L’EUROPA E LA QUESTIONE TEDESCA, di Fabio Falchi
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Precedentemente capo dell’informatica scientifica presso l’Institut Pasteur, direttore del sistema informativo dell’Università Paris-Dauphine. È autore di numerosi libri sui sistemi di informazione e sulla loro sicurezza. Si dedica alla ricerca nella cyberstrategia. Autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti”, ed. Diploweb 2017.
Laurent Bloch presenta in questo secondo capitolo un nuovo spazio strategico: il cyberspazio. Spiega il principio degli spazi pubblici, il modello stratificato del cyberspazio e i fattori di potere nel cyberspazio.
Diploweb.com , pubblica questo libro di Laurent Bloch, Internet, vettore del potere degli Stati Uniti? fornire a tutti gli elementi necessari per una valutazione equa della situazione. Questo libro è già disponibile su Amazon in formato digitale Kindle e in formato cartaceo . Sarà pubblicato qui come seriale, capitolo per capitolo, al ritmo di circa uno ogni tre mesi.
La rivoluzione del cyberindustrial produce un nuovo spazio pubblico, il cyberspazio, in cui si stanno verificando nuovi conflitti e che diventerà la prima area di scontri nel 21 ° secolo. Oggi gli Stati Uniti occupano un posto paragonabile a quello occupato dall’Inghilterra nel diciannovesimo secolo nei mari e negli oceani. Proveremo a vedere se una nuova Cyber Navy è in grado di contestare il pompon rosso dell’egemonia cibernetica.
A seguito di un processo avviato dai trattati della Westfalia (1648) e completato dal trattato di Berlino (1885), le terre emerse (ad eccezione dell’Antartide) vengono tagliate in poligoni che sono possibili su una mappa, da colorare per identificare il potere statale che esercita la sovranità politica, e quindi militare. Questa sovranità si estende, ma la cosa è già meno stabilita, nelle acque territoriali, oggetto di controversie e conflitti. Oltre si estende il mare aperto, che non appartiene a nessuno: è un comune globale , un termine che può probabilmente essere tradotto come “spazio pubblico globale”.
Dal ventesimo secolo, altri spazi pubblici globali sono diventati problemi: spazio aereo, spazio interplanetario e ora cyberspazio. L’accesso aperto agli spazi pubblici globali è una questione strategica del nostro tempo, così come il loro controllo .
Il ventunesimo secolo è l’era del cyberspazio, che, come altri spazi pubblici globali, sarà in gioco e luogo di conflitto.
Possiamo definire il cyberspazio come l’insieme di dati digitalizzati (software e documenti testuali, audio, grafici o visivi) disponibili su Internet e le infrastrutture hardware e software che li rendono onnipresenti.
Per descrivere un sistema così complesso ed eterogeneo può essere utile utilizzare un modello a strati, che consiste nel separare i diversi elementi per raggruppare quelli che hanno lo stesso livello di astrazione in insiemi più piccoli e più omogenei, che si presteranno così meglio all’analisi. Il modello a strati è particolarmente utile per comprendere sistemi complessi.
Per progettare il cyberspazio si può prima pensare a due livelli, fisico (infrastruttura) e logico (dati). Ma, abbastanza rapidamente, devi pensare ai router, alle loro tabelle di routing e al software di comando, il DNS, vale a dire tutte quelle cose che sono dati ma nell’infrastruttura, che porta a l’idea di un livello di comando e controllo.
Infine, non possiamo trascurare la dimensione cognitiva, che interviene sia attraverso l’intelletto consapevole dell’utente nella navigazione completa, sia attraverso l’analisi degli eventi attuali da parte del software, che è la moda da chiamare Deep Learning, che non è intelligenza artificiale come pensiamo a volte, ma intelligenza, in qualche modo, memorizzata nel software, che è stato creato da un essere intelligente, umano in questo caso.
Proponiamo qui per il cyberspazio un modello in quattro strati:
. strato fisico: infrastrutture, fibre ottiche transoceaniche, IXP …
. livello di comando e controllo (C e C): il DNS, le tabelle e i protocolli di routing, il software che li implementa;
. livello logico: dati pubblicati, software che consente di accedervi e trasformarli; Server Web, motori di ricerca, browser, Content Delivery Networks (CDN), sistemi di crittografia …
. livello cognitivo: la mente e l’intelletto degli utenti di Internet, organizzati in base alla semantica e alla sintassi delle interfacce di accesso al livello logico.
Possiamo stabilire una scala di potere nel cyberspazio? Per raggiungere questo obiettivo, attingeremo dal professor Wang Yukai, consulente del governo cinese, che ha elencato (in un articolo pubblicato alla fine di giugno 2014 in un supplemento al People’s Daily) sei indicatori del cyberpotere che classificheremo lungo tre assi e ai quali aggiungeremo un settimo, implicito nell’articolo:
. infrastruttura, dimensioni della rete e penetrazione della banda larga;
. capacità tecnologiche indipendenti, in particolare nei settori dei sistemi operativi e delle CPU (microprocessori);
. una strategia internazionale che delinea chiaramente le priorità e sostiene la voce del paese sulle questioni informatiche;
. la capacità di proteggere le reti, sia per la sicurezza nazionale, per la protezione dell’economia, per la protezione della privacy o per la stabilità e l’armonia sociale.
. competitività nello sviluppo di software, e-commerce e mercati online;
. Presenza nei posti di comando del cyberspazio (immaginiamo che ciò si riferisca alla partecipazione a forum come IETF e W3C, dove vengono sviluppati gli standard operativi di Internet, e ovviamente all’ICANN decisivo per questioni strettamente politiche);
. nessuna posizione eminente sostenibile nel cyberspazio senza uno sforzo significativo e significativo nel campo dell’istruzione, della formazione e della ricerca.
La rivoluzione del cyberindustrial pone in primo piano i fattori di produzione e creatività intellettuale.
Qualsiasi nazione che desideri mantenere una posizione nell’economia della rivoluzione del cyberindustrial dovrà fare sforzi costanti per piegare questi sette fattori a un buon livello. Altri saranno destinati a declinare. Inutile dire che fino ad oggi la posizione degli Stati Uniti è buona (ma non inespugnabile).
Copyright 2017-Bloch / Diploweb
La Germania viene rappresentata il più delle volte come l’unico paese europeo in grado di sostenere il gioco geopolitico sempre più complesso che si sta profilando. E’ veramente così? In realtà la costruzione europea che per gentile concessione le ha consentito di lucrare significative rendite di posizione e di tenere a bada i propri vicini più importanti sembra vacillare ogni giorno di più. La classe dirigente tedesca sembra reagire con la tentazione e la speranza di un ritorno al recente passato; quasi che l’avvento di Trump possa essere considerato ancora una parentesi inquieta ma ancora addomesticabile. Un singolare processo di rimozione che lascia presagire un esito funesto e inatteso della condizione di gran parte dei paesi europei e, soprattutto, della Germania stessa. Una situazione che sta spingendo ad una crescente conflittualità intraeuropea, piuttosto che alla ricerca di un denominatore comune in grado di trasformare gli stati europei, almeno i più importanti, soggetti politici autonomi ed autorevoli. Le avvisaglie di un esito funesto cominciano ad essere numerose. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
L’articolo tradotto qui in basso è importante per la rappresentazione della condizione penosa e tragicomica dell’attuale modalità di conduzione delle relazioni diplomatiche e di organismi sovranazionali come la UE. Rivela però la grande difficoltà con la quale anche gli analisti più critici cercano di introdurre chiavi di interpretazioni più adeguate a comprendere le dinamiche. Lo stesso Berlat, criticando giustamente il termina “multipolarismo” non riesce in realtà a ridefinirlo e rischia di ricadere a sua volta involontariamente in una operazione “nostalgia” paralizzante. Il multilateralismo in realtà, a dispetto del significato letterale e superficiale che si tende ad attribuire ad esso, è il termine che definisce un particolare sistema di relazioni e di regolazione dei rapporti geopolitici che presuppone e fonda la propria esistenza e legittimità su organismi sovranazionali a guida ed egemonia di una unica superpotenza. Nella recente contingenza storica, il ruolo di pivot e fulcro sono (stati) gli USA. L’unilateralismo, di fatto, è il riconoscimento di una realtà multipolare e della necessità di mantenimento di sfere di influenza contrapposte. In questa chiave vanno visti i conflitti trasversali che stanno attraversando le classi dirigenti a partire dallo scontro di insolita virulenza in corso negli Stati Uniti. L’inganno delle parole appunto._Giuseppe Germinario
“Dare un nome sbagliato alle cose è aggiungere guai ai guai del mondo” giustamente ci ricorda il premio Nobel per la letteratura, Albert Camus. Per più di mezzo secolo, le cose si sono evolute ma nella direzione sbagliata. Al momento della confusione dei generi e delle parole, è di moda usare con sazietà alcune parole contenitrici (chi vuole tutto e non dire nulla allo stesso tempo) per evitare di affrontare frontalmente i veri dibattiti che condizionano pace e guerra nel 21 ° secolo. Tra questi ultimi, due ritornano alla maniera pavloviana nelle conversazioni di autoproclamati esperti, “ tuttologi ” e tra i commensali in città: “ comunità internazionale ” e, soprattutto, “ multilateralismo“. Dopo aver posto il problema della confusione dei termini, prenderemo due esempi tratti da una realtà recente: il G20 di Osaka e l’ultimo Consiglio europeo di Bruxelles.
