Pacco-Italia: Alto/Basso. Fragile. Maneggiare con cura, di Roberto Buffagni

Pacco-Italia: Alto/Basso.

Fragile. Maneggiare con cura

 

Com’è il pacco-Italia che ci hanno recapitato le elezioni politiche 2018?

Be’, anzitutto è rovesciato: presenta il lato Basso in alto. Però sconsiglierei di raddrizzarlo bruscamente, perché il pacco è molto Fragile: basta guardarlo un momento, e si vede che presenta una netta linea di frattura proprio a metà, fra Nord e Sud. Insomma: maneggiare con cura.

Non stupisce, che il Basso (Lega al Nord, Movimento 5 Stelle al Sud) abbia rovesciato l’ Alto. Il centro di gravità dell’Alto che sinora ha governato l’Italia (il PD) era situato troppo, troppo in alto: geograficamente, oltre la cintura alpina, a Bruxelles e a Francoforte; socialmente, nei ceti che, a torto o a ragione, identificano il loro interesse con l’Unione Europea; geopoliticamente, lungo la direttrice nordeuropea, che rovescia la naturale direttrice mediterranea dell’interesse nazionale italiano. Con la testa nelle nuvole, l’Alto ha lasciato che il Basso si allargasse, si appesantisse, si depositasse sempre più in basso, ed ecco il risultato: Basso continuo, dalle Alpi a Capo Passero.

Il risultato è un enigma, perché non può esistere un Basso senza un Alto. Chi formerà il nuovo Alto di questo Basso, e come? Il quesito da risolvere è questo.

Una prima analisi del Basso italiano distingue tra un Basso nordista che sventola la bandiera del Lavoro e, ancora timidamente, la bandiera della Nazione; e un Basso sudista che sventola la bandiera del Soccorso e, ancora timidamente, la bandiera dell’Unione Europea. Il Basso nordista cerca di diventare Popolo liberandosi dal suo servaggio con lo strumento tradizionale del suo riscatto, la laboriosità; il Basso sudista si presenta per quel che è, Plebe; e se da un canto se ne inorgoglisce sfacciatamente (“uno vale uno” vuol dire “non siete meglio di noi”) dall’altro mendica da “Franza o Spagna” l’urgente soccorso di cui ha vero bisogno, il “reddito di cittadinanza”, il “purché se magna”.

Si ridisegnano, insomma, a centosettant’anni di distanza, le linee di frattura sociali e geografiche che non riuscì a saldare l’ “eroico sopruso” dell’unificazione nazionale italiana, e ci impongono un urgente esame di realtà, senza il quale non potrà sorgere un Alto che guidi questo Basso.

Ci hanno fornito le coordinate essenziali di questo esame di realtà tre dei maggiori interpreti della storia e dell’identità italiana, che tutti conosciamo dai tempi della scuola: Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Giovanni Verga. Il conte Manzoni dedica la sua opera maggiore alle vicende di un’operaia tessile e di un operaio qualificato che diventa piccolo imprenditore. Il conte Leopardi, in una delle sue poesie più luminose, si fa pastore errante, un marginale così isolato che gli tocca di parlare con la luna. Il rentier Giovanni Verga, nel suo romanzo migliore, ci racconta la storia di una famiglia di poveri pescatori e di un carico di lupini. Ciascuno a suo modo, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi e Giovanni Verga ci dicono una verità che noi italiani già sappiamo tutti, se appena ci riflettiamo e siamo onesti con noi stessi: che il modo di essere naturale, archetipico, dell’Italia e degli italiani è la povertà. Siamo stati la quinta potenza industriale del mondo, tuttora possediamo, neonati compresi, un paio di telefoni cellulari a testa, ma la povertà resta, nel bene e nel male, la nostra casa: finché ne avremo una. Povertà e ricchezza hanno ciascuna le sue virtù e i suoi vizi. Virtù e vizi della ricchezza – amore della gloria e della sfida, fiducia in se stessi, alterigia, distacco – non ci riescono bene. Siamo decisamente più a nostro agio con virtù e vizi della povertà. Le principali virtù della povertà sono: sapere, fin dentro le ossa e il midollo, che la sciagura esiste sul serio, nella vita quotidiana di tutti e non solo nei libri; la modestia del realismo; la dignità che ne consegue; e la laboriosità. I principali difetti della povertà sono: il sogno della ricchezza che divora tutto; la millanteria della grandezza; il vittimismo; e la tentazione ricorrente del melodramma, cioè a dire la tentazione di credere e agire come se i poveri e i deboli, solo perché poveri e deboli, fossero buoni e incolpevoli: come se la responsabilità di errori colpe e mali fosse sempre dei ricchi e forti, e soprattutto degli altri.

Per noi italiani la tentazione del melodramma – la tentazione di dare la colpa (e con la colpa, la responsabilità) agli altri – è oggi la più forte e la più pericolosa: e il Movimento Cinque Stelle ne è l’espressione politica schiettamente servile. Non è un caso fortuito che a fondarlo sia stato un comico. La posizione del comico è la posizione del servo, che nella zona franca della scena, dove gli spari non uccidono e le decisioni non impegnano, può salire in Alto e dire le sue ragioni. In condizioni normali, cioè se il centro simbolico, politico e sociale tiene, quando cala il sipario il servo riprende il suo posto nel mondo e torna in Basso. Oggi il centro non tiene, e il Servo si ritrova in primo piano sulla grande scena del mondo, dove le scelte hanno conseguenze, le decisioni impegnano, gli spari uccidono: e spaurito, incredulo, se ne esalta e sogna.

Che cosa sogna, il Servo-Movimento Cinque Stelle? Be’: continua a sognare, in forma semplificata, ingenua, caricaturale, il sogno che gli ha insegnato a sognare il suo padrone, il PD: il sogno dell’Europa “dove lavoreremo un giorno di meno e guadagneremo un giorno di stipendio in più”, secondo la gesuitica profezia di Romano Prodi; e lo riformula sognando che da Lassù, Qualcuno ci recapiterà lo stipendio senza che ci diamo la briga di lavorare neanche un’ora. Insensato? Certo che è insensato. E allora? A tanti italiani, specie al Sud, appare insensata l’ambizione di lavorare, crescere una famiglia, mettersi un tetto sulla testa e una lapide sulla tomba, insomma: appare insensata la vita. Perché non preferirle un sogno, altrettanto insensato ma lieto?

La Plebe del Sud che vuole sognare e il suo partito, il Movimento Cinque Stelle, sono dunque l’avversario politico naturale del Popolo del Nord, che vuole destarsi.  Se il Nord saprà proporre al Sud una via praticabile e una prospettiva sensata, vivibile anche da svegli, dal Basso del Nord e del Sud potrà sorgere un nuovo Alto, capace di ricomporre e guidare l’Italia intera. Se non ci riuscirà, l’Italia ne uscirà balcanizzata, e tornerà ad essere un’ “espressione geografica”, come la definì la celebre formula del principe Clemens von Metternich.