudizio e indirizzo della più alta Autorità nazionale quelle che invece sono imposizioni di interessi stranieri.

Dico “il Quirinale” e non “il Presidente della Repubblica” perché intendo proprio il Palazzo, come istituzione e ruolo nei rapporti gerarchici tra gli Stati, e non la persona fisica che lo occupa volta dopo volta. L’Italia è uscita dalla 2a Guerra Mondiale non solo sconfitta, ma con una resa incondizionata agli Alleati, e ha così accettato un ruolo subordinato agli interessi dei vincenti, incominciando dalla politica estera, per continuare con quella monetaria e bancaria. Il Quirinale è, costituzionalmente e storicamente, l’organo che ha assicurato la sua obbedienza e il suo allineamento nei molti cambiamenti di governi e maggioranze (corsivo mio, LL)

Certo, rispetto al golpe del 2011, la situazione oggi è diversa, per diverse ragioni:

-perché allora la maggioranza degli italiani voleva cacciare Berlusconi e credeva che cacciarlo avrebbe apportato legalità e progresso, mentre l’attuale governo gode del gradimento di un’ampia maggioranza della popolazione, sicché per rovesciarlo servirebbe molta più violenza di quella bastata nel 2011, oppure bisognerebbe dividere la maggioranza;

-perché da allora la gente ha capito qualcosa dall’esperienza dei governi napolitanici;

-perché Berlusconi non aveva gli appoggi di Washington e Mosca, né un piano B per il caso di rottura con l’UE;

-perché rispetto al 2011 l’eurocrazia ha perso credibilità e forza; perché essa teme le vicine elezioni europee e non può permettersi nuovi soprusi.

Come agire per prevenire un nuovo golpe, dopo tali premesse?

Suggerisco di spiegare alla popolazione il suddescritto ruolo storico e costituzionale del Quirinale, il suo ruolo di garante obbligato di interessi di potenze straniere vincitrici e sopraordinate, spesso in danno agli Italiani. Un ruolo non colpevole proprio perché obbligato, ma che in ogni caso priva il Quirinale della qualità di rappresentante degli Italiani e della autorevolezza, della quasi-sacralità che questa qualità gli conferirebbe. Il Quirinale è piuttosto una controparte dell’Italia.

Già il far entrare questa consapevolezza e questi concetti nella mente e nel dialogo dell’opinione pubblica può indebolire quel potere improprio e nocivo del Quirinale che gli consente di delegittimare i legittimi rappresentanti del popolo, sebbene esso non sia eletto dal popolo ma dalla partitocrazia, e di legittimare la loro illegittima sostituzione; quindi può aiutare la prevenzione di nuovi colpi di palazzo.

Nel tempo, si potrà pensare anche a una riforma nel senso del cancellierato, che dia più potere sul governo al premier, contenendo i poteri politici del Capo dello Stato e il fondo annuo di oltre un miliardo l’anno che egli gestisce – più della Regina Elisabetta; nonché a convertire il palazzo del Quirinale in un museo, trasferendo la sede della presidenza della Repubblica in un luogo dall’aria meno dominante e adatta alle nuove e ridotte competenze.

 

L’ULTIMO SPENGA LA LUCE, di Teodoro Klitsche de la Grange

L’ULTIMO SPENGA LA LUCE

Le recenti lezioni suppletive del seggio alla Camera lasciato libero dal neo eletto Sindaco di Roma on.le Gualtieri ha raggiunto un record di astensione elettorale: ha votato poco più di un decimo degli elettori (l’11% e frazioni). Dei votanti, un po’ meno del 60% ha plebiscitato (per così dire) la eletta on.le D’Elia (del PD). La quale ha occupato un seggio forte del consenso di poco più del 6% degli elettori.

Il tutto pone dei problemi che in una democrazia – anzi in ogni regime politico – sono considerati primari se non decisivi. Non ripetiamo i nomi di coloro che se ne sono occupati, ma solo i profili più importanti.

In primo luogo il rapporto tra potere (dei governanti) e consenso (dei governati): perché un regime politico sia vitale (nel senso anche della durata) occorre che potere e consenso convergano, di guisa che il comando della classe dirigente trovi la minore resistenza possibile: la quale è tale se i governati credono al diritto a governare nonché all’utilità del potere dei governanti. Se tale convinzione non c’è o è scarsa, il potere si esercita essenzialmente attraverso la coazione – esercitata dall’apparato (Donoso Cortès).

Ma un potere del genere è, di norma, transeunte (come, ad esempio, quello dell’occupazione militare) e di breve durata. Se riesce ad essere più duraturo è un potere dispotico, cioè fondato (in prevalenza) sulla paura (Montesquieu). Quando si leggono disposizioni accompagnate da sanzioni spropositate, si può star sicuri che, quanto è più eccessiva la sanzione irroganda tanto più è diffusa la disobbedienza al governo.

Resta il fatto che un regime basato in gran parte sulla coazione è, concettualmente l’inverso della funzione (e del pregio) della democrazia, quello di far “coincidere” comando e obbedienza, onde la volontà generale (cioè del tutto) sia “posta da tutti per applicarsi a tutti” (Rousseau).

In secondo luogo ogni regime politico si fonda sull’integrazione. Questo è il processo d’unificazione sociale che crea una polis armoniosa “basata su un ordine sentito come tale dai suoi membri” (Duverger). Per realizzarla occorre un’unione reale di volontà (Smend); a tale unione concorrono dei fattori d’integrazione (personale, funzionale o materiale). Non esiste un gruppo sociale che “non implichi partecipanti attivi, dirigenti e passivi”. In particolare l’integrazione funzionale si realizza in processi “il cui senso è una sintesi sociale” tra i quali “elezioni e votazioni… voto e principio di maggioranza sono forme d’integrazione più semplici ed originarie” (Smend), perché uno dei presupposti dell’effetto integrativo è “la partecipazione interna di tutti ad essa” (cioè alla vita istituzionale). In caso di elezioni, all’elettorato attivo il quale tra i fattori d’integrazione funzionale riveste un ruolo primario (anche se non esclusivo). Ma che succede se degli integrandi va a votare un’esigue minoranza?

Sono possibili due soluzioni.

Secondo la prima, condivisa attualmente dalla grande maggioranza della comunicazione mainstream, non succede nulla di rilevante.

Il rappresentante eletto, anche se alle elezioni hanno partecipato tre elettori ed abbia riportato due voti, è comunque legalmente abilitato a legiferare, e governare lato sensu. Tesi dovuta al combinarsi di due ragioni, concorrenti, ancorché in misura differente: la prima che l’elezione è avvenuta secondo le regole legali ed è quindi legale; la seconda che comunque, un governo è necessario e non ci si può “prendere una vacanza”. È inutile dire che la prima è quella preferita dalla maggioranza degli intellos di centrosinistra.

L’altra, realista, è che tutti i regimi politici conoscono una parabola, al termine della quale vengono sostituiti da un regime diverso. E tale sostituzione, quasi sempre non avviene rispettando le forme legali, stabilite dal regime senescente. Non è nelle possibilità umane creare una legalità eterna o comunque durevole per secoli e millenni, come dimostra la storia. Della quale qualche decennio fa era annunciata la fine, che la storia si è subito premurata di smentire.

Ancor più se tale legalità si basa su presupposti, attori, situazioni del tutto diverse da quelle del suo nascere. Non è l’illegalità – o la non legalità – che fa si che un regime sia vitale (e quindi efficace):è, come scriveva Smend, che, anche in uno Stato parlamentare, il popolo ha “una sua esistenza come popolo politico, come unione sovrana di volontà… in una sintesi politica in cui soltanto giunga sempre di nuovo ad esistere in generale come realtà statale”.

Esistenza, popolo, politico, sintesi, unione sovrana di volontà: già la terminologia usata dal giurista tedesco è idonea a suscitare la consueta raffica di anatemi ed esorcismi del pensiero mainstream.

Popolo? Sovrano? esistenza? Sintesi? È l’armamentario lessicale e concettuale dei sovranisti odierni da Orban a Salvini, passando per la Meloni; e quindi da esorcizzare. Inutilmente se non per taluni (molto pochi), perché le trasformazioni sociali avvengono con o senza legalità: è il fatto che crea il diritto. Per cui l’alternativa non è – sul piano fattuale – tra legalità e non legalità, ma tra cicli politici: prolungare il vecchio significa soltanto allungare la decadenza. E allontanare così l’aurora di un nuovo ciclo. Se in Italia assistiamo da circa 30 anni alla progressiva riduzione del numero dei votanti, la conseguenza non è di intonare peana se un deputato è eletto col 6% dei voti, ma solo sperare che l’ultimo degli eletti si premuri di spegnere la luce. In tempo di caro-bollette farebbe qualcosa di utile.

Teodoro Klitsche de la Grange

LO STATO LUNGO DI PUTIN, di GALIA ACKERMAN

Un altro importante documento utile a comprendere i fondamenti della politica estera ed interna russa. Surkov è stato licenziato da Putin nel 2020, probabilmente per ragioni di opportunità legate alle sanzioni occidentali delle quali è vittima l’autore.  I commenti del giornalista GALIA ACKERMAN meriterebbero considerazioni a parte, tempo permettendo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

LO STATO LUNGO DI PUTIN

Per capire il putinismo, devi parlare la lingua putiniana. Analisi e commento delle parole del suo primo propagandista: Vladislav Surkov.

A volte è chiamato l’eminenza grigia del potere russo. Dopo il servizio militare negli spetsnaz (truppe di intervento speciale) e il lavoro ad alto livello nelle comunicazioni per gli oligarchi Mikhail Khodorkovsky e Mikhail Fridman, Vladislav Surkov è entrato al servizio del presidente Eltsin negli ultimi mesi del suo mandato. Uno dei creatori del partito Russia Unita, è stato, non appena Vladimir Putin è salito al potere, una figura di spicco che ha plasmato l’ideologia e la pratica del regime di Putin. Dopo aver occupato posizioni molto alte nella gerarchia politica, è diventato, nel settembre 2013, aiutante del presidente Putin, e in particolare ha gestito la pratica ucraina, compresi i contatti con le autoproclamate repubbliche del Donbass. Creativo, scrive anche romanzi di intrighi politici con lo pseudonimo di Natan Dubovitsky. Surkov è sotto sanzioni da Stati Uniti, Unione Europea, Svizzera, Australia e Ucraina.

Nel febbraio 2019, Vladislav Surkov ha pubblicato ”  Lo stato lungo di Putin ” sul  quotidiano Nezavisimaya Gazeta . Questo testo ha avuto un grande impatto in Russia ed è stato commentato da molti analisti occidentali. È necessario cercare i messaggi nascosti dietro la retorica roboante di Surkov. Surkov evoca “l’impronta sul potere” di Vladimir Putin e solleva così la questione della successione del presidente russo dopo il 2024, data di fine del mandato presidenziale. Inoltre, afferma in forma programmatica la superiorità del sistema politico putiniano sulle democrazie occidentali.

“Sembra che abbiamo una scelta”. Queste parole colpiscono per la loro profondità e audacia. Pronunciate quindici anni fa, oggi sono dimenticate e non vengono citate. Ma secondo le leggi della psicologia, ciò che dimentichiamo ci colpisce molto più di ciò che ricordiamo. E queste parole, che vanno ben oltre il contesto in cui risuonano, diventano così il primo assioma del nuovo Stato russo, su cui si basano tutte le teorie e le pratiche della politica attuale.

Surkov usa fuori contesto una parafrasi di quanto disse Putin il 4 settembre 2004, il giorno dopo l’assalto delle forze speciali russe a Beslan, nell’Ossezia del Nord, volto a liberare 1.128 ostaggi, la maggior parte dei quali bambini, detenuti da terroristi ceceni. Durante questo assalto, 314 persone tra cui 186 bambini sono state uccise e più di 800 ferite. Per giustificare il sanguinoso intervento, Putin ha spiegato che la Russia non aveva altra scelta che attaccare. L’alternativa sarebbe stata quella di sottomettersi alle richieste dei terroristi e alla fine perdere la sovranità russa sull’intero territorio del Paese.

L’illusione della scelta è la più importante delle illusioni, è il trucco principale dello stile di vita occidentale in generale e della democrazia occidentale in particolare, che è stata a lungo legata alle idee di Barnum piuttosto che a quelle di Clistene. Il rifiuto di questa illusione a favore del realismo della predestinazione ha portato la nostra società a riflettere, prima sulla propria versione sovrana dello sviluppo democratico, e poi a perdere completamente interesse nelle discussioni su cosa dovrebbe essere la democrazia e se debba esistere o meno .

Surkov fa riferimento alla frase di Putin per formulare la propria idea: se la scelta democratica è solo un’illusione, è molto più salutare rifiutarla a favore del ruolo storico che la Russia ha sempre assunto: quello di un impero autoritario. Secondo lui, non si tratta dell’imposizione di un modello autoritario dall’alto, ma della libera scelta della società russa. In realtà, questo modello si è imposto in seguito alla distruzione dei media liberi, all’espulsione dalla sfera politica di partiti a orientamento democratico come Yabloko, alla propaganda molto efficace, alla distruzione di un gran numero di ONG con il pretesto del loro legame con l’estero , ecc., il tutto combinato con l’aumento del prezzo degli idrocarburi che ha coinciso con l’arrivo al potere di Putin e quindi con l’aumento del tenore di vita di una parte significativa della società.

Ciò ha consentito la libera costruzione statale, non secondo un modello chimerico importato dall’estero, ma guidata dalla logica dei processi storici, da un’“arte del possibile”. Il movimento per la disgregazione della Russia, tutto sommato impossibile, contro natura e contro storia, è stato definitivamente bloccato, sia pure tardivamente. Dopo che la struttura sovietica è crollata e da essa è emersa la nuova Federazione Russa, la Russia ha smesso di crollare, gradualmente si è ripresa ed è tornata alla sua condizione naturale, unica possibile: quella di una grande comunità di popoli in espansione, che continua a raccogliere terra. Il ruolo poco discreto del nostro Paese nella storia del mondo non ci permette di rimanere fuori dalla scena mondiale o di tacere all’interno della comunità internazionale.

È così che resiste lo stato russo, ora come un nuovo tipo di stato che non è mai esistito qui prima. Ha preso forma principalmente a metà degli anni 2000 e, sebbene finora sia stato poco studiato, la sua unicità e fattibilità ora ci sembrano ovvie. Le difficoltà che ha subito e sta sopportando ancora oggi hanno dimostrato che questo modello specifico e organico di funzionamento politico è un mezzo efficace per la sopravvivenza e l’ascesa della nazione russa, non solo negli anni a venire, ma nei decenni, persino nel secolo a venire.

La storia della Russia è nota per i suoi quattro principali modelli di stato, ordinati in base ai loro creatori: lo Stato di Ivan III (Gran Principato/Zarato di Mosca e di tutta la Russia, XV -XVII secolo) lo Stato di Pietro il Grande ( Impero Russo, 18° – 19° secolo) lo Stato di Lenin (Unione Sovietica, 20° secolo) e lo Stato di Putin (Federazione Russa, 21° secolo) Create da persone che, per usare il termine di Lev Gumilev, avevano una “volontà a lungo termine”, queste macchine politiche su larga scala si succedono, si adattano alle circostanze e guidano adeguatamente l’inevitabile ascesa del mondo.

L’idea che la predestinazione della Russia sia quella di “raccogliere le terre russe” risale al XIII secolo, quando si trattava di “radunare” i principati russi attorno al Gran Principato di Mosca. Nel 1547 la Moscovia fu trasformata in un regno (lo Zar). Dall’inizio del XVI secolo, l’espansione russa ha sistematicamente superato i limiti dei territori popolati dall’etnia russa, senza fermarsi. Tuttavia, gli storici contemporanei, come in epoca zarista, ritengono che questo processo di allargamento non possa essere chiamato colonizzazione perché gli zar ottennero l’adesione delle élite locali grazie alla politica delle carote e dei bastoni. In questo passaggio, Surkov afferma che la Russia odierna deve seguire questo modello storico obsoleto, pur affermando che lo stato russo sotto Putin ha assunto una forma politica completamente nuova,

Il ritmo della grande macchina politica di Putin sta solo accelerando e si prepara a un lavoro lungo e difficile, ma interessante. La sua impronta al potere durerà ancora, tanto che tra molti anni la Russia sarà ancora lo stato di Putin, per lo stesso motivo per cui la Francia è ancora chiamata la Quinta Repubblica di De Gaulle, quella Turchia (nonostante gli antikemalisti siano oggi al potere ) si basa ancora sull’ideologia delle “Sei frecce” di Atatürk, o che gli Stati Uniti fanno ancora riferimento alle immagini e ai valori dei suoi mitici Padri Fondatori.

È necessario prendere coscienza, comprendere e descrivere il sistema di governo di Putin e, più in generale, il complesso insieme di idee e dimensioni del Putinismo, perché è un’ideologia del futuro. Riguarda in particolare il futuro, perché Putin di oggi è solo a malapena un putinista, così come Marx non era un marxista e non possiamo essere sicuri che non gli sarebbe mai stato chiesto se avesse saputo di cosa si trattasse. Ma questo va analizzato per tutti coloro che, non essendo Putin, vorrebbero essere come lui in futuro. In modo che i suoi metodi e approcci possano essere diffusi nei tempi a venire.

La rappresentazione del Putinismo non dovrebbe essere condotta alla maniera della propaganda contro altra propaganda, la nostra e la loro, ma in un linguaggio che sarebbe percepito come moderatamente eretico sia dai funzionari russi che da quelli anti-russi. Tale linguaggio potrebbe diventare accettabile per un pubblico abbastanza ampio, il che è indispensabile, perché il sistema politico di fabbricazione russa non è solo adatto all’uso domestico, ma ha anche un notevole potenziale di esportazione. Questa richiesta per il modello russo, così come i suoi componenti, esiste già. Sia i governanti che i gruppi di opposizione [all’estero] stanno studiando l’esperienza russa e ne stanno adottando elementi.

Surkov afferma la necessità di descrivere, in termini moderati, il sistema putiniano. Per lui è un modello per il futuro e per l’export. Tuttavia, non spiega ancora in cosa consista questo modello o in cosa consista la sua originalità.

Quindi i politici stranieri accusano la Russia di interferire nelle elezioni e nei referendum in tutto il mondo. Il problema in realtà è ancora più grave: la Russia interferisce nei loro cervelli e non sanno come contrastare l’alterazione della propria coscienza. Da quando il nostro Paese, dopo il fallimento degli anni ’90, ha abbandonato i prestiti ideologici, ha iniziato a produrre i propri concetti e ha lanciato un’offensiva contro le idee occidentali, esperti europei e americani hanno moltiplicato previsioni errate. Sono sorpresi e furiosi per le scelte “paranormali” dei loro elettori. Nella confusione, stanno suonando campanelli d’allarme su un’ondata di populismo. Che lo chiamino così, se sono a corto di parole.

Tuttavia, l’interesse all’estero per l’algoritmo politico russo è facile da capire: non c’è nessun profeta nei loro paesi, mentre la Russia ha già predetto, da molto tempo, cosa sta succedendo loro oggi.

Mentre tutti erano ancora estasiati dalla globalizzazione e da un mondo piatto senza confini, Mosca ci ricordava instancabilmente che la sovranità e gli interessi nazionali avevano un significato. A quel tempo, molte persone ci hanno dato un attaccamento “ingenuo” a queste cose vecchie, presumibilmente obsolete. Ci hanno detto che non c’era nulla da nascondere a questi valori del 19° secolo e che dovevamo fare questo passo coraggioso verso il 21° secolo, quando le nazioni sovrane e gli stati nazionali sarebbero scomparsi. Il XXIsecolo si sta svolgendo come avevamo previsto. Brexit, il “Great Again” americano o le misure protettive contro l’immigrazione in Europa sono solo le prime righe di una lunga lista di fenomeni di rifiuto della de-globalizzazione, del ritorno alla sovranità delle nazioni e del nazionalismo che vediamo emergere in tutto il mondo mondo.

Qui, l’autore confuta a priori l’ingerenza della Russia nei processi politici (elezioni e referendum), per quanto provata, e sostiene che il nazionalismo e il populismo, la cui rinascita più o meno simultanea che vediamo in diversi paesi del mondo, sono piuttosto il risultato dell’influenza dell’ideologia russa sul “cervello” di politici di ogni genere. La Russia è presentata come l’unica forza che si è sollevata molto presto, a partire dagli anni 2000, contro la globalizzazione, contro il “mondo piatto senza frontiere” (espressione di Thomas Friedman a proposito di Internet, che concepisce il mondo come una piattaforma per la libertà flusso di idee). Questa presuntuosa affermazione non corrisponde alla realtà.

