LE CONSEGUENZE PROBABILI DI UN INTERVENTO NATO IN UCRAINA, di Michael Vlahos

 

LE CONSEGUENZE PROBABILI DI UN INTERVENTO NATO IN UCRAINA

di Michael Vlahos

 

Ciò che rende interessante la filippica[1] di Luttwak non è ciò che Luttwak dice – ma piuttosto la straordinaria distanza dalla realtà effettiva che lui e la classe dei cortigiani occidentali ora abitano. [Ed è stato un amico e un collega: Cioè, lo conosco da 40 anni, quasi sempre in un’accesa polemica accademica, e le nostre conversazioni esuberanti sono sempre state amichevoli – ma in quasi tutti i casi sono stato in disaccordo. Come adesso]. Il punto chiave della sua argomentazione, che nessuno dovrebbe ignorare o sottovalutare, è questo: Luttwak ci dice esplicitamente che ora crede – improvvisamente, come molti altri privilegiati della Corte Imperiale – che una guerra tra NATO/Ucraina e Russia/Bielorussia non potrebbe mai degenerare in un conflitto nucleare.

La pecca nell’argomento è questa: Una guerra di questo tipo si intensificherebbe rapidamente, e inevitabilmente, all’interno del quadro convenzionale in espansione del conflitto.

Le conseguenze sarebbero le seguenti:

PRIMO: non si tratterebbe più di una guerra in Ucraina, ma piuttosto di una guerra che verrebbe combattuta in tutta Europa. La rete di basi NATO verrebbe colpita dagli ipersonici (e da altri efficaci penetratori). Anche le concentrazioni di truppe della NATO – dentro e fuori l’Ucraina – verrebbero colpite. Migliaia di soldati NATO morirebbero. Inoltre, la guerra si espanderebbe rapidamente ai mari costieri, e poi agli oceani. Gli accessi ai porti dell’UE sarebbero minati e molte navi occidentali sarebbero affondate. Le installazioni militari nelle città europee verrebbero colpite (come nel Regno Unito), scatenando un’incontenibile “follia di folla”.

SECONDO: le forze della NATO si troverebbero ad affrontare non solo una sconfitta sul campo in Ucraina, ma anche una disfatta a più livelli. L’escalation in questo caso porta inevitabilmente a una sconfitta più grande e storicamente più umiliante che lasciare che l’Ucraina faccia la pace alle condizioni della Russia.

TERZO: la coscrizione NATO porterebbe a rivoluzioni che rovescerebbero i governi di tutta l’Europa, seguite dalla caduta della NATO e dell’UE. Si veda quanto accadde nel tardo autunno del 1918, in tutta Europa.

Nel panico e nell’isteria assoluta che ne deriverebbero, i “leader” statunitensi potrebbero benissimo arrivare all’impiego del nucleare.

In altre parole: oggi,  la minaccia di un passaggio al nucleare, molto probabilmente, si trova in Occidente (proprio come in un’altra “regione” in difficoltà di cui alimentiamo il grido di guerra – e in questo caso non si trova in Iran, ma in Israele).

Luttwak è solo uno dei componenti la nostra classe elitaria di “sonnambuli” che, come nel 1914, sta portando la civiltà sull’orlo del baratro: E oltre!

 

[1] https://unherd.com/2024/04/its-time-to-send-nato-troops-to-ukraine/...

4 aprile 2024 6 min

Nel 1944, Leslie Groves, il generale dell’esercito americano che gestì il Progetto Manhattan, chiese al suo capo scienziato, J. Robert Oppenheimer, quanto potente potesse essere la loro nuova bomba. Sarebbe 10 volte più potente della più grande bomba dell’epoca, la “bomba antisismica” Tallboy della RAF? O 50 volte, o anche 100 volte? Oppenheimer rispose che non poteva esserne sicuro – all’epoca si temeva addirittura che la reazione a catena esplosiva non potesse mai fermarsi – ma si aspettava una bomba molto più potente di 100 Tallboys. Groves rispose immediatamente che un’arma così potente non sarebbe stata di grande utilità per nessuno, perché i “politici” non avrebbero mai osato usarla.

Nel breve periodo, Groves aveva torto, mentre l’ipotesi di Oppenheimer era corretta. La bomba all’uranio di Hiroshima era infatti più potente di 1.000 Tallboys, con la bomba al plutonio di Nagasaki che superava anche quella. Ma solo cinque anni dopo, la previsione di Groves si avverò. Prima gli Stati Uniti, poi l’Unione Sovietica, e poi tutte le potenze nucleari successive si resero conto che le loro armi nucleari erano troppo potenti per essere usate in combattimento. Ciò è rimasto vero nei decenni successivi, fino all’invasione dell’Ucraina. Perché, nonostante le minacce atomiche di Putin, anche lui è soggetto alla logica della previsione di Groves. Decenni dopo la sua conversazione con Oppenheimer, un breve riassunto storico della guerra nucleare ha molto da insegnarci sulla situazione in Ucraina – e su come la vittoria potrebbe essere ottenibile lì solo con mezzi molto più convenzionali.

La prima prova dell’era nucleare arrivò con la guerra di Corea. Nel dicembre del 1950, centinaia di migliaia di soldati cinesi attraversarono il fiume Yalu per sostenere i loro alleati nordcoreani contro gli Stati Uniti. Con l’America in immediato pericolo di perdere decine di migliaia di uomini, il generale Douglas MacArthur decise che avrebbe dovuto usare le armi nucleari per fermare i cinesi. Di gran lunga il leader militare statunitense più rispettato dell’epoca – aveva guidato le forze americane nel Pacifico dall’umiliante sconfitta alla vittoria totale, e poi aveva agito come imperatore de facto del Giappone riformando il paese – MacArthur si aspettava che Truman acconsentisse al suo giudizio militare superiore. . Invece la risposta è stata un netto no. MacArthur ha insistito ed è stato licenziato.

Truman riconobbe che la natura della guerra era radicalmente cambiata dopo Hiroshima e Nagasaki. Quando autorizzò quegli attacchi, né lui né nessun altro sapeva che le esplosioni avrebbero causato anche una ricaduta di radiazioni, che avrebbe fatto ammalare e persino uccidere migliaia di persone a miglia di distanza dal luogo della detonazione. Inoltre, nel 1945, Truman si trovò di fronte alla prospettiva di perdere molte più truppe americane nella conquista del Giappone che nell’intera Seconda Guerra Mondiale fino a quel momento. I giapponesi combatterono davvero fino all’ultimo uomo e avevano ancora 2 milioni di soldati da spendere. Truman sarebbe stato cacciato dalla Casa Bianca se avesse permesso la morte di centinaia di migliaia di americani rifiutandosi di usare la bomba.

Ma cinque anni dopo, la situazione era molto diversa. Di fronte alla catastrofe in Corea, Truman aveva l’alternativa di evacuare le truppe americane in Giappone se tutto il resto avesse fallito – e quindi non prese nemmeno in considerazione l’uso di armi atomiche. Sotto il successivo presidente, le sue bombe a fissione si sono evolute in bombe a fusione termonucleare almeno 100.000 volte più potenti di Tallboy. Ma ciò non fece altro che rendere il “No” di Truman del 1950 ancora più definitivo. L’astinenza dal nucleare è diventata l’unica scelta possibile sia per gli americani che per i russi, come ha dimostrato in modo precario ma definitivo la crisi missilistica cubana.

Tuttavia, occorrerebbe molto più tempo perché questa logica si trasformi in una dottrina definitiva. Dopo la creazione della Nato, 75 anni fa, e soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, furono compiuti sforzi esaustivi per trarre qualche ulteriore vantaggio dalle armi nucleari e in qualche modo ottenere il sopravvento sulla nuova alleanza occidentale. Le cosiddette armi nucleari “tattiche” non furono realizzate più, ma molto meno potenti, presumibilmente per consentirne l’uso sul campo di battaglia. I loro sostenitori sostenevano che avrebbero potuto fornire potenza di fuoco a un prezzo molto basso, con piccole testate nucleari che replicavano l’effetto di centinaia di obici. Sia le forze armate statunitensi che quelle sovietiche acquisirono debitamente migliaia di armi nucleari: non solo “piccole” bombe per cacciabombardieri, ma anche razzi da bombardamento (alcuni abbastanza piccoli da poter essere trasportati in una jeep), missili antiaerei, siluri e persino cariche di demolizione mobili.

Ma questa illusione non poteva essere sostenuta. I pianificatori militari arrivarono a capire che se i comandanti statunitensi avessero tentato di difendere il territorio della NATO attaccando le forze d’invasione sovietiche con piccole armi nucleari “tattiche”, i russi avrebbero usato il proprio arsenale per distruggere le forze occidentali in difesa. Lo stesso varrebbe per qualsiasi tentativo di sostituire la forza militare convenzionale con armi nucleari. E così si è capito che, sebbene le armi nucleari siano un utile deterrente, possono essere utilizzate solo per contrattaccare un precedente attacco nucleare – e mai per ottenere alcun tipo di vittoria. Così negli anni Settanta, quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica erano impegnati negli elaborati e molto pubblicizzati negoziati sulla “Limitazione delle Armi Strategiche”, i funzionari di entrambe le parti concordarono rapidamente di interrompere silenziosamente lo sviluppo, la produzione e la messa in campo di nuove armi nucleari “tattiche”, prima che smontando altrettanto silenziosamente decine di migliaia di queste armi.

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Perché la Russia non vince in Ucraina

Di Rajan Menon

Ma alla fine, sono state le più recenti potenze nucleari, India e Pakistan, a dimostrare in modo definitivo la ridondanza delle proprie armi nucleari per qualsiasi cosa oltre la deterrenza reciproca. Nella guerra di Kargil del 1999, che comportò numerose battaglie su vasta scala e migliaia di vittime, nessuna delle due parti tentò nemmeno di minacciare sottovoce un attacco nucleare. E questo è vero ancora oggi. Quando il cane da attacco più forte di Putin, Dmitry Medvedev, ha iniziato ad abbaiare sull’uso di armi nucleari “tattiche” dopo il fallimento dell’invasione russa iniziale nel 2022, sono stati solo i giornalisti meno competenti e quelli obbedienti a Mosca a fare eco ai suoi avvertimenti. Alla fine, dopo diversi mesi di questa follia, Putin è uscito allo scoperto e lo ha detto : la Russia utilizzerà le armi nucleari solo “quando l’esistenza stessa dello Stato sarà messa in pericolo” – intendendo con una corrispondente minaccia nucleare.

La situazione in Ucraina è cambiata di nuovo, ma vale la stessa logica. Invece di frustrati russi impantanati nelle loro trincee, ora è la posizione ucraina a sembrare precaria. Kiev presenta tutto ciò come una questione di materiale e chiede continuamente all’Occidente armi sempre migliori. Tuttavia, anche se potrebbero essere inviati più cannoni e missili, è chiaro che ciò che sta costringendo Kiev a ritirarsi passo dopo passo non è la mancanza di potenza di fuoco, ma la mancanza di soldati.

Fino a questa settimana, la coscrizione obbligatoria in Ucraina iniziava solo all’età di 27 anni, a differenza della norma globale di 18 anni. Zelenskyj ora l’ha ridotta a 25 ; ma con molti ucraini esentati dal servizio, le sue forze armate totali ammontano a meno di 800.000 effettivi attivi. L’Ucraina è ostacolata dalla distribuzione per età della sua popolazione, con bambini e anziani sovrarappresentati rispetto ai giovani nella fascia di età 19-35 anni. Ma il totale delle sue truppe è ancora troppo basso per una popolazione che, secondo la maggior parte delle stime, supera i 30 milioni, considerando che Israele può rapidamente schierare un esercito di circa 600.000 uomini su una popolazione di circa 8 milioni. Ciò significa che, a meno che Putin non decida di porre fine alla guerra, le truppe ucraine verranno respinte ancora e ancora, perdendo soldati che non potranno essere sostituiti. La Russia non ha nemmeno bisogno di inviare le sue migliori truppe per raggiungere questo obiettivo: semplicemente soldati volontari a contratto attratti da una buona paga, o prigionieri russi che scontano condanne penali ordinarie, reclutati direttamente dalle loro celle di prigione. Indipendentemente dalla qualità, però, l’esercito russo supera già quello ucraino e il divario diventa ogni giorno più ampio.

“I paesi della NATO dovranno presto inviare soldati in Ucraina, altrimenti accetteranno una sconfitta catastrofica”.

Questa aritmetica è inevitabile: i paesi della NATO dovranno presto inviare soldati in Ucraina, altrimenti accetteranno una sconfitta catastrofica. Gli inglesi e i francesi, insieme ai paesi nordici, si stanno già preparando silenziosamente a inviare truppe – sia piccole unità d’élite che personale logistico e di supporto – che possano rimanere lontane dal fronte. Questi ultimi potrebbero svolgere un ruolo essenziale rilasciando i loro omologhi ucraini per la riqualificazione in ruoli di combattimento. Le unità della NATO potrebbero anche dare il cambio agli ucraini attualmente impegnati nel recupero e nella riparazione delle attrezzature danneggiate, e potrebbero farsi carico delle parti tecniche dei programmi di formazione esistenti per le nuove reclute. Questi soldati della NATO potrebbero non assistere mai al combattimento, ma non sono obbligati a farlo per aiutare l’Ucraina a sfruttare al meglio la sua scarsa manodopera.

Fondamentalmente, con la Cina sempre più vicina ad un attacco a Taiwan, gli Stati Uniti non possono fornire più truppe delle circa 40.000 già presenti in Europa. Per gli altri membri della Nato, soprattutto per i più popolosi: Germania, Francia, Italia e Spagna, si prospetta quindi una decisione importante. Se l’Europa non sarà in grado di fornire truppe sufficienti, la Russia prevarrà sul campo di battaglia, e anche se la diplomazia dovesse intervenire con successo per evitare una debacle completa, la potenza militare russa sarebbe tornata vittoriosamente nell’Europa centrale. A quel punto, le potenze dell’Europa occidentale dovranno ricostruire le proprie forze armate, che lo vogliano o no, a cominciare dal ritorno del servizio militare obbligatorio. Forse in quelle circostanze potremmo addirittura assistere a un’esplosione di nostalgia nucleare, rifacendoci scioccamente all’illusione che le armi apocalittiche potrebbero essere sufficienti a mantenere la pace.


Il professor Edward Luttwak è uno stratega e storico noto per i suoi lavori su grande strategia, geoeconomia, storia militare e relazioni internazionali.

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Gaius e Germanicus_a cura di M. Vlahos

