LA QUESTIONE DELL’EGEMONIA NEL XXI SECOLO. Politica e cultura ai tempi del mondo disperso, di pierluigi fagan

LA QUESTIONE DELL’EGEMONIA NEL XXI SECOLO. Politica e cultura ai tempi del mondo disperso.

Egemonia è antico concetto greco che si pose il problema di come una parte minore eserciti potere anche indiretto e spesso guida più che comando, su una parte maggiore. Era di origine militare. Poi Gramsci lo trasferì nell’agone culturale.

Lì, nonostante le obiettive contraddizioni sociali che avrebbero fatto pensare ad un rapido sviluppo del discorso e sviluppo politico comunista e socialista primo Novecento, la presenza di una forte egemonia delle classi dominanti, impediva il contagio delle idee e la loro trasformazione in azione politica collettiva. Gramsci ragionava a griglia di classi, aveva una ideologia, sostenne l’idea del “soggetto collettivo” fatto di partito operante culturalmente, socialmente, politicamente in riferimento alla classe sociale di riferimento, potenziato dagli intellettuali. Ma lo invitò a dar battaglia per l’egemonia prima di realizzare i suoi progetti concreti, proprio per creare le condizioni di possibilità per ottenere quel fine. Il campo delle idee e del loro pubblico discorso, discussione e condivisione, andava emancipato dal meccanicismo sotto-sovrastrutturale, roba da meccanica newtoniana tipo rivoluzione industriale.

Non so quanti di voi sanno dell‘estremo successo che questo concetto ha da decenni nella cultura politica ed intellettuale americana. Da W. Lippman e la nascita delle Relazioni Pubbliche, prima addirittura col nipote di Freud Bernays, fino a J.Nye ed il suo soft power ora smart power, il coro pubblicitario, serie e televisione, il controllo dell’immaginario, fino il porno, Marvel, Hollywood, la musica e molto, molto altro. L’intera costellazione dei think tank, fondazioni, Council, Fondazioni, giornali e riviste, convegni e dibattiti, libri, accademici, vi si basa, da Washinton al mondo, quantomeno occidentale. Tutta la costellazione dei servizi di sicurezza ed informazione americana ne è formata. Si studia nelle università, l’hanno sezionato da Ellul a Chomsky. Ne pariamo tutti i giorni riferendoci al coordinamento stalinista del mainstream. L’intero Internet ne è l’infrastruttura, i social ne sono i nodi. L’universo media in cui siamo immersi come girini nello stagno, ne è il contenitore ultimo.

A questa egemonia invincibile, l’area critica cosa oppone?

In genere, il rimpianto delle scomparse condizioni di possibilità esistenti dopo Gramsci. Un intero partito, il Partito Comunista Italiano, ne conseguì la lezione. Giornali, riviste, associazioni, presenza nella scuola, nel teatro, nel cinema, nell’editoria, naturalmente partito (nazionale e territoriale diffuso) e sindacato. Il PCI arriverà addirittura ad un 34,4% dei suffragi nel 1976, un inedito nella sfera occidentale. Ma nella sfera del discorso e della cultura, stante che la cultura era struttura importante della vita pubblica, il peso ad alone era anche maggiore. Lo capì Berlusconi, il quale, provenendo empiricamente da una stessa sensibilità quasi animale per il discorso, la persuasione, la fascinazione (ce l’hanno tutti i venditori di qualcosa), attaccò frontalmente con cosce, risate, disimpegno, liberazione dalla pesantezza catto-comunista, liberazione degli istinti, dei vizi privati che farebbero una inedita pubblica virtù: aumentare il benessere e la ricchezza. Divertendosi pure.

La plumbea e triste cappa di autoconsapevolezza del realismo contrito che portava la coscienza politica anni ’70 e relativa frizione sociale, veniva squarciata da “”Vamos alla playa!” con uno sfondo di promessa d’accoppiamento e successo sociale da esibire.

Altresì, i figli della stagione precedente, caduti ormai in un buco nero di sconforto ideologico per crollo della realtà sotto forma di Muro e poi Stato sovietico, per quanto non certo questo un reale riferimento politico concreto, hanno da lì in poi rimpianto le certezze del sistema classe+parito=soggetto. Niente soggetto, niente azione politica, quanto alla “classe”, vattelapesca oggi come è oggi la partizione sociale dove la psicografia soverchia la logica sociodemografica.

Si possono portare avanti progetti di egemonia o sfida ed anche solo minimo contrasto, senza i dispostivi classe+partito? Cosa darsi a riferimento se non si ha la possibilità di varare prima un soggetto? Come definire altrimenti un soggetto se non ve ne è uno sociale tagliato precisamente da concrete condizioni? Cosa comporta il fatto che oggi il concetto di “classe” non può far conto su una precisa faglia di popolazione con caratteristiche omogenee?

Nella teoria dei sistemi c’è molto catalogo di forme. Un sistema è formato da una ricetta semplice. Prendete parti, le interrelate tra loro, si saldano naturalmente e fanno una roba maggiore delle sole parti, perché hanno le interrelazioni. Due umani di sesso diverso fanno famiglia, ad esempio, ora alcuni pensano di poterla fare anche se non di sesso diverso. Tali sistemi vivono in un ambiente di sistemi e se sono grandi, essi stessi son fatti di sottosistemi. Ne viene fuori un ambaradan complesso, anche perché non è detto che le interrelazioni siano lineari. Lineare è io ti do uno schiaffo e tu me lo restituisci. Non lineare è se mi spari o mi chiedi di fare pace. Si possono formare complesse catene di interrelazioni non lineari nella catena sistemica. Il tutto si svolge in un contesto con cui i sistemi hanno relazioni da e per. Il concetto che presiede questo stato di compatibilità è il reciproco adattamento. Infine, l’intera questione è una storia, un fenomeno che sta nel tempo, ha una origine, svolgimento, fine o trapasso ad altro.

Provate ad immaginarvi questo cubo pieno di cose che sono sistemi con sottosistemi al loro interno e con interrelazioni tra quelli maggiori che si agitano in un ambiente delimitato da una cornice che fa da contesto in un dato tempo e per un dato tempo. Questo inquadramento può ospitare il mondo intero, quello materiale e quello immateriale. Dai quanti agli ammassi di galassie, dai fonemi ed alfabeti all’intera storia culturale umana, inclusa la religione. Questo impianto descrive il mondo, è in grado di leggerlo ad una certa grana. Non lo interpreta lo offre all’interpretazione, non lo pre-giudica lo offre al giudizio, è solo utile. Non esiste in natura nulla che sia un Uno completamente irrelato, non esiste nulla che sia assoluto. Assoluto viene da -ab solutus-, sciolto da legami. Nulla è sciolto da legami nel grande intreccio del mondo, incluso tu ed io. Tutto è fatto di cose che hanno legami tra loro.

Tale descrizione vale per qualsiasi macchina creata dall’uomo, per l’uomo stesso, per l’intero cosmo, per l’universo delle idee, dei concetti, dei discorsi e delle teorie. Certo, il sistema meccanico ha sua logica, quello biologico anche, quello mentale figurati, quello sociale di più, quello economico-politico anche, quello fisico dipende dai componenti, quello metafisico anche. Ma c’è uno strato del reale studiato da una disciplina negletta, la chimica, che è proprio lì dove si cucinano i totali maggiori della somma delle loro parti. Dalla chimica poi diparte tutto il mondo organico ed inorganico, financo il mentale quando nell’organico s’accende il sistema nervoso. Lo sguardo chimico indaga nella sezione del reale tra il fisico e il biologico, il minerale, l’aeriforme, il liquido.

Il bello epistemico della chimica è che propriamente non ha “leggi” come la fisica (a parte le leggi ponderali che gli sono base per gli aspetti quantitativi delle masse), ha regole, leggi di valenza parziale e fino a caso contrario (che spesso abbondano). Questo perché la chimica risente sempre del contesto in cui opera, non è tutta in sé per sé. Spesso, il nostro pensiero teorico è fortemente influito dal meccanicismo newtoniano poi positivista, tutta roba del XIX secolo, roba che non va più bene, quantomeno nella sua presunzione paradigmatica. Come si possano dire “leggi” in economia o storia o filosofia o psicologia o sociologia è sintomo di quanto male pensiamo. Leggi ci sono in fisica e giurisprudenza, punto. In pieno delirio di potenza potete aggiungere che la vostra individuata legge, ad esempio in economia o politica, è di ferro, di bronzo, d’acciaio, ma state solo facendo dell’immaginaria metallurgia della certezza dato che inconsciamente sapete che non potete star altro che in uno stato reale di incertezza.

La chimica è la scienza dei legami, roba da orticaria per un liberale. Poiché invece tutto il reale è fatto di legami tra cose, varrebbe la pena di studiarli un po’ di più. A me ha sempre fatto impazzire la “regola dell’ottetto”. Pare che gli atomi tendano a formare molecole che poi sono stabili se hanno otto, non meno e non più, elettroni nell’ultima orbita esterna (i chimico-fisici perdoneranno da qui in poi le semplificazioni, spero). H2O è un caso tipico. C’è quindi una logica di equilibrio interno nelle unioni. Ci sono poi le “affinità elettive” avrebbe detto Goethe, le tendenze a maggiori o minori interrelazioni che formano legami. Poi ci sono i catalitici, oggetti che fanno da base per appiccicare atomi o molecole tra loro, partecipano prestandosi come base, poi se tornano a fare gli affari propri. Solone fece una cosa del genere creando i presupposti della successiva stagione democratica ateniese. Chissà perché lo fanno. Non sono i federatori, soggetti guida dei processi di formazione sistemica, poi leader in genere, non hanno interesse al potere se non quello di aiutare a creare maggiori da minori ordinati sebbene dinamici. Vi sono poi processi auto-catalitici, forme di ordine spontaneo di incredibile precisione, dinamica e splendore, vedi acustica e termodinamica. Gli oggetti molecolari poi gradano tra meno di 0, tra 0 e x, oltre x passando dal cristallo al fluido all’aeriforme, sempre con loro logiche di legame. La mano invisibile è un concetto di questa famiglia, un po’ semplificato e idealizzato nella scarsa paginetta della Inquiry smithiana; tuttavia, vi appartiene e tenuto conto dei tempi, alla faccia dell’intuizione, Smith in fondo era solo un professore di filosofia morale scozzese, era la seconda metà del XVIII secolo. Certo era scozzese e non inglese, gli inglesi erano molto più rozzi ed essendo rozzi ne hanno reso rozza l’applicazione. La democrazia in senso radicale è la versione politica della mano invisibile, stessa logica ma con contenuto del tutto diverso. Si chiama “autorganizzazione in stati lontani dall’equilibrio” quelli della vita e porta con se il problema degli adattamenti reciproci. Ne vene spesso fuori ordine dal disordine, mica male, tipo da nubi di supernove il nostro sistema solare, casa. Va poi però anche ricordato che a livello precedente, quello fisico, nel macro, agisce anche la gravità, condizione che spinge le cose tra loro ed aiuta la formazione del concreto e l’ordine della sua dinamica. E c’è anche la termodinamica da considerare. Tuttavia, ammassi galattici che hanno la stessa forma del mio e vostro cervello, invero non sono così precisamente cablati, tuttavia lo sembrano funzionalmente.

Tutto l’argomento, in termini di genealogia dei concetti, sta (vagamente) per certi versi in Aristotele, ma soprattutto non sta nella maniera più assoluta in Platone. Quella mano posta a metà tra cielo e terra quando Aristotele passeggia chiacchierando con Platone con l’indice puntato in cielo (come fanno quelli dell’ISIS per dire che c’è un “solo” Dio, nella famosa Scuola di Atene di Raffaello, indica il regno di mezzo dove le cose si formano per interrelazione, impasto, amalgama. L’ontologia ne risente. In questa impostazione si danno i “possibili” ontologicamente reali (res potentia) e la “realtà” con gli ontologicamente reali (res extensa), Il mondo dei possibili è il mondo che poi alimenta il cambiamento, ma debbono esser possibili almeno “in potenza” per poi diventare “in atto”. A questo stato ci riferiamo quando diciamo di dover essere realistici. Non appiattiti sul reale, ma condizionati dalle più strette condizioni di ciò che può esserlo anche se ora non lo è ancora. Da cui anche l’utilizzo processuale del tempo. Le cose hanno e cambiano nel tempo.

Naturalmente, la trappola della falsa analogia è sempre in agguato. Mondo delle idee, dei discorsi pubblici, della chimica soprattutto biologica, della fisica, sono regni eterogenei o hanno similarità che possono trasferire inferenze? È da vedere caso per caso.

Siamo in epoca liquida si dice, siamo privi di soggetto sociale da autocoscienzare per poi affidarci alla sua leadership di liberazione (ma siamo sicuri di questa idea? Era corretta a livello teorico in generale?), siamo senza partito pur essendo di parte. Non c’è niente da fare? Non possiamo dire e tentare di costruire uno straccio di contro-egemonia oggi ai tempi della dittatura liberal-disperante perché non abbiamo un luogo dove condividere mente ed intenzioni e poi voce ed azione? E poi, quale teoria di mondo potenzialmente collettiva e comune abbiamo a cui riferirci?

I concetti di intelligenza collettiva o quello junghiano addirittura di inconscio collettivo, sono consistenti? O presupporre funzioni individuate come l’intelligenza e l’inconscio mentale nel non individuale è solo analogia vaga? Com’è allora che funziona quando effettivamente si vede un aggregato o un sistema che ha coerenza senza essere Uno? Che legami deboli e tuttavia operativi agiscono?

Si può provare a costruire una area di egemonia relativa nel discorso pubblico senza avere un soggetto fisico ed un sistema ben temperato a guida di leader saggi (i leader saggi penso appartengano al nostro infantile immaginario, nostalgia del genitore, di Dio), per autorganizzazione e convergenza parziale e nebulosa e tuttavia operativa, incidente, risuonante?

Chissà, c’è da studiare penso, al solito…

Io mi occupo da anni, tra le altre cose, delle immagini di mondo. L’immagine di mondo altro non è che l’intera mentalità che io e voi abbiamo in testa, consapevoli o meno. Essa è fatta di contenuti e di metodo, di logica, di categorie, di procedure del pensiero. Spesso ci diciamo i nostri diversi contenuti e non ci capiamo o litighiamo. Per forza, partiamo da forme diverse di comporre il pensiero, dovemmo discutere quelle non i risultati, pensare che partendo dai risultati (idee, opinioni) si possa cambiare il retrostante è senza senso o con possibilità davvero deboli. Bene. Tuttavia, in certi momenti sociostorici, si sono formate immagini di mondo abbastanza omogenee e condivise, Atene, Rinascimento, Zeitgeist, decine di altri casi da Montmartre alla swinging London, passando per la NY anni ’60, il movimento alterglobalista. Entità eterogenee ed autonome che condividono almeno parti o gestalt anche vaghe di immagine di modo (più nel metodo che nei contenuti), sono in grado di dialogare, costruire pensiero collettivo e coordinarsi spontaneamente almeno a certi livelli. Presupposto però, è che i portatori di immagini di mondo dialoghino tra loro, abbiano interrelazione, puntino a formare un quadro di maggiore omogeneità relativa.

Noi non dialoghiamo più tra noi. Ognuno di noi intellettuali critici, parla fuori del noi, si rivolge da solo al mondo, fa Hyde Park corner, ha introiettato l’individualismo esistenziale e mentale. Magari ci leggiamo reciprocamente o leggiamo cose simili, ma se non lo discutiamo in comune, la tela non si tesse, il sistema non si forma, l’immagine rimane caleidoscopica. Sta tutta in un tubo, ma non ha forma sua.

Un tentativo di porsi il problema della per quanto limitata contro-egemonia da poter costruire nel tempo (sono cose che si fanno con questa materia prima: il tempo), forse dovrebbe porsi questo problema. Non avremmo i mezzi ed il soggetto, ma potremmo comunque lavorare a formare una meno eterogenea immagine di mondo di riferimento comune, senza per questo immaginare una truppa ordinata allineata e coperta.

Certo l’impostazione critica di cui qui pur rileviamo problemi, è solo negativa, è condivisione del negativo e il riferimento che critichiamo dà comunque un po’ di ordine. Se dovessimo passare alla fase costruens, la fase positiva, la varietà esploderebbe. Già oggi tra demagoghi populisti, quasi conservatori, destra non conformista, progressisti non traviati, mille sfumature della fu sinistra, ostinati marxisti, vaghe stelle dell’orsa, abbiamo un indice di biodiversità (e confusione) altissimo. Ma tanto abbiamo da occuparci del problema più semplice, per il momento. A coloro che storceranno la bocca per l’estrema eterogeneità dell’elenco pensando subito con ribrezzo il vedersi accumunato a impostazioni del tutto non condivise, segnalo che democrazia radicale prevede la lotta delle idee al suo interno -così come la lotta di classe o addirittura la stasis-, per poi trovare spinta per la lotta esterna che il fine ultimo. Ci sono infatti problemi di egemonia nel sistema per dare poi al sistema la possibilità di lottare contro altri sistemi. L’avversario dominante ha tratti totalitari, si devono opporre masse per quanto poco unificate. Si tratta di idee e discorsi, non ancora di azione politica concreta, di azione culturale. Siamo tutti ateniesi, non siamo spartani, condividiamo la stessa polis, ci piaccia o meno.

Dialogo, logos in comune tra due, discorso non impianto e suoi risultati, semplice discorso, relazione, relazione che forma sistemi tramite legami, anche deboli. Tele, reti, pattern, gestalt, cose di tutti, per tutti e di nessuno, cosa da mettere in mezzo a noi (en mèson), in comune.

Chissà che comunitarismo, bene comune, senso comune, comunismo, sistemi non abbiano questa stessa radice, radice e radicale che si dice: “Essere radicale significa cogliere la cosa alla radice (Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione)”. Radici, rizomi, tuberi, bulbi. Datemi retta, nei vostri modi di pensiero, abbandonate la meccanica ed avventuratevi in biologia, siamo tutti Bios, perché ragioniamo come macchine?

Capitalismo è macchina, democrazia è Bios.

Sul mondo letto con lenti Bios, segnalo un autore della cultura della complessità americano: Stuart Kauffman, del Santa Fé Institute.

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Russia Ucraina, il conflitto 54 puntata Più punti di pressione sul fronte Con Max Bonelli

Si moltiplicano i punti di pressione delle forze russe sul fronte ucraino. Sono il prodromo di una probabile crescente iniziativa a primavera inoltrata. Non sarà decisiva, ma comunque sufficiente a destabilizzare il regime ucraino di Zelensky e costringere la NATO ad iniziative poco compatibili con le esigenze di una campagna elettorale presidenziale negli Stati Uniti. Le fibrillazioni in campo europeo ne sono un indizio evidente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Il futuro dell’SMO: Il Think Tank dell’Esercito russo si è spaccato + gli UGV entrano in gioco, di SIMPLICIUS THE THINKER

Il futuro dell’SMO: Il Think Tank dell’Esercito russo si è spaccato + gli UGV entrano in gioco

Questa è tecnicamente la terza parte della serie a pagamento “Future of the SMO” che ho realizzato, con la prima parte qui e la seconda qui. Tuttavia, non li numererò più in quanto non si tratta di una continuazione, ma piuttosto di articoli indipendenti su nuovi argomenti che opereranno sotto lo stesso nome della serie, in quanto questa sarà la serie designata per gli abbonati a pagamento. Quindi, se non siete ancora abbonati, non temete di entrare ora, perché l’articolo attuale è a sé stante e segue solo vagamente il tema generale della serie, che consiste nell’analizzare l’SMO da un punto di vista tecnologico-militare e nell’estrapolarne le tendenze e gli sviluppi futuri.

Questo articolo è composto da oltre 6700 parole e questa volta ho deciso di lasciare gratuitamente al pubblico le prime 2500, quindi quasi il 40% dell’articolo, in modo da consentire agli abbonati gratuiti di leggere almeno fino alla rivelazione più importante del “guscio di bomba”. Tuttavia, gli abbonati a pagamento vedranno il nuovo rapporto, più in basso, del primo plotone russo di robot terrestri mobili che prende parte a vere e proprie ostilità, inaugurando una nuova devastante era della guerra.


Nella precedente puntata di abbiamo parlato del documento del generale Baluyevsky, teorico militare russo ,Algoritmi di fuoco e acciaio. Questa volta abbiamo un’altra affascinante pubblicazione dalla rivista militare ufficiale russa del MOD, chiamata АРМЕЙСКИЙСБОРНИКo “Army Digest”. Si tratta di valutare lo stato di apertura dell’SMO e come è cambiato, con quali adattamenti il Ministero della Difesa russo ha apportato per colmare le debolezze emerse nel corso del conflitto.

L’aspetto particolarmente illuminante è la franchezza con cui affronta le limitazioni della Russia, in particolare all’inizio dell’SMO, permettendoci di capire meglio lo stato attuale delle cose e come potrebbe evolvere la guerra in futuro.

