SOVRANO E’ CHI DECIDE E DECIDE CHI HA IL POTERE DI DECIDERE, di Pierluigi Fagan

DISTRUZIONE E PROTEZIONE
Si sente sempre più spesso ripetere quanto sosteneva (tra gli altri) Schumpeter che il capitalismo induce un processo di distruzione creatrice selezionando gli imprenditori più efficienti ed espellendo gli altri. L’occasione per incentivare questa selezione – un aspetto di darwinismo sociale – sarebbe la pandemia: le imprese che riescono a superare la crisi sono le più efficienti, mentre quelle che non sopravvivono, meritano di essere chiuse.
Anche se il ragionamento ha una sua validità e in Italia spesso si è fatto il contrario – con risultati deludenti – invocarlo in relazione alla pandemia è errato per due motivi, che poco hanno a che fare con l’efficienza economica.
Il primo è che l’uomo non è solo homo aeconomicus ma, tra l’altro – Aristotele docet – zoon politikon: e per l’appunto tale caratteristica lo porta a costituire gruppi politici il cui fondamento è, come scriveva Hobbes, lo scambio tra protezione e obbedienza: si deve obbedire a chi da protezione e, in cambio, si ha il dovere di proteggere chi obbedisce. Se però tale rapporto diviene impossibile, viene meno sia il dovere d’obbedienza che quello di protezione, come scriveva il filosofo di Malmesbury. Ne consegue che ciò che economicamente è condivisibile può essere politicamente da evitare (e viceversa). Anzi tante politiche di sostegno a imprese, e ancor più, a settori economici poco efficienti sono state motivate con argomentazioni di carattere politico, nel senso suddetto.
Ad esempio la politica europea di sostegno all’agricoltura (a cominciare dal MEC), molto costosa, era volta al sostegno della produzione, tesa anche (e probabilmente soprattutto) ad evitare che la carenza alimentare fosse utilizzata da altre potenze per motivi ostili. Come capitato agli Imperi centrali nella prima guerra mondiale.
Ed è meno evidente, ma d’importanza considerevole che politiche economicamente valide, specie nel breve periodo, in una visione più ampia e di lungo periodo, siano controproducenti sul piano politico. Così la distruzione di piccole aziende, tenuto conto che i piccoli imprenditori, e, in genere i ceti medi, sono il sostegno sociale decisivo, oggi, delle democrazie liberali.
E, a tale proposito, non è detto che la “distruzione creatrice” di tante piccole imprese, vada a favore di un migliore “funzionamento” del mercato. La concentrazione del capitale in poche grosse aziende, rende assai più facile gestire il mercato in funzione non della libera concorrenza e del favor consumatoris, ma di accordi oligopolistici tendenti a limitarlo o eluderlo.
Il secondo: per quale ragione qualche milione di piccoli imprenditori dovrebbe essere a favore di politiche che non garantiscono protezione? Al punto che coloro che le sostengono tendono a vagheggiare l’opportunità della loro distruzione?
Se Hobbes si era sforzato di dimostrare la razionalità del potere (e dell’associazione) politica proprio per lo scambio protezione-obbedienza, per quale ragione l’individuo razionale del filosofo inglese dovrebb’essere diventato un Tafazzi, tutto contento di soffrire e insieme mantenere e votare governanti intenzionati – e giulivi nel manifestarlo – a farlo morire socialmente ed economicamente (e talvolta, complice la pandemia, anche fisicamente)?
In realtà la tesi criticata è frutto di due postulati: che ciò che è economicamente valido esaurisce il “bene” (sociale e individuale). Come se l’uomo fosse solo un essere economico. E non anche economico. La storia prova che non è così: vi sono state nazioni non disponibili a barattare il benessere economico con l’indipendenza politica.
Anche perché nel lungo periodo, è questa a garantire quello, più che l’inverso.
De Bonald scriveva che durante la Rivoluzione e le guerre napoleoniche gli svizzeri, un popolo (all’epoca) di “pastori e frati” avevano difeso la propria indipendenza assai meglio dei Paesi Bassi che “contavano i più ricchi uomini d’affari del mondo” (forse è anche per quello che gli svizzeri sono diventati assai più ricchi dei pur benestanti olandesi).
In secondo luogo c’è il (consueto) modo di ragionare consistente nel confrontare una “legge” generale e soprattutto astratta (anche tendenzialmente valida), applicandola a una situazione specifica e concreta, senza adeguarla. Con il risultato che l’abito confezionato da pensatori (talvolta neppure da talk-show) vesta male chi l’indossa, magari non per colpa del sarto, ma perché l’abbigliando ha la gobba. E l’abilità del politico, come diceva Giolitti, è quella del bravo sarto che confeziona il vestito adatto a chi lo deve portare. Chi pensa il contrario è, come donna Prassede, troppo affezionato alle proprie idee (con la conseguenza di non cambiarle e spesso neppure di adattarle): è un puro “ragionare” ideologico.
E non può quindi pretendere che venga condiviso, perfino con entusiasmo, da coloro che ne pagano il conto.