Germanico: Buonasera, Gaio. L’Arco della guerra è ora su una traiettoria di discesa molto ripida verso la sua conclusione – verso il cratere da impatto, come mi piace definirlo. La guerra ha raggiunto il suo apice, in realtà, nel periodo delle cosiddette “controffensive”, annunciate come successi – come grandi vittorie – avvenute verso la fine del 2022. Poi è arrivata la ripida discesa. L’apogeo si trasformò in una ripida discesa con il fallimento, nel corso di mesi, della cosiddetta “grande controffensiva”. Questi due eventi che hanno indebolito la forza dell’esercito ucraino, segnano il periodo in cui l’Occidente – intendendo la NATO, e soprattutto gli Stati Uniti – è stato più feroce nel rappresentare l’inevitabile vittoria ucraina e l’inevitabile sconfitta russa, e potenzialmente (si spera) il collasso: Ciò non solo avrebbe fatto sì che Putin si sarebbe vergognato della sconfitta, ma la Russia stessa si sarebbe sgretolata. In altre parole, l’Occidente collettivo – un’altra frase tendenziosa – desiderava una ripetizione della fine della Prima Guerra Mondiale, che portò al Trattato di Versailles, al quasi collasso della stessa Germania e al suo sprofondamento in una guerra civile durata due anni. Quindi l’Occidente desiderava davvero proprio quello che sarebbe stato, di fatto, il peggior risultato storico immaginabile. Eppure, fortunatamente per l’Occidente, è stato salvato dalla maestria russa nella guerra. E uso il termine maestria non come una sorta di servile encomio, ma piuttosto come un’osservazione che è stata appresa troppo tardi dall’Occidente, da scrittori come Mr. Kemp e altri del The Telegraph. La verità è che la Russia ha fatto un grande favore all’Occidente sconfiggendo l’Ucraina. La sconfitta in Ucraina è un modo per l’Occidente di districarsi da quello che avrebbe potuto essere, se si fosse realizzato, un risultato terrificante, che avrebbe portato inevitabilmente o a qualcosa di rauco e cacofonico come il crollo della Russia, o a una guerra mondiale e al crollo della Russia con uso delle armi nucleari. Quindi, intervenendo contro le speranze e i sogni occidentali, imponendo la volontà russa sull’Ucraina, che è ciò che sta accadendo proprio ora, c’è la possibilità di evitare uno di questi due risultati estremamente crudi e autodistruttivi, non solo per la Russia, ma anche per il paese. L’Occidente e forse il mondo intero. Quindi ciò che sta accadendo ora deve essere [meglio] compreso nel contesto del disfacimento di una nazione che affronta la sconfitta. Ne parlo ormai da mesi, a causa degli indicatori che compaiono [ovunque ]: Gli indicatori di sconfitta. Tutto è iniziato con le enormi perdite subite dall’Ucraina. L’Ucraina perde 30.000 uomini al mese. E questo non viene rivelato da me o da nessun altro, ma piuttosto dall’ex procuratore speciale dell’Ucraina, che lo ha annunciato pubblicamente. Queste perdite hanno portato alla demoralizzazione dell’esercito, a causa dell’incompetenza dell’Alto Comando ucraino – e soprattutto della supervisione della guerra da parte di Zelenskyj, seguendo la grande tradizione di quel Generalissimo vittorioso di maggior successo, il signor Hitler – “Herr Hitler .” In effetti [questo è] un esercito che non solo ha perso la fiducia, ma che si sente tradito. Si sta scoprendo ora che durante la cosiddetta “più grande controffensiva, i soldati ucraini – i mugik armati che venivano mandati in trincea – furono informati dai loro ufficiali superiori che i russi erano così demoralizzati che si sarebbero spezzati e sarebbero scappati al primo assalto. Quindi, in effetti, si stavano gettando i semi del tradimento, proprio come erano stati gettati, ad esempio, dalla Russia nel 1916, [con] il fallimento dell’offensiva di Brusilov, e dalla Germania nel 1918, [con] il fallimento della grande offensiva che intrapresero nel marzo 1918. [Qui] avete l’origine di una fissiparità: la spaccatura, lo sfaldamento è il seguito della rottura del rapporto tra il Leader e l’Esercito. E sempre più spesso, poiché l’esercito è il popolo, si ha una perdita di fiducia e un crescente sentimento di tradimento da parte degli ucraini comuni, soprattutto quando, ad esempio, vengono a vedere come tutti i funzionari e i leader ucraini di alto livello hanno corrotto il governo dell’esercito in modo che i loro figli non debbano andare al fronte, e ci sono 650.000 uomini ucraini in età militare che hanno lasciato il paese.
Gaio: Germanico, [Ursula] van der Leyen può vederlo? Bruxelles può vederlo? È questo il significato del loro voto “no“? Stanno anticipando la perdita e quindi non saranno più coinvolti, e daranno la colpa all’Ungheria; abbiamo bisogno dell’unanimità e l’Ungheria è un pessimo attore. Oppure è conveniente che l’amministrazione qui, o la macchina da guerra, incolpino i repubblicani perché vedono che Zelenskyj è distrutto?
Germanicus: Con l’Europa, il processo attraverso il quale dal riconoscimento e dalla rivelazione emerge un sentimento di tradimento, è come quello che vedi in Ucraina, quando diventano consapevoli del tradimento da parte della loro leadership e del loro governo. Anche l’Europa si sente tradita. Si sente tradito dalla crescente consapevolezza che gli Stati Uniti hanno orchestrato questa guerra in Ucraina per ridurre i partner europei e trasformarli in vassalli degli Stati Uniti: totalmente dipendenti dagli Stati Uniti per la loro energia e compiacenti per il futuro. In altre parole, ciò che Washington e la Città Imperiale strombazzavano come rinnovamento della NATO non era affatto tale. Si stava creando una forma di rapporto padrone-schiavo, che ora sta inasprendo l’Europa nei confronti degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, gli europei vedono che hanno puntato sul cavallo sbagliato. Hanno inviato tutto il loro equipaggiamento militare in Ucraina, dove è stato distrutto, e ora si sentono estremamente vulnerabili e spaventati – e non si fidano degli Stati Uniti che, nel profondo del loro cuore, li hanno traditi. Quindi la politica americana ha funzionato in superficie, eppure, in modi molto più profondi, si è rivoltata contro l’America. In altre parole, l’America ha perseguito una grande strategia autodistruttiva in Ucraina. E la parte peggiore di questa grande strategia, di cui penso che la gente a Washington – gente imperiale, dovrei dire, e cortigiani – sta cominciando a rendersi conto: che il loro strombazzare su un’inevitabile vittoria ucraina, cosa che hanno fatto all’apogeo di questa guerra – tra l’autunno del 2022 e l’autunno del 2023 – ha peggiorato le cose. Perché le persone che pensano di vincere (e quindi sostengono le vostre politiche senza riserve e con tutto il cuore), una volta che iniziano a vedere che era tutta una bugia: è allora che questo sentimento di tradimento si radica e prende piede. Quindi ora Washington è in una posizione in cui deve liberarsi o verrà portata via down. Quindi il problema non è più come tenere a galla l’Ucraina. Il problema è come gettare l’Ucraina sotto l’autobus in modo che l’Occidente collettivo possa ora lavarsene le mani.
Gaius: Sono John Batchelor qui con Germanicus, Michael Vlahos. Sono Gaio. Siamo a Londra. Kiev è un problema semplice. Zelenskyj perde autorità. Si va alle urne, c’è un nuovo presidente, iniziano le trattative. Kiev è ridotta a un residuo dell’Ucraina; Donbass, Crimea e altro ancora, forse fino a Odessa. La Novorossiya è di Mosca. Putin si prende il merito. Questo è semplice, ma la NATO è molto più difficile. Germanico, ti segnalo due fatti degli ultimi giorni. Il primo, il ministro degli Esteri della Lettonia, Kariņš, ex primo ministro, afferma che una volta che Mosca divorerà l’Ucraina, ne verranno pezzi grossi. Mosca verrà da loro, i vecchi stati sovietici dell’impero sovietico. Allo stesso tempo, un articolo su Foreign Affairs di Peter Schroeder, ex CIA, ora think tank a Washington, un falco sostiene che le armi nucleari tattiche fanno parte del pensiero di Putin e dello stato maggiore russo. Non per l’Ucraina. Ma in caso di guerra totale con la NATO. Mosca sostiene che adesso è in guerra con la NATO. La NATO non attacca. Ho menzionato queste due cose perché la NATO è un prodotto della prima Guerra Fredda. Non mi è chiaro se avrà un futuro qui nel 21° secolo. Come ritieni che la NATO risponda a questa domanda? Qual e il punto? Se perdiamo l‘Ucraina?
Germanico: La mia sensazione, come ex legato – leader legionario – nella Germania d’oltre Reno [Germania Barbaricum], sarebbe quella di dire agli europei: riesaminate le possibilità e le opportunità che sono state create – e di cui siete stati messi a conoscenza – alla caduta dell’Unione Sovietica. Per la prima volta in quattro decenni, c’era la possibilità che venisse creato un intero ordine di sicurezza europeo – includendo la Russia nella NATO – e che la NATO si trasformasse da un’alleanza militare, di cui non era più necessaria dopo la caduta. dell’Unione Sovietica e il crollo del Patto di Varsavia. Sarebbe più simile a un quadro di sicurezza, come il [O] CSE, ad esempio, avrebbe potuto intendere di essere. Tuttavia, un simile patto non poteva coesistere accanto a un’alleanza militare focalizzata sulla Russia. Quindi quella era un’opportunità – ed è stata un’opportunità che non è stata persa, ma [piuttosto] un’opportunità che è stata scartata dalla Città Imperiale qui a Washington. Gli Stati Uniti [non avrebbero] nulla a che fare con l’essere parte di un quadro di sicurezza e di un’associazione di stati che includesse la Russia. Gli Stati Uniti volevano mantenere la Russia come un nemico – non necessariamente inizialmente come un nemico – come uno stato non ancora digerito e non convertito, non ancora pienamente civilizzato e democratico. Così la NATO si trasformò da un’alleanza militare che si scontrava con il Patto di Varsavia in un’alleanza militare che supervisionava quella che sarebbe stata la nuova grande missione di proselitismo in Russia. E il suo obiettivo era quindi quello di ampliare l’orbita della democrazia per includere tutti gli stati dell’Europa orientale dell’ex Patto di Varsavia – cosa che è stata fatta – e poi [sui] quattro stati che erano stati spietatamente invasi da Stalin nel 1940, che sarebbe stata la Moldavia. [di fatto], Lituania, Lettonia ed Estonia. Poi, alla fine, [assorbendo] i principali Stati Federati della stessa Unione Sovietica, a cominciare dall’Ucraina, poi alla Bielorussia e infine alla stessa Federazione Russa. Si trattava quindi di un progetto aggressivo, imperiale, messianico, missionario e ancora manicheo. Quel progetto ha portato alla guerra in Ucraina. Si è svolto nell’arco di 30 anni, e penso che qualsiasi europeo attento che guardi a questo terribile disfacimento – di quella che era stata la possibilità più speranzosa alla fine della Guerra Fredda – arriverebbe alla realizzazione di ciò che [è stato] una calamità per l’Europa: l’Europa ha gettato via proprio la soluzione che l’avrebbe mantenuta stabile e prospera, la cui mancanza ora la sta trascinando verso il basso dal punto di vista economico. Ora, uno degli elementi più positivi di questa guerra – e penso che ce ne siano un paio – è che la Russia non si è dimostrata così aggressiva, “sto ricostruendo l’Impero”, di cui tutti l’accusano. essere in Occidente. Piuttosto, [è] uno stato difensivo – che combatte sulla difensiva – e in effetti, ciò che abbiamo visto finora nella guerra, e che probabilmente vedremo (entro certi limiti), è che la Russia non è un impero offensivo a forma di “grande freccia”. come alla fine della Seconda Guerra Mondiale – sotto Stalin, o nel 1939-1940. La Russia oggi è una grande potenza limitata – e anche la sua capacità di fare la guerra è limitata. Lo dico perché vediamo, dispiegarsi sul campo di battaglia, l’arrivo della guerra robotica e delle reti sintetizzate di consapevolezza situazionale. [Ciò] significa che le reti di sensori possono vedere tutto e raccogliere informazioni sul targeting in tempo reale, quindi, con i robot (chiamati droni), inseguire i singoli soldati sul campo di battaglia. Ciò ha sostanzialmente eliminato la prospettiva di grandi rastrellamenti di Panzer – la “Blitzkrieg” che ha caratterizzato la prima parte della Seconda Guerra Mondiale. [Farlo] sarebbe una vera follia per una nazione come la Russia, oggi. La Federazione Russa ha solo due terzi delle dimensioni e della popolazione dell’ex Unione Sovietica. È un’economia forte, ma niente in confronto, ad esempio, alla totalità dell’UE. Per rendere le cose più chiare nell’immaginario europeo: penso che gli europei oggi stiano arrivando a riconoscere che avevano fatto qualcosa di buono nella relazione [UE:RF], in particolare nella relazione tedesca con la Russia. L’energia a basso costo, che ha mantenuto la Germania come una potenza economica, ha creato il tipo di intreccio tra vita economica e culturale che stava attirando la Russia in Europa, nonostante i migliori sforzi degli Stati Uniti per fomentare il tipo di sovversione in Ucraina che ha portato a questa guerra. . Quello che sto dicendo è il fatto che una volta che questo riconoscimento diventerà generale in Europa – che hanno perso una cosa buona – le possibilità che esistevano dal 1991, per la Russia di essere trascinata in Europa, potrebbero ancora essere ricreate. Il fatto [è] che la Russia stessa non è costituzionalmente – in termini di costituzione fisica, come una grande potenza – configurata come un aggressore in Europa: ma piuttosto come un partner. Penso che quello che vedrete sarà un cambiamento epocale. Ciò comporterebbe, in termini di relazioni con la NATO, diciamo, una depotenziazione della NATO: una trasformazione della NATO da un’Alleanza aggressiva, diretta contro la Russia, in una relazione transatlantica più titolare che mantenga i legami armoniosi tra il Nord America e l’Occidente con l’Europa.
Gaius: L’Europa è estranea al modo in cui gli Stati Uniti hanno condotto questa guerra. Apparentamento esterno alienato. Credono che gli Stati Uniti li abbiano maltrattati e umiliati, e non stiano tenendo conto delle sfide che hanno dovuto affrontare a causa della perdita di energia russa. In altre parole, [USA :] “Abbiamo tutta l’energia di cui abbiamo bisogno. Allora qual è il loro problema?” Credi che la NATO possa continuare ad essere la NATO? Dopo la caduta di Kiev? Penso che tu abbia appena detto no, deve cambiare. Ma se ne va? Oppure si espande? Chi la guida dopo una sconfitta del genere?
Germanico: L’aspetto più importante del cambiamento è il mantenimento della necessaria continuità. Ergo, la NATO non può scomparire. E come ho detto poco fa, dovrebbe diventare il quadro titolare per il mantenimento di relazioni transatlantiche armoniose. In altre parole, vedrai una trasformazione dall’Impero al “Commonwealth”. Il Commonwealth può essere una buona cosa, può essere un elemento positivo, anche se solo simbolico e rituale. Puoi vederlo nel Commonwealth britannico. Si vede qualcosa del genere nell’ex Unione Sovietica, almeno per quanto riguarda l’Unione Economica Eurasiatica, così com’è. Ciononostante, un quadro del Commonwealth può essere molto positivo. Ma un’alleanza militare che può essere diretta dagli Stati Uniti e trasformata in un uso aggressivo della forza militare, non credo.
Caio inizia una conversazione con Germanico sulle elezioni in tempo di guerra. Iniziamo a esplorare le dinamiche storiche di ciò che si profila, potenzialmente questo novembre, come un altro grande momento di crisi nella vita americana.
Gaius: Come si conducono le elezioni in tempo di guerra?
Germanico, hai individuato due elezioni cariche di simbolismo. Uno è il 1864: Abraham Lincoln, convinto che sarebbe stato sconfitto. Credere che McClellan, l’ex capo dell’esercito del Potomac, candidandosi come democratico lo avrebbe sconfitto. E scrisse una lettera nell’agosto del 1864. Dicendo, parafrasando, che, per quanto sia probabile che sarò sconfitto, è necessario che il nuovo presidente diventi immediatamente autorevole, per negoziare con la Confederazione e tenere insieme ciò che abbiamo. Perché ci sarebbe quel periodo fino alla marcia che sarebbe estremamente difficile da gestire senza la certezza di chi ci sarà alla Casa Bianca. In seguito però ci furono degli eventi che ne resero possibile il successo. Sappiamo che Lincoln ha apportato alcuni importanti aggiustamenti politici, come non essere più solo un candidato repubblicano, ma un candidato nazionale. E  lasciò Hannibal Hamlin, suo vicepresidente nel primo mandato, un uomo del Maine solido per l’Unione, e fece entrare Andrew Johnson dal Tennessee, l’unico membro del Senato rimasto indeciso verso quale campo fosse garantita la sua lealtà. E questo ha causato problemi ma non immediatamente. Quindi siamo nel 1864. Hai menzionato anche il 1916, quanto è drammatico ciò che impariamo da quelle due elezioni che possono aiutarci durante quest’anno 2024, con due guerre in Eurasia e una terza guerra minacciata. Germanico: Siamo di fronte a un’elezione in tempo di guerra. Ci sono state moltissime elezioni in tempo di guerra nella storia americana: sono sbalordito nel vedere quante ce ne sono state. In effetti, ci sono diversi punti da tenere a mente per permetterci di analizzare e differenziare le dinamiche delle elezioni in tempo di guerra. Uno è quello in cui si tengono elezioni in tempo di guerra, e il paese è unito e vuole vedere la vittoria. E sembra che la vittoria sia quasi assicurata. Sarebbero le elezioni del 1944. Poi ci sono elezioni in cui la strategia di guerra ha fallito, e c’è una situazione di stallo e il paese vuole uscirne. Vuole districarsi. Sarebbero le elezioni del 1952, in cui i cavalli furono cambiati a metà strada, per così dire, da Truman a Eisenhower. Poi ci sono quelle che definirei elezioni in tempo di guerra, come queste imminenti, in cui in realtà non siamo in guerra. Non siamo pienamente impegnati, non abbiamo le nostre forze profondamente coinvolte in un combattimento sanguinoso faccia a faccia con il nemico. Piuttosto, queste sono elezioni di guerra per procura, e le elezioni del 1916 furono un bellissimo esempio di elezioni di guerra per procura. Il presidente in cerca di rielezione, Woodrow Wilson, fece una campagna con lo striscione “Ci ha tenuti fuori dalla guerra” – mentre allo stesso tempo, le macchine da guerra dell’intera coalizione alleata, principalmente Russia, Gran Bretagna e Francia – e a quel punto , anche l’Italia – erano completamente dipendenti dalla produzione statunitense di munizioni, dalla produzione di armamenti statunitensi e, cosa altrettanto importante, dal denaro statunitense prestato per mantenere a galla le economie dei tre grandi. Quanto è simile alle prossime elezioni. In altre parole, questa volta il presidente degli Stati Uniti, Biden, ha sostanzialmente ripetuto durante tutta la guerra in Ucraina uno striscione simile [frase ]: Ci ha tenuti fuori dalla guerra – con la leggera variazione che nessuna truppa americana è andata perduta . È un affare: 4,5% del bilancio della difesa e portiamo la Russia down. . È una vittoria strategica al prezzo di pochi centesimi. [Mentre al contrario] dovremmo ricordare che, nel 1916, non solo la Gran Bretagna, la Francia, la Russia e l’Italia erano completamente dipendenti dal potere degli Stati Uniti, dalle armi e dal denaro degli Stati Uniti. Ma agli Stati Uniti mancavano solo pochi mesi per essere risucchiati in una guerra. Se non fosse stato per la volontà [russa] di usare armi nucleari, a cui hai accennato prima, gli Stati Uniti avrebbero potuto – nella loro arroganza e nella loro eccessiva fiducia nelle proprie forze, combinata con la debolezza della Russia – spingerci nella guerra, più o meno allo stesso modo in cui gli Stati Uniti si lasciarono facilmente risucchiare nella Prima Guerra Mondiale nei primi mesi del 1917. Quindi questa è una situazione in cui gli Stati Uniti sono in qualche modo sul filo del rasoio, e questo si estende, ovviamente, al Medio Oriente, dove il confine è ancora più netto in termini di scoppio di una guerra più ampia. E il problema questa volta, che non era il problema del 1916, non è semplicemente la presenza di armi nucleari. È anche il fatto che nel 1916 gli Stati Uniti rappresentavano il 30% di tutta la produzione mondiale. Eravamo enormemente ricchi ed eravamo grandi. Ed eravamo nella posizione di poter davvero mandare tutto all’aria in Europa, cosa che abbiamo fatto. Oggi gli Stati Uniti sono una società molto più debole: è una società divisa, e siamo l’uno con l’altro ai ferri corti. A livello nazionale, rappresentiamo forse l’8% della produzione mondiale. Le nostre armi hanno fallito in Ucraina, nel senso che tutti si aspettavano che quelle armi spazzassero via tutto davanti a loro. Ciò che abbiamo visto è che il potere militare che dobbiamo esercitare è debole e fragile – e tale fragilità è sottolineata da una perdita di potere produttivo. Non possiamo produrre proiettili, come abbiamo fatto durante la prima guerra mondiale, non possiamo produrre armi come abbiamo fatto durante la prima guerra mondiale. Abbiamo soldi, ma i soldi non comprano nulla, perché non possiamo fare nulla. Il problema con il 1916 era avere la volontà di restarne fuori. Il problema oggi è la sconfitta imminente della nostra procura. In altre parole, la Gran Bretagna e la Francia erano vicine al crack nel 1917. E la Russia crollò. E l’Italia quasi crollò – tutto nel 1917. [Allora] gli Stati Uniti erano in guerra. Quindi non sono crollati tutti, tranne la Russia. Oggi l’Ucraina è sull’orlo del collasso e, con ogni probabilità, crollerà nei prossimi mesi. E il problema per l’attuale imperatore, Biden, è: come puoi essere rieletto, quando la tua intera impresa strategica sta per fallire? Nel 1916 gli Stati Uniti avrebbero potuto fallire. Voglio dire, la coalizione in Europa avrebbe potuto fallire ed essere sconfitta dalla Germania. Ma la Germania non era vicina a vincere, mai nella prima guerra mondiale. Quindi gli Stati Uniti erano in una posizione in cui potevano mantenere i finanziamenti per procura e, al momento [giusto], unirsi alla guerra con fiducia. Oggi abbiamo costruito una guerra per procura e annunciato prematuramente la vittoria ucraina, e improvvisamente, in una sorprendente inversione nel corso degli ultimi sei mesi, ci troviamo di fronte ad una situazione di sconfitta assoluta. Ciò porterebbe senza dubbio, come avvenne nel 1968 o nel 1950, a cambiare i cavalli [elettorali] nel mezzo della corrente. In altre parole, otterresti un nuovo presidente. Quindi il problema per l’amministrazione Biden è come evitare le conseguenze di una sconfitta in una guerra straniera. Questa è una guerra reale in termini di significato politico e peso politico, come se fosse reale. Come si fa a essere rieletti se si verifica un enorme fallimento strategico alla vigilia delle elezioni?
Gaius: Allora prendiamo i cavalli. Prendiamo il 1916. Charles Evans Hughes non aveva intenzione di cambiare direzione. Teddy Roosevelt avrebbe potuto farlo, ma [Hughes] non era Roosevelt, ed era molto disinvolto su come avrebbe condotto gli affari esteri. Tuttavia, nel 1864, come ho già detto, Lincoln pensava che sarebbe stato sconfitto. E credeva che McClellan, in qualche modo, si sarebbe arreso o avrebbe negoziato con Davis, con l’apparato di Richmond. Adesso ci troviamo in una situazione in cui non abbiamo una chiara comprensione dei candidati. Il signor Biden dice di essere un candidato e tutti ci credono. Trump afferma di essere il candidato principale e molti credono che Trump alla Casa Bianca rappresenterebbe un cambiamento drammatico rispetto all’amministrazione Biden. Questo influenzerà l’anno?
Germanicus: Questo fallimento strategico dell’Ucraina è un vantaggio per chiunque diventi il ​​candidato repubblicano. Molto probabilmente ora sembra che quella persona sia il signor Trump. Se viene nominato e l’Ucraina crolla al suolo, si troverà sulla ‘Easy Street’, proprio come lo fu Eisenhower nel 1952. Eisenhower riuscì a districare gli Stati Uniti dalla Corea, perché questo era ciò che il paese voleva. La situazione sul campo era in stallo e non c’era nessun posto dove andare. Quindi è stato abbastanza semplice. Se l’Ucraina crolla prima delle elezioni e viene eletto un repubblicano, il nuovo presidente potrà facilmente rimettere insieme i pezzi, perché la guerra non è un suo problema. In effetti, nel 1968, Nixon riuscì a farlo anche se continuò a far andare avanti la guerra, che alla fine si ritornò a distruggerlo. Ma il fatto è che, se sei il nuovo presidente, a cui è stato votato con la promessa di uscire o almeno di districarsi, allora non hai preoccupazioni. I democratici, d’altro canto, per poter vincere queste elezioni, non possono far crollare l’Ucraina prima delle [elezioni], altrimenti devono trovare un modo per gettare l’Ucraina sotto l’autobus [presto]. Per dire: “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, [ma] l’Ucraina ha fallito, perché era troppo bloccata nel vecchio paradigma di guerra sovietico. Non riuscivano ad adattarsi alle nuove tattiche della NATO e non hanno seguito i nostri consigli”. Bene, questo potrebbe non reggere, perché è una bugia evidente. Ed è anche altrettanto ovvio che abbiamo costretto l’Ucraina a combattere questa guerra facendo deragliare gli accordi che erano stati quasi raggiunti a Costantinopoli – voglio dire, Istanbul – nella primavera del 2022. E quindi sarà molto difficile buttare l’Ucraina [in modo pulito ] sotto l’autobus – ora che tutte le varie verità sulla guerra vengono fuori così rapidamente. Gaius: Quindi dovremmo guardare il 1864 o il 1916? Avremo tutto l’anno per affrontare tutto questo. Non dobbiamo avere fretta, ma in questo momento sono attratto dal modello 1864.
Germanicus: Anch’io, proprio perché [Lincoln] aspettava la sconfitta, e la vittoria è stata strappata all’ultimo minuto ad Atlanta e Mobile Bay, e in una certa misura nella Shenandoah Valley – per non parlare del trionfo del Kearsarge su quella nave diabolica, l’Alabama. Ma si sono verificati una serie di eventi fortuiti che hanno reso le preoccupazioni di Lincoln espresse in quella lettera improvvisamente infondate.
Gaius: Ma seguì il [18]65 e quella fu una catastrofe per la nazione.
Germanico: Lo era, ma la differenza qui – il contrappunto tra il 1864 e il 2024 – è l’imminenza della sconfitta in Ucraina e le conseguenze che avremo, come abbiamo discusso, non solo in termini di posizione mondiale dell’America, ma di relazioni dell’America con la NATO e, in ultima analisi, con la capacità dell’America di preservare lo Stato di Israele. Si tratta di una calamità potenzialmente di proporzioni sconvolgenti. E ciò non è di buon auspicio per i democratici, anche se possono sfruttare diversi vantaggi interni in termini di controllo del processo elettorale. Dovranno ancora affrontare una situazione in cui il Paese si è rivoltato contro di loro.
Gaius: Questo è ciò che dicono i sondaggi di Londra. Gli Stati Uniti hanno perso. Stanchezza per il sostegno militare statunitense. E questo non è vero solo nei 22 stati o altro, quanti ce ne sono, dove c’è un partito al potere, democratico o repubblicano. Questo vale anche per gli Stati indecisi, che hanno perso la simpatia per la guerra in Ucraina. Le ragioni di ciò richiederanno circa 100 anni di dottorati di ricerca per risolverlo.
Germanico è Michael Vlahos. Sono Gaius, John Batchelor.

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Michael Vlahos_ La dinamica di rivoluzione e guerra civile_A cura di Roberto Negri

La tesi espressa da Michael Vlahos non è certamente una novità per i lettori e gli ascoltatori di www.Italiaeilmondo.com Da circa dieci anni Gianfranco Campa, con decine di articoli, podcast e videoconversazioni, ci sta accompagnando lungo le vicende che stanno progressivamente facendo scivolare gli Stati Uniti verso una qualche forma di guerra civile, anch’essa in qualche modo delineata negli aspetti probabili. L’intervento di Vlahos illustra chiaramente il nesso stretto esistente tra una élite e un ceto politico decadente ed autoreferenziale e il processo di disgregazione e polarizzazione di una società tale da condurre al conflitto civile e al rivoluzionamento dell’ordine sociale. Un nesso che alcuni brillanti storici statunitensi, tra essi Theda Skocpol, hanno illustrato già alcuni decenni fa, ma che Vlahos riesce a farci toccare con mano nella attuale contingenza statunitense in questo intervento sottotitolato in italiano grazie al contributo di Roberto Negri. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Michael Vlahos: L’Ucraina avrà lo stesso destino del Sud nella guerra civile americana

Michael Vlahos: L’Ucraina avrà lo stesso destino del Sud nella guerra civile americana

Il giornalista danese Flemming Rose intervista Michael Vlahos[1]


AGON
[2]

5 SETTEMBRE 2023

 

 

L’esercito ucraino è destinato al collasso? Lo storico militare americano Michael Vlahos ha una visione eterodossa della questione. Con il giornalista danese Flemming Rose[3] ha discusso dello stato della guerra.

Per la rubrica Pensiero libero di questa settimana ho parlato con l’analista militare statunitense Michael Vlahos, che ritiene che l’esercito ucraino si stia avviando al collasso. Vlahos prevede che la Russia vincerà la guerra e che Putin si attesterà al confine quando inizieranno i negoziati sul futuro dell’Ucraina.

 

L’Ucraina ha il coltello dalla parte del manico?

Non so voi, ma io credo che sia difficile capire l’andamento della guerra in Ucraina.

Nonostante le fosche notizie dal fronte dei principali media statunitensi – “Washington Post”, “Wall Street Journal” e “New York Times” – gli esperti occidentali continuano a insistere sul fatto che l’Ucraina sta avendo la meglio.

La scorsa settimana, l’analista della sicurezza Mark Galeotti ha dichiarato sul quotidiano britannico “The Sunday Times” che “l’Ucraina sta vincendo la guerra”, anche se questa continuerà fino al 2024. Lo stesso quadro viene dipinto da uno dei principali commentatori americani di affari esteri, David Ignatius, sul “Washington Post”, dove prevede che quest’anno, come risultato dell’offensiva in corso, l’Ucraina potrebbe riuscire a tagliare il corridoio terrestre della Russia verso la Crimea, minacciando così il controllo di Mosca sulla penisola di importanza strategica.

Nella rivista “Foreign Affairs”, quest’estate lo storico militare Lawrence Freedman ha sostenuto che il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky è più forte che mai, mentre tutte le tendenze del conflitto – militari, economiche e diplomatiche – vanno a favore dell’Ucraina, e che il Presidente russo Vladimir Putin è quindi sempre più sotto pressione. Secondo Freedman, non gli restano alternative valide.

Infine, l’esperto di sicurezza americano Edward Luttwak riconosce, in un’analisi pubblicata sul media digitale UnHerd, che l’offensiva ucraina probabilmente non è andata come desiderato, ma Luttwak crede ancora che l’Ucraina, con una mobilitazione di 2-3 milioni di uomini, possa vincere la guerra e liberare i territori occupati.

Tuttavia, Luttwak basa la sua previsione su una popolazione ucraina di 30 milioni di abitanti. Questo numero si riferisce al gennaio 2022. In un’analisi del think tank Jamestown Foundation, collegato alla comunità di intelligence americana, si afferma che la popolazione ucraina si è oggi ridotta a soli 20 milioni, un po’ più dei Paesi Bassi, ma meno di Taiwan. E di questi 20 milioni, secondo la Jamestown Foundation, più della metà è costituita da pensionati: 10,7 milioni.

Jamestown stima che circa 2 milioni di ucraini siano mobilitati, il che corrisponde a circa il 10% della popolazione. Si tratta di un numero elevato, che in altre guerre ha avuto conseguenze negative per l’economia di un Paese. È il caso della Finlandia durante la Seconda guerra mondiale e del Vietnam del Sud durante la guerra del Vietnam. Secondo il Parlamento ucraino, c’è una carenza di manodopera nel settore energetico e nella produzione industriale e di armi, perché i dipendenti sono stati mobilitati.

A ciò si aggiunga che negli ultimi tre mesi l’esercito ucraino è riuscito a reclutare solo circa la metà del numero previsto. Questo è il motivo per cui il Presidente Zelensky ha licenziato i capi di tutti gli uffici di reclutamento del Paese, denunciandone la corruzione. Questa è senza dubbio una parte della spiegazione, ma potrebbe anche essere che, semplicemente, non ci sono più abbastanza persone in Ucraina.

Alla luce di ciò, si possono nutrire dubbi sul realismo della previsione di Luttwak di una vittoria ucraina sulla base dei calcoli che presenta.

Ciononostante, un’ampia gamma di esperti occidentali ritiene che l’Ucraina possa ancora vincere la guerra. E forse hanno ragione.

 

Prevedere il collasso dell’Ucraina

 

Il sillabo dice che le democrazie sono più brave delle tirannie a fare la guerra. Non c’è alcuna base empirica e storica per questo. Fa parte della dottrina religiosa americana, che non si cura della realtà.

 

Lo storico militare americano Michael Vlahos è di opinione diversa. Prevede un collasso dell’esercito ucraino, e ritiene che esso si trovi in una situazione che per molti versi può essere paragonata al destino degli Stati del Sud nella Guerra Civile americana. Allo stesso tempo, ipotizza che l’esercito russo uscirà da questa guerra come forse il più forte del mondo.

Vlahos – come suggerisce la valutazione radicale di cui sopra – non è uno di quelli a cui piace marciare a tempo. Una volta ha lasciato il suo lavoro presso un istituto di istruzione superiore perché si era stancato delle persone che dicevano una cosa e facevano il contrario.

Il dottor Vlahos spiega:

Tutti continuavano a parlare di pensiero critico. Gli insegnanti e la direzione hanno detto agli studenti: Siamo qui per insegnarvi il pensiero critico”. E sebbene il “pensiero critico” sia stato menzionato un totale di 24 volte nel programma, lo scopo di un programma dettagliato di 186 pagine, in cui le risposte “corrette” si trovano in una pagina su due, non è quello di insegnare agli studenti a pensare in modo critico. Le risposte “corrette” sono state ripetutamente inculcate nella testa degli studenti. Tutto seguiva un rigido manuale, e tutte le risposte corrette erano note in anticipo. Mi ha provocato una ribellione intellettuale, e alla fine non l’ho più sopportato“.

 

Può fare un esempio?

 

Il programma diceva che le democrazie sono più brave delle tirannie a fare la guerra. Non c’è alcuna base empirica e storica per questo. Fa parte della dottrina religiosa americana, che non si cura della realtà“.

 

Penetrare il mistero della guerra

 

Torneremo su questo argomento quando parleremo della religione civile e della visione dogmatica del mondo degli Stati Uniti, ma prima dobbiamo saperne un po’ di più sul background di Michael Vlahos.

Vlahos ha una lunga carriera alle spalle, durante la quale ha insegnato guerra e strategia alla Johns Hopkins University di Washington e all’università della Marina statunitense, il Naval War College di Rhode Island. Vlahos ha lavorato anche per la CIA, e alla fine degli anni ’80 è stato capo della ricerca del Dipartimento di Stato americano. Negli ultimi anni ha collaborato con l’Institute for Peace & Diplomacy di Washington ed è autore del libro Fighting Identity: Sacred War and World Change[4]. Vlahos fa risalire il suo interesse per la storia della guerra alla prima infanzia, quando i suoi genitori gli regalarono una storia illustrata del mondo, e a quel tempo la guerra occupava gran parte della storia. Spiega:

Ho trascorso la maggior parte della mia vita professionale a capire il mistero della guerra e il motivo per cui la guerra è così centrale nella vita e nella morte delle civiltà e come la guerra sia servita come forza positiva e negativa nell’evoluzione umana“.

 

Tre fattori decisivi

All’inizio di agosto, Vlahos ha pubblicato un saggio sensazionale sulla rivista conservatrice Compact con il titolo drammatico “L’esercito ucraino sta cedendo“.[5]

Secondo Vlahos, è l’interazione di tre fattori che può causare il crollo di un esercito. In primo luogo, quando l’ottimismo iniziale e la fiducia nella vittoria si trasformano nella percezione che la guerra non può essere vinta. Proprio questo cambiamento di umore, dice Vlahos, può essere rintracciato nella società ucraina e al fronte, dove molti esprimono che l’obiettivo dichiarato della vittoria – il ripristino dei confini dell’Ucraina dal 1991 – non è più realistico.

In secondo luogo, sottolinea Vlahos, un punto di svolta critico si verifica se il sostegno esterno degli alleati inizia a diminuire. Nessun alleato occidentale lo dice apertamente, ma i politici ucraini si rendono conto di essere sottoposti a forti pressioni da parte di diversi Paesi occidentali affinché inizino i negoziati per porre fine alla guerra; e questa settimana, uno dei più forti sostenitori dell’Ucraina al Congresso, il repubblicano Andy Harris, che è presidente di un gruppo di sostegno all’Ucraina alla Camera dei Rappresentanti, ha osservato che l’offensiva di quest’estate è fallita e che è improbabile che l’Ucraina vinca la guerra, e che è quindi giunto il momento di ridurre il sostegno americano. Allo stesso tempo, il “Wall Street Journal” ha scritto, in un articolo sensazionale di qualche settimana fa, che i responsabili militari occidentali sapevano in anticipo che Kiev non aveva né l’addestramento necessario né le armi – dalle granate ai jet da combattimento – per respingere le forze russe.