Link.

È ospitato sul sito ufficiale del mil russo e a quanto pare blocca l’accesso agli indirizzi occidentali, ma è comunque possibile accedervi tramite VPN.

Per motivi di autenticità, si tratta del numero 3 di marzo del 2024, scritto dal colonnello in pensione e veterano delle operazioni militari Oleg Falichev, e si intitola:

Escludere il fattore umano

Inizia raccontando come Putin abbia recentemente fatto una valutazione dell’OMU alla fine del 2023, e abbia francamente affermato alcune aree problematiche chiave in cui le Forze Armate russe hanno bisogno di lavorare; in particolare: ristrutturare seriamente i sistemi di comunicazione, aumentare il raggruppamento satellitare ISR, migliorare il lavoro della difesa aerea, aumentare la produzione e la fornitura di proiettili ad alta precisione come Krasnopol e molti altri, ecc.

“È positivo che, a distanza di due anni, si sia finalmente cominciato a parlare apertamente dei problemi individuati durante l’operazione speciale. Ma cosa aveva in mente esattamente il Comandante Supremo?”.

L’autore descrive innanzitutto ciò che gli Stati Uniti possiedono in termini di sistema di controllo centralizzato su rete del campo di battaglia unificato, che si dà il caso sia a disposizione dell’Ucraina. Voglio incollarlo per intero perché è un’importante base di consolidamento sull’argomento e crea un netto contrasto con il modo in cui descrive poi le capacità russe:

Negli ultimi 30 anni, negli Stati Uniti sono stati creati diversi sistemi di controllo automatizzati (ACS) per le operazioni di combattimento delle forze terrestri. Tutti sono integrati in un unico contorno, che fornisce l’acquisizione in tempo reale dei dati di situazione elaborati necessari per l’impatto del combattimento sul nemico con tutti i mezzi di distruzione, compresi quelli promettenti.

Il sistema di controllo globale degli Stati Uniti nel suo complesso è costituito da:
uncontorno aeronautico, che comprende veicoli di ricognizione senza equipaggio, aerei di ricognizione, compresi gli aerei di controllo del combattimento e di designazione dei bersagli del tipo AWACS;
uncontorno spaziale, costituito da veicoli spaziali di ricognizione optoelettronici, nonché da satelliti di ricognizione radar e radiotecnici e da satelliti del sistema di allarme missilistico;
comunicazioni spaziali globali sicure, che consistono in satelliti di comunicazione e relè, satelliti meteorologici e altri veicoli spaziali .

La costellazione di satelliti per la ricognizione bellica degli Stati Uniti può comprendere fino a 500 veicoli spaziali, di cui fino a 200 possono essere localizzati oggi sul territorio dell’Ucraina. Tutto questo gruppo lavora per le forze armate dell’Ucraina, trasmettendo dati sulle nostre truppe. Permette di ottenere informazioni video e fotografiche ad alta risoluzione, sufficienti a determinare il numero dei nostri aerei nei campi d’aviazione e il movimento di grandi gruppi di truppe. Tutta la situazione monitorata viene riassunta e raccolta nel Centro di elaborazione delle informazioni della NATO, da dove i dati vengono inviati alle Forze armate dell’Ucraina. Questo include l’uso del sistema Starlink, utilizzato per le comunicazioni e il controllo del fuoco nel collegamento “compagnia (batteria) – battaglione (divisione) – reggimento”.

La combinazione dei mezzi di ricognizione e di distruzione del fuoco del nemico in un unico sistema è stata chiamata concetto di guerra network-centrico nella teoria generale della guerra. Si tratta della creazione di un unico spazio informativo per il controllo e la distruzione del fuoco nell’area del teatro operativo.

Una nota a questo proposito:

In primo luogo, ecco un diagramma recente del totale dei satelliti attivi nello spazio rispetto a Starlink, che sta iniziando a occupare da solo tutta l’orbita terrestre:

I satelliti Starlink di SpaceX costituiscono ora quasi il 60% dell’intera costellazione spaziale operativa.

Di questo passo, Starlink diventerà presto la principale forza dominante nello spazio.

Oltre alla valutazione russa di cui sopra, un recente annuncio ha rivelato che Elon Musk ha firmato un contratto segreto con il governo degli Stati Uniti per convertire, come suggerito da un rapporto, circa 500 satelliti Starlink in versioni militari con speciali proprietà crittografiche:

Sfortunatamente per la Russia, questo pone gli Stati Uniti e i loro alleati, come l’Ucraina, diversi anni, e potenzialmente un decennio o due, avanti rispetto alle capacità russe in questo settore. Come indica il colonnello Falichev nella prossima parte, questo è un settore in cui la Russia ha accumulato un grave ritardo dal crollo dell’Unione Sovietica, semplicemente ignorando il problema poiché le sue ramificazioni non sono mai state percepite in modo palpabile dalla vecchia classe dirigente militare.

Ora si stanno affrettando a realizzare un analogo di Starlink, ma una flotta operativa di base non sarà pronta almeno fino al 2027-2030. Per pareggiare le probabilità nel frattempo, la Russia avrebbe contrabbandato una grande quantità di Starlink illegali, che sostiene di utilizzare al fronte nonostante le proteste di Musk, secondo cui il servizio Starlink non opera “sopra la Russia”. Naturalmente, la linea di contatto del campo di battaglia è una “zona grigia” piuttosto vaga e probabilmente consente alle forze russe di ottenere il servizio.

Anche se, come breve inciso, i problemi di comunicazione della Russia non sono mai così gravi come si sostiene. Proprio ieri un esperto ucraino di comunicazioni ha denunciato con rabbia l’uso sempre più diffuso di una nuova “rete ad onde” russa di radio, che ha descritto come segue:

La soluzione di comunicazione a pacchetto di Wave Network si basa sulla tecnologia MESH. Nell’ambito di questa tecnologia, ogni walkie-talkie non è solo un walkie-talkie, ma anche un ripetitore. In altre parole, tutti i segnali si diffondono verso tutte le stazioni vicine più vicine e non ci sono limiti. Questo è molto utile per i militari. Ad esempio, quando un convoglio di attrezzature si estende per 10 chilometri, tutte le radio trasmettono informazioni lungo la catena. Oppure tutti i soldati lungo il fronte comunicano senza ripetitori.

Per non parlare della crittografia AES128.

Ma mentre la Russia si affanna a raggiungere le capacità di comunicazione degli Stati Uniti, questi ultimi tentano di fare un salto ancora più in là nel futuro con l’annuncio del primo supporto tattico “aereo” ravvicinato al mondo, basato nello spazio:

L’articolo sopra citato lo riassume come segue :

“Le capacità spaziali più grandi non possono integrarsi efficacemente con le unità di spedizione, come le SOF (Special Operations Forces)”, ha dichiarato il capitano Noah Siegel, capo plotone del Triad Experimentation Team, 18a Compagnia Spaziale. Ridurre il nostro equipaggiamento e concentrarci sulla mobilità permette ai nostri soldati di fornire supporto spaziale a unità di tutti i tipi al margine tattico o oltre”. Per i combattenti a terra, questo supporto spaziale tattico consente la sincronizzazione e la convergenza di effetti congiunti e multidominio per migliorare la letalità”.

In breve, si tratta della possibilità di disporre di un’unità di collegamento satellitare mobile di minore impatto, in grado di fornire dati network-centrici e segnali alle unità di prima linea al volo, senza le tradizionali preoccupazioni di interruzioni dei collegamenti di comunicazione dovute a disturbi o alla distanza dai quartieri generali delle unità, o di dover allestire ingombranti relè satellitari fissi. In altre parole, un supporto spaziale a tattico livelloPuò sembrare semplice, ma è qualcosa che le nazioni senza una massiccia infrastruttura satellitare farebbero fatica a fare.

Ma quanto sopra è stato solo un test con una piccola unità e non verrà in alcun modo introdotto in massa nell’esercito americano a breve, come ammette lo stesso articolo.

Tornando indietro, il colonnello Falichev chiede: Cosa abbiamo in confronto?

Che cosa abbiamo?

Guardando al futuro, dirò che stiamo combattendo con successo il sistema di intelligence del nemico utilizzando vari strumenti di guerra elettronica. Ma per molto tempo non siamo stati in grado di far notare il nostro efficace sistema di controllo del fuoco, come si suol dire. Basta ricordare l’analogo sistema Constellation creato fin dai tempi dell’URSS, che lasciava molto a desiderare. Solo di recente hanno sviluppato e lanciato una serie di propri sistemi automatizzati di controllo del fuoco di artiglieria, in particolare il “Tablet-A” (sistema Planshet-A). E l’operazione speciale in Ucraina ha accelerato questo processo.

La JSC “Russian Corporation of Rocket and Space Instrumentation and Information Systems” (“Russian Space Systems”) ha sviluppato il primo analogo nazionale del sistema Starlink. A tale scopo è stato lanciato in orbita il satellite di comunicazione Sphere. Il sistema è già in fase di test in ambito militare. Spieghiamo che JSC Russian Space Systems è specializzata nello sviluppo, nella produzione e nel funzionamento di sistemi informativi spaziali, in particolare nello sviluppo e nell’utilizzo mirato del sistema globale di navigazione satellitare GLONASS, del sistema di ricerca e soccorso spaziale, del supporto idrometeorologico e radiotecnico per la ricerca scientifica nello spazio esterno e del telerilevamento della Terra. Oggi, lo sviluppo di queste tecnologie in Russia ha ricevuto la massima attenzione, come richiesto dall’esperienza della formazione economica gratuita.

Inoltre, il Presidente della Federazione Russa ha preso in considerazione il Concetto di sviluppo tecnologico della Russia fino al 2030. Tra le sue sezioni vi sono sistemi e servizi spaziali promettenti.

Il sistema Planshet-A, di cui ho parlato a lungo, è un sistema di gestione del campo di battaglia che la Russia ha lentamente introdotto dall’inizio del conflitto. Un esempio recente di un nuovo sistema analogo russo sul fronte è stato pubblicato questa settimana, anche se credo che si tratti di un sistema ad hoc più fai-da-te. È possibile vedere la geolocalizzazione in tempo reale dei combattimenti tattici in corso, con le informazioni e le coordinate che possono essere trasmesse alle altre unità interessate:

Esclusivo . Finalmente abbiamo l’ultimo programma per il comando e il controllo.

Progettato per l’interazione, il coordinamento e il controllo tra diversi reparti. Un analogo dell’ucraino “Nettle”, la sua versione estesa.

Vorrei richiamare la vostra attenzione: “Ortica” ha fatto parte delle Forze armate ucraine fino all’età di 2022 anni. Cioè, si stavano preparando per un certo tipo di guerra, a differenza nostra. Sapevano che avrebbero attaccato e sapevano con che tipo di armi.

Da una fonte affidabile.

Tra l’altro, è emerso anche un nuovo video di un altro sistema ucraino di questo tipo, che mostra come gli ucraini siano probabilmente ancora un passo avanti nell’implementazione:

Prestate attenzione a come possono inserire simboli tattici su una mappa, che viene distribuita istantaneamente a tutte le unità che utilizzano uno di questi tablet collegati in rete.

Falichev prosegue sottolineando ciò che ho già anticipato in precedenza: perché la Russia ha iniziato ad accumulare ritardi dopo la caduta dell’URSS, comprese le famigerate riforme Serdyukov del 2008, di cui ho scritto molto in precedenza:

LEZIONI E CONCLUSIONI

Naturalmente sorge spontanea la domanda: perché è successo? Dopo il crollo dell’URSS, abbiamo prestato pochissima attenzione a questo segmento della nostra difesa, così come allo sviluppo delle Forze Armate della Federazione Russa nel loro complesso. Ricordiamo che nel 2010 le Forze Armate hanno subito importanti cambiamenti strutturali. Le divisioni motorizzate di fucili e carri armati sono state trasformate in brigate. Secondo il colonnello generale, dottore in scienze militari e membro corrispondente dell’Accademia russa delle scienze missilistiche e dell’artiglieria Vladimir Zaritsky, l’esercito e le serie di truppe missilistiche e di artiglieria in prima linea sono state abolite. Così, abbiamo perso circa la metà della potenza di fuoco delle unità e delle formazioni di artiglieria e quasi la metà della potenza di fuoco delle forze di terra.

Ma secondo lui l’arrivo di Gerasimov e Shoigu ha inaugurato il ripristino di tutto il potere precedentemente perso:

Ma con l’arrivo della nuova leadership del Ministero della Difesa, il Ministro della Difesa Sergei Shoigu, il Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov, il ripristino del sistema che era praticamente perduto, in particolare la struttura divisionale, e nelle Forze Missilistiche e l’artiglieria delle Forze di Terra – il ripristino del potere di combattimento.

Egli afferma che, in particolare, è stata prestata particolare attenzione a tali sistemi di intelligence elettronica, che hanno favorito lo sviluppo di nuovi sistemi di ricognizione sul campo di battaglia e di contro-batteria, come l'”Arkus” e la “Penicillina”.

Ma è qui che fa la più grande notizia bomba del rapporto, che è davvero un’esclusiva mondiale nel divulgare queste informazioni per la prima volta in assoluto:

Con l’inizio dell’SVO, avevamo solo una decina di complessi Zoo-1M nell’esercito. Questo ha fatto sì che all’inizio perdessimo il confronto nella lotta di controbatteria. Anche la mancanza di specialisti necessari ha influito sulla situazione.

Per molto tempo abbiamo sentito lamentarsi dal fronte che la Russia aveva bisogno di una maggiore capacità di controbatteria. Ci sono state speculazioni di ogni tipo sui numeri, ma nessuno conosceva le quantità precise. Qui, per la prima volta, rivela che l’intero esercito russo disponeva di appena 10 unità di controbatteria Zoopark all’inizio della SMO.

Certo, all’inizio i contrattacchi d’artiglieria non avevano ancora acquisito l’importanza che hanno oggi, dato che il conflitto aveva un carattere più da spedizione mobile che da guerra d’artiglieria classica e statica come quella di oggi. La Russia iniziò subito ad aumentare la produzione di tutto, ma è ancora estremamente significativo quanto poco avessero le unità di controbatteria all’inizio.

Si tenga presente che esistono altri tipi di controbatteria, quindi Zoopark non è l’unico su cui si fa affidamento. Non c’erano solo le citate Penicilline – anche se potenzialmente anche meno di questi sistemi di prestigio – ma anche cose come lo Yastreb-AV, lo Snar-10 e molte altre unità tattiche portatili più piccole come l’Aistyonok, il Sobolyatnik e persino il Fara-PV. Quindi, anche se la situazione non era così terribile come sembra, era ben lontana dall’essere ideale.

Ora, però, le cose sono cambiate. Proprio il mese scorso Shoigu ha visitato le imprese NPO Splav e NPO Strela, dove gli è stata mostrata una linea di produzione completa degli ultimi Zoopark-1M in costruzione:

Si può notare che l’officina potrebbe avere fino a una dozzina di sistemi in costruzione simultanea. Quindi, anche se non conosciamo il numero esatto di produzione, ecco cosa ha dichiarato NPO Strela:

NPO Strela sostiene di aver completato gli obblighi di consegna dei sistemi radar di controbatteria Yastreb-AV, Zoopark-1M (nella foto) e Aistyonok per il 2023 e di voler aumentare la produzione di due volte nel 2024 e di quattro volte nel 2025 grazie a nuove attrezzature e al passaggio a un programma di 12 ore di lavoro su turni e 6 giorni alla settimana.

Quindi, gli Zooparchi hanno già aumentato la produzione, ma aumenteranno di 2 volte nel 2024 e di 4 volte nel 2025. Nel frattempo, anche la lista di Oryx elenca solo 16 Zoopark totali “provati” e distrutti. Ciò significa che se la Russia ne sta costruendo anche solo 50-100 all’anno – cosa possibile, vista la quasi dozzina di esemplari costruiti contemporaneamente in officina – compensa ampiamente le perdite.

Tornando, Falichev prosegue:

Un altro problema è che non tutto il territorio ucraino è stato sorvegliato dalla nostra costellazione satellitare, mentre il nemico (gli Stati Uniti) ha appeso sopra l’Ucraina, ripetiamo, circa 200 veicoli spaziali che vedono tutto, e con una buona risoluzione (a volte si è scoperto che loro vedono noi, ma noi no). Ma qui si sono comportati bene i nostri velivoli senza pilota, che hanno colmato queste lacune, in particolare veicoli come Forpost, Orlan, Orlan-10, Aileron e altri. Grazie a loro, siamo stati in grado di risolvere i compiti di identificazione delle coordinate degli obiettivi nemici più importanti, delle loro attrezzature e armi e di infliggere loro danni da fuoco.

Pur sottolineando ancora una volta la disparità nella sorveglianza satellitare con l’Occidente combinato, l’autore tempera il tutto con il riconoscimento che la Russia detiene il vantaggio della sorveglianza UAV, che ha permesso di mantenere una certa forma di parità.

L’ho detto fin dall’inizio, ma l’Ucraina e la Russia hanno avuto entrambe vantaggi asimmetrici l’una sull’altra, grazie a filosofie di sistema e capacità totalmente diverse.

Falichev cita poi l’artiglieria, ma non c’è nulla di particolarmente nuovo qui, quindi la salterò – anche se vale la pena di menzionarla:

Manergame = Linea Mannerheim.

Torna sulla situazione delle tavolette, descrivendo più dettagliatamente il Planshet-A russo:

Il software consente di risolvere l’intera gamma di compiti applicati all’artiglieria nel minor tempo possibile, riduce significativamente il tempo di calcolo delle installazioni per i comandanti dei cannoni da tiro (mortai) e aumenta la precisione del loro calcolo. Il “Tablet-A” è interfacciato con diversi strumenti di intelligence, tra cui telemetri laser, strumenti per tutto il giorno, set meteorologici automatizzati e una stazione balistica, e riceve informazioni in modo automatico. Le coordinate degli oggetti esplorati, i risultati dell’addestramento meteorologico e balistico del tiro vengono trasmessi automaticamente al computer.

Inoltre, è multifunzionale: può controllare il tiro di quasi tutti i sistemi di artiglieria in servizio e l’intera gamma di munizioni.

Un’altra utile capacità del “Tablet” è che il sistema non solo opera con mappe elettroniche ottenute da satelliti di vari sistemi, mapuò anche caricare e utilizzare foto scattate da aerei da ricognizione senza pilota o da aerei da ricognizione. Il caricamento dei dati cartografici consente di aggiornare il più possibile le informazioni elaborate nel minor tempo possibile.

La versione di fascia più alta, chiamata Planshet-M-IR, destinata ai comandanti, può fare molto di più, compresa la sovrapposizione di feed UAV di ricognizione in diretta su una mappa per una distribuzione precisa degli obiettivi.

L’unica domanda è quanto siano diffusi questi tablet nelle forze armate: ancora non lo sappiamo. Nell’ultimo anno ho riportato un video occasionale di comandanti di artiglieria che li utilizzano, ma non ci sono ancora indicazioni concrete sulla loro ubiquità.

L’unica prova che abbiamo è indiretta: negli ultimi mesi c’è stata una serie di attacchi russi in profondità che hanno messo fuori uso sistemi occidentali di prestigio come gli HIMAR, i Patriot, ecc. Molti ritengono, a ragione, che questa improvvisa impennata sia il risultato di una sorta di svolta nel complesso d’attacco di ricognizione russo. Un tale aumento può essere solo il risultato del raggiungimento di una massa critica di attrezzature adeguate, che ha permesso alla Russia di stabilire un nuovo livello di capacità operativa. Potrebbe avere a che fare con l’aumento dell’intelligenza artificiale e dei sistemi di identificazione automatica, che consentono ai droni di effettuare scansioni autonome per identificare i sistemi nemici, riducendo notevolmente il carico di lavoro degli operatori umani, che sono troppo sollecitati.

Come funziona? Proprio ieri un gruppo russo chiamato Ploshad Systema (Area Systems) che si occupa di questo problema ha pubblicato una serie di video che mostrano i loro test di identificazione delle unità sul campo di battaglia con la visione artificiale. Come si vede qui sotto, hanno messo a punto il sistema per identificare e seguire automaticamente non solo diversi tipi di sistemi corazzati, ma anche la fanteria:

In particolare, guardate anche il secondo video a 1:55 sopra. Mostra il loro drone FPV a guida automatica che, in modalità completamente automatizzata, è in grado di agganciare e colpire il veicolo di mobilità della fanteria, senza operatore umano.

Ecco il loro resoconto:

🇷🇺🛸 Gli UAV da ricognizione (video 1) e da attacco (video 2) che utilizzano l’intelligenza artificiale sono in fase di sperimentazione da parte delle forze russe, secondo quanto riferito anche nell’ambito dell’Operazione militare speciale.

Recentemente, gli sviluppatori russi hanno presentato il sistema di droni intelligenti “Ploshchad”, in grado di mirare autonomamente.

