SVEZIA E FINLANDIA ALLE PORTE DELLA NATO : LEZIONI, TRAPPOLE E FINZIONI, di Hajnalka Vincze

SVEZIA E FINLANDIA ALLE PORTE DELLA NATO : LEZIONI, TRAPPOLE E FINZIONI

Engagement n° 138 Primavera 2023 – 15 marzo 2023
Studio e analisi

L’effetto boomerang per il Presidente Putin della prevista adesione di Helsinki e Stoccolma all’Alleanza Atlantica viene spesso descritto in questi termini: “Mosca voleva la finlandizzazione dell’Ucraina, e otterrà la finlandizzazione di Finlandia e Svezia”. Piuttosto che snocciolare per l’ennesima volta gli elementi dell’equazione già noti – ovvi o di secondaria importanza – è tempo di concentrarsi su ciò che è essenziale, cioè su ciò che si trova, per rimanere nell’universo nordico, sotto la punta dell’iceberg. Cosa rivela, insegna e nasconde il processo di adesione dei due nuovi candidati all’Alleanza? Non c’è da preoccuparsi: su ognuno di questi punti, il principale perdente è la difesa europea.

Qualche lezione di passaggio

Da quasi un anno a questa parte, la moltitudine di relazioni, audizioni e annunci che hanno costellato il processo contiene alcuni dettagli che sono molto più edificanti di quanto questo tipo di esercizio normalmente riveli. Tra i punti di forza che i funzionari della NATO elencano per sottolineare il fatto che i due Paesi nordici saranno “contributori netti” alla sicurezza degli alleati ci sono il gran numero di carri armati, l’esperienza nella difesa del territorio e… il servizio di leva, che non è mai stato sospeso in Finlandia ed è stato ripristinato in Svezia nel 2017. In breve, ciò che dagli anni ’90 ci è stato presentato come antiquato, appartenente alla “guerra di ieri”, oggi è una risorsa. Un buon promemoria, se ce ne fosse bisogno, per non prendere per oro colato tutte le dichiarazioni del momento, a partire dalla retorica concordata intorno all’adesione di Finlandia e Svezia.

L’ostruzione turca che – per ottenere concessioni da Helsinki e Stoccolma, ma anche da Washington – sta ritardando il processo da mesi ha un innegabile vantaggio. Evidenzia il fatto che nessun Paese, nemmeno il partner più stretto della NATO, ha il “diritto di entrare” nell’Alleanza. Al contrario, sono gli Stati membri che hanno, ciascuno individualmente, il diritto di autorizzare o meno l’adesione di questo o quel candidato, secondo i propri calcoli. In questi giorni, tuttavia, si levano voci entusiaste per sostenere che l’Ucraina avrebbe il “diritto” di aderire. O, per dirla un po’ più finemente, come un importante membro del Comitato per le Relazioni Estere del Senato degli Stati Uniti, Jim Risch: “Qualsiasi Paese che soddisfi le condizioni dovrebbe poter entrare nell’Alleanza”. Ciò che dimentica di dire è che la prima delle condizioni stabilite dall’articolo 10 del Trattato Nord Atlantico è l’approvazione all’unanimità. C’è da scommettere che non tutti gli alleati vedranno l’ingresso di Kiev come una garanzia di sicurezza.

Un’altra ovvia ragione per cui due Stati membri dell’UE finora neutrali chiedono di entrare nell’Alleanza è la percezione che la clausola di difesa reciproca definita nell’articolo 42(7) dell’Unione sia incredibilmente leggera. Il fatto che si stiano precipitando verso quella che considerano una garanzia molto più solida, ovvero l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica, è un chiaro rifiuto di questa disposizione europea, che è stata tenuta a distanza da Parigi. Ma c’è di peggio. Il relatore dell’Assemblea Nazionale sul tema, Jean-Louis Bourlanges, ha fatto un confronto tra i due, facendo riferimento a esperti del Ministero delle Forze Armate e del Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri. Questi avrebbero “sottolineato che l’articolo 5 è più solido dell’articolo 42.7”, poiché contiene un riferimento esplicito all’uso della forza armata[1].

Se non fosse che tale interpretazione è diametralmente opposta alla posizione tradizionale della diplomazia francese. Finora, Parigi ha sempre sottolineato l’implicita inclusione della forza armata nell’espressione “tutti i mezzi” e l’automaticità dell’impegno previsto dall’articolo 42.7 (gli Stati membri “presteranno aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso” a uno Stato membro attaccato). Ciò era in contrasto con la natura non automatica, sottilmente negoziata all’epoca da parte americana, dell’impegno di cui all’articolo 5: se un alleato viene attaccato, ciascuno degli altri Paesi dell’Alleanza “prenderà le misure che riterrà necessarie”, ovviamente “compreso l’uso della forza armata”. Se confermata, questa inversione di rotta nella visione della Francia avrebbe conseguenze di vasta portata per la difesa europea.

Retorica ingannevole

Questo gioco di specchi distorcenti e di nascondino si estende alle espressioni usate, o non usate, per parlare dell’adesione di Svezia e Finlandia all’Alleanza. Il deputato Bourlanges, presidente della Commissione Affari Esteri, contesta persino il termine “allargamento della NATO”[2], che a suo avviso dà un’immagine falsa di un’Alleanza che vuole espandersi. E non riflette adeguatamente il fatto che sono i Paesi che chiedono protezione a “prendere la decisione di aderire all’organizzazione”. Si tratta chiaramente di una battaglia di narrazioni e anche di politica.

Quando si sostiene la necessità di rafforzare la dimensione settentrionale della NATO sulla scia di quello che viene ancora definito il prossimo allargamento, il vantaggio strategico più citato è quello di aggiungere profondità strategica alla difesa del Baltico. Ma dietro a ciò si nasconde una questione molto più ampia: la regione artica. Il corollario è la competizione tra l’UE e l’Alleanza Atlantica. Dopo l’adesione dei due Paesi nordici, sette degli otto Paesi lungo la costa artica saranno membri della NATO, tutti tranne la Russia. L’Unione europea ha formulato la sua politica per la regione nel 2016 e l’ha aggiornata nell’ottobre 2021 da un punto di vista (leggermente) più geopolitico. La NATO, da parte sua, ha avuto difficoltà a definire una strategia per quello che chiama il Grande Nord, ma il rapporto dell’aprile 2021 del Comando per la Trasformazione prevede un ingresso deciso[3]. Di norma, quando un nuovo soggetto o una nuova regione rientra nella sfera di interesse della NATO, gli alleati europei subiscono un’enorme pressione per conformarsi alle priorità stabilite dall’America. Ciò riduce automaticamente il margine di manovra dell’UE.

Certo, secondo le dichiarazioni dei funzionari francesi, l’adesione di Finlandia e Svezia rafforzerà il famoso “pilastro europeo” all’interno della NATO [4], come dimostra il fatto che il numero di Paesi dell’UE passerà da 21 a 23, con la differenza che non sarà più su 30 ma su 32 alleati! D’altra parte, 23 dei 27 Stati membri dell’UE saranno ora anche membri della NATO, con le sole eccezioni di Austria, Irlanda, Malta e Cipro. Per una volta, questo esercizio contabile è importante. Più sono i Paesi dell’UE che non appartengono alla NATO, più c’è motivo di chiedere una separazione tra le due organizzazioni e la possibilità per gli europei di condurre le proprie politiche. D’altra parte, la sovrapposizione sempre più perfetta tra le due mappe serve da pretesto per abolire le barriere tra i due organismi e arruolare l’intera Europa nelle strategie “occidentali” sotto la bandiera della NATO.

Altre bombe ad orologeria

Un “punto inquietante” – per citare il relatore del Senato sulla questione [5] – del memorandum tripartito tra Svezia, Finlandia e Turchia va chiaramente nella direzione del secondo scenario. In cambio della revoca del veto della Turchia nel giugno scorso, i due Paesi nordici “si sono impegnati a sostenere la partecipazione della Turchia alle iniziative di politica di sicurezza e di difesa comune” dell’Unione Europea. L’accesso degli alleati non appartenenti all’UE alla PSDC è sempre stato uno dei temi chiave nei dibattiti transatlantici e un fattore determinante nelle relazioni UE-NATO. Parlando di rischi futuri, meritano attenzione anche altre due questioni: una riguarda le scelte di Finlandia e Svezia, l’altra deriva dal meccanismo stesso di integrazione nell’Alleanza Atlantica.

Il Presidente Putin, che vede Stoccolma e Helsinki come parte del blocco occidentale, ha convenuto che l’adesione è “affar loro”. La linea rossa per Mosca, ha detto, sarebbe il dispiegamento di contingenti e infrastrutture della NATO sul loro territorio, che provocherebbe “una risposta simmetrica”. Tuttavia, secondo le rivelazioni della stampa finlandese, i due Paesi nordici non hanno chiesto esenzioni dalla NATO, a differenza di Danimarca e Norvegia. Il primo ministro finlandese, Sanna Marin, ha ammesso di non aver posto alcuna condizione né sul dispiegamento di contingenti o basi, né sulla presenza di armi nucleari: “Non è nei nostri piani, ma non escludiamo nulla”.

C’è un pericolo più diffuso, ma che è stato osservato nel corso degli anni, nel modo in cui l’appartenenza alla NATO incoraggia il comportamento “free rider”. C’è una grande tentazione di accogliere l’ombrello protettivo americano (la cui durata è un’altra questione) e in cambio offrire solo il minimo indispensabile: eserciti potemkin, partecipazione simbolica alle operazioni, priorità per gli armamenti statunitensi e soprattutto fedeltà politica incondizionata. A lungo andare, lo spirito di difesa si diluisce e il senso di responsabilità scompare. Non a caso il generale de Gaulle decise di ritirare la Francia dalle strutture di comando integrate. Come disse lui stesso: “Ciò che accade nell’integrazione è che il Paese integrato perde interesse per la propria difesa nazionale perché non ne è responsabile. L’Alleanza nel suo complesso perde di conseguenza la sua forza e la sua resistenza”[6] e, per inciso, anche l’intera Europa.

***

[1] Esame e votazione del progetto di legge sull’adesione della Finlandia e della Svezia, Commissione per gli affari esteri, 27 luglio 2022.
[2] Rapporto sull’adesione della Finlandia e della Svezia, di Jean-Louis Bourlanges, Commissione per la difesa nazionale e le forze armate, Assemblea nazionale, 27 luglio 2022.
[3] Strategic Foresight Analysis, Region Perspectives Report on the Arctic, NATO ACT, aprile 2021.
[4] Dichiarazione di Catherine Colonna all’Assemblea nazionale, 2 agosto 2022.
[5] Relazione sull’adesione di Finlandia e Svezia, di Christian Cambon, Commissione Affari esteri, Difesa e Forze armate, Senato, 20 luglio 2022.
[Charles de Gaulle, conferenza stampa dell’11 aprile 1961.

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Questioni strategiche globali rispecchiate dagli eventi in Niger, Elena Kharitonova

Ulteriore conferma di quanto sostenuto dal sito Italia e il mondo in questi ultimi anni. Come via di fuga rimangono l’Algeria, con i suoi giacimenti in via di esaurimento e il forte legame con la Russia e i giacimenti nel Mediterraneo Orientale, scoperti in gran parte dall’ENI ma sulla cui gestione si sono intromessi pesantemente Stati Uniti, Gran Bretagna e, in subordine, Turchia. Il cappio si stringe. Giuseppe Germinario

Questioni strategiche globali rispecchiate dagli eventi in Niger
08.08.2023
Elena Kharitonova
© Reuters
Il 26 luglio 2023 si è verificato un colpo di Stato in Niger, dove un gruppo di soldati della guardia presidenziale guidati dal generale Omar Tchiani ha bloccato l’ufficio del capo di Stato in carica nella capitale dello Stato, Niamey.
Niger, tradotto dalla lingua dei Tuareg sudorientali, significa “grande fiume” o “fiume dei fiumi”. Il Niger è uno dei Paesi più poveri del mondo; il Paese dell’Africa occidentale fa parte dei cosiddetti “Cinque del Sahel”. È un’ex colonia francese senza sbocco sul mare e la maggior parte del suo territorio si trova nel deserto del Sahara. Infine, il Niger fornisce circa il 40% dell’uranio per l’industria nucleare francese. Il Niger si è rivelato oggi centrale per gli interessi strategici di diversi attori globali.

Gli eventi in Niger si sono sviluppati rapidamente. Il 27 luglio, i militari della Guardia presidenziale hanno annunciato la rimozione del presidente Mohamed Bazoum, la chiusura delle frontiere dello Stato, l’introduzione del coprifuoco, la sospensione di tutte le istituzioni del Paese e il divieto di qualsiasi attività dei partiti politici. È stato lanciato un monito contro i tentativi di intervento militare straniero.

Il governo filo-occidentale di Mohamed Bazoum è stato sostituito da quello del generale Abdurrahman Tchiani, che si è dichiarato presidente del Consiglio nazionale per la salvezza della patria. Il principale partito di opposizione del Niger ha espresso il suo sostegno al nuovo governo e migliaia di cittadini hanno marciato verso l’ambasciata francese a Niamey chiedendo la chiusura delle basi militari straniere, americane e francesi. Il nuovo governo ha immediatamente dichiarato la sua posizione anti-occidentale, il suo orientamento anti-coloniale, il suo orientamento verso la sovranità economica e i sentimenti filo-russi nel Paese. Mohamed Bazoum non ha previsto di partecipare al vertice Russia-Africa, aderendo a una posizione filo-occidentale. Dopo essere stato rimosso dalla presidenza, Bazoum ha chiesto agli Stati Uniti di aiutarlo a tornare al potere, dichiarando il suo impegno per i valori democratici.

La valutazione degli eventi da parte delle diverse parti in conflitto è stata diversa. Alla sessione plenaria del Vertice Russia-Africa, apertosi il giorno successivo al colpo di Stato, il presidente dell’Unione Africana, Azali Assoumani, ha dichiarato: “Condanniamo fermamente gli eventi in Niger e chiediamo l’immediato rilascio del Presidente della Repubblica del Niger e della sua famiglia”.

Questa posizione è stata sostenuta dall’ECOWAS (la Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale), nota per il suo orientamento filo-occidentale. L’ECOWAS ha sospeso tutte le transazioni commerciali con il Niger, ha minacciato di congelare i beni dei militari coinvolti nel colpo di Stato e ha chiuso le frontiere. Secondo le fonti, i rappresentanti di alcuni Paesi dell’ECOWAS si sono dichiarati pronti a fornire truppe per un’operazione militare in Niger. Di fatto, l’ECOWAS ha agito come un pilastro dell’Europa. Il 4 agosto è emerso che i capi dei ministeri della Difesa dei Paesi dell’Africa occidentale avevano adottato un piano di intervento in Niger. Al nuovo governo è stato dato tempo fino al 6 agosto per ristabilire l’ordine costituzionale e ripristinare l’ex presidente. In caso contrario, secondo la Reuters, potrebbero essere inviate truppe in Niger per intervenire.

Tuttavia, questa opinione non riflette le posizioni di tutti i Paesi africani. Mali, Burkina Faso e Guinea hanno dato una valutazione diversa degli eventi in Niger, sottolineando che l’Africa si sta liberando dai dettami occidentali e dalla rapina neocoloniale del continente da parte delle sue ex metropoli. Hanno dichiarato che avrebbero considerato qualsiasi intervento militare negli affari interni del Niger come una dichiarazione di guerra contro di loro. L’Algeria ha adottato una politica analoga, che può essere vista come un serio sostegno alla leadership de facto del Niger.

I Paesi europei hanno condannato il colpo di Stato in Niger. Così, il portavoce del Ministero degli Esteri tedesco Sebastian Fischer ha dichiarato che la Germania, date le circostanze, sospende il sostegno finanziario al Niger (“Abbiamo sospeso tutti i pagamenti di sostegno diretto al governo del Niger”), e ha anche interrotto tutta l’assistenza al Paese, che era stata fornita “per il suo sviluppo”. Anche la Spagna, secondo il Ministero degli Affari Esteri del Regno, ha chiesto al Niger di ripristinare l’ordine costituzionale e ha deciso di sospendere la cooperazione bilaterale.