CONFUSIONE DEI TERMINI
Il minimo che possiamo dire è che più pericoloso è il mondo 1 , più viviamo nella confusione di termini che coprono il campo delle relazioni internazionali. Fermiamoci a due esempi, quelli di comunità internazionale e di multilateralismo!
La comunità internazionale troppo famosa
Il primo termine si riferisce a tutti coloro che condividono il tuo punto di vista. Tradizionalmente, gli occidentali si sono assimilati alla ” comunità internazionale ” di fronte all’opposizione (sotto forma di diritti di veto di cinesi e russi nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per esempio). Il termine non ha una definizione legale concordata, rientrando esso nella moralità a geometria variabile. Il suo uso è molto conveniente per screditare l’avversario quando si è alla fine di argomentazioni razionali. Quando i nostri membri follicolari del clero dei media, una volta per tutte, smetteranno di usare il termine senza alcun contenuto nient’altro che mediatico?
Il non meno famoso multilateralismo
Il secondo termine può essere definito come l’atteggiamento politico che favorisce la risoluzione multilaterale dei problemi mondiali. È tradizionalmente contrario all’unilateralismo associato alla pratica americana. In un atteggiamento imperiale, Washington si considera al di sopra della legge, essendo il rappresentante del popolo dal destino manifesto. Al contrario, gli americani ritengono che la loro legge si applichi al di fuori dei propri confini. Come esempi recenti, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo iraniano sul nucleare, le forze nucleari intermedie (INF) 2 e molti altri, ma anche da organizzazioni internazionali che rappresentano il diavolo e si oppongono agli interessi ben compresi dello zio Sam, come l’UNESCO. Mentre il multilateralismo sta attraversando una crisi senza precedenti, alcuni ingenui europei lodano costantemente i suoi incommensurabili meriti. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, eccelle in questo esercizio di diplomazia declamatoria e inefficace. Tutti i pretesti sono buoni da usare a parole mentre li esentano nella pratica. In un contesto di paralisi delle Nazioni Unite, i leader chiave sono costretti a evidenziare le virtù del dialogo e della cooperazione nei club o nelle organizzazioni regionali. Facciamo due esempi recenti.
L’OSAKA G20 (28-29 GIUGNO 2019): LIMITARE IL DANNO
L’Osaka G20, nonostante le splendide foto patinate, rimarrà nella storia come un incontro surrealista ma anche inutile come strumento informale per regolare le relazioni internazionali.
Un vertice surrealista
La formula migliore che abbiamo trovato per caratterizzare questo inutile vertice del G20 a Osaka è: un G20 di ” luoghi comuni ” anziché ” valori comuni “. Un G20 caratterizzato da un’esacerbazione delle tensioni commerciali e climatiche, sebbene gli americani stiano spingendo le loro sanzioni contro Pechino 3 . Donald Trump annuncia che vuole stringere la mano a Kim Jong-un al confine tra le due Corea, ecco cosa fa il giorno dopo. 19 dei 20 membri confermano il loro impegno per una ” piena attuazione ” dell’accordo sul clima di Parigi del 2015. Donald Trump elogia il Principe MBS dell’Arabia Saudita. Emmanuel Macron dichiara di non essere ” freddo” con Donald Trump, visiterà la Cina a novembre e incontrerà presto Vladimir Putin. Ancora una volta, tiene conferenze su Vladimir Putin sulla questione dei valori. È chiaro che nessuno crede in questo formato, questo granaio G20.
Un vertice inutile
Pertanto, ci si chiede quale sia l’interesse di un G20 che riunisce grandi potenze una contro l’altra come lo sono gli Stati Uniti da un lato, la Russia e la Cina dall’altro, con la Francia che cerca di svolgere un ruolo moderatore ma senza alcuna seria possibilità di essere ascoltato visti i mezzi limitati a sua disposizione? 4 Qual è l’interesse di una struttura multilaterale il cui unico scopo è consentire riunioni bilaterali 5 e limitare il danno provocato da Donald Trump? 6 Immagine divertente di un multilateralismo efficace! 7
In queste condizioni, è comprensibile che il multilateralismo dei club sia a mal partito. Senza una cura da cavallo, è probabile che il progetto del G20 rischia di morire di bellissima morte. È vero che l’Unione europea non è al suo meglio in questo contesto postelettorale al Parlamento europeo. L’ultimo Consiglio europeo allargato fornisce un esempio illuminante.
IL CONSIGLIO EUROPEO STRAORDINARIO (30 GIUGNO-2 LUGLIO 2019): NIENTE VERRÀ PIÙ O QUASI
Abbiamo appena assistito a uno spettacolo di gran usignolo, degno del suo peso in oro con Pinocchio nel ruolo del giovane che ha dovuto affrontare i tremori di suor Angela. L’ubriacone del Granducato ha sferrato un colpo antidemocratico con il suo dono avvelenato che si chiama UE-Mercosur. Tutto ciò dà un’immagine pietosa dell’Unione europea nel resto del pianeta. Prima di allora, Emmanuel Macron aveva sofferto di un disturbo in questa buona città di Marsiglia, nonostante il decoro delle circostanze.
Un ennesimo psicodramma che non risolve nulla
Mentre l’Unione europea evolve con crisi sempre più gravi, la macchina viene paralizzata in modo duraturo. Si occupa solo di problemi di cottura procedurali e interni. Gli unici a interessare gli stati e la burocrazia onnipotente. Per più di due mesi, l’unica questione importante che mobilita la sua energia è quella della nomina di alti funzionari della struttura 8 . Né più né meno. Negoziazione che prende la forma di una comune battaglia di cassettieri a causa della politica della mosca della barca di Giove 9 . Soprattutto i criteri che disciplinano le denominazioni sono surreali (equilibrio geografico, equilibrio politico e la parità 10). Che dire del criterio di competenza? Come credere in un’Europa dell’astuzia in un momento in cui le sfide che si trovano ad affrontare richiederebbero di essere esaltate? Come credere in un’Europa democratica nel rispetto della decisione sovrana dei popoli? 11Un accordo si trova finalmente il 2 luglio 2019 attorno a quattro nomi (Ursula von der Leyen 12 che proviene da lontano 13 , Christine Lagarde la cui competenza è già in discussione 14 e che appare molto chiaramente come una donna sotto giuramento 15 , Charles Michel 16 e Josep Borrell 17). Vedremo in futuro se questo cambia il funzionamento dell’Unione o se tutto cambia in modo che nulla cambi. Checché ne dicano i nostri pseudo-esperti, la coppia franco-tedesca ne esce particolarmente fragilizzata da questa insolita giostra nsolita e senza complimenti 18 . Quel che è certo è che alla fine è Berlino a vincere la partita 19 .
La farsa dell’accordo UE-Mercosur
Surrealista, questa è la parola giusta per come il presidente uscente della Commissione, l’ubriacone lussemburghese Jean-Claude Juncker, accoglie con favore l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e il Mercosur, presentato dai suoi negoziatori come ” storici” 20 e difesi dal Segretario di Stato agli affari esteri 21 ; dai detrattori come pericoloso 22 . Accordo del quale pochi conoscono il contenuto! 23Non sarebbe stato opportuno che la questione fosse deferita al nuovo team e non rilevata dall’ex team, il cui ruolo dovrebbe essere limitato all’ordinaria amministrazione di attività quotidiane durante questo periodo di transizione? E saremo stupiti dalla sfiducia dei cittadini verso una struttura apolide che fa ciò che vuole nel suo cantuccio. Il mandato, che gli è stato affidato dai governi, non gli conferisce tutti i diritti soprattutto quando gli esperti dubitano dei suoi contenuti 24 . I cittadini sono trattati come un valore trascurabile.
Un’immagine pietosa dell’Unione Europea
In queste circostanze, è comprensibile che il multilateralismo regionale sia in cattive condizioni. Senza una cura da cavallo, è probabile che il progetto europeo muoia di una sua bellissima morte. Emmanuel Macron ha impiegato due anni per scoprire che ” stiamo dando un quadro dell’Europa poco serio ” e che l’organizzazione è stata vittima dell’egoismo nazionale a causa del fallimento dei negoziati sull’assegnazione di posizioni chiave. Che dire dei deputati del Partito Brexit Nigel Farage che hanno voltato le spalle il 2 luglio 2019, mentre l’inno europeo ha suonato nell’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo, durante la sua sessione inaugurale!