Nel secondo video, l’operatore indica l’obiettivo al drone, poi l’UAV vola automaticamente verso il bersaglio, senza essere influenzato da misure EW e altre interferenze radio, e lo colpisce. La scritta “AUTO” e il reticolo rosso indicano il funzionamento dell’intelligenza artificiale nel puntamento.

Amici! È passato molto tempo da quando abbiamo parlato degli aggiornamenti dei nostri sistemi di visione artificiale. Al momento, è già pronto un complesso di bordo per gli UAV da ricognizione, che consente di rilevare i bersagli con elevata precisione e di determinarne le coordinate – valutate voi stessi la qualità del riconoscimento.

Inoltre, molti di voi hanno utilizzato la nostra applicazione per analizzare i video catturati. Abbiamo preso in considerazione il vostro feedback sulla velocità del servizio, quindi abbiamo preso la decisione voluta (e forse radicale) di trasferire tutte le operazioni di calcolo sul server. Ci rendiamo conto che questo richiede Internet, ma ora la sede centrale ce l’ha.

Se producete UAV da ricognizione, saremo lieti di collaborare: insieme creeremo le soluzioni più efficaci!

I sistemi senza pilota si evolvono con la maturazione degli UGV

Non sorprende che anche l’Ucraina stia lanciando unità di prova di questi FPV, che sta già utilizzando in combattimento attivo contro le forze russe. Ecco un video mostrato la scorsa settimana, che mostra un FPV che aggancia autonomamente un veicolo russo nonostante un pesante disturbo EW che oscura completamente il canale video dell’FPV:

A circa 0:10 si può vedere che il reticolo si “aggancia” al veicolo, proprio prima che il segnale video ceda. In seguito, si può vedere che l’FPV colpisce ancora con precisione il bersaglio, dimostrando che il disturbo radio è sempre più vicino a diventare obsoleto.

Ora immaginate il prossimo passo dello sviluppo. Da notizie recenti:

In poche ore, uno scienziato ha creato un drone killer dotato di intelligenza artificiale in grado di “dare la caccia” a persone specifiche.

Louis Venus ha introdotto due modelli nell’elicottero: uno riconosce il volto della “vittima” e l’altro ordina al drone di seguire l’oggetto. Secondo lo stesso Venus, questi droni con esplosivi possono diventare armi pericolose nelle mani degli aggressori, poiché la persona media non ha quasi modo di contrastare i droni.

Per quanto raccapricciante, il campo di battaglia potrebbe iniziare a somigliare a questo nel prossimo futuro. Ecco un video di circa un mese fa di uno sfortunato soldato russo perseguitato da un drone: anche se non si tratta di un drone automatico, ci dà un’idea dell’orrore che presto ci aspetta:

Ne approfitto per passare alle seguenti dichiarazioni del massimo esperto di radioelettronica dell’AFU, Serhiy Flash.

In primo luogo, in un video che ho postato di recente – anche se questa è una versione estesa – afferma che la Russia ha iniziato con una quantità di FPV che le consentiva di colpire solo alcuni sistemi importanti come carri armati, stazioni EW, radar, ecc. Poi hanno iniziato a produrne così tanti che sono passati alla fase attuale in cui ne hanno abbastanza per colpire trincee, trincee, ecc.

Ma la svolta decisiva avverrà tra 4-5 mesi, dice. A quel punto la Russia produrrà abbastanza FPV per colpire ogni singolo soldato dell’intera AFU, e la probabilità che ogni soldato muoia sarà del 99%:

Ma la profezia più spaventosa è arrivata sul suo canale di scrittura, quando ha scritto che tra 6 mesi e un anno le battaglie di fanteria in superficie cesseranno di esistere, e tutti saranno scavati nel sottosuolo con robot UGV (Unmanned Ground Vehicle) che combatteranno principalmente in superficie – una visione alquanto inquietante che ricorda le immagini delle scene di guerra future di Terminator 2:

Anche se alcuni possono considerarlo improbabile, negli ultimi mesi c’è stata una notevole impennata nell’uso degli UGV da entrambe le parti. In effetti, ho raccolto video solo nelle ultime settimane, quindi ecco alcune esclusive che non vedrete altrove.

Qui un robot di terra kamikaze ucraino si dirige verso una trincea russa, per esplodere al suo interno:

Un analogo robot suicida ucraino viene distrutto da un drone bombardiere russo:

Ecco una compilation di alcuni recenti, da entrambe le parti. Mostra sia UGV per la posa di mine, sia UGV ausiliari per l’evacuazione e altro ancora:

E un posamine aggiuntivo con un sistema di straordinaria semplicità:

Recente UGV russo che ispeziona un corpo morto (sfocato) sul campo di battaglia:

Un altro sistema visto casualmente:

Un altro nuovo video di un bot di evacuazione russo:

E incredibilmente, proprio nel momento in cui scriviamo, sono emerse nuove immagini di un’intera sottounità robotica russa che assalta le posizioni AFU a Berdychi, a ovest di Avdeevka, con un UGV AGS-17 “Flame” che lancia granate automatiche a guidare l’assalto:

I curatori hanno scritto quanto segue:

Per quanto riguarda il filmato pubblicato del primo utilizzo di droni d’assalto durante l’assalto a Berdychi, nel prossimo futuro saranno pubblicati materiali più dettagliati sul primo attacco completo con droni di terra.

I droni mostrati nel video si sono mostrati molto bene, aiutando a superare le difese nemiche nel villaggio.

I video applicativi degli sviluppatori e dei produttori saranno disponibili domani.

Questa è senza dubbio la prima volta in guerra che assistiamo a un intero plotone robotico meccanizzato che esegue un assalto dal vivo, al contrario delle prove o delle azioni di addestramento nelle retrovie.

Cosa c’è dopo

È ormai chiaro che la premonizione di Serhiy Flash si sta già avverando. Sembra che ci troviamo nelle stesse fasi iniziali di maturazione degli UGV che abbiamo visto per gli FPV all’inizio del conflitto. Se il conflitto dovesse durare altri due anni, potremmo benissimo vedere l’uso degli UGV diffuso quanto quello degli FPV oggi. A quel punto gli FPV saranno probabilmente per lo più automatizzati e esponenzialmente più letali.

Allo stesso modo, il prossimo passo dell’evoluzione che prevedo – che ancora non esiste – è la graduale interazione e coordinazione tra robot aerei e terrestri. Probabilmente questo inizierà con gli UAV che si limitano a fornire ripetitori di segnale – cosa già comune – per estendere il raggio d’azione oltre gli ostacoli. Ma l’utilizzo più complesso riguarderà i droni da ricognizione aerea che trasmetteranno i dati di puntamento e posizione agli UGV di terra, che potrebbero poi puntare autonomamente alle posizioni designate dall’UAV.

Naturalmente, la strada è ancora lunga, perché per ora gli UGV rimarranno probabilmente controllati in modalità wireless dagli esseri umani, piuttosto che autonomi dall’intelligenza artificiale. Tuttavia, alla fine si arriverà a operatori umani dietro l’UAV che sceglieranno i bersagli per il sistema di terra autonomo per sparare da posizioni potenzialmente chiuse, fino alla frontiera finale degli UAV autonomi che troveranno i propri bersagli attraverso la visione artificiale e li trasmetteranno agli UGV autonomi che li potranno ingaggiare da soli.

Tra l’altro, questa notizia è arrivata proprio ieri sui canali ucraini:

L’esperto ucraino che l’ha pubblicata ha osservato:

Il cuore dei sistemi di visione artificiale e di acquisizione dei target è un computer di potenza sufficiente. 

Deve essere piccolo, economico e produttivo. 

Il nemico sta lavorando su questo.

Ha ragione nel dire che, in particolare per i piccoli droni di tipo FPV, i chip devono essere minuscoli e avanzati per consentire un elevato carico di CPU per elaborare tutti i calcoli dell’intelligenza artificiale con un consumo energetico ridotto. La principale debolezza della Russia è stata ovviamente la tecnologia dei chip e dei semiconduttori, quindi questa è stata una delle principali aree di preoccupazione in cui l’Occidente potrebbe fare un passo avanti. Per il momento, però, la Russia sembra in grado di procurarsi i chip e i componenti necessari da altri Paesi e di utilizzare i propri in alcuni punti.

Lo stesso vale per i sensori elettro-ottici, altra area di debolezza russa. Affinché le CPU dell’IA funzionino in modo ottimale, i dati di input iniziali devono essere della massima qualità possibile, in termini di risoluzione, chiarezza, fedeltà, ecc. Un’ottica più debole significa che l’IA ha meno possibilità di lavorare per separare il bersaglio dallo sfondo “sfocato” o pixelato, ecc. Quanto più chiara è la catena elettro-ottica, tanto più raffinata può essere la capacità autonoma, quindi questa è un’altra area di grande preoccupazione per la Russia.

Tuttavia, come per ogni cosa, la Russia potrebbe finire per compensare in modo asimmetrico. I sistemi occidentali potrebbero risultare leggermente più precisi, ma probabilmente saranno sovraingegnerizzati e/o molto più costosi, e quindi prodotti in numero inferiore.

Un esempio: anche l’esercito statunitense sta lavorando su UGV con navigazione autonoma a guida automatica come l’Autopilot di Tesla (si vede alla fine, intorno al minuto 6:55). Ma come per ogni cosa, sembrano scalare cose grandi, ingombranti e costose, rispetto all’attuale concentrazione della Russia su piccoli ed economici robot da campo che possono essere prodotti in grandi quantità:

Anche la Germania sta cucinando:

L’Occidente punta tutto sugli sciami di droni per l’Ucraina

Recentemente è stato annunciato che gli “alleati” intendono raddoppiare la produzione di AI e di droni per l’Ucraina, alla luce della loro incapacità di tenere il passo con la Russia nella produzione di artiglieria e armi convenzionali:

Bloomberg scrive che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno lavorando alla creazione di uno sciame di droni che attaccheranno la Russia. Secondo gli esperti occidentali e gli sviluppatori di droni, questo permetterà alle Forze armate ucraine di compensare la mancanza di proiettili e dare un vantaggio sul campo di battaglia.

I droni sono anche l’unico settore in cui le capacità produttive dell’Ucraina non sono così vulnerabili agli attacchi russi alle infrastrutture energetiche, come quelli delle ultime settimane. Questo perché le officine dei droni operano su piccola scala, con generatori di riserva in grado di sostenerle, non avendo le enormi impronte energetiche di arsenali e imprese su larga scala.

Il problema è che le interferenze russe stanno rapidamente recuperando terreno. Un nuovo rapporto del NYTimes esprime la frustrazione degli equipaggi ucraini che si trovano in un crescente blocco del segnale sui rispettivi fronti:

Leggete qui sotto:

Ciò che colpisce di più di questo rapporto non è l’ammissione del solito quantitativo vantaggio che la Russia ha sull’Ucraina nel reparto di disturbo EW, ma anche quello qualitativo: afferma francamente che le unità russe non solo hanno una maggiore capacità di disturbo – un punto ovvio – ma mostrano un migliore coordinamento tra le loro unità EW e quelle regolari.

L’articolo prosegue affermando che la pressione sulla “capacità non presidiata” dell’Ucraina è cresciuta in modo sproporzionato, man mano che si esaurivano gli armamenti. L’articolo sottolinea tuttavia con acume il vantaggio sempreverde dell’artiglieria:

La forza dell’artiglieria deriva spesso dalla sua imprecisione. Ricoprendo ampie aree con alti esplosivi e frammentazione, può rapidamente interrompere le operazioni sul campo di battaglia, mutilando le truppe e distruggendo i veicoli. È una tattica quasi impossibile da replicare con uno o due droni.

L’ubiquità dei disturbatori russi di tipo “trench dome” è dimostrata qui:

Molte persone si confondono: vedono video di soldati russi colpiti dai droni, ma questi provengono principalmente dalle avanzate – dove le truppe d’assalto russe sono costrette ad andare temporaneamente oltre la copertura EW per sfondare, sfidando rischiosamente zone grigie con scarsa copertura EW.

Ma quando si tratta di aree di guerra posizionale statica, dove le truppe russe sono asserragliate in trincee ben attrezzate, queste posizioni sono spesso adeguatamente protette da un assortimento di unità “trench dome” che le rendono quasi impermeabili agli FPV ucraini.

Ecco l’ammissione chiave:

L’approccio della Russia è stato molto più verticistico, con una pesante supervisione militare. Questo ha reso la flotta di droni del Paese più prevedibile, con meno variazioni nelle tattiche e nei tipi. Ma ha anche permesso ai militari russi di bloccare i droni ucraini sul campo di battaglia senza dover bloccare i propri, coordinando le traiettorie di volo e i disturbatori.

“Non c’è nulla di simile da parte ucraina”, ha detto un operatore di droni che vola per l’Ucraina.

L’aspetto affascinante della guerra dei droni è che ha generato una sorta di cultura industriale di piccoli gruppi specializzati e affiatati che hanno i loro marchi e biglietti da visita. Di fatto, hanno sviluppato le loro piccole sottoculture e i loro “seguaci”, simili alle sottoculture degli “ultras” del calcio.

Un esempio di ciò è stato quando il primo carro armato Abrams è stato recentemente distrutto, tre delle migliori unità di droni russi nella regione si sono quasi scontrate su quale drone avesse battuto il carro armato americano: le squadre Ghoul, VT-40 o Gorb; alla fine è stato Ghoul.

E il già citato esperto ucraino di radioelettronica che studia, si specializza e monitora l’EW russa sul fronte dice che può persino identificare ogni specifica squadra solo dalla sua firma di segnali, che scansiona e rileva 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ogni squadra costruisce e modifica la propria marca di droni, alcuni utilizzando diverse tecniche di stampa 3D, altri utilizzando bande di frequenza radio uniche, ecc. Dice che le “normali” unità di droni russi operano tutte sulla banda di fabbrica e sono facilmente distinguibili dalle squadre speciali d’élite che designano le proprie frequenze proprietarie, rendendo i loro droni molto più difficili da disturbare.

Tuttavia, nonostante le loro limitazioni, l’Ucraina continua a spingersi oltre i limiti dello sviluppo dell’FPV, in genere aprendo per prima un nuovo terreno. Qui di seguito è riportato un esempio di un nuovo progetto di “nave madre” ucraina che lascia cadere un drone secondario per aumentare il raggio d’azione:

Adattamento russo

Per tornare indietro, l’articolo del think tank russo Falichev si conclude con la seguente importante nota:

Un’ultima cosa. Con l’inizio della SVO, la vita scientifica e industriale delle imprese dell’industria della difesa non solo si è ravvivata, ma ha acquisito un impulso particolare. Tutti sono passati alla modalità operativa “24/7”. Hanno capito che la vittoria al fronte dipende dal loro contributo diretto a questo processo.

Per quanto riguarda il Ministero della Difesa della Federazione Russa, sono state firmate molte decisioni congiunte con il Ministero dell’Industria e del Commercio, che oggi permettono alle imprese di rispondere in modo rapido e flessibile alle raccomandazioni del Ministero della Difesa della Federazione Russa, di modernizzare intere linee di prodotti che prima sarebbe stato estremamente difficile migliorare. Alcune procedure burocratiche sono passate in secondo piano. E l’esperienza di un’operazione militare speciale ha giocato un ruolo positivo. Ma questo richiede analisi e generalizzazione, come ha chiesto il Presidente russo Vladimir Putin nel suo discorso alla riunione congiunta del Consiglio del Ministero della Difesa della Federazione Russa.

Può sembrare il solito linguaggio da boiler che parla di migliorare le cose solo per concludere un articolo con una nota positiva. Ma recenti rapporti hanno dimostrato che quanto detto sopra è dimostrabile. Descriverò brevemente alcuni esempi chiave di recenti miglioramenti al volo apportati dal Ministero della Difesa russo a sistemi d’arma critici, sulla base delle osservazioni e degli insegnamenti tratti dalle ostilità in corso.

In primo luogo, le bombe a vela russe erano dotate di 4 antenne satellitari Kometa-M per i segnali GPS/Glonass. Una foto di una recuperata, come illustrazione:

Ma ora, l’Ucraina ha scoperto che le bombe a razzo russe sono dotate di una quantità doppia, 8 x Kometas (Comete), che le rende estremamente resistenti all’inceppamento, aumentando notevolmente la loro precisione:

Un volontario ucraino sostiene che negli UMPC russi sopravvissuti sono stati trovati ricevitori anti-jamming aggiornati per i segnali satellitari Kometa.

Secondo il nemico, il nuovo tipo di “Komet” è dotato di un nuovo sistema di antenna a 8 fasci, in grado di neutralizzare simultaneamente sette fonti di interferenza.

🔸 Ricordiamo che i “Comet” sono installati non solo sulle bombe aeree con UMPC, ma anche su vari droni, tra cui il “Geran-2”.

🔸 Se i ricevitori aggiornati appariranno sui droni, ciò aumenterà significativamente anche la loro protezione dai sistemi di guerra elettronica ucraini.

Ciò ha avuto un ruolo significativo nella recente devastazione dell’Ucraina causata dalle bombe a effetto planare. Vedete, l’inceppamento non è un’impresa che si può fare tutta o niente. Quando munizioni di questo tipo volano in un ambiente contestato dall’EW, potrebbero semplicemente degradare il loro segnale, rendendo la loro precisione non terribile, ma mediocre. Forse 50 metri di CEP invece di 10-20 metri, ecc.

Ma con il doppio delle antenne, si ottiene una fedeltà del segnale di gran lunga migliore, che li rende più immuni alle perdite e in grado di colpire costantemente con la massima precisione.

Lo stesso vale per gli Iskander. Se ricordate, ho scritto molte volte di come i missili balistici Iskander-M abbiano una porta di espulsione avanzata nella parte posteriore, che spara contromisure elettroniche nella fase terminale del volo per disturbare la difesa aerea:

In alto si notano le porte rotonde sul retro, vicino al motore a razzo, da cui escono le boe EW simili a dardi.

Ma, dimostrando la flessibile capacità di adattamento della Russia, ha scoperto che, con l’esaurirsi della difesa aerea ucraina, gli Iskander non hanno più bisogno delle esche, in quanto sono in grado di aggirare la rete AD deteriorata senza di esse. E allora cosa ha fatto la Russia? Ha sostituito le porte di espulsione posteriori con altri terminali satellitari Kometa-M, che gli ucraini hanno scoperto a malincuore tra i rottami degli Iskander dopo gli attacchi riusciti:

Notate le stesse porte posteriori rotonde, ma al posto delle sonde di contromisura ci sono ora le riconoscibili antenne Kometa. Poiché l’Iskander punta verso il basso quando colpisce, questi ricetrasmettitori puntano direttamente verso il cielo per massimizzare il segnale satellitare. Sebbene la Russia sapesse che l’AD rappresentava una minaccia decrescente, l’EW dell’Ucraina poteva ancora potenzialmente alterare la precisione dei missili disturbando il suo segnale. Così ora la Russia ha rafforzato la sua forza di segnale, apportando modifiche significative ai principali processi di produzione al volo nel bel mezzo di una guerra.

Dal momento che i segnali GPS sono tra i più facili da falsificare e disturbare, e l’Iskander si basa su Glonass/GPS – sebbene abbia anche altre ridondanze di correzione della navigazione – questo potrebbe essere responsabile della recente ondata di colpi precisi dell’Iskander su tutto il fronte, che ha spazzato via concentrazioni di truppe ucraine, sistemi di prestigio come gli HIMAR, ecc.

Questo tipo di rinforzo del segnale è stato applicato a diversi sistemi missilistici russi, in particolare perché quasi tutti i missili russi di punta – Kh-101, Kalibr, Iskander, droni Geran-2 e altri – condividono una qualche iterazione delle antenne satellitari Kometa prodotte da Almaz Antey, il che conferisce alla produzione russa una grande efficienza e interoperabilità per diversi sistemi d’arma. In altre parole, un componente critico serve tutti i principali sistemi d’arma.

Ciò è stato evidenziato meglio che nel video di oggi dove, dopo una serie di attacchi mirati alle centrali termiche ucraine la scorsa settimana, il direttore statale dell’energia ha rivelato apertamente che i missili russi hanno migliorato enormemente la loro precisione dall’anno scorso, per quello che sembra essere un motivo misterioso:

Il direttore esecutivo di DTEK dell’operatore energetico, Dmitry Sakharuk:

“Se parliamo del 22 marzo, purtroppo i due impianti più grandi hanno ricevuto i danni maggiori di tutta la guerra (in DTEK i due impianti più potenti sono Burshtynska TPP e Ladyzhynska TPP). 8 missili sono arrivati a ciascuna stazione. Inoltre, a differenza dei periodi precedenti, lo scorso inverno la precisione dei missili è sorprendente. Precisione a un metro. Se prima erano 100 metri, 200, 300, ora arrivano metro per metro. Purtroppo non è stato possibile abbattere questi missili e le conseguenze sono semplicemente colossali. Lì il campo è pulito, non ci sono tetti, non ci sono attrezzature, terra bruciata…”.