Avv. Teodoro Klitsche de la Grange
Quando l’ingustizia e la sopraffazione diventano un alibi per giustificare la propria esistenza e protrarre la propria agonia_Giuseppe Germinario
Il “sistema” algerino e i “decoloniali” accusano la Francia di essere responsabile dei loro problemi. Un atteggiamento edipico già ben descritto a suo tempo da Agrippa d’Aubigné quando scrisse che:
“Il cadavere della Francia si sta decomponendo sotto gli occhi di due bambini: il primo è un criminale e il secondo un parassita. Uno è rivolto alla morte e l’altro alla devastazione. ”
Nel gennaio 2021, un giornalista algerino, rilanciato compiacentemente dai media francesi, ha persino chiesto un risarcimento alla Francia per il “saccheggio” del ferro “algerino” che, secondo lui, sarebbe stato utilizzato per realizzare la Torre Eiffel !!!
Tuttavia, come ha mostrato Paul Sugy, i pezzi che compongono il monumento emblematico sono stati fusi in Lorena, nelle acciaierie di Pompeo, dal minerale di ferro estratto dalla miniera di Lurdres, anch’essa situata a Meurthe-et-Moselle …
L’affermazione tanto esorbitante quanto surrealista di questa borsa di studio del “Sistema” algerino non è la follia di un miniato. Al contrario, fa parte di una strategia di richieste eccessive intese a ottenere scuse, quindi riparazioni “dure e veloci” dalla Francia.
Tuttavia, bisogna vedere che, fino all’arrivo al potere di François Hollande, la posizione algerina era stata relativamente “mantenuta”. Né Georges Pompidou, né Valéry Giscard d’Estaing, né François Mitterrand, né Jacques Chirac né Nicolas Sarkozy avrebbero accettato tali richieste di scuse. Tuttavia, tutto è cambiato con le dichiarazioni irresponsabili di François Hollande seguite da quelle di Emmanuel Macron sul tema della colonizzazione. Da lì, essendosi autoumiliata la Francia, l’Algeria si è trovata quindi in una posizione di forza per pretenderne sempre di più. Tanto più che messo alle strette dalla strada, pur essendo in gioco la sua sopravvivenza, il “Sistema” algerino ha solo due mezzi per cercare di deviare la marea della protesta popolare che minaccia di prevalere:
1) Attacco al Marocco, come nel 1963, quando la “Guerra delle Sabbie” gli permise di mettere da parte la rivolta Kabyle. Ma, con il Marocco, che si strofina contro di esso …
2) Niente del genere con il cappone francese i cui attuali leader non osano ricordare ai loro omologhi algerini che nel 1962, la Francia “madre generosa”, lasciò in eredità alla sua “cara Algeria” secondo l’espressione del compianto Daniel Lefeuvre, un’eredità composta da 54.000 chilometri di strade e binari (80.000 con binari sahariani), 31 strade nazionali di cui quasi 9.000 km asfaltate, 4.300 km di ferrovie, 4 porti attrezzati a standard internazionali, 23 porti sviluppati (di cui 10 accessibili a grandi cargo e di cui 5 che potrebbero essere serviti da navi di linea), 34 fari marittimi, una dozzina di aeroporti principali, centinaia di strutture ingegneristiche (ponti, gallerie, viadotti, dighe, ecc.), migliaia di edifici amministrativi, caserme, edifici ufficiali, 31 idroelettrici o centrali termiche, un centinaio di importanti industrie nell’edilizia, metallurgia, cemento, ecc. dic scuole, istituti di formazione, scuole superiori, università con 800.000 bambini iscritti a 17.000 classi (cioè altrettanti insegnanti, due terzi dei quali francesi), un ospedale universitario da 2.000 posti letto ad Algeri, tre grandi ospedali della capitale ad Algeri, Orano e Costantino , 14 ospedali specializzati e 112 ospedali polivalenti, l’eccezionale cifra di un letto ogni 300 abitanti. Per non parlare del petrolio scoperto e messo in funzione dagli ingegneri francesi. Nemmeno un’agricoltura fiorente è rimasta incolta dopo l’indipendenza, a tal punto che oggi l’Algeria deve importare anche concentrato di pomodoro, ceci e persino semola di cuscus …
Tutto ciò che esisteva in Algeria nel 1962 era stato pagato con le tasse francesi. Nel 1959, l’Algeria ha così assorbito il 20% del bilancio statale francese, vale a dire più dei bilanci combinati di istruzione nazionale, lavori pubblici, trasporti, ricostruzione e alloggi, industria e commercio! E tutto ciò che la Francia ha lasciato in eredità all’Algeria era stato costruito dal nulla, in un paese che non era mai esistito da quando era passato direttamente dalla colonizzazione turca alla colonizzazione francese. Anche il suo nome gli era stato dato dalla Francia …
L’atteggiamento dei “decoloniali”, da parte sua, nasce da un complesso edipoesistenziale accoppiato con una dose di schizofrenia.