In Francia, ad esempio, il Fronte Nazionale esiste da diversi decenni e non aveva bisogno di trarre le sue idee dalla Russia. Più in generale, l’ascesa del populismo ha origini diverse, in gran parte è il malcontento sociale degli strati impoveriti, vittime della globalizzazione, in diverse parti del mondo. D’altra parte, la Russia ha infatti sempre sostenuto attivamente tali movimenti, in particolare facendo campagne per indebolire l’alleanza euro-atlantica e “spezzare” l’Unione e concedendo il suo sostegno a tutte le forze centrifughe all’interno dell’Europa. Se non ci sarà più il sostegno degli Stati Uniti e se l’Unione, oggi la più grande economia del mondo, crolla, la Russia avrà vinto la sua battaglia: a parte, nessun Paese europeo potrà resisterle.

Quando Internet è stata propagandata ovunque come uno spazio inviolabile di libertà senza restrizioni, dove tutti avrebbero dovuto poter fare tutto alla pari, è proprio dalla Russia che è sorta la domanda che ha fatto impazzire questa umanità: “Chi siamo noi In rete? Ragni o mosche? Oggi, tutti si sono precipitati a slegare la Rete, comprese le burocrazie più amanti della libertà, e ad accusare Facebook di essere morbido nei confronti delle interferenze straniere. Questo spazio virtuale, una volta libero e presentato come il prototipo del paradiso a venire, è stato gradualmente colonizzato e delimitato da cyberpolizia, cybercriminali, cybersoldati e cyberspie, cyberterroristi e cybermoralisti.

Surkov è di parte: Internet è certamente monitorato, anche dai servizi segreti americani, per motivi di sicurezza, ma monitorare e proibire sono due cose diverse. La Russia è tra i paesi che bloccano l’accesso ai siti dell’opposizione e perseguono non solo i blogger, ma anche le persone che hanno semplicemente apprezzato o ripubblicato qualsiasi opinione contraria alla politica russa. Sappiamo anche che molti hacker, troll e bot russi operano sul Web per influenzare l’opinione pubblica in molti paesi del mondo.

Mentre un incontrastato “egemone” prendeva piede, mentre il grande sogno americano del dominio del mondo si avvicinava al suo traguardo e altrettanti prevedevano la fine della storia, con il corollario finale di “i popoli che tacciono”, il discorso di Monaco risuona improvvisamente nel silenzio. Quello che allora sembrava dissenso è ora ampiamente accettato: tutti, compresi gli stessi americani, sono scontenti dell’America.

Un’altra distorsione. La fine della storia, prevista da Francis Fukuyama nel 1989, dopo la caduta del muro di Berlino, non ha nulla a che vedere con la dominazione americana. Ha parlato della vittoria ideologica della democrazia e del liberalismo, mentre oggi si arrendono qua e là all’assalto di populismi di ogni genere, come è avvenuto recentemente in Brasile. Per quanto riguarda il discorso di Monaco di Vladimir Putin, pronunciato nel 2007, il leader russo ha protestato contro il continuo allargamento della NATO ai paesi dell’Europa orientale e contro il piano di Washington di estendere la propria difesa missilistica a scudo all’Europa. Naturalmente, Putin ha dimenticato di dire che era l’Europa orientale a cercare l’adesione alla NATO, per paura della sua potente vicina Russia.

Di recente, un termine relativamente sconosciuto, derin devlet , tratto dal dizionario politico turco, è stato ripreso dai media americani. Tradotto in inglese da deep state, ha raggiunto i nostri media. È stato tradotto in russo come “Stato profondo” o “Stato abissale”. Il termine designa l’organizzazione in una rete rigida e assolutamente antidemocratica di potere reale in strutture politiche nascoste dietro uno schermo di istituzioni democratiche. Questo meccanismo, che in pratica esercita la sua autorità attraverso atti di violenza, corruzione e manipolazione, rimane profondamente nascosto sotto la superficie di una società civile che (ipocritamente o ingenuamente) condanna la manipolazione, la corruzione e la violenza.

Avendo scoperto uno spiacevole “stato profondo” nel loro paese, gli americani non furono però sorpresi, perché già ne intuivano l’esistenza. Se esiste un deep web e un dark web , allora perché non uno stato profondo o addirittura uno stato oscuro  ? I magnifici miraggi di una democrazia fabbricata per le masse emergono dalle profondità e dalle tenebre di questo potere non pubblico e occulto: illusione di scelta, sentimento di libertà, sentimento di superiorità, ecc.

Esistono diverse definizioni di deep state: in ogni caso non è la stessa cosa in Turchia e negli Stati Uniti. In Turchia sono strutture militari piuttosto vecchie, laiche, a contrastare il regime di Recep Erdogan (come dimostra il fallito golpe contro il suo potere islamico). Né questi circoli militari, ormai decimati, né il regime di Erdogan possono essere definiti democratici. Negli Stati Uniti esistono sicuramente strutture informali che esercitano la loro influenza sul mondo politico, come le multinazionali, ad esempio. Tuttavia, c’è anche una stampa libera e una società civile molto attiva che combatte contro varie lobby e influenze occulte. Si può affermare che le elezioni americane siano solo una “illusione di scelta”? Se Hillary Clinton fosse stata eletta,

La sfiducia e l’invidia, utilizzate dalla democrazia come fonti prioritarie di mobilitazione sociale, portano inevitabilmente all’assolutizzazione della critica e all’aggravamento dell’ansia generale. Gli odiatori , i troll e i robot malvagi che si unirono a loro formarono una maggioranza vocale che scacciò dalla sua posizione dominante un’onorevole classe media che un tempo dava un tono completamente diverso.

D’ora in poi nessuno crede alle buone intenzioni dei politici, sono gelosi e sono quindi considerati personalità depravate, ingannevoli, persino criminali. Famose serie TV politiche, sia “Boss” che “House of Cards”, presentano un quadro tristemente realistico della travagliata vita quotidiana di questo stabilimento .

Un mascalzone non dovrebbe andare troppo lontano solo perché è un mascalzone. Ma quando intorno a te ci sono solo mascalzoni, devi usare i mascalzoni per trattenere altri mascalzoni. Rimuovere un mascalzone per piazzarne un altro significa combattere il male con il male… Tuttavia, ci sono tanti mascalzoni quante sono le regole contorte, e sono tutte progettate per smorzare i conflitti e arrivare a un risultato zero. Nasce così un benefico sistema di controlli ed equilibri: un equilibrio di malvagità e avidità, un’armonia di inganno. Se uno di questi mascalzoni inizia a giocare secondo le proprie regole, tuttavia, e rompe l’armonia, il sempre vigile Deep State si precipita in soccorso e con una mano invisibile trascina il rinnegato nell’abisso.

Questo è il punto di vista della propaganda russa sulla società occidentale. La nozione di bene pubblico non esiste per Surkov e i suoi coetanei, i tristi eredi della società sovietica totalmente corrotta. Abbiamo una prospettiva molto diversa: sappiamo benissimo che tra i politici ci sono quelli assetati di potere e/o corrotti. Sappiamo quali danni ha causato all’Italia da Berlusconi o agli Stati Uniti da Trump. D’altra parte, la società civile ovunque in Europa e più in generale in Occidente sta diventando sempre più esigente e sempre meno tollerante di fronte a fatti di corruzione, comportamenti inadeguati, e anche per mancanza di moralità ed etica. In ogni caso, in Europa, si assiste a una moralizzazione della vita pubblica.

Non c’è nulla di particolarmente spaventoso nell’immagine proposta della democrazia occidentale. Basta cambiare un po’ la prospettiva e il terrore svanisce. Ma questa immagine lascia l’amaro in bocca ai cittadini occidentali, che poi iniziano a rivolgersi a modelli alternativi ea un nuovo modo di essere. E vede la Russia.

Il nostro sistema, come tutto ciò che viene da noi, non sembra più distinto. D’altra parte, è più onesto. E mentre “più onesto” non è sinonimo di “migliore” per tutti, l’onestà ha il suo fascino.

Il nostro Stato non è diviso in due parti, occulta e visibile; il suo insieme, le sue parti e le sue caratteristiche sono visibili all’esterno. Gli elementi più brutali della sua “struttura di forza” sono integrati nella facciata e non sono nascosti dietro alcun ornamento architettonico. La burocrazia, anche quando cerca di fare qualcosa di nascosto, non cerca di coprire le sue tracce, come supponendo che alla fine “hanno capito tutti”.

Chiaramente, Surkov afferma che lo stato russo non nasconde la sua natura di regime autoritario. Sprezzante dell’opinione pubblica, questo Stato non teme nemmeno accuse di corruzione ai massimi livelli. La fondazione per la lotta alla corruzione (l’acronimo FBK) dell’avversario Alexei Navalny ha pubblicato su YouTube decine di video che mostrano i palazzi, i vigneti, gli yacht dei più alti funzionari russi tra cui il primo ministro Medvedev. Un centesimo di tali accuse sarebbe costato a un alto funzionario francese la perdita delle sue funzioni e dei suoi procedimenti legali. In Russia, invece, sembra acquisito il diritto alla ricchezza per i pezzi grossi, che approfittano della loro situazione. Quanto all’affermazione di Surkov secondo cui non esiste uno stato profondo in Russia, è una bugia. Il vero centro del potere in Russia è l’amministrazione presidenziale, una gigantesca struttura totalmente opaca dove il nostro autore ha ricoperto posizioni chiave per diversi anni. E c’è un circolo decisionale molto ristretto attorno al presidente Putin la cui composizione esatta non è nota. A differenza degli Stati Uniti, in Russia non ci sono controlli ed equilibri per creare un equilibrio con questo centro di potere. Il Parlamento è solo una camera di registrazione, i media sono imbavagliati e la stragrande maggioranza delle ong mangia fuori dalle mani del potere, per mancanza di fonti alternative (altrimenti sono accusate di essere “agenti stranieri”). E c’è un circolo decisionale molto ristretto attorno al presidente Putin la cui composizione esatta non è nota. A differenza degli Stati Uniti, in Russia non ci sono controlli ed equilibri per creare un equilibrio con questo centro di potere. Il Parlamento è solo una camera di registrazione, i media sono imbavagliati e la stragrande maggioranza delle ong mangia fuori dalle mani del potere, per mancanza di fonti alternative (altrimenti sono accusate di essere “agenti stranieri”). E c’è un circolo decisionale molto ristretto attorno al presidente Putin la cui composizione esatta non è nota. A differenza degli Stati Uniti, in Russia non ci sono controlli ed equilibri per creare un equilibrio con questo centro di potere. Il Parlamento è solo una camera di registrazione, i media sono imbavagliati e la stragrande maggioranza delle ong mangia fuori dalle mani del potere, per mancanza di fonti alternative (altrimenti sono accusate di essere “agenti stranieri”).

La grande tensione interna causata dalla necessità di controllare spazi geografici immensi ed eterogenei, nonché dall’assidua partecipazione alle diverse lotte geopolitiche, resero le funzioni militari e di polizia dello Stato le più importanti e determinanti. Tradizionalmente, lo Stato non li nasconde, ma al contrario li rivendica; perché i mercanti, che considerano l’attività militare meno importante del commercio, non hanno mai governato la Russia (o quasi mai, ad eccezione di pochi mesi nel 1917 e qualche anno negli anni ’90), né i liberali (compagni commerciali dei mercanti ), i cui insegnamenti si basano sul rifiuto di tutto ciò che è più o meno “polizia”. Quindi non c’era nessuno a coprire la realtà con illusioni,

Un’altra tesi della propaganda ufficiale: è proprio l’immensità dell’Impero e il fatto che sia, secondo questa stessa propaganda, circondato da nemici che giustifica uno stato di polizia.

Non esiste uno stato profondo in Russia, tutto è esposto lì, ma c’è comunque un popolo profondo.

L’élite russa è brillante e occupa la scena nazionale. Secolo dopo secolo, ha coinvolto attivamente il popolo (dobbiamo dargli il dovuto!) nelle sue varie imprese: riunioni di partito, guerre, elezioni, esperimenti economici. Le persone prendono parte a queste manifestazioni, ma rimangono sullo sfondo e non salgono mai in superficie, conducendo una vita completamente diversa nelle sue profondità. Le due esistenze nazionali, una in superficie e l’altra in profondità, a volte divergono ea volte convergono verso lo stesso obiettivo, ma non si fondono mai.

Le persone profonde sono sempre il più sospettose possibile, inaccessibili alle indagini sociologiche, impenetrabili di fronte all’agitazione, alle minacce oa qualsiasi altra forma di influenza diretta. La comprensione di chi è, cosa pensa e cosa vuole spesso arriva troppo tardi e troppo all’improvviso, e questa conoscenza non viene mai data a coloro che potrebbero fare qualcosa al riguardo.

Raro è il sociologo che oserebbe definire se questo popolo profondo rappresenta l’intera popolazione o se ne costituisce solo una parte e, se sì, quale parte. A seconda dell’epoca, si diceva che fossero i contadini, il proletariato, i non partiti, gli hipster, funzionari governativi. Lo stavamo “cercando”, andavamo verso di lui. A volte erano chiamati il ​​popolo eletto di Dio, a volte il contrario. A volte è stato dichiarato fittizio e nullo e ha lanciato riforme galoppanti senza tenerne conto, ma queste riforme ci sono subito cadute e si è dovuto ammettere che “qualcosa esisteva davvero”. Più di una volta, questo popolo si è ritirato sotto la pressione dei conquistatori nazionali o stranieri, ma è sempre tornato. Forte della sua massa gigantesca, il popolo profondo crea una forza irresistibile di gravitazione culturale che unisce la Nazione. Attira e trattiene sulla terra (nella patria) l’élite, quando di tanto in tanto questa, cosmopolita, cerca di spiccare il volo.

Arriviamo finalmente alla tesi principale di questo testo: l’esistenza di un “popolo profondo”, insondabile, la cui natura è difficile da definire. È vero che nella Russia zarista, con la servitù, l’abisso tra il popolo, cioè una massa di servi oppressi e analfabeti, e la raffinata aristocrazia, fluente in francese, era insormontabile. L’intellighenzia comune della seconda metà del 19° secolo ha cercato di portare a questo popolo una conoscenza che lo avrebbe aiutato a liberarsi, ma questo movimento è stato un fallimento. Tuttavia, sia i bolscevichi che i socialisti-rivoluzionari (non marxisti) portarono avanti con successo la propaganda tra questo popolo, e così la Rivoluzione d’Ottobre riuscì a vincere. Dopo la rivoluzione, ea condizione di aderire alla politica del partito unico (i socialisti-rivoluzionari e gli altri partiti di sinistra furono rapidamente eliminati), questo popolo di contadini e di lavoratori ricevette possibilità di ascesa sociale senza precedenti. Parlare oggi di un “popolo profondo” e incompreso è puro anacronismo. È l’intellighenzia nazionalista al servizio del regime che sviluppa questi miti, sono loro che insorgono contro i cosiddetti cosmopoliti, cioè tutti coloro che difendono i valori democratici.

La vita nazionale ( narodnost ), qualunque sia il suo significato preciso, precede lo stato, ne predetermina la forma, limita le fantasie dei “teorici” e costringe i “praticanti” a compiere determinate azioni al suo interno. La vita nazionale in Russia è una potente attrazione verso la quale convergono tutti gli orientamenti politici. Ovunque inizi in Russia, che si tratti di conservatorismo, socialismo o liberalismo, trovi, alla fine del viaggio, più o meno la stessa cosa: ciò che esiste veramente.

La capacità di ascoltare e comprendere le persone, di leggerle apertamente, nei loro angoli più profondi e di agire di conseguenza: questa è la virtù principale e unica dello stato di Putin. Questo Stato è adattato alla sua gente e si muove nella stessa direzione, il che gli consente di evitare sovraccarichi distruttivi di fronte alle correnti inverse della storia. Questo è ciò che lo rende efficace e sostenibile Nel nuovo sistema, tutte le istituzioni svolgono questo compito principale: la comunicazione e l’interazione fiduciosa tra il sovrano supremo e i cittadini. Sul capo convergono i diversi rami del potere: questi hanno valore solo in quanto servono a garantire il legame con lui. Inoltre, i canali informali aggirano le strutture formali e le élite. Quando la stupidità

Surkov usa qui la parola narodnost , che è difficile da tradurre, perché in russo è polisema. Questo termine fa parte della famosa triade del conte Uvarov, ministro dell’Istruzione sotto Nicola I, l’imperatore preferito di Putin, ovvero “autocrazia, ortodossia, vita nazionale ( narodnost)”. Così Uvarov ha descritto le basi del regime zarista russo, in antitesi al motto della Rivoluzione francese, “libertà, uguaglianza, fraternità”. Per tutto il XIX e l’inizio del XX secolo, questo slogan è stato una sorta di vessillo per gli slavofili, che hanno proclamato l’originalità del modo russo. La scelta del termine non è casuale. Ciò che l’autore descrive è solo la classica definizione del ruolo del monarca nella tradizione russa a partire da Ivan il Terribile: lo zar, l’unto del Signore, compie la volontà divina; la sua persona è l’incarnazione di tutto il popolo; il popolo gli affida il proprio destino; c’è un misterioso legame tra lo Zar e il suo popolo. Senza formularlo esplicitamente, Surkov attribuisce a Putin la funzione monarchica. È questo uno dei possibili scenari per dopo il 2024?

Le istituzioni politiche che la Russia aveva copiato dall’Occidente sono talvolta percepite nel nostro Paese piuttosto come un rituale, stabilito per assomigliare a “tutti”, in modo che le particolarità della nostra cultura politica non attirino troppa attenzione dei nostri vicini, né irritarli né spaventarli. È come un costume della domenica, che indossiamo quando visitiamo gli altri, mentre a casa ognuno di noi si veste a proprio piacimento.

Sourkov a développé en 2005-2006 la conception de « démocratie souveraine », à savoir d’une démocratie qui ne se soumet pas aux influences étrangères et où les élections expriment non pas l’opposition des intérêts, mais l’unité du peuple et du potere. Qui riconosce apertamente che le istituzioni politiche in Russia, create sotto Eltsin, non sono altro che fittizie.

In sostanza, la società si fida solo del numero uno. Difficile dire se sia legato all’orgoglio di un popolo che nessuno è mai riuscito a superare, o alla volontà di portare la sua verità al livello più alto o ad altro, ma è un dato di fatto, e questo è non è un fatto nuovo. La novità è che lo Stato non è all’oscuro di questo fatto, ma ora ne tiene conto e lo utilizza come punto di partenza per i suoi impegni.

Sarebbe eccessivamente semplificativo ridurre questo tema, già ampiamente utilizzato, all’idea di “fede nel buon zar”. Le persone profonde non sono affatto ingenue e di certo non considerano l’indulgenza un tratto positivo in uno zar. Ciò che sarebbe più vero è che pensa a un buon leader nel modo in cui Einstein pensava a Dio: “sottile, ma non malizioso”. »

L’alfa e l’omega del modello di stato russo è la fiducia. Questa è la sua principale differenza con il modello occidentale, che coltiva sfiducia e critica. Questa è la sua forza.

Il nostro nuovo Stato avrà una storia lunga e gloriosa in questo nuovo secolo. Non si romperà. Agirà secondo i propri principi, conquistando il suo prestigio nelle lotte geopolitiche dei grandi di questo mondo. Prima o poi tutti dovranno rassegnarsi a questo, compresi coloro che ora chiedono alla Russia di “cambiare comportamento”. Alla fine, la scelta spetta solo a loro in apparenza.

La fine di questo manifesto-carta è edificante. Come può funzionare uno stato moderno se la popolazione si fida solo del numero uno? Infatti, una volta all’anno, Putin esercita la “linea diretta” con il popolo. Nel 2019 la “linea diretta” trasmessa dai principali canali televisivi è durata quattro ore e mezza. Putin ha risposto a 79 domande, mentre gli sono stati inviati più di due milioni e mezzo. Le domande riguardavano ogni tipo di situazione: chiusura di un centro medico in una piccola città, assenza di un asilo in un sobborgo di Mosca, aumento dei prezzi del diesel, ecc. Spetta davvero al capo dello Stato occuparsi di ogni problema locale? Non è questo un fallimento di questo modello di governance?