Un altro esempio: abbiamo visto come i missili da crociera russi Kh-101 abbiano improvvisamente ottenuto la capacità di sparare contromisure – cosa che nessun missile da crociera aveva mai fatto prima – quando si avvicinavano ai loro bersagli. Un altro adattamento al volo.

Ma oggi nuovi rapporti indicano che anche il Kh-101 russo ha raddoppiato le dimensioni della sua testata. I Kh-101 e i Kalibr sono stati sviluppati per combattere la NATO e quindi necessitano di un raggio di volo estremamente lungo. Ma i missili possono attraversare l’Ucraina con una frazione dei loro serbatoi di carburante. Quindi cosa fa la Russia? Rimuove una parte del serbatoio e aggiunge una testata supplementare, che aumenta l’esplosività totale da 450 kg a 800 kg:

Come ultimo esempio, le truppe ucraine hanno ora rinvenuto diversi tipi di bombe a collisione russe. Oltre alla classica UMPK, c’è ora una nuova UMPB che si dice sia un analogo della tanto decantata GLSDB (Ground Launched Small Diameter Bomb) americana:

Questo è già stato utilizzato, dato che le truppe ucraine stanno trovando i rottami dopo gli attacchi:

Ciò significa che la Russia fu in grado di sviluppare un sistema di combattimento completamente nuovo, praticamente da zero, nel bel mezzo della guerra. Ci sono molti altri esempi, ma si potrebbe dedicare un intero articolo solo a questo.


Questo è tutto per questa parte, restate sintonizzati per le prossime parti di questa serie in corso, dove continuerò ad aggiornare tutti gli ultimi sviluppi e ricerche sia nella teoria militare che nelle scoperte tecnologiche sul fronte. Se è vero che c’è qualche possibilità che la guerra finisca prima che le cose diventino troppo folli, se invece si protrae per qualche anno, allora potremmo assistere all’esplosione di queste tecnologie dei droni, che si stanno sviluppando in concomitanza con la rivoluzione generale dell’intelligenza artificiale, che nei prossimi anni potenzierà le capacità autonome dei droni in modo imprevedibilmente accelerato.

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Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi. Intervista a Massimo Morigi, a cura del prof Umberto Marsilio

UN CONVEGNO SU ANTONIO DE MARTINI PER LA  NASCITA DI UNA NUOVA GEOPOLITICA MAZZINIANA 

Alcune domande dello storico Umberto Marsilio al prof. Massimo  Morigi, filosofo politico e cultore della storia risorgimentale e del  repubblicanesimo. Le domande sono state poste a seguito della  visione di Marsilio della conferenza Lo Stato delle Cose della  Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi, conferenza tenuta  da Morigi presso la Società degli Uomini della Casa Matha di  Ravenna e disponibile su YouTube all’URL https://www.youtube.com/watch?v=KwA00IOPCsM&t=4693s . Più  l’annuncio di un prossimo convegno di studi per onorare la memoria  del geopolitico mazziniano Antonio De Martini 

 In seguito alla visione su YouTube della mia conferenza Lo Stato  delle Cose della Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi, lo  storico Umberto Marsilio ha ritenuto opportuno pormi alcune  domande alle quali ben volentieri rispondo, premettendo che per  alcune, che riguardano più prettamente l’ histoire événementielle, sarò  necessariamente laconico (ciò dovuto allo stato della ricerca  storiografica che non consente maggiore precisione), per altre, che  investono direttamente la storia delle idee sarò forse ridondante, e  questo dipende indubbiamente dalla mia specifica competenza nello  studio ed insegnamento della filosofia politica.  

qui il testo in formato pdf

MAZZINI DE MARTINI MORIGI MARSILIO INTERVISTA

 Rispondo quindi alla domanda che mi pone Marsilio in merito  alle somiglianze e differenze caratteriali e politiche fra Mazzini e  Garibaldi. È sempre difficile, se non impossibile, indagare la  psicologia intima delle persone, siano queste nostre dirette conoscenze o personaggi storici. I personaggi storici, tuttavia, hanno sulle persone  che non hanno svolto vita pubblica, una via privilegiata per  scandagliare la loro psicologia perché essi dovettero per ragioni  “professionali” rapportarsi con vasti aggregati umani al fine di  indirizzarne non solo il presente o il futuro da qui ad una generazione,  come possono o si illudono di fare le persone non pubbliche ma con  più ristrette cerchie familiari e/o amicali, ma di determinare il futuro  di numerose successive generazioni e per svolgere questa missione essi  dovettero costruirsi non solo una maschera personale e/o familiare ma anche una maschera pubblica.  

 Ora dal punto della maschera pubblica, non si potrebbero  concepire due personaggi più diversi di Mazzini e Garibaldi. Molto  appropriatamente lo storico del movimento repubblicano e del  Risorgimento Roberto Balzani ha affermato che Garibaldi costruì il  suo carisma sulla presenza e sul riconoscimento ictu oculi della sua persona e sul contatto diretto col suo stesso corpo (i Mille potevano  vedere e, se volevano o le circostanze glielo consentivano, addirittura toccare l’oggetto del loro mito, e, in generale, tutto il mito di Garibaldi  fu costruito su stereotipi che rimandavano ad un paradigma di  sacralità – e quindi di carisma politico – di stampo cattolico cristologico dove la visione dell’immagine è fondamentale  nell’adorazione della divinità), mentre Giuseppe Mazzini, sostiene  sempre Balzani ed io concordo in pieno, fu l’eroe dell’assenza, voglio  dire dell’assenza della sua immagine e del suo contatto diretto presso i  suoi seguaci, fra i quali pochissimi ebbero modo di vederlo e  riscuotendo, nonostante questo, fortissimi sentimenti di ammirazione e  folte schiere di seguaci (una intensità di sentimenti e foltezza di  seguaci che però dopo ogni sommossa mazziniana regolarmente fallita  andarono mano a mano scemando e dopo ogni rovescio dei moti da  lui suscitati molti dei suoi seguaci lo abbandonavano per abbracciare  percorsi più realistici e moderati per il loro patriottismo). Plastico in questo senso di leadership per assenza, il caso dei fratelli Bandiera che  si immolarono per gli ideali mazziniani senza mai avere visto una sola  volta il Maestro di Genova.  

 Per quanto riguarda gli ideali che accomunavano Mazzini e  Garibaldi, facile rispondere. Entrambi volevano l’unificazione del  nostro paese, solo che Mazzini voleva che l’Italia fosse unificata e al  tempo stesso fosse retta da una forma di governo repubblicana mentre  per Garibaldi l’unica cosa importante era l’unificazione e la forma di  governo, in fin dei conti, non era così importante perché egli si  acconciò ben volentieri al fatto che a dirigere l’unificazione del paese  fosse il Piemonte retto dalla monarchia sabauda.  

 È assolutamente indispensabile a questo punto fare però una  precisazione. E non tanto su Garibaldi e sul suo pragmatismo  nell’azione ma su Mazzini e sul suo ideale repubblicano e questo mi  consente fra l’altro di rispondere ad un’altra domanda che Marsilio  mi ponte e che è la seguente «per quali motivi oggi Mazzini è ritenuto  un Pater Patriae sebbene la sua visione e la sua azione politiche non  sono state determinanti nel processo di unificazione?». Ora ad un  livello superficiale di risposta si potrebbe dire perché infine la  monarchia che Mazzini tanto detestava ha cessato di esistere e al suo posto abbiamo oggi una “bella” repubblica, nata, si dice sempre, dalla  resistenza che su di sé seppe accogliere i migliori empiti anche del  risorgimento, dei quali Mazzini seppe dare espressione non solo per la  sua lotta per l’unificazione del paese e per la forma di governo  repubblicana ma anche per la sua visione sociale, di cui la Repubblica  fondata sul lavoro avrebbe saputo cogliere le sue idealità ed i  propositi. 

 

 Ma, purtroppo, qui siamo in piena costruzione non tanto di un  mito mazziniano (se studiato a fondo, uno dei rischi che corre anche lo  storico più smaliziato ed arcigno è di mitizzare Mazzini, vedi  Salvemini con i suoi giudizi sempre altalenanti fra l’ipercritico e  l’ammirato su Giuseppe Mazzini) ma in pieno mito regressivo sui  quarti di nobiltà che dovrebbe vantare la nostra repubblica, o meglio, siamo in pieno mito regressivo e di rimozione sulla realtà effettuale 

della genesi e natura reale della sua costituzione materiale che anche  oggi, ancor dopo più di settant’anni dalla sua nascita, anche a livello  non meramente pubblicistico e/o giornalistico ma anche in sede  scientifica o pseudotale, continua ad essere rappresentata come una  repubblica nata dalla resistenza contro il totalitarismo fascista e  quindi in virtù di questo mitologico inizio incontestabilmente  democratica (in realtà nacque dalla sconfitta ed occupazione militare  anche se, dobbiamo pure dirlo, non c’è storia di fondazione di nessuna  nazione che non sia intrisa di mitologia e/o di false e ridicole  rappresentazioni della stessa, da questo punto di vista paese che vai  mito di fondazione che trovi), mentre nella realtà effettuale della sua  costituzione materiale la nostra repubblica solo con molta fantasia può  essere definita, qualsiasi cosa si intenda col termine, come una  democrazia, manifestandosi essa come una cristallina e tetragona oligarchia elettiva seppur a suffragio universale e sul significato di  questa definizione non penso sia necessario dilungarsi se non  addentrandoci su un “piccolo” dettaglio in merito al pensiero di  Giuseppe Mazzini.  

 Ora se si va a leggere a fondo e per esteso Mazzini, ci accorgiamo  che egli impiega assai di rado il termine ‘democrazia’ e gli preferisce il  termine ‘repubblica’, intendendo con repubblica non solo il dato  puramente istituzionale (e qui siamo in piena banalizzazione del  pensiero di Mazzini così come oggi lo intendono i suoi attuali stanchi  emuli), ma proprio una forma di Stato che fosse finalizzata all’insegna della tutela e sempre maggiore valorizzazione della Res Publica,  intendendo quindi Mazzini la Repubblica come quell’insieme di  valori materiali e spirituali verso i quali era dovere di tutti i cittadini  agire in vicendevole collaborazione al fine di ottenerne un sempre  maggior accrescimento e potenziamento di generazione in  generazione.  

 A ciò si potrebbe obiettare che anche la nostra repubblica e in  Costituzione ed anche nelle sue politiche concrete si pone questi  obiettivi mazziniani ma qui io non voglio sindacare sull’efficacia nel  raggiungimento di questi buoni propositi (penso non sia necessario un  mio giudizio al riguardo…) ma su un fatto che riguardo a Mazzini non  viene mai messo in rilievo e si tratta del seguente punto: Mazzini  aveva una visione olistica della società che era radicalmente nemica  della visione atomistica della società così come la vede e disegna il  liberalismo e così come è strutturata nella reale filosofia di impianto e  nell’azione delle forze politiche che agiscono nella repubblica italiana.  

 Questo atomismo di fondo nella visione della società è  solidalmente condiviso sia dalla attuale “destra” politica che dalla  attuale “sinistra” politica, da questo punto di vista non ci sono  differenze ma, ancor peggio (o ancor meglio, lo studioso  weberianamente deve segnalare i valori in gioco ma dopo, per quali  prender parte, è la coscienza di ognuno di noi che deve assumersi  l’onere decisione finale), bisogna dire che il male (o il bene, lo ripeto,  dipenda dal carattere di ognuno di noi decidere per quali valori  propendere) proviene dalle origini di questa repubblica, che non  nacque su un patto costruttivo e condiviso di valori basato sulla  tradizione storico-morale della nazione ma su una finzione valoriale nata dal compromesso politico fra i valori delle forze comuniste e  quelli delle forze cattoliche e che celava una terribile sconfitta militare e la conseguente umiliante sottomissione “democratica” verso i  vincitori (Art. 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come  strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di  risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di  parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un  ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;  promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale  scopo.», non ha altro significato effettuale che stabilire che l’Italia  rinuncia alla guerra perché impossibile da muovere solo con le sue  deboli forze ma vi partecipa se quelle potenze anticomuniste che  hanno vinto la seconda guerra mondiale ritengono necessario che lo  faccia. Ogni riferimento alle odierne vicende è puramente casuale… ). 

 E quindi rispondo alla domanda: se Mazzini viene preso sul serio  non può essere considerato un padre nobile di questa patria perché il  suo pensiero, e riprendo qui una definizione di Costanzo Preve impiegata dal filosofo pensando ad una rifondazione in senso  umanistico del marxismo, imporrebbe tutto un ‘riorientamento  gestaltico’ della nostra vita politico-sociale, riorientamento gestaltico  all’insegna di una visione olistica della società e assolutamente nemico  della impostazione liberale anomica ed atomistica della stessa, in  questa impostazione anomica ed atomistica, fra l’altro, la democrazia  rappresentativa italiana (ma parlando in sede di analisi politologica,  lo ripeto, si dovrebbe dire al posto di ‘democrazia rappresentativa’ ‘oligarchia elettiva a suffragio universale’) in assoluta buona  compagnia con tutte le forme di democrazia rappresentativa (cioè di  oligarchia elettiva) di tutti quei paesi che oggigiorno, definizione nata  in seguito alla guerra russo-ucraina, vengono definiti presi nel loro  insieme come “occidente collettivo” (definizione coniata da Putin per  designare le potenze occidentali che gli si contrappongono nella guerra  russo-ucraina ma ormai fatta propria, per una sorta di eterogenesi dei  fini, anche dallo stesso occidente che muove guerra, seppur non dichiarata e per procura, alla Russia. Prima della caduta del muro di  Berlino, aveva corso legale il termine ‘mondo libero’, libero, cioè, dal  comunismo e per questo comprendente anche le liberissime dittature  militari latino-americane; oggi che il comunismo è sepolto e quindi  non si può più lottare per difendersi da un morto, per combattere la  Russia e la Cina in un mondo sempre più multipolare ed  imprevedibile, è meglio richiamarsi all’idea di un mitico occidente che  si contrapporrebbe alle autocrazie asiatiche russe e cinesi. In  conclusione, quello di ‘occidente’ termine dal nobilissimo orizzonte valoriale e dalle profondissime radici storico-filosofiche ma in questa  fase storica prostituito dagli italici ed esteri pennivendoli agli interessi  della Nato…).  

 È noto come Gramsci non amasse Mazzini e su questo fatto è  stato in passato sottolineato che se sullo specifico Gramsci imputava a  Mazzini di non aver affrontato, e con lui tutto il risorgimento, la  questione contadina, su un piano più generale ciò sarebbe dovuto  perché l’uno, Gramsci, era portatore di un pensiero totalitario mentre  Mazzini può essere considerato l’alfiere di un pensiero democratico,  dando all’aggettivo una semantica del tutto sovrapponibile a quella  conferitagli dalla versione liberal-atomistico-anomica anzi descritta.  

 E qui siamo in presenza di un vero e proprio travisamento del  pensiero mazziniano: Mazzini nei suoi scritti con molta parsimonia  impiega il lemma ‘democrazia’ preferendogli il termine ‘repubblica’ e  questa non è una casualità lessicale perché, come ho cercato di  illustrare, la repubblica mazziniana intende agire nell’ambito e  forgiando una società olistico-organica nella quale certo, le libertà  politiche ed individuali non sono assolutamente conculcate ma nella  quale il termine ultimo di riferimento e legittimità non è mai il singolo  individuo anonimicamente ed atomisticamente inteso ma il popolo olisticamente inteso (dalla maggior parte dei suoi attuali sfiancati  emuli, lo scritto più rappresentativo del pensiero di Giuseppe Mazzini,  i Doveri dell’Uomo, con la sua idea della primazia dei doveri sui diritti,  altro non significherebbe altro, sic et simpliciter, che prima di  reclamare un diritto bisogna aver ottemperato al complementare  dovere senza porsi, questi tristi emuli, troppe domande del perché di  questa gerarchia, se non affermando la fuorviante banalità che per  Mazzini la morale veniva prima della politica – o, tradotto in maniera  ancora più banale, che il mio diritto finisce dove comincia quello del  mio vicino –, mentre quello che voleva far emergere Mazzini con la  sua teoria della prevalenza dei doveri sui diritti è che la società è un  tutto organico e che l’individuo è sì importante ma è solo concepibile  all’interno di questa società verso la quale, proprio in virtù della sua  totalità organica, si ha il dovere di concepirla sovraordinata rispetto  all’individuo che pur giustamente reclama i diritti). 

 Possiamo quindi dire che fra Gramsci e Mazzini sussistono, certo, profonde differenze, l’uno guardava alla classe operaia e  contadina come base di manovra per la sua azione politica mentre  Mazzini guardava al popolo italiano ma se la classe operaia e la classe  contadina costitituiscono per Gramsci la totalità politica sulla quale  doveva agire il nuovo principe partito comunista per portare queste  due classi all’autocoscienza della propria totalità organica, per  Mazzini, non classista ma in un certo senso ugualmente “totalitario” 

(totalitario ma non autoritario-dittariale e penso sia meglio per questa  comunicazione risparmiarci la ricostruzione dell’origine del termine e  del suo impiego da parte di Mussolini, del fascismo e poi anche, se non  soprattutto, da parte della pubblicistica di stampo liberal democratico: ad altra puntata…), la totalità sulla quale svolgere  l’azione politica era il popolo italiano nella sua interezza e l’agente che  doveva portare il popolo italiano alla consapevolezza della sua totalità  organica doveva essere sempre un partito politico, ma repubblicano, da lui guidato che, tramite sommosse e financo azioni che noi oggi  definiremmo terroristiche, avrebbe cercato di far sorgere questa  autocoscienza di totalità organica nel popolo italiano.  

 Quindi sia Mazzini che Gramsci nella storia del pensiero politico  italiano possiamo dire che fossero entrambi portatori di una linea di  azione che possiamo dire ‘olistico-culturalista’ perché in assenza del  suscitamento politico e pedagogico da parte dell’avanguardia politica  dell’autoscoscienza della propria natura olistica sulle rispettive masse di riferimento (classe operaia e contadina in Gramsci, popolo italiano  in Mazzini) nessuna azione politica sarebbe stata né possibile né di  alcun valore (i moti mazziniani che Mazzini sapeva votati ad un  probabilissimo fallimento nell’immediato sono da Mazzini stesso  indicati come fenomenale strumento pedagogico e i Quaderni del  Carcere di Gramsci, oltre che testimoniare una incrollabile fede di  stampo veramente mazziniano nel trionfo finale della causa  rivoluzionaria, sono intesi dal rivoluzionario sardo come strumento  per portare le sue due classi di riferimento alla propria autocoscienza  organica, premessa indispensabile questa autocoscienza per il trionfo  della rivoluzione comunista). L’antipatia di Gramsci verso Mazzini  può quindi anche essere considerata come la percezione da parte del  rivoluzionario sardo di avere avuto una sorta di precursore nella metodologia ed impostazione valoriale da parte di un personaggio il  quale, però, non guardava esclusivamente al proletariato e alla massa  contadina come base di azione politica, mentre di tutt’altro segno,  giusto per fare un esempio che ci aiuti a rendere più chiaro il concetto,  era l’avversione di Gobetti verso Mazzini: in questo caso il campione  della rivoluzione liberale, quindi una rivoluzione sì ma una rivoluzione  che avrebbe ancor più accentuato i tratti atomistici e anomici del già allora esistente regime liberale, non poteva che considerare un vuoto  filosofema tutta l’impostazione olistico-organica mazziniana. 

 

 Vengo ora velocemente a rispondere alle altre domande tenendomi per ultima la domanda di Marsilio relativa allo “stato delle  cose” sui vizi e le virtù della odierna geopolitica italiana. Per quanto  riguarda la domanda se l’epilogo della Repubblica Romana sia il  segno delle divergenze politiche e di azione che già si potevano  intravvedere fra Mazzini e Garibaldi, rispondo che rispetto a quanto  fin qui affermato sulle loro differenze, nella Repubblica Romana  rifulse il genio politico di Mazzini mentre Garibaldi, anche se efficace  sul piano militare, non riuscì nella maniera più assoluta a concepire 

un percorso politico per cercare di salvare la Repubblica Romana  (Mazzini cercò sempre una trattativa col corpo di spedizione francese venuto per sopprimere la Repubblica Romana giocando sulle  ambiguità politiche e sulla tradizione rivoluzionaria della Repubblica  francese mentre Garibaldi voleva semplicemente rigettarla manu  militari a mare, un progetto assolutamente impossibile da realizzare).  Quindi anche se alla fine il progetto mazziniano di trascinare a fianco 

– o in posizione di neutralità – della Repubblica Romana la repubblica  francese fu un fallimento, esso dimostra che in questo caso il vero  pragmatico della politica era Mazzini mentre Garibaldi, in fondo,  altro non si comportò e connotò che come un validissimo militare ma  sprovvisto di alcuna visione politica, e questo contrariamente a quanto  si dice tuttoggi anche a livello storiografico che Garibaldi fosse un  concreto uomo d’azione mentre Mazzini sarebbe stato una sorta di  generoso acchiappanuvole. Se vogliamo usare queste usurate categorie, è semmai vero il contrario. Mazzini il concreto uomo  politico, Garibaldi il generoso, efficace uomo d’azione, ma in fin dei  conti, politicamente ingenuo acchiappanuvole.  