Secondo loro, la Francia, che li accoglie, li nutre, li veste, li accudisce, li ospita e li educa, è una nazione “geneticamente schiava, razzista e colonizzatrice”, in cui i discendenti dei colonizzati sono in una situazione ”, cioè di” dominato “. Da qui la loro cosiddetta “emarginazione”. A questa affermazione di vittimismo si aggiunge un sentimento vendicativo e conquistatore, ben riassunto da Houria Bouteldja, una delle figure di spicco di questa corrente:
“La nostra semplice esistenza, unita a un peso demografico relativo (da 1 a 6) africanizza, arabizza, berberizza, creolizza, islamizza, i neri, la figlia maggiore della Chiesa, una volta bianca e immacolata, come sicuramente lucidano il sacco e le onde del surf e ripulire i blocchi di granito con pretese di eternità (…) ”.
Autenticamente francofobici, odiando la Francia, i “decoloniali” rifiutano quindi tutto ciò che è connesso ad essa. Hafsa Askar, vicepresidente del sindacato studentesco UNEF, ha scritto il 15 aprile 2019, il giorno del suo incendio:
“Non mi interessa Notre-Dame de Paris, perché non mi interessa la storia della Francia … Wallah … non ce ne frega niente (traduzione: combattiamo la c …), oggettivamente, è il tuo delirio di piccoli bianchi.
Tuttavia, esprimendo il loro risentimento e il loro odio per la Francia nella lingua dell’odiato “colono”, e affermandosi intellettualmente attraverso i suoi riferimenti filosofico-politici, i “decoloniali” hanno un atteggiamento schizofrenico …
Tuttavia, non c’è il minimo paradosso di questi adulatori il cui “pensiero” è germogliato sul suolo filosofico della rivoluzione del 1789. Attaccando frontalmente, e in modo edipico, i dogmi dei loro genitori – “valori della Repubblica” , “diritti umani”, “convivenza” e “secolarismo” – i “decoloniali” hanno infatti polverizzato il quadro dottrinale e morale di questa sinistra universalista che, per decenni, è stata il vettore della decadenza francese. Poiché non sopravviverà alla morte della sua ideologia e dei suoi “valori fondanti”, qui lascia gradualmente la storia, aprendo così la strada a un cambio di paradigma.
Spetta ai portatori di forze creative cogliere questa storica opportunità!
– Per la critica alla storia ufficiale dell’Algeria scritta dall’FLN e da Benjamin Stora, faremo riferimento al mio libro Algeria, la storia sottosopra .
– Per l’analisi e la confutazione dell’ideologia “decoloniale” si consulti il mio libro Responding to the decolonials, the islamo-leftists and the terrorists of pentance .
L’incidente ancora in via di soluzione nel canale di Suez dovrebbe contribuire a porre in primo piano la collocazione e il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo. I protagonisti esterni al paese hanno dimostrato più volte di esserne ampiamente consapevoli; paradossalmente lo stesso non si può dire riguardo alla classe dirigente italiana, soprattutto l’attuale. E se qualche barlume qua e là dovesse sorgere in proposito mancherebbe ad essa l’ambizione, la volontà e la capacità di utilizzo dei mezzi e delle opportunità che si aprirebbero nei vari frangenti. Dovrebbe essere questo il centro del dibattito politico propedeutico ad una svolta sempre più inderogabile, indispensabile a garantire l’esistenza dignitosa stessa della nazione_Buon ascolto, Giuseppe Germinario
PS_ Luigi Negrelli è nato in Trentino, a Fiera di Primiero
https://rumble.com/vf5l0h-litalia-al-centro-del-mediterraneo-con-antonio-de-martini.html
a mio parere il candidato ideale sarebbe
. Ha l’esperienza e la grinta per fare bene e sottrarremmo un uomo ingenuo alle grinfie di partitanti che ne sfruttano l’onorabilità.
Caro de Martini, la sua stima mi lusinga, compresa la definizione di ‘ingenuo’ che interpreto nel senso di chi è portato ad avere fiducia nel prossimo. Fortunatamente per me, la sua è un’idea isolata: si immagina lei le vesti strappate e gli alti lai nel caso un Generale venisse designato, o solo proposto per un tale incarico politico? Ce ne sarebbe per far cadere un governo! Grazie in ogni caso per la sua considerazione, che mi fa molto piacere, perché so essere sincera e profonda.
caro generale. Apparentemente isolato ho chiesto a giorni alterni l’affidamento dell’epidemia allo Stato Maggiore per un intero anno. Hanno cooptato un generale – fino a ieri impensabile- e presto allargheranno le maglie eliminando …
Lei suggerisca l’idea come sa fare e vediamo se qualcuno ascolta.
BREXIT, AFFRONTO O REGALO PER L’EUROPA?