Subito dopo il colpo di Stato militare, Niger e Francia si sono “scambiati cortesie”: La Francia, che riceveva dal Niger il 40% dell’uranio per la sua industria nucleare, ha sospeso i programmi di sostegno finanziario del Niger fino al ripristino dell’ordine costituzionale nel Paese. Le nuove autorità nigerine, a loro volta, hanno sospeso l’esportazione di uranio e oro in Francia.

I Paesi europei hanno chiesto “il ripristino dell’ordine costituzionale” e “la liberazione del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum”. Questa reazione consolidata dei Paesi europei testimonia l’estremo interesse dell’Europa a ripristinare lo status quo in Niger, così come degli Stati africani associati al Niger, che agiscono come un fronte unito – “per” il nuovo governo del Niger e la sua politica anti-occidentale e anti-coloniale, nonché “contro” l’Europa che, nonostante l’indipendenza formale dei Paesi africani, continua a perseguire una politica economica neo-coloniale in Africa.

La situazione sta cambiando rapidamente, quindi passiamo alle tendenze sostenibili.

All’inizio degli anni 2000, i leader dei principali Stati europei erano Jacques Chirac in Francia, Gerhard Schroeder in Germania e Silvio Berlusconi in Italia. Erano uniti dall’idea di sviluppare l’Europa utilizzando la Russia come base per le risorse. Era l’idea della “Grande Europa”, un’Europa “da Lisbona a Vladivostok”. Queste idee furono inizialmente espresse da Charles de Gaulle.

Il successo dello sviluppo del progetto della Grande Europa – la combinazione di risorse russe a basso costo e tecnologia occidentale, l’indipendenza della politica perseguita e l’unità nelle decisioni politiche – rappresentava una minaccia per l’egemonia globale degli Stati Uniti, e l’America intraprese una serie di azioni per neutralizzare questa minaccia.

L’azione più importante per bloccare il progetto della Grande Europa è stata la distruzione dei legami economici e politici tra la Russia e l’Unione Europea. Si presumeva che nel momento in cui i legami economici tra Europa e Russia fossero stati interrotti, gli Stati Uniti avrebbero sostituito gli idrocarburi russi con altre fonti. Da qui l’interesse per il gas naturale liquefatto americano, che viene trasportato da navi cisterna e costa all’Europa molto di più del gas di gasdotto russo.

La strategia americana per eliminare il concorrente e indebolire l’Europa, per bloccare il progetto della Grande Europa, aveva un carattere a lungo termine e un orizzonte di pianificazione che si estendeva per decenni nel futuro. La crescita della produzione di idrocarburi negli Stati Uniti, le pressioni per la fornitura di gas naturale liquefatto americano, il crescente inasprimento dell’ostilità tra la Federazione Russa, l’Unione Europea e il blocco NATO sono anelli della stessa catena.

Qual è il punto di partenza? Qual è la posizione dell’Europa oggi? La fornitura di vettori energetici dalla Russia è stata fortemente ridotta. Il costo di un chilowattora di elettricità in Germania è circa 4 volte superiore al costo di un chilowattora negli Stati Uniti. Di conseguenza, l’economia tedesca (la “locomotiva” tecnologica ed economica dell’Unione Europea) non può competere con le imprese statunitensi ed è costretta a trasferire i propri impianti produttivi dall’Europa all’America. Di fatto, l’Europa ha perso lo status di entità geopolitica che prende decisioni indipendenti. Si può dire che il piano strategico degli Stati Uniti per indebolire l’Europa, iniziato nei primi anni Duemila, stia andando bene. Le posizioni in Africa di Francia ed Europa, che sono state coinvolte nella colonizzazione del continente, si stanno indebolendo e in questi processi si può notare la coincidenza tra le decisioni interne africane, essenzialmente anti-neocoloniali, e gli interessi strategici degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, come spesso accade nella storia, la parte interessata può rimanere nell’ombra, non sempre agisce con le proprie mani e spinge anche gli altri partecipanti per indebolirli reciprocamente.

Allo stesso tempo, la Francia, che genera elettricità con le sue centrali nucleari (utilizzando l’uranio), ha mantenuto in gran parte la sua posizione economica e i suoi vantaggi. Questa circostanza, se ricordiamo la strategia statunitense di indebolire l’Europa ed eliminare virtualmente i concorrenti, fa della Francia un altro obiettivo degli Stati Uniti.

Ricordiamo che il Niger fornisce il 25% di tutte le forniture di uranio ai Paesi dell’UE e oltre il 35% dell’uranio per l’industria nucleare francese. Ora la Francia, di fatto, si trova in una situazione disperata. Per la Francia, la cessazione delle forniture di uranio da parte del nuovo governo nigerino equivale a una dichiarazione di guerra, simile all’incidente di Bailey. Senza l’uranio del Niger, la Francia dovrà affrontare una crisi energetica e un declino dello sviluppo economico, che porteranno a una situazione simile a quella che si sta verificando ora con l’economia tedesca, e creeranno i presupposti per un conflitto armato diretto in Africa.

Quindi, a seguito del colpo di Stato e dell’avvento al potere di un governo antieuropeo in Niger, l’Europa sta perdendo le sue posizioni in questa regione africana. La questione non riguarda solo i minerali (soprattutto l’uranio, senza il quale l’industria nucleare francese potrebbe andare in crisi). Per l’economia francese, la cessazione delle esportazioni di uranio dal Niger è un disastro.

Il punto è anche il blocco di un altro progetto su cui l’Europa, dopo il rifiuto degli idrocarburi russi, aveva riposto grandi speranze. Si tratta del progetto NMGP (Nigeria Morocco Gas Pipeline project), lungo 5.660 km, che, secondo il progetto, è il gasdotto sottomarino più lungo del mondo. Nell’estate del 2018, la National Petroleum Corporation (NNPC) della Nigeria e l’Autorità nazionale per gli idrocarburi e le miniere (ONHYM) del Marocco hanno firmato un accordo di partenariato. Il gasdotto Nigeria-Marocco-Europa, che dovrebbe passare attraverso il territorio del Niger, è un’alternativa alle forniture di gas dalla Russia ed è pensato per sostenere l’economia europea. L’Europa si è affrettata a coinvolgere la Nigeria, rendendosi conto che il suo benessere economico dipendeva da un gas naturale relativamente a buon mercato. Il nuovo governo del Niger permetterà che un gasdotto verso l’Europa passi attraverso il suo territorio, visto il marcato orientamento antieuropeo della sua politica? È un problema.

E qui inizia il divertimento. Con quale figura geometrica, che simboleggia il numero di parti interessate – “giocatori” – abbiamo a che fare? Quali sono le relazioni tra di loro, quali connessioni, paradossi e contraddizioni possiamo osservare nella situazione del colpo di Stato militare in Niger? Consideriamo l’esempio della costruzione del gasdotto NMGP.

Se il gasdotto non viene costruito, o se la sua costruzione viene ritardata o rallentata, chi ci rimette? L’Europa, la cui economia è già in declino senza gli idrocarburi russi. E chi ci guadagna? Il famigerato gas naturale liquefatto (LNG) americano. Il rafforzamento dell’Europa è contrario agli interessi della “nuova madrepatria”, gli Stati Uniti, interessati a bloccare qualsiasi progetto alternativo che possa competere economicamente e/o politicamente con l’America. L’Africa, come ha dimostrato la situazione del colpo di Stato in Niger, non è omogenea. Per quella parte di essa che è interessata a trarre profitto dalla vendita e dal transito del gas attraverso i suoi territori verso l’Europa, non è redditizio. Per quei Paesi africani per i quali la lotta al neocolonialismo e alla sovranità è una priorità, è vantaggioso.

Se in Niger viene ripristinato il precedente governo con la sua politica pro-europea (pacificamente o militarmente, non è ancora noto), aumentano le probabilità che il Paese costruisca un gasdotto. Chi ne beneficia? Sicuramente l’Europa. Chi non ne beneficia? L’America. E l’Africa? Ne trae vantaggio quella parte che si è affidata alla cooperazione con l’Europa a costo della propria sovranità. I Paesi del continente che cercano di difendere la propria sovranità, che vogliono resistere alle strategie neocoloniali – no.

Così, l’Europa, gli Stati Uniti, i Paesi africani europeisti e quelli più interessati alla sovranità stanno entrando nel prossimo round della lotta “anti-neocoloniale”. [È certamente una semplificazione dividere i Paesi africani in filo-occidentali (filo-europei) e anti-occidentali. Pertanto, sottolineiamo che abbiamo in mente solo la situazione specifica e la politica in relazione alla situazione del Niger]. Ma la figura geometrica che abbiamo annunciato ha un’altra faccia, ovvero la Russia. È vantaggioso per la Russia rafforzare le posizioni dell’Europa in Africa? No. Soprattutto nella situazione di massima severità della politica sanzionatoria dell’Unione Europea nel contesto delle decisioni politico-militari anti-russe. Così come l’America non è interessata a rafforzare l’Europa. Nella situazione attuale l’America si comporta in qualche modo come un osservatore esterno, anche se è Washington il principale beneficiario. Il Segretario di Stato americano Anthony Blinken il 4 agosto ha annunciato una parziale riduzione del sostegno finanziario al Niger, ma questa misura non si applica alle iniziative umanitarie e alimentari. Assistiamo alla paradossale coincidenza degli interessi di Russia e Stati Uniti nell’indebolimento della posizione dell’Europa in Africa. Ma non bisogna illudersi che questo possa servire almeno come base per un partenariato, e non bisogna dimenticare che la Russia per gli Stati Uniti fa parte della stessa “periferia” ribelle che ha dichiarato le sue rivendicazioni di sovranità. L’America è interessata a indebolire le posizioni della Russia in Africa. Inoltre, nell’attuale situazione con il Niger, avremo bisogno di volontà e saggezza non per indebolire, ma per mantenere e rafforzare le nostre posizioni in Africa.

A quali soluzioni africane è interessata la Russia? Tradizionalmente, la Russia ha sempre sostenuto la lotta anticoloniale dei Paesi del continente africano e ora, al vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, Vladimir Putin ha dichiarato il suo sostegno ai Paesi africani nel loro movimento per la sovranità. Così, il desiderio di sovranità del popolo nigerino e il rifiuto di sfruttare le risorse francesi del Paese trovano il sostegno della Russia. Per quanto riguarda i Paesi africani che scelgono la propria strada, esiste una formula eccellente: “problema/i africano/i – soluzione africana”, e la Russia riconosce il diritto dei Paesi africani di fare la propria scelta. Faremo del nostro meglio per diventare un partner forte e affidabile per i Paesi africani, con cui percorrere il loro cammino. E se la Russia rafforza la sua posizione in Niger e nei Paesi della regione con essa consolidati, questo sarà un rafforzamento della sua posizione negoziale e una leva di pressione nella risoluzione di una serie di altre questioni globali acute?

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L’esercito ucraino sta cedendo – Michael Vlahos

L’esercito ucraino sta cedendo – Michael Vlahos Compact Magazine
03.08.2023
Un esercito sconfitto e uno distrutto sono due cose diverse. Un esercito semplicemente sconfitto in battaglia può spesso ritirarsi con successo, riformarsi e ricostituire la propria forza, come fece Roma dopo l’umiliazione di Cannae, distruggendo alla fine la sua grande rivale, Cartagine. Ma quando interi eserciti si spezzano, quando perdono la volontà di combattere, anche l’intera nazione può spezzarsi. È quello che è successo ai grandi imperi nella Prima Guerra Mondiale ed è anche il destino che attende l’esercito ucraino.

Come fa una nazione in guerra ad arrivare a un punto in cui i suoi combattenti si rifiutano di combattere?

Parte di ciò che distrugge un esercito è il logoramento, che deriva sia dalle perdite che dai traumi che accompagnano le perdite sul campo di battaglia. Il trauma tra i sopravvissuti li logora. La loro vitalità come forza combattente fuoriesce tanto da coloro che non sono stati colpiti quanto dai feriti, così come continuano a fuoriuscire l’ardore e la speranza, energie da cui dipendono le prestazioni in combattimento.

“Quanto può sopportare un esercito prima di crollare?”.

Quindi, l’attrito è “logoramento”, sia fisico che psicologico. Quanto può essere logorato un esercito prima di crollare? Nell’esercito confederato prestarono servizio circa un milione di persone: 350.000 morirono e altri 200.000 circa furono feriti. Si trattava di un logoramento davvero impressionante – la metà di tutti gli uomini che combatterono – per un esercito che, alla fine, si arrese all’Unione ancora intatto. Il loro capitano si arrese piuttosto che combattere una guerra persa, e i soldati che lo avrebbero seguito all’inferno deposero le armi.

Sempre per contrasto, dal 1914 al 1918, 6 dei 7 eserciti delle grandi potenze si ruppero, provocando ammutinamenti, arrese e rivoluzioni. Le perdite in battaglia furono impressionanti, anche se nessuna si avvicinò all’apocalisse confederata (pari al 5,38% della popolazione del Sud). La Germania perse il 3,1% della sua popolazione, la Francia il 3,6%.

Le perdite, tuttavia, sono solo una parte dell’equazione del logoramento. Con il tempo, prosciugano l’ardore e la speranza che raggiungono il culmine quando la guerra viene dichiarata per la prima volta, prima che venga versato il sangue. Tuttavia, anche un esercito esausto e scoraggiato continuerà a combattere finché i suoi soldati rimarranno impegnati nella causa. Per questo, nella Prima Guerra Mondiale, eserciti che avrebbero subito decine di migliaia di perdite in un solo giorno – la Gran Bretagna ne ha subite 60.000 il primo giorno sulla Somme; l’Italia ne ha perse 350.000 in 17 giorni a Caporetto – hanno in qualche modo continuato a combattere.

Tuttavia, l’impegno si affievolirà e poi fallirà se e quando si verificheranno altri tre fattori. Considerateli come soffi di ritorno negativi, che infiammano la già negativa angoscia del logoramento:

Il primo soffio di ritorno negativo si ha quando una guerra iniziata con grandi speranze sembra improvvisamente non poter essere vinta. Le prime vittorie sono ormai un vecchio ricordo. Si perdono più battaglie di quelle vinte e i costi della battaglia continuano a salire fino alla soglia della sopportazione umana, per poi risalire. Il secondo è quando il sostegno esterno di amici e alleati inizia a svanire. Questo è un fattore negativo particolarmente acuto se il sostegno degli alleati è il fondamento emotivo della fiducia dell’esercito nella vittoria finale. In terzo e ultimo luogo, coloro che hanno iniziato la guerra, coloro che hanno promesso una strada lastricata di vittoria e che hanno giurato che il mondo avrebbe sostenuto l’esercito fino alla vittoria – non importa quanto tempo ci sarebbe voluto – sono sempre più visti come bugiardi e ingannatori. L’esercito, l’intera nazione, è stato tradito dai suoi leader.

Tutto questo si è abbattuto sull’Ucraina nelle ultime sei settimane.

Da quasi un anno non ci sono vittorie, nemmeno sanguinose e debilitanti come nella quarta battaglia di Karkhov. I leader occidentali continuano a professare che il loro sostegno continuerà. Tuttavia, l’Alleanza Occidentale ammette ora di non aver dato agli ucraini abbastanza materiale per ottenere anche modesti guadagni tattici nella loro offensiva sacrificale in corso – e lo sapeva fin dall’inizio. E sempre più spesso i comandanti delle unità ucraine accusano i capi superiori di averli usati semplicemente come carne da cannone per soddisfare i signori della NATO. Non solo plotoni, ma anche unità più grandi si stanno arrendendo alle forze russe. Il morale sta crollando.

Questo è il logoramento che si sta realizzando. Gli imperi caduti nel 1918 – Germania, Austria-Ungheria, Russia e Ottomani – hanno avuto bisogno di quattro anni per arrivare a questo punto. In un terzo di questo tempo, l’Ucraina ha perso il 2,5% della sua popolazione. Questo calcolo equivale a ciò che gli storici sovietici chiamavano “perdite insostituibili”, ossia tutti i soldati che non sarebbero mai tornati nei ranghi.