LA DOTTRINA PRIMAKOV, di GILLES GRESSANI

Questo documento del 1998 di Yevgeny Primakov, all’epoca Ministro degli Esteri e Primo Ministro russo, rappresenta il punto di svolta nella politica estera ed interna della Russia, concomitante con il primo atto di rottura esplicita del Governo Russo nei confronti degli Stati Uniti e della NATO: l’opposizione all’intervento armato contro la Repubblica Serba. Da leggere con attenzione e con il senno di due decenni dopo assieme ai commenti di Henry Kissinger. Buona lettura, Giuseppe Germinario

LA DOTTRINA PRIMAKOV

Trent’anni fa, l’8 dicembre 1991, i vertici di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono il Trattato di Minsk, smantellando così l’URSS — per comprendere questa lunga sequenza bisogna rileggere la prima traduzione francese del testo chiave della dottrina geopolitica russa influente e meno conosciuta.

AUTORE
GILLES GRESSANI

TRAD.
DANILO KHILKO
La Dottrina Primakov

Abbiamo il piacere di pubblicare la prima traduzione francese di uno dei testi più rari e influenti della geopolitica russa contemporanea. L’autore, Yevgeny Primakov, all’epoca ministro degli Affari esteri nel governo Chernomyrdin e Kirienko, è senza dubbio uno dei più influenti professionisti delle relazioni internazionali della fine del XX secolo. L’indirizzo che ha dato alla politica estera russa durante il suo mandato resta essenziale per la classe politica russa, come ha recentemente riconosciuto  Sergei Lavrov, potente ministro degli Affari esteri dell’amministrazione Putin, attento lettore di questo testo inedito in francese.1La sua lezione, seguita da avversari politici come Henri Kissinger , va quindi studiata da vicino.


Внешнеполитическое кредо // Встречи на перекрёстках

Sono entrato al Ministero degli Affari Esteri in un momento completamente diverso.

Il paese aveva ormai intrapreso la strada dell’economia di mercato e del pluralismo politico. La disintegrazione dell’Unione Sovietica non è stata una gioia per tutti. Per niente. Molti cittadini erano tristi di perdere un paese potente e multinazionale.

Il passaggio dall’URSS alla Russia ha avuto gravi conseguenze. Il Patto di Varsavia e il Consiglio per la mutua assistenza economica sono stati smantellati. Da lì è iniziato tutto.
Alcune persone pensavano che da quel momento in poi la Russia sarebbe entrata nel “mondo civile” come paese di secondo livello. A volte in modo discreto, a volte pubblicamente, il popolo accettava che l’URSS avesse perso la “guerra fredda” e che la Russia avrebbe avuto successo. Si pensava che le relazioni con gli Stati Uniti si sarebbero sviluppate, come nel caso del Giappone e della Germania, dopo la loro sconfitta nella seconda guerra mondiale. Questi due paesi avevano visto la loro politica gestita da Washington e non si erano opposti.

Questa visione era condivisa dalla stragrande maggioranza dei politici nel 1991. Credevano che questa strategia avrebbe aiutato la Russia a superare i problemi del passato.

Così è diventato di moda dire che i responsabili della riforma economica dovevano trovare un modo per affrontare la “rovina del dopoguerra”.

Un politologo, Roi Medvedev (“Медведев Р. Капитализм в России ? М., 1998. С. 98.“, “Roi Medvedev, Il capitalismo in Russia?”), scrive: “è impossibile confrontare le conseguenze della Guerra Fredda a quelle della Guerra Civile [1917-1919] o a quelle della Grande Guerra Patriottica [Seconda Guerra Mondiale].

L’economia dell’URSS, divenuta Russia, non viene distrutta come alla fine di una guerra classica e può adattarsi a nuove prospettive. I problemi che deve affrontare l’economia russa sono il risultato delle politiche dei riformatori radicali, non della Guerra Fredda. In effetti, il livello di inflazione è stato più basso durante la Guerra Patriottica rispetto agli anni 1993-1994, così come la crescita.

L’adozione di un atteggiamento “disfattista”, in politica estera e interna, non ha permesso di cancellare gli elementi perniciosi dell’eredità sovietica (di cui è stato necessario, lo specifico, eliminare alcuni aspetti, e conservarne alcuni). Potremmo democratizzare e riformare la nostra società solo se non pensassimo che “con loro” [gli occidentali] tutto fosse armonioso, stabile, giusto, e che avremmo dovuto imitarli a tutti i costi, anche nel loro modo di fare politica .

Notare questo non significa negare che alla fine della Guerra Fredda, l’URSS ha cessato di essere una “superpotenza”. In effetti, la nuova situazione significava che ora c’era solo una superpotenza. Tuttavia, bisognava anche capire che il concetto stesso di “superpotenza” era stato ereditato dalla Guerra Fredda. Nessuno poteva contestare il fatto che gli Stati Uniti fossero allora la principale potenza militare, economica e finanziaria. Ma questo stato non poteva controllare e dirigere gli altri.

È un errore pensare che gli Stati Uniti siano talmente potenti che tutti gli eventi importanti del mondo ruotino attorno ad essi. Tale approccio ignora la grande trasformazione che costituisce il passaggio da un mondo bipolare conflittuale a un mondo multipolare. Questa trasformazione iniziò ben prima della fine della guerra fredda, trovando la sua origine nelle disuguaglianze di sviluppo, e il suo limite nella logica del confronto tra due blocchi.

La fine della guerra indebolì notevolmente i legami che univano la maggior parte dei paesi del mondo a una delle due superpotenze. La fine del Patto di Varsavia ha alienato i paesi dell’Europa centrale e orientale dalla Russia. Ciò è ancora più evidente con gli ex membri dell’URSS che sono diventati indipendenti. Anche, ma meno ovviamente, gli Stati Uniti hanno visto allontanarsi gli ex alleati. In particolare, i paesi dell’Europa occidentale adottarono un atteggiamento più indipendente, poiché la loro sicurezza non dipendeva più dall’”ombrello nucleare” americano. Allo stesso modo, il Giappone ha poi preso, in una certa misura, una maggiore indipendenza politica e militare.

È significativo, a questo proposito, notare che i paesi che non erano direttamente coinvolti nello scontro tra i due blocchi, una volta finita la guerra, mostravano una maggiore autonomia. Tale osservazione vale soprattutto per la Cina, divenuta rapidamente una grande potenza economica, nonché per i nuovi sindacati di integrazione in Asia, Oceania e Sud America.

Molti pensavano che una volta terminato il confronto ideologico e politico, non ci sarebbero più state tensioni tra gli stati un tempo rivali. Questo non accade. Anche se la situazione cambia, le mentalità restano.

Gli stereotipi che formavano il quadro di pensiero degli statisti della Guerra Fredda non sono scomparsi, nonostante l’eliminazione di missili strategici e migliaia di carri armati.

All’epoca non parlai male dei miei predecessori a causa delle mie convinzioni personali. Non voglio farlo oggi. Ma, per capire meglio lo stato d’animo che regnava all’interno del Ministero degli Affari Esteri negli anni ’90, vi parlerò di una conversazione tra il ministro russo e l’ex presidente americano. Lo ha rivelato Dimitri Simes, presidente del Nixon Center. Nixon stava chiedendo a Kozyrev di spiegare i nuovi obiettivi della Russia. Kozyrev ha poi risposto: “Vede, signor Presidente, uno dei problemi dell’Unione Sovietica era l’eccessiva enfasi sugli interessi nazionali. Ora pensiamo al bene di tutta l’umanità. D’altra parte, se ti capita di sapere come definire gli interessi nazionali, ti sarei grato se me lo spiegassi”. Nixon si è quindi sentito “non molto a suo agio” e ha chiesto cosa ne pensasse il signor Simes di questa conversazione. Simes ha risposto: “Il ministro russo è favorevole agli Stati Uniti, ma non sono sicuro che comprenda appieno la natura e gli interessi del suo Paese. Questo, un giorno, causerà problemi a entrambi i paesi”. Nixon ha poi risposto: “Quando ero vicepresidente, poi presidente,figlio di puttana e che avrei combattuto per gli interessi americani. Quest’uomo si presenta come una persona molto ben intenzionata e comprensiva, in un momento in cui l’URSS si sta disintegrando e la nuova Russia deve essere difesa e rafforzata.

C’erano molti nel MFA che dividevano il mondo in due parti: il civile e la “feccia” (“шпана”). Pensavano che avremmo avuto successo stringendo alleanze strategiche con i “civilizzati”, vale a dire i nemici della guerra fredda, accettando di avere un ruolo di supporto. Questa è stata una scommessa rischiosa poiché anche molti politici americani lo volevano. I Segretari di Stato e gli ex assistenti del Presidente americano volevano che Washington dominasse le relazioni Mosca/Washington. Così nel 1994 Zbigniew Brzezinski dichiarò: “D’ora in poi è impossibile collaborare con la Russia. Un alleato è un Paese pronto ad agire con noi in modo reale e responsabile. La Russia non è un alleato. Lei è una cliente”.

Certo, le relazioni con l’Occidente, e soprattutto con gli Stati Uniti, sono sempre state di grande importanza. Ma il nostro Paese non deve dimenticare i propri interessi e seguire il cambiamento storico verso un mondo multipolare. Dobbiamo preservare i nostri valori e le nostre tradizioni, acquisite nel corso della storia russa, anche durante il periodo imperiale e sovietico.

C’è una regola molto antica: i nemici non sono permanenti mentre lo sono gli interessi nazionali. Questa idea ha guidato e guida ancora oggi la politica estera della maggior parte dei paesi del mondo. D’altra parte, in epoca sovietica, abbiamo dimenticato questa massima e gli interessi nazionali sono stati talvolta sacrificati a sostegno degli “amici permanenti” e nella lotta contro i “nemici permanenti”.

Oggi, dopo la Guerra Fredda, la Russia, come altri paesi, ha il diritto di garantirne la sicurezza, la stabilità, l’integrità territoriale, di ricercare il progresso economico e sociale, di lottare contro le influenze esterne che potrebbero cercare di dividere la Russia e gli altri membri del ” Comunità degli Stati Indipendenti” [ex membri dell’URSS].

Coloro che vogliono avvicinare Russia e Occidente credono che l’unica alternativa sia un graduale ritorno al confronto. Questo non è vero.

Da un lato, la Russia deve cooperare in modo equo con le altre potenze e cercare interessi comuni per rafforzare la cooperazione in determinati settori. D’altra parte, nelle aree in cui gli interessi divergono, la Russia deve difendere i propri interessi evitando il confronto. Questa è la logica della politica estera russa in questo dopoguerra. Se si trascura l’esistenza di interessi comuni, probabilmente si verificherà una nuova guerra fredda.

Alcuni credono che la Russia non possa gestire una politica estera proattiva. Secondo loro, è necessario occuparsi degli affari interni, rafforzare l’economia, realizzare la riforma militare e poi entrare con notevole peso sulla scena internazionale. Ma questo punto di vista non regge al controllo. Soprattutto, sarà difficile per la Russia realizzare questi cambiamenti cruciali e mantenere la sua integrità territoriale senza una politica estera attiva. La Russia non è indifferente al ruolo che svolgerà nell’economia mondiale aprendo i suoi confini ai prodotti stranieri. Diventerà un fornitore discriminato di materie prime o un partner alla pari? Rispondere a questa domanda è anche una questione di politica estera.

Dopo il periodo degli scontri, è comunque importante che la Russia garantisca sicurezza e stabilità, all’interno dei suoi confini, ma anche nelle regioni limitrofe.

Se abbandona la politica estera attiva, non è possibile per la Russia mantenere la possibilità di tornare sulla scena mondiale come un paese potente. Le relazioni internazionali detestano il vuoto. Se un paese si disimpegna dai processi globali, verrà rapidamente sostituito. Se la Russia vuole rimanere una delle principali potenze, deve agire su tutti i fronti. Consideriamo gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina, il Giappone, l’India, i paesi del Medio Oriente, l’Asia, l’Oceania, il Sud America e l’Africa.

Ne siamo capaci? Naturalmente, è difficile raggiungere il successo su tutti i fronti con le nostre risorse limitate. Ma possiamo perseguire una politica estera attiva grazie alla nostra influenza politica, alla nostra posizione geografica, alla nostra appartenenza al club nucleare, al nostro status di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla nostra tradizione scientifica, alle nostre capacità economiche e alla nostra industria militare di punta .

Inoltre, la maggior parte dei paesi non desidera accettare la visione di un singolo paese. L’ho sentito durante i miei viaggi in Medio Oriente, Israele, Cuba, Brasile, Argentina e altri paesi centroamericani. I leader del Venezuela e del Messico mi hanno detto candidamente che vorrebbero vedere più presenza russa sulla scena mondiale per controbilanciare le conseguenze negative delle tendenze unipolari.

Infine, un paese come la Russia non può trascurare la crescente interdipendenza dei poteri.

La diversificazione dei partenariati della Russia consentirà al Paese di rafforzare la propria stabilità e sicurezza. La fine del confronto ideologico tra i due poli è diventata il punto di partenza per un mondo stabile e prevedibile a livello globale. Sebbene profonda, questa trasformazione non rende nemmeno impossibili i conflitti etnici regionali. D’altra parte, li ha resi meno probabili. Siamo tutti colpiti dall’ondata di attacchi terroristici che stiamo vivendo. Allo stesso modo, si stanno diffondendo armi di distruzione di massa. Ma questi fenomeni sono comparsi durante la Guerra Fredda, prima della comparsa della collaborazione multipolare.

La capacità della comunità internazionale di superare questi nuovi pericoli, minacce e sfide dell’era del dopo Guerra Fredda dipenderà soprattutto dai rapporti tra le maggiori potenze.

Per la transizione verso un nuovo ordine mondiale (миропорядок) sono necessarie le due condizioni seguenti.

Primo. Le divisioni di ieri non devono essere aggiornate su nuovi argomenti. Ciò significa opporsi, a mio avviso, all’allargamento della NATO nei paesi che prima facevano parte del “Patto di Varsavia”, nonché ai tentativi di trasformare la NATO nel principio del nuovo sistema mondiale. La sanguinosa operazione della NATO in Jugoslavia lo dimostra. Tale operazione è stata effettuata senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si è svolta al di fuori dei confini dei paesi membri ed era estranea alla garanzia della sicurezza dei paesi membri della NATO.

La comparsa di nuovi soggetti di conflitto può minacciarci, non solo in Europa, ma ovunque. L’evidente rifiuto dell’estremismo da parte di alcuni gruppi islamici dovrebbe incoraggiare a non considerare l’intero mondo musulmano come un nemico della civiltà contemporanea.

Ovviamente dobbiamo opporci fermamente alle forze estremiste e terroristiche, che sono pericolose soprattutto se gli Stati le appoggiano. Dobbiamo fare di tutto per impedire agli Stati di aiutare i gruppi terroristici.

Ovviamente è urgente elaborare nel quadro dell’ONU una convenzione generale che privi i terroristi dell’asilo politico. Tuttavia, le sanzioni non dovrebbero essere utilizzate per punire paesi o rovesciare regimi che non ci piacciono. È già chiaro che le operazioni militari contro i regimi nemici sono dannose, indipendentemente dal fatto che quei regimi supportino o meno i creatori di caos che sconvolgono il mondo. È molto più efficace sostenere iniziative pacifiche.

In secondo luogo, per andare verso un nuovo ordine universale e affrontare i pericoli reali, la comunità mondiale deve lavorare insieme in modo giusto. Affinché gli sforzi siano ben coordinati, devono essere messi in atto meccanismi efficaci.

È importante elaborare la dottrina (кредо) del Ministero degli Affari Esteri cercando di rispondere al seguente problema. Tutti sanno che la politica estera è legata alla politica interna. Ma ciò non implica che debba essere attuato per favorire determinate forze politiche. Allo stesso modo, non può essere utilizzato per scopi elettorali. Il ministro degli Esteri, indipendentemente dalle sue preferenze politiche, non dovrebbe dividere la società russa. Sono sicuro che la politica estera deve basarsi sull’accordo dei partiti politici. Deve essere nazionale e non partecipare a rivalità politiche, difendendo i valori che sono vitali per l’intera società.

Ho presentato queste idee e principi al presidente [Boris Eltsin] che ne era convinto. Mi ha detto: “Dovresti lavorare di più con il Parlamento, con i leader dei partiti politici”. Ho capito che non voleva tenermi al guinzaglio. Ma ho ritenuto che spettasse al presidente decidere la nostra politica estera e al ministro degli Esteri essergli fedele. D’altra parte ho capito che il presidente si fidava di me e non voleva trattenermi nelle mie iniziative.

FONTI
  1. Questo documento è stato originariamente pubblicato nel 1998 sulla rivista International Life (“Международная жизнь”) del ministero degli Esteri russo. È dedicato al Consigliere Gorchakov, Cancelliere di Stato al tempo dell’Impero russo. È stato incluso in una raccolta di opere di Primakov intitolata Meetings at the Crossroads (“Встречи на перекрестках”) nel 2015.

 

CREDITI
I commenti sono stati tratti dalla traduzione inedita della conferenza di Henry Kissinger al Fondo Gorchakov di Mosca sulle relazioni Russia/Stati Uniti.

HENRY KISSINGER

Dal 2007 al 2009, Evgeny Primakov ed io abbiamo presieduto un gruppo di ministri in pensione, alti funzionari e capi militari dalla Russia e dagli Stati Uniti, alcuni dei quali sono con noi oggi. Il suo scopo era di appianare i punti difficili nelle relazioni USA-Russia ed esplorare le possibilità di approcci cooperativi. In America, questo gruppo è stato descritto come Track II, cioè bipartisan e incoraggiato dalla Casa Bianca a riflettere, ma non a negoziare per suo conto. Abbiamo organizzato incontri in ciascuno dei due paesi, in alternativa. Il presidente Putin ha ricevuto il gruppo a Mosca nel 2007 e il presidente Medvedev nel 2009. Nel 2008, il presidente George W.

Tutti i partecipanti hanno ricoperto posizioni di alta responsabilità durante la Guerra Fredda. Durante i periodi di tensione, hanno affermato l’interesse nazionale del loro paese. Ma hanno anche compreso, informati dall’esperienza, i pericoli della tecnologia che minacciano la vita civile e si muovono in una direzione che, in una situazione di crisi, potrebbe distruggere tutta la vita umana organizzata. Il mondo attraversava delle crisi, alle quali la differenza delle culture e l’antagonismo delle ideologie portavano una certa grandezza.

In questo lavoro, Yevgeny Primakov è stato un partner indispensabile. La sua mente acuta e analitica, arricchita da una comprensione globale delle tendenze del nostro tempo, acquisita negli anni trascorsi vicino, poi, infine, al centro del potere, ma anche la sua grande devozione al suo paese, hanno permesso di affinare il nostro pensiero e per contribuire alla ricerca di una visione comune. Non siamo sempre stati d’accordo, ma ci siamo sempre rispettati. Manca a tutti noi, e in particolare a me come collega e amico.

HENRY KISSINGER

Alla fine della Guerra Fredda, russi e americani hanno immaginato una partnership strategica sulla base delle loro recenti esperienze. Gli americani si aspettavano che un periodo di minore tensione avrebbe portato a una cooperazione produttiva su questioni globali. L’orgoglio che i russi avevano nella modernizzazione del loro paese fu ferito dalle difficoltà causate dalla trasformazione dei loro confini e dalla scoperta dei compiti erculei che restavano loro da compiere per ricostruire e ridefinire la loro nazione. Molti, da entrambe le parti, hanno capito che i destini della Russia e degli Stati Uniti non potevano essere separati. Preservare la stabilità e prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa è diventato ogni giorno più necessario.

Si aprivano nuove prospettive per gli scambi economici, per gli investimenti e, ciliegina sulla torta, per la cooperazione energetica.

HENRY KISSINGER

Non c’è bisogno che ti dica che i nostri rapporti oggi sono molto peggiori di dieci anni fa. In effetti, sono probabilmente peggio di quanto non fossero prima della fine della Guerra Fredda. La fiducia reciproca si è dissipata da entrambe le parti. Il confronto ha sostituito la cooperazione. So che negli ultimi mesi della sua vita Evgeny Primakov ha cercato il modo di superare questo stato di cose che lo preoccupava. Onoreremo la sua memoria facendo nostra questa ricerca.

