POLITICA E REALTA’_ di Pierluigi Fagan

Politica, da almeno quattro decenni e non solo in Italia, ha sostanzialmente perso il contatto con la realtà. Si sono sommate varie perturbazioni.
La prima è il dominio di teorie irrealistiche come il neo-liberismo. Il neo-liberismo non è una teoria buona o cattiva, è soprattutto una teoria che non funziona, non fa funzionare l’economia di una società per come economia e società sono state entangled lungo tutta la storia della civiltà.
La seconda teoria è il globalismo ingenuo ovvero la credenza che il mondo potesse diventare un unico mercato (libero e bello) sopra la rugosità delle differenze geostoriche, etniche, culturali. Di nuovo, questa teoria è “neanche sbagliata” come sarcasticamente diceva il prof. W. Pauli (“Ciò non solo non è corretto, ma nemmeno sbagliato!”) quando si trovava davanti a formulazioni semplicemente inconsistenti, letteralmente “sopra la realtà” (ovvero “surreali”).
La famosa “distruzione dei corpi intermedi” (partiti, sindacati) ha privato della catena di trasmissione delle informazioni e delle problematiche che chiamano attenzione politica, dalla realtà ai centri pensanti e decisionali. Così questi non pensano e non decidono rispetto alla realtà. Terza componente.
Quarta componente, il trasloco della politica nel virtuale e nello spettacolo, poi nei social: slogan, beauty contest, sembrare simpatici, poca riflessione, scarsa argomentazione, dialettica ridotta alle polarizzazioni semplificanti. Lo spettacolo ha sue regole proprie e l’intero sistema risponde a logiche che nulla hanno a che vedere con la realtà concreta.
Infine, quinta componente e solo per darci un taglio che non siamo in un trattato analitico, la realtà, negli ultimi quaranta anni, ha scalato gradi sempre maggiori di complessità nell’ambito della più generale transizione all’Era complessa iniziata nel dopoguerra. Ricordo che in questa transizione la popolazione umana si è triplicata, così gli Stati ed anche di più i sistemi multilaterali, pubblici e privati, legali ed illegali. Sono aumentate di molto le interrelazioni tra le parti per via delle rivoluzioni dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle transazioni commerciali e finanziarie e la complessità delle catene del valore. Ormai tutto il mondo organizza il fare economico nel modo moderno il che aumenta di molto la competizione che nasce economica, finanziaria, valutaria per diventare -come vediamo oggi- geopolitica. Sono venti anni che andiamo avanti con “post-moderno”. Ma mettersi l’anima in pace e dichiarare finito il moderno e quindi interrogarsi su i caratteri specifici della nuova era storica, no? Chissà, magari sincronizzeremmo meglio le nostre immagini di mondo sulla specialità dei tempi in cui siamo capitati. Non è che si cambia era storica tutti gli anni come il guardaroba.
Se ponete l’oggetto-fenomeno “Mondo” in rapida ed intensa inflazione di complessità da una parte e la somma dei primi quattro punti che hanno distrutto la catena pratica ed ideologica di relazione tra politica e realtà, avrete la prima diagnosi del problema dato.
E veniamo all’attualità che mi ha mosso a scrivere il post.
Scandalo e risate per il concetto di “sovranità alimentare”. Il concetto nasce in organizzazioni alter-mondialiste (Via Campesina) in quel degli anni Novanta in cui nasce il WTO e la stagione della prima globalizzazione ingenua, oggi ripudiata in favore di nuovi blocchi geopolitici “democrazie vs autocrazie”. Il concetto nasce in favore dei produttori agricoli medio-piccoli per consumo prevalentemente locale vs grandi multinazionali tendenti OGM, per produzioni standard per consumo globale. Ma ci sono anche altri aspetti. Abbiamo temuto tutti, nel mondo, l’improvvisa mancanza di produzioni agricole ucraine e russe. Shock del genere tenderanno a ripetersi una volta che il mondo ha abbandonato, come sembra, il globalismo in condizioni di sostanziale pace. Non solo per conflitti, anche per la nuova competizione geopolitica che porrà ostracismi verso sistemi-Paese non allineati o diversamente allineati, ma anche per improvvisi rovesci ambientali e climatici. Il problema s’era già posto con la sovranità sanitaria, mascherine prima, ventilatori polmonari poi, vaccini infine. Già tutto scordato nell’acquario dei pesci rossi?