Un nuovo affronto per Giove-Pinocchio
Per la cronaca, Emmanuel Macron è l’unico capo di Stato a partecipare al ” Summit delle due banche ” a Marsiglia (24-25 giugno 2019) 25 . Un altro buon esempio di multilateralismo che non funziona! Ma, per fortuna, pena l’intelligenza umana, l’intelligenza artificiale (AI) troverà la giusta soluzione a tutte queste sfide di governance internazionale se davvero ha contenuto reale 26 .
“La diplomazia è difficile da esistere laddove l’equilibrio di potere è troppo sbilanciato, o al contrario quando un equilibrio eccessivo garantisce il mantenimento dello status quo. Si può sostenere che si manifesta realmente solo nei periodi di equilibrio intermedio, imperfetto o addirittura di squilibri di equilibrio ” 27 . E, dopo la parola ” diplomazia “, potremmo aggiungere quella di ” multilaterale ” per caratterizzare questo momento di oscillazione del mondo 28 .
È ovvio che stiamo affrontando una grave crisi del multilateralismo 29 . Questo collasso del multilateralismo deve essere compreso nel contesto di un ritorno di potere e forza. Questo collasso del multilateralismo deve essere compreso in un contesto di ritorno delle nazioni.
Questo collasso del multilateralismo deve essere compreso nel contesto di una relazione malsana tra potere e verità. ” Vieni qui, brava gente! Le uniche notizie false che sono tollerate sono quelle approvate dal potere. Contro gli altri, faremo una legge ” 30 . Smettiamo di pagare per parole sul multilateralismo, come fanno gli esperti francesi 31 o anglosassoni 32 , come se volessero scongiurare il destino! Per rimandare troppo la scadenza della somministrazione di un rimedio pesante, il paziente ” multilateralismo” rischio di passare dalla vita alla morte. Queste sono alcune delle considerazioni che possono essere fatte sull’inefficiente multilateralismo per affrontare le sfide del ventunesimo secolo!
Guillaume Berlat
8 luglio 2019
1 Maurin Picard, François Delattre: ” In questo mondo pericoloso, la Francia parla a tutti “, Le Figaro, 27 giugno 2019, p. 16.
2 Jacques-Hubert Rodier / Nicolas Rauline, Nucleare: Washington e Mosca si stanno avvicinando a una nuova guerra fredda , Les Echos, 4 febbraio 2019, pag. 6.
3 Anne Cheyvialle / Fabrice Node-Langlois, Il duello tra Trump e Xi oscura l’incontro del G20 , Le Figaro economy, 27 giugno 2019, pagg. 18-19.
4 Jean-Paul Baquiast, G20 Meeting a Osaka il 28 e 29 giugno 2019 , Blog: for a Power Europe, www.mediapart.fr , 30 giugno 2019.
5 Brice Pedroletti / Arnaud Leparmentier, Trump in una posizione forte contro Xi al G20 , Le Monde, 28 giugno 2019, p. 2.
6 Philippe Mesmer / Brice Pedroletti, G20 limita i danni affrontato Donald Trump , Le Monde, 30 giugno al 1 ° luglio 2019, pp. 2-3.
7 Martine Arancione, il G20, il volto una smorfia del mondo , www.mediapart.fr , 1 ° luglio 2019.
8 Anne Rovan, UE: le posizioni chiave nel cuore del nuovo vertice , Le Figaro, 29-30 giugno 2019, pag. 7.
9 Cécile Ducourtieux / Cédric Piétralunga / Jean-Pierre Stroobants, a Bruxelles, forcipe appuntamenti, Le Monde, 2 luglio 2019, pag. 2.
10 Cécile Ducourtieux / Jean-Pierre Stroobants, Due donne di potere alla testa dell’Europa , Le Monde, 4 luglio 2019, pag. 2.
11 Ludovic Lamant / Amélie Poinssot, il Parlamento europeo, ogni gruppo ha il suo incongruenze , www.mediapart.fr , 1 ° luglio 2019.
12 Thomas Wieder, Ursula von der Leyen, i fedeli di Angela Merkel , il Mondo, 4 Luglio 2019, p. 2.
13 Thomas Schnee, Commissione europea: von der Leyen, il candidato che si pensava fosse morto , www.mediapart.fr , 3 luglio 2019.
14 Eric Albert,Christine Lagarde, una scelta controversa per la Banca centrale europea , Le Monde, 4 luglio 2019, pag. 5.
15 Martine Orange, Christine Lagarde presso la BCE: una donna fedele , www.mediapart.fr , 3 luglio 2019.
16 Charles Michel , Profil, Le Monde, 4 luglio 2019, p. 4.
17 Sandrine Morel, la socialista spagnola Borell a capo della diplomazia , Le Monde, 4 luglio 2019, pag. 4.
18 Jean-Pierre Stroobants / Cédric Pietralunga / Thomas Wieder, Il duo Parigi-Berlino alla manovra nonostante tutto, Le Monde, 4 luglio 2019, p. 3.
19 Ludovic Lamant,Mercato dei leader dell’UE: alla fine, è la Germania a vincere , www.mediapat.fr , 3 luglio 2019.
20 Cécile Ducourtieux, Commercio: uno storico accordo Mercosur-UE , Le Monde, Économie & Entreprise , 30 giugno al 1 ° luglio 2019, pag. 16.
21 Rémi Barroux / Olivier Faye (commenti raccolti da), Jean-Baptiste Lemoyne: ” Gli accordi devono promuovere il libero scambio “, Le Monde, 3 luglio 2019, pag. 7.
22 Leonor Hubaut L’accordo UE-Mercosur suscita già polemiche , economia Le Figaro, 1 °luglio 2019, pag. 25.
23 J.-LP, EU-Mercosur: pollame ahi ahi,The Duck Chained, 3 luglio 2019, pag. 8.
24 Nicolas Hulot, ” Ci sono testi che non possiamo più firmare “, Le Monde, 2 luglio 2019, pag. 8.
25 Arthur Berdah, Mediterraneo: Macron da solo in cima , Le Figaro, 25 giugno 2019, pag. 8.
26 Luc Julia, L’intelligenza artificiale non esiste , Prime edizioni, 2019.
27 Michel Duclos, The Long Syrian Night , edizioni dell’Osservatorio, p. 192.
28 Laure Mandeville, In un mondo che oscilla, pensa al grande ritorno delle nazioni , Le Figaro, 28 giugno 2019, p. 14.
29 Guy Rider (direttore generale dell’OIL), “Ci sono minacce al multilateralismo “, Le Monde, Économie & Entreprise, 4 luglio 2019, pag. 14.
30 Pierre Sassier, The Unhealthy Report of Power to the Truth , Blog di Pierre Sassier, www.mediapart.fr , 30 giugno 2019.
31 Franck Petiteville, Multilateralism Will Survive Trump , Le Monde, 27 giugno 2019, p. 21.
32 Gayle Smith, “Preservare il multilateralismo è diventata una sfida “, Le Monde, 30 giugno al 1 ° luglio 2019, pag. 23.