HENRY KISSINGER

Forse il problema più importante era il baratro abissale tra due concezioni della storia. Per gli Stati Uniti, la fine della Guerra Fredda ha rafforzato, per così dire, la sua profonda convinzione nell’inevitabilità della rivoluzione democratica. Prefigurava l’estensione di un sistema internazionale governato principalmente da norme di diritto. Ma l’esperienza storica russa è più complessa. Per un Paese il cui territorio subisce da secoli invasioni militari, provenienti da Est o da Ovest, la sicurezza deve basarsi, sicuramente su basi legali, ma soprattutto sulla geopolitica. Da quando il confine, baluardo di sicurezza, è stato spostato dall’Elba di 1000 km in direzione di Mosca, la percezione russa dell’ordine del mondo non può prescindere da una dimensione strategica.

HENRY KISSINGER

Così, e in modo paradossale, ci troviamo nuovamente di fronte a un problema essenzialmente filosofico. Come possono andare d’accordo gli Stati Uniti con la Russia, che non ne condivide affatto i valori, ma che è un elemento essenziale dell’ordine internazionale? Come può la Russia garantire la sua sicurezza senza allarmare i suoi vicini e farsi nemici? La Russia può ottenere un posto negli affari mondiali senza disturbare gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti possono difendere i propri valori senza che le persone credano di volerli imporli? Non cercherò di rispondere a tutte queste domande, ma piuttosto incoraggerò la loro esplorazione.
Molti commentatori, sia russi che americani, hanno affermato che la cooperazione tra i due paesi per creare un nuovo ordine internazionale è impossibile. Per loro, gli Stati Uniti e la Russia sono entrati in una nuova Guerra Fredda.
Oggi il pericolo non è tanto un ritorno allo scontro militare quanto continuare a credere, da una parte o dall’altra, in una profezia che si autoavvera. Gli interessi a lungo termine di entrambi i paesi ci invitano a creare un mondo in cui i problemi fluttuanti del giorno lasciano il posto a un nuovo equilibrio, sempre più multipolare e globalizzato.

HENRY KISSINGER

In un paese come nell’altro, il discorso prevalente consiste nel porre tutte le responsabilità sull’altro. Allo stesso modo, in entrambi i paesi c’è la tendenza a demonizzare, se non l’altro paese, almeno i suoi leader. Mentre i problemi di sicurezza nazionale continuano ad emergere, sono riemersi sospetti e sfiducia, ereditati dai periodi più tesi della Guerra Fredda. Questi sentimenti furono accresciuti dal ricordo del primo decennio post-sovietico, durante il quale la Russia stava attraversando un’incredibile crisi economica e politica, mentre gli Stati Uniti gioivano per la continua crescita economica e per un lungo periodo senza precedenti. Tutto ciò ha alimentato divergenze politiche, su temi come i Balcani, i territori ex sovietici, il Medio Oriente,

HENRY KISSINGER

Siamo di fronte a un nuovo tipo di pericolo. Fino a tempi molto recenti, la messa in pericolo dell’ordine internazionale andava di pari passo con l’accumulo di potere da parte di uno Stato dominante. Oggi, le minacce derivano piuttosto dal fallimento delle strutture statali e dal numero crescente di stati senza leader. Il problema del fallimento del potere, che si sta diffondendo sempre più, non può essere risolto da uno Stato, per quanto grande, da una prospettiva esclusivamente nazionale. Richiede una cooperazione continua tra Stati Uniti, Russia e altre potenze. Di conseguenza, la rivalità tra paesi nella risoluzione dei conflitti tradizionali, in un sistema interstatale, deve essere limitata affinché questa rivalità non vada oltre i limiti e non crei un precedente.

HENRY KISSINGER

Negli anni ’60 e ’70, le relazioni internazionali per me si sono ridotte a una relazione conflittuale tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. L’evoluzione della tecnologia ha fatto sì che una visione strategica stabile potesse essere attuata dai due paesi, pur mantenendo la loro rivalità in altri settori. Da allora il mondo è cambiato profondamente. In particolare, in un mondo multipolare in divenire, la Russia dovrebbe essere vista come un elemento essenziale di qualsiasi equilibrio globale e non, soprattutto, come una minaccia per gli Stati Uniti.

Ho trascorso la maggior parte degli ultimi settant’anni impegnato in un modo o nell’altro nelle relazioni USA-Russia. Sono stato al centro delle decisioni quando sono scoppiate le crisi e nelle celebrazioni congiunte durante i successi diplomatici. I nostri paesi e i popoli del mondo hanno bisogno di una prospettiva più sostenibile.

HENRY KISSINGER

Purtroppo, gli sconvolgimenti del mondo hanno avuto la meglio sull’intelligence politica. Ne è un simbolo la decisione presa da Yevgeny Primakov, che, in qualità di Primo Ministro volando a Washington attraverso l’Atlantico, ha preferito voltarsi e tornare a Mosca per protestare contro l’inizio delle manovre militari della Nato in Jugoslavia. Le nascenti speranze che hanno fatto della stretta cooperazione contro Al-Qaeda e talebani in Afghanistan il primo passo di un partenariato più profondo, hanno sofferto il magma dei conflitti in Medio Oriente, prima di essere schiacciate dalle operazioni militari russe nel Caucaso nel 2008, poi in Ucraina nel 2014. I recenti tentativi di trovare punti di accordo sul conflitto siriano e di rilassare la mente delle persone sulla questione ucraina non sono stati in grado di contrastare un crescente sentimento di estraneità.

HENRY KISSINGER

Sappiamo che ci aspettano un certo numero di soggetti divisivi, come l’Ucraina o la Siria. Negli ultimi anni, i nostri paesi hanno occasionalmente discusso di questi argomenti senza fare progressi di rilievo. Ciò non sorprende, perché le discussioni si sono svolte al di fuori di un quadro globale. Tutti questi problemi specifici sono l’espressione di un problema più ampio. L’Ucraina deve far parte della sicurezza internazionale ed europea, per fungere da ponte tra la Russia e l’Occidente, e non da avamposto dell’uno o dell’altro. Per quanto riguarda la Siria, sembra ovvio che le fazioni locali e regionali non riescano da sole a trovare una soluzione. D’altra parte, gli sforzi congiunti USA-Russia, accompagnati dal coordinamento con le altre grandi potenze, potrebbero aprire la strada a soluzioni pacifiche,

HENRY KISSINGER

Qualsiasi sforzo dedicato al miglioramento di queste relazioni deve lasciare spazio alla consultazione sugli equilibri del mondo a venire. Quali sono le tendenze che sfidano l’ordine di ieri e plasmano quello di oggi? Quali sono le sfide poste da questi cambiamenti agli interessi sia della Russia che dell’America? Quale ruolo vuole svolgere ciascun paese nella costruzione di questo ordine, e quanto ci si può ragionevolmente aspettare che sia importante? Come possiamo conciliare le visioni del mondo radicalmente diverse che sono emerse in Russia e negli Stati Uniti – così come in altre grandi potenze – sulla base della loro esperienza storica? L’obiettivo dovrebbe essere quello di concettualizzare le relazioni UE/Russia in una visione strategica all’interno della quale potrebbero essere risolte questioni controverse.

HENRY KISSINGER

Sono qui per difendere la possibilità di un dialogo che cerchi di unire il nostro futuro piuttosto che giustificare i nostri conflitti. Ciò richiede che ciascuna parte rispetti i valori fondamentali e gli interessi dell’altra. Tali obiettivi non possono essere raggiunti entro il termine dell’attuale amministrazione. Ma la loro ricerca non dovrebbe essere ritardata dalla politica interna statunitense. Saranno raggiunti solo grazie alla volontà comune di Washington e Mosca, della Casa Bianca e del Cremlino, di andare oltre le lamentele e il sentimento di persecuzione per resistere alle grandi sfide che attendono i nostri due Paesi negli anni a venire futuro.

Stati Uniti! Pretendenti vecchi e nuovi_con Gianfranco Campa

Pian piano comincia a delinearsi lo scenario dei pretendenti alla carica presidenziale in palio nel 2024. Il bersaglio principale da colpire e possibilmente da abbattere è Trump. Non tanto per il suo spessore politico, quanto per quello che rappresenta nel paese e soprattutto sta contribuendo a consolidare, non ostante tutto e tutti e soprattutto malgrado i suoi errori marchiani che hanno inficiato il percorso già di per sé impervio. La gamma degli ingredienti di questo scontro politico è quanto mai varia ed esaustiva: trovano posto l’esplicita, viscerale ostilità di alcuni, a cominciare dai Clinton, dai Cheney, dagli Obama, l’atteggiamento sordido di agenti interni al partito, tra i quali l’onnipresente Pence, i rivali interni dalla indole opportunistica e trasformista di troppo, come probabilmente de Santis. Questi ultimi i più perniciosi, perché in grado di appropriarsi di alcuni punti programmatici più popolari, ma più innocui del movimento, senza però intaccare la sostanza e gli assetti generali del potere statunitense; in particolare i suoi orientamenti geopolitici. L’epilogo di questo scontro non è però compromesso definitivamente: troppe le divisioni distruttive che lacerano lo schieramento restauratore; troppi i problemi e i nodi da sciogliere in un contesto geopolitico nel quale altri attori stanno acquisendo margini sempre più ampi di autonomia. L’unico obbiettivo che riesce a compattare questa pletora è il tentativo di estromettere giudiziariamente e fisicamente Donald Trump. Anche qui, però, il castello di menzogne sembra poggiare sempre più sulle sabbie mobili; pare destinato ad impantanarsi al netto di qualche errore clamoroso di Trump, paragonabile nella gravità alla defenestrazione improvvida del Generale Flynn dalla sua passata amministrazione. La parabola malinconica, clamorosamente discendente, di Biden ed Harris sono il segno tangibile di questa incertezza; la recente decisione della Corte Suprema in tema di vaccinazioni e legge lettorale e soprattutto l’affossamento della parte più cospicua del programma di spesa anticrisi, soprattutto quella assistenziale e simil-ecologica in grado di compattare il composito schieramento del Partito Democratico, sono le due ultime pietre cadute sulle teste dei restauratori. La riemersione cauta di vecchie cariatidi della politica americana sono il segno della penosa carenza di alternative di protagonisti politici sufficientemente presentabili. Un quadro di incertezza sempre più esposto a colpi di mano pericolosi ed incontrollabili. Buon ascolto, Giuseppe Germinario NB_Questo video costituisce completamento, aggiornamento ed integrazione del seguente link https://www.youtube.com/watch?v=ntYYK…

https://rumble.com/vsoxzw-pretendenti-presidenziali-negli-stati-uniti-con-g-campa.html

 

BIDEN INCENDIARIO?_di Teodoro Klitsche de la Grange

BIDEN INCENDIARIO?

Ciò che mi ha sorpreso nel discorso di Biden in occasione dell’anniversario di Capitol Hill sono due circostanze.

La prima: riporto un passaggio del discorso così come tradotto nel sito Rai-News “Il 6 gennaio fu un insurrezione armata e il mio predecessore cercò di rovesciare elezioni libere, di sovvertire la costituzione e di fermare un trasferimento pacifico dei poteri attraverso un gruppo di balordi, tutto il mondo ha visto con i suoi occhi”. Ora il Presidente USA parla d’insurrezione armata eseguita da un gruppo di balordi, per sovvertire la costituzione come voluto dal “predecessore”: cioè Trump.

Scrissi nell’occasione che di armi (dalla pistola in su) in mano ai dimostranti non “ne abbiamo viste con i nostri occhi”; ma ancor di più che l’aspetto, il comportamento, la (dis)organizzazione dei facinorosi provava che di colpo di stato, di sovversione della costituzione era umoristico parlarne. Perché – concordo nel mio piccolo con Biden – quello degli invasori di Capitol Hill era, come correttamente ha detto il Presidente “un gruppo di balordi”. Ma proprio per questo rendeva di una improbabilità totale che possa parlarsi di colpo di Stato. Nei colpi di Stato – riusciti o falliti – limitandosi al XX secolo -abbiamo sempre visto un’organizzazione di uomini armati che vinceva un’altra organizzazione armata (Stato o governo). Spesso mirando – in primo luogo – a disorganizzarla, come scrisse in un notissimo saggio Malaparte, sostenendo che i bolscevichi – Trocxkij soprattutto- avevano battuto il governo Kerensky proprio perché avevano cambiato il modello insurrezionale non basandolo su folle pletoriche e disorganizzate ma su militanti determinati, competenti e disciplinati. Comunque in grado di esercitare violenza; perciò armati e “inquadrati”. Anche quando i golpe fallivano, come quello del colonnello Tejero (e soci) nella Spagna post-franchista, i requisiti minimi dell’ordinamento e della organizzazione (militare) restavano invariati. Per cui l’assalto a Capitol Hill, con un pittoresco italo-americano vestito da scudiero di Conan appare il più incredibile colpo di stato della storia.

Per cui – e qua passiamo al secondo aspetto – appare facile declassarlo a folklore politico (come in effetti era). Tuttavia rivelava, proprio nella sua ingenuità, due elementi fondamentali: il rigetto di circa la metà degli americani verso le èlite e l’ascesa del sentimento ostile all’interno della comunità. Disponibile ad azioni avventate e rischiose. Anche per questo la politica di Biden – nel bene e nel male – è risultata assai meno lontana da quella di Trump di quanto si attendevano molti commentatori e opinionisti italiani (e non solo). Non si fa solo questione degli “interessi dello Stato” che non cambiano, mutano assai meno e assai più lentamente dei Presidenti, ma ancor di più di coesione nazionale, fattore determinante della “pace” interna allo Stato.

La pace esterna comporta, scriveva Kant, una “clausola d’amnistia”. Lo stesso può dirsi – fatte le debite proporzioni – per gli atti d’insurrezione.

Quando il consenso agli insorgenti è – potenzialmente – così diffuso, è meglio, smorzare l’ostilità, derogare alla prassi ordinaria, compresa l’applicazione rigorosa del diritto.

Parlare di d’insurrezione armata, di sovvertire la costituzione, va in senso contrario. Non so se ciò porterà a coltivare una repressione legale, ma penso che interesse degli USA e degli amici degli USA è che il Presidente faccia il lavoro del pompiere e non attizzi il fuoco.

Teodoro Klitsche de la Grange

MASSIMO MORIGI LA LOGGIA “DANTE ALIGHIERI” NELLA STORIA DELLA ROMAGNA E DI RAVENNA NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE (1863 – 2003)* _________ I PARTE

Un lavoro inattuale di Massimo Morigi, quindi molto adeguato per i tempi attuali. Dalla prefazione dell’autore stesso: «Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022.»

Buona lettura.

Giuseppe Germinario

MASSIMO MORIGI LA LOGGIA “DANTE ALIGHIERI” NELLA STORIA DELLA ROMAGNA E DI RAVENNA NEL 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA FONDAZIONE (1863 – 2003)* _________

I PARTE

*In frontespizio: Friedrich der Große nach der Schlacht bei Kolin von Julius Friedrich Anton Schrader (Federico il Grande dopo la battaglia di Kolin, di Julius Friedrich Anton Schrader, 1849)

Prefazione di inizio 2022 dell’autore ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” dopo circa un ventennio della non pubblicazione della Loggia “Dante Alighieri” nella storia della Romagna e di Ravenna nel 140° anniversario della sua fondazione (1863 – 2003 ) Sui motivi remoti e contingenti della non pubblicazione nel 2003 di questo piccolo lavoro, che viene ora proposto ai lettori dell’ “Italia e il Mondo” nella sua ultima fase di bozza quasi ultimata che non riuscì nel salto di diventare una pubblicazione vera e propria non sarebbe utile spendere alcuna parola se non dire che si trattava di uno scritto d’occasione che per motivi bizzarri e legati alle dinamiche personalistiche tipiche dei gruppi autoreferenziali non poté venire alla luce in forma cartacea. Più utile, invece, spiegare perché si è deciso di pubblicarlo ora seppur in forma elettronica e nemmeno corretto nella sua bozza. Nella bozza non definitivamente corretta perché un sua conclusiva stesura non avrebbe oggi senso perché una rifinitura non conferirebbe alcun ulteriore significato a questa lavoro perché se un senso questa storia ha è che proprio nel suo fallimento nel venire alla luce e quindi nella grezza incompletezza essa oggi segnala la fine di un mondo di espressività e di illusioni strategiche che già allora erano segnate ma che oggi sono definitivamente tramontate. Ma è proprio dalla forma grezza di questo masso erratico di un’altra epoca geologica della cultura e della politica che ora propongo ai lettori dell’”Italia e il Mondo” che risiede la speranza che dell’originaria espressività strategica che ispirò questo lavoro non tutto è perduto ed anzi possa essere proseguito. Penso che l’immortale esempio di Federico il Grande di Prussia (unico appunto da fare al lascito dialettico-strategico del filosofo di Sans Souci, l’aver scritto l’Anti-Machiavel ma saremmo ben indegni ammiratori del Segretario fiorentino se non fossimo generosi verso questa necessaria dissimulazione) il cui famoso ritratto dopo la sconfitta di Kolin campeggia in frontespizio possa costituire la più adeguata Leitbild a quanto ho qui affermato. Massimo Morigi – gennaio 2022 Massimo Morigi

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AI COMBATTENTI DEL BARKA Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 3

INDICE Pag. Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

a Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

b Capitolo 1 – GLI INIZI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

x Capitolo 2 – LA LOGGIA MASSONICA DANTE ALIGHIERI . . . . . . . . . . . . . . .

by Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … –

Capitolo 1

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INTRODUZIONE Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1

Pag. 5 PREFAZIONE

Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1

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Capitolo 1 GLI INIZI Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 7

Se neppure così ci riesci, sii almeno uno di coloro che ci credono: “Iddio innalzerà d’altri gradi coloro di voi che avran creduto e ricevuta la scienza”, e la scienza è al disopra della fede e l’esperienza al disopra della scienza. L’esperienza è emozione , la scienza è procedere per analogie, la fede è pura accettazione per conformismo. Abbi buona opinione di coloro che provano l’emozione o di coloro che posseggono la conoscenza. Sappi, ora che hai appreso quali sono i cinque spiriti, che tutti quanti sono luci, perché rendono palese ogni sorta di cosa esistente, sensibile e immaginaria. Al Ghazali, La nicchia delle luci