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Governo Draghi e lotta alla pandemia fra sprazzi di strategia, nuovo Erostrato, vecchie ( e deleterie) fedeltà e sottomissioni e povertà dell’attuale sovranismo
Di Massimo Morigi
In data 15 marzo 2020 sul nostro blog veniva pubblicato Emergenza Coronavirus. Un appello (http://italiaeilmondo.com/2020/03/15/emergenza-coronavirus_un-appello/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210109122918/http://italiaeilmondo.com/2020/03/15/emergenza-coronavirus_un-appello/), un manifesto programmatico rivolto alle migliori e più consapevoli forze del paese, inteso non solo ad individuare le contromisure specifiche per uscire dall’attuale emergenza pandemica ma anche a precisare quelle contromosse strategiche per eliminare gli atavici problemi strutturali del nostro paese e che la pandemia non aveva fatto altro che acuire. Così concludeva l’ Appello: «Il coronavirus stesso è diventato un veicolo ed uno strumento di confronto e conflitto geopolitico. Gli aiuti sono estemporanei, limitati al momento al contributo della sola Cina, per altro in apparenza responsabile della diffusione del virus, interessati e soprattutto del tutto inadeguati alla necessità. Occorrono una autorità decisionale, una gerarchia, un coordinamento di sforzi che possano garantire non solo l’assistenza sanitaria, la limitazione della diffusione di un virus ancora di fatto sconosciuto, l’ordine pubblico. Non basta. Devono provvedere a rappresentare realisticamente la situazione, a ricostruire un tessuto economico con promozioni, sollecitazioni, incentivi ed interventi diretti a ricostruire le filiere produttive necessarie a garantire nel miglior modo possibile le forniture di sussistenza e i materiali sanitari minimi necessari ad affrontare l’emergenza. La nazione è ancora ricca delle capacità e competenze professionali ed imprenditoriali necessarie; sono da motivare, incentivare e coordinare. Il Governo e buona parte dei vertici istituzionali purtroppo stanno rivelando, pur in una condizione di straordinaria emergenza, la loro inadeguatezza e la loro scarsa autonomia decisionale, la loro permeabilità alle pressioni esterne. Una incertezza deleteria solo in parte comprensibile in una condizione di emergenza inusuale. Una condizione suscettibile di sviluppi e tentazioni inquietanti e dirompenti se non corretta da una attribuzione chiara di responsabilità ed obbiettivi ad organismi direttamente preposti alla gestione della crisi e sotto la diretta responsabilità politica della massima autorità dello Stato. Ai giuristi il compito di definire l’ambito di intervento compatibile e alla massima istituzione di porre in atto le decisioni e le strutture organizzative.». Ora le prime mosse del governo Draghi che è subentrato al governo degli scappati di casa nel combattere la pandemia sembrano prendere la direzione indicata un anno fa dal nostro appello. Vediamo succintamente di articolare il giudizio che allo stato non può che rimanere sospeso e che disegna uno scenario illuminato da sprazzi di strategia ma ottenebrato dalle ombre di vecchie e deleterie fedeltà e sudditanze. Ovviamente ottimo che si voglia far intraprendere alla campagna vaccinale un radicale cambio di passo irrorando col più micidiale diserbante le ridicole e truffaldine primule e affidando il compito a chi professionalmente è formato a gestire le emergenze (protezione civile ed esercito), e ancor meglio che si abbia avuto il coraggio di licenziare anche brutalmente chi, nelle migliori delle ipotesi, si è dimostrato incapace, pasticcione ed arrogante (non si fa il nome non tanto per paura di querele ma perché il magliaro in questione, fosse solo per la sua incredibile pasticcioneria e supponenza, meriterebbe la pena di Erostrato, che noi, in mancanza di meglio, siamo i primi ad irrogare). Bene anche che, contro il parere dei vari virologi da pollaio e/o da salotto televiso, si sia presa la decisione di guerra di “sparare” nell’immediato, un immediato che ha tutte le terribili potenzialità di un annichilimento totale delle residue capacità economico-sociali della nazione, tutti i vaccini Pfizer disponibili per riservarsi poi solo in un secondo tempo ancora da definire ma, vista la scarsità delle scorte di questo vaccino, non i tempi indicati nel protocollo di somministrazione, la seconda dose. Insomma, la guerra si fa con i soldati che si hanno a disposizione e che devono essere tutti impiegati in una mobilitazione totale nella presente situazione di incombente disastro e non con quelli sognati nei propri deliri di onnipotenza (o di supponenza o di vera e propria cialtrona e predatoria malafede) e l’irrorazione col diserbante agente arancio dei virtuali campi di primule non è altro che, come si sta vedendo, l’inizio di una vera e propria campagna militare che mobilita tutte le forze dello Stato e della società contro l’agente patogeno. Bene anche che si minacci le case farmaceutiche di produrre in proprio i vaccini, anche se queste minacce di per sé non rimediano nell’immediato alla carenza di vaccini (nell’immediato, perché in una tempistica appena un po’ più dilatata è evidente che la faccenda potrà essere risolta solo con una produzione vaccinale nazionale dei vaccini e quindi in questa dimensione temporale la minaccia è tutt’altro che insensata) ma male che non si affermi espressamente che in