Per aiutare il sito del Medio Oriente è qui
Fonte: Vicino e Medio Oriente, Guillaume Berlat , 08-07-2019
https://www.les-crises.fr/multilateralisme-en-danger-par-guillaume-berlat/
A scrutarlo con benevola accondiscendenza, gli occhi di Alessandro Di Battista rivelano la sua più grande aspirazione: poter riprendere le peregrinazioni alla scoperta del mondo. Una propensione sopita a fatica durante il suo intenso ciclo quinquennale di impegno parlamentare. Un logorio che a suo dire lo ha spinto a non sfruttare la seconda ed ultima opportunità di rielezione offerta dallo statuto del M5S. Un bisogno irrefrenabile di uscire da un ambiente, sempre a suo dire, del tutto avulso dalla realtà della vita quotidiana della gente comune. L’indole sarà senz’altro questa, ma la spinta ad assecondarla molto prosaicamente sarà venuta dall’impossibilità di gestire due galli nello stesso pollaio governativo e dalla necessità di tenersi un leader di riserva del movimento in caso di fallimento del predestinato e di svolte inopinate. Che sia questa la reale motivazione è stato lo stesso Dibba a riconoscerlo confessando pubblicamente il magone provato al momento dell’insediamento del suo amico Gigino e rivelando la sua ambizione pudicamente nascosta a ricoprire l’incarico nientemeno che di Ministro degli Esteri. Il buon Di Battista, evidentemente, deve ritenere più che sufficiente la sua formazione terzomondista maturata con le sue peregrinazioni “on the road” in America Latina e la sua vicinanza fisica a quei popoli come d’altro canto praticamente irrilevante la precaria conoscenza del peso delle dinamiche della diplomazia, delle relazioni tra stati, centri decisionali ed elite per ambire a quell’incarico. Lo spessore politico dell’attuale facente funzioni come della maggior parte dei predecessori, compresi i competenti, non deve certo averlo indotto a moderare le proprie ambizioni; sono però limiti tollerabili tuttalpiù nel perseguire politiche completamente afone e allineate a centri decisionali internazionali affermati ed incontrastati. Normalità d’altri tempi. In una fase di conflitto estremo e dichiarato tra centri decisionali all’interno della stessa nazione egemone e di multipolarismo acclarato diventano al contrario tare destinate a segnare l’esistenza stessa di un paese geopoliticamente importante come l’Italia. La realizzazione di quella aspirazione avrebbe quindi certamente consentito a Dibba di conciliare il suo impegno politico e la sua indole di girovago; quasi certamente la realtà delle cose lo avrebbe condotto più o meno consapevolmente e rapidamente nel solco globalista e dirittoumanitarista proprie di uno degli schieramenti, sia pure con eccezioni apparenti come quelle sul Venezuela, con grave e irrimediabile nocumento per il paese. Una ambizione, la sua, alimentata in realtà da velleità che rivelano per altro quanto meno una grave sottovalutazione del peso avuto dal Presidente Mattarella nel determinare la maggior parte degli incarichi fondamentali nel Governo Conte.
Qualche tarlo deve però aver roso la sua testa se la lunga immersione nei popoli d’America ha previsto l’eccezione significativa dei contatti con il mondo istituzionale e imprenditoriale statunitensi; la sua curiosità ed affinità elettiva si è limitata però allo stesso solco tracciato sei anni prima dall’odiato Matteo Renzi.
La cruda realtà alla fine ha riportato Dibba in Italia già l’inverno scorso. Da una parte il magro successo di vendite della sua opera editoriale ed i conseguenti scarsi introiti, dall’altra il timore di un insuccesso marcato alle elezioni europee lo hanno costretto al rientro forzato e al ritorno all’impegno politico diretto. Non è stato il guado del Rubicone di un novello Cesare. Il paventato insuccesso si è quasi trasformato in un tracollo elettorale e Di Battista si è rivelato un argine eroso dai fontanazzi. Cionondimeno il suo impegno ed attivismo non si è ridotto. Alle sue comparsate in televisione rese sostenibili e dignitose, sia pure a fatica, dall’utilizzo abile di luoghi comuni teso a sottolineare il suo allineamento alle posizioni ufficiali filogovernative, si avvicendano cinguettìi, comizi e manifestazioni pubbliche nelle quali la retorica polemica, in particolare verso l’alleato di governo, prende il sopravvento. Tra le prime ha brillato il confronto con una Lilli Gruber sempre più partigiana e sempre più dimentica di svolgere la professione di giornalista terminato con un eloquente sospiro di sollievo del nostro. Tra le seconde, l’uso sempre più frequente e ossessivo di locuzioni del tipo “credetemi” sono il segno involontario di una forzatura e del sentore che la presa del suo fervore si sta allentando tra gli stessi adepti più osservanti.
Il personaggio Di Battista, più che per il peso effettivo della sua azione, è importante perché rappresenta l’espressione più chiara delle tare e dei limiti di un movimento sempre più complice, volontario o meno, dell’opera di accerchiamento della Lega di Salvini da parte di forze ben più potenti e pervasive.
Il M5S ha sicuramente al proprio attivo alcuni meriti. L’eliminazione di alcuni degli aspetti efferati del Job Act varato da Renzi; l’intenzione di varare il salario minimo garantito di fronte ad una radicale perdita di rappresentanza dei sindacati e di polverizzazione del mercato del lavoro; il freno ad alcuni degli aspetti separatisti degli accordi incipienti di autonomia differenziata delle Regioni. Il secondo però è sminuito dal disconoscimento del valore della rappresentatività sindacale e della contrattazione nazionale del rapporto di lavoro; il terzo appare più che altro un atteggiamento strumentale teso a dilazionare a futura memoria le richieste di autonomia regionale con il solo scopo di paralizzare e dividere la Lega.
Al di là di questi successi tattici, il M5S soffre della contraddizione sempre più evidente tra un gruppo dirigente espressione in netta prevalenza della componente girotondina, giustizialista e dogmatico-ambientalista ed un elettorato sino a pochi mesi fa trasversale, ma in via di ridimensionamento nelle sue varie componenti, ma soprattutto in quella economicamente più attiva e politicamente più istituzionale, proprie del vecchio centrodestra.
I richiami assillanti ed univoci all’onestà e l’ossequio conclamato all’azione qualsivoglia dei giudici ne fanno una cassa di risonanza della crescente manipolazione giudiziaria dello scontro politico. Dalla vicenda dei 49milioni di euro della Lega dei tempi di Bossi e Maroni addebitati al nuovo gruppo dirigente, a differenza degli analoghi del vecchio PDS, al caso delle dimissioni del Sottosegretario Siri, le cui indagini sono immediatamente cadute nel dimenticatoio, al vero e proprio fumo persecutorio dell’affare russo Metropol, le cui dinamiche tutt’altro che interrotte, sembrano una parodia del bluff del Russiagate che ha paralizzato per anni la Presidenza Trump, il gruppo dirigente del M5S ha pensato di lucrare ai danni della Lega sino a concedere, con il progetto di riforma del Ministro Bonafede, ai centri di potere della Magistratura, cristallizzati nel Consiglio Superiore, ulteriori poteri di determinazione delle politiche giudiziarie, proprie del potere legislativo e di controllo dei singoli magistrati.
L’attacco all’affarismo nella gestione della spesa pubblica e di una concezione regressiva della difesa ambientale stanno portando ad una contrapposizione antagonistica le esigenze di tutela ambientale e la difesa e sviluppo della residua industria strategica e delle infrastrutture di rilevanza nazionale. Il caso dell’ILVA di Taranto è probabilmente il più emblematico. I pifferai del M5S sono il supporto di forze politiche ben più incisive, del peso del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, a favore di interessi militari atlantisti, economici europei tesi a ridurre le quote europee di produzione dell’acciaio a spese dell’Italia e di mire di ulteriore subordinazione geoeconomica della struttura economica del paese con la distruzione completa della propria industria di base, tutti coalizzati nell’obbiettivo di chiusura dello stabilimento. Un ritorno ai temi dello scontro politico di settant’anni fa, ma con un esito opposto, nefasto.
La stessa difesa dei diritti del lavoro e di livelli minimi di reddito si riducono ad una scatola vuota utile tuttalpiù a creare delle nicchie assistenzialistiche e di privilegio e tutela corporativa senza una politica economica di espansione della base produttiva e di potenziamento dei settori strategici nonché di riconoscimento delle competenze professionali.
Il M5S si sta rivelando sempre più come una delle forze di normalizzazione, anche se non l’esclusiva e nemmeno la più importante, della anomalia politica italiana. Parte di una vera e propria manovra a tenaglia che cerca di mettere a tacere qualsiasi velleità minimamente autonomistica nelle scelte politiche del paese; una azione rivelatasi al momento in tre aspetti ed episodi, ma suscettibile di allargarsi ad altri ambiti ancora più dirompenti: l’affare Metropol di presunti fondi russi alla Lega, la guerra per bande nel CSM, la gestione delle nomine in sede UE (Unione Europea).
L’affare Metropol di Mosca affiora cinque mesi fa, grazie ad un servizio del settimanale Espresso, ed esplode grazie al contributo di un sito legato agli ambienti democratici americani. Prende corpo dopo l’esito delle elezioni europee ancora favorevole alla vecchia guardia europeista ma minacciata dal successo leghista in Italia e da altre forze in Europa; dopo il viaggio di Salvini negli Stati Uniti culminati con l’incontro con Pompeo e Pence, non ancora una consacrazione, quantomeno una nota di accredito al cospetto dell’attuale Presidenza; dopo le notizie del pesante coinvolgimento di importanti settori dell’intelligence italiana, degli apparati e di numerosi personaggi politici di area piddina nella costruzione di un ramo secondario del Russiagate americano e la probabile richiesta di pulizia ed epurazione pretesa dall’attuale governo americano. Di certo esistono le registrazioni di colloqui così compromettenti in un luogo così aperto ed accessibile ai curiosi di vario genere, l’improbabilità dei personaggi, in particolare italiani, coinvolti e l’impaccio e la goffagine almeno iniziale delle reazioni della vittima designata, il Ministro Salvini. Per il resto mancano la fonte e la certezza certificata delle registrazioni, la certezza dell’originalità dei documenti che stanno affiorando. Il sospetto è che i bersagli siano più di uno, ivi compresa l’attuale dirigenza dell’ENI; la certezza pressoché acquisita è che più che l’iter giudiziario, sia importante lo stillicidio di informazioni tale da paralizzare l’azione politica di Salvini. Gli indizi di pretestuosità e strumentalità nella gestione dell’affare poggiano sulla base solida del prosciugamento delle risorse finanziarie della Lega legate alla vicenda del recupero dei 49 milioni di euro truffati dalla gestione precedente del partito e sulla capziosità della tesi dell’infedeltà e dell’inaffidabilità di Salvini nel garantire la stretta osservanza atlantista. Con questo i detrattori sembrano rimuovere il fatto che attualmente le politiche estere americane sono almeno due; una delle quali prevede il riconoscimento di un ruolo specifico della Russia in antitesi alla crescita di potenza della Cina. Puntano a delegittimare Salvini, come fautore e paladino degli interessi nazionali.