“PROCUL O PROCUL ESTE PROPHANI”, dovette sembrare un’esortazione molto a tono ai primi liberomuratori ravennati che intrapresero la sgrossatura della pietra grezza nei locali del monastero di S.Vitale, sulla cui architrave dell’entrata la ammonitrice formula con cui Virgilio dà voce alla sibilla che inizia Enea nel suo percorso nell’Averno respingendone però i compagni(… Via, via profani /gridò la profetessa, itene lunge / dal bosco tutto;e tu meco te n’entra.) il visitatore meno distratto (o meno intruppato nel mordi e fuggi del turismo di massa dei gruppi organizzati) può tuttora leggere traendone, come i primi massoni ravennati di inizio Ottocento ,il confortante pensiero che nella ricerca della parola perduta(o, se vogliamo esprimerci altrimenti, nella ricerca della libertà spirituale)siamo sempre da altri preceduti e guidati. Del resto, non solo le virgiliane reminiscenze poterono sembrare di buon augurio a questi ravennati “liberi e di buoni costumi” che per primi nella città degli Esarchi osarono sfidare la scomunica di Clemente XII (Papa Corsini, forse il Pontefice che attraverso i lavori di miglioramento del suo porto, più si adoperò per lo sviluppo di Ravenna, e da qui il nome di “Porto Corsini” del borgo marinaro che sorge accanto alla riva del porto canale – e di Canale Corsini – e la cui effige marmorea voluta dai ravennati riconoscenti per eternarlo, ironia della sorte, dopo essere stata collocata nell’odierna Piazza del Popolo ,vi fu, nel 1867, rimossa per essere posata proprio nel monastero di S.Vitale ,nel secondo chiostro, dove è tuttora, e da dove la sua veneranda e nobile figura sembra vegliare a che l’ex monastero- ma semel abbas, semper abbas – non debba mai più subire altre latomistiche profanazioni).Oltre alle molto profane e metalliche sollecitazioni del momento storico(la politica napoleonica favoriva la nascita di logge massoniche),di per sé forse del tutto necessarie e sufficienti a spegnere le sempre più fioche ritrosie suscitate dalla scomunica clementina in animi che, pur nella provinciale e sonnacchiosa Ravenna dello Stato della Chiesa, erano state raggiunte e plasmate dalla rivoluzione dei “lumi” e dal suo più grezzo e militare inveramento della conquista napoleonica, altri potenti e vivaci stimoli esoterici potevano promanare dal luogo eletto per le prime tornate e dalla città stessa. Dalla chiesa di S.Vitale in primo luogo. Nella basilica sorta all’inizio del sesto secolo su ordine del Vescovo Ecclesio non vi è solo da prestare attenzione ai mirabili mosaici bizantini. Pure estremamente significativa, per quanto assolutamente opaca dal punta immaginifico e perciò Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 8

inevitabilmente persa da parte del turista mordi e fuggi, ne è la struttura. Questo tempio, infatti, è a pianta centrale ottagonale, tipica peraltro delle chiese bizantine, attraverso la quale i costruttori agli ordini del supremo architetto Giuliano Argentario intesero con ogni evidenza richiamarsi al simbolismo dell’ottagono, figura geometrica che unisce la terra al cielo perché ritenuta momento intermedio fra il quadrato (che rappresenta la terra) e il cerchio (il cielo). Da qui la predilezione bizantina per lo svolgimento dei sacri offici in fabbriche con questa pianta per favorire appunto il congiungimento dell’uomo con Dio. In seguito, la pianta ottagonale fu ripresa nell’Islam (esempio classico la Moschea di Omar a Gerusalemme), nelle chiese templari e per fare un esempio di un edificio non strettamente adibito al culto ma dalle valenze strettamente simboliche, nell’enigmatico castello di Federico II che sovrasta la piana di Andria in Puglia. Un templarismo che se è discutibile che rappresenti un episodio dell’ipotetico continuum iniziatico che partendo dai misteri dell’antico Egitto ,attraversa l’ellenismo e il Medioevo per poi approdare, tramite il momento fondamentale dell’ermetismo neoplatonico rinascimentale, alla moderna liberomuratoria, rappresenta ,invece uno dei principali miti di fondazione dell’ideologia della massoneria simbolica settecentesca e che, con ogni verosimiglianza, non mancò di colpire l’immaginazione di quegli ardimentosi ravennati (non ne andava della salute del corpo ma di quella dell’anima sì, visto che in fondo, anche per spiriti educati illuministicamente, non si può mai essere sicuri cosa ci si debba aspettare una volta passati all’Oriente Eterno…)che per primi si adunarono ritualmente in luoghi così carichi di tradizioni e di insegnamenti per il futuro. Il pavimento di mezzo ,che è stato rialzato dal primo piano in proporzione del sotterramento della Chiesa, è ricoperto di scelti marmi antichi componenti de’ vaghi intrecci ,e dirimpetto al Presbiterio un Laberinto .1 Così Francesco Beltrami nel 1783 parlando di S.Vitale nel suo Forestiere instruito, ci fa capire che sul finire del diciottesimo secolo si era ben consapevoli dell’importanza(ed, ovviamente, del significato, che, pendente la scomunica di Clemente XII e non ancora arrivati i francesi a liberare o ad occupare, se si preferisce, il territorio pontificio, non poteva essere esplicitato in una guida turistica ante litteram quale Il Forestiere) del labirinto pavimentale della più importante chiesa ravennate. “Concetto simbolico proprio dell’ iniziazione massonica – che si riallaccia all’immagine di un viaggio labirintico – che riteniamo non sia soltanto della massoneria “moderna” o “speculativa”, ma probabilmente nella massoneria “antica”, c.d. “operativa” , giacché l’idea del labirinto ,associata a quella della morterinascita iniziatica, si ricollega a molteplici tradizioni ed era ben presente nel Tardo Medioevo ,come attestano molteplici opere degli antichi maestri costruttori e molte opere letterarie.”2 E dalla città stessa in secondo luogo, o perlomeno dall’idea che su di essa si era venuta formando nell’intellighenzia non clericale della città ove riposano le spoglie di Dante(altro topos fortemente identitario per gli avversari del romano pontefice, tanto che nella seconda metà del diciannovesimo secolo a Ravenna la massoneria sarà rappresentata dalla Loggia “Dante Alighieri”),promanavano profonde suggestioni, tant’è che sul Mausoleo di Teodorico, uno dei maggiori simboli “laici”,assieme alla tomba del Poeta costruita dal Morigia nel 1780,della città dell’epoca, sempre il Forestiere instruito ci informa che il mausoleo del re ostrogoto “Vedesi ideato con tal regolare ,e proporzionata disposizione di tutte le sue parti ,che il celebre Polifilo, altrove da me citato ,ne’ suoi misteriosi scientifici sogni Lib.I.cap.17 lo rassomiglia ad un sontuoso rotondo Tempio di elegante struttura da esso lui immaginato ,e descritto.”3 Ora, che nella “Bibbia” della cultura ermetica rinascimentale, l’Hypnerotomachia Poliphili appunto, nel luogo indicato da Beltrami si alluda al mausoleo di Teodorico è un’affermazione del tutto discutibile che meriterebbe ben altro approfondimento di quello che si degnò di fornirci Beltrami (o che fu possibile concedersi al Beltrami stesso, visti i profondi condizionamenti ambientali su cui è inutile ripetersi).Nel capitolo 7 dell’Hypnerotomachia si parla sì di un tempio antico e costruito con perizia architettonica, e a queste caratteristiche potrebbe conformarsi il nostro mausoleo ma la fabbrica

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ammirata dal trasognato spasimante di Polia è a pianta circolare(il Mausoleo di Teodorico è, invece, a pianta centrale con due ordini sovrapposti ma decagonale l’inferiore e decagonale prima e circolare poi quello superiore, e ciò ci porterebbe ad escludere che il Polifilo prenestino abbia esemplato ,anche se solo in parte ,il suo onirico edificio dal mausoleo ostrogoto)e consacrato alla Dea Venere Genitrice(e qui il Mausoleo di Teodorico è totalmente irriconoscibile).Ma dando per scontato il pluralismo ed anche l’opacità semantica della cultura iniziatica e riservandoci ad un ulteriore studio lo sviluppo di un argomento che riteniamo di una certa importanza per la nostra storia locale, quello che qui importa sottolineare è che gli antesignani massonici della città della tomba di Dante si mossero in un ambiente che se per quanto riguarda le sollecitazioni essoteriche dovette aspettare la tutela delle armi francesi per la fondazione di una loggia massonica, era certamente aduso per sensibilità e per suggestioni storicomonumentali al discorso esoterico. Ma non vi sono solo le pur importanti – anche se timide e filologicamente discutibili- avance beltramiane nel campo ermetico e simbolico a suffragare l’idea che i reperti monumentali di Ravenna furono uno degli aspetti decisivi per l’affermazione anche a Ravenna sotto il dominio temporale del Papa della cultura esoterica che fra diciottesimo e diciannovesimo secolo investì l’Europa. Uno slancio che doveva avere realmente un gran momento se Camillo Morigia ,accettando la commessa del Cardinal Valenti per edificare il monumento sepolcrale al Divin Poeta , non si peritò d’inserire ad ornamento del timpano del tempietto una serpe che si morde la coda ,l’uroboros, simbolo ermetico-iniziatico dell’eternità del tempo e, per traslato ,dell’eternità del messaggio dantesco. Addirittura, nel progetto originario il simbolismo era ancora più denso: “nel timpano all’interno del cerchio, che si preciserà in un ouroboros, splende un esuberante sole raggiante; sui suoi lati insistono due slanciati pinnacoli piramidali che esibiscono il simbolo della città (la pigna) […] mentre ai lati della lunetta soprastante la porta d’ingresso, la lira e il serto dall’oro completano l’esibizione dei trofei del divino cantore”4 . Rispetto ai segni consentiti da Santa Madre Chiesa tutto ciò era troppo osare e infatti non si osò. Anche l’uroboros che si può considerare ad un tempo un estremo lascito dell’iniziale tessuto simbolico ed anche segno di una fortissima valenza espressiva esoterica, nel suo passaggio dall’ideazione alla realtà attenua la sua carica eversiva. L’osservatore è facilmente indotto a confondere le metalliche verdi squame del serpente con più stereotipate foglie dall’alloro, una sorta di convenzionale tributo al genio poetico al padre della lingua italiana.5 Ma la tomba di Dante non è il solo episodio che ci attesta che la Ravenna di fine diciottesimo secolo fu teatro di tensioni generate dallo scontro fra una Chiesa chiusa nell’ortodossia e la cultura esoterica della nascente massoneria simbolica settecentesca. La sfida si produsse anche all’interno di un edificio sacro, dentro la chiesa di Santa Maria Maggiore. In questa chiesa, infatti, venne sepolto Camillo Morigia, morto il 16 gennaio 1795.Sulla pietra del suo sepolcro volle fosse scritto: “Camillo Morigia ultimo di sua famiglia si raccomanda alle vostre orazioni”. Una iscrizione molto asciutta ,come si vede, con un fioco e convenzionale richiamo alla religione (le orazioni) ma che non denota alcuna palese tensione con la religiosità dominante. Ma il ricordo dell’architetto nella chiesa che accolse le sue spoglie, non è limitata all’iscrizione sulla pietra tombale ma è affidata anche ad un monumento funebre ,del quale è particolarmente significativo il busto in bassorilievo di Morigia poggiante alla base su una panoplia dei principali strumenti liberomuratori. Ora pur ammettendo che squadra, compasso e riga possano costituire un richiamo all’attività professionale del defunto, non si può peraltro non concedere, e con tanta maggiore convinzione, che dopo la scomunica clementina del 1738,la rappresentazione degli attrezzi simbolici dell’Arte Reale ,per di più dentro una chiesa, costituisse una diretta sfida contro il clementino interdetto dell’ In eminenti specula Apostolatus, una sfida ed una polemica che solo chi fosse stato iniziato e fosse profondamente impregnato di cultura esoterica poteva decidere di portare avanti anche al di là della vita terrena. E si deve anche convenire che a distanza di pochi decenni dalla scomunica e dalle conseguenti persecuzioni alla comunità liberomuratoria italiana, non solo In eminenti avesse perso ogni efficacia come deterrente secolare ma fosse pure caduta in profondo discredito presso gran parte di quel clero che avrebbe dovuto proteggere il suo gregge dal diabolico influsso degli

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scomunicati massoni ma che in pratica ,come accadde a Santa Maria Maggiore in Ravenna, aveva preferito chiudere gli occhi davanti a tanta ostentata impudenza liberomuratoria, esibita ,addirittura, dentro una chiesa di una città sotto il dominio temporale del Papa. Che lo scontro fra l’ortodossia religiosa e la cultura esoterica che aveva preso la forma della moderna massoneria speculativa fosse una vicenda che accanto a momenti di alta tensione contemplasse pure fasi di appeasement ,era del resto un portato quasi inevitabile dei cambiamenti generali (anche nel clero, specialmente in quello basso, come ci insegna l’imminente rivoluzione francese),nelle prospettive e nei gusti introdotti dalla nuova cultura settecentesca, di cui l’illuminismo costituiva ,se vogliamo, il versante maggiormente esposto sul versante politico, mentre la massoneria speculativa, ultima gemmazione dell’ermetismo rinascimentale dava spazio e possibilità di espressione a tutte quelle istanze di autorappresentazione individuale e di riconoscimento identitario di gruppo messe in crisi dalla secolarizzazione della società e alle quali il discorso troppo pubblico e razionalista dell’illuminismo non riusciva a concedere un soddisfacente ascolto. L’arte del giardino costituisce un esempio estremamente significativo della recherche di questa nuova spiritualità massonica a cavallo fra discorso pubblico prudentemente accennato, istanze private pubblicamente esposte(sempre prudentemente e con circospezione) e autorappresentazione e riconoscimento identitario di gruppo protetto dal velo del segreto(e cioè ,per rifarci ai casi menzionati: uroboros nella tomba di Dante, monumento funebre di Morigia in Santa Maria Maggiore, le riunioni massoniche che avvennero per la prima volta nel suggestivo convento di S.Vitale).Un esempio estremamente significativo che non mancò di manifestarsi anche a Ravenna. Ci stiamo riferendo al giardino del Palazzo della Provincia di Ravenna. Nonostante le varie trasformazioni e demolizioni subite ad iniziare dall’ultimo scorcio dell’Ottocento dal palazzo del conte Ferdinando Rasponi (nel 1866 il palazzo venne venduto dal suo propietario caduto in rovina, il conte Ferdinando Rasponi, ad un certo Geremia Zoli “un cameriere del circolo dei signori [che] trasformò l’intero edificio in un albergo sontuoso: l ’hotel Byron”6 . Nel 1918 ,in seguito all’incapacità dei nuovi gestori subentrati dopo la morte di Zoli ,l’edificio venne acquistato dalla federazione delle Cooperative di Ravenna ,sede che nel 1922 venne incendiata e distrutta dalle squadre fasciste e sulle sue ceneri, nella seconda metà degli anni Venti, venne edificato ,su disegno dell’Arata ,l’attuale palazzo della Provincia),nonostante queste traversie il giardino racchiuso dall’originario palazzo Rasponi ha conservato – non integralmente che sarebbe troppo pretendere – significativi tratti dell’idea originaria. Un’idea che, dicevamo, fu profondamente influenzata dalla cultura esoterica. Ad iniziare dalle piccole piramidi ornamentali collocate sulle balaustre del terrazzo intermedio(la piramide fu uno dei principali simboli della massoneria settecentesca e rifletteva la vera e propria mania culturale “egiziana” di quel secolo, la quale costituì uno dei trait d’union fra l’esoterismo in senso stretto e una moda culturale molto più affine ad un volgare esotismo, anche se è necessario sottolineare che l’ “egizianesimo” non attese il Settecento per manifestarsi ma ,ad iniziare dal mondo greco-romano, approdò nell’epoca moderna legandosi indissolubilmente all’ermetismo rinascimentale, una delle scaturigini della massoneria simbolica appunto). E cariche di simbolismo neoplatonico sono “le sfere collocate ,la prima sulla colonna del capitello corinzio all’ingresso inferiore del parterre, la seconda all’inizio della scalinata che conduce alla sommità del giardino pensile”7 . Abbiamo poi, appesa alla volta della cripta annessa al giardino, un’ulteriore sfera- vero e proprio occultum lapidem – recante la scritta “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Su questo occultum lapidem è necessario soffermarci. Abbiamo appena detto che essa è appesa alla volta della cripta ma tale ancoraggio avviene tramite un’erma posta all’esterno della stanza ,sulla sommità del giardino pensile, così da evidenziare le analogie micromacrocosmiche(microcosmo l’interiorità dell’uomo, sfera all’interno della cripta; macrocosmo l’universo esterno, l’erma sulla sommità del giardino).E non è neppure senza significato che la possibilità della sfera (il microcosmo) di rimanere agganciata alla volta sia affidata ad un’erma, che nell’antichità, e probabilmente anche in questo caso, rappresentava il dio Ermete. Trova così spiegazione il motto “Sic Vita Pendet Ab Alto”. Non tanto una mesta e stereotipata considerazione sulla

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caducità dell’umana condizione stretta fra gli imprescrittibili diktat dell’Ananke o della divina provvidenza (la pesante sfera lapidea minacciosamente appesa alla volta con un legame che non si riesce ad intuire quanto solido e il motto superficialmente inteso trasmettono esattamente questo stato d’animo di precarietà che ha ben poco di esoterico ma è molto più debitore alla rassegnata Weltanschauung di Santa Madre Chiesa) ma l’orgogliosa e gioiosa affermazione della capacità dell’uomo(il microcosmo) di congiungersi al macrocosmo(l’esterno della cripta ,la sommità del giardino pensile) e che questa potenzialità è garantita sì da Dio ma non il dio che impone un cieco atto di fede (il Dio-Cristo paolino per il quale la fede è superiore alla ragione) ma dal Dio che simboleggia la vera conoscenza, Ermete simbolo della profonda conoscenza interiore. Del resto ,la semantica della continuità micro-macrocosmica è comprovata da ulteriori elementi. La pianta della cripta è ottagonale ,come pure “la sfera in pietra ,sospesa all’apice della volta, ha un decoro [una stella a otto punte ]che allude all’ottagono”8 .Sull ‘ottagono simboleggiante l’unione della terra con il cielo abbiamo già detto, solo che nella fattispecie non si tratta dell’unione della creatura (terra) con il cielo (dio creatore) ma dell’unione micro-macrocosmica assicurata dalla gnosi rappresentata da Ermete. Certamente il degrado imposto da Cronos e dalle vicissitudini della storia ,ha inevitabilmente modificato ed obliterato buona parte dei segni originariamente intesi per dare a questo luogo un senso intimo e profondo non solo legato ad una superficiale fruizione e divertissement (che è il destino ancillare di gran parte dei giardini).Ma i ruderi simbolici affioranti e allora voluti per conferire al giardino la funzione di vero e proprio percorso iniziatico non hanno perduto la capacità di ammonirci che la responsabilità di dare senso alla nostra vita è unicamente nostra ,solo se si abbia la sensibilità ed il coraggio di comprendere che non siamo monadi isolate ma parte di un tutto (rapporto micromacrocosmico).E per essere convinti di ciò basta essere uomini liberi e di buoni costumi e non altro. Ma simboli voluti da chi? Di proposito ,non essendo le nostre ricerche riuscite a svelare né il committente, né il disegnatore né il progetto originario del giardino, ci siamo limitati al commento del simbolismo strettamente archittettonico trascurando quello delle essenze del giardino, le più esposte ai rimaneggiamenti e alle cancellazioni dell’intervento umano. Il giardino esoterico, abbiamo visto, riflette un gusto tipicamente settecentesco, come in Europa ed in Italia fra fine del Settecento ed inizio Ottocento testimoniano le numerose realizzazioni di arte topiaria a sfondo simbolico .Siamo propensi a datare il giardino verso la fine del diciottesimo secolo ,quando lo scontro anche nei territori dello Stato della chiesa fra il cattolicesimo e la massoneria subiva strane pause ed obnubilamenti (ouroboros tomba di Dante e monumento funebre del Morigia docent) o tuttalpiù l’inizio Ottocento della Ravenna sotto il dominio francese(Napoleone favoriva il sorgere di logge massoniche, vista dal gran Corso come instrumentum regni e ,quindi ,in quel periodo un giardino esoterico sarebbe stato ben accetto),mentre escludiamo che ripiombata Ravenna sotto il dominio diretto del Papa (del clima dell’epoca fa testo la famigerata sentenza Rivarola ) ci fosse qualcuno che mai si sarebbe azzardato in un’impresa del genere. Ed anche se vogliamo considerare la famigerata sentenza (1825) come il momento più acuto della repressione delle istanze liberali e settarie, di tutto si può dire sul dominio temporale della Chiesa nell’Ottocento tranne che fosse rivolto ad una sorta di appeasament verso tutto ciò che non fosse riconducibile all’alleanza fra trono ed altare. (L’umanamente triste vicenda di Pio IX nel ’48 col suo iniziale apparente volgersi verso disegni più moderati rispetto ai predecessori per poi ritrarsi impaurito – giustamente – dalle conseguenze delle sue aperture, è l’inconfondibile segno del ruolo regressivo ,al di là della volontà dei singoli, svolto dalla Chiesa nell’Ottocento).E visto che non abbiamo alcuna notizia dell’edificazione dell’esoterico giardino ad unità avvenuta ed anzi dalla segnalazione di Primo Uccellini dal suo Dizionario Storico del 1855,peraltro molto scialba ed opaca9 , apprendiamo il giardino essere già esistente, non ci rimane che tornare agli anni in chiusura del Settecento nel momento dell’appeasement della Chiesa con il latomismo o imperante il dominio francese. Conclusione non molto esaltante ma che ci consente di formulare un’ipotesi d’attribuzione, almeno per quanto riguarda il progettista del giardino. Del massonismo del Morigia abbiamo detto .Non abbiamo però ancora detto

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che la nutritissima biblioteca privata di Camillo Morigia ,conservata presso la Biblioteca Classense di Ravenna, contiene oltre una preziosa copia dell’Hypnerotomachia ( ad ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, delle passioni ermetiche del Conte) ,anche diversi manuali di giardinaggio, alcuni dei quali impregnati di un forte simbolismo massonico, che ben s’inseriscono nell’ipotetico quadro degli interessi simbolico-ermetici del Conte architetto per una progettazione topiaria a sfondo simbolico. Oltre non è possibile andare e riservandoci di approfondire l’argomento in ulteriori studii, molto conviene al momento fare nostra l’ammonizione “Procul O Procul Este Prophani”, su cui dovettero riflettere i primi massoni ravennati e che, oltre ad un evidente risvolto misterico, può anche essere essotericamente intesa come un invito alla prudenza per il ricercatore storico qualora in difetto di documentazione. Documenti di cui si è però in possesso riguardo i primi massoni ravennati, lasciati all’inizio del nostro discorso a confrontarsi con ammonitori ammaestramenti all’entrata del convento dove iniziarono a riunirsi, piante ottagonali di basiliche bizantine(ma evocanti anche ottagoni di chiese templari e moschee) e labirinti pavimentali che suggerivano che l’unione fra il cielo e la terra (l’ottagono) era da conseguire attraverso una morte-rinascita di tipo iniziatico piuttosto che attraverso atteggiamenti fideistici incoraggiati da Santa Madre Chiesa. Ma oltre che cercare di instaurare con questi ardimentosi esploratori di una filosofia e mistica “più efficaci” un legame empatico basato sull’archeologia esoterica della città degli Esarchi e su quanto ci è dato sapere sulla mentalità massonica e cattolica di fine ‘700,possiamo imbatterci, attraverso lo sfoglio degli Annali di Ravenna di Padre Benedetto Fiandrini, nel primo documento ravennate che contiene l’attribuzione ad un nominativo dell’appartenenza massonica. Scrive Padre Benedetto Fiandrini di essere venuto in possesso di una “Sattira in cattivi versi”: Fu ritrovata questa mattina una Sattira in cattivi versi ,quale faceva il ritratto di tutti li Fanatici Giacobini di Ravenna :tal quale fu ritrovata la riporteremmo qui ,con la spiegazione dei diversi nomi.