In realtà, le perdite reali dell’Ucraina potrebbero essere più elevate. Il calcolo delle perdite è un giudizio composito basato su un mosaico di metodologie serie, nonché su incaute ammissioni della NATO, degli ucraini e dei media occidentali, tutte sincronizzate con l’incontestabile misura delle perdite provata nella Prima Guerra Mondiale: la comparazione dei colpi di artiglieria. Ciò ha favorito la Russia rispetto all’Ucraina con un fattore fino a 10 a 1. Se si aggiunge l’inflessibile dedizione delle forze ucraine agli assalti con un alto numero di vittime, e l’altrettanta dedizione della Russia alla “conservazione della forza”, il quadro si presenta del tutto fosco per Kiev. Ora si accumulano nuove prove dell’entità della catastrofe ucraina, provenienti da molti vettori: semplicemente contando i necrologi ucraini o le schede SIM morte.

Ma questo solleva una domanda: Le forze russe sono in condizioni migliori? Sì. Dopo più di 500 giorni, lo sforzo bellico russo beneficia di un numero molto inferiore di perdite irrecuperabili, con un fattore di almeno 5 a 1; la fiducia di tutto l’esercito derivante dalla resilienza nei fallimenti, dal successo nell’adattamento sotto il fuoco e da un’arte operativa in rapida evoluzione; una serie di successi lungo il fronte e un’impennata nello slancio strategico; la sensazione in tutta la nazione che la Russia abbia gli uomini, gli strumenti e l’abilità sul campo di battaglia duramente conquistata per portare a termine il lavoro; e la vista dell’ultimo esercito ucraino, costruito dalla NATO, che brucia davanti ai loro occhi. Ciò che si aggiunge per la Russia, si sottrae all’Ucraina.

Nonostante l’alto numero di vittime dell’Ucraina, alcuni sostengono che la situazione generale sia salvabile. Tuttavia, il bilancio delle vittime è il fattore decisivo, perché le perdite in guerra devono essere confrontate con la salute e la stabilità dell’intera società. L’Ucraina ha quasi il più basso tasso di fertilità al mondo e un grafico di età in salita e in discesa per coorte demografica. In parole povere, gli uomini persi negli ultimi 500 giorni non genereranno una progenie. Ecco perché è importante fare i conti con le “perdite insostituibili” dell’Ucraina. Non sono solo i morti, ma anche i mutilati tra gli uomini che possono far crollare la società. È la spirale in cui è caduta la Francia dopo la Prima Guerra Mondiale: diverse centinaia di migliaia di uomini hanno perso uno o più arti. Ora sappiamo che l’Ucraina è lo specchio dell’orrore francese. 50.000 ucraini hanno perso uno o più arti, quasi come i 67.000 della Germania nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1914, i francesi erano 39 milioni. Nel 1940 erano 39 milioni.

Nel 1994 l’Ucraina contava 52 milioni di persone. Poi è arrivata la catastrofe: Prima i giovani migliori e più brillanti hanno cercato un futuro migliore nell’Unione Europea e in Russia. Poi il terrore dopo il 2014 ha accelerato il deflusso. Ora la guerra ha di fatto allontanato geograficamente metà della popolazione dalla propria terra. All’inizio del 2022 l’Ucraina era una nazione di circa 33 milioni di abitanti. Oggi, un quarto della popolazione del Paese, già ridotta, è fuggito nell’Unione Europea e un altro quarto si trova negli oblast’ ora russi o risiede come nuovo migrante nella stessa Federazione Russa. Con 20 milioni di abitanti, l’Ucraina è un po’ più grande dei Paesi Bassi e un po’ più piccola di Taiwan.

Tuttavia, in termini di perdite per popolazione, le perdite militari ucraine, dopo più di 500 giorni di guerra, si avvicinano a quelle subite dalla Germania nella Prima Guerra Mondiale in più di 1.500 giorni. Si tratta di un tasso di logoramento catastrofico, aggravato da tutti e tre i cicli di retroazione negativa che possono distruggere un esercito e una nazione. Per tutta la primavera e l’estate, le forze ucraine sono state gettate in battaglia e ridotte al suolo. Entro l’autunno, l’esercito combattente sarà esaurito – il tragico destino dell’Ucraina migliore nel 2023. A settembre, ciò che resta si contorcerà e si piegherà verso la rottura, nel vento implacabile della guerra.

https://www.voiceofeurope.com/the-ukrainian-army-is-breaking-michael-vlahos-compact-mag/?fbclid=IwAR2oLXxM7JgX-H987Pfabe_HtSKOEU91lw0BPDFmaTs5s7HSRUtM7yd1GtU

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Molto è in bilico nell’accordo sul grano, di  Antonia Colibasanu

Molto è in bilico nell’accordo sul grano

L’influenza regionale e la politica monetaria della Russia dipendono dal risultato.

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Il 21 luglio, la banca centrale russa ha aumentato il tasso di interesse di riferimento all’8,5%, citando i rischi inflazionistici derivanti da un mercato del lavoro rigido e da una forte domanda dei consumatori. È la prima volta che la banca alza i tassi da oltre un anno e potrebbero essercene altri in arrivo. La mossa arriva pochi giorni dopo che la Russia si è ritirata dall’accordo sul grano del Mar Nero mediato dalle Nazioni Unite perché, secondo Mosca, non ha mantenuto le sue promesse, che includevano la riconnessione di una banca russa al sistema internazionale SWIFT, la riapertura di un gasdotto per l’ammoniaca e la possibilità per le navi russe di attraccare nei porti internazionali.

L’accordo sul grano è stato stabilito alcuni mesi dopo la guerra in Ucraina per garantire che la Russia e l’Ucraina – due dei più importanti produttori di grano al mondo – potessero portare i loro prodotti sul mercato in modo sicuro, contribuendo così a mantenere bassi i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale. Il Mar Nero è fondamentale in questo senso, in quanto rappresenta circa il 30% delle esportazioni globali di grano e il 20% di quelle di mais. Ma la Russia ha iniziato a perdere interesse per l’accordo. La maggior parte delle sue esportazioni di grano sono dirette in Asia e, sempre più spesso, in America Latina, e quindi non hanno bisogno di passare attraverso il Mar Nero. (Il corridoio Nord-Sud, inaugurato di recente, è diventato il primo passo di una rete globale di porti e rotte che consente alla Russia di evitare completamente il Mar Nero). Nel frattempo, Mosca ha motivo di limitare le esportazioni. In questo modo proteggerebbe i consumatori nazionali, correggerebbe gli squilibri del raccolto dovuti a fattori ambientali e alleggerirebbe la pressione sul rublo.

Quest’ultimo punto è fondamentale. Il mantenimento del rublo è il motivo per cui la Russia ha bisogno di mantenere l’accordo sul grano e per cui il collegamento della banca agricola Rosselkhozbank, controllata dal governo, al sistema SWIFT è la richiesta chiave della Russia. Sempre più spesso la Russia si affida allo yuan cinese piuttosto che alle valute occidentali. Secondo l’ultima revisione della stabilità finanziaria della banca centrale, la quota dello yuan nel mercato dei cambi è salita a circa il 40% e nelle operazioni di commercio estero ha raggiunto il 25% per le esportazioni e il 31% per le importazioni nel maggio 2023. Insieme all’aumento della quota dello yuan, anche la quota del rublo nel commercio estero ha continuato a crescere, raggiungendo il 39% delle esportazioni e oltre il 30% delle importazioni.

Questo ha complicato le cose con i tradizionali alleati russi. L’uso prolifico dello yuan, una valuta non liberamente convertibile, ha reso la politica monetaria russa dipendente da Pechino e ha contribuito all’inflazione interna. Nel frattempo, recenti notizie suggeriscono che la debolezza del rublo ha causato problemi in Asia centrale, dove la Russia ha l’imperativo di contribuire a mantenere le popolazioni sicure e stabili.

Dynamics of U.S. Dollar/Russian Ruble Exchange Rate
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Tutto ciò spinge Mosca a voler controllare il flusso di dollari ed euro, entrambe valute convertibili. Anche se ci sono banche private occidentali che lavorano in Russia, e anche se ci sono alcune banche russe che sono ancora collegate a SWIFT, non sono controllate dal governo russo. Motivate dal profitto, queste banche manterranno il flusso in entrata e lo utilizzeranno per i loro scopi. Aumentare il tasso d’interesse è praticamente tutto ciò che Mosca può fare per affrontare l’inflazione. Ecco perché vuole ricollegare le sue banche pubbliche a SWIFT attraverso l’accordo sul grano.

Tuttavia, Mosca non è riuscita a convincere l’Occidente ad accettare le sue condizioni e gli ha dato un ultimatum di tre mesi per farlo. Per dimostrare di avere ancora una certa influenza sulle trattative, Mosca ha intensificato gli attacchi ai porti ucraini di Odesa, Mykolaiv e Chornomorsk. (Di recente, secondo i media ucraini, sono stati colpiti anche i porti di Ismail e Reni, entrambi sul Danubio, che rappresentano il primo attacco ai porti del Paese). L’Ucraina ha annunciato che avrebbe trattato tutte le navi dirette ai porti ucraini attraverso il Mar Nero come vettori di carichi militari, ha chiesto nuove esercitazioni militari e ha dichiarato di avere il diritto di bloccare le zone economiche esclusive degli Stati della regione del Mar Nero, anche di quelli della NATO.

Black Sea Major Ports
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Finora Mosca ha bloccato la costa ucraina e, secondo fonti locali, parte della zona economica bulgara, con il pretesto di tenere esercitazioni navali. Affermando di sospettare che tutte le merci dirette verso i porti ucraini trasportino carichi militari a sostegno di Kiev, la Russia afferma di avere il diritto di ispezionare le navi che transitano nel Mar Nero. Questo è probabilmente il motivo per cui la Russia ha bloccato il perimetro all’interno della zona economica bulgara: in modo che le sue navi da guerra potessero fermare le navi commerciali per ispezionarle, considerando che il perimetro è vicino alla costa occidentale del Mar Nero, dove il traffico commerciale navale è ancora attivo da e verso il Bosforo. Non è chiaro cosa farebbe la Russia se una nave commerciale non si fermasse per l’ispezione.

Russian Naval Exercise Perimeters, Jan 1 - Feb 17, 2022
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Ciò indica un crescente pericolo per le rotte commerciali essenziali del Mar Nero, che solleva la prospettiva di un’instabilità del mercato globale per qualsiasi cosa, dal petrolio ai prodotti alimentari ai fertilizzanti. I prezzi del grano sono in rialzo da quasi una settimana e le industrie del trasporto marittimo e delle assicurazioni stanno cercando di eliminare l’incertezza del mercato. Il mercato assicurativo dei Lloyd’s di Londra ha già inserito la regione del Mar Nero nella sua lista ad alto rischio. Tuttavia, il 18 luglio, l’assicuratore dei Lloyd’s Ascot ha dichiarato che la struttura assicurativa è in pausa, lasciando aperta la possibilità che la Russia possa rientrare nell’affare del grano. Non è chiaro cosa pensi l’assicuratore dopo giorni di pesanti attacchi alle strutture cerealicole di Odesa e degli altri porti, ma è ovvio che i premi per il rischio di guerra aumentano di giorno in giorno per tutti i corridoi di navigazione nel Mar Nero. La decisione della Russia ha di fatto ripristinato il blocco e trasformato il Mar Nero in una zona ad alto rischio di guerra.

Per l’Ucraina, questo ha costretto a trasportare un’enorme quantità di grano via fiume, strada e ferrovia, tutte vie difficili e costose. Al momento, il principale percorso alternativo per il corridoio del grano da Odesa al Bosforo è il porto rumeno di Costanza, che, come il resto delle infrastrutture rumene, è diventato sempre più importante dall’inizio della guerra. I cereali ucraini vengono spediti alla foce del Danubio e, da Sulina, il carico viene trasportato ulteriormente a Costanza (attraverso il Danubio e i suoi canali) e poi portato sul mercato via mare, ferrovia o strada. Nonostante la Romania abbia modernizzato le sue infrastrutture nell’ultimo anno – circa 2,5 milioni di tonnellate di grano ucraino transitano ora nel Paese, rispetto alle 300.000 tonnellate del marzo 2022 – i problemi logistici abbondano a causa della limitata capacità di trasporto e stoccaggio.

Pur essendo limitata, la Romania potrebbe comunque implementare diversi miglioramenti per espandere il flusso dall’Ucraina e compensare parzialmente il collasso dell’accordo sul grano. Attualmente, a causa del rischio rappresentato dalle mine sottomarine e della mancanza di segnali notturni sul Canale del Danubio Sulina, le navi navigano solo di giorno. Inoltre, il peso medio delle navi che passano per Sulina è di circa 5.600 tonnellate. Introducendo la navigazione notturna, aumentando la capacità delle navi a 15.000 tonnellate, incrementando l’uso della rete ferroviaria e delle strutture portuali di Galati sul Danubio, la Romania potrebbe movimentare fino a 3,5 milioni di tonnellate di grano ucraino in più in media ogni mese. Tuttavia, poiché la capacità di scarico rimarrà sostanzialmente invariata, il risultato potrebbe essere solo una maggiore congestione. Inoltre, con il raccolto annuale appena entrato nella stagione della raccolta, le sfide aumenteranno.

È importante notare che la Russia ha motivi per intensificare gli attacchi nell’Ucraina meridionale indipendentemente dall’accordo sul grano. Mosca preferirebbe ricollegarsi a SWIFT, ovviamente, ma flettere i muscoli militari in un momento di percepita debolezza ha anche un valore politico. Dimostra al popolo russo che le forze armate sono ancora capaci nonostante le battute d’arresto e dimostra all’Occidente che ci sono conseguenze se Mosca non ottiene i suoi risultati.

Black Sea Maritime Traffic, October 2022
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FDa parte sua, l’Occidente non ha molte risposte praticabili. La Romania e la Bulgaria hanno migliorato le capacità missilistiche antinave costiere, ma sono ancora in ritardo. I ritardi nelle forniture di difesa degli Stati Uniti hanno aumentato la pressione sugli Stati costieri nelle immediate vicinanze dell’Ucraina. La Turchia ha una capacità navale avanzata e in teoria potrebbe collaborare con la Romania e la Bulgaria (tutti Stati membri della NATO) per fornire una scorta armata alle navi commerciali nel Mar Nero. Romania e Bulgaria si stanno coordinando per il controllo delle mine lungo la costa e la NATO potrebbe anche fornire supporto a terra. Tuttavia, la NATO è un’organizzazione militare con una componente politica, in gran parte guidata dagli Stati Uniti. I Paesi del Mar Nero hanno chiesto agli Stati Uniti di adottare una strategia per il Mar Nero, nella speranza che la NATO possa seguirne l’esempio. Lo sviluppo di questo tipo di strategie richiede tempo.

Black Sea Maritime Traffic, July 2023
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La Russia userà questo tempo a suo vantaggio. Colpire le coste del Mar Nero e le infrastrutture portuali ucraine serve all’obiettivo strategico a lungo termine della Russia: distruggere il settore più produttivo rimasto all’Ucraina, l’agricoltura, che costituisce circa il 40% del PIL ucraino. Ci sono circa 18 milioni di tonnellate di grano immagazzinate nei silos ucraini dall’anno scorso – più della metà della produzione annuale – perché non è stato possibile farle uscire. L’accordo sul grano ha aiutato, naturalmente, così come la creazione di nuove rotte attraverso la Romania e la Polonia, ma non è stato sufficiente.

Il blocco e gli attacchi russi alle infrastrutture portuali rendono improbabile che l’Ucraina sia in grado di trasferire presto la sua produzione sul mercato. Il risultato finale che la Russia vuole ottenere è che l’Ucraina non partecipi al mercato internazionale del grano né quest’anno né nel prossimo futuro. L’incapacità di spostare le eccedenze di grano sul mercato ha già ucciso gran parte dell’attività cerealicola ucraina di quest’anno.

Senza un’industria su cui contare (la maggior parte era situata nelle aree orientali ora occupate dalla Russia) e senza un’agricoltura funzionante, non rimane molto dell’economia ucraina. Anche se l’Occidente promette di aiutare l’Ucraina a ricostruire, non c’è nulla di facile nel processo di ricostruzione socio-economica. Per la Russia, rendere le cose difficili a lungo termine è un modo sicuro per portare Kyiv sotto la sua influenza. La Russia avrà probabilmente problemi propri, quindi la sua pressione su Kiev potrebbe essere meno aggressiva di quanto vorrebbe, ma le sue azioni attuali sono progettate per poter fare pressione su Kiev in seguito, anche se dovesse perdere la guerra cinetica.