Nella vicenda della gestione del CSM curiosamente nessuno ha avuto da ridire sulla fuga “incontrollata” delle intercettazioni. I garantisti a corrente alternata questa volta hanno scelto di spegnere la luce. Eppure la Procura di Perugia è di piccole dimensioni e non dovrebbe essere particolarmente difficile individuare la fonte delle fughe, la gola profonda. Pochissimi hanno considerato il fatto fisiologico che le decisioni formali di politiche di varia natura presuppongono sempre una attività di tipo informale. La costituzione di una “banda organizzata” tesa a preparare e predeterminare le decisioni presuppone necessariamente l’esistenza di “bande alternative”, colluse e/o antagoniste. L’attenzione si è concentrata su una di esse con il risultato di riportare in auge, nell’occupazione degli incarichi, componenti ridimensionate nelle recenti elezioni al CSM, probabilmente quelle più interessate a concentrarsi sui nuovi filoni di indagine e sul bersaglio grosso. Un interesse che richiede il sacrificio delle componenti renziane, di quelle incidentalmente contrarie a qualsiasi accordo tra PD e M5S. Il progetto di riforma del Ministro grillino Bonafede contribuisce a determinare questa svolta e ad accentrare in mano alle correnti di potere dei magistrati la determinazione delle politiche giudiziarie e dei poteri di controllo dell’azione giudiziaria dei singoli giudici. Una tangentopoli all’ennesima potenza in una situazione nella quale la stessa autorevolezza dell’azione giudiziaria è pesantemente lesa dalla commistione di ruoli ed incarichi e dall’emergere di scandali interni all’ordine. Una condizione diversa da quella di trenta anni fa e molto meno gestibile nella costruzione di una opinione pubblica favorevole.
La gestione delle nomine in sede UE rappresenta plasticamente il crescente sodalizio tra la componente tecnica e quirinalizia e quella grillina del Governo, sintetizzata dal ruolo crescente da protagonista assunto da Giuseppe Conte. La conferma del sodalizio franco-tedesco, avvallata dai grillini e dal Capo di Governo italiano è culminata con la conferma del duo Lagarde-von der Leyen con il voto determinante dei 5stelle. La sintesi tra il più classico filoatlantismo fondato sull’asse francotedesco e le politiche del FMI, laddove la maschera del globalismo individualistico non riuscirà a nascondere il conflitto tra interessi nazionali. La beffa riservata ai neofiti italioti è arrivata appena il giorno dopo con l’annuncio dei Verdi a sostegno delle nuove nomine e la probabile negazione del misero piatto di lenticchie riservato agli ultimi convertiti alla causa della vecchia UE. Ad esso fa seguito l’inedito attivismo del Ministro Moavero in materia di politiche comunitarie sull’immigrazione. Tutto lascia presagire una serie di provvedimenti di facciata tesi a concedere qualche contentino e a togliere l’iniziativa a Salvini sul suo al momento unico cavallo di battaglia vincente. Per il resto, lo conferma il recente accordo europeo con i paesi del Sudamerica, prosegue la politica di drenaggio di risorse dal Sudeuropa e di stretta dipendenza e subordinazione delle loro economie.
La definizione di questi tre ambiti di azione può indurre però ad una rappresentazione fuorviante delle dinamiche politiche nostrane fatta di schieramenti nitidi e delineati. La ridefinizione degli schieramenti in corso nel PD e il cuneo inserito nel M5S che sta portando, al prezzo di un pesante sacrificio elettorale, a far corrispondere i resti del movimento alle affinità elettive del suo gruppo dirigente potrà agire ancora più pesantemente all’interno della stessa Lega.
In essa il cuneo potrà agire su due aspetti consustanziali alla formazione ed esistenza di quel partito. La presenza, nel nocciolo duro lombardo-veneto, di una base sociale costituita da piccoli imprenditori e professionisti ancora convinte delle virtù di questa Unione Europea e la forza di posizioni federaliste che vedono nell’indebolimento delle competenze dello stato centrale, piuttosto che nella loro ridefinizione, le possibilità di sviluppo e progresso locali, comprese le istanze democratiche.
La prima nasconde la realtà di una dipendenza preoccupante della residua struttura industriale e finanziaria nazionale dalle scelte economiche, di marketing e tecnologiche operate in Germania in un contesto del tutto diverso dagli anni ’80 in cui erano assenti i paesi dell’Europa Orientale e la merceologia di prodotti finiti in Italia era più ampia.
La seconda di fatto fonda la propria ragione su più convinzioni maldestre:
Il paese, attualmente, presenta una situazione di tale frammentazione da rendere inderogabile un processo di autonomia decisionale e gestionale regolati
Se l’azione del M5S avesse finalità serie e non strumentali alla contingenza politica dovrebbe prevedere una azione di sostegno di tali istanze accompagnati da processi di modificazione della Costituzione e degli apparati istituzionali tesi a regolare competenze, controlli e compensazioni. Una azione che per retaggi storici la Lega non pare in grado di affrontare coerentemente e che la cosiddetta sinistra ha già dimostrato di poter barattare allegramente in nome di un europeismo lirico. Nemmeno la retorica dei popoli di Italia appare sufficiente a superare tale lascito. La classe dirigente grillina non pare in grado di concepire nemmeno il senso di tale operazione, semplicemente perché anch’essa è vittima del pregiudizio che più l’azione politica è decentrata, più è scevra dai particolarismi e dalle tentazioni elitarie e soggetta al controllo democratico.
Potrebbe essere invece la funzione di una possibile formazione di stampo socialdemocratico piccola al momento, ma coesa e con precisi riferimenti sociali tra i ceti professionalizzati e con funzioni gestionali.
Sono queste le due crepe entro le quali potrà insinuarsi l’azione di restaurazione e di debilitazione dell’attuale gruppo dirigente leghista sino a ricondurlo alle origini oppure di una azione apertamente scissionista.
La situazione è tragica ma probabilmente non del tutto compromessa, più per le condizioni esterne che interne al paese.
Gli Stati Uniti appaiono sempre meno interessati a mantenere questa Unione Europea
In secondo luogo e in subordine perché il fulcro di tale azione, la Germania, è destinata a subire in modo drammatico i contraccolpi di tali scelte e a non poter garantire le condizioni minime di sussistenza di tale proposito di restaurazione. I segnali sono sempre più manifesti.
È una finestra che non potrà rimanere aperta per molto tempo. L’accordo di due anni fa tra Trump e la Merkel, per interposta Commissione Europea, per una dilazione delle sanzioni doganali a scapito dell’agricoltura italiana sono un avvertimento eloquente che il futuro del paese non può dipendere dalla benevolenza degli “amici”. Qualche segnale positivo di consapevolezza inizia ad emergere in alcuni settori fondamentali degli apparati. Sta al ceto politico sensibile a queste istanze cercare di raccoglierlo e dare prospettive. In caso contrario una svolta nel paese dovrà passare ancora una volta da una nuova scomposizione delle forze.
LA PERDITA DI INDIPENDENZA DELL’ITALIA: L’ELOGIO DELLA STUPIDITA’
a cura di Luigi Longo
Introduco lo scritto di Marco Della Luna Dalla Russia coi servizi (deviati), apparso sul sito www.marcodellaluna.info il 14/7/2019, con uno stralcio sulle leggi fondamentali della stupidità umana tratto da Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988.
L’INTRODUZIONE
[…] Il secondo fattore che determina il potenziale di una persona stupida deriva dalla posizione di potere e di autorità che occupa nella società. Tra burocrati, generali, politici, capi di stato e uomini di Chiesa, si ritrova l’aurea percentuale o di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (od occupano).