Vuo’ spiegarvi in pochi versi Li Caratteri diversi De Patriotti nostri Sel permette i miei inchiostri. Costa in primis1 il sapiente. Con stupore della Gente, Da uom rio ,e scelerato, Gesù Cristo ha rinegato, La Madonna ,i Santi suoi. E ancor vive in mezzo a noi? Degno è vivere in Turchia, La tra mezzo a gente ria, E non già frà noi Cristiani Buoni ,e ver Repubblicani. De seguaci poi gran stuolo, A cotesto dietro a volo Se ne vengono portando Ogni vizio esecrando. Se conoscer li volete, Quì descritti li vedrete. Truffatore Lovatelli. 2 Un Ruffiano Maccabelli. 3 Un’Apostata il Severi. 4 Una spia Cervelieri. 5 Ignorante egli è Gambini.6 Altra spia è il Contarini. 7 Il Collina guercio audace

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8 Egli è un ver mostro triface Ignorante ,arciminchione, Che vuol far da Sacentone. Una Scimia, un Papagallo, Ve lo mostro ,ed io non fallo Il Cristino dei Rasponi 9 Vero Rege dei Coglioni. Quello poi ,che non ha pari. E’ l’indegno Montanari.10 Uccellini è un gran birbante,11 Pien di fame e protestante. Spia è Pio e farabutto.12 Un Crocìmaco Cornuto E’ la mummia Garavini , 13 Che il Preposto de Tiatini Ei sembrava. E’ un Scellerato, Un iniquo,un Sciagurato. Piavi14 avaro, ingordo, insano, Vende Cristo di sua mano. Fanticcini,o sia Casoni15 Prima feccia de’Bricconi, Questi alfine ha operato Sempre a norma del Casato, Che il proverbio dice, dà Quella botte il vin, che ha. Lovatelli Castellano16 E’ un rio Ladro, un torcimano. Valentini Prete tristo17 Che segnato è pur da Cristo Da Costui state lontani Quel nemico de’Cristiani. Del Roncuzzi la bottega,18 Io lo dico, e niun lo nega, E’ il ridotto de’ Giudei, La Nazion de Farisei; E a mostrarveli più tristi Son peggior de Calvinisti. Ve ne sono a precipizj Oltre tanti pien di vizj. L’Amador i 19,ed il Toschini20 E l’ippocrita Baldini ; 21 Se del figlio22 poi parliamo, Tutti già il lo conosciamo. Evvi il Serra23, evvi il Baroni o . 24 Evvi il Ladro de Spadoni , 25 E il più saggio ,e il più eccellente , D.Corlari26 uom valente. Certo Pampan i 27 Ex frate Valoroso in briconate. Certo Zucch i 28 Bolognese Truffatore del Paese. E Collina29 del Libraro, Magni30 ,e Fava31 van de paro Rota32 il piccolo ,e Ginanni33 D. Perelli34,e Camerani , 35 Il Fuschini Religioso36 Un Bendandi orgoglioso

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37 Ed il Bezzi Capitano38 Certo Sirmen uomo insano39 Traversari Segretario,40 Pien d’umore molto vario. Un Serena ,qual penello41 Posto al vento, ha il suo cervello, Come appunto la Farfalla La sua testa or vola ,or balla. Il Cachettico Bianchini42 Si distingue fra i più fini Li più empi malandrini Perfettissimi Giacobini. Il Landoni Poetastro,43 Che nel Club è Capo Mastro. V’entra pur fra tanti sciocchi Il notaro Miserocchi44 Sono insomma tutti quanti Una ciurma di birbanti, Finti son repubblicani Son Fanatici Anticristiani. Oh Repubblica beata! Se la turba qui notata, Di color ,che non han legge, Con un’ordin di chi regge, Dal tuo seno t’estirpasser, Tutti al diavol se n’andasser, Sì ,felici allor saremmo, Tutti quanti ci ameremmo, Come cari,e ver fratelli, Senza aver timor di quelli, Che il bel nome democratico, Or confondon col fanatico; Concambiando con dispreggio, D’esser liberi il bel preggio, Con i vizj, e le sozzure, Le lordezze ,e cose impure, Questi stolti sciagurati, Viver degni frà i dannati. Dunque ,o buon repubblicani, Non fanatici ,né insani, Su la voce con me alzate, La Repubblica gridate, Viva sempre e il buon Governo, Viva sempre ,ed in eterno. E sia solo estirpati Tutti i tristi ,e scelerati. Vivan sempre i democratici, Muoian tutti li Fanatici10

Se la “Sattira” era in cattivi versi (ma abbiamo il fondato sospetto che l’autore altri non sia che il Fiandrini stesso ,il quale dà verosimilmente questo giustizio per depistare), le note biografiche che seguono la “Sattira” – che commentano i nominativi da questa citati – sono senza rischio di attribuzione proprio del Fiandrini e ,a parte di non essere in versi, mantengono lo stesso giudizio liquidatorio di questi:

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1) Costa Paolo figlio di Domenico Nob:di Rav:, e nipote di D: Vincenzo Luigi, e di d:Giulio Costa ,il pmo Parroco di San Nicandro, il secondo Rettore del Seminario .Questo giovane non scarso di talenti, ora maritato con…Milzetti di Faenza ,si guastò affatto nell’Università di Padova, e divenne il più empio tra miscredenti Ravennati, e che fù il diabolico maestro di tanta povera Gioventù. 2) Tommaso Conte Lovatelli dall’Aste figlio del qndam Ippolito Lovatelli Dall’Aste, che prese moglie … Correlli di Faenza .Questo Giovane dà saggi continuamente del più empio ,fanatico Atteismo. 3) Vitale Macabelli figlio di Giuseppe Macabelli speziale in Calzoleria, sciocco, ed ignorante fanatico. 4) D: Giuseppe Severi Sacerdote,e già canonico Lateranense ,e Lettore di Filosofia di S:a M: a in Porto ,e Confessore in Chiesa, ora Capitano della Truppa Civica di Galla Placidia, molto attaccato alle correnti massime francesi. 5) Luigi Cervelieri Orologiaro in Calzoleria ,incredulo perfetto. 6) Conte Ruggiero Gamba Ghiselli figlio dell’ottimo Conte Paolo Gamba Ghiselli, e della Religiosissima Marchesa Marianna Cavalli; ora Comandante della truppa Civica, Fanatico terrorista senza Religione. 7) Gregorio Contarini Curiale dimesso figlio del qndam Vittorio Contarini Procuratore, e Nipote del Sr d:.. Contarini Parroco di S:Agata .Ora è capitano della Truppa Civica. Fantico ignorante, ed incredulo. 8) Florio Collina figlio del qndam Marcantonio Collina Droghiere sotto i Volti della Piazza, e fratello di Filippo Centrale del Lamone ignorante irreligionario. 9) Cristino Rasponi figlio del qndam Teseo Rasponi ,e di Lucia Ginanni, che ha in moglie Maria Laderchi di Faenza. Fanatico ignorante e miscredente perfetto. 10) Domenico Montanari di Antonio ,e Rosa Montanari da S:Eufemia ,che sposò Giacinta figlia di Sebastiano Venturi; Ignorantissimo e perfido persecutore dei cattolici . 11) Luigi Uccellini figlio di Giuseppe Uccellini di Cesena Cuoco; al servizio della Stamperia Roveri,e Casali ,perfettamente empio, ed irreligionario. 12) Giambatta Pio figlio del qndam Francesco, e di Rosa Pio, Nipote del celebre d: Domenico Pio Tenore di questa Capella ,e Mansionario; Fratello del valente Antonio Pio ,morto poch’anni sono in età di 43: anni,dopo di essere stato Mro di Capella in Ravenna ,e Mro di Musica a Venezia ,ed alla Corte di Pietroburgo anni 4.Il sudetto sempre eguale a se stesso ,sempre irreligionario, ora stà in ferri a Venezia relegato all’Isola di S: Servolo. 13) Garavini Andrea figlio del valente Fabro Ferrajo Francesco Garavini .Questo Giovane ,che proseguiva la Professione del Padre prese in Moglie Barbara Montanari Sorella del Sudto Dmnco N° 10: entrò nella turba di quelli ,che atterrarono le Croci de’ Capuccini, Capucine &c:, ed era tenuto p. un buon Giovine, in paragone a Giuseppe suo fratello, ma il fatto decise il contrario. 14) Piavi Domenico fabbricatore di Bicchieri ,bocchie , Pistoni ,e Zucche ,che abita vicino al Piazzale di Porto, ora Municipalista. 15) Casoni Oste di Professione da S: Giorgio , uomo empio. 16) Conte Ippolito domnco Castellano Lovatelli ,che fù marito di Maria dal Corno, che abita a Porta Sisi, e che fù Centrale. 17) D:… Valentini Sacerdote, e Mansionario del Duomo, mezzo orbo, che prese in moglie ,op Concubina la Contessa Dejanira Lovatelli Dall’Aste, Sorella di Tommaso Lovatelli. 18) Bottega di Spezieria posta sotto il Palazzo del Sale in faccia al Suffraggio. 19) Amadori dottore… Curiale. 20) Toschini figlio di Mro Gio: Toschini marmorino. 21) dottor Gaspero Baldini Municipale ,che fù nel Cairo d’Egitto p anni 18: uomo doppio ,bacchettone ,ma di niuna Religione. Municipale. 22) Paolo Baldini figlio del sudto nato al Cairo ,che all’Università di Padova perdette il buon costume. 23) Paolo Serra figlio del qndam Antonio Mercante di Pannina sotto i Volti della Piazza. 24) Domenico Baronio figlio di Felice onorato Negoziante,e Banchiere ,che ha p moglie Geltrude Machirelli dama Imolese; quale fece grosse compre di Beni de Regolari, specialmente di Porto,e di S: Vitale. 25) Spadoni… 26) d: Andrea Corlari Sacerdote, e Mro di Rettorica delle Pubbliche Scuole, Poeta ,e factotum di Rav: a ,il primo tra i Preti ,che ponesse indosso l’abito verde Nazionale, e Parucca alla Bruta, e che fù suggeritore, ed inspettore della cassazione di tutte le Inscrizioni di marmo in Rav:a, fù Indi Secretario della Municipalità di Cesenatico ,prese in moglie Marianna Godi, dopo averla tenuta p tant’anni sua Concubina. Dopo finita la democrazia fù tradotto a Venezia in ferri relegato all’Isola di S: Giorgio in Alega. 27) Pampani… di Cervia ex frate Carmelitano ,che fù più volte veduto a far l’esercizio militare mischiato alla Truppa Civica, e specialmente nell’empia Compagnia de Granatieri; morì poscia ammazzato nel Riminese. 28) Zucchi… di Bologna Mercante di Paste di Puglia, e droghe nella Strada di Pal Serrato ;fanatico Giacobino. 29) Gasparo Collina figlio di Franco Collina Librajo nella Strada di Pal Serrato, grand’atteo Giacobino. 30) Clemente Magni ,figlio del così detto Capit: Magni da Porta Adriana perfetto Franc – Mason.

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31) Domenico Fava Nipote di Giuseppe Fava Librajo in faccia al Piazzale di S: Francesco. 32) Bartolomeo Rota figlio del qndam Benedetto, e Benedetta Rota , e fratello di Giovanni Municipale, Giovine di poco sale. 33) Conte Girolamo Ginanni figlio del qndam Con: Bartolomeo, e Vittoria Ginanni, ignorante fanatico. 34) D: Gaspare Perelli Canonico della Marca Sacerdote, detto il Capelano de Giacobini. 35) Camerani Luigi droghiere, e che fù un tempo Municipale,accerrimo contro i Regolari. 36) D… Fuschini ex Canonico Lateranense di Porto. 37) Francesco Bendandi Chirurgo ,che abitava in faccia a S. Apollinare ,e che morì appresso 1799. 38) Francesco Bezzi già Capitano sotto il Papa ,che abita in Corso, in faccia alle Monache di Santa Chiara, che si fe’ ricco coll’usurpazione delle masserizie de Luoghi Regolari, allorché furono soppressi, e de quali n’era stato egli il Sopraintendente. 39) Lodovico Sirmen ,celebre suonatore di Violino insigne fanatico anticattolico, che p sua Confessione , era da 30: anni in poi ,che non erasi accostato ai Sagramenti. 40) Pietro Traversari Segretario della Municipalità p i meriti del Padre che fù celebre Segretario, e benemerito de Magistrati di Ravenna del suo tempo. 41) … Serena Computista della Municipalità. 42) Paolo Bianchini Chirurgo figlio di Gaetano Bianchini celeberrimo Professore di Chirurgia , ora Edile ,e del Comitato di Pulizia fanatico fautore delle correnti massime Francesi, abita in faccia al Monte di Pietà. 43) Jacopo Landoni Poeta Fanatico; che poi anche in tempo di democrazia mutò costume con edificazione dei buoni. Vedi p.371. 44) Francesco Maria Miserocchi Notaro da S: Eufemia figlio di Lorenzo Miserocchi . Fù Inspettore de Beni attinenti alla Pubblica Beneficenza, Gran Fanatico, assieme col Giovin Figlio Lorenzo , e che fù fautore di D: Giuseppe Loreta Parroco di Sta M: a in Coelos eo. Altri molti ne erano in Ravenna di simil razza ,ma troppo sarìa il volerli qui annumerar tutti ad uno p uno; basterà soltanto a tempo , e luogo indicarne i nomi. Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino; ma se anche li democratici condannavano l’empietà de Sudti, e simili anonimati, cosa avran dovuto dire i buoni, che in silenzio bevevano a sorsi il Calice amaro della Persecuzione.11 La nota 30 commenta il nome di Clemente Magni che viene ritratto nella satira come “perfetto FrancMason” ,osservazione del Fiandrini che ci permette di qualificarla come la prima fonte in ordine cronologico che ci parli della Massoneria a Ravenna. Ma ancor più importante al fine di inquadrare nella giusta prospettiva il documento è l’affermazione finale di Fiandrini che “Si vede peraltro, che la detta Canzone fù fatta da un Democratico Repubblicano, ma non fanatico Giacobino”, l’estremo tentativo di Fiandrini di depistare sull’attribuzione della satira, proposito tuttaltro che deplorevole viste le convulsioni che scuotevano la Repubblica Cisalpina all’inizio del ‘ 98. “La Cisalpina produceva in quei primi mesi del 1798 il suo massimo sforzo per aggiornare il ritmo e lo stile di vita di un’intera città [Ravenna] ai dettami delle nuove idee rivoluzionarie ,ma cercava di farlo con una pioggia di provvedimenti che rischiavano seriamente di sortire l’effetto opposto.[Si assistette così] a una sorta di violenza sulla società per farle accettare, volente o nolente, la nuova situazione[…].[L’ordine] giunto da Faenza di eliminare dalle strade o coprire le immagini votive della Madonna fu percepito dal popolo come l’inizio di un odio antireligioso[…]. [Ma il] peggio doveva ancora venire: la tensione in città crebbe rapidamente […] in un crescendo di satire politiche anonime e di atti sacrileghi che culminarono nella vicenda della “crocimachia” ”12 .Nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1798 quelli che vennero subito definiti crocimachi abbatterono tutte le croci che incontrarono sul loro cammino. Lo sdegno popolare fu immenso e le reazioni agli atti sacrileghi furono tenute a freno solo dalla paura dell’eventuale reazione delle forze francesi, che non avrebbero esitato, se necessario, a compiere una durissima repressione. La “Sattira in cattivi versi” – probabilmente del Fiandrini – e le successive note biografiche – sicuramente del Fiandrini – ,si inseriscono così in un cupo quadro dove al tradizionale antimassonismo cattolico si sovrappone una torbida situazione di tumulti, spiate, delazioni e liste di proscrizione a futura memoria (anche questo sono la “Sattira” e le note biografiche), che rende completamente impossibile distinguere il torto dalla ragione e dove appare del tutto evidente l’impraticabilità di una

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storiografia vista come una sorta di tribunale penale. Essere “uomini liberi e di buoni costumi” significa anche, pensiamo, non lasciarsi abbagliare da nessuna ideologia, in primo luogo la propria, ed impiegare gli strumenti critici che ci sono concessi, e quindi anche la ricerca storica, per esercitare una profonda compassione, nel senso etimologico del termine, verso le vicende di coloro che ci hanno preceduto e, conseguentemente, verso coloro che ci circondano. Il giornale di Ravenna del Conte Pompeo Raisi ,manoscritto conservato anch’esso presso la Biblioteca Classense di Ravenna, rappresenta la seconda fonte in ordine cronologico che si occupi della massoneria a Ravenna. Il 24 agosto 1803 Raisi annota nel suo Giornale di riunioni che avvengono a Ravenna fra i giacobini più esagitati e che i convenuti si distinguono per una particolare foggia del cappello. Più che di fronte ad una riunione massonica, ci troviamo probabilmente al cospetto di assemblee politiche che del cerimoniale massonico hanno mutuato un certo formalismo nel presentarsi alle riunioni e probabilmente dei segni di riconoscimento. Passano tre anni e il 23 maggio 1806 Raisi ci segnala una vera e propria riunione massonica: Non si mette più in dubbio la Loggia dei Liberi Muratori erretta in Forlì nel locale di S. Domenico ,il di cui capo è il Sig. ex canonico Albicini ammogliato e che esigge dai suoi conserti il titolo di Venerabile .Ieri notte in detto luogo dove stettero fino a giorno fecero una ben lauta cena alla quale intervennero 150 persone colà radunate da tutto il Dipartimento , e v’erano purtroppo ancora dei nostri Ravignani.13 La Loggia in questione è la “Reale Augusta”, Loggia tipicamente napoleonica ad iniziare, in primo luogo, dal trarre il nome dalla Viceregina d’Italia, la consorte di Eugenio Beauharnais ,la Principessa Augusta Amelia di Baviera. E siccome alla piaggeria non c’è mai limite, non solo a Forlì si era scelto di dare questo nome alla locale loggia massonica ma anche a Brescia ,Treviso, Ancona ed altrove. Ma quello che interessa più sottolineare del documento è che , per quanto non fosse ancora nata una vera e propria loggia ravennate, erano iniziati dei contatti con la vicina Forlì per giungere a questo risultato. Contatti che si dovevano svolgere a ritmo alquanto serrato se Raisi in data 20 giugno 1806 annota: Il Sig. ex canonico Albicini Capo della Loggia dei Liberi Muratori che si è eretta in Forlì è venuto a Ravenna e non si è fatto vedere che dai suoi seguaci, che ha radunati di notte in San Vitale, e tosto è ripartito per la sua patria. Questi sono i preliminari, ma la loggia qui non è ancora formata, o almeno scopertamente da poterlo asserire con verità.14 E finalmente in data 3 agosto 1806 possiamo considerare fondata la prima loggia massonica ravennate: In questa notte nel locale di S. Vitale vi è stata adunanza dei Muratori in numero di 18. Si chiusero alle ore 5 pom., cenarono in due tavole una di 6 l’altra di 12 dopo la mezzanotte nella cucina grande di detto luogo senza serventi e i piatti furono consegnati al principio del primo chiostro da un incognito ,e rimandati addietro quelli che li avevano portati. Li sei principali che mangiarono nella tavola separata furono il Sig.ri Casoni, Gaspare della Scala, Santini ,uno di Bertinoro, uno di Cesena e un altro di Faenza ,ch’erano venuti per comuni affari ,dopo avere tenuto una lunga seduta fuori di Faenza nel Palazzo Conti verso Bologna. Alla sud.a ora si fecero chiudere da un servente, che portò via la chiave, e in appresso presentatosi il Sig. Uccellini non fu ricevuto ,dicendo che non era compreso fra gli invitati. Vi erano tra i principali ancora il militare Tordo , Pietro Runcaldier, etc. etc. e la cena costò sc. 10,20. Sul far del giorno soltanto ritornarono alle loro case. Il pagamento si fa per via di mandati dal Sig. Gaspare Scala, e quando sono in radunanza si danno il titolo di cavagliere (!) 15 Una curiosa notazione. Il “Sig. Uccellini” – Luigi Uccellini, padre di Primo Uccellini – non fu ammesso alla riunione perché “non era compreso fra gli invitati”. Forse una giusta misura prudenziale e di buon senso verso un individuo che piuttosto che nell’ “edificare templi alla virtù” si era distinto in qualità di crocimaco nell’abbattimento per le pubbliche vie del principale simbolo della cristianità e nel prendere a sciabolate immagini sacre ? Ma nonostante l’accuratezza delle informazioni del manoscritto di Raisi che ci dà conto del numero e dei nomi dei protagonisti