questo caso, come per altro in tutti i casi dove è implicata la sicurezza nazionale, i diritti sui brevetti devono valere meno di niente (lo ha detto invece la Chiesa cattolica, vedi Avvenire all’URL https://www.avvenire.it/mondo/pagine/vaccini-e-brevetti, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210227080751/https://www.avvenire.it/mondo/pagine/vaccini-e-brevetti, qualche volta la Chiesa cattolica, anche perché negli ultimi anni vilmente attaccata dalle massime organizzazioni internazionali che la vorrebbero annullare politicamente e spiritualmente in nome di un degradato dirittoumanismo e criminale e geneticamente modificato multiculturalismo da laboratorio, sembra trovare, anche se solo reattivamente e rapsodicamente, il vecchio smalto temporalista…). Ma, infine, male, anzi malissimo, che non si voglia ricorrere a vaccini, come il russo Sputnik in primo luogo ed anche il Sinovac cinese, che possano anche dare solo l’impressione che l’Italia abbia anche seppur timidamente intrapreso una nuova politica estera informata alla consapevolezza che la realtà dello scenario internazionale è improntata ad un sempre maggiore (e conflittuale) multipolarismo e che quindi le vecchie appartenenze ed alleanze se interpretate meccanicamente e non tenendo presente la nuova dinamica multipolare sono la sicura ricetta verso il disastro. E se da questo punto di vista, il nuovo governo non dà proprio alcuna rassicurazione (meglio non irritare il buon zio Biden …), basti vedere non solo il discorso alla Camera del nuovo presidente del Consiglio di una così stretta ortodossia europeista e filoatlantica da denotare una sorta di vera e propria volontaria rimozione dal suo orizzonte di senso degli scenari post ’89 ma anche tutto il suo curriculum che proprio su questa rimozione è stato con successo costruito, danno ancor meno fiducia le c.d. forze sovraniste italiane, le quali quelle rappresentate in Parlamento o hanno de facto abbonato i vecchi scenografici furori o non riescono, pur mantenendoli, di animarli con contenuti adeguati mentre quelle non rappresentate in Parlamento, pur non avendo formalmente retoricamente abbandonato la loro causa, in quanto a mancanza di concrete linee operative alla luce del nuovo governo e della rinnovata lotta antipandemica non hanno ugualmente saputo elaborare una adeguata strategia di risposta e a livello politico e a livello tecnico-operativo sul fronte delle realistiche e militarmente conformate proposte per combattere il virus. Insomma si è sentita da parte di costoro, dentro o fuori dal Palazzo, esalare la pur minima idea in merito alla necessità di sospendere l’efficacia dei brevetti e/o della dotazione e/o formazione di un nuovo complesso politico-militare-industrale autonomo e veramente sovranista, ci si passi il termine tutt’altro in sé spregevole ma molto meno apprezzabile nella versione dei suoi aedi, per combattere non solo la presente pandemia e anche le future, ma anche tutte le terribili sfide che ci presenta il presente mondo multipolare, un mondo dove le vecchie appartenenze e soggezioni rischiano di essere letali per il nostro paese? Il nuovo governo ci dischiude, quindi, inediti e dinamici scenari, caratterizzati dall’inizio di nuovi ed efficaci approcci strategici che convivono con la riconferma, rese semmai ancora più dure e tetragone visto il curriculum e le alte capacità del nuovo presidente del Consiglio, delle vecchie fedeltà e sottomissioni. Un quadro altamente contraddittorio dove, purtroppo, il morente e già vecchio sovranismo italiano non ha più assolutamente nulla da dire. E se per ora la tesi e l’antitesi sembrano politicamente affidate solo all’abile e capace (ma anche pericolosissimo, in ultima istanza) nuovo venuto alla politique politicienne (ovviamente non alla politica intesa nel senso del vero e reale esercizio del potere, a meno che non si sia tanto babbei da ritenere che un protagonista per tanti anni delle maggiori istituzioni finanziarie italiane ed internazionali possa essere definito con la ridicola parola di tecnico), per l’antitesi dobbiamo ritornare al nostro Emergenza Coronavirus. Un appello di cui si è detto all’inizio. Forse non è molto, forse dal punto di vista di una coerente filosofia della prassi, ai bei concetti e alle giuste parole manca la carne viva di quelle che un tempo si sarebbero dette le masse. Ma vogliamo solo ricordare che nella politica le cose vanno un po’ come in biologia. In entrambi i casi si tratta di dialettiche dai tempi molto lunghi e similmente alla dialettica pandemica (che fra l’altro una ingenua mentalità vorrebbe ora risolta in pochi mesi dagli iniziali giusti provvedimenti del governo mentre si tratterà di una vicenda di ben più lunga pezza e ci auguriamo di tutto cuore che il nuovo presidente del Consiglio sia perfettamente consapevole di questa elementare verità, anzi ne siamo sicuri: anche da qui l’efficacia ed anche la pericolosità del nuovo capace inquilino di Palazzo Chigi) anche quella politica, ora rinnovata e resa ancor più tumultuosa e contraddittoria dalla prima, dispiegherà le sue evoluzioni su tempi molto lunghi e del tutto imprevedibili nei loro drammatici frutti. E noi in tutte queste future evoluzioni contiamo di esserci e non solo da spettatori e proprio per questo rinnoviamo con ancor maggior forza e determinazione l’appello già fatto un anno or sono.