 E sulla base di questo ribaltamento degli stereotipi pubblico caratteriali dei due personaggi mi avvicino alla domanda di Marsilio  sul perché la guerra di Crimea vide la contrarietà di Mazzini alla  partecipazione piemontese e rispondo affermando che Mazzini aveva capito benissimo che il monarchico regno di Sardegna tramite questa  partecipazione avrebbe avuto ascolto fra le grandi potenze europee e  questo, oltre a dare una svolta moderata e monarchica a tutto il  movimento rivoluzionario italiano, celava anche un altro rischio che la  storiografia non ha mai a sufficienza sottolineato: mentre Mazzini e  Garibaldi intendevano per unificazione italiana tutta la penisola più le  isole principali, intendevano cioè un’Italia con un territorio più o  meno sovrapponibile a quello odierno, il regno di Sardegna e  segnatamente Cavour non pensavano assolutamente a questo tipo di  assetto territoriale, volendo Cavour ingrandire il Piemonte a spese  del dominio diretto dell’Austria nell’Italia del nord e forse  aggiungendo, se proprio si vuole esagerare, qualche propaggine  dell’Italia centrale. Cavour definiva l’idea di una unificazione di tutta  la penisola una autentica corbelleria e mi preme sottolineare che se la  spedizione dei Mille fu segretamente appoggiata da Vittorio Emanuele  II e dalla Gran Bretagna dovette affrontare la contrarietà di Cavour.  Comunque, per farla breve: il sognatore Mazzini era ben al corrente  di tutti questi rischi qualora l’iniziativa della rivoluzione italiana fosse  passata al Regno di Sardegna, Garibaldi bellamente li ignorava o  fingeva di ignorarli.  

 In merito alla domanda quanto Mazzini stimasse Garibaldi e se  la stima di Garibaldi verso Mazzini fosse superiore a quella che  Mazzini aveva per Garibaldi, rispondo molto semplicemente che allo  stato degli atti si può affermare che ad un’iniziale vicendevole e  profonda stima, a partire dalla Repubblica Romana in poi mai  nessuno dei due mise in dubbio la buona fede dell’altro ma le accuse  che entrambi vicendevolmente si scagliarono riguardarono l’altrui  l’ingenuità politica e la conseguente facilità di manipolazione: nel caso delle accuse di Mazzini contro Garibaldi, ad opera della monarchia  sabauda e nel caso delle accuse rivolte a Mazzini, secondo Garibaldi in  una sorta di automanipolazione mazziniana dovuta alle proprie elucubrazioni ideologiche e dalla sua intransigenza repubblicana che  non avrebbero lasciato alcuno spazio di manovra politica con chi  repubblicano non era ma intendeva comunque lottare per  l’unificazione del paese. Sull’intensità intima di questi vicendevoli  sentimenti di apprezzamento e di ridimensionamento delle rispettive figure, confesso che non so pronunciarmi, in quanto i due personaggi  furono due figure pubbliche e quando si scrive e si agisce per la storia  c’è sempre, in positivo come in negativo, un non detto, sul quale è  sempre molto difficile esprimerci.  

 In merito alla domanda di Marsilio sulle potenze che i due eroi  del Risorgimento stimavano di più, per Garibaldi è facile rispondere:  Garibaldi stimava moltissimo la Gran Bretagna (vedi la mia  conferenza e anche i lavori Eugenio Di Rienzo) e da questa fu anche 

decisamente aiutato nella sua Spedizione dei Mille mentre Mazzini  pur avendoci vissuto molti anni non espresse mai sentimenti di così  forte amicizia pur non arrivando mai direttamene ad accusare  l’Inghilterra di una politica imperialista (veramente, come ho detto  nella mia conferenza, Mazzini era ben consapevole che l’Inghilterra  faceva i suoi comodi a danno di coloro che si mostravano più deboli e  meno resistenti all’avanzata dell’uomo bianco, solo che questa aperta sincerità Mazzini la riteneva dannosa, alla luce del suo realismo  politico, per tessere alleanze per una futura unificazione dell’Italia e  dall’altro lato, Mazzini non era del tutto contrario al colonialismo  europeo, perché, non molto originalmente rispetto alla sua epoca, da  lui ritenuto propedeutico alla diffusione della civiltà). Ma per essere  veramente sintetici, Mazzini amava profondamente solamente una  nazione e questa era l’Italia che nei disegni mazziniani doveva costituire il fulcro del futuro concerto europeo costituto dalle nazioni  liberate dal giogo delle potenze continentali di allora, l’Austria e la  Russia, ed affratellate in seguito all’abbattimento della Santa  Alleanza, all’insegna di una egemonia italiana meritata sul campo della distruzione di queste potenze prevaricatrici dei diritti dei popoli  europei.  

 Alla domanda cosa pensavano Cavour e Vittorio Emanuele di  Mazzini, rispondo molto semplicemente che se fosse loro capitato fra  le mani e avessero potuto decidere unicamente alla luce delle loro  convinzioni personali, lo avrebbero impiccato. Non so quindi cosa gli  avrebbero fatto se fosse effettivamente capitato fra le loro mani, i due  personaggi in questione erano sempre uomini politici e in politica non  sempre, anzi quasi mai, si fa quello che si vorrebbe, ma sicuramente  dare seguito alla condanna a morte che il Regno di Sardegna aveva  posto sul suo capo, certamente rispondeva alla loro più sentita convinzione.  

 Infine rispondo alle forse più importante domanda di Marsilio  in merito alle virtù e manchevolezze della geopolitica italiana. Senza  voler fare l’elenco delle più o meno commendevoli iniziative di  pubblicistica geopolitica che in seguito alla guerra russo-ucraina  hanno preso vigore e che sono sorte principalmente sul Web (e in  questo generale movimento di rinnovamento di queste varie iniziative  di pubblicistica geopolitica anch’io ho dato, soprattutto sul piano della  riflessione teorica attraverso l’elaborazione del paradigma del  Repubblicanesimo Geopolitico, il mio modesto contributo; ma di esso  non parlerò oltre perché altro è l’argomento dell’intervista. Una cosa  è però assolutamente necessaria dirla: i primi vagiti del  Repubblicanesimo Geopolitico furono ospitati dalle colonne on line del  blog di geopolitica “Il Corriere della Collera”, ora cessato nelle sue  pubblicazioni – ma ancora in Rete – per la morte del suo fondatore, lo  studioso di politica internazionale, il mazziniano, pacciardiano e  quindi fautore ante litteram della repubblica presidenziale Antonio De Martini, al cui impareggiabile magistero politico, scientifico e morale dovrà necessariamente ispirarsi la geopolitica italiana per la sua  auspicabile rifondazione ab imis ma, in conclusione, del succitato  movimento di rinnovamento della geopolitica italiana non mi dilungo  oltre in quanto, proprio per la sua carica innovativa, eccentrico  rispetto al mainstream della geopolitica italiana e quindi lodevolmente  con scarso valore di rappresentatività della stessa e, comunque, chi si  ritenga incuriosito da questa mia affermazione può benissimo andarsi  ad ascoltare la mia conferenza, nella quale viene elencata, oltre alle  lodevoli nuove iniziative di riflessione geopolitica, anche una nutrita  schiera di “esperti” geopolitici, molto esperti nel realismo politico ma  solo pro domo loro…), parlerò solo di “Limes” e del suo valente  direttore e deus ex machina Lucio Caracciolo.  

 Ora uno dei suoi ultimi editoriali su YouTube si intitola Stiamo  perdendo la guerra. Medio Oriente e Ucraina in fiamme. L’Italia paga il  conto ma non conta, ed io ho già definito questo titolo e il contenuto del  video «disperazione ed ingenue illusioni di un geopolitico à la  recherche du temps perdu.». In estrema sintesi l’illusione: la Nato  nella guerra russo-ucraina si è dimostrata inefficace, l’Italia non può  però lasciare andare questo quadro di riferimento e deve quindi  rafforzare i legami con gli Stati Uniti tramite un trattato bilaterale che  rimedi alle problematiche messe in luce dalla crisi della Nato. Come si  dice: auguri e figli maschi. Necessità quindi di un riorientamento  gestaltico della politica e delle geopolitica italiane in senso mazziniano  come, appunto, avrebbe voluto De Martini. À suivre 

Massimo Morigi, nell’anno 2024 e nel mese della nascita della  Repubblica Romana del 1849 

P.S. dell’intervistatore. Il professor Massimo Morigi mi aveva concesso l’intervista pochi giorni dopo il IX febbraio, ricorrenza  mazziniana della nascita della Repubblica Romana del 1849. Più che  una coincidenza. E, inoltre. L’intervista era stata pubblicata originariamente in data 11 marzo 2024, il giorno dopo l’anniversario  della morte di Giuseppe Mazzini (altra coincidenza…) sulla rivista on  line “Nazione Futura” (Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20240313160712/https://www.nazi 

onefuturarivista.it/2024/03/11/mazzini-e-garibaldi-nelle diatribe-geopolitiche-risorgimentali/ ) ma si è ora ritenuto  opportuno ripubblicarla sul blog di geopolitica “L’Italia e il Mondo” (forse l’iniziativa on line che Morigi sente talmente vicina e propria  che egli, per una sorta di pudore, non aveva nominato nell’intervista) perché egli mi ha comunicato che è intervenuto un fatto nuovo e  questo fatto nuovo consiste nel fatto che Morigi e “L’Italia e il  Mondo” hanno deciso di organizzare a Ravenna un convegno per  onorare la memoria del geopolitico mazziniano Antonio De Martini. Il  seguito all’insegna, ci auguriamo tutti, del motto mazziniano ‘Pensiero  e Azione’, che fu anche la stella polare dell’operato politico, scientifico  e morale di Antonio De Martini. Ora e sempre. 

Umberto Marsilio, Pasqua di Risurrezione 2024

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Democrazia, stile russo_di SCOTT RITTER

Vladimir Putin esprime il suo voto online alle elezioni presidenziali russe del 2024

La Russia ha appena concluso tre giorni di processi elettorali che definiranno la direzione interna di quella nazione per i prossimi sei anni e, così facendo, fungeranno da forza trainante della trasformazione globale per i decenni a venire. La Russia ha circa 112,3 milioni di elettori registrati. Dal 15 al 17 marzo, poco più del 77% di loro è uscito allo scoperto e ha votato per chi sarebbe stato il loro presidente per i prossimi sei anni. Una percentuale schiacciante – oltre l’88% – ha votato per il presidente in carica, Vladimir Putin.

Non c’erano dubbi: non c’erano dubbi su quale sarebbe stato l’esito di queste elezioni: Vladimir Putin avrebbe sempre vinto la rielezione.

Non vi sono dubbi: le elezioni presidenziali del 2024 in Russia sono l’evento politico più importante dell’era post-Guerra Fredda, il sottoprodotto di una delle più grandi espressioni di volontà democratica che il mondo vedrà nei tempi moderni.

Guarda la prima ora in diretta su Rumble , X , Facebook , Twitch o Locals . La seconda ora (a partire dalle 21:00 ET) sarà trasmessa in streaming solo su Rumble, X e Locals e conterrà la musica di Bob Dylan. I nostri ospiti speciali venerdì sera sono Malcolm Burn, conduttore di The Long Way Around , che ha registrato e mixato l’album Oh Mercy di Dylan , e Hank Rosenfeld , autore di The Jive 95 .

L’elezione è stata molto più di un voto di fiducia nei confronti di un individuo: Vladimir Putin è stata la forza politica dominante in Russia dall’inizio del secolo, un uomo che, con la sola forza di volontà, ha guidato la Russia fuori dall’oscura catastrofe del negli anni ’90, posizionando la Russia come una delle nazioni più potenti e influenti dell’era moderna.

Le elezioni non rappresentavano un mandato sulla guerra in Ucraina: la questione era stata decisa nell’autunno del 2022, quando la Russia fu costretta a mobilitare la propria manodopera e la propria capacità industriale militare in quella che era stata concepita come una breve campagna militare contro l’Ucraina trasformata in una una lotta militare più ampia e prolungata contro l’Occidente collettivo.

In poche parole, il conflitto in Ucraina non era in ballottaggio nel 2024.

In ballottaggio c’era il futuro della Russia.

Vladimir Putin ha 71 anni. La sua vittoria gli assicura un altro mandato di sei anni. Al termine di questo mandato, nel 2030, Putin avrà 77 anni.

Leonid Brezhnev, ex premier dell’Unione Sovietica

I russi sono studiosi di storia e conoscono fin troppo bene la triste eredità del periodo di stagnazione sovietica, iniziato a metà degli anni ’60 sotto la guida di Leonid Brezhnev. Breznev aveva 75 anni quando morì mentre era in carica, un uomo mentalmente e fisicamente debole. Fu sostituito da Yuri Andropov, che morì due anni dopo all’età di 69 anni, per poi essere sostituito da Konstantin Chernenko, che morì nel 1985 all’età di 73 anni.

Non c’è motivo di credere che Vladimir Putin non manterrà il suo attuale livello di salute fisica e acutezza mentale per il resto del suo nuovo mandato. Ma tutti gli uomini, alla fine, sono stati creati uguali, e le ingiurie del tempo gravano pesantemente su tutti, anche su qualcuno eccezionale come Vladimir Putin.

Nell’ultimo quarto di secolo, Vladimir Putin ha fatto affidamento su un gruppo ristretto di consulenti e funzionari per aiutarlo a guidare la Russia nel suo percorso di ripresa. Sebbene questa squadra abbia dimostrato di essere molto capace, anch’essa è soggetta alle stesse leggi della natura che governano l’esistenza umana come tutti gli altri: cenere alla cenere, polvere alla polvere.

Nessun uomo può vivere per sempre.

La Russia, tuttavia, è eterna nella mente delle persone che costituiscono la nazione russa.

Dopo aver salvato la Russia dalle privazioni degli anni ’90, quando l’Occidente collettivo, guidato dagli Stati Uniti, cospirò per tenere sotto controllo la Russia facendola a pezzi, Vladimir Putin è consapevole delle lezioni della storia che hanno visto cosa succede quando un’élite al potere resiste. al potere per troppo tempo senza pensare a chi prenderà il loro posto.

Mikhail Gorbaciov cercò di far uscire la Russia (l’Unione Sovietica) dal periodo di stagnazione sovietica. Lo fece in modo reattivo, senza un piano ben congegnato, e il risultato fu il crollo dell’Unione Sovietica e l’orribile decennio degli anni ’90.

Se Vladimir Putin dovesse affrontare i prossimi sei anni come una semplice continuazione del suo impressionante mandato in carica, guiderebbe la Russia lungo un percorso in cui si scontrerebbe con la dura amante che costituisce un precedente storico: un uomo anziano, a capo del un sistema di governo che invecchia, senza un piano chiaro su come procedere quando arriverà l’inevitabile appuntamento con il destino.

In breve, se dovesse verificarsi la situazione in cui Vladimir Putin si sentisse obbligato a cercare un ulteriore mandato di sei anni come presidente della Russia nel 2030, allora la Russia si troverebbe molto probabilmente in pericolo di sprofondare in un nuovo periodo di stagnazione in cui i guadagni che sono stati ottenuti fatto nel corso di tre decenni di governo di Putin sarà sprecato, e il potenziale di un collasso sociale paragonabile a quello degli anni ’90 sarà una realtà distinta.

Questo è il motivo per cui il dato statistico importante che emerge dalle elezioni presidenziali russe del 2024 non è l’88% degli elettori che hanno votato a sostegno di Vladimir Putin, ma piuttosto il 77% degli elettori aventi diritto che sono usciti per esprimere il loro sostegno all’elezione presidenziale russa del 2024. Stato russo. I livelli di partecipazione degli elettori sono sempre stati visti come un riflesso della fiducia che un particolare elettorato aveva che il sistema di governo che stavano sostenendo attraverso il loro voto riflettesse al meglio la visione che loro stessi avevano della nazione in cui vivevano.

A titolo di confronto, le elezioni presidenziali del 2020 negli Stati Uniti hanno registrato un tasso di partecipazione record del 66% da parte degli elettori aventi diritto.

Le elezioni presidenziali del 2024 in Russia hanno superato tale soglia di 11 punti percentuali.

Ciò significa che il popolo russo è fiducioso che il 71enne Vladimir Putin non lo condurrà lungo un percorso di inevitabilità storica in cui sarà destinato a ripetere gli errori del passato. Piuttosto, il popolo russo, fiducioso nella direzione in cui Vladimir Putin lo ha portato fino ad oggi, crede che egli sia l’uomo che posizionerà meglio la Russia per poter sostenere questi guadagni, e continuare a prosperare, in un’eventuale Russia post-Putin.

Le elezioni presidenziali russe del 2024 non sono state un voto per mantenere lo status quo.

È stato un voto per il cambiamento.

L’uomo che supervisionerà questo cambiamento è Vladimir Putin.

Manifestazione post-elettorale sulla Piazza Rossa dopo la vittoria di Vladimir Putin alle elezioni presidenziali del 2024

Nei prossimi mesi si prevede l’inizio di un cambio della guardia. I leader russi che hanno aiutato Putin a portare la Russia dove è oggi verranno messi da parte, per essere sostituiti da una generazione più giovane di leader russi che, sotto la guida e la leadership di Vladimir Putin, preparerà la Russia per qualunque sfida la attenderà una volta Vladimir Putin. Putin non è più presidente.

Come si manifesterà questo cambiamento – forse una transizione da un’élite politica incentrata su Mosca a una derivata dalle varie regioni della Russia – è ancora sconosciuto. Ma ci sarà un cambiamento, perché deve esserci un cambiamento.

E questo cambiamento era sulla scheda elettorale.

L’Occidente ha deriso le elezioni presidenziali russe del 2024 definendole una farsa.

Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.

Le elezioni presidenziali russe del 2024 sono state la manifestazione di una democrazia fiorente, ma una democrazia definita dai russi.

L’Occidente si concentra sull’88% dei russi che hanno votato per Vladimir Putin e deride il risultato considerandolo poco più che una conclusione scontata in un sistema che offriva al popolo una sola vera scelta.

La democrazia russa, tuttavia, è definita dal livello di partecipazione elettorale del 77% e riflette la fiducia del popolo nella capacità dello Stato russo di sottrarlo alla forte posizione che Vladimir Putin ha portato loro e di sostenere questa forza in un periodo post-Putin. era.

Non si è trattato di un voto definito ricertificando il passato, ma piuttosto di un voto che ha dato potere al governo di intraprendere i cambiamenti cruciali necessari per il futuro della nazione russa.

Era la perfetta espressione della democrazia, in stile russo.

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Luigi Mazzella, Critica della follia pura, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Luigi Mazzella, Critica della follia pura (a cura di Ylva Mazzella), Genesi Editrice, pp. 421, € 18,00.

A cura della moglie Ylva sono raccolti nel volume tanti scritti di Luigi Mazzella che, quasi quotidianamente afferra l’occasione per esercitare una intensa e serrata critica agli idola contemporanei; usiamo il termine di Bacone perché quello moderno, cioè fake news è stato affibbiato dai padroni della parola alle esternazioni dei loro oppositori. Il filo conduttore dei quali è la critica a convinzioni e idee che sotto l’apparenza di una razionalità (ma anche di bontà, di compassione, di umanità, ecc. ecc.) compiono le più profonde rotture col pensiero razionale e ragionevole. Scrive l’autore «la “follia” di cui io intendo parlare è quella racchiusa nelle fandonie utopiche e nei sogni irrealizzabili in questo o in altri mondi, diffusa dai “fratelli” cristiani di Erasmo e, dall’Ottocento, dai “camerati” e dai “compagni” figli del post-platonico Hegel. Più che una follia è una caligine (mediorientale e teutonica) che annebbia la ragione e induce gli Occidentali a fare scelte sbagliate». E l’autore non pensa che attualmente le ideologie se la passino tanto male, ad onta del fatto che nel secolo scorso hanno esaurito, con due colossali sconfitte rapidamente il proprio “ciclo”. Questo perché i fideismi hanno soltanto cambiato le derivazioni (scriverebbe Pareto).

Al posto della società senza classi (Marx) e del Reich millenario (Hitler) hanno innalzato idoli (e idola) nuovi: dall’ambiente (e il clima) ai diritti umani, a quelli degli animali. E questi nuovi idola vengono usati essenzialmente per indicare il nemico da combattere, caricandolo di negatività ed anche di crimini, spesso di cui non è neppure responsabile. E dietro i quali si intravede una delle regolarità del politico: quella, tucididea della lotta per il potere e il dominio dell’uomo sull’uomo.