In terzo luogo, la volontà di combattere di un esercito si avvicina a un punto di svolta critico, secondo Michael Vlahos, quando l’atteggiamento nei confronti di coloro che all’inizio della guerra hanno mostrato la via della vittoria e del trionfo, e che sono stati acclamati come eroi, diventano oggetto di critiche e alla fine vengono bollati come bugiardi e truffatori.

 

 

 

Un confronto con la Prima guerra mondiale

 

In Ucraina, questa tendenza si manifesta con una spaccatura tra il capo dell’esercito Valery Zaluzhny, da un lato, e il presidente Zelensky e la sua cerchia ristretta, dall’altro. Gli osservatori sottolineano che Zaluzhny era contrario all’offensiva di quest’estate, mentre Zelensky, a seguito delle pressioni esercitate in particolare dagli Stati Uniti, ha insistito per lanciarla. Se l’offensiva si concluderà con un fallimento, con perdite così pesanti che l’Ucraina non sarà in grado di ricostituire le sue forze, il Paese devastato dalla guerra rischia di precipitare in una resa dei conti politica interna su responsabilità e colpe, si legge nell’articolo.

Come dicevo, Michael Vlahos ritiene che tutti e tre i fattori siano ora in gioco in Ucraina, e che questo mini il morale.

Fa un paragone con la Prima guerra mondiale del 1914-1918, quando sei dei sette eserciti delle grandi potenze crollarono. Questo portò alla resa, all’ammutinamento e alle rivoluzioni. In quattro anni, la Germania perse il 3,1% della sua popolazione e la Francia il 3,6%. Vlahos stima che in un solo anno e mezzo l’Ucraina abbia perso il 2,5% della sua popolazione attuale, sotto forma di morti e feriti che non possono tornare sul campo di battaglia. Ciò corrisponde a 250.000 persone. Vlahos sospetta che i numeri possano essere più alti, ma per preservare il morale della popolazione ucraina sono un segreto di Stato. Secondo i documenti dell’intelligence americana, trapelati in primavera, all’epoca l’esercito ucraino aveva perso circa 130.000 tra morti e feriti. Vlahos insiste anche sul fatto che recentemente è emerso che fino a 50.000 ucraini hanno perso almeno una parte del corpo, un braccio, una gamba o altro. La cifra, per la Germania nella Prima Guerra Mondiale, è stata di 67.000 mutilati, in una guerra in cui la Germania ha perso 1,7 milioni di morti al fronte e 450.000 civili su una popolazione di 65 milioni.

 

Le perdite dell’Ucraina sono maggiori delle russe

 

Ma, sottolinea Vlahos, i dati sulle perdite non sono, alla fine, decisivi per la capacità di un esercito di continuare a combattere. Anche gli eserciti più logori continueranno a combattere, se credono nella causa. L’esercito britannico perse 60.000 uomini nel primo giorno della battaglia della Somme nel luglio 1916, mentre l’Italia ne perse 350.000 in 17 giorni a Caporetto, nell’autunno del 1917. Ma entrambi gli eserciti continuarono la guerra.

In contrasto con una convinzione diffusa in Occidente, Vlahos ritiene che l’Ucraina abbia subito perdite significativamente maggiori rispetto ai russi, salvo che nella prima fase della guerra. Lo sfondo del suo calcolo è il rapporto di forza dei cannoni e dei proiettili di artiglieria, dove si ritiene che i russi abbiano una preponderanza compresa tra 5:1 e 10:1. Proprio questo tipo di armi è stato il più letale in questa guerra, quindi, a meno che l’esercito russo non abbia sparato a casaccio, questa differenza sarà a suo favore, dice Vlahos. Durante la Prima guerra mondiale, le perdite dovute al fuoco dell’artiglieria rappresentavano il 70% di tutte le perdite, e Vlahos ritiene che questa sia un’eccellente linea guida per comprendere le cifre delle perdite nella guerra attuale. Inoltre, ritiene che i russi siano stati più bravi ad adattarsi agli sviluppi sul campo di battaglia.

 

Nessun congelamento del conflitto

Vlahos non crede che la guerra si concluderà con un conflitto congelato. Prevede invece una vittoria russa, in cui l’Ucraina e l’Occidente saranno costretti ad accettare le richieste di un’Ucraina neutrale senza una difesa significativa. L’Ucraina rischia di diventare grande come la Bielorussia, sia in termini di territorio che di popolazione, e proprio come la Bielorussia senza accesso al mare.

Se dovesse indicare un esempio dalla storia della guerra, simile a quello che vediamo in Ucraina, quale sarebbe?

La guerra civile americana ha avuto una dinamica simile, per molti aspetti. L’Ucraina è simile agli Stati del Sud. Anche loro, come l’Ucraina, avevano grandi potenze che li sostenevano. Hanno tenuto in piedi gli Stati del Sud. Gli inglesi regalarono agli Stati Confederati 1 milione di fucili. Furono i britannici ad attaccare segretamente le navi commerciali degli Stati del Nord. Stavano in effetti conducendo una guerra per procura contro gli Stati del Nord. I britannici inviarono anche la loro flotta alle Bermuda, dove protessero il naviglio confederato che attuava il blocco navale. Il modo in cui la Gran Bretagna ha agito nella guerra civile americana è esattamente quello che gli Stati Uniti stanno facendo oggi alla Russia in relazione alla guerra in Ucraina“.

 

Gli Stati del Sud avevano lo stesso obiettivo dell’Ucraina

 

E lei pensa che in Ucraina il risultato sarà lo stesso della guerra civile?

Il Nord era diverse volte più grande del Sud, proprio come la Russia è diverse volte più grande dell’Ucraina. Gli Stati del Nord erano molto più ricchi di quelli del Sud e possedevano la maggior parte dell’industria, e lo stesso vale nel rapporto tra Russia e Ucraina“. Vlahos sottolinea le enormi perdite subite dagli Stati del Sud durante la guerra civile americana. Un milione di uomini servì nell’esercito confederato, di cui 350.000 morirono e circa 200.000 furono feriti.

 

È incredibile che gli Stati del Sud abbiano potuto resistere così a lungo. Hanno perso circa lo stesso numero di uomini degli Stati del Nord, ma gli Stati del Nord avevano una popolazione più che doppia. Gli Stati del Sud avrebbero potuto resistere più a lungo se avessero investito di più nella difesa, ma invece attaccarono e invasero gli Stati del Nord per quattro volte. Subirono perdite enormi“.

 

Perché lo fecero allora?

Volevano convincere la Gran Bretagna e la Francia a entrare in guerra al loro fianco, e credevano che questo sarebbe potuto accadere se avessero ottenuto una vittoria spettacolare. Così il generale Robert E. Lee combatté per molti versi la stessa guerra in cui è costretta ora l’Ucraina. Ma ciò contribuì solo ad accelerare il crollo degli Stati del Sud. Furono completamente distrutti e gli ci vollero 100 anni per riprendersi. È lo stesso tragico sviluppo a cui stiamo assistendo in Ucraina“.

 

Anche gli Stati del Nord sono partiti male

 

E proprio come la Russia in Ucraina, anche gli Stati del Nord sono partiti male all’inizio della guerra civile?

Sì, nonostante la preponderanza demografica, la prosperità e la capacità industriale, all’inizio l’esercito degli Stati del Nord non era molto capace. Persero molte battaglie e diversi generali passarono dalla parte dei Confederati, ma durante i quattro anni di guerra il Nord imparò a combattere, e alla fine fu un esercito superbo a ribaltare le sorti della battaglia“.

 

I media aziendali seguono la narrazione del governo, come faceva la Pravda nell’Unione Sovietica.

 

Pensa che lo stesso stia accadendo all’esercito russo?

Sì. È un elemento di tutte le guerre. Certo, si può perdere e allora è finita, ma se una guerra dura abbastanza a lungo, si impara e si diventa più bravi a combattere. Abbiamo visto la stessa cosa durante le guerre napoleoniche all’inizio del 1800. Nei primi anni, Napoleone travolse un esercito europeo dopo l’altro, ma col tempo gli altri impararono a combattere e la cosa si concluse, come è noto, con la caduta di Napoleone. Ci sono voluti 10 anni, ma la curva di apprendimento dei russi in Ucraina è molto più veloce. Si sono adattati e innovati, e hanno aumentato la produzione di armi e munizioni. I russi potrebbero ora produrre 3-6 milioni di proiettili all’anno, mentre gli Stati Uniti possono fornirne 24.000 al mese“.

 

La battaglia per la narrazione

 

Quando parlano il Presidente Biden, i suoi ministri, i suoi consiglieri e i suoi capi dell’intelligence, sento una storia molto diversa. Tutti dicono all’unisono che la Russia ha già perso la guerra. Come dobbiamo interpretarlo?

Stanno conducendo una guerra con l’obiettivo di controllare la narrazione, e possono farlo perché la maggior parte della popolazione americana non è mai stata interessata a scoprire cosa sta realmente accadendo. I media mainstream seguono la narrazione del governo come faceva la “Pravda” nell’Unione Sovietica. All’inizio della guerra, si pensava che l’economia russa sarebbe crollata a causa di un rigido regime di sanzioni. E poiché l’impresa iniziale dei russi è fallita, si è detto che erano primitivi, selvaggi e irrimediabilmente incompetenti, e che non avrebbero mai potuto imparare perché bloccati nella loro mentalità e dottrina militare sovietica“.

 

Vlahos prosegue:

Quando la realtà ha iniziato a cambiare, non c’è stato alcun adattamento da parte nostra, e quando si è così concentrati a vincere la battaglia per il controllo della narrazione, indipendentemente da ciò che accade nella realtà, si finisce per credere a ciò che si racconta. E il rischio di promuovere una narrazione in contrasto con la realtà è che non solo crea aspettative irrealistiche. Finisce anche per esploderti in faccia e minare la fede e la fiducia in coloro che l’hanno propagata“.

 

La visione apocalittica dell’America

 

E ora arriviamo alla religione civile americana, cioè alla dottrina religiosa che, secondo Michael Vlahos, guida gli Stati Uniti, e di cui vede l’impronta anche in Ucraina.

 

Vlahos afferma che:

L’America è la patria del nazionalismo più riuscito e più estremo, che nasce dall’universalismo e dalla convinzione di aver ricevuto dal Creatore il compito divino di portare l’umanità sulla retta via, e di punire e sradicare tutto il male del mondo. Questa narrazione sacra attraversa la storia americana come un filo conduttore“.

 

Come si manifesta in Ucraina?

Qui vediamo la rievocazione di una narrazione che è stata tramandata dal XX secolo, due guerre mondiali e una guerra fredda, ma che in realtà risale alla Guerra Civile e alla Rivoluzione Americana. Si tratta del fatto che c’è un male nel mondo che deve essere combattuto e che l’America deve salvare il mondo da ogni male. Durante la guerra civile erano gli schiavi a dover essere salvati dal male, oggi sono gli ucraini a dover essere salvati dalla Russia malvagia, anche se la base della visione statunitense della Russia come epitome del male, il comunismo, è scomparsa. Tutti i nostri colpi di Stato e i tentativi di rovesciare militarmente i governi di tutto il mondo sono stati guidati dalla stessa narrazione. Dovevamo salvare tutti gli infelici, ma naturalmente è diventato più difficile perché si vedeva che non stava andando come si predicava“.

 

Non si tratta dell’Ucraina

 

E pensa che questo stia accadendo anche in Ucraina?

L’obiettivo di questa guerra non riguarda l’Ucraina, i bisogni e gli interessi ucraini. Si tratta della visione apocalittica che l’America ha del mondo. Il nostro compito è trasformare il mondo intero in una democrazia, e creare un nuovo ordine mondiale. Secondo questa narrazione sacra, l’America non può perdere perché noi siamo guidati da una provvidenza divina, abbiamo Dio o la Giustizia dalla nostra parte, e anche quando le cose vanno male più e più volte, noi andiamo avanti. Questo perché la nostra strategia è dominata dalla concezione di chi siamo. Non agiamo razionalmente, siamo guidati da un impulso religioso. Questa guerra finirà con l’opposto di ciò che l’America voleva“.

Cosa farà il Presidente Biden se le cose andranno come lei prevede? Dopo tutto, rischia di dover affrontare una sconfitta nel bel mezzo di una campagna elettorale.

Sarà un duro colpo. Possiamo già vedere i primi segni del modo in cui Washington imposterà la narrazione. Si dovrà dire: ‘Abbiamo fatto il possibile per l’Ucraina, abbiamo dato loro tutto ciò che chiedevano e li abbiamo addestrati, ma non erano all’altezza del compito’. Possono anche scegliere di gettare Zelensky sotto l’autobus e sottolineare l’enorme corruzione che è stata fatale per la guerra ucraina. Somiglierà un po’ all’Afghanistan, ma il collasso ucraino sarà qualcosa di completamente diverso, e prima o poi usciranno le cifre delle vittime. Sono gigantesche, quindi a un certo punto diverrà chiaro che gli Stati Uniti hanno bloccato i negoziati di Kiev con i russi, e sacrificato un intero Paese in nome della nostra vanità, del nostro narcisismo e delle nostre ambizioni eccessive“.

[1] https://www.agonmag.com/p/vlahos-ukraine-shares-same-fate-as?utm_source=post-email-title&publication_id=1191729&post_id=136547430&isFreemail=true&r=9fiuw&utm_medium=email

 

 

[2] https://substack.com/@agonmag

[3] https://frihedsbrevet.dk/militaerhistoriker-ukraine-deler-skaebne-med-sydstaterne-i-den-amerikanske-borgerkrig/

[4]  Vlahos, Michael (2008). Fighting Identity: Sacred War & World Change. Westport, Connecticut: Praeger Security International. https://www.libraryofsocialscience.com/ideologies/resources/vlahos-fighting-identity/

[5] https://compactmag.com/article/the-ukrainian-army-is-breaking

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L’esercito ucraino sta cedendo – Michael Vlahos

L’esercito ucraino sta cedendo – Michael Vlahos Compact Magazine
03.08.2023
Un esercito sconfitto e uno distrutto sono due cose diverse. Un esercito semplicemente sconfitto in battaglia può spesso ritirarsi con successo, riformarsi e ricostituire la propria forza, come fece Roma dopo l’umiliazione di Cannae, distruggendo alla fine la sua grande rivale, Cartagine. Ma quando interi eserciti si spezzano, quando perdono la volontà di combattere, anche l’intera nazione può spezzarsi. È quello che è successo ai grandi imperi nella Prima Guerra Mondiale ed è anche il destino che attende l’esercito ucraino.

Come fa una nazione in guerra ad arrivare a un punto in cui i suoi combattenti si rifiutano di combattere?

Parte di ciò che distrugge un esercito è il logoramento, che deriva sia dalle perdite che dai traumi che accompagnano le perdite sul campo di battaglia. Il trauma tra i sopravvissuti li logora. La loro vitalità come forza combattente fuoriesce tanto da coloro che non sono stati colpiti quanto dai feriti, così come continuano a fuoriuscire l’ardore e la speranza, energie da cui dipendono le prestazioni in combattimento.

“Quanto può sopportare un esercito prima di crollare?”.

Quindi, l’attrito è “logoramento”, sia fisico che psicologico. Quanto può essere logorato un esercito prima di crollare? Nell’esercito confederato prestarono servizio circa un milione di persone: 350.000 morirono e altri 200.000 circa furono feriti. Si trattava di un logoramento davvero impressionante – la metà di tutti gli uomini che combatterono – per un esercito che, alla fine, si arrese all’Unione ancora intatto. Il loro capitano si arrese piuttosto che combattere una guerra persa, e i soldati che lo avrebbero seguito all’inferno deposero le armi.

Sempre per contrasto, dal 1914 al 1918, 6 dei 7 eserciti delle grandi potenze si ruppero, provocando ammutinamenti, arrese e rivoluzioni. Le perdite in battaglia furono impressionanti, anche se nessuna si avvicinò all’apocalisse confederata (pari al 5,38% della popolazione del Sud). La Germania perse il 3,1% della sua popolazione, la Francia il 3,6%.

Le perdite, tuttavia, sono solo una parte dell’equazione del logoramento. Con il tempo, prosciugano l’ardore e la speranza che raggiungono il culmine quando la guerra viene dichiarata per la prima volta, prima che venga versato il sangue. Tuttavia, anche un esercito esausto e scoraggiato continuerà a combattere finché i suoi soldati rimarranno impegnati nella causa. Per questo, nella Prima Guerra Mondiale, eserciti che avrebbero subito decine di migliaia di perdite in un solo giorno – la Gran Bretagna ne ha subite 60.000 il primo giorno sulla Somme; l’Italia ne ha perse 350.000 in 17 giorni a Caporetto – hanno in qualche modo continuato a combattere.

Tuttavia, l’impegno si affievolirà e poi fallirà se e quando si verificheranno altri tre fattori. Considerateli come soffi di ritorno negativi, che infiammano la già negativa angoscia del logoramento:

Il primo soffio di ritorno negativo si ha quando una guerra iniziata con grandi speranze sembra improvvisamente non poter essere vinta. Le prime vittorie sono ormai un vecchio ricordo. Si perdono più battaglie di quelle vinte e i costi della battaglia continuano a salire fino alla soglia della sopportazione umana, per poi risalire. Il secondo è quando il sostegno esterno di amici e alleati inizia a svanire. Questo è un fattore negativo particolarmente acuto se il sostegno degli alleati è il fondamento emotivo della fiducia dell’esercito nella vittoria finale. In terzo e ultimo luogo, coloro che hanno iniziato la guerra, coloro che hanno promesso una strada lastricata di vittoria e che hanno giurato che il mondo avrebbe sostenuto l’esercito fino alla vittoria – non importa quanto tempo ci sarebbe voluto – sono sempre più visti come bugiardi e ingannatori. L’esercito, l’intera nazione, è stato tradito dai suoi leader.

Tutto questo si è abbattuto sull’Ucraina nelle ultime sei settimane.

Da quasi un anno non ci sono vittorie, nemmeno sanguinose e debilitanti come nella quarta battaglia di Karkhov. I leader occidentali continuano a professare che il loro sostegno continuerà. Tuttavia, l’Alleanza Occidentale ammette ora di non aver dato agli ucraini abbastanza materiale per ottenere anche modesti guadagni tattici nella loro offensiva sacrificale in corso – e lo sapeva fin dall’inizio. E sempre più spesso i comandanti delle unità ucraine accusano i capi superiori di averli usati semplicemente come carne da cannone per soddisfare i signori della NATO. Non solo plotoni, ma anche unità più grandi si stanno arrendendo alle forze russe. Il morale sta crollando.

Questo è il logoramento che si sta realizzando. Gli imperi caduti nel 1918 – Germania, Austria-Ungheria, Russia e Ottomani – hanno avuto bisogno di quattro anni per arrivare a questo punto. In un terzo di questo tempo, l’Ucraina ha perso il 2,5% della sua popolazione. Questo calcolo equivale a ciò che gli storici sovietici chiamavano “perdite insostituibili”, ossia tutti i soldati che non sarebbero mai tornati nei ranghi.

In realtà, le perdite reali dell’Ucraina potrebbero essere più elevate. Il calcolo delle perdite è un giudizio composito basato su un mosaico di metodologie serie, nonché su incaute ammissioni della NATO, degli ucraini e dei media occidentali, tutte sincronizzate con l’incontestabile misura delle perdite provata nella Prima Guerra Mondiale: la comparazione dei colpi di artiglieria. Ciò ha favorito la Russia rispetto all’Ucraina con un fattore fino a 10 a 1. Se si aggiunge l’inflessibile dedizione delle forze ucraine agli assalti con un alto numero di vittime, e l’altrettanta dedizione della Russia alla “conservazione della forza”, il quadro si presenta del tutto fosco per Kiev. Ora si accumulano nuove prove dell’entità della catastrofe ucraina, provenienti da molti vettori: semplicemente contando i necrologi ucraini o le schede SIM morte.

Ma questo solleva una domanda: Le forze russe sono in condizioni migliori? Sì. Dopo più di 500 giorni, lo sforzo bellico russo beneficia di un numero molto inferiore di perdite irrecuperabili, con un fattore di almeno 5 a 1; la fiducia di tutto l’esercito derivante dalla resilienza nei fallimenti, dal successo nell’adattamento sotto il fuoco e da un’arte operativa in rapida evoluzione; una serie di successi lungo il fronte e un’impennata nello slancio strategico; la sensazione in tutta la nazione che la Russia abbia gli uomini, gli strumenti e l’abilità sul campo di battaglia duramente conquistata per portare a termine il lavoro; e la vista dell’ultimo esercito ucraino, costruito dalla NATO, che brucia davanti ai loro occhi. Ciò che si aggiunge per la Russia, si sottrae all’Ucraina.

Nonostante l’alto numero di vittime dell’Ucraina, alcuni sostengono che la situazione generale sia salvabile. Tuttavia, il bilancio delle vittime è il fattore decisivo, perché le perdite in guerra devono essere confrontate con la salute e la stabilità dell’intera società. L’Ucraina ha quasi il più basso tasso di fertilità al mondo e un grafico di età in salita e in discesa per coorte demografica. In parole povere, gli uomini persi negli ultimi 500 giorni non genereranno una progenie. Ecco perché è importante fare i conti con le “perdite insostituibili” dell’Ucraina. Non sono solo i morti, ma anche i mutilati tra gli uomini che possono far crollare la società. È la spirale in cui è caduta la Francia dopo la Prima Guerra Mondiale: diverse centinaia di migliaia di uomini hanno perso uno o più arti. Ora sappiamo che l’Ucraina è lo specchio dell’orrore francese. 50.000 ucraini hanno perso uno o più arti, quasi come i 67.000 della Germania nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1914, i francesi erano 39 milioni. Nel 1940 erano 39 milioni.

Nel 1994 l’Ucraina contava 52 milioni di persone. Poi è arrivata la catastrofe: Prima i giovani migliori e più brillanti hanno cercato un futuro migliore nell’Unione Europea e in Russia. Poi il terrore dopo il 2014 ha accelerato il deflusso. Ora la guerra ha di fatto allontanato geograficamente metà della popolazione dalla propria terra. All’inizio del 2022 l’Ucraina era una nazione di circa 33 milioni di abitanti. Oggi, un quarto della popolazione del Paese, già ridotta, è fuggito nell’Unione Europea e un altro quarto si trova negli oblast’ ora russi o risiede come nuovo migrante nella stessa Federazione Russa. Con 20 milioni di abitanti, l’Ucraina è un po’ più grande dei Paesi Bassi e un po’ più piccola di Taiwan.

Tuttavia, in termini di perdite per popolazione, le perdite militari ucraine, dopo più di 500 giorni di guerra, si avvicinano a quelle subite dalla Germania nella Prima Guerra Mondiale in più di 1.500 giorni. Si tratta di un tasso di logoramento catastrofico, aggravato da tutti e tre i cicli di retroazione negativa che possono distruggere un esercito e una nazione. Per tutta la primavera e l’estate, le forze ucraine sono state gettate in battaglia e ridotte al suolo. Entro l’autunno, l’esercito combattente sarà esaurito – il tragico destino dell’Ucraina migliore nel 2023. A settembre, ciò che resta si contorcerà e si piegherà verso la rottura, nel vento implacabile della guerra.

https://www.voiceofeurope.com/the-ukrainian-army-is-breaking-michael-vlahos-compact-mag/?fbclid=IwAR2oLXxM7JgX-H987Pfabe_HtSKOEU91lw0BPDFmaTs5s7HSRUtM7yd1GtU

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 Il demone nella sacra narrazione dell’America, di MICHAEL VLAHOS A cura di Roberto Buffagni

Il bellissimo saggio di Michael Vlahos, studioso di storia militare, strategia, antropologia, che qui traduciamo e pubblichiamo, rischiara uno degli aspetti più enigmatici della presente svolta storica. In questo scritto, con il suo ricchissimo corredo di note, Vlahos indaga le radici invisibili dei gravi errori strategici commessi negli ultimi trent’anni dalla potenza egemone occidentale, gli Stati Uniti d’America; e le cerca dove è meno facile scorgerle: nel mito fondativo americano, nella religione civile d’America, nei moventi più profondi e meno consapevoli della psiche americana.

Ne raccomando l’attenta e paziente lettura, e suggerisco al lettore di dedicare tempo anche ai numerosi rinvii ai testi citati in nota, spesso illuminanti. È tempo ben speso. Buona lettura.

Roberto Buffagni

 

 

 Il demone nella sacra narrazione dell’America

L’America è una religione infiammata da un’apocalisse eternamente ricorrente, e la guerra è il suo rituale di purificazione.[1]

 

di MICHAEL VLAHOS[2], 3 giugno 2023

 

 

L’America è una religione. Il 4 luglio 1776, gli Stati Uniti furono battezzati con queste parole: “Ci impegniamo reciprocamente con le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore“. Con questo giuramento[3], una nazione è nata e ha inaugurato il mito del suo ingresso nel divenire storico. Però, i Fondatori – i nostri “creatori” – hanno immaginato più di una nazione. Hanno anche abbozzato l’arco narrativo di un viaggio divinamente eroico, e designato gli Stati Uniti come il culmine (futuro) della Storia.

Questa è la sacra narrazione dell’America. Sin dalla loro fondazione, gli Stati Uniti hanno perseguito, con ardente fervore religioso, una superiore vocazione a redimere l’umanità, punire i malvagi e battezzare l’Età dell’Oro sulla terra. Mentre Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia si aggiravano per il mondo alla ricerca di nuove colonie e conquiste[4], l’America si è costantemente attenuta alla sua originale visione della propria missione divina quale “Nuovo Israele di Dio”[5]. Mentre le narrazioni mitiche delle altre grandi potenze erano crudelmente egocentriche, la Scrittura americana era – e rimane tuttora – “Servire l’Uomo”[6].