La domanda che spesso si pongono le persone ragionevoli è in che modo e come mai persone stupide riescano a raggiungere posizioni di potere e di autorità […] All’interno di un sistema democratico, le elezioni generali sono uno strumento di grande efficacia per assicurare il mantenimento stabile della frazione o fra i potenti. Va ricordato che, in base alla Seconda Legge, la frazione o di persone che votano sono stupide e le elezioni offrono loro una magnifica occasione per danneggiare tutti gli altri, senza ottenere alcun guadagno dallo loro azione. Esse realizzano questo obiettivo, contribuendo al mantenimento del livello o di stupidi tra le persone al potere. [pp. 65-66]
[…] Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.
Nei secoli dei secoli, nella vita pubblica e privata, innumerevoli persone non hanno tenuto conto della Quarta Legge Fondamentale (quella sul potenziale nocivo delle persone stupide innanzi sottolineata, mia precisazione) e ciò ha causato incalcolabili perdite all’umanità. [pag.72]
[…] La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.
Il corollario della legge è che:
Lo stupido è più pericoloso del bandito. [pag.73]
LO SCRITTO
DALLA RUSSIA COI SERVIZI (DEVIATI)
di Marco Della Luna
Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata.
Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della II GM:
a) l’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli USA con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano;
b) gli USA hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico;
c) la DC e il PCI hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli USA e dall’URSS, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’URSS assicurava al PCI percentuali su determinati commerci;
d) il PCI riceveva questi soldi mentre l’URSS teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari;
e) il PCI, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica G.N., accettava la guida del PCUS di Stalin;
f) diversi leaders politici italiani hanno sistematicamente svenduto a capitali stranieri i migliori assets nazionali;
g) moltissimi leaders politici e statisti italiani hanno sistematicamente e proditoriamente ceduto agli interessi franco-tedeschi e della grande finanza in fatto di euro, fisco, bilancio, immigrazione; in cambio hanno ricevuto sostegno alle loro carriere;
h) l’Italia ormai riceve da organismi esterni, diretti da interessi stranieri, l’80% della sua legislazione e della sua politica finanziaria;
i) essa è indebitata in una moneta che non controlla e che è controllata ultimamente da banchieri privati; la Banca d’Italia è controllata pure da banchieri prevalentemente stranieri.
j) ciliegina sulla torta: notoriamente, nel 2011, su disposizione di BCE e Berlino, il Palazzo italiano ha eseguito un golpe per sostituire il governo Berlusconi con uno funzionale agli interessi della finanza franco-germanica.
E su tutto questo nessun PM ha mai aperto un fascicolo per corruzione internazionale: andava tutto bene!
Nel confronto con questi fatti, il problema dei soldi russi alla Lega, peraltro mai dati, è insignificante, solo un idiota può considerarlo diversamente; mentre chi ha un minimo di buon senso nota che il problema grave è un altro, ossia che i servizi segreti -sottoposti al premier Conte- abbiano eseguito un anno fa, e tirato fuori proprio ora, le intercettazioni in questione, e che le tirino fuori ora per mettere in difficoltà la Lega in un momento critico per il M5S (corsivo mio). Si ventila pure che possa essere stata, invece, la CIA, per colpire il legame Salvini-Russia. In ambo i casi, questa è la vera interferenza, questo è lo scandalo.
DEL CAMBIAMENTO POLITICO NEL SUD EUROPA. Torna al governo in Grecia il partito cardine del sistema che la fece precipitare nel dramma del 2015. Scontato il momentaneo purgatorio, NeoDemokratia torna con le sembianze del più tipico rappresentante delle élites greche, un banchiere di Harvard con alle spalle una famiglia politica di lungo corso. Le Borse festeggiano in anticipo da giorni con l’acquolina in bocca dato l’annuncio di massicce e corpose privatizzazioni, riduzione dell’impiego statale, meno tasse per le classi commerciali qui molto forti. Forse una Bruxelles PPE-Liberale, allenterà un po’ il cappio al collo dei Greci donando qualche ulteriore possibilità in più. Il sistema elettorale greco, regalerà all’effettivo 40% di ND, la maggioranza assoluta.
Ma il grande ritorno della Grecia media, non è tutto. Dopo quattro anni di governo terribile, un governo che poteva governare solo austerità e contrazione, Syriza segna un inaspettato 32% ma la sua area può anche contare il 3.4% di Varoufakis. Poco più del 35% quindi, cioè esattamente il risultato trionfante ed inaspettato del 2015. Sebbene il governo sarà monocolore ND, la sua area potrebbe contare anche sull’8% dell’ex PASOK un 48% circa quindi per una opposizione che oltre al blocco Syriza-Varoufakis potrebbe contare il 5% degli inossidabili comunisti per un circa 41%. Più altre sigle sparse tra cui un nuovo movimento nazionalista di destra che subentra a gli allarmanti nazisti di Alba Dorata. Insomma, il pendolo della transizione greca oscilla oggi chiaramente a centro-destra / destra ma non poi così tanto e soprattutto dentro una dinamica, appunto, a “pendolo”.
Ne vengono tre considerazioni:
1) Le nazioni europee sono più o meno tutte, storicamente, per lo più centrate su i grandi numeri di un centro che tende a destra. I numeri son questi, piccola e media borghesia alleata della grande borghesia dalla quale riceve possibilità per sviluppare i suoi piccoli affari. Quando non stravincono o vincono è perché parte del loro elettorato non va a votare, non perché ha cambiato idea. Ricordo feroci polemiche con coloro che dimenticando questo piccolo particolare di fisica sociale, vaneggiavano di un tradimento di Tsipras che non aveva voluto uscire dall’euro a suo tempo, come se questo fosse effettivamente possibile e soprattutto come se questo fosse veramente volontà del “popolo”. “Popolo” è un aggregato statistico-culturale, ma le sue partizioni interne sono assai eterogenee e come sempre, contraddittorie. Una politica che non tiene conto di questo baricentro conservatore del sistema, può animare la produzione intellettuale di disegnatori del mondo alla tastiera, ma non produrre cambiamento effettivo.
2) La condizione greca, sappiamo avere non pochi punti in comune con la condizione di altri Paesi del Sud Europa, è un fatto strutturale. Fintanto che qualcuno non inventerà la bacchetta magica per dissolvere l’UE alla mezzanotte del “giorno che cambierà tutte le cose”, le forze politiche dei Paesi del Sud Europa, dovrebbero cercare una loro fronte comune per pesare qualcosa in ambito europeo. Grandi eterogeneità di posizioni politiche vengono magicamente sintetizzate da coloro che concordano su pochi e chiari punti dell’agenda di governo europeo, il potere unisce. L’opposizione invece, non ha mai questa tendenza a sintetizzarsi, odia l’arte del compromesso, ama le distinzioni ideali nitide, identitarie, minoritarie ma pure. In politica, la purezza, è un vizio intellettuale.
3) Qualche ulteriore punto percentuale Tsipras l’ha perso sulla questione del riconoscimento della Macedonia, ovvero sulla questione “nazionale”. Ma Tsipras ha dovuto ingoiare quel punto (Tsipras e Syriza hanno dovuto ingoiare parecchie cose in questi anni, loro ed i loro elettori), per ragioni strettamente geopolitiche. C’è qui tutta una questione che coinvolge la Turchia ed un complesso gioco di controllo dei fondali dell’Egeo ricco di gas nel più ampio gioco Mediterraneo (giacimenti al largo della costa siriana, libanese, cipriota, israeliana). Non è stata l’UE ad imporre il contrastato riconoscimento della Macedonia che qui è atavica questione nazionale che risale ad Alessandro il Grande, ma gli USA e quell’imposizione per una serie di complicate ragioni che qui non possiamo dettagliare, non aveva alternative politiche realisticamente possibili.
Quindi, a proposito dei progetti di cambiamento politico nel Sud Europa, si tenga ben fisso in agenda questo breve elenco: a) i progetti di egemonia su una massa decisiva di popolo debbono avere ben chiaro in mente chi è questo popolo, cosa vuole, cosa sa, cosa è disposto a fare e subire per raggiungere un supposto obiettivo di cambiamento; b) in attesa di migliori condizioni di contesto, l’UE esiste e tocca farci i conti. Le sue forze maggioritarie tra l’altro alleate di quelle del capitale finanziario occidentale globale, sono formidabili. Andare al confronto senza una chiara alleanza intra-europea, non ha speranze; c) il contesto geopolitico non è la quarta pagina del giornale da frequentare per coloro che hanno aspirazioni estere, il contesto geopolitico è politico, l’esterno è solo la parte fuori dell’interno ed assieme fanno l’Uno oggetto di contesa politica.
Se queste tre cose non vengono pensate “tutte assieme”, scriviamo articoli e post su facebook, ma non illudiamoci di star facendo politica. E soprattutto, scordiamoci di poter governare un cambiamento.