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della nascita della loggia massonica di Ravenna ed anche del suo accrescersi (2 giugno 1807 : “E’ cresciuta di molto la Loggia dei Liberi Muratori in S. Vitale ,contandosi in oggi composta di 70 individui e più”16), fino ad arrivare a segnalare la costituzione di una sorta di loggia giovanile (30 gennaio 1808: “Si parla di una Unione che si va preparando con qualche effetto detta degl’Incipienti [per selezionare nuovi giovani elementi per] i Liberi Muratori”17), il Conte non ci informa sul nome della loggia Ravennate. Nome che apprendiamo dall’ultimo manoscritto da noi preso in considerazione, conservato sempre presso la Biblioteca Classense di Ravenna il Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807 di Don Luigi Badessi. Il manoscritto, datato 17 marzo 1808, non contiene informazioni rilevanti sulla loggia ravennate e sarebbe più significativo come indice di una cieca mentalità antimassonica ( “In Ravenna fuvi pure questa funesta semenza, ed in alcune stanze del soppresso Convento di S.Vitale fù piantata la presidenza de’ Miscredenti aleati. Da medesimi si fece cuniare la dicontro delineata Medaglia coi Moti, e cogli Emblemma , che si vedono descritti”18). Ma la descrizione della medaglia consiste nel disegno originale ,allegato al manoscritto, della Medaglia della Loggia “La Pigneta” di Ravenna, rappresentando un lato della medaglia una fenice che risorge dalle ceneri ancora ardenti19 spiccando il volo verso il sole e recante inciso il motto “Sic virtus resurgit”; l’altro lato con incisa la scritta “La Pigneta Or.:di Ravenna” – il nome appunto della Loggia – con la riproduzione di tre pini intrecciati e con alla base la cifra 5806, che indica il 1806, l’anno profano di fondazione della Loggia. Ovviamente la sorte di questa loggia ravennate sarà strettamente legata alle vicende del Regno d’Italia e riuscirà a sopravvivere solo pochi mesi alla sua dissoluzione e al ritorno dello Stato pontificio. L’ultima segnalazione del manoscritto Raisi sulla massoneria ravennate è in data 17 marzo 1815: Per ordine del comandante Carlos Ardos e del Maggior Brener furono fatte alcune perquisizioni in parecchie case .Furono arrestati il Sig. Verlicchi di Lugo qui dimorante, Marcello Nardi aiutante maggiore della guardia urbana assoldata ,Agostino Triossi ,Tomaso Lovatelli di Meldola Segretario generale di Governo, e il Colonnello Pietro Runcaldier Capitano del Porto nell’ufficio del quale furono trovati 25 fucili scarichi, e 45 nella sua casa nascosti tra due muri ,e fu arrestato Bergossi casermiere di S.Vitale per certo fuoco appiccatosi ad una camera ,dicono a bella posta da lui ,per abbruciare tutto quello che apparteneva setta dei Liberi Muratori ,nella qual camera tenevano le loro conferenze.20 Su Ravenna e sulla Romagna era così scesa la notte della reazione e le attività latomistiche ,ancor più che nel resto del Paese, dovettero praticamente cessare. Non cessò, invece, ed anzi assunse toni più accesi che nel resto d’Italia, l’insofferenza romagnola verso il ritorno dell’ancien régime: in fondo la ventata d’oltralpe ,nonostante tutti i suoi difetti e contraddizioni, aveva soffiato impetuosa e il confronto con la restaurazione – in Romagna nella versione Papa Re, una delle peggiori in assoluto – risultava impietoso e senza appello. La repressione papalina non ebbe troppa difficoltà a demolire la massoneria di tipo napoleonico: troppo conosciuti ,molto dei quali con ruoli pubblici, i suoi componenti, e sovente compromessi col passato regime. Non poteva però cancellare – compito veramente sovraumano che non poteva riuscire nemmeno da chi pensava di trarre forza e legittimità da Dio stesso – il ricordo delle passate libertà, di cui le logge massoniche con le loro riunioni dove sedevano gomito a gomito i più diversi ceti furono una delle più riuscite traduzioni pratiche, una nuova ed inedita forma di socialità che rivoluzionava la caratteristica principale e più odiosa dell’ancien régime ,la rigidissima separatezza fra le classi, un vero e proprio sistema castale che non aveva nulla da invidiare con quello induista. E se la Massoneria fu facilmente demolita ,il costume massonico di riunire uomini di diversa provenienza ed esperienza, non più ora “ per edificare templi alla virtù e scavare oscure e profonde prigioni al vizio” – come recita un odierno cerimoniale massonico ma ben espressivo delle finalità della Massoneria sin dai suoi esordi – e nel contempo fungere da supporto per la politica del gran Corso e dei suoi proconsoli italiani , ma per , mutate le circostanze , cospirare per la libertà , era definitivamente entrato nella mentalità italiana, specialmente in Romagna. Non altra spiegazione trova l’incredibile sentenza Rivarola del 1825 .

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Uso questo termine non in riferimento alla moltitudine di persone che furono colpite dalla sentenza che porta il nome del Cardinal Legato Agostino Rivarola : “La sentenza investì più di 700 persone e fra queste 7 furono condannate a morte (sentenza che però non fu eseguita) , 6 all’ergastolo, innumerevoli altre a pene carcerarie minori ( bisogna comunque tenere nel debito conto la durezza delle carceri del Papa Re) ,fino a giungere a quasi trecento persone le quali pur variamente condannate non dovettero subire il carcere.”21 No ,incredibile non fu tanto la sentenza ma lo spaccato che essa ci presenta della situazione sociale e cospirativa di allora ( in questo senso una delle migliori dimostrazioni della teoria dell’eterogenesi dei fini nella storia: Rivarola non intese certo lavorare per gli adepti di Clio) . “ La sentenza Rivarola, infatti, colpisce indistintamente individui di tutti i ceti e di tutte le condizioni: accanto al nobile viene condannato anche il nullatenente, dediti, tutti appassionatamente, alla cospirazione secondo i loro mezzi e le loro possibilità. Una cospirazione esercitata soprattutto attraverso le sette carbonare , come nel resto d’Italia, le quali però possiamo affermare attraverso la sentenza Rivarola che in Romagna ebbero uno degli sviluppi più rigogliosi di tutto il Paese”22 , segno evidente che il costume massonico di riunire uomini diversi per condizione e per censo ma legati dalla volontà di combattere per la libertà e contro il Papa Re ( in un certo senso la versione dell’ epoca dell’ essere “uomini liberi e di buoni costumi” ) era ormai una delle caratteristiche più peculiari – e a nostro giudizio migliori – della mentalità romagnola. Una mentalità romagnola che già di per sé portata all’iperbole e innestandosi nell’indubbia propensione massonica per una certa teatralità , non paga di rappresentare una sfida terribile per la reazione ( e di pagarne quindi, come si è visto, le durissime conseguenze) , arriverà anche ad informare ad una notevole melodrammaticità ( ma mai come in questo caso absit iniuria verbo ) i nomi di questi numerosi gruppi cospirativi : Figli di Marte, Figli della Speranza, Fratelli Artisti, Maestri Perfetti, Fratelli del Dovere, Ermolaiti, Illuminati, Latinisti, Adelfia, Siberia, Turba , Federati, Americani23. La sentenza Rivarola del ’25 costituisce quindi la terribile istantanea “di un popolo che, primo in Italia, in tutte le sue articolazioni, scinde decisamente le sue sorti da quelle della restaurazione”24, come era già stato anticipato dai moti del ’21 e come sarà dimostrato dal succedersi degli eventi dopo la sentenza. Nel ’31 la Romagna verrà scossa da moti cui seguirà una dura repressione ( il più tragico epilogo di quella vicenda sarà lo scontro presso Rimini fra i patrioti del generale Zucchi e le truppe austriache, un episodio di tale drammaticità ed esemplarità che spinse Mazzini a scrivere la sua prima opera politica, la commovente La notte di Rimini, maledizione alla Francia di Luigi Filippo). Nel ‘43 e nel ’45 la Romagna sarà lo scenario di ulteriori moti . Per la Repubblica Romana cadranno 96 romagnoli e 76 saranno i feriti. Forlì, con un abitato cittadino , alla vigilia della seconda guerra d’Indipendenza, di 15000 unità ,fornì a questa guerra 800 volontari, un contingente altissimo in rapporto alla popolazione urbana (in pratica, quasi tutti gli uomini idonei alle armi ). A Monterotondo ,glorioso episodio militare dell’altrimenti infausta spedizione di Garibaldi del ’67 nell’agro romano, dei 150 caduti complessivi, 32 sono i romagnoli di Caldesi e Valzania. Ma questo suo costante essere all’avanguardia nelle lotte risorgimentali, questa partecipazione incessante e generosa contro ogni forma di oppressione ( in primis quella pontificia ma, concluso il Risorgimento, contro la soluzione moderata che era stata data della questione nazionale) trovano il suo incunabolo nella radiografia della società romagnola che emerge dalla sentenza Rivarola. Una regione povera (i condannati dalla sentenza sono rappresentativi di tutti i ceti e professioni e numerosi sono anche gli indigenti) ma che nonostante tutto e a dispetto di tutto non ha mai smesso di sognare un avvenire migliore. E gli strumenti più adeguati per iniziare concretamente a lottare per questo sogno sono quelli lasciati in eredità dalla liberomuratoria, praticamente dissolta dall’alleanza del Trono con l’Altare ma trasmutatasi, come in una sorta di processo alchemico, nella Carboneria ed in tutte quelle sette e conventicole paracarboniche di cui la lettura della sentenza Rivarola ci restituisce uno degli spaccati più impressionanti ( ma anche più rasserenanti, ché la storia degli “uomini liberi e di buoni costumi” che si associano per scaraventare in “oscure e profonde prigioni” le tirannie è sempre edificante ).

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Sotto questo punto di vista, va giudicata e condannata con tutta la severità possibile la tesi del Luzio25 tesa a ridicolizzare l’apporto della Massoneria nel Risorgimento italiano, imperniata sulla fallace inferenza che siccome nel Risorgimento non si ebbe, in pratica, alcuna attività latomistica, l’influsso della Massoneria nel processo unitario debba considerarsi inesistente. Che è un po’ come dire che il Cristianesimo perché perseguitato e ridotto per lunghi periodi in clandestinità sotto l’Impero, poté acquisire un fondamentale ruolo storico e politico per la civiltà occidentale solo dopo l’Editto di Milano del 313, col quale Costantino il Grande rese per la prima volta esplicitamente tollerato il culto soterico cristiano – paolino. In realtà la tesi del Luzio più che un errore – orrore storiografico fu un vero e proprio calcio del somaro inflitto mentre la Massoneria stava spirando sotto le amorevoli cure del Cav. Benito Mussolini, il quale con il pronto intuito che caratterizzò sempre la sua attività politica, ben aveva compreso che la trasformazione dell’Italia postrisorgimentale liberale in stato totalitario passava attraverso la demolizione della Massoneria. E per dare più peso alla sua pseudotesi storiografica, non si peritò Luzio di brandire “contro la Libera Muratoria nientemeno che la relazione con la quale Mussolini intimò alle Camere di regolamentare l’iscrizione dei pubblici dipendenti alle associazioni (cioè vietò di iscriversi alla Massoneria). Proprio allora era in pieno svolgimento il dibattito che si concluse con il forzato autoscioglimento delle Logge, preludio a quello dei partiti politici e sindacati di opposizione”26. Se la tesi di Luzio non ne guadagnò in autorevolezza, quello che era andato così perduto in credibilità fu a tutto vantaggio della deterrenza rivolta contro la Massoneria e ,in generale, contro chiunque si fosse azzardato ad ergersi contro il novello dittatore, non importa se ricorrendo ai riservati strumenti muratorii e a quelli più essoterici dei partiti politici e dei sindacati. Anche se non certo annoverabile fra gli amici della Massoneria (anzi), fu in quelle circostanze più equanime Antonio Gramsci che bollò la Massoneria come il “partito della borghesia” e come tale il nemico di sempre delle forze progressiste. Ma in questa stereotipata fraseologia, è ben possibile cogliere un grano di verità insieme ad una profondissima inquietudine che tormentava il fondatore del partito comunista d’Italia. Il grano di verità. La Massoneria non era mai stato il partito della borghesia ma certamente con la borghesia (anche se non solo con questa : Andrea Costa e tutti i socialisti che transitarono fra le Colonne molto difficilmente potrebbero essere definiti borghesi per censo e mentalità) essa fu uno dei momenti privilegiati per il formarsi dell’identità italiana. L’inquietudine. Al di là delle parole d’ordine sul socialismo prossimo venturo che avrebbe fatto dell’Italia la copia latina della Repubblica dei Soviet, Gramsci aveva capito benissimo che per molti anni i giochi erano fatti e che sarebbe scesa sull’Italia per molto tempo la cappa della dittatura mussoliniana. Definire la Massoneria il partito della borghesia, corrispose da parte di Gramsci, in quelle circostanze storiche, nient’altro che ad un esercizio consolatorio e di rimozione che consisteva nella creazione di un nemico di cartapesta ( la massoneria – borghesia ) per non vedere il nemico in carne ed ossa, il fascismo, che si stava facendo un solo boccone di Massoneria (messa fuori legge) , borghesia ( nel senso dell’Italia liberale che dopo la prima guerra mondiale ed il fascismo non riuscirà più a ritrovare sé stessa) e di socialisti riformisti o rivoluzionari che dir si voglia che, come Gramsci, dovettero scontare anni di carcere e di confino (assieme a chi socialista o comunista non lo era affatto come il Gran Maestro Domizio Torrigiani, Carlo Rosselli, Emilio Lussu e tanti altri il cui unico difetto era di amare la libertà) se non addirittura l’eliminazione fisica (come don Minzoni, Matteotti, Gobetti e Amendola, uccisi dal fascismo proprio perché nel ventaglio delle loro rispettive posizioni costituivano ,comunque, l’alternativa possibile alla rivoluzione dei soviet e alla controrivoluzione totalitaria che aveva travolto il paese). Una sorta quindi, quello di Gramsci, di omaggio postumo alla liberomuratoria, da parte di un avversario che ha intuito – ma che non ha il coraggio di esplicitare fino in fondo – che la fine di questo suo nemico, sostituito da un ben più terribile leviatano ,che non sarà mai partito di nessuno ma solo di sé stesso, significa anche la sua fine. D’ora in avanti la parola sarebbe passata ai Luzio e, ancor più, ai suoi mandanti morali. Per molti anni non l’avrebbero ceduta a nessuno.

Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 21

1 F. Beltrami, Il Forestiere instruito delle cose notabili della città di Ravenna, Ravenna, 1783, p.167. 2 E. Bonvicini, Esoterismo nella massoneria antica, vol. 1, La simbologia celata nelle regole costruttive, Roma, Atanor, 1993, p.225. 3 F. Beltrami, Il Forestiere instruito… cit., pp.193-194. 4 N. Pirazzoli, P. Fabbri, Camillo Morigia (1743-1795). Architettura e riformismo nelle Legazioni, Imola, Santerno Edizioni, 1976, p.75. 5 Un altro uroboros con evidenti richiami simbolici è quello posto al vertice dell’ iscrizione sulla facciata del Capanno Garibaldi di Ravenna. L’iscrizione di datazione incerta – ma probabilmente risalente al periodo immediatamente successivo all’ entrata di Ravenna nel Regno d’Italia – celebra con ampollosi riferimenti al tema della natività – ma bisogna tenere conto della mentalità del tempo e degli entusiasmi per la fine del potere temporale del Papa – l’impresa dei salvatori ravennati di Garibaldi dopo la caduta della Repubblica Romana del 1849: “Questa sacra capanna/ che nel 1849 tolse alla strage/degli erodiani austriaci e di Roma/Garibaldi liberatore/i battezzati italiani/onoreranno/come quella/di Betlemme di Nazaret” 6 U. Foschi, Case e famiglie della vecchia Ravenna, Ravenna, Longo, p.55. 7 E. M. Ferrucci, Il Palazzo della Provincia di Ravenna. Suggestioni di un percorso d’architettura, Ravenna, Longo, 1997, p. 62. 8 Ibidem, p.48. 9 P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna e di altri luoghi di Romagna, Ravenna, 1855, p.343. 10 B. Fiandrini, Annali ravennati dalla fondazione della città fino alla fine del secolo XVIII, vol.III, ms. ,presso Biblioteca Classense di Ravenna , alla data 28 luglio 1798. 11 Ibidem. 12 A. Varni, L’età giacobina e napoleonica a Ravenna, in A. Varni (a cura di ) “I giacobini” nelle Legazioni. Gli anni napoleonici a Bologna e Ravenna, ( Atti dei convegni di studi svoltisi a Bologna il 13-14-15 novembre 1996, a Ravenna il 21-22 novembre 1996), Costa Editore, vol. III, p. 16. 13 P. Raisi, Giornale di quanto è avvenuto di più rimarcabile dopo l’arrivo dei francesi in Ravenna proseguito dal cittadino Pompeo Raisi dal 1798, vol. VI, ms., presso Biblioteca Classense, alla data 23 maggio 1806. 14 Ibidem, vol. VI, alla data 20 giugno 1806. 15 Ibidem, vol.VII, alla data 4 agosto 1806. 16 Ibidem, vol. VII, alla data 2 giugno 1807. 17 Ibidem, vol.VII, alla data 30 gennaio 1808. 18 L. Badessi, Disegno levato da una originale Medaglia fatta coniare , e posta in circolazione dai così detti Liberi Muratori l’anno 1807,ms., datato 17 marzo 1808, presso Biblioteca Classense di Ravenna. 19 Molto curiosamente ,alla base della colonna sud di Piazza del Popolo di Ravenna, quella che sorregge la statua di S. Apollinare, è scolpita una fenice. Sia il basamento della colonna sud che quello della colonna nord furono scolpiti nel 1483 da Pietro Lombardo, lo stesso scultore che scolpì il bassorilievo di Dante Alighieri posto sopra l’arca che custodisce le ossa del Poeta, che fu “fedele d’amore” e quindi non ignaro di esoterismo. Forse i fondatori della Loggia “La Pigneta” si ispirarono direttamene a questo motivo per la loro medaglia, forse è un’ipotesi azzardata come molte altre che potrebbero essere formulate su questa singolare coincidenza. Certamente , tutte s’inscrivono nell’ orizzonte di quei numerosi affioramenti misterico-simbolici che- come si è visto – contraddistinguono la nostra città. 20 P. Raisi, cit.,vol. VIII, alla data 17 marzo 1815. 21 M. Morigi, Perché dalla Romagna la continuità democratica, in “Nuova Repubblica “, 11 aprile 1996, n.5. 22 Ibidem. 23 Singolare, al limite del folcloristico ma ben espressivo di una mentalità romagnola totalmente “ all’opposizione”, rispetto al nuovo ordine reazionario, è l’incontro di Byron con gli “Americani”, riportato in L. Miserocchi, Ravenna e ravennati nel secolo XIX .Memorie e notizie, Ravenna, Società Tipo-editrice Ravennate e mutilati, 1927,pp.252-253:”Nello stesso anno sorse pure in Ravenna una compagnia di cacciatori denominata “Gli Americani” (in ricordo ,sembra ,della rivoluzione d’America). Essa è così rievocata da Byron nel Diario del suo soggiorno in Romagna sotto la data del 29 gennaio 1821. ‘Cavalcando nella foresta (intendi pineta) m’inbattei in una compagnia di uomini tutti armati, i quali erano denominati “Gli Americani”; essi cantavano a tutta possa in romagnolo: Siam tutti soldati per la libertà! Sem du ,sem tri-sem tot d’un partì/semsi,sem ott – sem tot patriot! Passando ,mi salutarono. Io restituii loro il saluto e proseguii nel mio cammino’. Per questo spirito patriottico e per una cavalcata in maschera ,con gilè rosso, cappello rosso e pantaloni bianchi, organizzata dalla compagnia nel febbraio 1821, e che riuscì una clamorosa manifestazione di sentimenti liberali, il Legato Cardinale Rusconi comprese che non si trattava di una semplice società di cacciatori , ma di una nuova e pericolosa setta politica. Cominciarono quindi le persecuzioni contro coloro che fossero gravemente indiziati di appartenere alla setta degli Americani.” 24 M. Morigi, Perché dalla Romagna…,cit. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – Capitolo 1 Pag. 22 25 A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna, Zanichelli, 1925, 2 voll. 26 A. A. Mola ,Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1993,

p.22. Massimo Morigi – La Loggia Dante Alighieri … – 

Intervista con il professor David Arase dell’Università di Hong Kong e dell’Hopkins-Nanjing Center Di SCOTT FOSTER

Belt & Road Phase 2 va oltre l’infrastruttura
Intervista con il professor David Arase dell’Università di Hong Kong e dell’Hopkins-Nanjing Center
Di SCOTT FOSTER
29 DICEMBRE 2021
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Il corridoio economico Cina-Pakistan da 60 miliardi di dollari è una parte importante della Belt and Road Initiative cinese. Immagine: CPEC/Facebook
Tieni d’occhio la Belt & Road Initiative della Cina nel nuovo anno. Sta succedendo più di quanto generalmente si creda.