Così, tra tutte le rivoluzioni scatenate dalla Modernità, gli Stati Uniti si dichiarano, nella loro stessa Scrittura, il precursore e l’apripista dell’Umanità. L’America è la nazione eccezionale, l’unica, la pura di cuore, la battezzatrice e la redentrice di tutti i popoli umiliati e oppressi: L'”ultima, la migliore speranza della Terra”[7].

Questo è il catechismo della Religione Civile Americana[8]. Agli occhi del mondo, tutto questo può sembrare un vano rituale di autoglorificazione, eppure la Religione Civile è l’articolo di fede nazionale degli americani. È la Sacra Scrittura, che prende forma retorica attraverso ciò che gli americani considerano la Storia. Eppure questa visione della storia è meglio compresa se la si intende come un corpus di letteratura sacra, per molti versi paragonabile all’Islam.

Al posto del Corano, l’America ha la sua Dichiarazione di Indipendenza e la sua Costituzione. Al posto della Sira (السيرة النبوية), degli Hadith (حديث) e dei Tafsir (تفسير), l’America ha i Federalist Papers, le omelie presidenziali a partire dal Discorso di addio di Washington[9], e le tradizioni, le storie e i detti dei Fondatori, fino alle interpretazioni moderne offerte dai “grandi americani” che si sono succeduti. Invece del Fiqh (فقه) e del suo sistema di Madhhab (مذهب), l’America ha le sue scuole di giurisprudenza che interpretano e traducono – in una sorta di Ijtihad (اجتهاد) – le sue scritture nel corretto “modo di agire” (cfr. Madhhab).

Oggi possiamo davvero comprendere il pensiero e l’azione americani solo attraverso la lente della religione. L’America è infatti una religione intransigente come l’Islam[10]. Per esempio, si può pensare che agli americani manchi la Shahada (ٱلشَّهَادَةُ), o “la testimonianza” della fede, ma non è passato molto tempo da quando gli studenti di tutte le scuole pubbliche americane recitavano quotidianamente il Pledge of Allegiance (“il giuramento”). Non solo l’inno nazionale americano è un puro inno sacro, ma le sue parole sacre – Libertà e Democrazia – sono cantate ritualmente dal suo popolo proprio come ʾIn shāʾ Allāh dai musulmani.

La nostra letteratura sacra definisce chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando, e, come per la Ummah islamica (أُمّة), costituisce l’alveo del nostro Io nazionale. Inoltre, come l’Islam, anche la missione dell’America è “giustamente” guidata, e sarà compiuta solo quando tutta l’umanità sarà riunita nel suo abbraccio “democratico”. Proprio come il Dar-al-Islam, nel suo periodo di massimo splendore, spingeva incessantemente per una comunità globale “con il fuoco e la spada”, gli Stati Uniti hanno perseguito un universalismo non meno incessante nel loro secolo di apogeo.

 

La nostra letteratura sacra definisce l’identità americana come un grande arco narrativo, donato da Dio, che si realizza attraverso una serie ricorrente di storie che illustrano epifanie del sacro continuamente ascendenti: un ciclo storico di lotte estatiche che danno forma al mitico passaggio verso l’inverarsi storico dell’America, e che culminano in un’apocalisse – “rivelazione” o “svelamento” (in greco antico apokálupsis). All’interno di questi cicli apocalittici, il significato nascosto dell’arco narrativo sacro americano si rivela solo attraverso la realizzazione della democrazia universale. Come l’Islam, anche la religione americana culmina in un’apocalisse[11].

Come tale, l’arco narrativo americano può realizzarsi solo attraverso la battaglia. Ogni “momento culminante” nella narrazione sacra americana è stato realizzato attraverso il sacrificio reciproco e il potere trascendentale della vittoria in battaglia. Dal momento della sua fondazione a oggi, la guerra è stata l’incudine dell’America, e nel sangue essa è stata divinamente temprata[12].

Non solo ogni grande guerra americana è considerata un punto di riferimento per il progresso verso un Graal millenaristico, ma ogni generazione americana è stata incoraggiata a spostare in avanti il metro di misura dell’avanzamento. Anche se non tutte le lotte sono state coronate da successo, ogni spinta ha costituito un trampolino di lancio per il prossimo grande passo. La narrazione sacra americana è così onnipresente e onnipotente che, in oltre 250 anni, non c’è stata alcuna pausa storica significativa nell’inflessibile spinta americana verso la Jihad.

La narrazione sacra governa gli americani: governa ciò che pensano, dicono e fanno. La domanda è: chi controlla questa narrazione sacra? Naturalmente, il Vangelo americano è una creazione del popolo americano. Per quanto crediamo – anche se spesso in senso figurato – alla sua ispirazione divina, la “buona novella” dell’America è una nostra creazione. E proprio come per la Costituzione, in teoria abbiamo il potere di emendarla. Tuttavia, dato che l’imperativo dell’esegesi è scolpito nelle tavolette di Ur della religione civile americana, il settarismo diventa inevitabile.

La religione civile americana è inestricabilmente legata alla Riforma, al cristianesimo calvinista e alla sanguinosa storia del protestantesimo, con la narrazione sacra dell’America plasmata e battezzata attraverso il primo e il secondo Grande Risveglio del Paese. Sebbene la sua lettura scritturale sia divenuta laica nell’era del Progresso, la religione americana è rimasta legata alle sue radici formative. Infatti, anche la nostra contemporanea “Chiesa di Woke”[13] non può sfuggire alle sue origini cristiane calviniste.

Più volte nella storia americana, sette autoctone hanno cercato di “revisionare” la narrazione sacra, forse addirittura trasfigurandola. Per di più – dato il messianismo jihadista che fa da cornice alle Scritture nazionali americane – questo percorso revisionista deve passare attraverso la valle di lacrime dell’effusione di sangue fraterno e delle guerre civili.

L’apocalisse che porta il Millennio promesso all’umanità deve necessariamente riflettere l’anelito apocalittico del Vangelo americano: se siamo caduti nella corruzione, dobbiamo essere purificati e resi di nuovo degni di agire come Redentore del Mondo. Per i suoi peccati, una narrazione sacra corrotta non può trovare espiazione. Semmai, un Nuovo Testamento inossidabile deve sostituire il Vecchio Testamento arrugginito. La rinascita esige quindi il passaggio attraverso il fuoco purificatore della guerra. In effetti, l’ossessione per il potenziale purificatore e consacrante delle prove e dei terrori insiti nella guerra è il demone che si nasconde nei meandri della nostra letteratura sacra.

Questo invasamento demoniaco della guerra si radica nella nascita stessa dell’America come nazione. La Rivoluzione americana costrinse la nuova nazione a cacciare i propri fratelli e ad abbandonare l’antica parentela con la Gran Bretagna. Persino il codice sorgente della narrazione sacra dell’America – la Dichiarazione – è stato predeterminato in conformità alla trasfigurazione dei nostri (ex) parenti in (d’ora in poi) estranei e alieni, se non nemici. L’indipendenza richiedeva una metamorfosi. Il passaggio alla “rivelazione” passava attraverso il fuoco della guerra esistenziale intestina.

La Dichiarazione prefigurava anche la seconda possessione demoniaca dell’America. La guerra civile americana si sviluppò da una vistosa spaccatura settaria[14] che andò sempre più fuori controllo dopo il 1815. Due sette neocristiane evangelizzatrici ferocemente diverse, eppure inquietantemente simili, portarono a uno scisma nella religione civile[15] che assunse l’intensità appassionata delle guerre di religione europee (1545-1648)[16].

Il terzo invasamento dell’America ad opera della guerra santa si trasformò in un’apocalisse nientemeno che globale. Qui gli Stati Uniti non dovettero affrontare sette rivali all’interno della Religione Civile Americana, ma piuttosto il Demiurgo (gnostico) stesso, in una serie di sue manifestazioni tenebrose – fascismo, nazismo, comunismo – che potevano essere sconfitte solo dalla Luce.

Dal 1945, gli Stati Uniti hanno spesso confuso le battaglie neo-settarie affrontate in patria con la loro jihad universale per elevare e redimere l’umanità all’estero. Il nucleo della narrazione sacra dell’America – la sua autocomprensione come nazione divinamente ordinata, universalista e apocalittica – è, nella sua intensa religiosità, preoccupante. Il fatto che gli americani siano del tutto ignari di questo zelo religioso è inquietante. Ciononostante, questa narrazione sacra ha guidato gli americani di ogni generazione, spingendoli a ricreare e rivivere il loro arco narrativo originale – un eterno ricorso che oggi ha ramificazioni globali.

Questo ci porta alla nostra situazione attuale. Dal 2014, una nuova setta in rapida crescita – la “Chiesa di Woke” – ha cercato di trasformare e possedere pienamente la religione civile americana, per regnare come confessione religiosa sua erede. Ironicamente, il fervore del suo evangelismo incanala il post-millenarismo del Primo Grande Risveglio, il cui messianismo è stato codificato nel Novus Ordo Seclorum[17] (Nuovo Ordine dei Secoli).

Come ha preso forma la religione civile americana? Qual è l’origine del momento critico in cui ci troviamo oggi?

 

I quattro pilastri della rettitudine americana

La religione civile americana è guidata da quattro convinzioni e atteggiamenti di fondo: 1) missionarismo, 2) messianismo, 3) manicheismo e 4) millenarismo. In primo luogo, si ritiene che gli Stati Uniti siano in missione per conto di Dio, come ci ricorda Elwood Blues[18]. L’America è stata incaricata da Dio (o dalla Provvidenza[19]) e quindi porta con sé la Sua autorità, con il popolo americano che funge da agente divino. Con la fondazione dell’America, questa voce divina – che si leva al di sopra e dall’esterno, ma che sorge anche dall’interno – diviene immanente nei Fondatori dell’America e nei suoi “eletti”.

Il secondo motore della teologia americana è il suo idealismo messianico, radicato in una visione escatologica dell’esistenza. Si ritiene che l’America sia stata scelta – in quanto “nazione eccezionale” – per sollevare gli umiliati e soccorrere gli oppressi. L’America è la Nazione Redentrice[20] per eccellenza. La “salvezza” del mondo è affidata all’America, che deve assumersi il compito di rovesciare e punire i malvagi, di inseguire e abbattere il Male stesso. Questa certezza della propria unzione sacra, del proprio ruolo nel “giudizio finale” rende gli americani particolarmente inclini ad adottare una mentalità “bianco o nero”. L’America rappresenta la Luce, che lotta contro l’eterno “Lato Oscuro”[21] – questo è il terzo pilastro e il fondamento del manicheismo americano.

Infine, come città splendente su una collina[22], l’America rappresenta la nazione scelta da Dio, il cui popolo ha il sacro compito di mantenere la promessa postmillenaria del Regno dei Cieli sulla Terra. L’America guiderà quindi l’Umanità attraverso un mitico passaggio verso i benedetti “ampi e soleggiati altipiani”[23]. Questi quattro quadri mentali sono inestricabili dal nostro stesso essere americani e costituiscono il fulcro della nostra visione del mondo ancora oggi.

Prima di esaminare in modo più dettagliato questi pilastri della religione civile americana, una parola di cautela. Tutte le nazioni hanno dei miti fondativi e – in modo pesante o più leggero – sono tutte governate da essi. L’America non è unica tra le nazioni. Tuttavia, la sua narrazione sacra è davvero diversa, e rappresenta una forza potente nella psiche nazionale. Questa narrazione sacra non può catturare pienamente la ricchezza e la diversità di un ethos originale, un tempo radicato in antiche tradizioni. La cultura americana rimane un terreno di intrecci di tradizioni popolari e di visioni del mondo che ricordano ancora i suoi antecedenti storici. Alcuni li hanno definiti “il seme di Albione”[24].

Eppure, più volte, élite troppo zelanti, spinte da programmi estremi e utopistici, sono riuscite ad appropriarsi della Religione Civile e l’hanno piegata alla loro fede e alla loro visione del mondo universalistica, sebbene fosse in contrasto con le tradizioni normative contrastanti dell’American way of life.

Tuttavia, ogni generazione americana, dalla fondazione in poi, è stata governata da una religione civile che ne formava il contesto culturale. Se la narrazione sacra dell’America è stata vista e interpretata attraverso il prisma di una corrente di pensiero dominante – che fa capo più a Thomas Jefferson che a George Washington – ha comunque catturato l’identità americana, anima e corpo. Come ha fatto un caravanserraglio di tradizioni popolari, abitudini e retaggi coloniali a trasformarsi nella religione civile americana, intransigente e assolutista, che conosciamo oggi?

Il tempo di passione della nascita d’America – lo sconvolgimento rivoluzionario avvertito da ogni cittadino – ha offerto a una minoranza fanatica[25] lo scenario perfetto per catturare l’immaginazione americana con la promessa di un “progetto” eterno, il crogiolo perfetto per realizzare una metamorfosi nazionale.

Quindi, dalla caotica selva di possibilità di questo ambiente, una nuova religione e la sua narrazione sacra furono in grado di cristallizzarsi, creando al contempo le condizioni per fare proselitismo in una società coloniale più passiva e politicamente agnostica. Una minoranza di zeloti, che nelle generazioni a venire verrà ricordata come “I Figli della Libertà”, divenne il cocchiere in incognito della Rivoluzione.

Dall’America tardo-coloniale ai giorni nostri, i veri credenti hanno “guidato” ogni arco narrativo apocalittico americano. Come nella maggior parte delle rivoluzioni della storia, i pochi ardenti sono gli evangelisti che danno forma al caos del cambiamento, iniettando la loro rettitudine nelle arterie spirituali dei molti.

 

  1. L’America missionaria

La missione americana sgorga da una sorgente divina. Nel corso del tempo, l’alleanza originaria della comunità puritana con Dio[26] si è trasformata nella direttiva principale dell’America. L’America è diventata così “una città su una collina, alla quale gli occhi di tutti i popoli” – non solo in America ma in tutto il mondo – guardano con meraviglia. Lo Stato Missionario che ne deriva ha una sola brama: bagnare tutti i popoli nell’acqua battesimale della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.

Questa missione americana è stata risvegliata e ribattezzata quattro volte. Il primo e il secondo “Grande Risveglio” furono eventi nazionali drammatici, galvanizzati dal fuoco spirituale del revivalismo cristiano. Precedendo la Rivoluzione americana, il Primo Grande Risveglio[27] elettrizzò il grido di “Libertà” con un taglio evangelico[28], che riecheggiava la squillante profezia di Jonathan Edwards.

 

Il Secondo Grande Risveglio diede vita a nuove sette americane, come la Christian Science[29], gli Shakers[30] e la Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni[31], e guidò i movimenti sia pro sia contro la schiavitù verso l’evangelizzazione settaria, con la piena aspettativa di una lotta apocalittica. Il periodo della Ricostruzione che seguì era finalizzato al compimento di una narrazione salvifica che non avrebbe semplicemente riscattato gli schiavi, ma anche lavato i peccati dell’America stessa – un secondo battesimo nazionale[32].

Le epifanie nazionali cristiane furono poi seguite da un altro tipo di terzo grande risveglio, anche se non fu mai formalmente chiamato così. Tuttavia, dalla corruzione della Gilded Age e dal purgatorio della società industriale, sorse un movimento chiamato Vangelo sociale,[33] per aiutare gli americani a scoprire una nuova promessa di salvezza in questa vita. Questo movimento, a sua volta, animò una causa Progressista emergente: divenire levatrici del nuovo, in modo che il vecchio cristianesimo potesse dare vita a una nuova visione secolare che rimanesse comunque fedele a se stessa[34]. I progressisti, affatto laici, accettarono volentieri la benedizione cristiana su un’impresa per nulla interessata alle vecchie radici cristiane[35].

Nonostante l’apparente rifiuto di ogni ascendenza cristiana, tuttavia, il rituale e la dottrina di questa nuova incarnazione della religione civile si sarebbero attenuti alla forma originale e sacra del calvinismo. Solo che da allora in poi, tutte le apocalissi americane avrebbero potuto comandarci e ipnotizzarci con una voce laica.

La Missione Americana mescola, così, la redenzione con la conversione. I proclami sulla volontà di rendere il mondo “sicuro” – come sostenuto da Woodrow Wilson[36] nel suo discorso sulla Dichiarazione di Guerra, o, nel nostro tempo, sulla Responsabilità di Proteggere (R2P) di Samantha Power[37] – sono fuorvianti. In realtà, l’invocazione retorica di un “mondo sicuro e protetto” rappresenta una investitura divina americana, e il suo vero obiettivo è: convertire tutte le nazioni e i popoli alla religione americana.

Questo arco narrativo è iniziato con il Secondo Grande Risveglio, quando i missionari cristiani “procedettero dagli Stati Uniti verso i quattro angoli della terra”[38]. Negli anni Novanta del XIX secolo, quando lo Stato-nazione si proiettò sul mondo, lo Stato aveva srotolato nuovi stendardi missionari e nuovi catechismi, ma parlando con voce laica: per esempio, “conversione attraverso l’istruzione”, “educazione alla democrazia” e “civiltà americana”.

 

In effetti, la Commissione Taft, fissando la bussola culturale del dominio americano sulle Filippine, fece dell’educazione alla democrazia e alla civiltà americana il progetto di nation-building[39]  dell’epoca. Furono inviati centinaia di insegnanti americani (i “Thomasites”) e l’esercito americano costruì migliaia di scuole. Così, la costruzione di scuole divenne il tropo eroico della costruzione della democrazia, una “parola fatta carne” ufficiale pronta ad ispirare le successive missioni di “nation-building” in Iraq e Afghanistan.

Così, l’appello della Missione americana si è evoluto dalla redenzione di se stessi alla redenzione del mondo. Inizialmente guidato dal revivalismo cristiano, lo zelo missionario dell’America si è presto orientato verso un’alleanza secolare, ma ancora sacra (i 14 Punti di Wilson fanno uso esplicito di questa parola) con il mondo in quanto tale. L’autorità di questa alleanza implicita è ancora oggi in pieno vigore. Nessun’altra religione mondiale ha fatto un proselitismo più aggressivo con le sue dottrine.

 

  1. L’America messianica

Il messianismo americano incanala il potere delle eredità teologiche intrise della visione di Calvino sulla predestinazione. Riflette un abbraccio collettivo della predestinazione, che avvolge sia la nazione che i cittadini. Nel 1765, John Adams dichiarò che il popolo americano era guidato da una “provvidenza benigna” e che la sua missione aveva dimensioni messianiche[40]:

 

Ho sempre considerato l’insediamento dell’America con riverenza e meraviglia, come l’apertura di una grande scena e di un disegno della provvidenza, per l’illuminazione degli ignoranti e l’emancipazione della parte schiava dell’umanità su tutta la terra.

 

Quindi, l’America non solo ha un carattere “messianico” – in quanto “posseduta da passione e zelo” – ma manifesta una visione implicitamente biblica che proclama la sua fede nella natura predestinata del suo passaggio. Una “nazione eletta” divinamente scelta per agire nel nome della Provvidenza come Redentore del Mondo: il grande arco della narrazione sacra americana marcia sempre in avanti – con l’America come braccio di Dio – verso il millennio “benedetto”. Rivelando l’estasi di questo Zeitgeist messianico, Walt Whitman[41] poteva così esclamare nel 1860:

 

Io sono il cantore – canto ad alta voce sopra il corteo; …

 

Canto il nuovo impero, più grande di tutti i precedenti – Come in una visione mi viene incontro;

 

Canto l’America, la padrona – Canto una supremazia più grande; …

 

E tu, Libertad del mondo!

 

O come cantava Herman Melville[42] nel 1850:

 

Noi siamo i pionieri del mondo; l’avanguardia, inviata attraverso il deserto delle cose non sperimentate, per aprire un nuovo sentiero nel Nuovo Mondo che è nostro. La nostra forza è nella nostra giovinezza… la nostra voce profonda è udita lontano. Siamo stati a lungo scettici nei confronti di noi stessi e abbiamo dubitato che il Messia politico fosse venuto. Ma è venuto in noi.

 

A metà del XIX secolo, l’etere della Missione americana era pienamente infuso di messianismo della “Giovane Libertad”, in una fusione dimorfica di Antico e Nuovo Testamento. In effetti, l’eredità di Edwards è riuscita a creare un’autentica voce cristiano-americana, per quanto questa possa sembrare lontana dalle realtà della vita politica americana della metà del XIX secolo.

 

III. L’America manichea

L’idea di un’eterna lotta del bene contro il male risale all’antica Persia e alla religione gnostica e dualistica del profeta Mani (آینِ مانی). Si tratta di un tema duraturo, la cui corrente profonda si riversa nel cristianesimo e nelle sue numerose eresie (ad esempio, Albigesi, Bogomili e Pauliciani). Il manicheismo americano presuppone un Demiurgo e, dopo averlo evocato, lo proclama come proprio. Una volta che l’America rivendica l’intero potere del Bene e lo rende del tutto intrinseco alla sua concezione del Sé, lo Straniero, l’Estraneo e ciò che viene designato come l’Altro possono essere transustanziati di colpo – attraverso la celebrazione della liturgia nazionale – in puro Male.

In questo atto riflessivo, l’alterità precede il vilipendio definitivo e ufficiale. La fede religiosa crea un contesto che permette di trasformare l’altro in un male che distrugge il mondo. È con questa sacra ingiunzione che i guardiani dell’opinione pubblica americana accusano ed ostracizzano regolarmente le voci americane dissenzienti.

L’icona originale del male americano è emersa con la Rivoluzione Americana, con la quale rimane per sempre sincronizzata. Durante questa primordiale apocalisse americana, i rivoluzionari scacciarono gli ex fratelli come presunti agenti del tiranno primordiale, Giorgio III. Il fascino freudiano della trasformazione del fratello in Altro ha raggiunto il suo apice nella seconda apocalisse americana. Durante la Guerra Civile, “fratello contro fratello” divenne il motto quotidiano della guerra. Rispetto alla Guerra di Rivoluzione, l’apostasia americana era maturata. Durante la guerra civile, l’espiazione e la riparazione – il ricongiungimento con il corpo della Chiesa (americana) – divennero il compito più urgente dell’Unione.

Passando al XX secolo, era necessaria una riconciliazione operativa attraverso la quale l’ex nemico potesse trovare l’espiazione ed essere accolto, in ginocchio, nella vera fede garantita dalla profezia americana. Ciò è del tutto in linea con la formula originale osservata dall’America per trattare con il Prototipo dell’Altro. In conformità ad essa i Tories[43], responsabili mai perdonati del (nostro) peccato originale, sono stati scacciati ed esiliati dalla Città sulla Collina per tutta l’eternità[44]: banditi nelle gelide distese al di là del firmamento americano, oggi note come Canada. In questo modo, le prime due apocalissi dell’America hanno creato una patologia dualistica nella narrazione sacra americana: ostracismo o redenzione.

La soluzione novecentesca dell’America è stata quella di trasformare il nemico distillando tutto il male e il peccato in un individuo “satanico” che fosse la nuova personificazione del Male. Quindi, il nemico primordiale dell’America non erano i tedeschi, ma Hitler; non i sovietici, ma Stalin; non i russi, ma Putin. Il male personificato come Anticristo è stato il santo dei santi nella formula di redenzione dell’America per quasi un secolo.

 

  1. L’America millenaristica

Anche se oggi non è il senso corrente della parola, “apocalisse”, come detto in precedenza, significa rivelazione – togliere il velo sulla Parola di Dio e sul suo Piano. “Apocalisse”, quindi, non significa la fine del mondo, ma piuttosto il suo culmine: “Tutta la storia è, infine, apocalittica”.

Un particolare esito apocalittico – il postmillenarismo – è incorporato nella narrazione sacra americana. Può essere ricondotto, ancora una volta, a Jonathan Edwards. Gli storici hanno accusato Edwards di aver “catalizzato questo particolare filone di escatologia”[45], indirizzando così l’America verso il “destino manifesto”[46].

Oggi, nessun americano “giustamente guidato[47]” può prendere in considerazione, e tanto meno accettare, un eschaton minore. Per esempio, dati i dogmi della religione civile americana, un “realismo” che osi mettere in discussione il potere divino della democrazia diventa immediatamente anatema. Una visione dell'”interesse nazionale” slegata dal nostro piano sacro[48] equivale all’apostasia. Consultiamo le nostre Scritture americane. Innanzitutto, Apocalisse 14:19:

 

And the angel thrust in his sickle into the earth, and gathered the vine of the earth, and cast it into the great winepress of the wrath of God[49].

Confrontatelo con questo versetto della liturgia della guerra civile – L’inno di battaglia della Repubblica:

 

He is trampling out the vintage where the grapes of wrath are stored; He hath loosed the fateful lightning of His terrible swift sword.[50]

Così, sulla scia della sua seconda guerra apocalittica, nel 1865, con la politica purificata e il male abbattuto[51], poté nascere una nuova America.

Gli americani ritenevano che ciascuna delle crisi nazionali americane avrebbe potuto inaugurare nell’immediato un’era millenaria, un “Novus Ordo Seclorum[52], come prefigurato e profetizzato nelle parole di Washington. L’apocalisse e il suo potere rivelatore indicano quindi sempre la fine predestinata del nostro arco narrativo, una mimesi celeste in cui il mondo divino si rispecchia in terra.

Per questo, nel 1945, circa ottant’anni dopo la guerra civile, la terza apocalisse americana fu considerata un’altra opportunità provvidenziale per realizzare la profezia destinale dell’America. Anche se la promessa di un giudizio finale fu congelata dalla Guerra Fredda e rinviata ai posteri, l’establishment statunitense iniziò a sbandierare un Millennio in attesa: che c’era di nuovo un imminente “Mondo libero” da realizzare, un giorno, in un sacro ordine internazionale liberale.

L’improvvisa caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 inaugurò una falsa aurora. Semplicemente, la classe dirigente americana non era preparata a una sincronicità junghiana[53] dell’apocalissi così perfetta. Hanno freneticamente dichiarato un “Nuovo Ordine Mondiale” e celebrato la “fine della storia”[54], come se tutta l’umanità fosse semplicemente destinata a inchinarsi al Grande Sigillo dell’America.