Oltretutto con ragionamenti spesso ingenuamente (ma occultamente) irrazionali, quelli che Freund  chiamava “razioidì”. Ad esempio il cambiamento climatico che tanto preoccupa (anche) l’UE, attribuito al consumo di combustibili fossili. Ma i dati dicono che il più inquinante dei quali, cioè il carbone, è utilizzato, per circa un terzo della produzione mondiale, dalla Cina, e per un altro 15% dall’India, mentre l’UE ne brucia neanche il 7%.

C’è da chiedersi perché Greta (e gretini al seguito) non vadano a manifestare da Xi o da Modi, invece che a Bruxelles. Forse se convincessero i leaders cinesi ed indiani il pianeta ne avrebbe un beneficio superiore.

La scarsa congruità allo scopo dichiarato della transizine climatica limitata all’Europa fa pensare che gli interessi sottostanti siano tutt’altri.

A questo punto tre considerazioni, per non gravare il lettore di una recensione che seppur meritata dal libro, sarebbe troppo lunga.

La prima: è vero che le religioni monoteistiche sono connotate da una intolleranza strutturale, perché se Dio è unico, vuol dire che gli dei degli altri non sono tali o meglio sono creature infernali, per cui il politeismo greco-romano, apprezzato da Mazzella, è per sua natura tollerante (vedi il Pantheon). Solo che anche per il politeisti – e per qualsiasi altra comunità umana, c’è un  nemico. Quello che nega la tolleranza del politeismo. Così ai tempi nostri, i nemici dei liberali, anche di quelli classici, erano coloro che negavano la libertà: cioè i vari totalitarismi. I regimi liberali, nazisti e comunisti erano largamente secolarizzati, onde la regolarità amico-nemico funziona in assenza di Dio. Perché in ogni sintesi politica c’è sempre qualcosa di assoluto: nel caso più “laico”, quello dell’esistenza della comunità.

La seconda è che le derivazioni (anche) dei totalitarismo erano costituite da mete superiori, mai raggiunte dall’umanità: che richiedevano uno sforzo prometeico. Le odierne paiono alla portata di qualsiasi frequentatore di internet e delle di esso limitate (e private) aspirazioni. Quelle erano ideali di società in  ascesa, queste di decadenti.

Non a caso (e siamo a tre) Mazzella ci ricorda le ciminiere europee che scompaiono e il capitalismo che qui è diventato essenzialmente finanziario.

Le conseguenze, ci ha ricordato qualche anno fa un generale, uno dei più influenti teorici militari cinesi è che il potere militare (e quindi politico) è quello di coloro che producano più beni reali, cioè, già da oggi, della Cina. E chi ha più potere, finisce sempre col comandare a chi ne ha di meno.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Gli Hawks spingono per un tour di reunion dell’asse del male, di DANIEL LARISON

Hawks pushing for 'axis of evil' reunion tour
ANALISI | POLITICA DI WASHINGTON

Il capo del Comando indo-pacifico, l’ammiraglio John Aquilino, ha recentemente messo in guardia i membri della Commissione per i servizi armati della Camera sulla crescente cooperazione tra Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, affermando: “Siamo quasi tornati all’asse del male”.

Negli ultimi anni si è assistito a una sorta di reviviscenza di questa screditata idea dell’era Bush, ed è diventato sempre più comune per i membri del Congresso e ora per gli alti ufficiali militari descrivere le relazioni tra i vari Stati autoritari utilizzando una qualche versione della ridicola frase di George W. Bush.

Se è vero che c’è stata una maggiore cooperazione tra questi quattro governi, è pericoloso e fuorviante suggerire che essi formino qualcosa di simile a una stretta alleanza o coalizione. Se gli Stati Uniti dovessero “agire di conseguenza”, come raccomanda l’ammiraglio Aquilino, rischierebbero di avvicinare molto di più questi Stati e di creare proprio l’asse che i funzionari statunitensi temono.

Le parole di Aquilino sono rivelatrici. Quando ha detto che “siamo quasi tornati all’asse del male”, sembra suggerire che egli pensi che ce ne sia stato uno reale che funge da modello per il gruppo attuale. Il primo “asse del male” denunciato da George W. Bush nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 2002 era composto da tre Stati – Iran, Iraq e Corea del Nord – uniti solo dall’ostilità di Washington nei loro confronti. L’Iran e l’Iraq erano nemici da tempo e lo erano ancora all’epoca, e la Corea del Nord fu aggiunta al mix per non essere completamente concentrata sui Paesi a maggioranza musulmana. Questi Stati non lavoravano insieme e due di essi si opponevano l’uno all’altro.

Non c’era un asse allora e non c’è ancora adesso.

Lo scopo di legare insieme avversari non correlati è sempre stato quello di esagerare le dimensioni della minaccia per gli Stati Uniti per spaventare i politici e l’opinione pubblica e indurli a sostenere più spese militari e più conflitti all’estero. Se gonfiare la minaccia di un singolo avversario non è sufficiente a instillare sufficiente paura, l’invenzione di un asse che includa alcuni o tutti gli avversari del mondo può essere molto utile ai falchi. Poiché richiama automaticamente alla mente la Seconda Guerra Mondiale e la lotta contro le Potenze dell’Asse, li aiuta anche a demonizzare gli altri Stati e a soffocare il dissenso interno. I sostenitori delle politiche dei falchi in ogni regione saranno quindi incentivati ad abbracciare la retorica dell’Asse e a rafforzare queste opinioni tra i loro alleati politici.

Negli ultimi mesi diversi funzionari eletti, attuali e passati, hanno fatto riferimento a un nuovo “asse del male”. Il leader della minoranza del Senato Mitch McConnell (R-Ky.) ha usato questa espressione lo scorso ottobre, dimostrando il suo potenziale di gonfiare le minacce: “È un’emergenza che dobbiamo affrontare questo asse del male – Cina, Russia, Iran – perché è una minaccia immediata per gli Stati Uniti. Per molti versi, il mondo è più in pericolo oggi di quanto non lo sia stato nella mia vita”.

L’ex governatore della Carolina del Sud, Nikki Haley, l’ha usato per rafforzare le sue credenziali da falco quando si è candidata alla presidenza. I senatori Tim Scott (R.C.) e Marsha Blackburn (R.T.) Anche Tim Scott (R-S.C.) e Marsha Blackburn (R-Tenn.) si sono lasciati andare alla paura.

I quattro Stati che i falchi vogliono raggruppare come parte di un asse oggi hanno alcuni rapporti tra loro, ma le loro relazioni di sicurezza sono piuttosto deboli. Nessuno di loro è formalmente alleato della Russia, e Russia e Cina non hanno alcun obbligo di venire in aiuto dell’Iran. Tutti e quattro i governi sono guidati da leader intensamente nazionalisti e nutrono rancori per umiliazioni e conflitti passati che rendono difficile stabilire legami più stretti.

La Russia si è rivolta all’Iran e alla Corea del Nord per ottenere forniture di armi per la guerra in Ucraina, ma questo è stato il limite dei loro legami di sicurezza più stretti. Dei quattro Paesi, solo la Cina e la Corea del Nord hanno un trattato formale di difesa, ma nonostante ciò, la Cina e la Corea del Nord hanno un rapporto difficile. In particolare, la Cina si è astenuta dall’offrire alla Russia aiuti letali nella sua guerra in Ucraina. La partnership “senza limiti” che i due Paesi hanno annunciato poco prima dell’invasione russa del febbraio 2022 si è distinta per il limitato sostegno cinese alla Russia. Non si tratta certo di un’alleanza globale in fieri.

Il pericolo di basare la politica estera degli Stati Uniti su cose immaginarie dovrebbe essere ovvio. Se i politici statunitensi credono che la Russia, la Cina, l’Iran e la Corea del Nord formino un asse quando non è così, questo distorcerà le politiche statunitensi verso tutti e quattro gli Stati in modo distruttivo. Invece di individuare i modi migliori per affrontare le controversie degli Stati Uniti con ciascun Paese, compreso l’uso dell’impegno diplomatico e l’alleggerimento delle sanzioni ove appropriato, ci sarà una forte tentazione di vedere ogni problema con ciascuno Stato come parte di una rivalità globale in cui non ci sarà spazio per il compromesso e la riduzione delle tensioni.

Quanto più i funzionari di Washington vedranno questi Stati come una coalizione ostile, tanto meno saranno propensi a negoziare con qualcuno di loro per paura di dare un segnale di “debolezza” agli altri.

Un’altra insidia della convinzione che questi Stati formino un asse è che ciò compromette la capacità di Washington di stabilire le priorità e di elaborare una strategia realistica per garantire gli interessi degli Stati Uniti. Una volta che i responsabili politici si convinceranno che tutti e quattro gli Stati sono collegati tra loro come parte di un asse, si rifiuteranno di distinguere tra interessi vitali e periferici e insisteranno sul fatto che gli Stati Uniti devono “contrastare” l’asse immaginario in ogni angolo del mondo. Ciò esacerberà le cattive abitudini di Washington di impegnarsi troppo e di investire troppo nelle regioni meno importanti.

Collegare Russia, Cina e Iran come parte di un asse è diventata una delle mosse retoriche preferite da alcuni falchi dell’Iran a Washington. Mike Doran dell’Hudson Institute, ad esempio, ha cercato di usarla per promuovere una politica più aggressiva contro l’Iran proprio di recente:

“L’Iran è l’anello debole dell’asse Russia-Iran-Cina. Gli Stati Uniti dovrebbero insistere su questa debolezza piuttosto che cercare di mantenere lo status quo. Mosca e Pechino ne prenderebbero certamente atto. Il modo più rapido per portare Putin al tavolo dei negoziati è indebolire il suo alleato, l’Iran. Perché le nostre élite di politica estera non sono in grado di riconoscere un’opzione strategica così ovvia?”.

Questo piano presenta alcuni difetti: l’asse in questione non esiste; la Russia e la Cina non avrebbero problemi se gli Stati Uniti volessero sprecare le loro risorse in un altro costoso conflitto mediorientale; la Russia e l’Iran non sono realmente alleati e indebolire l’Iran non sarebbe importante per il governo russo. Se gli Stati Uniti pensano erroneamente di poter infliggere danni a uno Stato autoritario minando gli altri, sprecheranno risorse e opportunità di impegno in cambio di nulla.

Nella misura in cui questi quattro Stati lavorano a più stretto contatto rispetto al passato, le politiche aggressive degli Stati Uniti hanno incoraggiato questa collaborazione. La ricerca del dominio degli Stati Uniti in ogni regione crea incentivi per le potenze regionali ad aiutarsi a vicenda, e il frequente uso di sanzioni da parte di Washington per punire tutti questi Stati dà loro un motivo in più per aiutarsi a vicenda a eludere le sanzioni.

L’approccio corretto degli Stati Uniti per aumentare la cooperazione tra questi Stati è quello di sfruttare le divisioni esistenti e di raggiungere un modus vivendi con il maggior numero possibile di Stati per spingere i cunei tra di loro.

Freund e Todd tra decadenza e disfatta di civiltà Con Roberto Buffagni Teodoro Klitsche de la Grange

Il tema della decadenza di una civiltà non è nuovo tra politologi e filosofi. Julien Freund ne è un acuto osservatore. La tesi assume contorni più nitidi e chiari a partire da metà ‘800. Al giorno d’oggi appare drammaticamente attuale anche se paradossalmente la percezione risulta più acuta tra le classi popolari e nel ménage quotidiano piuttosto che tra le élites e le classi dirigenti europee e statunitensi, non ostante tale processo stia assumendo le caratteristiche e le dimensioni di una vera e propria catastrofe. Emmanuel Todd lo ha sottolineato con certosina accuratezza. Due autori e due loro testi caduti sotto la lente di osservazione di Roberto Buffagni e Teodoro Klitsche de la Grange. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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COMUNISTI E STATO, di Pierluigi Fagan

COMUNISTI E STATO. (Qualcuno si domanderà dell’attualità e senso di questo post rispetto ai discorsi che qui sviluppiamo da tempo. Va letto, purtroppo, per scoprirlo). Il rapporto teorico e pratico tra comunisti e Stato è assai problematico.
La concezione dello Stato nello sviluppo del lavoro teorico di Marx ed Engels è di lenta e mai ultimata precisazione. Ma la linea principale vedeva l’idea di impossessarsi dello Stato con la forza per poi far deperire lo Stato per lenta autodemolizione nella fase della “dittatura del proletariato”, in favore di un modello finale che Marx idealizza nella Comune di Parigi (1871).
Ma la Comune durò scarsi due mesi, era una città non uno Stato come dimensioni e complessità di funzioni. Lenin rimarrà strettamente ortodosso nel perseguimento della strategia marxiana, ma la prematura morte portò poi a Stalin dove si realizza l’esatto contrario, la creazione di uno Stato totalitario, burocratico e poliziesco.
E tuttavia, va osservato, Marx idealizzava su una comunità di 1,8 milioni di parigini neanche alle prese con responsabilità di governo di un ente nazionale esteso, invisi certo ai poteri di mezza Europa, che per due mesi fecero baldoria producendo mito e speranza, ma Stalin guidava una nazione assediata non solo dagli europei (tra cui poi i nazifascisti) ma dagli anglosassoni con americani sempre più rilevanti, ma anche famelici giapponesi, per più di trenta anni, con una estensione territoriale immensa e con tra 150 e 200 milioni di abitanti.
Ora, in pura linea teorica, il pensiero marxiano dialettico, prevede un circolo ricorsivo tra teoria e prassi per il quale l’azione è premessa in teoria ma questa è poi modificata dall’azione o meglio dalla presa in atto dei suoi effetti. Su questo argomento dello Stato però, la parte teorica è della seconda metà dell’Ottocento, basata su standard europei e nelle sole menti di Marx ed Engels con giusto lo spunto concreto, limitato, della Comune. Marx dice chiaramente che l’intento ultimo è il superamento dello Stato, non meno di quanto non lo teorizzavano anche gli anarchici, solo, sul piano della prassi politica, era necessaria una fase di transizione in cui bisognava impossessarsi dello Stato per poi farlo deperire lentamente dal di dentro, preparando e guidando il suo “superamento”. Allora, si sarebbe poi potuto passare alla radiosa seconda fase di una società senza classi con una attesa e data per certa, esplosione di libero sviluppo delle forze produttive. Promessa o attesa basata su cosa non si sa, per quanto addirittura vantata come “scientifica”, in pieno delirio positivista.
La parte pratica fu solo per poco nelle mani guida di Lenin fedele all’impianto marxiano e presto passata nelle mani di Stalin che però doveva gestire una situazione concreta innegabilmente incongruente rispetto alla teoria e sue aspettative astratte. Per esser chiari, s’immagini di prendere a modello i due mesi della comune di Parigi e si pensi a come farlo diventare il modello della nazione sovietica sotto attacchi molteplici, nella complessità socio-storica di un secolo dopo, con 150 milioni di abitanti con altrettante etnie su un territorio non sempre facile ed immenso, in marcia verso il comunismo.
Si sarebbe allora dovuto realizzare la chiusura del circolo dialettico e riformulare in qualche modo la teoria sulla base delle prassi e del realismo, ma ciò non fu mai fatto. Lo Stato staliniano divenne un fatto duro e ben chiaro nella forma che nulla aveva a che fare con le premesse teoriche di un secolo prima, anzi ne era la specchiata inversione. Per esser di nuovo chiari: che cosa altro avrebbe potuto o dovuto fare Stalin anche ammesso non fosse lo Stalin che poi conosciamo?
Il ruolo di Lenin in questo processo fu quello di aver preparato la forma che doveva gestire la transizione della prima fase del processo di sviluppo verso il comunismo, centralizzando, dando al partito sempre più e sempre meno ai soviet, ma in vista del deperimento dello Stato conformemente la teoria di M/E. Quando morì, Stalin ereditò una forma che però usò in modo del tutto opposto, assumendola come forma migliore senza traguardi di superamento dello Stato, come unica forma possibile. Quanto ciò corrispondesse a sua preferenza ideologica o quanto fosse invece semplicemente realistico data la situazione socio-storica, è questione che qui non ci interessa. Sta di fatto che la storia teorico-pratica del rapporto tra pensiero e prassi politica comunista e Stato, è spezzettata teoricamente e invertita nei fatti, dimostrandosi una non teoria.
Si realizza così il paradosso su cui già Marx aveva avvertito: ogni rivoluzione finisce poi con il perfezionare la macchina dello Stato che pure doveva spezzare negli intenti.
Se allora la teoria comunista non ha invero una vera teoria dello Stato ed anzi a presupposto ne ha vagheggiato l’estinzione programmata senza prender atto che cinquemila anni di storia di civiltà umana mostra la totale dominanza strutturale, universale per tempo e spazio, di una qualche forma di Stato (responsabilità teorica di Marx), allora la teoria comunista non ha senso politico usabile.
In più, non considerare la differenza strutturale tra modelli micro (Parigi) e macro (URSS) e voler comprimere per pura volontà il tempo storico necessario ad ogni transizione, tempo tanto più lungo, contraddittorio e complesso, quanto più è complessa la struttura stessa di ciò che va in transizione, comprimendo anzi a forza tale complessità nei meccanicismi ciechi della confusa ed inebriante furia rivoluzionaria, aggrava la non usabilità di questa ipotesi teorica senza fondamenti realistici. La teoria è ingombra, spesso, di tardivi slanci indealistico-romantici che dovrebbero andare a verifica ora che son passati un secolo e mezzo di anni.
Infine, con la mancanza di lettura di come strutturalmente ogni fatto politico socio-storico di un determinato popolo o Paese, debba fare i conti con le pressioni di diverso contesto geo-storico, la cultura comunista si è condannata ad una cecità del reale fatale.
Da ultimo, c’è un grave problema nell’ambiente teorico marxista per il quale l’impostazione marxiana (IIa ed XI Tesi su Feuerbach) dell’anello ricorsivo teoria1-prassi-teoria2, secondo poi Gramsci l’essenza che sorreggeva questa visione politica del mondo e della trasformazione sociale, non è mai stata applicata. Quando nel 1991 crolla l’URSS, l’ambiente teorico marxista, ebbe l’occasione di riservarsi uno spazio libero per operare questa revisione proprio sulla base di ciò che era stata l’URSS, fuori ormai dal conflitto Novecentesco avendo nei fatti perso tutto. Ma non lo fece. Così rimane lì morta questa linea teorica che pure qualcuno ritiene ancora semi-viva o rivitalizzabile o solo da rimpiangere in un esteso e malinconico “sarebbe stato bello se…”.
Peccato, l’idea di Marx del circolo teoria-prassi è ottima e senza alternative, peccato sia stata solo enunciata e mai praticata. Se praticata, anche tardivamente dopo il 1991, oggi avremmo un qualche straccio di alternativa teorica alle forme politiche in cui viviamo. Forse i comunisti si sarebbero dati una calmata osservando un po’ più la complessità di tali auspicate trasformazioni comportano, forse avrebbero capito come utilizzare la democrazia (non quella che noi chiamiamo democrazia ovvio). Forse oggi invece che continuare a scrivere inutili libri sulle forme economiche, questo pur rilevante serbatoio di spesso acuti pensatori, si sarebbe dedicato allo sviluppo di nuova teoria politica.
Imparare dagli errori, anche tardivamente, sarebbe comunque onorare finalmente l’intuizione pragmatica di Marx, ma pare che ancora a pochi sia venuta in mente l’idea di intraprendere questa revisione lasciata lì abbandonata e senza seguito. Peccato che tanti di quell’ambiente teorico, preferiscano rimanere nella Scolastica della difesa dei dogmi del Libro (o più che “un” libro” una collezione di citazioni estrapolate qui e là), festeggino attualità e vivezza del pensiero del grande Maestro (che vedono spesso solo loro e qualche volta il the Economist uso farci ogni tanto delle belle copertine pop), trovino magie da Marx ecologista, ambientalista, femminista e quant’altro di anacronistico di possa inventare e continuino, ostinati oltre ogni ragione, a fondare e rifondare inutili partitini surreali come le mosche della bottiglia di Wittgenstein.
Se l’azione ovvero la realtà verificata, non torna al pensiero modificandolo, non si va da nessuna parte. Vale per gli individui, le società, i gruppi, gli intenti politici di ogni ordine e tempo.
INVOCARE UN JIHAD CULTURALE.
Sebbene di jihad (maschile), Scarcia Amoretti ne rilevi presenza solo in cinque casi del Corano (meccano), se ben ricordo, solo in due aveva significato di “guerra santa”, probabilmente retaggio del periodo medinese o successivo (non è una contraddizione, nella composizione del Corano ci sono famosi problemi di interpolazione temporale nei blocchi meccano-medinese). Per tre volte, jihad, è semplicemente “sforzo nella fede”.
Sempre se ben ricordo, Cardini, raccontava di un viaggio al Cairo in cui gli fecero visitare una scuola media dove c’era la settimana del jihad contro le mosche. Uno sforzo collettivo per gestire il problema sanitario della presenza delle mosche. Data la struttura atipica del sistema imam rispetto i nostri concetti di clero o chiesa, il jihad qualcuno può anche proclamarlo ma con dubbi effetti visto che non c’è centralizzazione di sistema. Più che altro si “invoca”, si lancia un avviso, si aspetta venga raccolto.
Ora, io credo che molti di noi non ce la facciano più. Non ce la facciamo più di esser anche aggressivamente e captivamente accerchiati dall’ignoranza e dalla sua fiera e prepotente esibizione. C’è un preciso dispositivo in sviluppo per coltivare intensamente la stupidità artificiale al fine di rendere la mente una trasmissione del comando comportamentista. Questo e il dominio della società dell’informazione e non della conoscenza.
Troppe cose non vanno nel mondo che ci circonda, molte sono belle grosse e complicate, lo tsunami emotivo sull’ingiustizia dilagante ed incrementale cui siamo giornalmente sottoposti è intollerabile. E più aumentano e crescono di numero tali ingiustizie, più il discorso pubblico diventa dadaista, nessuno sembra interessato più a capire, solo a giudicare, like, dislike, binarismo comportamentista, gabbie di Skinner, appunto.
Io credo che, non so come, i dispersi che soffrono in questo bagno di sfarinamento culturale delle nostre società, dovrebbero cominciare a gravitare maggiormente su alcuni punti, stante poi le varie, profonde, ampie differenze ed a volte divergenze su ciò che consegue il porre assunti iniziali, più semplici e quindi “ecumenici”. Uno di questi punti in comune, dovrebbe essere un jihad culturale, un far sapere che molti noi credono che l’informazione sia nulla senza la conoscenza. Abbiamo un urgente e disperato bisogno di capire di più e meglio, raccoglierne i dati è solo premessa.
Molti di noi non gliela fanno più a vedere rappresentato nel discorso pubblico un mondo fatuo di narcisisti patologici, di maschere da Vaudeville, di discorsi che non meritano la definizione, di ignoranti saccenti e supponenti, di polemici nevrotici, di bugie clamorose urlate come verità ultime, di quel fenomeno della torma di ignavi con cui se la prendeva anche Andrea Zhok in un post di ieri, code ingrossanti di irresponsabili che parlano di guerra con la bava alla bocca e non solo. E ‘mo basta! Diamine, tocca dargli un limite!
Dal Covid da Gaza, via Ucraina ed Ambiente e Clima, più altre migliaia di argomenti e fenomeni inquietanti, assistiamo stupefatti alla riduzione di complessità da esplorare con cautela epistemica a schemi interpretativi pre-razionali. Schemi conditi di emozione insopprimibile che portano molti incontinenti emotivi a vomitare a cascate i loro giudizi isterici, forse terapia di sfogo individuale, ma che inquina il paesaggio mentale comune. Sguazziamo nel vomito emotivo direzionato a precise tabelle di disgusto, gabbie di Skinner, di nuovo.
Non so dire cosa più precisa. Inviterei chi vuole, a riflettere su come usare ad esempio qui le nostre uscite “social” (cominciando a contestare i termini, questo non è un “social” è un semplice aggregatore di individualità debolmente e limitatamente interrelate secondo giudizio di algoritmi opachi), per denunciare questo nostro crescente di disagio, trasformandolo in indignazione.
Vogliamo capire di più, discutere proficuamente di più, esplorare di più, le società umane sono culture, le culture vanno coltivate. C’è molto da capire del mondo in cui siamo capitati, i nostri schemi conoscitivi soffrono come i medioevali soffrirono l’avvento del moderno, anche peggio come entità del “salto” di conoscenza che sembra esserci richiesto. Se a questi richiami del reale e del concreto continuiamo a rispondere con gli standard attuali del discorso pubblico, soffriremo sempre di più, pene materiali, non intellettuali. Soffriremo ovviamente secondo la scala sociale, le pene di prima classe si scaricheranno in seconda e così a cascata fino alle sempre più ampie stive dei passaggi ponte.
Tocca cominciare a porre dei limiti. Non servono “appelli in difesa”, servono “appelli in attacco”.
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L’Occidente si defila disperatamente mentre il gioco dell’ISIS in Ucraina gli si ritorce contro, di SIMPLICIUS THE THINKER