Antonia Colibasanu is Senior Geopolitical Analyst and Chief Operating Officer at Geopolitical Futures. She has published several works on geopolitics and geoeconomics, including “Contemporary Geopolitics and Geoeconomics” and “2022: The Geoeconomic Roundabout”. She is also lecturer on international relations at the Romanian National University of Political Studies and Public Administration. She is a senior expert associate with the Romanian New Strategy Center think tank and a member of the Scientific Council of Real Elcano Institute. Prior to Geopolitical Futures, Dr. Colibasanu spent more than 10 years with Stratfor in various positions, including as partner for Europe and vice president for international marketing. Prior to joining Stratfor in 2006, Dr. Colibasanu held a variety of roles with the World Trade Center Association in Bucharest. Dr. Colibasanu holds a master’s degree in International Project Management, and she is an alumna of the International Institute on Politics and Economics at Georgetown University. Her doctorate is in International Business and Economics from Bucharest’s Academy of Economic Studies, and her thesis focused on country-level risk analysis and investment decision-making processes by transnational companies.

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Andrey Morozov “Murz” commenta la situazione con KDZ

Qui sotto un piccolo spaccato di paradossale quotidianità descritto dall’interno della macchina militare russa. Da precisare che una macchina militare in moto e in via di trasformazione e adeguamento all’andamento di un conflitto presenta sempre degli aspetti paradossali frutto della complessità e delle dinamiche politiche e di gruppo presenti in essa. Un testo comunque significativo, Giuseppe Germinario

Andrey Morozov “Murz” commenta la situazione con KDZ per i carri armati:

Ecco una grande illustrazione di cosa e chi è ostacolato dai volontari (qui e qui).

La storia per intero è questa.

Parte 1. Seconda metà del 2022.

Un gran numero di carri armati delle prime serie dei modelli T-72, T-64 e T-80 vengono prelevati dai depositi e consegnati alle truppe. Sono rimasti in deposito “fino all’ultimo” proprio perché le prime serie. “A chi serve questa robaccia?”.

Parte 2. Allo stesso tempo.

Mentre al pubblico vengono mostrati servizi di grande effetto su come i carri armati T-62 più vecchi siano usciti dalle fabbriche tutti “a testa in giù”, saldati con contenitori di protezione dinamica, KDZ, molti carri armati T-72, T-64 e T-80 della prima serie passano dal deposito direttamente al fronte. Non solo, sono in condizioni tecniche deplorevoli, che fanno ululare anche un adepto della setta “L’esercito ha tutto” come Shurygin. Non sono dotati di KDZ, il che significa che in combattimento questi carri armati sono impotenti non solo contro i giavellotti o i NLAW, ma anche contro le munizioni convenzionali dei moderni lanciagranate anticarro, contro i quali questa difesa dinamica dovrebbe proteggere.

Parte 3. Inverno 2022-2023.

Le truppe cercano di procurarsi dei contenitori di protezione dinamica presso i servizi di approvvigionamento. In modo regolare, come lo chiamano loro, per ottenere ciò di cui hanno bisogno. Si scopre che le stesse piastre di difesa dinamica, che vengono inserite nei contenitori, sono disponibili. La logica della loro presenza è semplice – anche se le piastre sono semplicemente stoccate nei magazzini e mai messe nei container sui serbatoi (e in tempo di pace non ci sono, perché le piastre sono plastite, esogeno plastificato, esplosivi, che, dopo l’installazione nel KDZ da “ruba e vendi” sono separati solo da due bulloni non sballati, a cui è fissato il container), ogni 10 anni queste piastre hanno una data di scadenza, la plastite perde le proprietà necessarie per il corretto funzionamento, e devono essere sostituite anche nei magazzini. Per quanto riguarda i contenitori, si presume che, una volta montati sul serbatoio, rimangano sul serbatoio per tutta la sua vita. Il fatto che nelle battaglie il carro armato possa perdere i contenitori durante i colpi, e molti di essi, non è previsto. In generale, l’utilità di un equipaggiamento vecchio, ma non ancora economico e, soprattutto, urgentemente necessario per le truppe, è limitata dalla mancanza di contenitori in ferro, che sono montati sui carri armati su barre filettate saldate. La scienza non sa se i contenitori non fossero affatto disponibili in origine (il che è dubbio), o se ce ne fossero pochi e si fossero esauriti, o se tutti o la maggior parte fossero stati rottamati prima della SWO. Le truppe non riescono a procurarsi i contenitori, taki o semplicemente non vanno in battaglia, o vanno a morire senza un cazzo di motivo.

Parte 4. Inverno-primavera 2023.

Il compagno Rodriguez, che dal 2014 è impegnato ad aiutare i difensori del Donbass, dopo aver sentito questa storia dai carristi, si sta assumendo la responsabilità di avviare la produzione di container di difesa dinamica “Contact-1” vicino a Kaluga. Per ogni carro armato sono necessari fino a 300 contenitori di questo tipo. Inizia la produzione, inizia pezzo per pezzo la “vestizione” dei carri armati.

Parte 5. Primavera-estate 2023.

Come nel caso di molte altre esigenze del fronte, la storia della produzione di contenitori dinamici per la difesa viene raccolta dalla gente che vuole che il proprio esercito vinca ed è pronta ad aiutare in ogni modo. Diverse industrie metalmeccaniche e gruppi di volontari iniziano a produrre DDC Contact-1.
Nel tentativo di affrontare questa situazione a livello statale, per così dire, Rodriguez sta facendo in modo che i vertici militari russi inviino un’inchiesta parlamentare sulla questione (vedi questo link all’inizio del post).

Estate 2023, inizio agosto. FINALE (vedi questo link all’inizio del post).

Le truppe ricevono una direttiva urgente dai vertici dell’esercito: “Inviare con urgenza i certificati ufficiali che attestano che tutto è disponibile, i carri armati sono dotati di tutto, non ci sono “balle””. E iniziano le sanzioni contro quei militari che si sono rivolti ai volontari per chiedere aiuto.

Tutto è in ordine. Il certificato inviato ai piani alti che un carro armato “pelato” ha un CDZ proteggerà i carristi dai lanciagranate e dagli ATGM nemici.

Devo dire che si tratta di una vera e propria puttanata, fatta a favore della conservazione delle spalline da parte di un gruppo di portatori di spalline?

Dire che non basta sparare per questo ed è necessario sparare in modo che nessuno si senta piccolo?

Sì, sì, sì. A che serve dirlo? Rodriguez si è limitato a scrollare le spalle dopo l’esito alquanto prevedibile dell'”inchiesta parlamentare” e ha continuato a organizzare la KDZ ai petrolieri.

In realtà, qui c’è una mega illustrazione di chi e come interferiscono i volontari che lavorano per lo Stato.

E sì, la collisione con la realtà dei simulacri, fatta di bugie totali, sarà molto terribile e molto sanguinosa.

Nei commenti a questo servizio di KDZ sul canale di Rodriguez, una persona ingenua si lamenta:

Onestamente, non capisco gli ufficiali delle unità in guerra che creano bei rapporti per compiacere i vertici. Cosa rischiate se non la vostra vita? Qualcosa con la carriera non funzionerà? Avete un atteggiamento infantile nei confronti dei problemi. Al contrario, dovete andare il più possibile al sodo e pretendere ciò che vi spetta. Non è tempo di pace.

In generale, l’uomo ha ragione. In fondo siamo russi, non abbiamo bisogno di vivere. Bene, hai causato il disappunto dei tuoi superiori, bene, sei stato mandato in un battaglione penale (per il travestimento chiamato “Tempesta Z”, dove tutti i koseporov e gli zaletchikov sono indicati e dove i prigionieri sono mandati a combattere), bene, sei morto al prossimo “assalto di carne”. Cosa non ti piace? Non sei russo, ragazzo? Apri l’Enciclopedia della vita russa di Pushkin. L’ho aperta al capitolo 4, prima strofa.

Dove i giorni sono nuvolosi e brevi, nasce una tribù che non ha dolore nel morire.

Petrarca

Perché cazzo non vuoi andare in paradiso, ragazzo? Se non hai vissuto riccamente, non dovresti nemmeno cominciare. Saggezza popolare. Non è il Dipartimento di Stato che ti piscia nelle orecchie.

Vi svelo il segreto della motivazione degli ufficiali di combattimento, che devono sopportare le bugie dei capi. Non è che abbiano “paura di essere presi nella tempesta Z”. È che l’ufficiale ha dei subordinati. I suoi uomini. Persone che ogni giorno e ogni ora rischiano la vita sotto il suo comando, che gli affidano la loro vita. E lui cerca di tenerli al sicuro. Cioè, a volte non li risparmia affatto, pretende di scavare trincee più profonde e di dormire meno la notte, di organizzare postazioni appaiate invece che singole, ma è così che li risparmia. E cerca di capire come combattere per perdere meno uomini. E si rende conto che al suo posto, quando lo metteranno in un’unità di punizione, manderanno qualche stronzo inesperto che li abbatterà sul posto, o uno stronzo in carriera che si farà una stella sulle ossa dei suoi uomini. Per questo accetta, quando è inevitabile, le bugie del superiore sulla situazione al superiore ancora più grande, e porta la realtà alla gente per bocca dei volontari, ai quali si rivolge per chiedere aiuto.

Allo stesso tempo, quando si tratta direttamente dei suoi soldati, delle loro vite e dei loro destini, si alza in piedi e non si lascia smuovere.

Mi permetto un piccolo esempio dalla vita del nostro leggendario combattente, il defunto Alexei Gennadyevich Markov, nome di battaglia “Dobryy”. Un esempio dai tempi degli “accordi di Minsk due volte alternativi”, quando si arrivò davvero, senza scherzi, ad incriminare i soldati e i comandanti della Milizia Popolare che sparavano contro gli ucraini durante il cessate il fuoco, e i “consiglieri” inviati dalla Russia urlavano alle riunioni del consiglio: “So tutto! Siete i primi a sparare! Ho un compagno di studi dall’altra parte, non mi mentirà!!!”. (Come si capisce, a volte c’erano persone che chiedevano tranquillamente dalle ultime file al proprietario di un mutuo militare e ad altri pacchetti sociali delle Forze Armate della RF se volesse andare a prestare servizio con un compagno di studi. Ma non stiamo parlando di un episodio del genere, “Dobry” per lo più sopravviveva a tali passaggi di “non costume” stoicamente, senza commentare).

Quindi il caso era questo. Chiamano “Buono” dal quartier generale dell’Arma.
– C’è stata una sparatoria lì qualche tempo fa, si lamentano gli ucraini. Datemi, – dicono, – uno o due nomi di combattenti per le indagini.
“Ah, quindi i nostri sono stati colpiti e gli Ukrops ora saranno un po’ più tranquilli. È una buona cosa!”. – “Bene” pensa tra sé e sé e risponde:
– Mi dispiace, non ve lo permetterò. Non vi darò i miei uomini “sotto inchiesta”!
– Bene, dateli a me, – piagnucolano dal Corpo, – vi rendete conto che tutte queste indagini sono una stronzata e non succederà nulla. Vi daranno un’ammonizione, o qualcos’altro. Forza, dettate.
– Ok, – dice il comandante, ben consapevole di come questa “stronzata” possa effettivamente finire per il soldato o l’ufficiale che ha “fatto la spia”. – Scrivi. Il tal giorno alla tal ora, in flagrante violazione dell’ordine di cessate il fuoco, il tenente colonnello Markov A.G. ha sparato tre colpi da un lanciagranate anticarro SPG-9 dalla posizione tal dei tali verso il nemico, dopo di che ha sparato 29 colpi da un lanciagranate automatico AGS-17, dopo di che si è spostato alla posizione del mortaio….
[brevi segnali acustici]

Per l’ennesima volta ripeto che i volontari che sono entrati in questa situazione dopo l’inizio della SWO, che il pubblico, che ha scoperto questo lato della vita allo stesso tempo, molto, molto, molto manca di esperienza di lavoro militare-volontario nel Donbass nel 2015-2022. Quelli, per esempio, che erano a Debala, secondo i rapporti della netcentrica presi in tre giorni (in realtà – tre settimane di sanguinoso tritacarne mediocre), non ridono o si meravigliano di questo circo.

“Alcuni fanno il loro lavoro con un pugnale nella schiena, altri svengono dopo aver calpestato un chiodo. Così è la vita” (c) V.V. Kamsha “Winter Rift. Volume 1: Dalle profondità” (serie “Riflessi di Aeternus”)

Андрей Морозов “Мурз” комментирует ситуацию с КДЗ для танков :

Вот вам прекрасная иллюстрация того, чему и кому мешают волонтёры (здесь и здесь).

История полностью выглядит так.

Часть 1. Вторая половина 2022 года.

С хранения поднимается и поставляется в войска большое количество танков старых, ранних, серий моделей Т-72, Т-64 и Т-80. Стояли они на хранении “до последнего” именно по причине того, что ранние серии. “Кому нужно это старьё?”

Часть 2. Тогда же.

Пока общественности показывают бравурные репортажи о том, как массово поднимаемые с хранения ещё более старые танки Т-62 выезжают с заводов все “с ног до головы” обваренные контейнерами динамической защиты, КДЗ, множество танков Т-72, Т-64 и Т-80 ранних серий едут с хранения прямо на фронт. Мало того что в прискорбном тех.состоянии, от которого начинает выть даже такой адепт секты “У армии всё есть” как Шурыгин. КДЗ на них не ставят, то есть в бою эти танки бессильны не только против “Джавелинов” или NLAW, но и против обычных боеприпасов современных противотанковых гранатомётов, от которых эта динамическая защита должна защищать.

Часть 3. Зима, 2022-2023 годов.

В войсках пытаются добыть контейнеры динамической защиты у служб снабжения. Штатным, что называется, образом, получить необходимое. Выясняется, что сами пластины динамической защиты, которые ставятся в контейнеры, в наличии есть. Логика их наличия проста – даже если пластины просто хранятся на складах и никогда не ставятся в контейнеры на танки (а в мирное время их там нет, потому что пластины – это пластит, пластифицированный гексоген, взрывчатка, которую, после установки в КДЗ от “стырить и продать” отделяют только два не ополомбированных болта, на которые закреплён контейнер), каждые 10 лет у этих пластин выходит срок годности, пластит теряет необходимые для правильной работы свойства, и их надо менять даже на складах. По контейнерам же предполагается что как поставили – так они на танке на всю его жизнь. То, что в боях танк может терять контейнеры при попаданиях, причём много, не предусмотрено. В общем, осмысленность пребывания в войсках старой, но всё ещё отнюдь не дешёвой и , главное, позарез нужной войскам, техники упирается в отсутствие железных коробочек, которые крепятся на танках на привариваемые резьбовые шпильки. Не было ли контейнеров изначально вообще (что сомнительно) или их было мало, и они кончились, или их все или большую часть сдали на металлолом до СВО – науке неизвестно. Контейнеры войска получить не могут, таки или просто не идут в бой, или идут и гибнут ни за хрен собачий.

Часть 4. Зима-весна 2023 года.

Товарищ Родригес, занимающийся помощью защитникам Донбасса с 2014-го года, выслушав эту историю от танкистов, взваливает на себя ещё и запуск у себя под Калугой производство контейнеров динамической защиты “Контакт-1”. Для каждого танка таких контейнеров надо до 300 штук. Производство стартует, начинается поштучное “одевание” танков.

Часть 5. Весна-лето 2023 года.

Как и в случае со многими другими нуждами фронта, история с изготовлением контейнеров динамической защиты оказывается подхвачена народом, который желает своей армии Победы и готов помогать всем, чем может. Различные работающие с металлом производства и волонтёрские группы начинают производство КДЗ “Контакт-1”.
В попытке разобраться с этой ситуацией на государственном, так сказать, уровне, Родригес добивается отправки депутатского запроса по данному вопросу к российскому военному руководству (см. вот эту ссылку в начале поста).

Лето 2023 года, начало августа. ФИНАЛ. (см. вот эту ссылку в начале поста.)

В войска от армейского руководства срочно приходит директива “Срочно прислать официальные справки о том, что всё есть, танки всем обеспечены, никаких “лысых” нет”. И начинаются санкции против тех военных, которые обратились за помощью к волонтёрам.