Naturalmente, il Millennio promesso rimane ancora sfuggente. Ma questo non ha impedito all’establishment della politica estera degli Stati Uniti di attribuire una posta in gioco esistenziale a ogni nuova guerra che intraprende, appiccicando su di essa i sogni, divinamente sanciti, inclusi nella ricerca mitica – sempre affascinante – del compimento spirituale dell’America. La profondità e l’ampiezza della religione civile americana rivaleggiano con qualsiasi fede mondiale, non solo per l’enormità della teologia, la forza dei dogmi e la presa della sua letteratura sacra, ma anche per il suo impatto maniacalmente benefico e tuttavia brutale sull’umanità e sulla storia.

Per comprendere meglio la narrazione sacra americana, può essere utile valutare l’arco narrativo nazionale dell’America come si farebbe con una serie televisiva. In quanto tale, la serie americana di successo è già stata rinnovata per un certo numero di stagioni, anche se la nostra è una storia sacra organizzata intorno alle apocalissi.

Come religione universalista radicata fin dalla nascita nell’apocalisse, il ciclo di vita di 250 anni dell’America è interamente catturato dal suo sacro arco apocalittico, punteggiato da tre sorprendenti “rivelazioni”: la nascita con la Rivoluzione Americana, un battesimo o purificazione nella Guerra Civile, e una redenzione mondiale durante le due Guerre Mondiali – quasi compiuta, ma anticipata.

Cosa ci aspetta dunque nella nuova, e forse ultima, stagione? Dove siamo diretti, in questa melodrammatica prova?

 

La quarta apocalisse americana?

Gli americani continuano a negare che la loro ideologia nazionale equivalga a una religione civile. E’ vero che la grande intuizione in merito di Robert Bellah ha trovato ascolto sin dal 1973, ed è citata, a intermittenza, nei media mainstream[55] americani. Tuttavia, è un riconoscimento criptico e raro, e la consapevolezza popolare di esso è quasi inesistente. Gli americani rimuovono risolutamente la loro religione civile per tre motivi.

In primo luogo, gli Stati Uniti sono nati nello sfolgorio del pensiero illuminista, dove religione – soprattutto la Chiesa romana – equivaleva a superstizione. Edward Gibbon, che nel 1775 ebbe la sua epifania nel Foro Romano, attribuì il “declino e la caduta” di Roma alle forze della “barbarie e della religione”[56].

Tuttavia, i Fondatori abitavano un ambiente plasmato da uno Zeitgeist protestante, che dominava le loro vite. Se gli americani dovevano essere campioni della Ragione – dove “la Scienza è reale” e (in quasi tutte le dispute) “fornisce la soluzione” – quel Tempio della Ragione doveva avere radici affondate nella Predestinazione calvinista. Naturalmente, ogni americano “giustamente guidato” sa che il suo Paese è sinonimo di Progresso: l’America non può mai essere medievale. Quindi, in un atteggiamento del tutto privo di autoconsapevolezza, qualsiasi religione di Stato regnante – con le sue dure leggi religiose – apparirebbe arretrata, primitiva o, come spesso si dice del fondamentalismo islamico, equivale a “tornare al XIV secolo”[57].

Inoltre, gli americani – quasi senza eccezione – non riescono a concepire la religione in assenza di una “Chiesa” formale e confessionale. Così, anche all’apice della Guerra Fredda, i mali del comunismo non erano identificati come i peccati di una Chiesa alternativa. Il canone marxista-leninista non poteva essere teologia: doveva invece essere “ideologia”. Dopo tutto, come potrebbero essere religiosi i “comunisti senza Dio”? A ciò si aggiunga il fatto che molti esponenti della sinistra americana simpatizzavano con l'”idea” del socialismo e lo trovavano attraente per gli Stati Uniti, sempre che fosse stato “fatto bene”. In altre parole, credevano che una bella dose di democrazia e libertà americana avrebbe sicuramente ripulito il marxismo dai suoi mali e distillato i suoi altrimenti nobili ideali. Il socialismo è fallito in Russia perché non è stato unto dalla “buona novella” americana: una sua versione americana, invece, avrebbe prosperato.

Infine, una confessione di fede americana – l’aperta enunciazione dell’esistenza di una religione civile nazionale – sembrerebbe annullare la clausola di separazione tra Chiese e Stato della Costituzione. Tuttavia, la religione civile americana originale, così come concepita dai Fondatori, può essere definita una chiesa di Stato? Quasi certamente, essi direbbero di no. Dopo tutto, una religione civile non è una chiesa, almeno non nel modo in cui l’Illuminismo intendeva la religione. Nel XVIII secolo, per “religione” si intendeva una chiesa di Stato. Il diritto canonico e la common law rientravano quindi entrambi nelle prerogative dello Stato, che i Fondatori intendevano come Parlamento e Re. Possedere la Chiesa d’Inghilterra significava che lo Stato britannico poteva dire alla gente come vivere e pensare[58]– e lo fece -, come dimostrano l’Atto di uniformità[59], i Test Acts e le leggi penali.

Queste sono alcune delle ragioni per cui alcuni potrebbero esser contrari a inquadrare l’ultimo movimento di fede che emerge dall’attuale quarto Grande Risveglio come un’altra sfida settaria, familiare, persino classica, alla religione civile. In realtà, il “Risveglio”[60] è paragonabile alle sette evangeliche aggressivamente confliggenti, incardinate nel Nord e nel Sud, che spinsero l’America in una lotta (intestina) negli anni Cinquanta dell’Ottocento, dopo il Secondo Grande Risveglio. La sua origine può anche essere ricondotta direttamente ai temi laico-socialisti dell’era progressista, che si riflettevano nel Vangelo sociale.

Tuttavia, la crescita di questa nuova e virulenta setta americana va ben oltre, segnalando l’emergere di una futura nuova chiesa americana, una chiesa vera e propria. In questo caso, la “Chiesa di Woke”[61] implica un futuro edificio giuridico, inteso a revisionare e trasformare radicalmente il patto costituzionale americano attraverso dottrine semisacre e sponsorizzate dallo Stato, tra cui la “Critical Race Theory” (CRT), la “Diversity, Equity, and Inclusion” (DEI), la “Environmental, Social, and Corporate Governance” (ESG).

Nel XXI secolo, la protezione e il privilegio dello Stato hanno creato un proscenio politico su cui agisce una coalizione di tre distinti gruppi identitari laico-spirituali: Femministe, Persone di Colore e LGBT. Ognuna di queste sette ha al suo interno un gruppo di fazioni e denominazioni in crisi. Questa alleanza di sette si è fusa in una coalizione politica “intersezionale” che può essere sostenuta finché il suo programma comune rimane condivisibile.

Sotto la nuova religione wokeista, i confini tra il globale e il locale, l’interno e l’estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Tuttavia, se il loro programma comune venisse attuato costituzionalmente, la Chiesa di Woke sarebbe in grado di trasformare la vita americana: non solo stabilirebbe un apparato di controllo sul modo in cui i cittadini comuni pensano e si comportano, ma conferirebbe anche l’ordinazione auna nuova élite dirigente, i nuovi chierici della Chiesa Woke.

Gli sforzi della Chiesa di Woke per consacrare la classe dirigente americana – attraverso un corpo consacrato di veri credenti – non mirano tanto ad allevare una nuova aristocrazia, quanto piuttosto a preservare il controllo dell’élite sulla ricchezza e sul potere nella vita americana. In questo senso, la Chiesa non cerca semplicemente di reinterpretare (ijtihād) la dottrina, la legge e le scritture della religione civile originale, come altre sette della storia americana. Rappresenta anche un percorso seguito dalla classe dirigente per consolidare il suo potere e mantenere lo status quo. Il “radicalismo radicale” forse non è poi così radicale, ma il suo estremismo fa presagire autodafé settari e guerre esistenziali all’interno della religione civile[62] come quelle che caratterizzarono l’America tardo-antica.

In un altro senso, la nascente e fluttuante Chiesa di Woke assomiglia di più, formalmente – per il suo successo nella sovversione dello Stato e delle élite al potere – al cristianesimo insurrezionale della fine del III secolo d.C. Ciò che può allarmare è che questo movimento di fede è riuscito a conquistare le “altezze di comando”[63] della vita americana in poco più di un decennio. Tuttavia, anche questo indica una relazione simbiotica tra Chiesa e Stato che è più che mai senza tempo. Come la Chiesa primitiva catturò l’aristocrazia romana, così quei nobili romani si impossessarono della Chiesa per confermare il loro potere[64]. La religione civile è uno strumento di potere tanto venale quanto sacro.

La Chiesa di Woke ha, per il momento, conquistato lo Stato federale degli Stati Uniti e le istituzioni dominanti[65] della vita americana. Molti antecedenti storici dell’odierno movimento di fede Woke, ossia le sette evangeliche[66] calviniste americane precedenti la Guerra Civile, come Slave Power e Abolizionisti, hanno anch’essi cercato di appropriarsi della religione civile americana fondamentale, e di trasfigurarla in una chiesa di Stato a propria immagine e somiglianza. Nessuna di queste sette fanatiche ebbe successo. Tuttavia, equiparando la teologia e il dogma del suo movimento a quella che dovrebbe essere la legge (statunitense), la dottrina Woke sta effettivamente scatenando una Sharia americana e reclamando l’istituzione di una vera e propria nuova religione di Stato americana – così come la intendevano i nostri Fondatori del XVIII secolo – con più forza di qualsiasi altro movimento settario nella storia americana.

In che modo tutto questo è rilevante per l’impegno dell’America nel mondo e, più direttamente, per la politica estera egemonica americana, come dimostra la guerra in Ucraina? Nella nuova religione wokeista, i confini tra globale e locale, tra interno ed estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Come surrogato della vecchia religione civile americana, la Chiesa di Woke esercita l’universalismo in forma estremista, perseguendo la sua ideologia in patria e all’estero in egual misura. Innalzando il vessillo del globalismo Woke, la “buona novella” originaria dell’America viene così sostituita, senza soluzione di continuità, da una visione più virtuosa che se ne fa erede. Il “nazionalismo” e l’amor di patria saranno d’ora in poi giudicati forze arretrate e primitive. Il “populismo” e la sovranità del popolo, a lungo celebrati come l’anima della nazione americana, diventano equivalenti all’autocrazia, un male medievale da eliminare dagli Stati Uniti.

La “corruzione” (interna) dell’America ad opera di tali forze “reazionarie” viene collegata all’influenza nefasta di Stati stranieri e attori internazionali detestati, come l’Ungheria o la Russia, che infettano il corpo americano[67]. Questa isteria Woke ricorda da vicino il bacillo mortale del comunismo della Red Scare [68]all’inizio della Guerra Fredda, con la Russia che fungeva da “Grande Satana”[69] nelle guerre culturali globali[70] dell’establishment liberale americano[71].

Al male di una Russia reazionaria, barbara e arcobalenofobica – e alla più grande minaccia incombente sull’ordine internazionale liberale da parte di un asse autocratico globale – dobbiamo aggiungere anche il terrore apocalittico che la Chiesa di Woke prova per il cambiamento climatico. L’apocalisse climatica[72] è forse il più grande contesto tous azimuts mai ideata dall’universalismo americano per giustificare l’egemonia globale degli Stati Uniti. Nella causa della salvezza del pianeta, ogni intervento americano può apparire giusto. Si noti come gli autocrati del Lato Oscuro della Forza[73] siano anche inquinatori climatici che utilizzano combustibili fossili, in combutta con gli assassini divoratori di benzina[74] (cioè le compagnie petrolifere) al nostro interno. In quest’ottica, le minacce estere sembrano essere soltanto lo specchio di una minaccia più profonda a casa nostra.

In definitiva, la strategia della Chiesa di Woke e della sua classe clericale è quella di sfruttare una crociata intersezionale[75] contro l’arretratezza pagana, l’anti-genderismo[76] malvagio e l’apostasia climatica all’estero – Russia, Ungheria, Arabia Saudita, Iran, Cina, ecc – per giustificare una jihad interna. Inoltre, mentre propaganda il brand del  Girl Boss Militarism[77], il suo gruppo di parrocchiani “propende di più verso il femminile”. Col tempo, il nuovo “Woke Imperium”[78] americano porterà con la forza tutti gli americani – e il mondo intero – all’ovile della nuova Chiesa; o almeno così sperano i credenti.

È questa comoda simbiosi o identità tra nemici stranieri e interni che è la cosa più preoccupante. Nella sua ricerca fondamentalmente globale di una quarta apocalisse – in cui convertire tutta l’umanità significa assicurare anche la totale conversione degli americani – la Chiesa di Woke rifiuta la vecchia, originale religione civile americana e la sua preoccupazione centrale: l’America. Sebbene il suo essere incentrata sugli Stati Uniti riveli un certo grado di continuità storica, la sua aspirazione a globalizzare l’americanismo per creare uno Stato mondiale omogeneo basato sulla sua ideologia e sui suoi valori universali tradisce e sovverte la vecchia religione civile.

Il dispiegarsi della quarta apocalisse provocata dal “risveglio” è sempre stata diversa dalle precedenti rappresentazioni (o stagioni) dell’apocalisse americana nella nostra serie nazionale. L’Apocalisse differita (1945-1950) – un sequel della Terza Apocalisse – ha spinto gli Stati Uniti a 60 anni (1963-2023) di ripetute e non necessarie débâcles sul campo di battaglia. Ogni episodio è culminato in una guerra sacra (Vietnam, guerra per procura in Afghanistan, Desert Storm, la ventennale Guerra globale al terrorismo, e ora la guerra per procura in Ucraina) condotta per realizzare la profezia di un millennio democratico globale – e ogni volta il sogno è svanito. A sua volta, il quarto ciclo del nostro arco narrativo è stato segnato da una disperazione apocalittica.

Di conseguenza, il messianismo americano è diventato una caricatura manichea di se stesso, in cui le “buone novelle” americane sono state sostituite dallo spettro sempre presente del Male e dalla minaccia della forza. Le parole sacre, Libertà e Democrazia, pur essendo ancora cantate, sono diventate un mantra vuoto. Il “vangelo” americano non predica più la redenzione e l’espiazione: ora opera con la coercizione e la punizione. Il voltafaccia è avvenuto in un istante, con l’11 settembre e con Guantanamo. L’etica propria alla Terza Apocalisse, con i processi di Norimberga e la loro maestosa esibizione pubblica di controllo giudiziario democratico, è stata scartata, e sostituita dalla giustizia sommaria. Quasi da un giorno all’altro, l’America ha abbandonato le “regole internazionali” e le “norme civili” – e ha invece costruito un arcipelago di torture e incarcerazioni arbitrarie, senza supervisione e senza appello.

Non cerchiamo più la guida in un’autorità superiore e indulgente, ma nella voce iraconda del Vecchio Testamento che è in noi. Nell’iterazione Woke del manicheismo americano, il Male ha la precedenza sul Bene ed è fervidamente personalizzato. Con Milošević, Gheddafi, Osama Bin Ladin, Saddam e ora Putin, il Male può ora essere individuato artigianalmente, anche se non sempre eticamente. Per questo, la lotta contro il male in veste di anticristo diviene il tropo retorico pulsante di questa quarta stagione della sacra narrazione americana. Senza ironia, il ventesimo anniversario dell’invasione dell’Iraq da parte dell’America ha, sorprendentemente, resuscitato il suo meme più famigerato – “l’Asse del Male”[79] – senza arrossire o vergognarsi. La guerra per procura della NATO contro la Russia lo vede, ora, come un sinonimo della sua capacità di indossare il manto retorico[80] di quella che di recente fu giudicata la più grande débâcle strategica americana.

Se noi, come americani, siamo ritualmente coinvolti in una grande narrazione che va oltre la nostra capacità di comprenderla, per tacere della capacità di controllarla, che cosa ci aspetta? Possiamo dare una sterzata a questo arco narrativo finale in modo da evitare la catastrofe totale? Abbiamo voce in capitolo o potere sul nostro destino declinante?

 

Giudizio (Giudizi) finale(i)?

Gli Stati Uniti sono governati dalla loro religione civile, non dall’ideologia. Gli americani sono guidati da una narrazione sacra. Tuttavia, a guidarla è sempre un piccolo gruppo di élite fanatiche, che guidano una storia che può realizzarsi solo in guerra.

In altre parole, l’America è una serie di successo con un arco narrativo marziale punteggiato da bagliori e fuochi d’artificio. Dal lancio al perigeo all’apogeo, la “storia americana” è giunta alla sua quarta stagione. Le prime tre sono state illuminate dal fuoco di battaglie apocalittiche. Quei momenti estatici di vittoria e sacrificio sono stati resi sacri e sono stati considerati il “culmine vitale” dell’America. Ma ora, mentre l’arco narrativo scende, sembra che siamo entrati in un’altra grande battaglia. Sarà una nuova Rivelazione – la nostra quarta apocalisse – o diventerà il finale della nostra serie?

American Story: The Hit Series [Attenzione: contenuti religiosi violenti] ha un pubblico universale, e ogni stagione è ancorata a un climax apocalittico. Inoltre, ogni singolo episodio è caratterizzato da una battaglia, che si svolge sempre in modo predefinito rispetto alla trama standard, come programmato dal nostro produttore hollywoodiano divinamente nominato. Ogni episodio di “Next Generation” ha la sua guerra sacra e trascendentale, anche se spesso distruttiva. L’arco di ogni stagione spinge i confini della Rivelazione verso un finale di serie predestinato. Le prime tre stagioni sono state esaltanti, persino estatiche quando hanno raggiunto quelle sacre vette di vittoria e sacrificio.

Ma poi, durante l’apertura della quarta stagione, intorno al 1962, il grande arco narrativo declinò di uno o più gradi rispetto al suo apogeo, e nel 1968 la discesa fu evidente. È vero, in un episodio – 1981-88 – i retrorazzi hanno rallentato la discesa. Tuttavia, il percorso discendente è ripreso. L’arco narrativo non riguarda la ricchezza americana o la ricerca della felicità. Riguarda la Rivelazione e la Predestinazione e il compimento della Missione dell’America. I primi episodi della quarta stagione mostrano come l’opportunità dell’apocalisse sia stata usata male (Vietnam), abortita (caduta dell’Unione Sovietica), tradita (Iraq) e sprecata (Afghanistan).

Tuttavia, queste occasioni perdute impallidiscono di fronte alla battaglia che ci viene ora imposta. Cosa sono le semplici operazioni speciali, le guerricciole, le controinsurrezioni e i colpi di Stato di fronte alla realtà che gli Stati Uniti stanno ora sfidando aggressivamente le due maggiori e più pericolose grandi potenze, la Russia e la Cina? Inoltre, dalle loro “altezze di comando”, i governanti americani ne hanno fatto un confronto esistenziale: o la democrazia e il suo “rule-based order” domineranno il mondo, o le “autocrazie” vinceranno[81]. Si sente la campana a martello dell’apocalisse. Questo episodio sarà il finale della stagione, o forse della serie? Le domande abbondano.

 

La guerra globale può condurre l’America alla guerra civile?

Oggi l’America sta combattendo due guerre contemporaneamente, una in patria e l’altra all’estero. Collegando gli obiettivi della guerra interna (convertire la nazione alla Chiesa di Woke) con quelli della guerra esterna (trionfare nella guerra per procura contro la Russia come prova di rettitudine), l’establishment dipende ora dalla vittoria in una guerra straniera per rafforzare la sua leva politica, promuovere la sua agenda interna e mantenere il suo potere. Questo è il loro pensiero.

Eppure, gli Stati Uniti non hanno mai cercato di intensificare uno scontro globale[82] quando erano consumati da una lotta esistenziale interna. Al contrario, durante la guerra civile americana, Washington ha agito con estrema cautela[83], anche se la Gran Bretagna e la Francia si sono impegnate in una guerra per procura contro di essi[84].

Il pubblico occidentale si pavoneggia e strilla per i sorprendenti trionfi ucraini della Volontà, mentre si prende narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero sue.

La dualità tra guerra interna ed esterna crea una dinamica reciprocamente distruttiva. Secondo questa logica, se l’Impero Woke prevale in Ucraina, sarà vittorioso anche in patria. Tuttavia, potrebbe verificarsi anche una dinamica negativa. Una sconfitta nella guerra in Ucraina significherebbe un fallimento politico in patria. Quindi, la NATO deve vincere e non si può permettere che l’Ucraina perda[85].

Se perdere è impensabile, di fronte alla sconfitta la NATO ha una sola opzione: l’escalation. Ma l’escalation, per una nazione divisa, comporta anche l’intensificazione del conflitto interno.

 

È possibile che un’apocalisse vicaria porti a un vero e proprio Armageddon?

C’è una sospensione dell’incredulità non ancora esplicitata, nella quarta apocalisse americana.

Per oltre un anno, la NATO ha fatto guerra alla Russia, e ha esultato per questa guerra, reclamando la caduta della Russia[86]. In effetti, molti nel partito della guerra si spingono fino a esclamare: “In nome di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”[87], e chiedono l’umiliazione e persino la distruzione della Federazione Russa[88]. Ma allo stesso tempo, e spesso con lo stesso respiro, il partito della guerra insiste sul fatto che l’Occidente non è in guerra con la Russia, poiché non ci sono forze statunitensi o della NATO dispiegate in Ucraina: semmai, stiamo solo fornendo armi a Kiyv. Molti continuano a negare strenuamente che si tratti di una guerra per procura[89].

Allo stesso tempo, però, i veri tifosi sfegatati della guerra in Ucraina hanno proclamato a gran voce che si tratta di un ottimo affare. La Russia va abbattuta senza una sola vittima della NATO. Dissangueremo il nostro malvagio nemico con il sangue dei volenterosi ucraini. Un affarone! Praticamente un furto![90] Inoltre, migliaia di americani si sono coraggiosamente arruolati – come partecipanti puramente vicari – per combattere a fianco dell’Ucraina nelle trincee dei social media. Questi eroi della 195esima brigata da tastiera – la North Atlantic Fellas Organization (NAFO – date un’occhiata anche al loro merchandising![91]) – combattono quotidianamente[92] contro la Quinta Colonna americana[93] di Burattini di Putin e degli Amichetti della Russia.

Nel frattempo, gli spettatori occidentali si pavoneggiano e strillano di gioia per i sorprendenti trionfi ucraini della volontà, prendendosi narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero le proprie. Se questa è davvero la quarta apocalisse americana, allora è davvero un risultato notevole. Questa è la nostra espiazione per tutta la frustrazione e l’infinito sacrificio di sangue dei fallimentari episodi di guerra sporca che abbiamo visto all’inizio della quarta stagione (“Apocalisse differita”). Dopo i terrori di Tet, Khe Sahn, Desert One, Contras, Mogadiscio e Falluja, la serie offre ora un’epifania senza sangue. Quindi, il nostro auspicato finale di stagione è semplicemente stupefacente: non viene versata una sola goccia di sangue dei GI, dei nostri ragazzi!

Gli Stati Uniti possono ora combattere il loro “più grande nemico geopolitico”[94], ma non moriranno americani, bensì ucraini volenterosi e sacrificali. Nel frattempo, il grande pubblico virtuale americano, insaziabilmente preso dai giochi  CGI[95] e assuefatto dagli “hot take” sui social media, si immerge nella gloria della vittoria imminente: esulta per ogni video di propaganda ucraina e per ogni rappresentazione degli ucraini come una Compagnia dell’Anello[96] che combatte le tenebre di Mordor, gli Orchi russi.[97]

Quando i venti della guerra hanno iniziato a cambiare, verso la fine del 2022, le prime opzioni strategiche di “guerra facile” della NATO per aumentare gli aiuti – armi potenti, comando e controllo alleati, C4ISR della NATO, addestramento di alto livello – avevano portato Kyiv a “vittorie” misteriose e piuttosto magiche nell’autunno del 2022. Tuttavia, nella primavera del 2023, i depositi di armi sono vuoti, e l’esercito ucraino si sta dissanguando, mentre gli opliti ucraini in carne ed ossa vengono fatti a pezzi in un esercizio di dissanguamento che ricorda le tragiche trincee della battaglia di Verdun[98] della Prima Guerra Mondiale. Le opzioni di escalation si sono ridotte.

Davanti a noi si profila soltanto un sempre maggior numero di linee rosse fosforescenti che la NATO potrebbe incautamente oltrepassare, anche a costo di rischiare un’altra guerra mondiale. Questo è il lato negativo del combattere una guerra con l’adrenalina dei media, definita dall’estasi infinita della “vicarietà”[99]. Ma questo non è un videogioco. Quando si viene uccisi nella vita reale, non c’è la resurrezione automatica.

 

Finale di serie: cratere d’impatto?

Alla fine della terza stagione (1961), gli Stati Uniti si ergevano a cavallo del mondo come un Colosso. “Ike” Eisenhower, Generale degli Eserciti della nostra terza Apocalisse americana, presiedeva l’impero del “Mondo Libero” su tutto ciò che contava.

Eppure, quando è uscito di scena, i suoi più giovani successori si sono imbarcati in una serie di guerre corrosive e senza fine. Gettando via tutti gli antichi precetti contro l’intervento militare e i legami con l’estero dei loro antenati, gli uomini nuovi si allontanarono dalla sacra tradizione americana. Dopo decenni di questo genere, invece di cortigiani di palazzo che giocavano alla controinsurrezione – ignorando le comunità i cui figli morivano sul serio nei loro giochi – le guerre degli episodi finali della quarta stagione sono ora realizzate da un esecutivo che crede di avere carta bianca, a patto di essere parsimonioso con le vite delle sue Forze Armate volontarie.

Gli Stati Uniti hanno iniziato e completato il loro fatidico passaggio come incarnazione di Ordini (divini): da un “Nuovo Ordine per i Tempi” alle “Nazioni Unite”, a un “Nuovo Ordine Mondiale”, e infine a un liberale “Ordine basato sulle Regole”. Ma questi cosiddetti Ordini sono un simulacro del demone che si nasconde nel profondo della narrazione sacra americana e di tutti noi: la fissazione per il fuoco purificatore della guerra, che ci ha spinti all’eccesso, e sull’orlo della rovina.

La nostra è davvero una metamorfosi straordinaria: dall’eccezionalismo americano che annunciava la sua “buona novella”- la Redenzione dell’Umanità – al disvelamento della tirannia globale.