Belt & Road non è solo la costruzione di “corridoi” di trasporto terrestre e marittimo attraverso e intorno all’Asia verso l’Africa, l’Europa e oltre per facilitare il commercio; non solo porti e porti costruiti dai cinesi lungo le coste dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che potrebbero essere trasformati in basi navali; non solo una “diplomazia della trappola del debito” volta a trascinare le nazioni in via di sviluppo in un ordine internazionale cinese emergente.

David Arase, professore onorario presso l’Asia Global Institute presso l’Università di Hong Kong e professore residente di politica internazionale presso l’Hopkins-Nanjing Center della Johns Hopkins University School of Advanced International Studies, affronta questi punti in modo molto dettagliato.

Dettagli più che sufficienti per smentirci dall’idea che – i suoi metodi e i suoi scopi essendo stati chiamati in causa dalla rumorosa diplomazia americana – Belt & Road sia in svantaggio.

In un saggio pubblicato , Arase scrive che i cinesi sono da tempo consapevoli delle carenze dell’originale Belt & Road Initiative (BRI) incentrata sulle infrastrutture fisiche – compreso il rischio di credito, ambientale e reputazionale – e se ne stanno occupando in modo completo , modo lungimirante:

Con il secondo Belt and Road Forum (BRF) nel 2019, la Cina aveva reagito alle prospettive di rischio-rendimento negative della fase iniziale di cooperazione annunciando una nuova era “verde e sostenibile” per la Belt and Road…

Meno notato, ma forse più significativo, è stato il nuovo focus sull’armonizzazione di diversi regimi legali, politici e di standard tecnici tra i paesi BRI collegati. Nel suo discorso al BRF del 2019, [il presidente cinese] Xi ha sottolineato che “dobbiamo promuovere la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, dire no al protezionismo e rendere la globalizzazione economica più aperta, inclusiva, equilibrata e vantaggiosa per tutti”. In termini concreti, ciò significava promuovere standard uniformi per le zone di libero scambio, la protezione della proprietà intellettuale, le regole sul trasferimento di tecnologia, la riduzione delle tariffe, la stabilizzazione del tasso di cambio, l’applicazione dei trattati commerciali e la risoluzione delle controversie commerciali e di investimento…

Mentre sarebbe ancora necessaria la cooperazione in progetti di infrastrutture pesanti per aggiornare la connettività dei corridoi, la cooperazione BRI si è espansa nella tecnologia: tecnologie digitali ad alta intensità di conoscenza (la “via della seta digitale”), industrie legate alla salute (la “via della seta della salute”) e complesse Progetti di Internet of Things (IoT) basati sul 5G come le città intelligenti (“cooperazione per l’innovazione”).

Con questo come sfondo – e non potendo incontrarmi a causa del virus – ho intervistato via e-mail il professore di Tokyo. Ecco la prima parte dell’intervista modificata in due parti:

D: Hai parlato prima del fatto che la Belt & Road cinese non è solo una questione di promozione del commercio attraverso le infrastrutture, ma una geostrategia completa con una componente militare. Potresti approfondire?

I progetti infrastrutturali Belt & Road creano una testa di ponte per il commercio, gli investimenti, la finanza, la tecnologia e la logistica cinesi per entrare nelle economie dei paesi in via di sviluppo molto più piccoli e per modernizzare e dominare i settori in cui possono operare con profitto.

Se l’economia modernizzata di un paese raggiunge un punto in cui non può essere mantenuta senza le imprese cinesi e l’accesso alla finanza, al commercio e alla tecnologia cinesi, i governi messi in questa situazione sarebbero soddisfatti, corrotti o costretti a seguire le richieste e le preferenze cinesi per garantire le proprie interesse per la stabilità economica e politica.

Potrebbero persino essere persuasi a richiedere la cooperazione con l’Esercito di liberazione popolare e i ministeri della sicurezza civile cinese per proteggere e difendere i loro investimenti congiunti in infrastrutture e connettività Belt & Road con la Cina.

Se questo tipo di situazione si diffondesse in tutta l’impronta della Belt & Road, con le loro future prospettive economiche e politiche in gioco, i governi di tutta l’Eurasia non avranno altra scelta che cooperare con le agende di governance economica, politica e di sicurezza della Cina, anche se queste minano e sostituiscono quelle degli Stati Uniti e dei suoi alleati.

La BRI promuove questo tipo di strategia geo-economica fornendo “hardware” o impianti fisici, attrezzature, trasporti, energia e infrastrutture digitali finanziate da banche statali e costruite e gestite da imprese statali cinesi.

Queste entità di punta dello stato di partito portano un intero ecosistema di esportatori cinesi, subappaltatori, fornitori di servizi di lavoro, imprese private e piccoli imprenditori ovunque siano costruiti i progetti Belt & Road.

D: Ma questo processo non crea sempre più risorse all’estero che la Cina deve proteggere?

Esattamente. Quando uno stato accumula interessi acquisiti all’estero, deve provvedere alla loro protezione. L’ordine [internazionale] basato su regole ha stabilito norme concordate a livello multilaterale e giuridicamente vincolanti che disciplinano l’acquisizione e la protezione degli interessi esteri.

Ma affinché il sistema funzioni in assenza di un governo mondiale, tutte le parti contraenti devono rispettare le norme che si sono impegnate a sostenere.

Secondo l’ordine attuale, ci sono due ragioni diverse per sviluppare capacità armate e reclutare alleati per difendere i tuoi interessi all’estero. Uno è quello di difendere i tuoi diritti legittimi secondo l’ordine basato sulle regole. L’altro è rivendicare con forza nuovi diritti e imporre nuove norme di governance per migliorare i propri interessi a spese delle norme esistenti e dei diritti di altri attori.

L’accumulo di interessi all’estero è ciò che la Belt & Road Initiative fa in grande stile attraverso e intorno all’Eurasia. Mentre la Cina costruisce porti, piantagioni, miniere, ferrovie, parchi industriali e zone commerciali, nuovi mercati, nuove rotte di trasporto e comunità di cittadini d’oltremare, non può essere criticata per aver cercato modi per proteggerli.

D: Significa che ciò che è iniziato come attività economica è ora collegato alla difesa nazionale della Cina?

Al contrario, lo è stato fin dall’inizio.

La Belt & Road Initiative è stata lanciata nell’autunno 2013 insieme a iniziative diplomatiche, politiche e istituzionali complementari per costruire un nuovo tipo di ordine internazionale incentrato sulla Cina. Queste iniziative dei partner includevano la “diplomazia della periferia”, la costruzione di una “comunità di destino comune” e l’Asian Infrastructure Investment Bank.

L’infrastruttura Belt & Road deve essere costruita in conformità con i mandati legali e politici formali della Cina che implementano l’integrazione o la fusione militare-civile. La legge sulla mobilitazione della difesa nazionale del 2010 stabilisce che i progetti di infrastrutture civili “strettamente correlati alla difesa nazionale devono soddisfare i requisiti di difesa nazionale e possedere funzioni di difesa nazionale” e devono essere consegnati per uso militare quando necessario.

Le guardie di sicurezza camminano davanti a un cartellone per il Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale a Pechino il 13 maggio 2017. Foto: AFP / Wang Zhao
Il 13 ° Piano quinquennale (2017-21) prevede progetti integrati di sviluppo civile-militare nelle regioni marittime d’oltremare. Il libro bianco sulla difesa del 2015 richiede uno sviluppo di infrastrutture che tenga conto sia dell’uso civile che militare che sia “compatibile, complementare e reciprocamente accessibile”.

E la legge nazionale sui trasporti del 2017 richiede “pianificazione, costruzione, gestione e utilizzo delle risorse nei settori dei trasporti come ferrovie, strade, corsi d’acqua, aviazione, condutture e porti allo scopo di soddisfare i requisiti della difesa nazionale”.

Le imprese statali cinesi che progettano e costruiscono infrastrutture BRI devono agire in conformità con queste leggi.

D: E questo, presumo, porta inevitabilmente all’espansione delle attività cinesi legate alla sicurezza all’estero?

Sì. La Cina non riconosce alcuna connessione formale tra Belt & Road e l’Esercito di Liberazione Popolare. Ma in realtà, l’estensione degli interessi di investimento all’estero tramite Belt & Road richiede che i ruoli e le missioni di protezione all’estero dell’esercito stiano al passo.

Secondo i pianificatori strategici dell’esercito, “dove gli interessi nazionali si espandono, deve seguire il supporto della forza militare”. Pertanto, l’influenza geopolitica della Cina avanza con l’Iniziativa Belt & Road all’avanguardia e con l’Esercito di Liberazione Popolare che fa da retroguardia per proteggere gli investimenti Belt & Road e le rotte commerciali da potenziali minacce.

Nello svolgere le sue missioni di protezione all’estero di Belt & Road, l’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe trovare governi partner di Belt & Road disposti ad accettare istruzione, addestramento e attrezzature militari che migliorano la propria sicurezza nazionale e la sicurezza degli investimenti cinesi.

L’Esercito di Liberazione del Popolo dovrebbe anche trovare il porto di Belt & Road e le infrastrutture di trasporto accessibili, familiari e facili da usare in caso di emergenza, se necessario.

Con l’avvio della Belt & Road Initiative dal 2013, non è casuale che la legge antiterrorismo del 2015 abbia autorizzato la polizia armata popolare a svolgere missioni antiterrorismo all’estero e che il white paper della difesa del 2015 abbia aggiunto la salvaguardia della sicurezza degli interessi cinesi all’estero. e mantenere la pace regionale e mondiale per le missioni strategiche dell’Esercito di Liberazione Popolare.

Il white paper della difesa del 2019 descrive “interessi all’estero” come operazioni e supporto militari all’estero migliorati, strutture logistiche all’estero, operazioni di protezione delle navi, sicurezza strategica delle rotte marittime e operazioni di evacuazione all’estero e di protezione dei diritti marittimi.

Nel 2020, la legge sulla difesa nazionale è stata rivista per aggiungere “salvaguardia degli interessi cinesi all’estero” e ha autorizzato l’Esercito di liberazione popolare a “mobilitare le sue forze” per “difendere i suoi interessi nazionali e interessi di sviluppo e risolvere le differenze con l’uso della forza” come aggiunte. alle “missioni e compiti” dell’esercito.

Le attività della Belt & Road e gli investimenti commerciali e gli interessi commerciali successivi costituiscono ovviamente interessi di sviluppo all’estero, quindi ora l’Esercito di Liberazione Popolare, aiutato dalla diplomazia cinese, deve sviluppare cooperazione e capacità per difendere questi interessi se ordinato dal Partito Comunista Cinese. .

Non è che l’esercito cinese si sia fatto cogliere impreparato. La marina cinese completerà una terza portaerei (e nuovo modello) entro l’estate 2021 e ha iniziato a costruirne una quarta. Ha anche sviluppato una forza antiterrorismo in grado di dispiegarsi all’estero, un corpo di marina di spedizione e un corpo di paracadutisti con grandi nuovi tipi di navi da trasporto marittimo e aereo per dispiegare queste forze.

Con una sola base d’oltremare ufficialmente riconosciuta a Gibuti, la protezione all’estero degli interessi di sviluppo di Belt & Road richiederà la negoziazione di accordi con i paesi ospitanti per la transizione di porti, aeroporti e zone di sviluppo che fino ad ora erano esclusivamente civili in strutture a uso doppio o parallelo disponibili per supportare un livello rafforzato di presenza strategica dell’Esercito di Liberazione del Popolo per garantire gli interessi di sviluppo dei paesi partner cinesi e Belt & Road.

D: In che modo questo cambia il calcolo della geostrategia Belt & Road?

Oltre ad assicurare il sostegno alle operazioni dell’Esercito di Liberazione Popolare, i dividendi includono la definizione dell’agenda nei forum di governance regionale; la conquista dei mercati e l’approvvigionamento di risorse critiche; Belt & Road cooperazione con i partner militari e di polizia dello stato del partito per garantire interessi e aumentare l’influenza con i partner; e l’influenza politica attraverso l’istruzione e la formazione di politici, funzionari governativi, soldati e poliziotti e giovani nei paesi partner. Per un partito-stato dedito all’agenda del sogno cinese, tali guadagni politici e strategici potrebbero superare di gran lunga il costo finanziario delle cancellazioni del prestito del progetto Belt & Road.

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Scott Foster, laureato alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies di Washington, DC, è un analista presso LightStream Research a Tokyo. Seguilo su Twitter: @ScottFo83517667

FASCISMI VECCHI E NUOVI, di Antonio de Martini

FASCISMI VECCHI E NUOVI
Talleyrand, commentando la fucilazione del duca d’Enghien, spiegò che era più grave di un delitto: era un errore.
Sono d’accordo e invece di soffermarmi sui delitti del fascismo ( lo fanno ormai anche i fascisti), mi soffermerò sul suo errore: il disprezzo del consenso.
Non parlo, ovviamente, della ricerca del consenso a tutti i costi, sport favorito delle mezze tacche, ma del consenzo che nasce dal confronto che forma la volontà generale.
Il fascismo trasformò i comizi in riti, i giornali di opposizione, chiusero, fu creata l’EIAR, la radio che diffondeva il pensiero unico del capo e l’Agenzia Stefani che “notiziava” il popolo d’Italia.
Tutti presidiati da fidi omuncoli con l’obbiettivo di rendere impossibile qualsiasi alternativa.
La logica conseguenza fu la creazione disorganica e spontanea di una cultura divergente che guardava al passato ( la monarchia) o al futuro ( un nebbioso utopico socialismo).
Questa considerazione affiora alla mente, vedendo più che ascoltando, la diffusione televisiva del trentottesimo “discorso di addio” di Sergio Mattarella mentre la popolazione era ancora scioccata dai catastrofici aumenti delle utenze più indispensabili al vivere.
Il disprezzo degli italiani che costui millanta di aver servito, traspare dall’aver parlato solo bene di sè, col pretesto di fare l’identikit del prossimo presidente; con platee plaudenti a successi economici, salutistici e morali che abbiamo visto…
Ha portato avanti unicamente l’argomento della sua successione usando disinvoltamente persino la citazione di un pensionato deceduto – suprema gaffe- a causa di un esplosivo difetto nella fornitura di gas aumentato del 55% mentre la sua pensione – se fosse vissuto – avrebbe avuto un incremento dell’1,5%.
Cambiamenti dai tempi di “ Duce dacci la luce” ne abbiamo avuti e non solo nelle insegne dei tabaccai come insinuò quel disfattista di Salvemini.
L’EIAR ora ha invertito l’acronimo e si chiama RAI; la STEFANI si chiama ANSA, i giornali invece di assaltarli vengono riempiti di denari dalla presidenza del Consiglio di cui dovrebbero essere i controllori.
Questa riciclata fabbrica del consenso annidata al Quirinale promette “l’immancabile vittoria finale” fidando nel “ potente alleato” mentre gli italiani, specie i giovani guardano al passato ( il fascismo) che, per fortuna non hanno conosciuto, e al futuro ( un nebbioso cosmopolitismo).
Siamo di fronte a nullità che ci ripropongono il nulla parlando del nulla con una opposizione che vale ancor meno arrocata nei suoi neo acquisiti attici.
Pensare solo a sè non è un delitto .
È il solito errore.
Ci hanno negato il diritto di comunicare con la pubblica opinione.
Errore pagato dai vecchi fascisti.
Non saranno questi nuovi melliflui fascistelli a fare eccezione.

Stati Uniti, il ritorno dei naufraghi_con Gianfranco Campa

Negli Stati Uniti stiamo assistendo ai primi segnali di un ribaltamento della narrazione che ha giustificato sino ad ora la gestione della pandemia da parte dell’establishment dominante. Di fronte alla evidenza stridente della realtà, alle nubi che si affacciano all’orizzonte circa il dissesto economico provocato e le probabili implicazioni di lunga durata delle scelte farmacologiche adottate in grande fretta diventa sempre più arduo proseguire sulla stessa strada non ostante il sostegno monolitico della gran cassa mediatica. Rappresenta il tentativo, probabilmente estremo, di consentire ai naufraghi dell’attuale panorama politico non solo di riemergere dalla crisi di consenso, di autorità e di autorevolezza in cui sono sprofondati, ma di riprendere saldamente in mano il controllo della situazione, riuscendo nel capolavoro di coinvolgere pesantemente nella responsabilità di una gestione fallimentare e cinica Donald Trump. E’, infatti, il primo reale momento di rottura, probabilmente non ancora irreparabile, del profondo legame dell’ex presidente con lo zoccolo duro del suo elettorato, grazie anche ad una clamorosa ingenuità. Non sappiamo se fatale. Siamo ancora agli inizi e il finale dello spartito non è ancora stato scritto. Richiederà il sacrificio di alcuni capri espiatori in campo democratico e neocon. Le incognite però sono ancora troppe: il caso Epstein, di fatto oscurato, ma non ancora chiuso; il dilemma dei rapporti con la Cina e soprattutto con la Russia non più eludibile, grazie ai passi intrapresi da Putin e Lavrov; l’immigrazione sempre più incontrollata e la situazione economica a dir poco incerta; gli stati federati che sempre più intraprendono iniziative contrastanti con gli indirizzi del governo centrale; la polarizzazione drammatica all’interno del Partito Democratico; le possibili alternative che stanno emergendo nella leadership trumpiana. Tutti fattori che rischiano di risucchiare la ciurma dei naufraghi proprio nel momento in cui riescono ad aggrapparsi a qualche relitto per rimanere a galla, rendendo improcrastinabile l’avvento di nuovi timonieri. Sempre che ci siano. In Italia i sintomi di una crisi quantomeno di autorevolezza non mancano; come al solito la classe dirigente tarderà a cambiare lo spartito, scritto da altri e riprodotto malamente dai nostri epigoni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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