Всё в порядке. Отправленная наверх справка о том, что на “лысом” танке есть КДЗ, защитит танкистов от вражеских гранатомётов и ПТУРов.

Сказать, что это – конченое блядство, творимое в угоду сохранению группой носителей погон оных погон?

Сказать, что за это мало просто расстреливать и надо расстреливать так, чтобы мало никому не показалось?

Ну да, ну да. А толку всё это говорить? Родригес вон просто пожал плечами после немного предсказуемого итога “депутатского запроса” и пошёл дальше организовывать КДЗ танкистам.

Собственно, вот вам меганаглядная иллюстрация того, кому и как именно мешают волонтёры, делающие работу за государство.

И да, столкновение с реальностью симулякров, состоящих из тотальной лжи, оно будет очень страшным и очень кровавым.

В комментариях к этой истории с КДЗ на канале у Родригеса наивный человек сокрушается:

Вот честное слово, не понимаю офицеров из воюющих подразделений, которые лепят красивые доклады, чтобы наверху понравилось. Чем вы рискуете кроме жизни? Что то с карьерой не сложится? Какое то инфантильное отношение к проблемам. Наоборот, нужно максимально лезть в залупу и требовать свое. Чай, не мирное время…

В общем, человек типа прав. Мы ж всё-таки русские люди, нам жить не надо. Ну, вызвал ты неудовольствие начальства, ну отправили тебя в штрафбат (для маскировки называемый “Шторм Z”, куда ссылаются все косепоры и залётчики и куда пригоняют воевать зэков), ну умер ты на очередном “мясном штурме”. Что тебе не нравится? Ты што, мальчик, не русский? А ну-ка Пушкена открыл, энциклопедию русской жизни, на. Открыл на главе 4-й строфе 1-й.

Там, где дни облачны и кратки, родится племя, которому умирать не больно.

Петрарка

Ну и хули тебе, мальчик, в рай-то не охота? Не жили богато, нехер и начинать. Народная мудрость. Не Госдеп в уши нассал.

Раскрываю тайну мотивации боевых офицеров, которые вынуждены смиряться с начальственным враньём. Дело здесь не в том, что им “страшно попасть в “Шторм Z”. Дело в том, что у офицера есть подчинённые. Его люди. Люди, ежедневно и ежечасно рискующие жизнью под его командованием, доверяющие ему свою жизнь. И он старается их беречь. То есть иногда он их совершенно не жалеет, требует копать окопы глубже, а ночью спать меньше, выставляя парные посты вместо одиночных, но этим он их и бережёт. И пытается придумывать как воевать так, чтобы терять поменьше людей. И он понимает. что на его место, когда его засунут в штрафбат, пришлют какого-нибудь долбоёба неопытного, который их положит на ровном месте, или еблана-карьериста, который на костях его людей сделает себе звёздочку. И поэтому он смиряется, когда это неизбежно, с начальственным враньём о ситуации в адрес ещё большего начальства, а реалии доносит до народа устами волонтёров, к которым обращается за помощью.

При этом, когда дело касается его солдат, их жизней и судеб напрямую, он встаёт горой и хер сдвинешь.

Позволю себе небольшой пример из жизни легендарного нашего комбата покойного Алексея Геннадьевича Маркова, позывной “Добрый”. Пример времён “Дважды безальтернативных Минских соглашений”, когда дело реально, без шуток, доходило до уголовок на солдат и командиров Народной Милиции, открывавших ответный огонь по украм во время перемирия, и присланные из России “советники” орали на совещухах: “Я всё знаю! Вы первые стреляете! У меня на той стороне сокурсник по училищу служит, он мне врать не будет!!!” (Как вы понимаете, иногда находились люди, тихонько спрашивавшие с задних рядов у обладателя военной ипотеки и прочего соцпакета ВС РФ, не хочет ли он пойти послужить к сокурснику. Но речь не о подобном эпизоде, “Добрый” такие пассажи “нерастаможенных” в основном переживал стоически, в слух не комментируя.)

Так вот какой был случай. Звонят на штаб “Доброму” со штаба Корпуса.
– У тебя там давеча стрельба была, укропы нажаловались. Дай, – говорят, – одну-две фамилии бойцов для расследования.
“Ага, значит наши попали и укропы теперь немного потише будут. Это хорошо!” – думает про себя “Добрый” и отвечает:
– Извините, не дам. Я своих людей вам “сдавать под расследование” не буду!
– Ну дай, – канючат с Корпуса, – ты же понимаешь, что это всё херня все эти расследования и ничего не будет. Ну выговор влепят, ну ещё что-то. Давай, диктуй.
– Хорошо, – говорит комбат, прекрасно понимая, чем может эта “херня” на самом деле закончиться для бойца или офицера, которого он “сдаст”. – Записывай. Такого-то числа в такое-то время, грубо нарушив распоряжение о прекращении огня, подполковник Марков А.Г. произвёл с позиции такой-то в сторону противника три выстрела из станкового противотанкового гранатомёта СПГ-9, после чего произвёл 29 выстрелов из автоматического гранатомёта АГС-17, после чего, перейдя на позицию миномётчиков…
[короткие гудки в трубке]

В который раз повторюсь – что волонтёрам, которые впряглись в эту лямку после начала СВО, что публике, которая открыла для себя эту сторону жизни в то же самое время, очень, очень, очень не хватает опыта военно-волонтёрской работы на Донбассе в 2015-2022 гг. Те же, например, кто был в Дебале, по отчётам сетецентрически взятой за три дня (в реальности – три недели кровавой бездарной мясорубки), в этом цирке не смеются и не удивляются.

“Одни делают свое дело с кинжалом в спине, другие падают в обморок, наступив на гвоздь. Такова жизнь” (с) В.В. Камша “Зимний излом. Том 1. Из глубин” (серия “Отблески Этерны”)

UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?_da Minurne ….il piatto vuoto di Meloni_di Elena Basile

Il colpo di stato in Niger è stato accolto in Europa, in Francia in particolare, con un senso di frustrazione e smarrimento dalle élites dominanti e con un anelito liberatorio di emancipazione dal giogo occidentale da parte degli ambienti di opposizione “sovranista” e “terzomondista”. Ancora una volta il riflesso condizionato di cui sono schiave le élites dominanti, ormai però sempre più arroccate, ha tentato di racchiudere l’evento nello schema fuorviante e strumentale della contrapposizione democrazie/dittature totalitarie. Segno che si vuole rimuovere ancora una volta il fatto che l’introduzione dei regimi democratico-liberali, laddove innestati, in un contesto sociale di natura tribale e clanica, non fa che riprodurre con la forza dei numeri il predominio discriminatorio di clan particolari sugli altri su base tribale. E’ il miraggio che ha ingannato in gran parte a suo tempo le nuove classi dirigenti africane a fine secolo sino a farle ricadere paradossalmente nelle logiche tribali. Segno che si continua, nel mondo occidentale, a glissare per interesse ed ottusità sul fatto che la costruzione di una forma statuale moderna in Africa, rappresentativa della composizione sociale, non può prescindere al contrario da un accordo tra queste componenti e dalla iniziativa di gruppi dirigenti e amministrativi, in primo luogo l’esercito, sul quale costruire un minimo di coesione nazionale. E’ quanto è riuscito a comporre a suo tempo con relativo successo Gheddafi, non ha caso brutalmente e tragicamente estromesso dalla coalizione occidentale nel 2011. Quello, però, è stato solo l’episodio più tragico e dirompente di una politica tuttora perseguita in quel continente dai paesi occidentali, compresa la Francia nell’area francofona. I colpi di stato in Mali, Burkina Faso e, ultimamente, in Niger rappresentano soprattutto una reazione a queste politiche, resa possibile dalla presenza nel continente di numerosi nuovi attori geopolitici in aperta competizione con i tradizionali colonizzatori francesi, inglesi e, in forme diverse, statunitensi; tra di essi senza dubbio la Cina e la Russia, ma anche l’India, la Turchia, Israele e i paesi del Golfo Persico. La presenza russa e cinese, in particolare, poggia su fondamenti politici diversi da quelli occidentali, basati pragmaticamente sull’accettazione dello stato di fatto degli equilibri politici nei paesi africani. Un principio che ha comunque prodotto pesanti attriti in quelle aree, specie con la Cina, nella fattispecie sulla gestione del debito, sullo sfruttamento dei terreni agricoli e sulle modalità di costruzione delle infrastrutture civili; attriti, però, al momento gestibili rispetto al livore suscitato dal retaggio coloniale e neocoloniale dei paesi occidentali. Attriti che le due potenze emergenti sono riuscite sinora a gestire e spesso a risolvere. Sono tutti i paesi occidentali a subire al contrario le pesanti conseguenze di questo anelito emancipatorio; soprattutto, però, la Francia. Se i suoi avversari e nemici dichiarati si sono esposti ormai alla luce del sole in queste dinamiche, non va sottovalutato l’atteggiamento sornione e subdolo degli Stati Uniti, desiderosi di stringere la morsa ed annichilire ogni futura velleità di autonomia dei propri alleati, specie in una prospettiva di confronto multipolare o bipolare. Il Niger ospita la principale base statunitense in Africa e, al momento, gli strali più duri della nuova giunta sono indirizzati alla Francia.

La brama di emancipazione e sviluppo tra i paesi africani è comunque indubbia, come pure l’esigenza di stabilizzazione dei regimi e delle società. Trova alimento ed occasioni nella presenza competitiva di numerose potenze emergenti impegnate ed interessate al continente. Può contare sul diverso approccio offerto da queste rispetto al tradizionale impegno occidentale. Sia la Cina che la Russia puntano piuttosto alla accettazione della situazione interna a quei paesi che ad una azione destabilizzatrice. Influisce certamente la tradizione diplomatica e il retroterra culturale di quei paesi, diversi da quelli occidentali a matrice anglosassone e transalpina. Il protrarsi di questa linea di condotta nel futuro prossimo, più che dal bagaglio culturale e dalla tradizione diplomatica, dipenderà dalle dinamiche geopolitiche interne a quel continente, dall’atteggiamento del mondo occidentale e, principalmente, dalla capacità di conduzione di linee politiche autonome ed indipendenti delle élites locali africane.

Queste hanno visto nell’andamento del conflitto ucraino, nella capacità russa di fronteggiare sul campo la NATO e gli Stati Uniti, nell’alternativa economica, ma sempre più politica, della Cina l’esempio di azione e la possibilità di aprire varchi anche con toni insolenti e spavaldi.

I paesi africani hanno già conosciuto questo potente anelito; ma al successo militare contro le potenze coloniali, non ha fatto seguito nella maggior parte dei casi il conseguimento di una effettiva indipendenza politica ed economica e la costruzione di regimi statuali solidi.

Una eccessiva baldanza ed una eccessiva fiducia verso gli agenti esterni, piuttosto che sulle proprie capacità di ricomposizione e di sviluppo rischia di farli ricadere nello stesso errore e ridiventare terreno di contesa di forze esterne.

Al momento sono i paesi occidentali a guida americana ed alcuni paesi arabi a riproporre in Africa politiche di istigazione alla frammentazione e conflittualità clanica e tribale, gli uni sotto la maschera del diritto individuale, gli altri dell’adesione confessionale. E’ giusto, quindi, che siano il bersaglio principale degli strali. Han voglia, anche alcuni ambienti critici francesi, come sottolineato nel secondo articolo, a lamentare l’ingratitudine degli africani ai servigi offerti dalla Francia. Il poco che le élites francesi hanno saputo offrire alle colonie non è stato un atto di generosità e, soprattutto, è venuto meno con la concentrazione degli investimenti e degli interessi economici occidentali verso la Cina, la quale ha saputo par altro farne ottimo uso. Esattamente la stessa dinamica realizzata dagli Stati Uniti con il Messico e l’intero Sud-America.

Il futuro dei paesi africani, delle Afriche, la loro emancipazione dipende dalla capacità di individuare e praticare i propri interessi e le proprie possibilità di sviluppo in un quadro di coesione sociale praticabile, di una politica demografica assennata e di impostare su di essi le indispensabili relazioni internazionali.

L’Italia avrebbe, in realtà, ancora delle carte residue da giocare sull’onda del credito accumulato negli anni ’60/’70 nel Mediterraneo esteso e nel Nord-Africa. Le sue attuali élites, si fa per dire, e l’attuale Governo Meloni, in buona sintonia con i precedenti, avrebbero alternative concrete da seguire. Lo aveva messo sul piatto Trump a suo tempo, lo ha dimostrato sul campo la Turchia di Erdogan.

Giorgia Meloni ha scelto di spendere questo credito residuo come cortina fumogena di disegni altri e in qualità di mosca cocchiera delle strategie avventuriste e guerrafondaie dei neocon-progressisti statunitensi e dei lirici europeisti al seguito.

Il “piano Mattei” di suo conio è un insulto alla memoria di quella figura. Rappresenta l’icona dietro la quale un intero paese sarà trascinato volente o nolente in questo scacchiere. Lo abbiamo ribadito più volte e in tempi non sospetti. Con quale modalità, per fare cosa, con quali conseguenze saranno gli altri a deciderlo; a meno di improbabili sussulti o eventi catastrofici, a questo punto auspicabili, nella “terra madre”.

Nel frattempo il Senato della Nigeria ha respinto l’opzione militare contro il Niger. La posizione non è ancora ben definita, ma è evidente che se vorranno intervenire, dovranno farlo probabilmente senza maschere.  Gli Stati Uniti hanno inviato in Benin già tre giganteschi C17 carichi di materiale e truppe; hanno chiesto già conto al Presidente nigeriano, favorevole all’intervento, dei ritardi organizzativi dell’operazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?
Macron non si è accorto di nulla con il Niger o, come al solito, ha chiuso un occhio?

Editoriale di Gilles La-Carbona: Segretario nazionale del RPF

La repentinità dell’evento potrebbe indurre a pensare che si tratti della prima ipotesi, ma ancora una volta l’evidenza è ingannevole. In realtà, ciò che sta accadendo in Niger è semplicemente la logica prosecuzione di un processo sostenuto da anni da una politica estera deplorevole, ma accelerato dallo stesso Macron e dalla sua arroganza, costante fonte di disastri diplomatici.

Éléments magazine – Bernard Lugan: “La Françafrique è una leggenda!

Il Niger non si è trasformato in un colpo solo, conquistando tutti i presenti al Quai d’Orsay. Il 21 marzo 2023, Bernard Lugan, specialista dell’Africa, aveva previsto a casa di Bercoff quello che è appena successo, e allora perché non gli avete dato retta? Semplicemente perché va controcorrente rispetto alla doxa di Macron. Come spiega molto chiaramente, “se i nostri attuali funzionari, che sono specialisti, facessero più etnografia invece che ideologia, e se leggessero autori antichi, la Francia eviterebbe di commettere errori”. Ma Macron non apprezza le competenze e non si circonda né di intelligenza né di conoscenza.

Il suo tour in Africa è stato un fiasco, come tutto quello che fa, e anche in questo caso i media bugiardi e sovvenzionati lo hanno coperto, preferendo tenere la verità per sé ed evitare analisi approfondite, per non dover dare l’allarme. Sempre per compiacere, per conservare il denaro pubblico che li sostiene, a spese della realtà. Le menzogne sono ovunque e la verità non si trova da nessuna parte, a meno che non venga bollata come tale da queste agenzie statali. L’Africa vuole emanciparsi, ma rimane impantanata nei suoi problemi economici, etnici e religiosi, nella corruzione e nella dipendenza permanente dalla tecnologia e dagli aiuti occidentali. I cinesi e i russi stanno cercando di sostituire i francesi e gli americani sul campo. Tutto questo fa parte di una schizofrenia che vorrebbe che i francesi abbandonassero l’Africa, mentre molti giovani africani sognano di venire in Europa e in particolare in Francia.