[1] https://www.agonmag.com/p/the-demon-in-americas-sacred-narrative

[2] Michael Vlahos, Ph.D., ha insegnato nel programma di studi sulla sicurezza globale presso la School of Arts and Sciences della Johns Hopkins University ed è stato professore presso il dipartimento di strategia e politica dello US Naval War College. Il dottor Vlahos è stato a lungo commentatore di affari esteri e sicurezza nazionale con la CNN. I suoi articoli sono apparsi su “Foreign Affairs”, “The Times Literary Supplement”, “Foreign Policy” e “Rolling Stone”. Dal 2001 è ospite regolare del programma nazionale John Batchelor Show sulla WABC. “italiaeilmondo.com” ha tradotto e pubblicato due suoi articoli su tema analogo: http://italiaeilmondo.com/2023/03/29/lamerica-e-una-religione-di-michael-vlahos/ ; e http://italiaeilmondo.com/2023/02/04/dal-salvatore-al-trickster-divino-la-spinta-teologica-nella-politica-estera-degli-stati-uniti/ . Di grande interesse anche il dialogo in tre parti di M. Vlahos con il colonnello Douglas MacGregor sulla guerra in Ucraina, qui sottotitolato in italiano: http://italiaeilmondo.com/2022/12/31/lo-stato-della-guerra-in-ucraina_-con-il-colonnello-douglas-mcgregor/

 

[3] https://books.google.it/books/about/1789_the_Emblems_of_Reason.html?id=k13XAAAAMAAJ&redir_esc=y#:~:text=In%20this%20classic%20text%20on,in%20the%20contemporary%20visual%20arts.%22

[4] L’Autore qui allude implicitamente alla Lettera di Pietro, 5:8: “sobrii estote vigilate quia adversarius vester diabolus tamquam leo rugiens circuit quaerens quem devoret”, “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno a guisa di leon ruggente cercando chi possa divorare.” Cfr. http://bibleglot.com/pair/Vulgate/ItaRive/1Pet.5/ [N.d.C.]

[5] https://www.cambridge.org/core/journals/church-history/article/abs/gods-new-israel-religious-interpretations-of-american-destiny-edited-by-conrad-cherry-rev-and-updated-ed-chapel-hilluniversity-of-north-carolina-press-1998-xii-410-pp-4995-cloth-1895-paper/A8C9435D4A0F6864A36AD1A96F2EFFD7#access-block

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/To_Serve_Man_(The_Twilight_Zone)

[7] https://www.ox.ac.uk/news/2020-05-22-last-best-hope-american-views-oxford

[8]  Robert N. Bellah, Civil Religion in America, Daedalus, Vol. 96, No. 1, Religion in America (Winter, 1967), pp. 1-21 (21 pages) https://www.jstor.org/stable/20027022

[9] FELIX GILBERT

To the Farewell Address: Ideas of Early American Foreign Policy

Copyright Date: 1961

Published by: Princeton University Press  http://www.jstor.org/stable/j.ctt7sjmr.

[10] S. Mike Pavelec – Michael Vlahos 2009 Fighting Identity: Sacred War and World Change, Naval War College Review, vol. 62, n. 4 Autumn, 2009 chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://digital-commons.usnwc.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1804&context=nwc-review

[11] David Cook, Studies in Muslim Apocalyptic

Copyright Date: 2021

Published by: Gerlach Press https://www.jstor.org/stable/j.ctv1b9f5v8

[12] Carolyn Marvin, David W. Ingle, Blood Sacrifice and the Nation: Totem Rituals and the American Flag, Cambridge U.P. 1999 https://books.google.it/books?id=sdRlbklRhycC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

 

[13] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[14] George William Van Cleve, A Slaveholders’ Union: Slavery, Politics, and the Constitution in the Early American Republic, University of Chicago Press, 15 ott 2010 https://books.google.it/books?id=Dgp26Y2KzxUC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[15] Mark A. Noll.  The Civil War as a Theological Crisis. Chapel Hill: University of North Carolina Press, 2006. https://jsr.fsu.edu/Volume9/Dollar.htm

[16] https://en.wikipedia.org/wiki/European_wars_of_religion

[17] È il motto che si legge sul rovescio dello Stemma degli Stati Uniti d’America [N.d.C.]  https://it.wikipedia.org/wiki/Novus_Ordo_Seclorum

[18] https://www.youtube.com/watch?v=2HCR4c1zPyk

[19] https://thefounding.net/americas-founding-with-a-firm-reliance-on-the-protection-of-divine-providence/

[20] William A. Clebsch, America’s “Mythique” as Redeemer Nation

Published online by Cambridge University Press:  30 July 2009 https://www.cambridge.org/core/journals/prospects/article/abs/americas-mythique-as-redeemer-nation/B1CBD5264061139C2FC894344A3C23D9

 

[21] https://youtu.be/MZK98LVFRH8

[22] È la celeberrima formula contenuta in un sermone del 1630 di John Winthrop, puritano, governatore della Massachusetts Bay Colony, e uno dei Padri Pellegrini, Dreams of a City on a Hill: “We shall find that the God of Israel is among us, when ten of us shall be able to resist a thousand of our enemies; when He shall make us a praise and glory that men shall say of succeeding plantations, ‘may the Lord make it like that of New England.’ For we must consider that we shall be as a city upon a hill. The eyes of all people are upon us. So that if we shall deal falsely with our God in this work we have undertaken, and so cause Him to withdraw His present help from us, we shall be made a story and a by-word through the world.”   https://www.americanyawp.com/reader/colliding-cultures/john-winthrop-dreams-of-a-city-on-a-hill-1630/ [N.d.C.]

 

[23] Da un celeberrimo discorso del 1940 di Winston Churchill, mentre si combatteva la Battaglia d’Inghilterra: ““I expect that the Battle of Britain is about to begin. Upon this battle depends the survival of Christian civilisation. Upon it depends our own British life and the long continuity of our institutions and our Empire. The whole fury and might of the enemy must very soon be turned on us. Hitler knows that he will have to break us in this island or lose the war. If we can stand up to him, all Europe may be free, and the life of the world may move forward into broad, sunlit uplands; but if we fail, then the whole world, including the United States, and all that we have known and cared for, will sink into the abyss of a new dark age made more sinister, and perhaps more protracted, by the lights of a perverted science. Let us there brace ourselves to our duty and so bear ourselves that if the British Empire and its Commonwealth last for a thousand years men will still say ‘This was their finest hour’.” https://www.martingilbert.com/blog/6106/ [N.d.C.]

[24] https://www.nytimes.com/2021/10/04/books/review/joe-klein-explains-how-the-history-of-four-centuries-ago-still-shapes-american-culture-and-politics.html

[25] https://www.nytimes.com/1992/03/01/books/it-was-never-the-same-after-them.html

[26] AA.VV. God’s New Israel: Religious Interpretations of American Destiny EDITED BY CONRAD CHERRY, 1998, University of North Carolina Press https://uncpress.org/book/9780807847541/gods-new-israel/

[27] https://www.agonmag.com/p/the-failure-of-conservatism-and-the

[28] https://christianhistoryinstitute.org/magazine/article/american-postmillennialism-seeing-the-glory

[29] https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_the_Christian_Science_movement

[30] https://it.wikipedia.org/wiki/Shakers

[31] Reviewed Work: Joseph Smith Jr.: Reappraisals after Two Centuries by Reid L. Neilson and Terryl L. Givens

Review by: Jordan Watkins https://doi.org/10.1525/nr.2012.15.4.113

 

[32] William A. Clebsch, Christian Interpretations of the Civil War https://www.jstor.org/stable/3161973

 

[33] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.wrs.edu/assets/docs/Courses/Classic_Fundamentalism/Battle–Brief_History_Social_Gospel.pdf

[34] https://www.researchgate.net/publication/230756502_In_search_of_the_Kingdom_The_social_Gospel_settlement_sociology_and_the_science_of_reform_in_America’s_progressive_era

[35] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://as.nyu.edu/content/dam/nyu-as/philosophy/documents/faculty-documents/boghossian/Boghossian_The-Gospel-of-Relaxation-Louis-Menand-Review.pdf

[36] https://www.loc.gov/exhibitions/world-war-i-american-experiences/about-this-exhibition/arguing-over-war/for-or-against-war/wilson-before-congress/#:~:text=He%20also%20argued%20that%20autocratic,Transcript

[37] https://www.newyorker.com/magazine/2019/09/16/the-moral-logic-of-humanitarian-intervention

[38] http://brothersjudd.com/index.cfm/fuseaction/reviews.detail/book_id/928/Special%20Prov.htm

[39] https://www.nytimes.com/2009/11/19/books/19book.html

[40] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[41] https://whitmanarchive.org/published/LG/1881/poems/105

[42] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[43] I Tories sono i lealisti, fedeli a Re Giorgio III; nella Rivoluzione americana. https://en.wikipedia.org/wiki/Loyalist_(American_Revolution) [N.d.C.]

[44] https://www.theguardian.com/books/2011/feb/19/libertys-exiles-maya-jasanoff-review

[45] C. C. Goen, Jonathan Edwards: A New Departure in Eschatology, https://www.jstor.org/stable/3161685

 

[46] https://it.wikipedia.org/wiki/Destino_manifesto

[47] https://en.wikipedia.org/wiki/Rashidun_Caliphate

[48] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[49] “L’angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio.” Ap. 14:19 Trad. CEI

[50] “Egli sta calpestando la vendemmia in cui è riposta l’uva dell’ira; ha sguainato il lampo fatale della sua terribile rapida spada”.

[51] Eric Foner, The Second Founding: How the Civil War and Reconstruction Remade the Constitution, W.W. Norton & Company , 2019 https://en.wikipedia.org/wiki/The_Second_Founding#:~:text=The%20Second%20Founding%3A%20How%20the,W.W.%20Norton%20%26%20Company%20in%202019.

https://books.google.it/books/about/The_Second_Founding_How_the_Civil_War_an.html?id=W_yKDwAAQBAJ&printsec=frontcover&source=kp_read_button&hl=en&newbks=1&newbks_redir=0&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[52] http://www.greatseal.com/mottoes/seclorum.html

[53] https://it.wikipedia.org/wiki/Sincronicit%C3%A0

[54] https://it.wikipedia.org/wiki/Fine_della_storia#:~:text=La%20fine%20della%20storia%20%C3%A8,dal%20quale%20si%20starebbe%20aprendo

[55] https://www.liberalpatriot.com/p/the-democrats-patriotism-problem

[56] Helena Rosenblatt, On Context and Meaning in Pocock’s “Barbarism and Religion”, and on Gibbon’s “Protestantism” in His Chapters on Religion https://www.jstor.org/stable/43948778

 

[57] https://merip.org/2004/12/maxime-rodinson-on-islamic-fundamentalism/

[58] Anti-Catholicism in Eighteenth-Century England: A Political and Social Study by Colin Haydon (review)

Marie B. Rowlands https://muse.jhu.edu/article/442449/pdf

 

[59] https://www.parliament.uk/about/living-heritage/transformingsociety/private-lives/religion/collections/common-prayer/act-of-uniformity-1662/

[60] https://unherd.com/thepost/where-did-the-great-awokening-come-from/

[61] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[62] https://lawliberty.org/uncivil-wars-of-civil-religion/

[63] https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1922/nov/13b.htm

[64] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[65] https://www.racket.news/p/report-on-the-censorship-industrial-74b

[66] Ivy on Daly, ‘When Slavery Was Called Freedom: Evangelicalism, Proslavery, and the Causes of the Civil War’

Author: John Patrick Daly Reviewer: James Ivy https://networks.h-net.org/node/512/reviews/694/ivy-daly-when-slavery-was-called-freedom-evangelicalism-proslavery-and

[67] https://www.libraryofsocialscience.com/essays/vlahos-counterterrorism/

[68] https://en.wikipedia.org/wiki/Red_Scare

[69] https://www.richardhanania.com/p/russia-as-the-great-satan-in-the

[70] https://compactmag.com/article/pride-and-american-imperialism

[71] https://compactmag.com/article/america-the-last-ideological-empire

[72] https://www.spiked-online.com/2023/03/26/the-cult-of-the-climate-apocalypse/

[73] https://www.aei.org/research-products/report/from-environmentalism-to-climate-catastrophism-a-democratic-story/?mkt_tok=NDc1LVBCUS05NzEAAAGLqTnaMA0mJzdHLVT2jCR5i9F9aK-DVrr3l4OXAdKs9WOmKCp8hDOZmqfrUhsRYa9DdsrifKhrbXxHVbDdJZWnXYCaSKh0B7qNhLf1Wg7awurcWA

[74] https://www.latimes.com/opinion/story/2021-03-01/editorial-to-save-the-planet-from-climate-change-gas-guzzlers-have-to-die

[75] https://theupheaval.substack.com/p/intersectional-imperialism-and-the?s=r

[76] https://en.wikipedia.org/wiki/Anti-gender_movement

[77] https://chroniclesmagazine.org/web/the-rise-of-girlboss-militarism/

[78] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://peacediplomacy.org/wp-content/uploads/2022/06/Woke-Imperium.pdf

[79] https://caitlinjohnstone.substack.com/p/theyre-rebooting-axis-of-evil-on

[80] https://www.moonofalabama.org/2023/03/axis.html

[81] https://nationalinterest.org/blog/buzz/increased-chinese-support-russia-will-imperil-world-206339

[82] https://easc.scholasticahq.com/article/5715-1862-the-superpower-the-united-states-and-the-war-that-didn-t-happen-why-america-and-china-are-not-destined-to-fight-unless-they-forget-everythi

[83] https://nationalinterest.org/feature/historys-warning-us-china-war-terrifyingly-possible-10754

[84] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[85] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[86] https://www.defense.gov/News/News-Stories/Article/Article/3304356/biden-ukraine-will-never-be-a-victory-for-russia-never/

[87] https://youtu.be/VLN_P5u1ALI?t=4

[88] https://niccolo.substack.com/p/delusion

[89] https://www.noahsnewsletter.com/p/is-ukraine-a-proxy-war

[90] https://cepa.org/article/its-costing-peanuts-for-the-us-to-defeat-russia/

[91] https://nafo-ofan.org/

[92] https://thegrayzone.com/2022/10/28/spooks-mercs-hawks-nafo-troll/

[93] https://www.realclearpolicy.com/articles/2023/03/28/russias_fifth_column_in_america_889897.html

[94] https://www.politico.com/news/2022/02/27/mitt-romney-russia-remains-geopolitical-foe-00012124

[95] https://store.steampowered.com/app/2251930/CGI_The_Game/

[96] https://twitter.com/uamemesforces/status/1536074185369329666

[97] https://www.lemonde.fr/en/pixels/article/2022/04/23/ukrainian-and-russian-tolkien-fans-battle-over-the-legacy-of-the-lord-of-the-rings_5981383_13.html

[98] https://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Verdun

[99] https://www.urbandictionary.com/define.php?term=vicarity

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L’America è una religione, di Michael Vlahos

Traduciamo e pubblichiamo questo bellissimo saggio di Michael Vlahos[1], scritto qualche anno fa, durante la seconda presidenza Obama. Difficile sopravvalutare l’importanza del punto di vista che ci suggerisce sull’identità americana, oggi che le chiavi strategiche del conflitto in Ucraina si trovano a Washington. Con la guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno teso a se stessi, senza accorgersene, una trappola strategica[2], e non sanno come uscirne. Le difficoltà che i decisori statunitensi devono affrontare non sono soltanto le gravi difficoltà politiche interne e le gravissime difficoltà geopolitiche in cui li hanno implicati le scelte errate degli scorsi anni e decenni: implicando noi italiani e noi europei insieme a loro. Sono anche (e forse soprattutto) le difficoltà e i punti ciechi dell’identità nazionale americana, dell’universalismo politico, dell’eccezionalismo e del messianismo che fanno parte integrante dell’America come religione.

Roberto Buffagni

https://www.libraryofsocialscience.com/essays/vlahos-america/index.html

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L’America è una religione

La nostra politica come Chiesa e la guerra sacra

di Michael Vlahos

Quando il deputato Paul Ryan ha fatto il suo debutto come candidato Vice Presidente nell’agosto del 2012, a The Villages – una comunità di pensionati della Florida grande quanto una città metropolitana – non è venuto solo a parlare agli anziani. Ha invece portato il Maestro di Cappella Lee Greenwood a preparare la scena cantando – a cappella – l’inno ufficiale del GOP [Grand Old Party, il Partito Repubblicano N.d.C.], “Proud to be an American”.

 

Settimane dopo, a Tampa e a Charlotte, dopo l’introito e gli inni del partito è arrivata la processione: I testimoni si sono rivolti direttamente a Mitt Romney, il prossimo re sacro d’America, per dimostrare che ha diritto alla sua carica divina. Qui, gli americani comuni hanno deposto le loro ghirlande di riverente omaggio ai piedi di un salvatore nazionale in attesa. Le testimonianze strazianti di persone comuni, quelle amate da Dio, hanno contribuito a stabilire la provenienza divina del candidato, le sue buone opere e i suoi numerosi miracoli, ognuno dei quali è segno pegno di speciale favore agli occhi di Dio.

 

Poi è arrivato il film benedetto. Il piccolo cinema sacro su schermi enormi assomiglia a niente meno che alle letture del Vangelo in una chiesa tradizionale – gonfiata con gli steroidi – tranne il fatto che la vita consacrata del candidato si legge, finora come, promessa dell’opera miracolosa del nostro leader salvifico, che in futuro diventerà un’altra parte preziosa delle nostre scritture. Infine, sotto lo scintillante proscenio celeste, appare il nostro prossimo re sacro – sia Romney che Obama in competizione – per dichiarare come la loro magia divina rinnoverà e arricchirà la nazione.

 

Molti hanno definito le convention come Tent Revivals[3], ma la loro riverenza programmata sembrava più una liturgia da Chiesa istituzionale. Osservandole, possiamo ancora dubitare che la politica nazionale americana sia davvero una religione?

 

Nel 1967 il grande sociologo Robert Bellah[4] ha definito l’America una religione civile, ricevendo un’accoglienza negativa e incredula.

 

Forse, se si fosse spinto un po’ più in là, avrebbe potuto sollevare misericordiosamente il velo per tutti noi: L’America non è soltanto una religione civile, è una vera e propria religione.

Eppure diciamo di essere una nazione, non una religione. Non c’è una Chiesa di Stato, e la Repubblica è stata fondata per tenere a distanza sia la Chiesa che Dio. I nostri valori nazionali e alcuni simboli nazionali, come la nostra bandiera, possono essere sacri per noi. Ma la nostra nazione non dice ai suoi cittadini come adorare, o quale dio pregare, o come riunirsi in una sacra congregazione.

 

No: la nostra nazione ci dice semplicemente chi siamo e come dobbiamo vivere insieme. Eppure la religione è proprio questo. Tutte le religioni si occupano di ciò che è inconoscibile nella vita: la verità e la morte. Ma soprattutto, le religioni sono fedi viventi. La parola deriva dal latino religare – legare insieme – ed è a questo che serve la religione: A inquadrare l’appartenenza reciproca, il significato della vita e il modo in cui dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro.

 

Pensare la religione come “chiesa” è un deliberato fraintendimento americano. La religione non è solo una questione di regole alimentari o istituzioni ecclesiastiche o templi in muratura. Questi sono soltanto un proscenio di gesso e legno che si inarca su un palcoscenico.

 

La vera religione è il costrutto che permette alle persone di stare insieme. Il potere della religione è il potere dell’identità sacra.

 

Nel 1949 il famoso antropologo Clyde Kluckhohn[5] ci ha dato la perfetta definizione di religione in un soundbite. Ha definito l’Islam “una falsariga per la vita”. Ma questo vale per tutte le religioni. La religione è l’adattamento evolutivo chiave della “civiltà” – e la radice latina è civis, cioè cittadino di una comunità di persone.

 

Quindi la civiltà riguarda le prime città, le cui mura tenevano fisicamente unite le persone. L’abbondanza della rivoluzione neolitica nell’agricoltura e nell’allevamento ha reso necessaria questa evoluzione. Le società umane stavano superando la famiglia, il clan e persino la tribù. Era necessario un nuovo costrutto umano che unisse le persone come si uniscono i parenti.

 

Già 6000 anni fa, gli esseri umani avevano bisogno di creare un costrutto che sostituisse il grembo protettivo della famiglia allargata, del villaggio e del clan. Qui, tanto tempo fa, si trovava il nocciolo di quella che sarebbe diventata la visione moderna del nazionalismo. Già all’inizio dell’Antichità gli esseri umani erano riusciti a creare un sostituto dell’intimità di sangue, in cui gli abitanti delle nuove città avrebbero potuto “ricostituire un senso di connessione a distanza” – un gioco di prestigio davvero mozzafiato! Ma come ottenere il grande consenso?

 

Semplice. Abbiamo creato una nuova coscienza collettiva: Chiamiamola religione. Le mura della città potevano definire la società primitiva nella pietra, ma solo una struttura condivisa di connessione umana aveva il potere di unire le persone con la stessa forza del legame di sangue familiare. Benedict Anderson ha scoperto questo magico risultato nel suo libro Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism[6]. La fede ha creato questa fiducia fondamentale: Che io possa incontrare te che non sei mio parente, ma parte della mia nazione, e chiamarti “fratello”. In latino, ricordiamo, fede (fides) significa fiducia.

 

Quindi, come ci ha detto Kluckhohn, 6000 anni dopo la comparsa dell’adattamento umano che chiamiamo religione, essa è ancora con noi con la stessa forza, rispondendo a un bisogno altrettanto profondo. Perciò l’Islam è una progetto di vita e l’America è una progetto di vita.

 

Il cuore del sacro è: noi. Noi, noi stessi – passati, presenti e futuri – i vivi e i morti fino ai nostri remoti posteri: Noi siamo l’essenza del significato della vita. Insieme condividiamo il sacro.

 

Ma come facciamo a metterci sullo stesso spartito di musica sacra? Abbiamo bisogno di un costrutto generale. Abbiamo bisogno di simboli, rituali e istituzioni: Tutto ciò che costituisce una Chiesa. La religione è il costrutto che ci permette, e continua a permetterci, di cantare insieme sullo stesso spartito – l’America: la Chiesa di noi.

I dieci comandamenti dell’America

Considerate tutti i simboli formali, le tradizioni, gli strumenti e i meccanismi che ci vengono in mente quando pensiamo alla religione. Poi considerate come questi si trasformano nei nostri dieci comandamenti religiosi:

 

  1. La nostra grande chiesa è divisa tra due sette in competizione, la democratica e la repubblicana. Inoltre, la genialità di questa divisione è la più grande innovazione religiosa americana, perché crea una dinamica vivente di cooperazione per sostenere la cattedrale, mentre la competizione assicura anche un continuo adattamento al cambiamento. Sunniti e sciiti, al contrario, rimangono identità in guerra che rappresentano due fonti opposte di autorità culturale (persiana e araba) nell’Islam.

 

2.La nostra cattedrale è il Campidoglio di Washington e le cinquanta cattedrali statali, che si rifanno all’eredità delle cattedrali rinascimentali e illuministiche in Europa, da San Pietro a San Paolo al Sacré Coeur. La loro grandezza, presa in prestito, potrebbe fare da sfondo ai nostri drammi politici e sacri, che si svolgono nel nostro Campidoglio, come a Roma, all’interno del nostro collegio cardinalizio, chiamato Senato.

 

  1. Abbiamo i nostri santi e profeti. I nostri Padri Fondatori sono il pantheon principale, a cui ne abbiamo aggiunti altri nel corso di un paio di secoli. I profeti sono pochi e corrispondono ai nostri re sacri: Washington, Lincoln, FDR, Reagan e Martin Luther King. Continuiamo a raccogliere e condividere santini sacre della loro vita e delle loro parole. È la nostra versione americana della sunnah (insegnamenti) e degli ahadith (racconti) di Maometto.

 

  1. Abbiamo un credo, proprio come tutte le grandi fedi mondiali, di promessa universale per tutta l’umanità e della sua futura redenzione e trascendenza. Lo chiamiamo Eccezionalismo Americano e il suo cuore è l’incarico divino di redimere coloro che sono perduti e oppressi, e di punire il male che li allontana dalla luce.

 

  1. Il nostro credo ha una narrazione sacra. Ci siamo affermati come un santuario della virtù in un Nuovo Mondo: Una “city on the hill[7]. Abbiamo superato la nostra prima prova, sconfiggendo una corrotta monarchia ereditaria (la nostra fiducia è in Dio, non in un uomo re per diritto divino). La nostra seconda prova, una sanguinosa guerra civile, fu il nostro rito nazionale di autopurificazione, la nostra redenzione dal luogo peccaminoso in cui eravamo caduti (sia al Nord che al Sud). La nostra terza grande prova, in due guerre drammatiche e una lunga guerra fredda, è stata nientemeno che portare la parola di Dio al mondo intero e sconfiggere il male. Portare il messaggio finale di Dio all’umanità è un compito di conversione, perché il nostro è il credo di una fede universalista.

 

  1. Celebriamo questa narrazione con i Giorni Sacri – il Giorno dell’Indipendenza, il Giorno della Memoria (prima del Giorno delle Decorazioni), il Giorno del Veterano – e i nostri Giorni dei Santi – il compleanno di Washington e Lincoln (prima) e il Giorno di Martin Luther King. Ci sono anche molti rituali di commemorazione, da Pearl Harbor all’11 settembre all’assassinio di JFK. Anche questi rappresentano riti americani sacri. In questi giorni celebriamo e ringraziamo coloro che sono morti per noi, che si sono sacrificati affinché la nazione potesse ancora vivere, rinnovandoci con il loro sangue. Le legioni di rievocatori della Guerra Civile[8], le cui anime si realizzano nel sacro ricordo di battaglie lontane nel tempo, testimoniano il nostro amore per i riti nazionali.