Negli ultimi articoli[1] dedicati all’ operazione Carola, http://italiaeilmondo.com ha analizzato le azioni delle ONG che trasbordano immigrati irregolari nel nostro paese come veri e propri atti di guerra ibrida concepiti, diretti e organizzati da centri decisionali legati a potenze straniere. A queste operazioni prestano la loro indispensabile collaborazione, con gradi diversi di consapevolezza e organicità, settori tutt’altro che trascurabili delle istituzioni e dei media italiani[2].
Il governo ha reagito agli attacchi, seppur in modo non del tutto collegiale e adeguato. Il Ministro Salvini, principale bersaglio politico degli attacchi, sta tentando di rispondervi con l’ inasprimento delle sanzioni e un assiduo impegno nella comunicazione e nel sostegno a FFOO e FFAA. In termini di dissuasione, qualche risultato si comincia a vedere: ma si tratta pur sempre di un’azione di rimessa, indispensabile ma insufficiente. E’ invece di importanza capitale prendere l’iniziativa e contrattaccare, dettando l’agenda politica e costringendo l’avversario – anzi gli avversari, esterni e interni – a combattere sul nostro terreno e alle nostre condizioni.
Tra le prerogative e i doveri fondamentali di qualsiasi Stato c’è, naturalmente, la difesa delle frontiere e il controllo del territorio. E’ dunque benemerita e indispensabile la politica dei “porti chiusi” proposta e accanitamente difesa da Salvini, perché ha segnato una svolta netta, anche simbolica, rispetto alle politiche migratorie irresponsabili dei governi precedenti.
E’ chiaro a tutti che è responsabilità storica di qualsiasi governo puntare ad una netta diminuzione, regolamentazione e regolarizzazione di flussi migratori, in modo da renderli compatibili con la struttura socioeconomica e la coesione culturale d’Italia.
E’ così chiaro a tutti, che persino i diretti responsabili politici della grave crisi migratoria italiana hanno la faccia tosta di sventolare – a parole e a favor di telecamere – lo slogan “Aiutiamoli a casa loro”.
Sinora, l’unico “aiuto a casa loro” che la classe dirigente europeista italiana ha dato agli immigrati è stata la sciagurata collaborazione all’aggressione anglo-francese alla Libia: li hanno aiutati ad ammazzare il dittatore antidemocratico, precipitandoli nell’anarchia e nella guerra civile per poi piangere lacrime di coccodrillo sulle sofferenze dei migranti e l’insicurezza dei porti libici, e cianciare di “corridoi umanitari” che come l’araba Fenice, che vi sian ciascun lo dice, dove sian nessun lo sa.
Non c’è dubbio: anarchia e guerra civile sono “democratiche”, nel senso che coinvolgono tutto un popolo nessuno escluso, ma sarebbe questo, “aiutarli a casa loro”? Semmai, è mitragliare qualcuno, regalargli una scatola di cerotti e poi pretendere la medaglia al valore civile.
Un’altra cantafavola con allegate lacrime di coccodrillo e boccuccia ipocrita a culo di gallina che ogni tanto fa capolino nei media è quella del “piano Marshall europeo per l’Africa”, svergognata sciocchezza alla quale nemmeno il fratello più scemo della scemo può prestare una briciola di fede.
Da trent’anni l’Unione Europea applica, in Europa, una dura politica deflattiva iscritta nei trattati fondativi. Nell’Unione Europea, da trent’anni gli investimenti diminuiscono e la disoccupazione cresce, toccando vette abissali in Grecia e nel Meridione d’Italia. Con queste premesse, per “restare umani” (ammesso e non concesso che mai lo siano diventati) i diretti responsabili della catastrofe sociale europea sarebbero in procinto di inaugurare un “piano Marshall per l’Africa”?!
Ma insomma: è possibile aiutarli a casa loro, sì o no?
Sì che è possibile. E’ possibile “aiutarli a casa loro” se un governo italiano si ricorda della vocazione mediterranea del nostro paese, e degli antichi scambi culturali, politici ed economici che ci legano al Levante; è possibile aiutarli a casa loro se governo italiano e governi del Levante riconoscono i reciproci, comuni interessi e avviano una fattiva collaborazione economica e politica.
Basta ciarle a vuoto, basta ipocrite mozioni degli affetti, basta eroismi umanitari a costo zero, basta carità pelosa con capital gain garantito sul C/C del caritatevole: avviare invece trattative su un piede di cordiale parità, e sulla base del reciproco rispetto e interesse.
Gli immigrati non sono i bambolotti di pezza, le coperte di Linus dei professionisti della bontà, non sono i personaggi di un brutto melodramma TV , e non sono il Buon Selvaggio Sventurato oppresso dal Cattivo Uomo Bianco Colonialista.
Gli immigrati sono uomini come noi, con la nostra stessa capacità di bene e male, con interessi e ambizioni e bisogni, con i quali dobbiamo trattare da pari a pari, sulla base del reciproco interesse, come con gli uomini dei paesi europei.
Leggiamo che proprio in questi giorni, il governo italiano tratta con il governo tunisino per ridurre l’afflusso dei barchini pilotati dagli scafisti, i trafficanti di schiavi che trasportano gli immigrati nel nostro paese.
E’ un’iniziativa opportuna, ma è anche un’occasione preziosa per riprendere in esame un progetto italiano che sul serio può “aiutarli a casa loro”.
italiaeilmondo.com ha già presentato https://www.medinsahara.org/ il progetto di collaborazione tra governo italiano e tunisino per l’escavazione di un mare artificiale nel deserto del Sahara, del quale è promotore e referente italiano il nostro collaboratore e amico Antonio de Martini.
Il progetto “ Mare nel Sahara” è stato presentato nell’ottobre scorso a Biserta, nel corso del « Forum de la Mer / rencontres euro-méditerranéennes de l’économie bleue durable », organizzato dall’ Institut tunisien des études stratégiques (ITES), con l’appoggio dell’ Unione Europea e dell’ Unione per il Mediterraneo, e la partecipazione dell’ambasciata di Francia in Tunisia. Vi collaborano le Università di Ferrara, Bologna e “La Sapienza” di Roma, l’ Istituto per l’Oriente Carlo Alfonso Nallino (Roma), l’UNESCO.
E’ un progetto che sarebbe di interesse nazionale per il nostro paese anche se il problema migratorio non esistesse: per il vantaggio economico immediato (4-5 MLD di lavori per imprese italiane, circa 2.000 posti di lavoro per tecnici italiani), e per il vantaggio politico a breve e lungo termine di una ripresa in grande stile della cooperazione italiana con le nazioni del Nordafrica (il progetto è replicabile anche in Algeria).
Ma oggi che il problema migratorio è al primo posto dell’agenda del governo, il progetto “Mare nel Sahara” moltiplica la sua importanza e il suo valore, tanto economico quanto politico, internazionale e interno.
Il progetto “Mare nel Sahara” è importante, anzi decisivo per la politica interna italiana, perché è questo il modo di “aiutare a casa loro” gli immigrati: creando nelle nazioni nordafricane opportunità di lavoro, sviluppo e speranza che tengano conto insieme dell’interesse loro e nostro.
Solo dando agli immigrati concreta speranza di lavoro e di vita dignitosa nel continente africano possiamo costruire le condizioni per la nostra e la loro sicurezza, come per la reciproca intesa nella diversità.
Solo così svergognamo e tappiamo la bocca agli ipocriti fautori di un’immigrazione incontrollata e incontrollabile, ai bugiardi che cianciano di umanità mentre trattano noi e loro come animali “da meticciare”. Politica realistica ci vuole, non zootecnia ideologica.
Qui sotto il lettore troverà una intervista ad Antonio de Martini, principale promotore dell’iniziativa, e il link a un sintetico dossier sull’argomento.
Speriamo che finalmente, la vox clamantis in deserto Sahara trovi un ascolto attento nel governo. Per avviare il progetto, basta finanziarne lo studio di fattibilità con 300.000 euro, da destinare alle tre Università italiane che lo sponsorizzano.
Sì, avete letto bene: non abbiamo scritto “trecento milioni” di euro. Abbiamo scritto “trecentomila”. Troppo? Non ci sembra._Roberto Buffagni, Giuseppe Germinario
[1] http://italiaeilmondo.com/2019/07/07/guerra-ibrida-navi-corsare-a-sud-e-pokeristi-a-bruxelles-con-piero-visani/
[2] http://italiaeilmondo.com/2019/07/06/navi-corsare-a-lampedusa-con-augusto-sinagra/
Cari amici vicini & lontani, è finito l’inizio. Che cosa comincia, dopo?
Si è conclusa con un completo successo la prima parte dell’abile e professionale azione di guerra ibrida (5th generation war)[1] della quale è stata eroina eponima Carola Rackete.