Il recente colpo di Stato in Niger potrebbe essere il primo domino a infrangere le illusioni di potere che persistono, soprattutto per la Francia. La decisione di vietare l’esportazione di uranio e oro in Francia dovrebbe essere un test, perché Macron avrà solo due opzioni: ritirarsi in silenzio e rimpatriare i 1.500 soldati, oppure intervenire. Lui, che sogna la guerra, opterà per la seconda, ma a quale scopo? Burkina Faso, Mali e Mauritania hanno già avvertito che entreranno in guerra a fianco del Niger per difendere i suoi interessi in caso di tentativo di intervento armato straniero. Data la nostra forza militare, non abbiamo più riserve di munizioni, poco equipaggiamento perché destinato all’Ucraina, e le nostre capacità di trasporto e di rifornimento delle truppe sono ridotte al minimo, dato che affittiamo aerei cargo dalla Russia per le nostre proiezioni. I nostri 1.500 soldati faranno fatica a sostenere un conflitto che coinvolge quattro Paesi, magari appoggiati da aziende private. E non dimentichiamo che un altro dei nostri fornitori di uranio è la Russia.

Il resto del mondo si sta svegliando di fronte all’arretramento senza precedenti dell’Occidente, che non è più in grado di imporre altro che vincoli e prepotenze infinite alla propria popolazione. Un fallimento militare in Niger sarebbe una doccia fredda per Macron, oltre che un vestito adatto a lui.

Relazioni Africa-Francia: perché la Francia deve affrontare tanta rabbia in Africa occidentale – BBC News Afrique

La Francia viene espulsa ovunque in Africa e dietro questo rifiuto c’è tutta l’Europa. La domanda è: come si è arrivati a questo? Ripetendo che possiamo essere forti solo in alleanza con altri, abbiamo perso la nostra sovranità e il nostro potere. La formula era valida solo finché la coalizione europea rappresentava qualcosa di serio, una paura reale. Ma la guerra in Ucraina ha rivelato le debolezze della NATO. Circa 50 Paesi non sono riusciti a far indietreggiare la Russia, immaginate se fossimo stati da soli. La Francia non poteva più essere soddisfatta di se stessa, non era nulla secondo le nostre politiche, e doveva fondersi in tutta una serie di organizzazioni favolose senza le quali non potevamo esistere. Questo discorso disfattista conteneva i semi della decadenza. I media lo hanno propagato con forza. Il risultato è lì, non ancora accettato dai nostri cacicchi, ma la realtà dovrebbe aprire loro gli occhi. Coloro che in Francia si ostinano a pensare che dobbiamo dipendere dagli altri per far sentire la nostra voce o per sopravvivere, si sbagliano e ripetono inconsciamente la stanca formula di dire che se le cose andavano male in Francia era perché avevamo bisogno di più Europa. Ora dipendiamo totalmente dalla Commissione europea e nulla va per il verso giusto.

La realtà, tuttavia, è che non possiamo perseguire grandi disegni portando avanti le politiche che conosciamo bene, distogliendo le nostre entrate dalle missioni essenziali. Le nostre risorse sono tutte concentrate sul mantenimento di uno Stato obeso ma in crisi, che sperpera denaro in controsocietà di periferia, in coperture sociali malversate, in molteplici sussidi a organizzazioni con missioni e risultati oscuri e in pessimi piani industriali, che non sono altro che trasferimenti mascherati di denaro pubblico a interessi privati.

L’RPF è favorevole a un vero e proprio audit delle finanze pubbliche. È stato stimato che quasi 40 miliardi di euro sono stati spesi per agenzie fasulle che ingrassano gli amici dei politici e non aggiungono alcun valore. Se a questo si aggiungono i milioni regalati alla stampa, i miliardi persi per sostenere la pletora di dipendenti pubblici europei, l’evasione fiscale per oltre 150 miliardi, le frodi sociali per diverse decine di miliardi, i regali di Macron all’Ucraina e ai vari Paesi che ha visitato, i miliardi generosamente elargiti alle società di consulenza, si ottiene una somma sufficientemente grande per riorientare il bilancio dello Stato e smettere di pensare che la Francia sia solo un piccolo Paese che non riesce a farcela da solo. La Svizzera lo fa bene. Questi temi potrebbero essere ripresi dalle opposizioni, che però sembrano più interessate a vietare tutto ciò che potrebbe mettere in discussione la retorica sul cambiamento climatico o la tassazione degli alloggi ammobiliati per le vacanze, che ad affrontare i problemi reali.

Gilles La-Carbona

2/8/2023

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L’AFRICA IN EBOLLIZIONE (Patrick Becquerelle)
Da diversi anni siamo spettatori di conflitti sia nel nostro Paese che all’estero. La Francia sembra essere nel mirino di diversi Paesi africani. Ecco una riflessione di Patrick Becquerelle basata sulla rivolta nigerina.

Françafrique
Questo continente ricco di materie prime è costantemente dilaniato.
Gli africani rimproverano agli occidentali, soprattutto ai francesi, il loro colonialismo.
Il Mali, il Maghreb e ora il Niger, insieme a molti altri, ci odiano.
Eppure tutti questi popoli si dirigono a flusso continuo verso una Francia “egemonica”.
Ma come è possibile che questo continente dalle innumerevoli risorse sia ancora così
in tale disordine?
C’è da chiederselo quando si vede il numero di africani che vengono a studiare soprattutto in Francia e non tornano mai in patria per trasmettere le conoscenze acquisite ai loro paesi.
Medici, avvocati, scienziati, ingegneri, funzionari pubblici, soldati, ecc.
Oggi si alternano per estrometterci con odio dai loro Paesi.
Eppure la Francia ha permesso loro un certo grado di autonomia, fornendo loro ottime infrastrutture e formando dirigenti che purtroppo non hanno alcuna voglia di costruire una bella Africa.
Non perderebbero il loro patriottismo venendo in Francia?
Perché non lottano per sviluppare il loro Paese?
Noi diamo loro i mezzi per farlo.
In segno di gratitudine, preferiscono trasporre il loro spirito guerriero, l’odio per i francesi e il bellicoso comunitarismo, grazie alla vigliaccheria dei nostri politici.
Ancora una volta, l’Africa sarà il bersaglio della barzelletta, ma la colpa sarà solo sua.
Avrà solo se stessa da incolpare
2 attori/predatori stanno arrivando nel loro continente
-la Russia, con i suoi mercenari wagneriani
-la Cina, con le sue notevoli risorse, soprattutto in termini di potenziale umano.
La tanto criticata egemonia francese impallidisce di fronte a questi due giganti, il cui appetito sarà difficile da contenere il loro appetito bellicoso.
Ancora una volta si dirigono verso la colonizzazione, ma questa volta è più invasiva e priva di qualsiasi democrazia.
La Francia deve, con i mezzi diplomatici e mediatici a sua disposizione, far capire loro che questi due Stati non hanno posto nel mondo. Hanno un solo obiettivo, quello di appropriarsi delle loro ricchezze perché non hanno un contrappeso democratico.
Non rispetteranno né i loro costumi né le loro religioni e non tollereranno alcuna immigrazione nei loro territori.
Dobbiamo ricordare loro questo:
-che le loro scelte avranno gravi conseguenze diplomatiche, finanziarie e migratorie.
-Che molti soldati francesi hanno dato la vita per proteggerli e che non è stato solo per loro stessi e che non è stato solo per il proprio bene.
-Che è un’adulta e che dovrà fare le sue scelte!

Patrick Becquerelle

6/8/2023

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PIANO MATTEI, SOVRANISTI FINTI E ALTRE PRESE IN GIRO, di Elena Basile

La parola inglese accountability rende bene il significato di quel che è stato perso nella vita politica italiana. Potrebbe essere tradotta con una perifrasi: “assumersi la responsabilità e dare conto del proprio operato”.
Al cittadino appare chiaro che i politici, le istituzioni, persino i giornalisti e gli operatori culturali sono liberi da un tale fardello essenziale alla civiltà liberale e democratica.
Gli esempi potrebbero essere tanti. I giornalisti che avevano previsto il crollo economico della Russia e un cambio di potere a Mosca pontificano sulla probabile sconfitta militare della Russia, per nulla imbarazzati dalle loro precedenti errate previsioni. Romanzi premiati e pompati dal mercato non rispondono a volte ad alcun requisito letterario, ma le macchine della pubblicità, i critici, le case editrici e gli amichetti continuano indisturbati a distruggere la cultura. Il governo della destra “sovranista” di Meloni attua un programma in politica estera e in Europa che avrebbe potuto essere del Pd e del centrosinistra. Gli elettori restano fedeli nella sconcertante convinzione che la presidente non ha alternative se vuole restare al potere.
Le decisioni sono prese altrove. La finanza, le grandi multinazionali tirano i fili delle marionette politiche. Le indagini sociologiche serie hanno illustrato come il presidente degli Stati Uniti sia eletto grazie all’accordo di tali poteri forti.
Non c’è nulla di automatico e deterministico. L’azione umana è piena di imprevisti. Ma, come l’assenza di partecipazione alla politica se non per interessi settoriali e la stessa astensione dal voto dimostrano, si è rotto quel filo che fino agli anni 80 ha legato società civile e istituzioni.
Prendiamo la politica mediterranea. Diplomatici e nuovi pennivendoli si affannano a illustrare il cosiddetto Piano Mattei. Senza pudore si utilizza un nome mitico. Enrico Mattei si rivolta nella tomba. Il grande imprenditore, che ha pagato con la propria vita il coraggio di perseguire l’interesse nazionale contro quello delle “sette sorelle”, il fine politico che ha creduto nel bene comune di Stati mediterranei e africani, viene strappato alla memoria collettiva e strumentalizzato per le carnevalate odierne. La presidente del Consiglio (ma Draghi o altri di centrosinistra non avrebbero fatto diversamente) si genuflette alle richieste militari ed economiche statunitensi, rinuncia agli interessi commerciali italiani nei rapporti con Pechino, elemosina senza ottenere una politica del Fmi diversa nei confronti della Tunisia, e nomina senza alcun pudore Enrico Mattei per riferirsi al piano energetico tra Italia e l’Africa fornitrice di energia. Nessun giornalista o economista si dà la pena di spiegare come mai decenni di politica mediterranea europea (dal processo di Barcellona 1995 all’Upm 2008) siano falliti nonostante gli sforzi di partnership egualitaria, di codecisione, di approccio olistico e non settoriale. Qualche brillante collega addirittura sostiene che la Nato, data la menzione del Fianco Sud nel prolisso e illeggibile comunicato finale a Vilnius, aprirà le porte a una cooperazione differente con i Paesi nordafricani. Mattei, a partire dal 1958, aveva stipulato con l’Urss accordi energetici favorevoli allo sviluppo economico italiano contro l’oligopolio delle multinazionali. Il governo italiano strumentalizza il suo nome mentre si lega mani e piedi all’energia statunitense venduta a caro prezzo e a frammentate fonti di approvvigionamento con dittature di umore instabile.
Il cittadino ,nel leggere alcuni giornali, prova un terribile senso di presa in giro. Mieli realizza buoni programmi televisivi, recentemente una ricostruzione storica della rivoluzione cubana. Ci propina tuttavia articoli in cui racconta la fine dell’accordo sul grano come una decisione unilaterale del lupo cattivo. Dimentica di elencare le condizioni previste dall’accordo e non realizzate a partire dalla mancata revoca delle sanzioni sui pezzi di ricambio delle macchine agricole russe fino alla negata adesione della banca russa agricola al sistema di pagamenti Swift. Tace sulle percentuali di grano esportate (80% ai Paesi europei, 3% agli africani) che secondo l’Oxfam non risolverebbero i problemi dei Paesi emergenti, ma contribuirebbero a limitare l’inflazione di generi alimentari nei Paesi ricchi.
Quanti intellettuali e rappresentanti istituzionali si prestano a questi giochi in malafede con appelli moralistici a favore dei Paesi emergenti smarrendo la visione oggettiva di quanto accade sulla scena internazionale? La sensazione sconcertante è che le élite al potere in Europa e i loro ‘cani da guardia” abbiano venduto l’anima e che la politica come l’economia e la cultura siano soltanto tecnica. Viviamo ormai in un eterno Barbie, film di visualità sublime privo di contenuti e con uno script demenziale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/08/02/piano-mattei-sovranisti-finti-e-altre-prese-in-giro/7249290/

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/piano-mattei-sovranisti-finti-e-altre-prese-in-giro

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Dopo il Mali e il Burkina Faso… oggi il Niger… e domani il Ciad…, di Bernard Lugan

Gli eventi in Niger sono la logica conseguenza della disastrosa politica africana della Francia – da Nicolas Sarkozy a Emmanuel Macron, senza dimenticare François Hollande – e chi l’ha decisa deve finalmente risponderne. Com’è possibile che un conflitto etnico scoppiato nel 2011 nel nord-est del Mali e inizialmente limitato a una sola fazione tuareg si sia trasformato in un’incontrollabile conflagrazione regionale, la cui conseguenza più visibile è l’espulsione della Francia dalla regione del Sahel?

A causa della valanga di errori politici e sociali, e come ho costantemente annunciato dal 2011, il fallimento della Francia nel Sahel era purtroppo una certezza (si veda il mio libro Histoire du Sahel). È stato un fallimento politico mascherato per un certo periodo dai successi delle nostre Forze Armate, al costo del sacrificio di decine di figli migliori della Francia, caduti al posto di disertori africani che hanno preferito venire in Francia per approfittare delle grazie dell'”odiosa” ex potenza coloniale piuttosto che difendere i loro rispettivi Paesi.

Indottrinati dalla loro ideologia, i leader francesi hanno voluto che i diritti dei popoli africani passassero in secondo piano rispetto ai “diritti umani”, alla chimera del “buon governo” o alla nozione surrealista di “convivenza”. Per non parlare delle provocazioni LGBT e delle loro varianti, che in Africa sono viste come un abominio e che sono costate alla Francia la stima e il rispetto degli africani.
Privilegiando le analisi economiche e sociali, accecati dall’imperativo di un impossibile “sviluppo”, i decisori francesi hanno rifiutato la realtà, dimenticando le sagge raccomandazioni fatte nel 1953 dal governatore delle Indie Occidentali francesi: “Meno elezioni e più etnografia, e tutti troveranno qualcosa da amare”.

I “piccoli marchesi” storicamente sprovveduti che si sono laureati a Sciences-Po o all’ENA e pretendono di parlare dell’Africa non hanno capito che alla fine del XIX secolo la colonizzazione, che ha liberato i meridionali dalla predazione del nord, ha riunito dominati e dominanti entro confini amministrativi comuni. Con l’indipendenza, questi confini interni dell’ex AOF sono diventati confini di Stato e le leggi dell’etnomatematica elettorale hanno dato automaticamente il potere ai meridionali perché le loro donne erano state più fertili di quelle dei settentrionali. Così, in Mali, Niger e Ciad, dal 1960 al 1965, i settentrionali che rifiutavano di essere sottomessi dai loro ex affluenti meridionali si sono sollevati. La guerra scoppiata nel 2011 – quindi prima della presenza russa – e che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, è una recrudescenza di questo fenomeno.

Di fronte a una realtà che non hanno capito o che si sono rifiutati di vedere, confondendo cause e conseguenze, gli irresponsabili che definiscono la politica africana della Francia hanno naturalmente commesso un errore diagnostico. Hanno parlato di un pericolo islamista quando si trattava chiaramente di una ferita etnico-razziale secolare superinfettata dall’islamismo contemporaneo.
Di conseguenza, la strategia francese si è basata sulla “essenzializzazione” della questione religiosa, etichettando perentoriamente come “jihadista” ogni bandito armato, pistolero e trafficante. Questo è stato un grosso errore, perché nella maggior parte dei casi si trattava di trafficanti che si dichiaravano jihadisti per coprire le loro tracce, e perché è più gratificante affermare di combattere per la maggior gloria del Profeta che per le stecche di sigarette o i carichi di cocaina. Da qui il legame tra traffico e religione, il primo dei quali si svolge nella bolla resa sicura dall’islamismo.
Di fronte a un’accozzaglia di istanze etniche, sociali, mafiose e politiche, opportunamente ammantate da un velo religioso, con diversi gradi di importanza attribuiti a ciascun punto a seconda del momento, la politica francese è stata rigida e incoerente.