Scandalo con meno risate per la questione della “famiglia”. Sentivo un giornalista ieri dire di aver il giorno prima partecipato ad una conferenza ISTAT il cui presidente avvertiva che il pronunciato calo demografico italiano da qui al 2040, porterà ad allora ad una perdita di un quarto del Pil. Non so se sarete in grado di collegare il dato al debito pubblico ed il servizio sul debito o alla consistenza geopolitica che in primis è dato dal peso demografico e produttivo dei diversi attori o ai problemi di bilancia di spesa sanitarie e pensionistica. Dovreste esserlo visto che andrete a schiantarvi in quell’annunciato buco nero.
Ora, il primo argomento promosso da un governo di destra con tendenze post-fasciste (quindi non fascista in sé per sé, ma neanche così attento a rinnegarne la tradizione), porta al facile dileggio dell’autarchia di antica memoria. Realismo consiglierebbe magari di capire che tipo di interpretazione ne danno ovvero quanto sono o non sono vicini al mondo rurale delle produzioni perché magari sono più vicini e collegati politicamente di chi scrive il meme per farsi due risate su facebook. Il che porterebbe anche a domandarsi perché la destra fa lavoro politico in campagna mentre la sinistra (o supposta tale) fa brunch in città.
Il secondo argomento, sempre interpretato per come si pensa lo interpreterà la destra, diventa la Polonia o Dio, Patria, Famiglia. A ciò si oppone la politica dei diritti per la pluralità interpretativa dell’affettività e della sessualità. Così per aborto permesso di diritto che può esser impedito di fatto poiché con la catena logistica ospedaliera si può pur sempre fare il contrario di ciò che in teoria di dovrebbe fare. Se non addirittura impedito di diritto con la surreale iniziativa di Gasparri.
Riportare la politica alla realtà però, imporrebbe lasciar perdere il meccanismo per cui semplifichiamo ed estremizziamo quello che dice l’avversario per dire il simmetrico inverso che sarà altrettanto semplificato, alimentando così politica ineffettiva che diventa chiasso di slogan spettacolari.
Si potrebbe invece presidiare il concetto di autonomia di certe produzioni di base affinché non diventi a sua volta uno slogan inconsistente ma intervenga davvero sul modello produttivo adatto alle caratteristiche produttive sia del nostro Paese, sia dei tempi che si prospettano assai turbolenti, per chi non se fosse accorto. Sempre senza rinunciare ad importazioni giudiziose.
Altresì si potrebbe presidiare il problema della scarsa natalità parlando di servizi pubblici, case popolari ad affitti calmierati per le giovani coppie, potatura dell’immane pletora di contratti di lavoro senza garanzie, salario minimo. O forse anche discutere serenamente se, nel frattempo che tali improbabili politiche sociali possano venir implementate, aprirsi a forme di importazione controllata di popolazioni migranti, notoriamente più riproduttive di quelle occidentali per motivi culturali. Sempre battendosi per i diritti precedentemente accennati.
La differenza dei due modi corre tra mantenere la politica ad un gioco di ruoli virtuali in cui lo strato chiacchierato va per conto suo sopra lo strato dei fatti e riportare la politica a misurarsi coi fatti. Sono convinto che in effetti nel mondo delle chiacchiere la distinzione destra-sinistra non ha più senso, sono convinto che tale distinzione mostrerebbe la sua ostinata consistenza se invece ci misurassimo con la realtà concreta del come si vogliono fare certe cose. Ma se poi si trovano anche convergenze saltuarie, non vedo il problema.
Ma quanto meno facile, semplice e giocherellona sarebbe la politica con i vincoli di realtà?

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