L’Occidente si defila disperatamente mentre il gioco dell’ISIS in Ucraina gli si ritorce contro

Da quando si sono verificati gli attacchi al Krokus, l’Occidente ha cercato in tutti i modi di attribuire la colpa all’ISIS, assolvendo l’Ucraina da ogni responsabilità. La disperazione con cui si è arrivati a questo punto rivela il gioco e ci dice tutto ciò che dobbiamo sapere sulla natura degli attacchi.

Ascoltate Grant Shapps alla fine del video qui sopra, la cui maschera scivola quando rivela apertamente: “Dobbiamo resistere allo sforzo di Putin di collegare l’ISIS all’Ucraina”.

Ma prima di continuare, ricordiamo come quasi tutti i precedenti attacchi terroristici negati dall’Ucraina abbiano finito per essere tranquillamente ammessi in seguito.

Lo stesso vale per Nord Stream e molti altri. Allora perché questo accanimento da parte dei commentatori occidentali sul fatto che l’Ucraina non ricorrerebbe mai all’uccisione di civili?

Dopo tutto, proprio ieri il capo dell’SBU ucraino Vasyl Malyuk si è lanciato in una lunga serie di confessioni, ammettendo “ufficiosamente” la responsabilità dell’Ucraina nell’uccisione di Ilia Kiva, Vladlen Tatarsky e altri.

E chi può dimenticare l’uso da parte dell’Ucraina di un inconsapevole “kamikaze” civile nell’attacco terroristico al ponte di Kerch? Tra l’altro, lo stesso Malyuk di cui sopra ha anche appena ammesso che il ponte di Kerch non è più utilizzato per scopi militari:

L’Ucraina potrebbe “potenzialmente” distruggere il ponte di Crimea costruito illegalmente dalla Russia a Kerch, anche se attualmente non viene utilizzato per portare armi e munizioni nella Crimea occupata, ha dichiarato il capo del servizio di sicurezza ucraino SBU, il tenente generale Vasyl Malyuk, in un’intervista rilasciata all’emittente ucraina ICTV il 25 marzo.

Questo fatto da solo svela molto dell’Ucraina e della sua strategia perversa di vincere in qualche modo la guerra mettendo “alle strette” la Russia con la distruzione del ponte. Ora ammettono che il ponte non ha alcun ruolo militare per le forze russe, quindi perché distruggerlo dovrebbe avere un qualsiasi effetto sulla capacità della Russia di tenere la Crimea? È chiaro che il ponte come obiettivo sacro è lì solo per i tipici scopi di pubbliche relazioni, non per una vera vittoria.

Ma torniamo indietro.

Gli Stati Uniti e i loro amici davvero, davvero, davvero vogliono che sappiate che non è stata l’Ucraina a compiere gli attacchi a Mosca, ma “l’ISIS”. Chiunque abbia una comprensione anche solo funzionalmente adulta di come funziona il mondo capirà innanzitutto che dietro l’attacco c’è l’Ucraina. Certo, è possibile che sia stato uno dei suoi sponsor, la CIA o l’MI6, ma il fatto che la CIA abbia dichiarato di aver avvertito la Russia di un’imminente azione terroristica sembra mi che implichi che l’Ucraina sia diventata una canaglia, e che persino gli Stati Uniti non siano stati d’accordo con le loro mosse gravemente eccessive.

È stato appena reso noto che gli Stati Uniti hanno “avvertito” l’Ucraina di smettere di provocare la Russia colpendo le sue strutture energetiche, ricordate? Gli Stati Uniti hanno chiaramente divergenza con il loro piccolo pitbull su come procedere ulteriormente, dal momento che l’amministrazione di Biden sta diventando avversa ai crescenti rischi di provocare l’Orso nucleare.

Pertanto, diventa abbastanza plausibile che la CIA abbia tentato di avvertire la Russia come un modo potenzialmente indiretto per allontanare l’Ucraina dal piano all’ultima ora. Ma il disperato e sanguinario Zelensky non si fermerà davanti a nulla per placare i suoi padroni più occulti, che operano attraverso le pieghe invisibili del più grande apparato “statunitense”.

Ecco una teoria approfondita su come probabilmente è accaduto davvero:

Secondo i “dati soggettivi” a mia disposizione, i terroristi tra i cittadini del Tagikistan sono stati sottoposti a lezioni religiose condotte su Internet (guarda il video), che erano le istruzioni ideologiche dello “Stato Islamico di Valayat Khorosan (IGVC)”.

Inoltre, a quanto mi risulta, almeno uno di loro era in una chat room chiamata “Rahnamo ba Khuroson” (Rohnamo ba Khuroson).

Un cittadino del Tagikistan, Salmon Khurosoni, curava (e cura) gruppi di elaborazione religiosa. È stato Salmon Khurosoni a effettuare il primo reclutamento di terroristi islamici.

In alcuni ambienti si dice anche che Khurosoni sia un collegamento intermedio tra lo Stato Islamico del Khorosan Wilayat (IGVC) e la Central Intelligence Agency (CIA) degli Stati Uniti.

Nonostante i terroristi dello Stato Islamico non promettano ricompense finanziarie per i loro attacchi terroristici, ma promettano il Paradiso eterno… tuttavia, con l’assistenza di Salmon Khorosani, è stato approvato un importo di 500.000 rubli, che avrebbe dovuto coprire i costi dell’attacco.

In seguito, i compiti e le istruzioni in Turchia erano già stati fissati da un emissario-mediatore, che, presumibilmente, è un membro del personale di un servizio speciale straniero (residente). E questi, a sua volta, ha inviato il bayat (il giuramento dell’ISIS) allo stesso Salmon Khurosoni.

Inoltre, l’Ucraina non era l’ultimo anello del loro piano di ritiro. Un altro emissario non identificato dell’intelligence straniera, che si trova in Ucraina, avrebbe dovuto inviarli direttamente in Turchia e poi in Afghanistan.

È in Afghanistan che si trova il presunto leader ideologico (cioè ideologico, non parlo del cliente) dell’attacco terroristico a Mosca, Salmon Khurosoni. 

Di fatto, assistiamo all’apoteosi dello sviluppo del terrorismo ibrido, ovvero del franchising di marca: una parte che vuole colpire l’altra, ricorre all’aiuto di una terza. Compreso il caso in cui l’esecutore viene reclutato sotto la terza bandiera, cioè pensa di adempiere a una volontà, mentre in realtà dietro c’è un’altra.

Rileggete la parte finale in grassetto.

È così che funziona la moderna guerra ibrida. Ogni attacco è diverso: ce ne sono alcuni in cui l’Ucraina vuole far conoscere pubblicamente la sua impronta o la sua responsabilità come messaggio diretto alla Russia, oltre che come sforzo per risollevare il morale del proprio pubblico. Ma c’è un’altra classe di attacchi il cui scopo è quello di destabilizzare la Russia dall’interno senza riconoscere l’impronta dell’Ucraina nell’azione.

In realtà, sapere che è stata l’Ucraina in questo caso significherebbe vanificare l’intero scopo: l’intero scopo di questo attacco era quello di architettare la narrativa secondo cui il “regime di Putin” sta generando un tale malcontento a livello globale che sta iniziando a ritorcersi contro il suo stesso popolo, con l’obiettivo di mobilitare la discordia all’interno della società contro il Cremlino. Se la gente sapesse che c’è lo zampino dell’Ucraina, l’effetto sarebbe totalmente invertito, facendo dell’Ucraina il parafulmine del devastante attacco terroristico e galvanizzando ancora di più i russi contro il loro nemico.

In questo caso, era assolutamente necessario che l’Ucraina si avvalesse dei servizi di una terza parte, e così ha ingaggiato alcuni criminali attraverso un intermediario con un comodo collegamento con l’ISIS. Ma la tempistica è troppo ridicola per crederci: è simile ai “colpi migliori” della CIA, come l’inverosimile attacco con il gas che Assad ha effettuato proprio quando aveva spezzato la schiena al nemico e stava vincendo la guerra. È assolutamente incredibile che, proprio mentre la Russia ha inflitto all’Ucraina alcuni colpi senza precedenti, tra cui un attacco aereo massicciamente paralizzante, e proprio mentre gli organi di stampa stavano strombazzando titoli devastanti sull’imminente collasso dell’Ucraina, l’ISIS abbia deciso di compiere un attacco del tutto inusuale a Mosca? Bisogna essere infantilmente creduloni per credere a queste improbabili coincidenze.

Ci sono alcuni semplici fatti:

1. Primo, e più importante, questi mercenari non hanno dichiarato in alcun modo gli obiettivi dell’ISIS e la sua ideologia durante l’azione. Non hanno fatto alcuna richiesta. Non hanno fatto dichiarazioni.

2. Hanno seguito una tempistica ben pianificata che ha permesso loro di lasciare la scena del crimine prima dell’arrivo delle Forze speciali. Poi hanno cercato di fuggire in Ucraina. Qualsiasi abnegazione ideologica era fuori questione.

3. Hanno ricevuto denaro per l’attacco. Metà della somma è stata data loro prima dell’attacco terroristico, l’altra metà sarà ricevuta dopo l’evacuazione.

4. Non si sono suicidati durante la detenzione. Non hanno nemmeno tentato di farlo. Sono scappati come topi. Non hanno nemmeno provato a combattere. Sono stati tutti catturati vivi.

E un altro parere di esperti.

Senza contare che gli aggressori sono stati ovviamente catturati mentre si dirigevano verso l’Ucraina, un fatto ormai accertato con una precisa geolocalizzazione dai video sul campo :

Noterete che a Bryansk c’è una biforcazione che permette di prendere diverse strade: loro hanno scelto specificamente la via meridionale verso la regione ucraina di Sumy.

E una precisazione importante: proprio in questi giorni sta circolando la propaganda ucraina secondo cui oggi Lukashenko avrebbe “smentito la narrazione del Cremlino” sottolineando che i terroristi hanno prima tentato di entrare in Bielorussia, ma le forze bielorusse li hanno bloccati, costringendoli a scegliere l’Ucraina come seconda opzione.

È una menzogna totale.

Ho studiato ora l’esatta dichiarazione di Lukashenko, che in effetti sta rispondendo a un giornalista che ha chiesto: “È possibile che siano entrati in Bielorussia?”.

In sostanza, ha detto: “No, perché abbiamo messo delle forze e in ogni caso sarebbero stati costretti ad andare altrove”. In breve, sta rispondendo a un’ipotesi: anche se avessero voluto entrare in Bielorussia, non sarebbero stati in grado di farlo, ma non ha affatto affermato che sarebbero venuti definitivamente in Bielorussia. Si tratta di una deliberata errata caratterizzazione da parte dei propagandisti ucraini.

In effetti, in tempo di guerra si può immaginare che il confine sia impossibile da attraversare senza sistemazioni molto speciali, che i terroristi hanno chiaramente avuto dai loro amici ucraini. Senza contare che l'”ISIS” non è in grado di fornire una scorta di armi in Russia da utilizzare da parte delle vittime: solo i capi dell’SBU ucraino avrebbero potuto fornire tali armi dall’Ucraina all’interno della Russia.

La maggior parte di quanto sopra è in linea con ciò che il capo dell’FSB russo Bortnikov ritiene sia accaduto, come risulta dalle sue dichiarazioni odierne:

Cosa dice:

  • .Ritiene che dietro gli attacchi ci siano l’Ucraina, gli Stati Uniti e il Regno Unito

  • Ha alcune prove preliminari che suggeriscono questo legame, mentre le indagini sono in corso.

  • Secondo le sue conclusioni preliminari, i terroristi erano in realtà “attesi” al confine ucraino dai loro responsabili.

  • Insinua che Budanov sarà eliminato per le sue azioni.

E naturalmente anche Patrushev aggiunge i suoi due centesimi:

“Certo che era l’Ucraina”.

Putin ha anche rilasciato alcune nuove dichiarazioni sull’indagine in corso, corroborando il legame con l’Ucraina:

Alcuni analisti hanno persino ipotizzato che la scelta di Putin di usare un linguaggio ambiguo sia un segnale nascosto all’Occidente: sa esattamente chi è stato e può rivelarlo in qualsiasi momento, masta dando all’Occidente la possibilità di fare concessioni favorevoli e gesti di riconciliazione, in una certa misura .

Prestate attenzione:

La performance di Putin di ieri dimostra che c’è un’asta dietro le quinte.Attenzione al linguaggio ambiguo:

 Sappiamo che l’attentato è stato commesso per mano di islamisti radicali, ci interessa il committente;

 Dobbiamo ottenere risposte a una serie di domande, gli islamisti radicali hanno davvero deciso di colpire la Russia;

 È assolutamente chiaro che il terribile crimine di “Crocus” – è un’azione di intimidazione, ci si chiede a chi giovi.

A ciò si aggiunge la dichiarazione odierna di Peskov, secondo cui la Russia è aperta al dialogo con gli Stati Uniti, ma tutti i problemi devono essere discussi in modo esaustivo, ha dichiarato il Cremlino.

Peskov sta chiaramente accennando a un ritorno al dialogo strategico.

Cioè, c’è ancora una possibilità che il problema dei jihadisti possa diventare un denominatore comune per l’avvio dei negoziati.Questo apre la possibilità di tornare a discutere le proposte di Erdogan per la stabilità strategica.

Se questo non dovesse accadere con un alto grado di probabilità, ai colpi ai ponti sul Dnieper (anche a Kiev) e ai nuovi tentativi di blackout come ora si aggiungeranno i colpi all’energia e allo stoccaggio del gas a Kharkov.

In breve: “Siamo disposti a far finta che si tratti dell’ISIS se vi sedete al tavolo e fate ammenda lavorando per obiettivi comuni. Ma se volete giocare duro, “troveremo” la colpa per l’Ucraina e poi alzeremo pesantemente la temperatura su di loro, attraverso massicci attacchi alle infrastrutture ed escalation militari”.

Un’altra possibilità:

#ascolti
A giudicare dall’analisi degli eventi delle ultime tre settimane, qualcuno provoca specificamente un aumento della temperatura nella crisi ucraina.

Da questo segue:
1. Gli eventi avranno un picco per due settimane e torneranno di nuovo normali. 2. La crisi ucraina è in attesa della massima intensità, le tragedie saranno massicce e costanti. Glieventi raggiungeranno il picco per due settimane e torneranno di nuovo alla normalità.
2. La crisi ucraina è in attesa della massima intensità, le tragedie saranno enormi e costanti.

Attenzione. L’epilogo è molto vicino

La fonte spiega che la crisi ucraina è arrivata a un punto morto, dove i dirigenti hanno bisogno di un nuovo aumento per due cose.
1. Far fuori i soldi per finanziare ulteriormente la crisi.
2. Azzerare la crisi ucraina fino all’inizio del caso di Taiwan.

Stiamo osservando

Alcuni ritengono addirittura che Putin potrebbe lanciare un ultimatum all’Ucraina: lasciate tutti i territori del Donbass o si scatenerà l’inferno su tutti gli obiettivi precedentemente off-limits, a seconda di quale sarà la “risposta” dell’Occidente al dialogo dopo la Krokus:

Una fonte dell’entourage del Presidente russo ha riferito che Vladimir Putin sta prendendo in considerazione un duro ultimatum all’Ucraina. Il popolo chiede la vittoria e il Presidente è pronto a prendere decisioni difficili. 

Per completare il Distretto militare settentrionale e salvare il maggior numero possibile di vite dei nostri soldati, e anche per evitare una nuova mobilitazione, Vladimir Putin sta valutando l’opzione di un duro ultimatum all’Ucraina. Putin chiederà il ritiro delle truppe ucraine dal territorio russo (nuove regioni) e la resa volontaria di Kharkov, Nikolaev e Odessa. In caso di rifiuto, Mosca dichiarerà una vera e propria guerra a Kiev entro 24 ore. Dopo di che, entro 72 ore, Kiev, Leopoli, Dnieper, Poltava, Ternopil e Vinnitsa saranno distrutte. Il resto dell’Ucraina sarà soggetto a massicci attacchi con missili e bombe. I bombardieri Tu-22M3 con bombe FAB-5000 distruggeranno tutti i ponti sul Dnieper, gli aeroporti civili e tutte le infrastrutture ferroviarie. Il centro di Kiev, tutti gli edifici amministrativi e i bunker saranno distrutti dai “kinzhal”. Tutte le sottostazioni elettriche saranno distrutte da un singolo attacco con missili e bombe dei bombardieri Tu-95ms.

Le forze speciali delle Forze armate russe a Kiev arresteranno l’intera leadership dell’Ucraina e, se impossibile, la liquideranno sul posto. 