In Niger, dove sono in corso diversi conflitti sia a ovest che a sud-est, la situazione è stata ulteriormente complicata dal fatto che il presidente Mohamed Bazoum è arabo. È un membro della tribù libica Ouled Slimane (Awlad Sulayman), che ha ramificazioni in Ciad e nel nord-est del Niger.
Anche in questo caso, un minimo di conoscenza storica avrebbe insegnato ai “ballerini di tip tap” che pretendono di definire la politica africana della Francia che questa potente tribù si è divisa in due negli anni Trenta del XIX secolo, quando il potere ottomano decise di riprendere effettivamente il controllo della Reggenza di Tripoli. Gli Ouled Slimane, una tribù Makhzen fedele ai Karamanli che erano stati rovesciati dai turchi, dissentirono (si veda il mio libro Histoire de la Libye).
Poiché la porta ottomana ebbe la mano pesante nel reprimere la rivolta, parte della tribù emigrò in Ciad e in Niger, dove prese parte al grande movimento di predazione del nord contro i sedentari del sud, che ha lasciato il segno nella nostra memoria collettiva.
In Niger, dove gli Ouled Slimane rappresentano meno dello 0,5% della popolazione e sono considerati stranieri, il fatto che uno di loro abbia raggiunto la presidenza è stato risentito. E, come se non bastasse, gli Ouled Slimane sono visti come amici della Francia da quando, nel 1940-1941, hanno opportunamente seguito la colonna Leclerc nella sua operazione di conquista del Fezzan italiano, operazione iniziata in Ciad e in Niger. Fu in quell’occasione che alcune frazioni degli Ouled Slimane tornarono in Libia, dove da allora si scontrano con i Toubou che occupano i loro antichi territori, abbandonati dopo l’esodo del XIX secolo.

Se la politica africana della Francia avrebbe dovuto essere affidata a uomini in loco che avessero ereditato il “metodo Lyautey” e l’approccio etno-differenzialista dei vecchi “Affari indigeni”, è stata invece gestita da insignificanti e pretenziosi maggiordomi che portano la terribile responsabilità del fallimento della Francia in Africa.
Un fallimento che non si è ancora consumato del tutto, visto che c’è ancora il Ciad, il cui turno arriverà prima o poi… inesorabilmente… E sempre per gli stessi motivi…

Come se non bastasse, invece di mettere in discussione i propri errori, aggiungendo ingenuità a incompetenza, i dirigenti francesi cercano ora di scagionarsi dalle proprie responsabilità indicando la “mano russa” ….. Come se, essendo in guerra con la NATO, la Russia si lasciasse sfuggire l’opportunità che le viene offerta di tuffarsi nell’abisso sbadigliante della nullità francese per aprire un fronte africano sulle spalle di coloro che lo combattono sul fronte europeo… Il discorso del presidente Putin all’ultimo vertice russo-africano di San Pietroburgo è stato molto chiaro su questo punto.

Le carenze dei leader francesi si riflettono nella loro incapacità di reagire alla menzogna sul presunto “saccheggio” delle risorse del Niger. Ci aspetteremmo che i “capponi” che parlano a nome della Francia dicessero chiaramente che la Francia non ha interessi in questo Paese desertico – il Mali, invece, è solo in parte desertico – destinato a soccombere alla sua demografia poligama suicida. Un Niger che, con tutto il rispetto per l’ineffabile Sandrine Rousseau, ha osato affermare che la Francia dipende da lui per l’uranio, quando il Paese rappresenta attualmente, nella migliore delle ipotesi, appena il 10% del fabbisogno francese… e quando è molto più facile ed economico approvvigionarsi altrove nel mondo.
Per non parlare dei giacimenti francesi, il cui sfruttamento è stato vietato per legge dagli ambientalisti…

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La guerra che ha sfidato le aspettative, di Phillips O’Brien

Inspecting a machine gun in Zaporizhzhia Region, Ukraine, March 2023
Inspecting a machine gun in Zaporizhzhia Region, Ukraine, March 2023
Stringer / Reuters
  • L’esercito russo era veloce. Così veloce, secondo gli analisti, che l’esercito ucraino aveva poche possibilità di resistere in una guerra convenzionale. Mosca, dopo tutto, aveva speso miliardi di dollari per aggiornare le armi e i sistemi delle forze armate, riorganizzare la loro struttura e sviluppare nuovi piani di attacco. L’esercito russo aveva poi dimostrato il suo valore vincendo battaglie in piccoli Stati, tra cui l’invasione della Georgia e la campagna aerea in Siria. Gli esperti ritenevano che se l’Ucraina fosse stata attaccata dalla Russia, quest’ultima avrebbe rapidamente sopraffatto le difese aeree dell’Ucraina e lanciato una vasta campagna di terra che avrebbe rapidamente avvolto Kyiv. Pensavano che la Russia avrebbe distrutto le linee di rifornimento dell’Ucraina e isolato la maggior parte delle forze del Paese. L’incapacità dell’Ucraina di resistere a questo assalto è apparsa così ovvia che alcuni analisti hanno suggerito che forse non vale la pena armare Kyiv per una guerra interstatale standard. Come ha dichiarato Rob Lee, senior fellow del Foreign Policy Research Institute, al Parlamento britannico all’inizio del febbraio 2022, l’Ucraina non potrebbe tenere a bada la Russia nemmeno se le venissero fornite armi occidentali “molto capaci”. “Se si scontrano con le forze armate russe in un combattimento convenzionale”, ha sostenuto Lee, “non vinceranno”.

    Diciotto mesi più tardi, è chiaro che queste aspettative erano del tutto fuori luogo. L’Ucraina ha combattuto con determinazione e intelligenza contro la Russia, fermando l’avanzata di Mosca e poi respingendo le truppe russe da circa la metà del territorio conquistato nell’ultimo anno e mezzo. Di conseguenza, l’esercito ucraino appare molto più potente e quello russo molto più debole di quanto tutti si aspettassero.

    In effetti, l’intera forma della guerra è molto diversa da quella che gli esperti avevano immaginato. Piuttosto che il conflitto in rapida evoluzione guidato da falangi di veicoli blindati, supportati dagli avanzati aerei pilotati della Russia, che la comunità analitica immaginava, l’invasione è stata caotica e lenta. Non c’è mai stato un rapido sfondamento corazzato da parte dei russi e solo uno da parte degli ucraini – l’avanzata a sorpresa dello scorso settembre nella provincia di Kharkiv. Invece, quasi tutte le conquiste della guerra sono avvenute gradualmente e a caro prezzo. Il conflitto non è stato definito da jet da combattimento e carri armati, ma da artiglieria, droni e persino da trincee in stile Prima Guerra Mondiale.

    I successi dell’Ucraina e le perdite della Russia hanno spinto gli esperti a rivalutare intensamente le capacità militari di entrambi i Paesi. Ma data la forma inaspettata del conflitto, gli analisti militari devono anche riconsiderare il modo in cui analizzano la guerra in generale. Gli esperti di difesa tendono a pensare ai conflitti in termini di armi e piani, ma l’invasione dell’Ucraina suggerisce che il potere armato dipende dalla struttura, dal morale e dalla base industriale di un esercito tanto quanto dagli armamenti e dai piani. La Russia, ad esempio, è caduta non perché non disponesse di armi sofisticate, ma perché non era in grado di far funzionare correttamente i suoi sistemi. Il Paese ha fallito perché la sua logistica militare – il processo attraverso il quale una forza armata si dota del materiale necessario per condurre gli attacchi – era scarsa e perché le sue forze avevano bassi livelli di motivazione.

    Queste lezioni sono importanti per pensare al futuro della guerra russo-ucraina. Ma sono fondamentali anche per pensare ad altri conflitti, compreso quello che potrebbe scoppiare tra Cina e Stati Uniti nell’Indo-Pacifico. Molti analisti militari hanno tentato di prevedere una guerra di questo tipo osservando le armi e le strategie messe in campo da Cina, Taiwan e Stati Uniti. Ma se l’Ucraina è una guida, una battaglia nella regione avrebbe a che fare con la logistica e le persone, oltre che con le armi e i piani. Questi fattori suggeriscono che una guerra tra Stati Uniti e Cina non sarebbe né decisiva né rapida. Più probabilmente, sarebbe una catastrofe globale ancora più grande di quella che si sta verificando in Ucraina.

    SISTEMI E SHOCK
    Uno dei motivi principali per cui gli esperti hanno creduto che l’invasione russa dell’Ucraina sarebbe stata rapida è che si sono concentrati soprattutto su ciò che sarebbe accaduto quando gli eserciti russo e ucraino si sarebbero scambiati il fuoco sul campo di battaglia. In questo modo, hanno posto un’enorme enfasi sulle armi che ciascuna parte aveva a disposizione – un’area in cui la Russia aveva un chiaro vantaggio. La potenza di fuoco di Mosca superava quella di Kiev in quantità e, prima dell’inizio del conflitto, in qualità. Le forze armate russe disponevano di capacità di guerra elettronica leader a livello mondiale, di aerei moderni e di veicoli blindati avanzati: tutte armi considerate molto più capaci di quasi tutto ciò che gli ucraini possedevano. Come hanno scritto gli analisti militari Michael Kofman e Jeffrey Edmonds su Foreign Affairs, pochi giorni prima dell’inizio dell’invasione su larga scala, la Russia avrebbe attaccato l’Ucraina con centinaia di bombardieri, masse di missili e altri sistemi che avrebbero fornito alle forze russe una “potenza di fuoco schiacciante”. La Russia, hanno detto, “sarebbe in vantaggio su ogni asse di attacco”.

    In effetti, alcuni analisti hanno indicato che le forze armate russe sono quasi pari a quelle degli Stati Uniti. Soprattutto dopo i successi della Russia in Siria e nell’est dell’Ucraina negli anni successivi all’annessione della Crimea nel 2014, le truppe russe sono state ritenute in grado di intraprendere operazioni simili a quelle condotte dalle forze americane. Lo stesso governo degli Stati Uniti ha ripetutamente descritto le forze armate russe come un quasi coetaneo e uno stretto concorrente delle sue forze armate.

    Ma le valutazioni ottimistiche presupponevano che Mosca fosse onesta sulla qualità delle sue armi e che la Russia avrebbe gestito i suoi sistemi in modo efficiente. Nessuna delle due premesse si è rivelata vera. Invece di essere in ottima forma, molti dei sistemi d’arma russi sono stati sottoposti a una scarsa manutenzione o sono stati danneggiati dalla corruzione. Secondo gli osservatori ucraini, ad esempio, la Russia potrebbe aver venduto la corazza reattiva che è vitale per proteggere molti veicoli militari, rendendo molto più facile per gli ucraini distruggere i carri armati del nemico. Inoltre, il Paese non ha fatto abbastanza per addestrare le proprie truppe alla guerra con i carri armati.

    Una guerra tra Stati Uniti e Cina non sarebbe né decisiva né rapida.
    La Russia ha commesso errori in quasi tutti i settori militari. Ma è forse nella sua incapacità di utilizzare sistemi avanzati che ha fallito di più. Per esempio, Mosca ha fatto un lavoro particolarmente pessimo nell’uso della potenza aerea. Gli aerei russi hanno prestazioni decenti come singoli pezzi di equipaggiamento e in teoria avrebbero dovuto essere in grado di stabilire la superiorità aerea e aiutare le truppe di terra russe ad avanzare. I suoi comandanti avrebbero potuto fare quello che fa l’aeronautica statunitense e iniziare la campagna colpendo i sistemi antiaerei dell’avversario. Come avrebbe fatto l’aeronautica statunitense, la Russia avrebbe poi potuto imporre il controllo dell’area di battaglia con missioni che distruggevano, interrompevano o molestavano in altro modo le unità nemiche.

    L’aviazione russa ha faticato a fare tutto questo. Non è stata in grado di far funzionare i suoi aerei come parte di un sistema complesso, utilizzando varie capacità militari per individuare rapidamente, dare priorità e attaccare i sistemi antiaerei ucraini. Di conseguenza, non ha eliminato le difese dell’Ucraina. In effetti, i russi hanno fatto un lavoro talmente pessimo nel proteggere i loro aerei o nel far funzionare sistemi di supporto reciproco che la maggior parte delle volte i loro aerei volano lontano dalla linea del fronte per stare lontani dai razzi di difesa ucraini. Di conseguenza, salvo rare eccezioni, le forze ucraine dietro le linee del fronte hanno potuto muoversi liberamente su strade aperte in pieno giorno.

    È logico che gli analisti non siano riusciti a prevedere le carenze aeree della Russia, così come molti altri fallimenti militari del Paese; è difficile dire come si comporteranno le forze finché non saranno messe in uso. Ma gli studiosi di difesa avrebbero potuto fare un lavoro migliore. Gli analisti militari amano dire che i dilettanti discutono di tattica e gli esperti di logistica, ma rispetto alla quantità di tempo dedicata alla cronaca delle quantità di potenza aerea e di blindati russi, gli esperti hanno parlato poco della capacità della Russia di rifornire, mantenere e rigenerare adeguatamente queste forze in guerra. In effetti, alcuni rapporti dettagliati che hanno esplorato come potrebbe progredire un’invasione russa dell’Ucraina hanno quasi del tutto trascurato di considerare la logistica. Invece di discutere su quanto lontano e in che misura i rifornimenti russi potessero essere trasportati e mantenuti di fronte al fuoco ucraino, gli esperti sembravano accontentarsi di studiare ciò che i sistemi russi potevano fare in battaglia.

    I talenti dell’Ucraina hanno sfidato le previsioni degli esperti.
    Gli analisti hanno anche dedicato poco tempo a considerare come ciascuna parte avrebbe rigenerato le risorse perse. La questione si è rivelata cruciale, soprattutto per quanto riguarda le munizioni. Sia la Russia che l’Ucraina hanno usato molte più munizioni di quanto previsto dai rapporti, e quindi entrambe hanno dovuto cercare di procurarsi proiettili, granate e razzi da Paesi esterni. La Russia, ad esempio, si è rivolta all’Iran e alla Corea del Nord per le forniture. L’Ucraina, nel frattempo, è diventata dipendente dai Paesi della NATO. Ad aprile 2023, i soli Stati Uniti avevano spedito all’Ucraina 1,5 milioni di proiettili da 155 millimetri, spingendo Washington ad aumentare la propria produzione militare. Anche l’Unione Europea ha ridotto le proprie scorte e il 7 luglio ha annunciato l’intenzione di investire oltre 500 milioni di dollari nella produzione di munizioni. Ma per ora, nessuna parte esterna può saziare gli appetiti di Kiev e Mosca.

    I limiti delle munizioni non sono un’esclusiva del conflitto russo-ucraino. Praticamente in ogni grande guerra interstatale, la domanda di proiettili, razzi e granate supera di gran lunga le stime prebelliche e i Paesi si esauriscono al massimo dopo pochi mesi. Durante la Prima Guerra Mondiale, ad esempio, tutti i combattenti si trovarono ad affrontare un’acuta crisi di granate alla fine del 1914, poiché i sistemi di artiglieria consumavano molte più munizioni di quanto previsto dagli analisti prebellici e i soldati faticavano a colpire gli obiettivi all’interno delle trincee. Tuttavia, nonostante questa storia, gli analisti non tennero conto delle scorte e della produzione quando fecero previsioni sull’invasione della Russia. Si pensava che Mosca avrebbe vinto così rapidamente che i livelli di munizioni non avrebbero avuto importanza.

    Gli analisti militari hanno anche trascurato di considerare la più ampia forza industriale, tecnologica ed economica delle parti in conflitto. Non hanno tenuto conto, ad esempio, del fatto che l’Ucraina è tradizionalmente uno dei maggiori produttori di armi in Europa o che, nonostante le sue dimensioni, la base economica e tecnologica della Russia non è quella di una grande potenza. (Le guerre interstatali convenzionali non sono mai state solo prove militari, ma hanno sempre coinvolto intere economie. Gli esperti, quindi, avrebbero potuto almeno riconoscere che la Russia non era economicamente potente e inserire meglio questo fatto nei loro calcoli.

    IL FATTORE UMANO
    L’invasione dell’Ucraina ha reso evidente che gli Stati hanno bisogno di una buona logistica e di economie forti se vogliono sconfiggere avversari di grandi dimensioni. Ma per vincere una guerra importante, questi due fattori non sono sufficienti. Gli Stati hanno anche bisogno che i loro eserciti siano composti da soldati altamente motivati e ben addestrati. E le truppe ucraine hanno ripetutamente dimostrato di essere molto più determinate ed esperte dei loro avversari russi.