La definizione più sintetica della guerra ibrida si deve al Tenente Colonnello Stanton S. Coerr, Corpo dei Marines[2]: “l’arma preferita della guerra di quinta generazione è lo stallo politico. Chi combatte una guerra di quinta generazione vince dimostrando l’impotenza della potenza militare tradizionale…questi combattenti vincono quando non perdono, mentre noi perdiamo quando non vinciamo”.
Basta riandare con la memoria ai recentissimi episodi che hanno scandito l’ operazione Carola per verificare che la vicenda si è svolta in conformità alla definizione del Ten. Col. Coerr. Carola ha vinto perché non ha perso; noi – lo Stato italiano, le sue FFOO e FFAA, il Ministro Salvini che si è autodesignato a obiettivo principale dell’operazione e i molti milioni di italiani che lo sostengono – abbiamo perso perché non abbiamo vinto; la potenza militare dello Stato italiano, incomparabilmente superiore a quella a disposizione di Carola, ha dimostrato la sua impotenza; e il sistema d’arma impiegato per condurre l’operazione bellica è stato uno stallo politico creato con il decisivo contributo di collaboratori interni al campo bersaglio dell’attacco, l ’Italia nel suo insieme: governo, istituzioni dello Stato, nazione e popolo. Nomi, cognomi e qualifiche professionali dei suddetti collaboratori interni sono facilmente reperibili da chiunque abbia seguito le notizie, né la collaborazione implica sempre la piena consapevolezza del ruolo effettivamente svolto: buona e mala fede sono entrambe utili, e anzi, entrambe necessarie al successo dell’operazione (è stata arruolata nell’ operazione Carola persino l’Antigone sofoclea, insospettabile di complicità).
Quale sia il centro direttivo dell’ operazione Carola è impossibile dire senza informazioni riservate delle quali non dispongo. Osservando lo svolgimento dell’operazione, si può star certi di due cose: a) l’operazione è stata messa in cantiere parecchi mesi fa, probabilmente in coincidenza con il varo del Decreto Sicurezza voluto da Salvini, che, sia detto per inciso, secondo alcuni competenti presenta criticità e punti deboli che hanno fornito opportunità favorevoli all’attacco b) chi l’ha concepito e organizzato è professionalmente ben preparato e in grado di accedere a una vasta rete di contatti e finanziamenti in Italia e all’estero, specie in Germania. Siccome la preparazione professionale in questo campo si acquisisce nelle FFAA e nei servizi d’informazione, è verisimile che almeno il case officer dell’ operazione Carola si sia formato così, anche se magari non appartiene (più) ai quadri di un servizio d’informazione o di una forza armata.
L’ operazione Carola è il primo episodio operativo di una guerra ibrida di logoramento appena iniziata, che si propone i seguenti obiettivi:
Ripeto: L’ operazione Carola è il primo episodio operativo di una guerra ibrida di logoramento appena iniziata. Appena iniziata vuol dire che sono già in preparazione, probabilmente avanzata, altri attacchi di crescente violenza e del medesimo tipo.
Le sconfitte operative diventano sconfitte strategiche ( = le battaglie perse diventano guerre perdute) solo quando dalle sconfitte non si impara e non si mettono in campo nuove e appropriate contromisure, culturali e operative.
La primissima cosa da fare è non cercare la soluzione dove non c’è. Una vecchia barzelletta illustra bene questo frequente errore. Eccola.
Le chiavi e il lampione
Notte fonda, buio pesto. Antonio rincasa. In fondo alla via, nel cerchio di luce di un lampione, vede l’amico Giovanni chino a terra. “Che stai facendo, Giovanni?” “Cerco le chiavi, Antonio.” “Le hai perse qui?” “No, le ho perse chissà dove. Ma qui almeno ci si vede.”
Morale: bisogna cercare le chiavi dove possono essere, anche se c’è buio, anche se si devono cercare a tastoni, brancolando nel buio. Cercarle dove c’è luce anche sapendo che non ci possono essere, perché lì ci vediamo, perché quelle sono le cose che l’esperienza ci ha abituati a vedere, non va bene: le chiavi non le troveremo mai.
Nel caso della Lega e in particolare di Salvini, la barzelletta delle chiavi e del lampione dice questo. Per la sua formazione di partito radicatissimo nel territorio, che esprime con coerenza e con forza il proprio interesse immediato e locale, la Lega è abituata a vedere anzitutto due cose: la politica locale e la politica elettorale (radicamento identitario+ mediazione degli interessi+ amministrazione). Alla politica estera non ha mai rivolto seriamente l’attenzione (non è illuminata dal cerchio di luce del lampione) perché se ne occupava il suo avversario principale, “Roma ladrona”, il governo nazionale; col quale la Lega ha sempre condotto una trattativa volta a strappare quanto più possibile per “la Padania”, ma che non ha mai pensato di soppiantare e surrogare: le chiacchiere secessioniste, i duecentomila bergamaschi con la pallottola in canna del simpatico fantasista Umberto Bossi sempre furono, appunto, chiacchiere e guasconate da bar Sport dopo il quarto Campari.
Grazie all’inesauribile immaginazione della Storia , alla prodigiosa, immortale fantasia degli italiani, e alla disfunzionalità arrogante e catastrofica del baraccone UE che ha spalancato autostrade politiche a venti corsie ai propri oppositori, i principi attivi che hanno dato origine alla Lega – radicamento identitario + difesa dell’interesse immediato – sono diventati il razzo vettore della Nuova Lega nazionale di Salvini. A Roma ladrona si è sostituita Bruxelles ladrona, al popolo padano (con tanto di corna celtiche e Dio Po) si è sostituito il popolo italiano (con tanto di tricolore, rosario e invocazione all’Immacolata Concezione); e al 3% si è sostituito il 38% dei consensi.
Questa straordinaria vittoria/ribaltone, per la quale il popolo italiano deve sul serio ringraziare l’Immacolata Concezione o altri avatar del numinoso a piacere, pone però alla Lega e al suo Capitano Matteo Salvini una serie di problemi per risolvere i quali affidarsi a Dio non basta (“aiutati che Dio t’aiuta”). I problemi immediati da risolvere sono i seguenti:
I provvedimenti immediati da prendere sono:
A lungo termine, naturalmente, c’è da proporsi compiti più importanti e difficili: anzitutto, la formazione di una cultura non solo politica che sia anche una cultura della potenza: che non vuol dire una cultura delle prepotenza e dell’aggressione, ma una cultura del realismo che integri la dimensione tragica della storia, alla quale nessuno, nemmeno l’Italia dell’Arcadia e della Commedia dell’Arte, si può sottrarre.
Una cultura del realismo che sappia, ad esempio, che essere ricchi – anche ricchi di voti – ed essere potenti sono due cose molto, molto diverse.
Ma di questo, se ci arriveremo vivi e interi, si potrà discutere in seguito.
That’all, folks.
[1] Qui alcuni riferimenti di base: https://en.wikipedia.org/wiki/Generations_of_warfare ; http://mil-embedded.com/guest-blogs/defining-fifth-generation-warfare/ . Le elaborazioni teoriche e operative che hanno condotto alla messa a punto della guerra ibrida si ritrovano qui, nei manuali della Albert Einstein Institution fondata da Gene Sharp, ispiratore delle rivoluzioni colorate in tutto il mondo. Suggerisco di leggere con attenzione i manuali, scaricabili gratuitamente dal sito: https://www.aeinstein.org/ . Da seguire sul nostro sito questa recentissima intervista al polemologo Piero Visani: http://italiaeilmondo.com/2019/07/07/guerra-ibrida-navi-corsare-a-sud-e-pokeristi-a-bruxelles-con-piero-visani/
[2] Da leggere con molta attenzione tutto questo articolo del Tenente Colonnello Stanton S. Coerr del Corpo dei Marines, apparso per la prima volta sulla Marine Corps Gazette: https://www.scribd.com/doc/50049562/Fifth-Generation-War-Warfare-versus-the-nonstate-by-LtCol-Stanton-S-Coerr-USMCR
Detto fatto! Il colpo di cannone è partito dal Tribunale di Agrigento. Il segnale è stato raccolto immediatamente e con esso l’assalto ai porti. La meta però è Roma. Ad una forma di guerra ibrida riesumata dalle guerre corsare si son aggiunte le scaramucce a Bruxelles. I passi felpati non hanno però impedito di entrare ai soliti noti con i piedi nel piatto. Le nomine a Bruxelles lasciano presagire poco di buono. Eppure in quella sede le contraddizioni non mancano; come pure la complessità dello scacchiere geopolitico, con attori sempre più numerosi a tenere il banco, offrirebbe margini di iniziativa. Ci mancano una squadra sufficientemente coesa e qualche giocatore audace e di classe. Due partite apparentemente distanti tra loro. Buon ascolto, Giuseppe Germinario