E questo è solo l’inizio! Tra 48 ore inizierà il culmine.

Prendete quanto sopra con un carico di sale di classe Ropucha, ma queste cose sono almeno lontanamente possibili data la portata della catastrofe che si è verificata, che credo sia ora al terzo posto tra le tragedie post-sovietiche – in termini di numero di vittime – dopo l’attacco di Beslan e gli attentati agli appartamenti di Mosca del ’99, superando persino l’attacco al teatro di Mosca del 2002 .

Quindi, anche se gli ucraini hanno nascosto bene le loro tracce per ora, è chiaro a chiunque abbia un cervello non offuscato dalla fede dogmatica che l’Ucraina è l’unica a trarne vantaggio. Naturalmente, è interessante anche il fatto che l’attacco sia avvenuto a poche ore dall’inizio del Purim, una festività che celebra la distruzione della loro nemesi da parte del popolo ebraico. Dico questo alla luce delle famigerate “minacce” fatte da uno dei leader del partito Likud, Amir Weitmann, secondo cui la Russia pagherà un prezzo pesante per il suo sostegno alla Palestina.

Probabilmente si tratta solo di una coincidenza simbolica.

Detto questo, molti in Ucraina e in Occidente hanno festeggiato gli attacchi, come questa stazione francese qui sotto:

Sul canale d’informazione francese LCI, la nota giornalista francese Anne Nivat parla con ammirazione dell’attacco terroristico a Mosca: “Se dietro ci sono gli ucraini, è un capolavoro assoluto, un lavoro fenomenale”.

O questo mercenario australiano:

Per concludere, è inutile dire che i legami dell’Ucraina con l’ISIS erano innumerevoli e ben noti:

Naturalmente, l’Occidente ha minacciato i russi comuni fin dall’inizio della guerra:

Cosa prevede tutto questo per la guerra?

È chiaro che il conflitto sta entrando in una nuova fase – anche se non sarò così drammatico come alcuni nell’esagerare che questo porterà a cambiamenti epocali immediati. L’Ucraina è semplicemente costretta a ricorrere a manovre sempre più disperate e pericolose per smantellare l’unità della Russia, e l’élite russa si sta sempre più consolidando sotto una forma di solidarietà ideologica quando si tratta degli obiettivi finali della guerra. Coloro che in precedenza si erano allineati alla linea, ora riconoscono che solo gli obiettivi massimalisti possono garantire la sicurezza nazionale della Russia.

Non solo Peskov ha promosso il conflitto a “guerra”, ma ora i servizi di sicurezza russi parlano apertamente di designare l’Ucraina come Stato terrorista, eliminare la leadership, ecc. E i recenti attacchi dimostrano che parte di questa retorica escalation non è un semplice servizio a parole. La Russia non solo ha colpito ieri a Kiev con missili ipersonici quelle che sostiene essere alcune posizioni di comando, ma ha anche inferto colpi devastanti alla rete elettrica, questa volta mirando a vere e proprie sale macchine e turbine irreparabili.

La Russia sta colpendo sempre più posizioni di comando; proprio oggi è stato misteriosamente annunciato il decesso di un generale polacco per improvvise e inaspettate “cause naturali”, proprio dopo che la Russia ha distrutto una roccaforte mercenaria a Chasov Yar. Coincidenza?

Ovviamente a questo si aggiungono le escalation della NATO e dell’UE, con un nuovo rapporto che afferma che la NATO sta ora “considerando” di abbattere i missili russi al confine con la Polonia, dopo che uno di essi avrebbe brevemente virato nello spazio aereo polacco durante i recenti attacchi alla regione di Lvov.

In realtà, ciò che è interessante è quanto sia stata forzata l’uscita allo scoperto dell’agenda della NATO, alla luce delle recenti esigenze. Qui, Borrell ammette apertamente – senza più preoccuparsi di aggrapparsi alla facciata – che la guerra in Ucraina riguarda solo gli interessi dell’Europa e non ha nulla a che fare con la cura del popolo ucraino:

Il segreto per decodificare il suo linguaggio già chiaro è capire che Borrell, come il resto della mafia euro-tecnocratica, non è eletto dai cittadini reali, ma piuttosto nominato da un’alta commissione senza volto.

Quindi, quando dice “we non possiamo permetterci che la Russia vinca questa guerra” perché sarebbe dannoso per i “nostri” interessi, a chi potrebbe riferirsi? Il noi non è certo il popolo che lui non rappresenta politicamente. È ovviamente il resto dell’élite comprador che controlla lo strato superiore dell’apparato governativo mondiale, cioè l’élite finanziaria e bancaria. Egli parla a loro nome.

Quindi, sta dicendo che la cabala bancaria mondiale non può permettersi che la Russia vinca la guerra, perché darebbe inizio a una cascata di conseguenze indicibili per la rete egemonica monetaria in cui hanno tentacolarmente avvolto l’intero globo.

Questi comprador di secondo piano si affannano ora a mettere insieme qualche strategia di “contenimento” dell’ultimo minuto per la Russia, dove Macron ha recentemente preso l’iniziativa.

La loro idea di contenimento dell’era della Guerra Fredda si basa su un’ulteriore militarizzazione della società, spendendo cifre record in armamenti e rafforzando gli altri vicini “prossimi” della Russia, come i Paesi baltici e la Moldavia, per prepararli a diventare il prossimo campo di battaglia su cui dissanguare la Russia.

L’articolo dell’Economist inizia con un primo paragrafo piuttosto scialbo:

Si tratta dello stesso concetto prescritto per gli attentati di Mosca: allontanare Putin dal narod – il popolo; fare in modo che lo odino per la paura e il pericolo che ha portato nel cuore della società russa. Il problema è che i cittadini russi sono molto attenti a ciò che sta accadendo perché hanno sviluppato un istinto riflessivo per fiutare le provocazioni dell’Occidente, dopo averle subite per anni dagli anni ’90 in poi. Quindi sanno esattamente da dove provengono gli attacchi e chi ha creato l’ISIS stesso, come ha creato Al-Qaeda per uccidere i sovietici in Afghanistan negli anni ’80 e i jihadisti ceceni negli anni ’90.

Ora i principali leader fantoccio dell’UE si arrampicano l’uno sull’altro per emergere nel nuovo corteo di guerra che gli eventi in corso hanno fatto germogliare:

In mezzo alla confusione e al trambusto, tutti vedono l’opportunità di guadagnare più potere: dopo tutto, la crisi è il momento più ideale per distinguersi dal branco e ottenere un vantaggio smodato.

Ma in definitiva, il motivo per cui questi attacchi dovevano avvenire, come ho detto all’inizio, era quello di mascherare il continuo degrado delle forze armate ucraine:

L’articolo sopra riportato illustra la tumultuosa lotta della Rada ucraina per abbassare l’età di leva:

“Stiamo lottando per abbassare l’età a 25 anni: è una decisione impopolare”, ha dichiarato Fedir Venislavskyi, membro della Rada del partito di governo del presidente Volodymyr Zelensky, che è stato uno dei principali sostenitori della legge. “Dobbiamo aumentare il numero di persone che possono essere mobilitate”.

Un aspetto interessante è che questo è stato di fatto il primo articolo che ci ha finalmente confermato qualcosa di cui abbiamo parlato qui per molto tempo, vale a dire l’esatta ripartizione delle forze di combattimento dell’Ucraina rispetto a quelle non di combattimento:

Secondo le stime di Zelensky, l’esercito ucraino conta quasi 600.000 effettivi. La maggior parte di essi svolge ruoli di supporto lontano dai combattimenti al fronte. A dicembre Zelensky ha dichiarato che l’esercito ha richiesto 500.000 uomini in più, anche se i comandanti hanno detto di non averne bisogno immediatamente.

Questo conferma che la maggior parte dei loro 600.000 effettivi totali stimati sono ruoli di supporto non di combattimento, il che conferma ulteriormente il numero che da tempo sostenevo essere il loro numero di truppe dirette al combattimento in prima linea: circa 200-250.000 al massimo. Ciò è stato confermato dalle fughe di notizie del Pentagono, che hanno elencato il numero di ogni singolo fronte per un totale di appena 200-250k o meno.

Il problema più grave che l’Ucraina deve affrontare non è necessariamente il totale delle “truppe” – se così si possono chiamare – ma in particolare le truppe d’assalto capaci. Il canale Rezident UA riporta:

Il TCK non è in grado di soddisfare il piano di mobilitazione a condizioni minime, e lo Stato Maggiore ha urgentemente bisogno di 200 mila ucraini per ripristinare le riserve e di altri 200-300 mila per essere in grado di condurre contrattacchi.

Ora si dice addirittura che l’abbassamento dell’età a 25 anni non servirà a contenere le perdite, e si parla di abbassarla direttamente a 19 anni, come ha detto questa settimana il presidente della Rada, Dmytro Razumkov:

Ricordiamo che Razumkov è probabilmente la seconda o terza persona più potente dell’Ucraina e si “vociferava” che fosse in linea per assumere la presidenza quando Zelensky sarebbe caduto. Quindi le sue parole hanno un peso.

Sotto gli espedienti, i diversivi del terrore e gli attacchi missilistici, sbagliati ma inutili, contro la Crimea, l’Ucraina continua ad arretrare mentre la Russia avanza a passo di carica, sfondando le linee dell’AFU:

Tecnicamente dovremmo entrare a Rasputitsa solo a maggio o all’inizio di giugno, ma il tempo scorre fino a quando la Russia potrebbe essere pronta a lanciare il colpo di grazia all’AFU. Quando ciò accadrà e l’Ucraina ricomincerà a subire perdite smodate, Zelensky potrebbe non avere altra scelta che avviare la più pesante delle mobilitazioni, che potrebbe finalmente far esplodere la polveriera della società contro di lui. Allora i veri fuochi d’artificio potrebbero iniziare quest’estate.

Infine, per coloro che sono interessati a informazioni più approfondite sulle connessioni con l'”ISIS” e sulla possibile mano dell’MI6 britannico negli attentati di Mosca, ecco un articolo molto informato del corrispondente e giornalista russo in prima linea Marat Khairulin:

Attacco terroristico a Mosca:

La pista tagica porta alla Londra britannica che ha tirato fuori i vecchi scheletri dall’armadio Di Marat Khairulin

La mostruosa tragedia del Municipio di Crocus ha radici molto profonde e conseguenze di vasta portata. Ci torneremo più di una volta. Ma oggi parliamo dell’origine dell’attacco di questa volta. Cerchiamo di risalire almeno approssimativamente alla sua genesi e di capire cosa il nemico principale ci sta lanciando contro, se non le ultime forze, certamente giocando le carte che ha tenuto fino all’ultimo momento.

Due giorni dopo il sanguinoso attacco, nella comunità politica e di intelligence russa era diffusa l’opinione che dietro l’attacco terroristico ci fosse il Regno Unito, o meglio l’Mi6. Si tratta di una scrittura molto simile per questa organizzazione. È un fatto indiscutibile che tutti i principali attacchi terroristici in Russia del periodo post-sovietico, da Beslan a Dubrovka, abbiano avuto una traccia britannica in un modo o nell’altro. I leader terroristici che dirigevano i militanti erano reclutati dall’Mi6. E in alcuni casi (come Basayev e Khattab) collaboravano apertamente con l’Mi6.

In contrasto con questa opinione, la Gran Bretagna ha lanciato un’ovvietà nei suoi principali media: dietro l’attacco terroristico c’è una certa organizzazione Vilayat Khorosan (una branca dello Stato Islamico che opera in Afghanistan). Per gli esperti, questo approccio parla chiaramente a favore della versione che in questo caso particolare ha anche la traccia inglese. Bisogna subito dire che la storia non è semplice ed è molto difficile da capire, quindi oggi ne delineeremo solo alcune caratteristiche. Nel suo periodo di massimo splendore, l’ISIS era un insieme di bande tribali unite principalmente sulla base di finanziamenti provenienti dal Regno Unito. Sia il bandito ash-Shishani (un nativo della Georgia, Batirashvili) che il suo sostituto, il tagiko Khalimov, erano mercenari diretti dell’Mi6.

La portata delle attività dell’ISIS, come proxy dei britannici, alla fine è diventata così grave che ha iniziato a interferire con l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Asia centrale, e il Regno Unito ha dovuto ridimensionare parzialmente le sue operazioni per non irritare l’egemone. E per un po’ tutti questi terroristi al servizio dell’Mi6 sono finiti nell’ombra, alcuni sono stati addirittura dichiarati morti.

Hanno ricominciato a emergere dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. È allora che è apparso sulla scena l’ISIS di Khorosan. Ma in realtà, alcuni capi tribali pashtun che erano sostenuti dagli inglesi. Sono gli unici che hanno accettato di combattere i Talebani. Questo è il punto chiave. Stiamo entrando nella difficile geopolitica dell’Asia centrale.

La maggior parte dei Paesi della regione sostiene gli sforzi dei Talebani per pacificare l’Afghanistan, sperando di garantire in questo modo la propria sicurezza. Tutti tranne il Tagikistan. Che non riesce a trovare un linguaggio comune con i Talebani a causa del fatto che sotto la loro ala operano diverse organizzazioni che in Tagikistan sono considerate terroristiche. È su questa spaccatura che la Gran Bretagna ha giocato per tutti questi anni, dopo che gli americani hanno lasciato la regione, cercando con tutte le sue forze di impedire l’instaurazione della pace in Asia.

A tal fine, subito dopo il ritiro degli Stati Uniti, è iniziato il reclutamento di afghani di etnia tagika nelle bande di Vilayat Khorosan. Cioè il presidente Rahmon, che è molto sensibile a questo tema e considera i tagiki una delle più grandi nazioni divise al mondo, ha iniziato a dimostrare che l’ISIS Khorosan è come la sua. E unendosi al sostegno dei Talebani, sta tradendo gli interessi dei Tagiki. In altre parole, puntando il dito contro l’ISIS Khorosan, che, sottolineo, al momento praticamente non esiste come organizzazione (c’è solo una certa comunità di bande tribali), la Gran Bretagna sta cercando di trascinarci apertamente in Asia. Questo è un altro tentativo degli inglesi di imporci problemi nelle retrovie dopo il Kazakistan. Ma questa è solo una parte del gioco. La seconda non è meno interessante e più esplicita. Il sostegno politico del leader stesso dell’ISIS, il tagiko Khalimov, è sempre stato il Partito della Rinascita Islamica del Tagikistan. È stato dichiarato organizzazione terroristica in patria e, dall’inizio degli anni 2000, indovinate dove si trova il suo quartier generale? Avete indovinato: a Londra.

La portata delle attività dell’ISIS, come proxy dei britannici, alla fine è diventata così grave che ha iniziato a interferire con l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Asia centrale, e il Regno Unito ha dovuto ridimensionare parzialmente le sue operazioni per non irritare l’egemone. Per un certo periodo, tutti questi terroristi al servizio dell’Mi6 sono finiti nell’ombra, alcuni sono stati addirittura dichiarati morti. Hanno ricominciato ad affiorare dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. È allora che è apparso sulla scena l’ISIS di Khorosan. Ma in realtà, alcuni capi tribali pashtun che erano sostenuti dagli inglesi. Sono gli unici che hanno accettato di combattere i Talebani. Questo è il punto chiave. Stiamo entrando nella difficile geopolitica dell’Asia centrale. La maggior parte dei Paesi della regione sostiene gli sforzi dei Talebani per pacificare l’Afghanistan, sperando di garantire in questo modo la propria sicurezza. Tutti tranne il Tagikistan. Che non riesce a trovare un linguaggio comune con i Talebani a causa del fatto che sotto la loro ala operano diverse organizzazioni che in Tagikistan sono considerate terroristiche. È su questa spaccatura che la Gran Bretagna ha giocato per tutti questi anni, dopo che gli americani hanno lasciato la regione, cercando con tutte le sue forze di impedire l’instaurazione della pace in Asia.

Alla vigilia della fuga degli americani dall’Afghanistan, i britannici si sono occupati dei tagiki e nel 2018 hanno creato a Varsavia l’Alleanza Nazionale del Tagikistan sulla base di questo partito, dove hanno cercato di stipare i resti di tutti i delinquenti tagiki sopravvissuti dopo la sconfitta dell’ISIS. L’alleanza era guidata da Kabirov, una figura che ha camminato a fianco di Khalimov per tutta la vita. Lo scopo della creazione di una nuova organizzazione era semplice: L’Occidente stava perdendo la guerra in Siria ed era necessario stabilire il traffico di militanti dal Tagikistan.

Il NAT fungeva da sportello unico in cui la Gran Bretagna forniva denaro e Kabirov e Halimov erano impegnati nell’esportazione di “carne” tagica. Va detto che Khalimov è stato considerato nominalmente morto dal 2017, ma c’è anche una seconda opinione secondo cui è stato semplicemente “rimosso” nell’ombra dopo che gli americani hanno puntato sull’ISIS. Ma cosa c’entra tutto questo con gli eventi del Municipio di Crocus? Pazienza, cari lettori. Siamo quasi arrivati al punto.

Nel 2022, con l’inizio dello SMO, la cosiddetta brigata Jabhat Al-Shamiya è apparsa come parte del corpo mercenario in Ucraina. O meglio, uno dei suoi distaccamenti operanti nell’area di Aleppo. Questo distaccamento è guidato da un comandante di campo (di nazionalità tagica), braccio destro di Khalimov. Di lui si sa solo che il suo soprannome è Shusha e che di formazione è un insegnante di storia. Esiste una versione secondo cui si tratta di uno dei tanti parenti e cugini di Khalimov. Non parlerò ora del percorso di combattimento di questi basmachi tagiki in Ucraina, perché anche lì c’è qualcosa di cui parlare.

Jabhat Al-Shamiya è stato uno dei principali destinatari dei fondi britannici stanziati attraverso l’Alleanza Nazionale del Tagikistan. Ed ecco che (attenzione!) un mese dopo il fallimento della controffensiva dell’AFU (forse un po’ più tardi, a cavallo tra ottobre e novembre), Ilya Ponomarev, il leader politico dei nuovi “Vlasoviti” (Corpo Volontario Russo), e il leader politico dei terroristi tagiki Kabirov si incontrano a Londra. In seguito, sono stati registrati numerosi altri incontri a Varsavia. Già a livello di funzionari. Ci sono alcuni dettagli interessanti su questi incontri, in particolare su chi li ha supervisionati. Ma di questo parleremo la prossima volta.

E ora vediamo un attacco coordinato a Belgorod da parte di nuovi “Vlasoviti” (Corpo Volontario Russo), e a Mosca da parte di militanti tagiki. Penso che l’affiliazione dei terroristi arrestati all’Alleanza Nazionale del Tagikistan sarà presto confermata in un modo o nell’altro. Perché andare alla NAT? Si sa per certo che il reclutamento (a pagamento per le strade e il sollevamento) in Russia è effettuato dall’Unione Nazionale dei Migranti del Tagikistan, membro dell’Alleanza, che è anche considerata un’organizzazione estremista in patria e in Russia. Proprio questa Alleanza assicura l’esistenza di una rete di agenti dormienti dal Tagikistan in Russia. Gli agenti sono principalmente nelle mani dell’Mi6, perché, inutile dirlo, questa Alleanza è stata creata negli anni 2000 sotto la diretta guida dei britannici. In altre parole, il Regno Unito ha iniziato a mettere insieme un fronte terroristico unito contro la Russia non appena è stato chiaro che la controffensiva era fallita e l’Ucraina era condannata. Inoltre, come da tradizione, il Regno Unito ha cercato di incastrare o incarcerare l’egemone.

Ovviamente, l’egemone non ha gradito e ha cercato di mettere in guardia Mosca. Allo stesso tempo, cercando di non rinunciare al suo più stretto alleato. Anche se, a dire il vero, anche da questa storia si capisce che con alleati del genere gli Stati Uniti non hanno bisogno di nemici. Ma non è tutto. C’è anche un’opinione nella nostra comunità politica e di intelligence, di cui non si parla molto, ma c’è: i britannici hanno mostrato una palese attività amatoriale, e ora tutti sono congelati in attesa di una resa dei conti tra gli alleati. E la prima reazione seria della Russia all’attacco terroristico è già seguita (anche se forse si tratta di una coincidenza): Il nostro rappresentante all’ONU, Nebenzia, ha dichiarato che la Russia non riconoscerà Zelensky come legittimo dopo la scadenza del suo mandato. E dal momento che voi non siete nessuno ai nostri occhi, è possibile che subito dopo quel giorno Hitler Zelensky venga denaturalizzato in modo dimostrativo. A meno che, naturalmente, non venga fatto fuori dai suoi amici britannici prima di allora. In attesa di questo glorioso evento, speriamo che Budanov (un agente diretto dell’Mi6) e Ponomarev (un agente ancora più diretto) vadano presto al giudizio di Dio. È ora, è ora, il diavolo li sta chiaramente aspettando all’inferno.


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