Molto interessante, grazie
. Noterella brevissima: il potere (qualsiasi potere) è sempre un differenziale di potenza, + potente/ – potente. Il potere ugualmente distribuito tra tutti non esiste né può esistere, e l “uno vale uno” del M5* ne è la dimostrazione empirica. Sintesi, le élites ci sono sempre state e ci saranno sempre. Di qui sorgono le questioni a) legittimazione delle – b) ampiezza delle – c) ricambio delle – d) inclusività delle – e) efficacia nella leadership/capacità di competere con altre – f) coesione valoriale tra – e popolo eccetera.
Dalla nascita delle società complesse cinquemila anni fa, le élite ci sono sempre state. Che da ciò tu tragga certezza che sempre ci saranno è un “non sequitur”.
E’ una argomentazione probabilistica + una di logica formale che si basa sul fatto che il potere è sempre un differenziale di potenza, + potente/ – potente
L’induzione è sempre probabilistica. Ma le probabilità lasciano spazio a possibilità contrarie
Infatti non dico che sia impossibile, mai dire mai. Mi sembra molto, molto improbabile, ma io sono un reazionario
A me interessava solo fa notare che una cosa storicamente rarissima e legata a condizioni molto speciali, non diventa probabile se nessuno si applica a pensarla per poi provarla a farla diventare possibile.
DA “IL COSTRUTTORE” DI GIUSEPPE GERMINARIO: FRA CORSI E RICORSI (SALAZARISTI) GOVERNO DRAGHI, POVERTÀ DEL SOVRANISMO E NUOVE PROSPETTIVE
Di Massimo Morigi
Scrive in data 17 febbraio 2021 Giuseppe Germinario sull’ “Italia e il Mondo” in Il costruttore (all’URL https://italiaeilmondo.com/2021/02/17/il-costruttore-di-giuseppe-germinario/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210220074947/https://italiaeilmondo.com/2021/02/17/il-costruttore-di-giuseppe-germinario/): «L’avvento di Mario Draghi sancisce il fallimento del movimento sovranista così come lo si è conosciuto e declamato in questi anni. Alla mancanza di una visione complessiva e di un programma credibile, all’assenza di una prospettiva tale da configurare nuovi schieramenti e nuovi sistemi di relazione in particolare tra i paesi europei che portassero ad una maggiore autonomia ed indipendenza politica, ha corrisposto il sopravvento surrettizio dell’opportunismo e del trasformismo, l’accodamento acritico all’atlantismo più codino. Di fatto una via obbligata per non scomparire o perire sotto i colpi della reazione. Del resto anche i movimenti “sovranisti” di riferimento in Europa Orientale hanno come riferimento nemmeno la NATO, ma l’americanismo più allineato condito con una dipendenza dai fondi europei tale da rendere fragili i loro aneliti, almeno sino a quando continueranno a coltivare la loro russofobia. È esattamente il contesto che ha determinato la situazione in cui si è cacciata la Lega, un partito sempre più espressione dei gruppi che rappresenta piuttosto che capace di sintesi e di indirizzo di una comunità.» Fra i vari e tutti ampiamente condivisibili ragionamenti sviluppati dall’articolo di Germinario (in estrema sintesi: governo Draghi come definitivo sigillo della tragica minorità culturale, geopolitica ed economica dell’Italia, classi dirigenti del paese del tutto inadeguate non tanto a mostrare un minimo di autonomia rispetto ad input di eterodirezione provenienti dall’estero e in particolare dagli Stati uniti ma, appunto, ad essere funzionali a questi input e quindi necessità della loro sostituzione iniziando questo processo con Draghi, appunto) è proprio sulla minorità culturale e strategica della c.d. area sovranista che si impernia tutto il ragionamento complessivo svolto in Il costruttore, ed è su questa base che dovrà poggiare qualsiasi futuro discorso non diciamo ‘sovranista’ (parola ora che alla luce delle reazioni scomposte e non lucide dei ‘sovranisti’ alla grande novità politica del governo Draghi è ampiamente, ci si passi il termine, sputtanata, e non ci riferiamo soltanto ai “sovranisti” rappresentati in parlamento…) ma, diciamo, semplicemente strategico, intendendo per ‘strategico’ tutto quel campo semantico e di azione politico-sociale ed etico-politico del grande realismo politico dei pensatori italiani della filosofia della prassi che prende il via da Niccolò Machiavelli e che, riassunto nell’Ottocento da Giuseppe Mazzini, sfocia nel Novecento in Giovanni Gentile ed Antonio Gramsci. Ad onor del vero, Giuseppe Germinario non è certo nuovo ad appassionate ma soprattutto lucide analisi sulle possibilità dell’Italia di una politica autonoma o, perlomeno, non servile. Da Per un recupero delle prerogative dello stato nazionale italiano, per la salvaguardia dell’integrità del paese, verso una posizione di neutralità vigile (“L’Italia e il Mondo” in data 2 febbraio 2018, all’URL https://italiaeilmondo.com/2018/02/02/per-un-recupero-delle-prerogative-dello-stato-nazionale-italiano-per-la-salvaguardia-della-integrita-del-paese-verso-una-posizione-di-neutralita-vigile, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210220113443/https://italiaeilmondo.com/2018/02/02/per-un-recupero-delle-prerogative-dello-stato-nazionale-italiano-per-la-salvaguardia-della-integrita-del-paese-verso-una-posizione-di-neutralita-vigile/ ), a Sovranità, sovranismo e sovranismi (“L’Italia e il Mondo” in data 23 settembre 2018, all’URL https://italiaeilmondo.com/2018/09/23/sovranita-sovranismo-e-sovranismi-di-giuseppe-germinario, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210215214828/https://italiaeilmondo.com/2018/09/23/sovranita-sovranismo-e-sovranismi-di-giuseppe-germinario/), a Sovranismi limitati (in “L’Italia e il Mondo”, in data 25 novembre 2019, all’URL https://italiaeilmondo.com/2019/11/25/sovranismi-limitati-di-giuseppe-germinario/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210201090624/http://italiaeilmondo.com/2019/11/25/sovranismi-limitati-di-giuseppe-germinario/), per finire, appunto, con il contributo oggetto della presente comunicazione, tutto il pensiero di Germinario si snoda lungo una linea di saldo realismo, dove le critiche, sempre asprissime e tranchant, sulle responsabilità delle condizioni del nostro paese, sono dirette, ancor prima che alle classi dirigenti espressamente deputate a mantenere lo stato di servilismo in qui versa l’Italia, contro coloro che dovrebbero rappresentare una credibile alternativa a questo stato di cose ma che, o per loro inguaribile insipienza o per volgare e scientemente praticata vuota demagogia, sono i principali nemici per cominciare ad uscire dal vile stato di soggezione e sottomissione dell’Italia iniziato nel secondo dopoguerra e ora giunto a completa e razionale maturazione attraverso il governo Draghi (un drastico salto di qualità nell’esecuzione dei compiti di servilismo che fra l’altro, ci dice Germinario e noi condividiamo completamente, è un cambiamento che sta per essere messo in atto da una persona seria e capace, Mario Draghi appunto, e quindi, per Germinario ed anche per noi marxianamente ragionando, del tutto positivo perché potenzialmente foriero di esplosione di contraddizioni che il precedenti governanti fantoccio sono riusciti, questo il loro grande “merito” storico, a sopire ed imbastardire, un sopimento ed imbastardimento dove la vittima sacrificale è il popolo italiano che culturalmente ed antropologicamente ha perso, come s’è visto anche nell’ultima emergenza del Coronavirus, ogni qualsivoglia élan vitale, strategico e confllittuale).
Recupero, quindi, di spirito e slancio combattivo favorito dalle esplosioni delle contraddizioni colpevolmente sopite ed avvelenate dalle classi dirigenti ormai messe da parte con l’ultima operazione di palazzo suggellata dalla definitiva intronizzazione di Mario Draghi (operazione che, fra l’altro, richiama nelle sue dinamiche, più che la miserrima vicenda dell’assunzione del ruolo di primo ministro del “tecnico” Mario Monti, la chiamata al potere del dittatore portoghese António de Oliveira Salazar, anch’esso uomo come Draghi di grandissima qualità e chiamato al capezzale di una repubblica portoghese morente e alla quale il futuro dittatore diede il giusto ed inevitabile colpo di grazia. Come si dice, corsi e ricorsi …) sono le possibilità che ci offre questa nuova fase politica, possibilità non solo analizzate nell’articolo di Germinario ma per le quali viene offerto nel suo articolo la via per renderle effettivamente possibili ed operative, il rifiuto cioè antropologico e culturale di tutti quei vecchi (o meglio: precocemente invecchiati) tromboni che fino ad oggi hanno preteso di interpretare il rifiuto a questo stato di cose ma che, lo ripetiamo, per insipienza culturale o per lucido calcolo (ad ognuno attribuire l’una o l’altro tipo di colpa ai propri passati beniamini, ognuno è amante tradito da un proprio specifico incantatore di serpenti e si lascia ad ognuno la libertà di pubblicamente comminare loro il tipo di giudizio che in cuor proprio si sente di formulare) hanno fatto fallire clamorosamente. Giusta la via indicata da Germinario e come si dice, il dibattito è aperto (ma, ancor meglio, parafrasando il titolo di quest’ultimo contributo di Germinario, da ora è aperta l’azione per nuove azioni di costruzione cultural-politiche), permettendosi lo scrivente di aggiungere che per le nuove idee e linee d’azione non bisogna immaginare futuri salvatori ma risalire, anche se occhio criticamente educato, a quanto la storia del nostro paese ha saputo egregiamente – anche se tragicamente ed anche contradditoriamente – produrre. Ed è appunto questa mia considerazione finale, il mio contributo sul percorso di (ri)costruzione ora come sempre brillantemente indicato da Germinario.
LE MANI SPORCHE E LA LEGA
Le recenti vicende della crisi politica hanno provocato il solito rosario di spiegazioni basate su ideali, coerenza, ecc. ecc., aventi tutte in comune: a) la funzione propagandistica, di favorire gli amici (globalsinistri) e denigrare i nemici (sovrandestri) b) ciò che più interessa, usando argomenti di contorno, secondari, ed eliminando (perché scomodi e spesso estranei al loro modo di pensare) quelli principali.