    Come nel resto della guerra, il talento dell’Ucraina ha sfidato le previsioni degli esperti. Anche se l’Ucraina era il Paese invaso, molti analisti ritenevano che il popolo ucraino sarebbe stato diviso e che la resistenza ucraina sarebbe stata compromessa fin dall’inizio. Molti ucraini, sostenevano gli esperti, erano filo-russi, perché erano stati educati alla lingua russa, provenivano da famiglie etnicamente russe, avevano molti contatti personali in Russia o una combinazione di questi elementi. Alcuni esperti ritenevano addirittura che questi legami avrebbero reso difficile per gli ucraini organizzare un’insurrezione contro Mosca. (In un articolo del febbraio 2022 per The Week, ad esempio, Lyle Goldstein, professore al Naval War College degli Stati Uniti, sosteneva che, poiché “le culture russa e ucraina sono piuttosto simili”, qualsiasi ribellione ucraina avrebbe faticato ad avere successo. Gli osservatori sembravano particolarmente scettici sul fatto che gli ucraini dell’est del Paese avrebbero combattuto con forza, soprattutto una volta che l’esercito russo li avesse costretti alla sottomissione. Al contrario, pochi analisti hanno sostenuto che l’esercito russo non avesse il morale necessario per effettuare un’invasione su larga scala. In effetti, raramente hanno sondato la motivazione del soldato russo medio.

    È difficile dire con esattezza quanto l’abilità e l’alto morale ucraino e il disincanto russo abbiano influenzato il campo di battaglia. Ma questi fattori hanno chiaramente fatto la differenza. Gli ucraini motivati hanno imparato rapidamente a utilizzare una vasta gamma di nuovi equipaggiamenti standard della NATO e li hanno integrati nelle loro forze armate, nonostante avessero poca o nessuna esperienza precedente con tali armi. La determinazione ucraina ha anche permesso ai militari del Paese di fidarsi e spesso di potenziare le proprie forze. Mosca, al contrario, è rimasta ancorata a un metodo rigido e dittatoriale di controllo militare, che rende le sue unità molto meno flessibili. Le sue truppe tendono inoltre a non avere iniziativa e a tenere la testa bassa.

    Il morale alto non è sufficiente a far vincere la guerra all’Ucraina, e il morale basso non la farà perdere alla Russia; le armi contano. Quando a metà giugno gli ucraini hanno tentato di sfondare le difese russe, i loro carri armati e altri veicoli si sono dimostrati vulnerabili a una serie di sistemi russi, tra cui mine, sistemi di difesa aerea portatili, artiglieria e veicoli aerei senza pilota. Di conseguenza, dopo settimane di tentativi, gli ucraini hanno interrotto questi assalti diretti guidati da veicoli.

    Ma il talento e la dedizione superiori del Paese stanno permettendo di ridurre la forza di combattimento della Russia. Le forze armate ucraine, ad esempio, hanno capito come integrare droni, artiglieria e sistemi missilistici per colpire le installazioni militari russe. Per identificare un obiettivo, l’Ucraina invia droni di ricognizione o conduce un assalto di fanteria che innesca i sistemi di artiglieria russi e quindi espone le loro posizioni. Gli analisti ucraini stabiliscono quindi se vale la pena colpire l’installazione russa e, in caso affermativo, quale sistema utilizzare per attaccarla. Questo processo sarebbe difficile nelle migliori circostanze, e gli ucraini devono eseguirlo sotto il fuoco pesante. Ma nonostante la complessità e gli ostacoli, hanno distrutto innumerevoli lanciatori di artiglieria russi, depositi di munizioni e posti di comando – danni che potrebbero consentire all’Ucraina di avanzare nel corso dell’estate. È chiaro che l’addestramento, la dedizione e il talento degli ucraini sono uno dei motivi per cui Kiev mantiene il vantaggio.

    VERIFICA DELLA REALTÀ
    La guerra in Ucraina è stata un’esperienza di apprendimento per le forze armate ucraine, che hanno dovuto studiare come utilizzare nuovi sistemi d’arma in tempi rapidi. In misura minore, è stata un’esperienza di apprendimento anche per la Russia, che sta capendo come fortificare al meglio le proprie posizioni. Ma dovrebbe essere un’esperienza di apprendimento anche per gli analisti della difesa. Il conflitto dimostra che molte variabili determinano il corretto funzionamento di sistemi militari complessi e che le probabilità di fallimento sono molto alte. L’invasione, in altre parole, indica che gli Stati hanno bisogno di qualcosa di più di buone armi perché le loro operazioni abbiano una possibilità di successo. Gli esperti devono quindi pensarci due volte prima di prevedere che una guerra sarà veloce o che uno Stato avrà un vantaggio schiacciante.

    Questa lezione si applica a quasi tutti i conflitti. Ma è particolarmente importante quando gli analisti pensano a una guerra tra la Cina e gli Stati Uniti per Taiwan, che è sicuramente il conflitto globale potenziale più preoccupante. Una guerra nel Pacifico che coinvolga le due potenze potrebbe sembrare destinata a concludersi in tempi relativamente brevi, con il successo della conquista di Taiwan da parte della Cina o con una devastante reazione. Ma se si considera la complessità delle operazioni e si tiene conto delle variabili umane, diventa chiaro che un’invasione cinese di Taiwan sarebbe probabilmente prolungata. Per i cinesi, attaccare Taiwan significherebbe tentare, senza alcuna esperienza, una grande campagna aeronavale e persino un assalto anfibio di dimensioni storiche, senza dubbio l’operazione più difficile della guerra. Lo farebbero di fronte ad alcuni dei sistemi difensivi più avanzati al mondo e contro una popolazione che, come nel caso degli ucraini, sarebbe galvanizzata dal desiderio di salvare il proprio Paese. Sarebbe così difficile, infatti, che i cinesi potrebbero benissimo optare per un blocco aeronavale esteso intorno all’isola.

    Che si opti per un blocco o per una vera e propria invasione, i combattimenti si estenderebbero probabilmente su gran parte dell’Oceano Pacifico e le sfide logistiche sarebbero immense da tutte le parti. La guerra sarebbe tanto difficile per Washington quanto per Pechino. Gli Stati Uniti disporrebbero di alcune delle linee di rifornimento più lunghe al mondo, che si estenderebbero su tutto l’Oceano Pacifico, rendendole difficili da proteggere. Le forze americane dovrebbero operare relativamente vicino alla Cina continentale, rendendo le truppe statunitensi vulnerabili agli attacchi. Inoltre, gli Stati Uniti si troverebbero a combattere contro un nemico che non può essere conquistato e che ha le risorse industriali e tecnologiche per continuare a combattere per anni e anni.

    Una guerra tra Stati Uniti e Cina, quindi, non sarebbe né rapida né semplice. Non sarebbe decisa da una battaglia qui o da una battaglia là, o da quale Paese ha le armi più fantasiose. Sarebbe invece decisa dalla capacità di ciascuna parte di far funzionare sistemi militari complessi e di disporre di personale ben addestrato e motivato, potenzialmente per molto tempo. Qualsiasi Stato che stia contemplando un’azione militare nella regione dovrebbe rendersi conto di questi fatti e pensarci due volte prima di lanciare un conflitto.

    PHILLIPS O’BRIEN is Chair of Strategic Studies and Head of the School of International Relations at the University of St. Andrews.

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Russia Ucraina, il conflitto 42a puntata La complessità del conflitto Con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il conflitto sta sempre più assumendo quelle caratteristiche di una guerra di logoramento ed annichilimento che l’esplicita indicazione delle condizioni russe di un accordo lasciava presagire. Sempre più è l’intero territorio ucraino ad essere coinvolto; sempre più probabile che dal conflitto ne uscirà uno stato ridimensionato nei suoi confini e prostrato nelle sue condizioni. Un regime orai sempre più ostaggio dei propri mentori e delle proprie ambizioni scioviniste del tutto disconnesse dalle sue reali capacità operative autonome. Il conflitto ucraino sta svelando al mondo che la NATO a guida statunitense non è invincibile, anche in campo aperto. Una perdita di autorevolezza che muoverà vorticosamente le attuali dinamiche geopolitiche. Giuseppe Germinario il sito www.italiaeilmondo.com ha aperto un canale telegram con una ampia disponibilità di filmati oltre ai consueti articoli ed interviste https://t.me/italiaeilmondo

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La Russia sta finalmente correggendo le false percezioni dei BRICS, di ANDREW KORYBKO

La Russia sta finalmente correggendo le false percezioni dei BRICS

ANDREW KORYBKO
3 AGO 2023
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È sempre stato irrealistico immaginare che i BRICS siano un’alleanza di Paesi completamente sovrani che si sono uniti per l’odio comune verso l’Occidente e che quindi stanno complottando per rovesciare il dominio del dollaro nel prossimo futuro, come sostengono alcuni dei principali influencer della comunità Alt-Media.

Molti esponenti della comunità Alt-Media (AMC) sono stati fuorviati da alcuni influencer di spicco e hanno immaginato che i BRICS siano qualcosa che non sono. In particolare, pensano che si tratti di un’alleanza di Paesi completamente sovrani che si sono uniti per l’odio comune verso l’Occidente, motivo per cui starebbero complottando per dare il colpo di grazia al dollaro in un futuro molto prossimo. Chi condivide osservazioni “politicamente scomode” come quelle contenute nelle analisi che seguono, di solito viene attaccato dall’AMC:

* “Le aspettative popolari sul nuovo progetto valutario dei BRICS dovrebbero essere mitigate”.

* “Il Sudafrica ha dimostrato che il BRICS non è quello che molti dei suoi sostenitori supponevano”.

* “I media alternativi sono sotto shock dopo che la Banca dei BRICS ha confermato di essere conforme alle sanzioni occidentali”.

* Spiegare le differenze tra Cina e India sull’espansione dei BRICS”.

La Russia sta finalmente correggendo le false percezioni sui BRICS in vista del vertice di questo mese, screditando così la narrazione dei principali influencer dell’AMC. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha recentemente confermato che esistono divergenze tra i suoi membri sull’espansione formale del gruppo, che la Russia è riluttante a condividere pubblicamente la sua posizione ufficiale su questo argomento delicato e che non c’è alcuna possibilità che i BRICS svelino una nuova valuta a breve. Ecco i resoconti della TASS su ciascun punto:

* “‘Esistono sfumature’ tra i membri dei BRICS riguardo alla potenziale espansione del gruppo – Cremlino”.

* “La Russia non si affretterà ad annunciare la sua posizione sull’espansione dei BRICS – Cremlino”.

* “La moneta comune dei BRICS è difficilmente realizzabile in tempi brevi – Cremlino”.

Estrapolandoli nell’ordine in cui sono stati condivisi:

* I BRICS sono effettivamente divisi tra coloro che vogliono cogliere il momento storico espandendo il blocco il più possibile da subito e coloro che ritengono che un ritmo più lento sia più allineato con i loro interessi comuni;

* la Russia sembra essere più favorevole al secondo approccio, altrimenti non si lascerebbe sfuggire l’opportunità di segnare punti politici nei confronti dell’Occidente, pubblicizzando l’espansione dei BRICS per preparare l’opinione pubblica globale a una presunta imminente nuova era di affari geoeconomici;

* e le naturali differenze del blocco tra i suoi diversi membri rendono estremamente improbabile che tutti accettino presto di cedere parte della loro sovranità economica promuovendo attivamente una nuova moneta a scapito delle rispettive valute nazionali.

Nulla di tutto ciò è sorprendente o il risultato dell’influenza occidentale, ma era del tutto prevedibile a causa delle dinamiche interne al gruppo BRICS e delle relazioni dei suoi membri con l’Occidente, che gli osservatori oggettivi comprendono bene ma di cui l’AMC è stata in gran parte all’oscuro, dal momento che alcuni influencer di primo piano hanno distorto e talvolta omesso i fatti relativi per promuovere la loro agenda. Ci sono sempre stati argomenti legittimi a favore e contro la rapida espansione di questo blocco e il ritmo con cui accelera i processi di multipolarità finanziaria.

Ad esempio, un’espansione troppo rapida rischia di indebolire il BRICS, poiché diventerà più difficile raggiungere il consenso, ma non sfruttare l’interesse di altri Paesi a partecipare alle sue attività rischia di sprecare questo momento storico, ergo la necessità di un compromesso come BRICS+. Lo stesso si può dire del ritmo con cui il BRICS accelera i processi di multipolarità finanziaria, dato che tutti i suoi membri, a parte la Russia, sono in rapporti di complessa interdipendenza economico-finanziaria con l’Occidente.

Sulla base di questa osservazione, tutti i membri dei BRICS, pur avendo un interesse comune a diversificarsi dal dollaro e dalla loro sproporzionata dipendenza dal commercio e dagli investimenti occidentali, intendono procedere in modo diverso. Dare un colpo mortale al dollaro e rovinare l’economia occidentale danneggerebbe i loro interessi e, anche se alcuni potrebbero pensare che questo sarebbe comunque utile alla Russia, si sbagliano perché la destabilizzazione economico-finanziaria che ne deriverebbe per Cina e India non è a suo favore.

Di conseguenza, è sempre stato irrealistico immaginare che i BRICS siano un’alleanza di Paesi completamente sovrani che si sono uniti per l’odio comune verso l’Occidente e che stiano quindi complottando per rovesciare il dominio del dollaro nel prossimo futuro, come sostengono alcuni dei principali influencer dell’AMC. L’unica ragione per cui questa falsa percezione è diventata virale è che il pubblico di riferimento non ne sapeva di più, dato che coloro di cui si fidavano hanno distorto e talvolta omesso i fatti relativi a questo fenomeno per promuovere la loro agenda.

Se non contrastate, le speranze irrealisticamente elevate che molti in tutto il mondo sono stati indotti a nutrire nei confronti dei BRICS li porteranno inevitabilmente a rimanere profondamente delusi dopo che il vertice del gruppo di questo mese non avrà soddisfatto le loro aspettative, rendendoli così suscettibili di suggerimenti ostili. Una massa critica di sostenitori del multipolarismo potrebbe quindi “disertare” dalle teorie cospirative del “piano scacchistico 5D” sui BRICS per abbracciare quelle “doom & gloom” (D&G) spinte dall’Occidente per demoralizzarli.

Col senno di poi, la Russia avrebbe dovuto gestire in modo proattivo le percezioni sui BRICS per evitare questo scenario con largo anticipo, ma stava dando priorità agli sforzi per proteggere la propria integrità di fronte all’attacco propagandistico senza precedenti dell’Occidente e non aveva abbastanza esperti a disposizione per farlo. Inoltre, fino a poco tempo fa non si era resa conto di quanto fossero imprecise le opinioni di molti sostenitori del multipolarismo su questo gruppo, ancora una volta per lo stesso motivo per cui ha esperti limitati e non può coprire tutto.

Questa intuizione spiega i tardivi tentativi della Russia di correggere queste false percezioni a sole tre settimane dal prossimo vertice. Potrebbe essere troppo poco e troppo tardi per impedire le “defezioni” di alcuni sostenitori del multipolarismo dal campo della cospirazione “5D chess” a quello “D&G”, come si può dire per l’arresto da parte della Russia, il mese scorso, del famigerato teorico della cospirazione “D&G” Igor Girkin, ma è meglio di niente e dimostra che il Cremlino è ora consapevole della minaccia posta ai suoi interessi di soft power da alcune teorie cospirative.

Quelle di Girkin sull’operazione speciale erano “non amichevoli”, mentre le teorie cospirazioniste dell’AMC sui BRICS sono “amichevoli”, ma entrambe manipolano la percezione dei sostenitori della Russia su questioni sensibili, portandoli a diventare sempre più lontani dalla realtà con il passare del tempo. C’è voluto un po’ di tempo, ma la Russia sta finalmente correggendo queste false percezioni e contrastando le teorie cospirative associate, e si spera che faccia tesoro di questo slancio per fare presto lo stesso anche su altre questioni sensibili.

I disaccordi espressi con rispetto e le critiche costruttive ben intenzionate dovrebbero essere sempre incoraggiate, ma distorcere e talvolta omettere i fatti per creare artificialmente una falsa percezione che favorisca un’agenda è inaccettabile e dovrebbe essere sempre contrastato. I principali influencer dell’AMC devono quindi decidere se svolgere il primo ruolo a sostegno degli interessi di soft power della Russia o continuare a svolgere il secondo, rimanendo così gli “utili idioti” dell’Occidente.

https://korybko.substack.com/p/russia-is-finally-correcting-false

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