 

  1. Abbiamo molti luoghi sacri. Washington stessa è una vera città tempio, e visitare uno dei suoi templi è un’occasione religiosa solenne e commovente. Conosco un bambino di nove anni a cui la madre fece leggere ad alta voce le parole di Lincoln nel suo tempio, in un giorno d’estate di tanto tempo fa. Le decine di turisti che erano lì con me si sono subito trasformati. In quel momento, il loro atteggiamento riverente divenne il silenzio orante dei fedeli. Oggi, una visita a Mt. Vernon o al Teatro Ford con mio figlio di nove anni è la nostra forma di pellegrinaggio. Anche le biblioteche presidenziali lo sono, santuari di re sacri e falliti – e dei caduti, di coloro che sono morti per noi e che ancora si incarnano con noi, al cimitero di Arlington[9] – l’immortalità della nazione racchiusa in una “fiamma eterna”.

 

  1. Gli oggetti sacri, custoditi negli imperituri reliquiari americani, possono commuovere un cittadino fino alle lacrime: Il più sacro dei sacri, la Dichiarazione di Indipendenza, o la nostra inespugnabile bandiera di battaglia, che sventolava nella notte a Fort McHenry[10]. Anche l’antica tradizione islamica racconta che chi sentiva per la prima volta il Corano cantato ad alta voce sentiva il cuore scoppiare. Così è per noi quando ascoltiamo queste parole divine: “Quando nel corso degli eventi umani…”[11]. Anche qui la Dichiarazione è impregnata di presenza divina, come il Corano. Non un documento o un testo sacro, ma la parola vivente di Dio. Per questo anche la nostra bandiera è trattata con riverenza sacrale, come il suo ripiegamento e dispiegamento rituale[12].
  2. Abbiamo confessioni pubbliche collettive della nostra fede, come il Pledge of Allegiance[13] (prima), e intoniamo le parole sacre, libertà e democrazia, in ogni occasione pubblica. Il nostro inno nazionale è insolito per il suo richiamo alla guerra e le nostre grandi battaglie sono la matassa mitica della narrazione sacra americana. La nostra celebrazione quotidiana dell’Eterna Vittoria[14] sui canali militari e storici è impegnata in un riverente ricordo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, attraverso un ciclo infinito di battaglie dell’Antico Testamento – che, guarda caso, chiamiamo Seconda Guerra Mondiale. Anche in questo caso, l’America assomiglia alla celebrazione islamica della Jihad, il nostro grido di battaglia di libertà e democrazia riecheggia in modo inquietante: “Dio è grande!” e “Non c’è altro Dio all’infuori di Dio!”.

 

  1. I grandi riti della politica americana – caucus, primarie, convention ed elezioni – contengono quindi le nostre familiari liturgie dell’identità. Guardando le due convention, erano un tutt’uno in una celebrazione condivisa. Il fervore dei dibattiti presidenziali non sarà meno esuberante. Dopo la rinascita del Big Tent Party e i sacri riti di selezione del re, arrivano le elezioni, in cui la nostra “comunità immaginaria” di americani si riunisce nella sua convocazione più solenne – centinaia di milioni di noi che affidano la propria identità collettiva a un’unica persona – nel nostro momento più sacro.

 

La potenza della negazione

 

L’idea dell’America come grande religione mondiale pone gli americani di fronte a un paradosso esistenziale, che Bellah aveva sicuramente compreso quando scriveva nel 1967, ed è questo:

 

Nessuna fede universalista in piena regola può considerarsi solo una religione come le altre. Gli altri progetti di vita, quelli che sono venuti prima, possono essere ignoranti e sbagliati, o forse i migliori possono davvero prefigurare la visione finale di Dio per l’umanità. Ma ora sono tutti ribaltati. La Parola finale è arrivata.

 

Eppure altri universalismi, come l’Islam e le molte sette cristiane, sono riusciti a sopravvivere all’ombra di una rivelazione finale rimandata. Perché? Perché la nuova fede – nella modernità si pensi al nazismo, al comunismo, all’americanismo – non ha portato, alla fine, l’apocalisse (rivelazione) e il millennio promessi.

 

È così che Costantinopoli e il cristianesimo sono sopravvissuti all’Islam nell’VIII secolo, e che l’umanità è sopravvissuta alla modernità occidentale (le variegate sette chiamate imperialismo) nel XIX e XX secolo. Gli americani si sono sempre compiaciuti di non essere euro-imperialisti, eppure a partire dagli anni ’40 del secolo scorso gli Stati Uniti si sono intromessi con la forza in tutta l’umanità, in uno zelo di proselitismo.

 

Pensateci: Dal 1945 gli americani si sono ripetutamente congratulati con se stessi per il fatto che il millennio fosse effettivamente arrivato, con il sollevamento del velo (apokalypsis) che sarebbe sicuramente seguito – dalla fondazione dell’ONU alla caduta dell’URSS alle “rivoluzioni colorate” che sembravano in procinto di giustificare i nostri interventi nel mondo dell’Islam.

 

Ma non è successo, e così altre religioni hanno preso il sopravvento, come la Russia e la Cina e l’islamismo della “primavera araba”. L’universalismo è ancora plurale.

 

Le visioni del mondo universaliste sono persistentemente – e talvolta anche consapevolmente – resistenti ad altre realtà. Il sistema di regole e promesse dell’America (l’America non è una religione!) è questa: Scienza e Modernità. Si tratta di un modo intelligente di confezionare l’universalismo, in modo che venga presentato al mondo (con suprema fiducia) non come una mera affermazione di esseri umani fallibili (per quanto divinamente possano testimoniare la propria fede), ma piuttosto come una verità suprema al di fuori e al di sopra di ogni fragilità umana, una conoscenza speciale (gnosi) che ribalta automaticamente ogni precedente superstizione.

 

Naturalmente, legare la visione divina dell’America della storia, della libertà e della democrazia con la gnosi della scienza richiede un gioco di prestigio particolarmente abile. Ma lo scopo americano di allineare la scienza con la fede non è in realtà quello di convertire gli altri, ma piuttosto di mantenere puro il sistema di credenze al centro dell’identità americana attraverso una “verità” globale.

 

La “verità” religiosa nell’ethos americano è quindi importante perché rappresenta la nostra mediazione tra identità e realtà. Inoltre, il perseguimento e la difesa di questa verità costituiscono il motore appassionato del nostro processo decisionale strategico, come dimostrano le nostre recenti guerre nel mondo musulmano. Il fatto che abbiamo cercato di “trasformare” l’Islam stesso è una strategia di conversione religiosa come poche altre nella storia.

 

Quante volte diciamo: “Che cose terribili fanno in nome della religione”, perché qui non ci spaventano nemmeno gli insulti ingiuriosi alle chiese tradizionali. Ma questo è il classico “paragone tra mele e pere”, perché ignora ciò che facciamo in nome della vera religione americana.

 

Milioni di persone sono morte nelle nostre crociate per la libertà e la democrazia, ad esempio il 5% della popolazione del Giappone, l’8% della popolazione della Corea, il 5% della popolazione del Vietnam e il 5% della popolazione dell’Iraq. Quindi tutta la violenza musulmana rappresenta un “estremismo” religioso, mentre le guerre americane rappresentano atti politici ragionati (la nostra certezza è rafforzata dalla nostra inossidabile spada di autorità “statale” contro tutto ciò che è illegittimo, apostata e malvagio).

 

Sapendo che le realtà culturali sono impenetrabili, Bellah ha cercato di inserire per vie traverse la nozione di religione americana come analogia. Quando Bellah ci dice che possiamo chiamarla “dimensione religiosa”, ammorbidisce il suo messaggio, anche se in realtà vuole che riconosciamo la religione reale in noi. È chiaro che vede la sfida culturale.

 

Ma noi abbiamo rifiutato anche questa offerta di riconoscimento a metà. Andare oltre, e affermare che l’America è una religione tanto quanto l’Islam, è un puro anatema nella conversazione nazionale. Solo a dirlo si rischia l’apostasia.

 

Di fronte a questo paradosso, per cui gli americani non riescono a vedere ciò che è ovunque intorno e dentro di noi, che cosa si può fare? Forse potrei almeno assumere tre negazioni retoriche di base – non per aprire le menti, ma almeno per cercare di aprire il dibattito – e poi una domanda esistenziale:

  1. Come può l’America essere una religione se lo Stato è costituzionalmente separato dalla religione confessionale? Inoltre, negli Stati Uniti, il governo sostiene e amministra le leggi della repubblica, come risultante della volontà popolare. La legge, l’amministrazione e la politica degli Stati Uniti sono istituzioni laiche per natura.
  2. Come possono i presidenti americani essere “re sacri” quando la Costituzione ci dice che sono semplicemente cittadini eletti per un mandato? E il Senato come collegio cardinalizio? Anche in questo caso, semplici funzionari eletti. Certamente simboli e spunti sacri abbondano nella vita pubblica americana, ma una “chiesa”? E “sette”?
  3. Se l’America è una religione, come spiegare la persistenza selvaggiamente popolare delle chiese tradizionali? Dio è più forte che mai nella vita americana: Ma al di fuori della politica, e in comunità fiorenti a cui appartiene. Nessuno al governo osa violare la nostra barriera sacra tra Stato e Chiesa.
  4. Perché costringerci a vedere l’America come una religione? Come possiamo mantenere la nostra vera fede se la consideriamo solo un’altra costruzione sacra nella lunga ricerca dell’umanità di un significato e di un’identità condivisi? Le comunità di credenti, dopo tutto, funzionano meglio quando la loro fede è piena e intatta.

 

Come può essere una religione, l’America?

Negli Stati Uniti non esiste una separazione tra Chiesa e Stato. Secondo la Costituzione, tuttavia, non esiste una Chiesa di Stato. Perché, vi chiederete? Gli Stati della prima Europa moderna, dopo la Riforma, hanno tutti benedetto un’unica Chiesa come organo prescelto dallo Stato (e dal Re) come custode delle cose divine.

 

Il re di Francia, ad esempio, divenne Sua Maestà Cattolica. Il re di Spagna era Sua Sacra Maestà. Persino gli “estremisti violenti” che decapitarono Carlo I cercarono presto un “Lord Protettore”. Perché l’America era diversa?

 

Siamo andati fino in fondo: abbiamo fatto della Repubblica americana stessa la nostra Chiesa. Abbiamo unito Chiesa e Stato e fatto della nostra religione una grande impresa collettiva. Per questo abbiamo rapidamente consacrato due “partiti”, non solo come due fazioni politiche in competizione, ma anche come due sette in competizione, ma in cooperazione. – e abbiamo creato una liturgia politico-religiosa i cui grandi riti si realizzavano attraverso la convocazione del popolo e la volontà popolare.

 

Nella Giovane America i partiti impararono a lavorare insieme, anche se le loro differenze crebbero fino allo scisma e alla guerra per la schiavitù. Ma la cattedrale nazionale fu sempre tenuta alta. Guardate “L’uomo senza patria” di Edward Everett Hale[15]. Pubblicato nel 1863 durante la nostra guerra civile, il racconto intreccia ogni pietà e simbolo dell’identità americana in un appello a gran voce per la crociata del Nord.

 

La sopravvivenza della nostra cattedrale in una guerra esistenziale fece sì che le due sette potessero ricostituirsi già nel 1876. Ma questo non le fermò. Andarono oltre e lo formalizzarono. Alla fine del XIX secolo, il Partito Democratico e il GOP erano diventati le uniche sette ufficiali dell’America. Questo per garantire la stabilità e per evitare la volatilità dei partiti degli anni Cinquanta dell’Ottocento. I partiti democratico e repubblicano sono diventati le nostre chiese consolidate, sotto il tetto della cattedrale nazionale (e dei suoi templi – la corruzione inizia sempre qui).

 

Eppure non c’è contraddizione nel fatto che un governo basato sulla Chiesa persegua un’amministrazione civile efficace. La Chiesa latina lo ha fatto per gran parte dell’Occidente europeo dopo Roma, preservando l’intero sistema amministrativo tardo-romano. In molte società musulmane oggi (e fin dai tempi del Profeta) la moschea è la fonte dell’istruzione e dell’assistenza sociale. La nostra religione onnipresente segue il percorso di tante altre negli ultimi 2500 anni.

 

La religione è presente anche nella nostra istituzione più civile e apparentemente laica. La legge è totalmente incorporata nel progetto di vita dell’America. Se la giurisprudenza medievale europea e musulmana era basata sulla Chiesa, la modernità e il suo grande Stato “superiore” hanno regolato anche il nostro modo di vivere. La costruzione giuridica più cara all’America – i diritti umani – sono ancora i “diritti” che abbiamo scelto per il nostro sacro progetto.

 

Quindi, i riti del matrimonio, i diritti di una madre in attesa, i diritti genitoriali e di custodia, la correttezza delle punizioni, la nostra responsabilità nei confronti dei cittadini in difficoltà, quando e come lo sballo è socialmente permesso, il posto del cittadino armato nella società: sono questioni di grande portata. Sono al centro delle controversie schiettamente religiose dell’America. Se queste regole entrano profondamente nella nostra vita, in che cosa differiscono da quelle dell’Islam sulla preghiera, il digiuno o il pellegrinaggio? Entrambi abbiamo le nostre questioni esistenziali su come vivere insieme.

 

Solo un esempio: Gli Stati Uniti hanno il 4% della popolazione mondiale, eppure il 23% dei detenuti al mondo. Milioni di persone sono condannate a lunghe pene obbligatorie per possesso di droga minore. Una convinzione giuridicamente codificata come “la marijuana è il male” non è forse anche una sorta di mentalità da Shari’ah?

 

Eppure l’orbita storica dell’americanismo si sposta. La legge cambia con il mutare dell’identità. C’è sempre un fondamentalismo, ma non c’è un fondamento per sempre. Ciò che dichiariamo essere vero e per sempre è invece l’appassionata convinzione di un credo, condiviso nello spirito del tempo. Inoltre, le nostre regole di vita non sono solo espresse come legge religiosa, ma sono costantemente combattute nella nostra creativa lotta settaria. I musulmani fanno lo stesso, ma attraverso sei scuole di legge islamica.

 

La setta rossa [il rosso è il colore del partito repubblicano, N.d.C.] americana, come l’Islam, ritiene che i nostri principi di legge provengano da Dio, non dall’uomo. Ma anche se la setta blu [[il blu è il colore del partito democratico, N.d.C.] americana crede che i nostri codici civici siano radicati nella ragione, sono quindi – come l’aborto o il matrimonio gay – meno esistenzialmente liberi da proposte religiose?

 

Per quanto riguarda i retaggi legislativi ancestrali, diciamo solo che il Senato romano presiedeva ai riti religiosi con la stessa frequenza con cui si contendeva il patronato e il bottino politico. Peter Brown[16], il nostro principale tramite con la tarda antichità, ci spiega esattamente come il Collegio cardinalizio si sia evoluto dal Senato romano. Può una camera politica deliberativa essere anche religiosa? Un organo deliberativo religioso può essere anche politico?

 

Non sono semplicemente la stessa cosa?

 

 

Come possono essere Re Sacri i Presidenti americani?

Cosa significa veramente essere presidente degli Stati Uniti? Un uomo (o forse, in futuro, una donna) non è altro che un titolare di una carica elettiva del tipo più inflazionato? È davvero solo un politico (termine colloquiale di scherno)?

 

I presidenti americani non sono re. Secondo il mito e la Costituzione, non possono mai essere re del tipo la cui corruzione ha spinto Dio a creare l’America – come quei bambini reali titolati, ai quali i cortigiani hanno detto, durante la loro infanzia favolosamente viziata, che governavano per diritto divino. In una situazione esistenziale di questo tipo, il pensiero “Che mangino brioches!” potrebbe essere il primo che viene in mente, il più naturale.

 

I nostri re divini non sono di questa creta. Si ergono per affrontare e poi diventare qualcosa di molto più grande: Un’incarnazione dell’identità nazionale e del sacro nazionale che affonda le sue radici nelle origini della civiltà stessa.

 

I re sacri d’America sono eletti. Chi sale a tale carica deve essere in grado – così ci diciamo – di rappresentare l’intera nazione. Ma lo dichiariamo in senso stretto, come rappresentanza politica. Quello che sentiamo collettivamente nei nostri petti (gli stessi petti umani che si sentivano scoppiare ascoltando per la prima volta il Corano), quello a cui tutti aneliamo, è un uomo che nella sua persona incarni il nostro Paese – un presidente-incarnazione della Nazione!

 

I nostri antichi cercavano il segno dell’incarnazione divina in un uomo, come Gesù o Buddha, o anche profeti trascendenti come Mosè o Maometto. Quindi non è necessario che un uomo del genere sia effettivamente divino nella sua persona, ma piuttosto che sia stato scelto da Dio (come in Matrix o Dune: “Potrebbe essere lui l’Eletto?”) per guidare il suo popolo con poteri divini.

 

L’Egitto faraonico ha dato il via alla regalità divina circa 6000 anni fa. Il potere della sua visione si è poi diffuso in tutta l’Africa occidentale. Oggi ci sono ancora re sacri tra gli Yoruba e gli Igbo, per esempio, e alcuni sono persino eletti.

 

La loro sacralità risiede sia nel canalizzare Dio che nell’incarnare il popolo. Un uomo del genere, nella sua persona, ha il potere di elevare il suo popolo, ma anche la sua salute è la salute della nazione, e come lui si muove con energia e potenza magica, così fa il suo popolo.

 

Non tutti i presidenti americani diventano veri e propri re sacri. I più grandi – Lincoln e FDR – si sono sacrificati perché la nazione potesse vivere e poi rinascere. Così si sono uniti anche a tutti quei giovani soldati che nella purezza del loro impegno per la nazione li hanno preceduti. Un re sacro come doveva essere.

 

Eppure Reagan come re sacro è sopravvissuto all’assassinio, pegno divino in tre sensi: Dio aveva altro da fare per lui, era abbastanza forte da prendersi una pallottola e questo era un segno divino del fatto che a un re debole era succeduto uno con una potenza magica molto forte.

 

I re sacri, fin dalle loro origini più antiche, sono sempre uomini della pioggia. Devono essere uomini della pioggia o rinunciano alla loro promessa e devono essere ritirati. I re sacri d’America vengono consacrati quando si sacrificano per salvare la Repubblica, o quando sono uomini-manna. Reagan era un uomo della pioggia. Bob Woodward, nel suo ultimo articolo[17], rimprovera al Presidente Obama di non essere riuscito a “fare la sua volontà” sull’economia.

 

L’intera promessa di Romney, infatti, poggiava sulla sua affermazione – così fragile – che i repubblicani erano i veri uomini della pioggia – e i democratici, no. Il GOP ha accusato: “State meglio oggi di quattro anni fa?”. La promessa di Romney ha sostenuto che il nostro benessere collettivo – la ricchezza delle nostre vite – è in qualche modo legato alla sacra carica del Presidente, conferita dai poteri magici che eredita la sua persona.

 

Non crediamo semplicemente all’evidenza della nostra credenza religiosa vivente nella divina potenza magica americana – quando ci chiama dagli schermi televisivi?

 

È così sciocco parlare di un “primitivo del Pleistocene” vivente che opera nella vita americana? Alla convention repubblicana era chiaro che “il Re deve morire”, che il Presidente Obama non stava più incanalando il Cielo per rimpolpare e rinnovare la terra americana. Inoltre, opinionisti ed esperti affermano tutti che il Presidente deve provvedere. Deve portare la pioggia. Non importa che gli studiosi e i burocrati ci dicano che i presidenti non sono in grado di risollevare le sorti dell’economia.

 

Come americani, tutti noi crediamo e desideriamo il re sacro.

 

Come possono persistere le Chiese tradizionali?

Nel loro rapporto con la religione americana, tutte le chiese tradizionali non sono altro che gruppi di interesse in competizione nel vortice politico della fede nazionale. La cattedrale americana e le sue due sette non hanno mai ridotto le rivendicazioni sociali della vecchia religione. Le loro rivendicazioni sono ancora ben presenti, e tutte a favore del bene civico.

 

Ma l’essere chiesa tradizionale in America significa lottare per trovare un posto comodo nella più grande religione americana. Le chiese tradizionali – cioè le vecchie denominazioni europee – così come le religioni nate negli Stati Uniti come il mormonismo e il calvinismo evangelico, devono lottare e sforzarsi di trovare nicchie utili all’interno della più grande religione americana – e quindi qualche rivendicazione sussidiaria per il proprio gregge.

 

Le “religioni” tradizionali americane sono tutte agenti identitari ausiliari e supplementari della religione americana, abbracciate e applaudite quando sostengono le due sette dominanti, e messe da parte quando non riescono a giocare bene la partita.

 

Gli americani sono tutti membri della religione americana e questa è la loro identità di vita. Il progetto religioso americano è tutto incentrato sull’essere americano: Questa confessione deve precedere tutte le fedeltà ecclesiastiche tradizionali ausiliarie o supplementari.

 

Sappiamo che questo è vero perché ci sono così pochi americani che sono prima della vecchia chiesa e poi della chiesa americana. La nostra religione, tuttavia, non ha alcun problema con le comunità pietistiche marginali, come i mennoniti, i chassidim, gli amish o persino gli islamici, proprio come l’Islam nei suoi tempi d’oro accettava ortodossi, ebrei, drusi, ismailiti e alawiti. Ma quasi tutti gli americani sono ardenti credenti nell’americanismo.

 

Perciò le vecchie religioni trovano il modo di collegarsi e di rendersi utili nel tira e molla della politica americana: Il grande campo revivalista dove la religione americana viene rivista e adattata. Si potrebbe dire che non solo non c’è separazione tra Chiesa e Stato, ma che tutte le religioni legalmente etichettate negli Stati Uniti sono necessariamente complici del corso della religione americana. Se straniere, devono diventare americane.

 

Così la Chiesa cattolica qui prende le distanze da Roma, per meglio parlare ai cattolici americani che mettono al primo posto la religione americana. Lo vediamo reificato nella Messa, dove il sacerdote prega ritualmente per il Presidente, i generali e tutti i cortigiani assortiti della sede imperiale. Il “rendi a Cesare” ora va a finire nei luoghi in cui i primi martiri si sarebbero sacrificati piuttosto che sottomettersi: La religione americana.

 

Se nativa, come il mormonismo – che Tolstoj chiamava “la quintessenza della religione americana” – non c’è questa tensione. Con il calvinismo evangelico vediamo in realtà una spinta a porre il loro “vangelo della ricchezza” e il suo credo di predestinazione al centro della teologia del GOP.

 

Eppure il religioso americano – voi e io – alla grande domanda “Chi sono io” risponde sempre allo stesso modo: “Sono un americano”. A questa dichiarazione devono fare riferimento tutte le chiese ausiliarie e complementari.

 

I nostri Padri fondatori, e tutti i profeti e i santi che si sono succeduti, hanno forgiato gli appassionati punti chiave della nostra religione, e i media ci dicono ovunque che l’americanismo non è diminuito, oggi. Non c’è alcun calo percepibile nella religiosità nazionale. Ne sono testimonianza le Olimpiadi del 2012 – una competizione religiosa internazionale sacra quanto i giochi greci dell’antichità – dove abbiamo vinto ancora una volta, dimostrando ancora una volta l’inossidabile virtù dell’eccezionalismo americano.

 

Perché forzarci a vedere l’America come religione?

Vedere l’America come una religione significa ottenere una sorta di gnosi, una visione profonda di noi. Perché costringerci a vedere l’America come una religione? Come possiamo mantenere la nostra vera fede se ci allontaniamo e la vediamo come una fra le tante costruzioni sacre nella lunga ricerca dell’umanità di un significato e di un’identità condivisi? Le comunità di credenti funzionano meglio quando la loro fede è piena e intatta.

 

Ma ci sono due ragioni pratiche e urgenti per cui dobbiamo vedere noi stessi per quello che siamo, e la nostra America come religione. Stiamo entrando in un periodo di crisi nel rapporto dell’America con il mondo e, allo stesso modo, in un periodo di crisi dell’identità americana. Entrambi potrebbero presto diventare vere e proprie prove per la fede.

 

Crisi con il mondo. La guerra sacra è il veicolo religioso della trascendenza americana, e lo è stata fin dai nostri inizi (nella Rivoluzione). La guerra svolge un ruolo decisamente escatologico nell’identità e nella vita americana.

 

Come nazione siamo testimoni dell’ultimo testamento di Dio all’umanità, un messaggio a tutta l’umanità riassunto nelle parole sacre libertà, democrazia e libero mercato. Tuttavia, coloro che portano l’unica vera parola sono più impegnati a convertire gli altri che a comprenderli. Come l’Islam: Come noi.

 

Il nostro interesse per l’umanità non è empatico o compassionevole: è religioso, e ciò che facciamo per l’umanità è essenziale perché è strumentale alla nostra stessa identità. Chi parla di “realismo” nelle nostre relazioni mondiali, o della necessità di perseguire rigorosamente solo i nostri “interessi nazionali”, nega il grande fondamento dell’interesse nazionale, che è portare la parola e la volontà di Dio al resto dell’umanità.

 

La missione americana è nettamente diversa dal nazionalismo religioso europeo degli imperi dell’epoca vittoriana, in quanto non può essere presentata come strettamente acquisitiva o egoistica. I nazionalisti europei hanno spesso cercato di nascondere la loro avidità sotto la copertura di una “missione civilizzatrice”, ma queste maschere sono sempre cadute – e non ha mai avuto importanza.

 

L’America è più appassionata dei suoi cugini europei e anche più dottrinalmente pietistica. La nostra fervente fede nella missione divina conduce l’America a guerre con altre culture nazionali altrettanto selvagge quanto le azioni dell’imperialismo europeo, ma con un ritorno di fiamma della retorica crociata.

 

Quando invochiamo l'”eccezionalismo americano” stiamo facendo una dichiarazione di fede – e allo stesso tempo invochiamo il nostro diritto e la nostra responsabilità di dire al mondo cosa fare. Quindi la punizione che infliggiamo a chi si oppone è giusta, perché agiamo da un’autorità superiore.

 

Il nostro intervento mondiale del XX secolo – “Destino manifesto”[18], “la mano di Dio”[19], “un appuntamento con il destino”[20] – era una visione dell’America come nazione redentrice, e nacque nella nostra guerra civile. L’Unione federale cercava di redimere una nazione oscuramente corrotta, mentre la Confederazione cercava di redimere la virtù civica originaria e fondante della nazione: due visioni della caduta dalla Grazia, della virtù rinnovata e del peccato scacciato. Due passaggi, due narrazioni di severa purificazione e una sola ascensione.