Utilizzando la “cassetta degli attrezzi” del realismo politico l’interpretazione delle mosse degli attori in gioco è diversa.
Il primo caso è la “conversione” europeista di Salvini onde – secondo i media mainstream lo stesso sarebbe: un voltagabbana traditore e/o sconfitto da Draghi e dalle panzerdivisionen europee.
In realtà la prima regolarità della politica è la ricerca del potere (e del dominio), e la conversione della Lega deve valutarsi alla luce di quella regolarità assai più della quantità (e qualità) degli improperi anti-europei lanciati da Salvini e rilanciati dagli euroglobalisti (per lo più dai loro araldi); anche perché i nemici sono sì quelli con cui si conduce la guerra, ma anche coloro con cui si fa la pace.
All’uopo è bene ricordare il dramma di Sartre “les Mains sales”, in cui il protagonista, estremista dissidente uccide il segretario del partito comunista Hoederer perché ha realizzato un accordo con il regime collaborazionista filotedesco, contro il quale comunisti e i loro alleati conducevano una guerra civile. La scena del negoziato tra i leaders è un insieme di topos realistici a favore del capovolgimento di fronte, la spartizione del potere e i fattori di potenza.
Senza alcun problema Hoederer propone un accordo – accettato dal nemico, il capo dei filonazisti, ma rifiutato dal leader degli alleati borghesi – nel quale il partito comunista ha un ruolo preponderante nel nuovo organo di governo (3 membri su 6); la ragione di ciò è l’avanzata delle armate sovietiche, e la necessità dei conservatori d’ingraziarseli, nonché quella di tutti di far cessare le lotte interne e la guerra (esterna). Come dice il Principe, capo dei filonazisti “è necessaria una visione realistica della situazione”; Karsky, il capo degli antinazisti non comunisti, che ricorre (anche) ad argomenti moralistici, rimane isolato e perdente.
Di accordi come quello rappresentato nel dramma da Sartre, nella storia ne sono stati realizzati infiniti, anche in una guerra fortemente “ideologizzata” come la seconda guerra mondiale.
Ma perché in un contesto istituzionale come quello italiano, la partecipazione al governo, anche con forze opposte, ha tale importanza, tenuto conto che la Lega rischia di pagare un prezzo in termini elettorali alla coerenza della Meloni? Qua occorre ricorrere a due pensatori del ‘900. Il primo, Carl Schmitt sostiene che in una Repubblica parlamentare (com’è l’Italia) “Chi detiene la maggioranza fa anche le leggi ed inoltre è in grado di far rispettare le leggi che esso stesso ha fatto. Ma la cosa più importante è che il monopolio di far valere le leggi in vigore gli conferisce il possesso legale degli strumenti di potere statali e di conseguenza anche un potere politico assai più ampio della semplice «validità» delle norme”. Il giurista di Plettemberg chiama ciò “un plusvalore politico addizionale che si aggiunge al potere meramente normativistico-legale: un premio super legale al possesso legale del potere legale ed alla conquista della maggioranza”.
Entrando nel governo la Lega (e Forza Italia) ottengono due vantaggi: fruire di detto “plusvalore” e sottrarne (una parte) agli avversari.
E qua occorre ricordare Gramsci, per cui “lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catene di fortezze e casematte”: ma in uno Stato amministrativo, “sociale”, distributivo e soprattutto ben più esteso di quello liberale di un secolo fa, una parte di quelle casematte, che il pensatore sardo vedeva nella società civile, sono ora collocate (e dirette) nel e dal settore pubblico. Occupare – almeno in parte – la direzione di (gran parte) di quelle casematte è un passo – più che notevole – verso il potere.
D’altra parte anche se Draghi è, per storia e curriculum personale tutt’altro che un sovran-popul-identitario, ma un euroglobalista, lo stesso realismo consiglia: a) di tener conto che la maggioranza del popolo italiano è dall’altra parte b) che seguire una politica che non ne tenga conto è indebolire il governo sia in termini di consenso che di potenza. I cattivi risultati ottenuti dai governi italiani degli ultimi dieci anni con l’Europa (e non solo) sono stati determinati – in buona parte – dal fatto che i poteri “forti” (statali e non) sapevano di avere a che fare con governanti deboli, carenti di consenso e anche perciò poco affidabili. Utilizzabili nell’immediato, ma controproducenti per gli sponsor nel futuro.
Il governo Monti, con l’enorme e rapido aumento dell’opposizione anti-sistema, l’ha provato.
Pensare che Draghi (e i leaders europei) voglia ripetere quel colossale errore, è far torto alla prudenza e alle indubbie capacità dell’ex capo della BCE. Certo, il futuro è incerto e, come sempre, saranno i risultati a dire se la manovra è riuscita o meno. Ma è sicuramente un errore giudicare vinta o persa la partita prima che l’arbitro ne fischi l’inizio, sulla base, magari, del colore delle magliette dei giocatori. Così si fa tifo da stadio, non analisi politica.
Teodoro Klitsche de la Grange