 

Woodrow Wilson ha trasformato la redenzione di una nazione durante la Guerra Civile nella redenzione di tutta l’umanità[21], una crociata che FDR sembrava pronto a completare[22] nel 1945.

 

Ma alla guerra mondiale seguì la guerra fredda. La nostra opera divina – la nascita di un’ONU così vicina a un completamento apocalittico – sembrava ora più lontana che mai. A causa delle armi nucleari, le guerre sacre non potevano redimere il mondo [nel crearle, avevamo peccato contro Dio ed eravamo caduti dalla grazia?] La guerra fredda ha di fatto congelato la missione: Il millennio sarebbe stato rinviato. Il male comunista aveva trovato un modo per sopravvivere e il diavolo sarebbe stato sconfitto solo attraverso la vigilanza e “una lunga lotta nel crepuscolo”[23]. Solo attraverso l’espressione della pietà collettiva la nostra nazione avrebbe potuto aprirsi alla vittoria.

 

Le “guerre sporche” che seguirono – attraverso le uccisioni da vicino e personali e i bombardamenti senza fine – sollevarono una possibilità agghiacciante: Che la nostra vocazione divina fosse già stata corrotta da Hiroshima, che fossimo ormai un’impresa nazionale impegnata solo nel sanguinoso business della giustizia punitiva; che fossimo passati dal Nuovo Testamento a una nazione del Vecchio Testamento in una sola generazione.

 

Il Vietnam ci spinse a dubitare della nostra stessa fede e della rettitudine dell’identità americana. Ma poi l’Unione Sovietica è caduta e la fiducia nella vittoria eterna americana è tornata. La redenzione è tornata in auge. La fine della storia era vicina, se solo avessimo avuto il coraggio di renderla tale. Forse ci stavamo avviando verso un millennio troppo a lungo rimandato.

 

Poi l’11 settembre. Come a Pearl Harbor, il corno d’ariete suonò e il sangue ribollì nelle nostre vene. Ben presto il nostro sacro re si è messo a parlare come Lincoln, Wilson e FDR. Sembrava che il momento di adempiere all’incarico di Dio fosse finalmente arrivato. L’America stava prendendo le redini della Storia – la sacra narrazione di una missione ordinata da Dio – e questa volta avremmo portato a termine il lavoro. Il re sacro dichiarò che la

 

… Chiamata della storia è arrivata nel Paese giusto. Gli americani… sanno che la libertà è il diritto di ogni persona e il futuro di ogni nazione. La libertà che apprezziamo non è un dono dell’America al mondo, ma un dono di Dio all’umanità.

Tuttavia, l’11 settembre non è fiorito in un’altra guerra sacra, né è diventato un’altra trascendenza nazionale come la Seconda Guerra Mondiale. Non abbiamo redento (“trasformato” o convertito) il mondo dell’Islam. Ci siamo invece ritrovati in un’altra guerra corrosiva di punizione e giustizia retributiva, che continua a svolgersi come un ciclo omicida senza fine.

 

Nel secolo dell’America, la guerra è stata il motore delle relazioni dell’America con l’umanità nel suo complesso – perché la guerra serve gli scopi della religione nazionale. Tuttavia, dal 1945, la guerra sacra – sia come veicolo di trascendenza nazionale che come certificazione che noi siamo il “top dog“, capobranco [per i “realisti”] – ci ha deluso.

 

Ma più che la guerra ci ha deluso. Mettendo in stand-by la guerra sacra, la guerra fredda ha creato una nuova norma, in cui la dimostrazione e l’esibizione dello splendore della potenza militare americana, piuttosto che la guerra stessa, sono diventate lo scopo intermedio della religione nazionale. Ora l’identità americana è sempre più investita nella superiorità militare (rispetto a tutti gli altri). “Alleanza” per gli americani divenne sinonimo di patti militari e di sottomissione al potere militare americano. In un mondo in cui le transazioni di potere mediatico-simboliche definiscono il nostro status di “capobranco”, la “leadership” e il “rispetto” diventano gli obiettivi mondiali più importanti per l’America, resi possibili solo dalla “forza”.

 

Tuttavia, non riuscendo nella nostra guerra islamica a raggiungere gli obiettivi di una guerra sacra ufficiale sul campo di battaglia, l’identità americana ha perso anche la sua pretesa di autorità mondiale – perché il nostro esercito non può raggiungere ciò che il suo enorme potere dice al mondo che dovrebbe, e ciò che ci siamo vantati di poter fare. In parole povere, siamo diventati l’imperatore che dice al mondo di non avere vestiti. Ci ostiniamo a “mantenere le apparenze”, anche se esclamiamo: “Ehi, siamo nudi!”.

 

Si tratta di una crisi in attesa, perché l’autorità mondiale americana è diventata inseparabile dall’identità americana. È una dottrina centrale del nostro canone religioso – eppure non è riuscita ad aggiungere un altro testamento alle scritture nazionali. Agli americani viene detto che la nazione è in declino e gli americani ci credono: Perché è vero. È vero alle condizioni che abbiamo affermato nel XX secolo e alle condizioni che continuiamo a chiedere, ma che la nostra Chiesa nazionale (e i suoi militari) non sono in grado di fornire.

 

Inoltre, anche il resto del mondo ci crede, perché anche loro hanno assistito al naufragio della guerra sacra americana nell’ultimo decennio. Le conseguenze sono facili da vedere: sono proprio davanti a noi. L’America può imporre una giustizia punitiva a piacimento. Basta guardare i danni che le nostre uccisioni con i droni hanno fatto ad Al Qaeda. Ma è evidente che l’America non può più diffondere la Buona Novella di Dio e compiere le sue opere buone. Può radere al suolo le società con facilità, ma ha perso la magia, come hanno dimostrato Iraq e Afghanistan, di ricostruirle.

 

Di conseguenza, il resto dell’umanità non è più disposto ad adattarsi a un sistema mondiale progettato per soddisfare il bisogno americano di compiere il proprio destino. Dopo il 1945, il mondo ci ha fatto posto a malincuore, alla fine persino Cina e Russia. Ma oggi i segni e i presagi dicono ovunque: Non più.

 

Quando Bellah scriveva, nel 1967, l’incombente crisi della sconfitta del Vietnam era già tra noi, e sussurrava di future agonie nazionali della fede.

 

Allora come oggi, la crisi della sconfitta americana è, come tutte le sconfitte, innanzitutto una crisi di fede. Come la nostra autorità mondiale si è indebolita, così la nostra fiducia in noi stessi vacilla:

 

* Se siamo in declino economico e non siamo più maestri della guerra, come possiamo reclamare la leadership mondiale? Ma come possiamo riaffermare l’idea che ha prevalso durante la Guerra Fredda – che siamo ancora in qualche modo il leader inossidabile del mondo libero?

* Qual è il “ruolo mondiale” (cioè l’identità) dell’America se non è più leader mondiale che “conclude” la Storia? Dopo tutto, l’unica alternativa tradizionale è l’impensabile “isolazionismo”, che era la posizione strategica predefinita degli Stati Uniti quando erano deboli. Ma da quando siamo diventati forti… vade retro! Ricordate che eravamo il puledro di Dio, da custodire e nutrire fino alla crescita.

* Come può una nazione eccezionale diventare una nazione ordinaria senza venir meno a Dio e a tutti coloro che hanno dato “l’estrema prova di devozione”? I nostri modelli di ripiego diventano allora quelli che abbiamo sconfitto in una guerra disperata: Giappone e Germania. Possiamo diventare come loro e guardarci ancora con orgoglio allo specchio?

* Se la nostra missione nella storia è divinamente ordinata, come possiamo fallire, a meno che Dio non stia abbandonando gli Stati Uniti d’America? I bizantini agonizzavano per le loro sconfitte, credendo che i loro fallimenti fossero in qualche modo legati a una visitazione onnipotente: Se il Signore ha fallito, il Signore si è accigliato. Puro e semplice. Ma noi americani, nella modernità, siamo più avanzati?

Queste stesse domande ci parlano della crisi che verrà.

 

Crisi all’interno di noi stessi. Se la guerra sacra è intrecciata al benessere della nostra identità, la sconfitta ci indebolisce. Solo un popolo forte e unito può vincere e perseverare fino alla vittoria. Ma che dire di un popolo che non riesce a perseverare, che non crede più nella vittoria? Cosa dice allora la sconfitta di noi e del futuro americano?

 

Nelle nostre menti, oggi, la nostra deludente ostentazione di potenza bellica, anno dopo anno, brilla come un arco finto e indorato su un sistema corrotto e fallimentare – e il sistema, soprattutto, è quello su cui esercita specificamente il suo comando il re sacro, il Comandante in Capo. Quindi, per il presidente di guerra [G.W. Bush, N.d.C.], il suo consenso a un corrotto accordo tra governo e industria finanziaria era corrotto quanto la corruzione quintessenziale, così come la sua leadership di guerra ha portato alla sconfitta e all’implosione del 2008.

 

Ci si aspetta che il nostro sacro re mantenga la nazione in salute, così come ci si aspetta che la conduca alla vittoria in guerra. Né una guerra incancrenita e fallita può essere separata dalla malattia in casa. Le paure degli americani sono alimentate dallo stato del Corpo Politico Americano.

 

Inoltre, la crisi d’identità nazionale si manifesta innanzitutto nella politica religiosa, come un’incolmabile divisione settaria.

 

Qui possiamo vedere come i nostri riti pubblici stiano diventando più elaborati e più esigenti nei confronti degli aderenti. L’americanismo stesso sta diventando più religioso – sia più devozionale che più liturgico. Molto tempo fa, nella nostra vita nazionale, i compromessi e gli scambi di favori avevano la meglio sull’alta ritualità. I politici si contendevano il patronato e il bottino alle convention di partito: era questo il loro scopo.

 

Oggi, invece, le convention assomigliano di più ai riti della Chiesa, perché tutto è così reverente e così regolato da un copione: Non c’è nemmeno la vitalità e l’improvvisazione di un Tent Revival.

Ribaltando ogni tradizione politica, anche la First Lady è assurta a Dea Madre al pari del Re Sacro, con un’enfasi retorica molto esplicita – nelle convention di partito appena trascorse – sulla sua fertilità che accompagna la potenza di lui: Come segno del loro potere congiunto di arricchire e rinnovare la nazione. Come è entrata nel seno di Hollywood, nei premi Oscar!

Portare i riti dell’Età del Bronzo nella liturgia politica americana è uno sviluppo molto recente – eppure lo vediamo con i nostri occhi – e questi riti ci dicono qualcosa di molto importante su di noi.

 

L’intensificazione del rituale pubblico-religioso è un indicatore di un rapporto trasfigurato tra le nostre due Chiese (sette) in competizione. La nostra nazione ha bisogno più che mai di affermazioni religiose di identità, ma sembra che l’identità si stia dividendo appassionatamente tra i due partiti – setta.

 

Dobbiamo ricordare come funziona la religione americana: Il nostro unico patto americano è accuratamente configurato in modo che i due partiti- setta competano e cooperino in modo che la religione nazionale rimanga vitale e fresca. Perché è importante? Perché mantiene l’idea dominante dell’America sempre aggiornata e viva: tutti cerchiamo la vittoria nella competizione.

 

Il premio è ciò che i nostri due partiti cercano, ma è, anche se raggiunto, un dono momentaneo. Quando un partito inciampa, significa che un’idea migliore dell’americanismo può prendere il sopravvento – per un po’. Ma l’innovazione principale è garantire che il rinnovamento sia incorporato. Il sistema è evangelicamente e istituzionalmente auto-rinnovante. L’America è sempre rinnovata perché la sua religione richiede l’impermanenza della dottrina e dell’ortodossia della Chiesa.

 

Questo è il fiore all’occhiello del Programma americano per la vita. Chiamatela la versione d’avanguardia dell’America sull’adattamento evolutivo: La vigorosa competizione tra due partiti, cioè due imprese di identità e rinnovamento americano.

 

Eppure un costrutto così adattivo può ancora crollare – ed è crollato. Come si rompe?

 

Un sistema di credenze (la religione americana) radicato nel costante adattamento è allo stesso tempo implicitamente sottoposto a enormi pressioni. Un sistema di credenze basato sul cambiamento può reggersi solo finché esiste un grande patto politico-religioso. Questo patto, a livello esistenziale, deve abbracciare in modo totale e assoluto la convinzione condivisa di un’unità di identità sacra – una convinzione che deve essere sempre più fervente delle differenze tra le sette.

 

Siamo tutti, prima di tutto, americani, ed è qui che la nostra congregazione deve essere una sola. Se diventiamo scismatici: cioè se iniziamo a dire a noi stessi che l’altra parte è la non-America, o non-americana, o anti-americana, l’opposto di noi, l’altro alieno, il traditore in mezzo a noi – laddove solo noi siamo i veri americani – ci avvitiamo verso la catastrofe e la morte della nazione.

 

Questa fu la terribile storia del 1861, preparata e prefigurata tragicamente decenni prima. All’inizio del 1800 le ombre dello scisma stavano già oscurando la politica, per quanto i veri patrioti americani (religiosi) combattessero per tenerci uniti.

 

Ma l’America si è spaccata e la guerra civile è stata il nostro sanguinoso raccolto.

 

La nostra vita politico-religiosa nazionale dal 1865 in poi ci dice che la relazione creativa di due sette è meglio sfruttata attraverso il dominio benevolo di una sull’altra: Scambiati periodicamente. Pensate a questo non tanto come a una sottomissione alla forza principale, ma piuttosto nello spirito di “Ho un’idea migliore, e ho vinto!”. È totalmente compito della parte sconfitta, allora, reimmaginare e presentare una nuova visione politico-religiosa: La prossima idea migliore, e portarla a casa nelle prossime elezioni.

 

Così il partito-sistema repubblicano è stato il padrone della politica dal 1865 al 1896, con solo due mandati democratici. È notevole che questa carta sia stata rinnovata nel 1896 per altri 36 anni, concedendo di nuovo ai democratici solo due mandati presidenziali. Dal 1932 al 1980 i democratici hanno dominato, con rari repubblicani che sembravano dei pii democratici moderati (come Eisenhower e Nixon). Dal 1980 a oggi, i repubblicani sono tornati ad avere il coltello dalla parte del manico, con Clinton e Obama in tenuta da centro-destra alla Eisenhower, vestiti di buona lana repubblicana[24].

Ma sotto la superficie della nostra politica religiosa si agitano malumori terribili. Come mai prima d’ora dagli anni Cinquanta del XIX secolo, stanno emergendo due visioni distinte e opposte dell’americanismo. Inoltre, il terreno politico del compromesso e della cooperazione – che ha sostenuto la stessa coesistenza di due sette in competizione dal 1876 – sta evaporando.

 

È degno di nota il fatto che la devozione e la frequentazione delle chiese siano in aumento, in America. L’intensificarsi dell'”andare in chiesa” è un indicatore del fatto che gli americani stanno diventando più evangelici, proselitisti e pietisti. L’impennata calvinista, in particolare, ci dice come le Vecchie Chiese cerchino ancora di catturare una setta americana. Di per sé questo è un presagio di scismi a venire: Segni che le linee di battaglia settarie si stanno trincerando e si preparano di nuovo alla battaglia nella vita americana.

 

Come negli anni Cinquanta del XIX secolo, due distinti modelli di vita americani sono emersi da uno, e ciascuno si definisce in opposizione all’altro. La via repubblicana richiede virtù inossidabili. La via democratica richiede altruismo civico. Sicuramente il nostro canone intende che entrambi ci rendano americani integri. Ma ogni setta oggi ha ben chiaro che l’altra è, prima facie, l’Altro: L’antitesi dell’identità nazionale.

 

Consideriamo la Setta Rossa, attraverso il prisma di un recente film, Last Ounce of Courage[25]. Non si tratta semplicemente di un’evocazione di tropi rosso-repubblicani, ma un’esplosione stellare al calor bianco che illumina la minaccia della Setta Blu all’identità sacra americana. È un grido jihadista cinematografico americano.

 

Ci sono cosiddetti “problemi” nella religione americana che possiamo affrontare solo attraverso termini tecnico-politici impoveriti che non ci dicono quasi nulla su ciò che sta realmente accadendo. Il più odioso è  “questione scottante” – e oggi la più grande “questione scottante” è il “controllo delle armi”, conosciuto dall’altra parte come “diritti del secondo emendamento”.

 

Cosa non ci dice questo termine tecnico-politico fuorviante? Molto semplicemente, non ci dice che non si tratta affatto di una questione, ma piuttosto di un cuneo di scisma forte come quello che ha lacerato il mondo romano (bizantino) nell’VIII-IX secolo: L’iconoclastia. È forte come il grido di Lutero nel 1517. È forte come l’estensione della schiavitù nell’America antebellica.

 

Gli americani semplicemente non comprendono il significato sacro e simbolico delle armi da fuoco nella religione nazionale – e perché dovrebbero? Per capire questa verità, dovrebbero prima capire che l’America è una religione, e sappiamo quanto ferocemente – fino agli estremi limiti della ragione – si resista a questo riconoscimento.

 

Le armi sono l’identità americana – per circa un terzo di tutti gli americani – e ricordate, la religione è fondamentalmente identità, e solo identità. Le armi sono la sfera e lo scettro del singolo cittadino americano e della sua imperitura Libertà. Punto. Punto e a capo. Chi odia le armi, in qualche modo odia l’America stessa – così credono in cuor loro i Davy Crockett e i Daniel Boone.

 

Un terzo – nella strategia militare – sembra una minoranza, ed è così. Ma una tale minoranza di americani – ferventi[26], impegnati[27] e non piegati – costituisce comunque una massa critica assoluta in termini di religione settaria. Lo era nel 1860 e lo è anche oggi. Come vedete, le fratture che minacciano la religione americana sono reali e si profilano ancora in lontananza, che noi vogliamo vederle o no.

 

Il pericolo non è solo che nessuna delle due sètte domini, ma anche che ciascuna di esse arrivi a vedere l’altra come il nemico mortale dell’identità americana. Quando si tracciano le linee di battaglia tra i cittadini americani, la posta in gioco diventa esistenzialmente tutto o niente. La pubblicità religiosa ci dice: Se vincono i repubblicani, il popolo sarà ridotto alla servitù della gleba. Se vincono i democratici, regnerà il “socialismo europeo” e la virtù americana andrà perduta. Non siamo già a quel punto?

 

La nostra religione sta perdendo i suoi ormeggi. Le tradizioni religiose gemelle della virtù (il cittadino individuale, forte e armato) e dell’altruismo civico (lo Stato come espressione collettiva di come ci prendiamo cura l’uno dell’altro) – così a lungo scolpite nel muro dell’ethos – devono essere bilanciate se si vuole che la nazione stessa sopravviva e prosperi. Oggi i nostri calici blu e rossi dell’identità sono stati trasferiti in cappelle identitarie separate, fisicamente se non per sempre inconciliabili.

 

Ma non siamo nel 1850. La tempesta che allora si stava scatenando riguardava la natura del credo stesso dell’America (suggerimento: era un’altra Costituzione). Questa lotta riguarda ciò che facciamo quando il credo stabilito da quella guerra civile di vecchia data inizia a fallire.

 

Quindi le armi non rappresentano tanto un punto di infiammabilità esistenziale, quanto piuttosto ci ricordano quanto sia presente, in latenza, lo scisma come autodistruzione all’interno del corpo americano. Il credo fallimentare può essere visto ovunque nel nostro corpo nazionale, in ciò che questa gigantesca entità in movimento attualmente concepisce come “politica” – nel razzismo, nel potere imperiale del re sacro, nel ruolo dello Stato nel nostro benessere comune, nel percorso verso la giustizia sociale, nella schiacciante disuguaglianza della ricchezza in America. Quindi non si tratta solo di armi. Le armi sono un segno… ma di cosa?

 

Una cosa soltanto: Come in tutte le grandi fedi, la verità più profonda è che la congregazione deve credere comunque sia. Quindi, per quanto riguarda l’impresa-fede americana, la grande crisi che affrontiamo è una crisi di fede. La nazione deve affrontare il declino della sua compattezza religiosa, preferibilmente attraverso un esplicito rito di rinnovamento e purificazione (un’uscita collettiva dalla divisione).

 

Ma qui noi americani ci troviamo impacciati e poveri di alternative come le dinastie regali europee del XVIII secolo nella cui appassionata opposizione ci siamo creati. Oggi gli americani sono pieni di ansia e apprensione, ma sembrano avere una sola soluzione. Ci rivolgiamo sempre al re sacro. Andate a Mt. Vernon e guardate il sacro re Washington. Guardate il film di Spielberg Lincoln. Guardateci, in attesa.

 

Eppure il re sacro W [George Walker Bush., N.d.C.] ci ha deluso, mentre la promessa celestiale del suo successore si è esaurita, almeno in termini di sperpero di magia. Gli americani desiderano il salvatore, il profeta, Il ritorno del re: Di uno dei nostri che viene a noi in uno splendore ultraterreno e in una promessa eterna.

 

Sono tutti segni e presagi del fatto che Dio ha abbandonato gli Stati Uniti d’America? I timori del declino dell’America – apparentemente così pragmatici nel mondo della politica – sono in realtà timori profondi che non siamo più eccezionali. L’accusa repubblicana ai Democratici è di aver tradito la nazione agli occhi di Dio. Ma questo è a sua volta il j’accuse dei Democratici al GOP: Che la loro empia vanità ha condotto la nazione sulla strada del falso orgoglio – e della perdizione.

 

Nel nostro deserto autocostruito cerchiamo colui che ci condurrà alla Terra Promessa.

 

Gridiamo il suo nome, ma egli non viene.

[1] Michael Vlahos, PhD, insegna nel programma di studi sulla sicurezza globale presso la School of Arts and Sciences della Johns Hopkins University ed è stato professore presso il dipartimento di strategia e politica dello US Naval War College. Il dottor Vlahos è stato a lungo commentatore di affari esteri e sicurezza nazionale con la CNN. I suoi articoli sono apparsi su Foreign Affairs, The Times Literary Supplement, Foreign Policy e Rolling Stone. Dal 2001 è ospite regolare del programma nazionale John Batchelor Show sulla WABC.

[2] http://italiaeilmondo.com/2023/02/01/un-anno-di-guerra-in-ucraina-riepilogo-ragionato-di-roberto-buffagni/

[3] I Tent Revivals sono incontri di fedeli cristiani, di solito Battisti o Metodisti, che si tengono sotto un tendone eretto per l’occasione. Il tono di queste riunioni di preghiera è popolare o meglio populista, estatico, pentecostale, di frequente accompagnato da invocazione di guarigioni, spirituali e fisiche, miracolose. E’ all’origine del fenomeno diffuso e anche politicamente rilevante dei telepredicatori. https://en.wikipedia.org/wiki/Tent_revival [N.d.C.]

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Bellah

[5] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/http://www.nasonline.org/publications/biographical-memoirs/memoir-pdfs/kluckhohn-clyde.pdf

[6] Benedict Anderson: Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Bari, Laterza 2018

 

[7] L’espressione origina da un sermone del 1630 del puritano John Winthrop, governatore della Colonia di Massachusetts Bay: https://www.neh.gov/article/how-america-became-city-upon-hill#:~:text=That%201630%20sermon%20by%20John,center%20of%20his%20political%20career. [N.d.C.]

[8] https://en.wikipedia.org/wiki/American_Civil_War_reenactment

[9] https://www.presidency.ucsb.edu/documents/memorial-day-address

[10] Nella battaglia di Baltimora, Guerra del 1812 contro l’Impero britannico. https://en.wikipedia.org/wiki/Star-Spangled_Banner_(flag)

[11] https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_d%27indipendenza_degli_Stati_Uniti_d%27America

[12] https://www.youtube.com/watch?v=qTeDsJrIqok V. il ripiegamento rituale della bandiera al cimitero di Arlington. Qui il simbolismo di ciascuna delle tredici piegature della bandiera: https://youtu.be/U9d_Ifw9G0A   [N.d.C.]

[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Pledge_of_Allegiance

[14] https://books.google.it/books?id=u89cEOXr2CkC&pg=PA192&lpg=PA192&dq=mccormick+eternal+victory&source=bl&ots=nzga7M84tI&sig=uQ7uGKXsT5m6odwBT319Oe1slGU&hl=en&redir_esc=y#v=onepage&q=mccormick%20eternal%20victory&f=false

[15] https://vimeo.com/36559053

[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Brown_(storico)

[17] https://www.salon.com/2012/09/10/bob_woodward_still_useless/

[18]

[19] https://historymatters.gmu.edu/d/4979/ Presidente W. Wilson, presentazione del Trattato di pace di Versailles e l’istituzione della Lega delle Nazioni al Senato USA, 1920

[20] https://www.austincc.edu/lpatrick/his2341/fdr36acceptancespeech.htm F.D. Roosevelt, discorso di accettazione della candidatura presidenziale, 1936

[21] Il Presidente Wilson chiede l’entrata in guerra, “Rendere il mondo sicuro per la democrazia”, 1917 https://historymatters.gmu.edu/d/4943/

[22] https://historymatters.gmu.edu/d/4943/ F. D. Roosevelt all’Associazione dei Corrispondenti della Casa Bianca, 1943: “…Oggi, infatti, più si viaggia e più ci si rende conto che il mondo intero è un unico vicinato. Ecco perché questa guerra, che ha avuto inizio in zone apparentemente remote – Cina-Polonia – si è estesa a tutti i continenti e alla maggior parte delle isole del mare, coinvolgendo le vite e le libertà dell’intera razza umana. E se la pace che ne seguirà non riconoscerà che il mondo intero è un unico vicinato e non renderà giustizia all’intera razza umana, i germi di un’altra guerra mondiale rimarranno una minaccia costante per l’umanità.”

[23] John F. Kennedy, discorso inaugurale https://youtu.be/3s6U8GActdQ

[24] https://youtu.be/XhQD2UFCIbY “Checkers Speech” di R. Nixon, 1952

[25] https://youtu.be/MMtT_SKzsyk

[26]

[27] https://youtu.be/5ju4Gla2odw Charlton Heston per la NRA

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