presentazione del 7 aprile di John Mearsheimer

Punto di vista ACURA: trascrizione della presentazione del 7 aprile di John Mearsheimer

Grazie mille per avermi invitato ad essere qui. E ricordo con affetto i nostri viaggi in Germania, specialmente quando Steve e io abbiamo discusso della questione ucraina all’epoca. Sono d’accordo con quello che hai detto, Katrina, quando hai detto che questa è la crisi più pericolosa dalla seconda guerra mondiale. Penso che in realtà sia più pericoloso della crisi dei missili cubani, che non serve a minimizzare il pericolo di quella crisi. Ma penso che fondamentalmente quello che abbiamo qui sia una guerra tra Stati Uniti e Russia e non c’è fine in vista. Non riesco a pensare a come questo possa finire nel prossimo futuro. E penso che ci sia una possibilità molto pericolosa di escalation. Prima di tutto, l’escalation fino al punto in cui gli Stati Uniti stanno effettivamente combattendo contro la Russia, le due parti si stanno scontrando militarmente, cosa che finora non è avvenuta.

E penso che qui ci sia un serio pericolo di escalation nucleare. Non sto dicendo che sia probabile, ma posso raccontare storie su come accade realmente. Quindi la domanda è: come siamo finiti in questo pasticcio? Cosa l’ha causato? E il motivo per cui è molto importante affrontare questo problema è che ha ogni sorta di implicazioni per la comprensione del pensiero russo. Se vuoi capire come pensano i russi di questa crisi, devi capirne le cause. Ora il punto di vista dominante, che ovviamente rifiuto, è che Vladimir Putin o sia un aggressore congenito o sia semplicemente determinato a ricreare l’Unione Sovietica o una qualche versione dell’Unione Sovietica. È un espansionista, è un imperialista. Penso che questa argomentazione sia sbagliata e il mio punto di vista è che si tratta davvero degli sforzi dell’Occidente di trasformare l’Ucraina in un baluardo occidentale ai confini della Russia.

E l’elemento chiave di questa strategia, ovviamente, è l’espansione della NATO. E nella mia storia, tutto risale alla decisione dell’aprile 2008 al vertice della NATO a Bucarest, dove si diceva che sia la Georgia che l’Ucraina sarebbero diventate parte della NATO. I russi all’epoca avevano chiarito chiaramente che ciò era inaccettabile, che né la Georgia né l’Ucraina sarebbero entrate a far parte della NATO. E in effetti, i russi hanno chiarito che lo consideravano una minaccia esistenziale. Molto importante per capire quelle parole. Dal punto di vista russo fin dall’inizio, questa è stata percepita come una minaccia esistenziale. Molte persone in Occidente non credono che sia una minaccia esistenziale per i russi, ma ciò in cui credono è irrilevante perché l’unica cosa che conta è ciò che pensano Putin e i suoi compagni russi, e pensano che sia una minaccia esistenziale.

Ora penso, ad essere onesto, che l’evidenza sia schiacciante che questo non è un caso di Putin che agisce come un imperialista, ma è un caso di espansione della NATO. Se guardi al suo discorso del 24 febbraio che giustifica il motivo per cui la Russia ha invaso l’Ucraina, si tratta solo dell’espansione della NATO e del fatto che è percepito come una minaccia esistenziale per la Russia. Se si guarda al dispiegamento delle forze in Ucraina, è difficile sostenere che i russi siano decisi a conquistare, occupare e integrare l’Ucraina in una Russia più grande. Se ascolti Zelenskyy parlare di una possibile soluzione, la prima cosa a cui va è parlare di creare un’Ucraina neutrale. Questo ti dice che si tratta davvero dell’espansione della NATO e della neutralità ucraina. Inoltre, non ci sono prove che Putin affermi che ciò che vuole fare è in realtà rendere l’Ucraina parte della Russia.

Non ci sono prove che dica che questo è fattibile e che intende farlo. Non c’è dubbio, nel suo cuore vorrebbe vedere l’Ucraina far parte della Russia. Nel suo cuore probabilmente vorrebbe vedere il ritorno dell’Unione Sovietica. Ma come ha chiarito chiaramente, ciò non è possibile e chiunque la pensi in questo modo non sta pensando in modo chiaro. In effetti lo ha detto. Quindi vorrei che qualcuno mi indicasse le prove in cui chiarisce che ciò che sta effettivamente facendo in termini di formulazione della politica è cercare di creare una Russia più grande o ricostituire l’Unione Sovietica. Tutto questo per dire che se credi come me che sta affrontando una minaccia esistenziale, in effetti stai dicendo che lo vede come una minaccia alla sopravvivenza della Russia. E se si trova in una situazione del genere, non può perdere. Quando affronti una minaccia esistenziale, non perdi. Non hai scelta. Devi vincere.

Ora, questo ci porta dalla parte americana. Cosa stanno facendo gli americani? Quello che stiamo facendo, che è quello che abbiamo fatto dopo lo scoppio della crisi il 22 febbraio 2014, è raddoppiare. Abbiamo deciso che quello che faremo è sconfiggere la Russia all’interno dell’Ucraina. Daremo una sconfitta decisiva contro i russi all’interno dell’Ucraina. E allo stesso tempo, strangoleremo la loro economia. Metteremo loro sanzioni malvagie e li metteremo in ginocchio. Noi, in altre parole, vinceremo e loro perderanno. Inoltre, l’amministrazione Biden e lo stesso presidente hanno fatto di tutto per intensificare la retorica e ritrarre i russi come la fonte di tutti i mali e per ritrarci come i buoni e per creare l’impressione nella mente delle persone che questa sia una situazione che non non si presta al compromesso perché non puoi scendere a compromessi con il diavolo. In effetti, quello che bisogna fare qui è vincere.

Ora, saprai che sarebbe una sconfitta devastante per Joe Biden se i russi dovessero vincere questa guerra. E ovviamente, come ti ho appena detto, dal punto di vista russo, devono vincere questa guerra perché questa è una minaccia esistenziale che stanno affrontando. Quindi la domanda che ti vuoi porre è, dove ci lascia? Entrambe le squadre devono vincere. È impossibile per entrambe le squadre vincere, non quando si pensa alla situazione che stiamo affrontando qui. Quindi, come otteniamo un accordo negoziato? Solo che non lo vedo succedere. Non vedo i russi dare alcun motivo significativo e certamente non vedo gli americani dare alcun motivo significativo. Quindi cosa è probabile che accada? Ora si parla da parte nostra, e anche da parte russa, che questa guerra durerà per anni. In altre parole,

Ora, capisco che a questo punto non siamo coinvolti nei combattimenti, ma siamo il più vicino possibile a essere coinvolti. E poi inizi a dire a te stesso, non è possibile che verremo trascinati in questo? C’è un’enorme pressione politica sull’amministrazione Biden affinché noi implementiamo la no-fly zone per entrare effettivamente per scopi umanitari in Ucraina e così via. Finora Biden ha saputo resistere a quella pressione, ma riuscirà a resistervi per sempre? E se avessimo un incidente militare che ci trascinasse nei combattimenti? Quindi potremmo benissimo finire in una situazione in cui gli Stati Uniti e la Russia stanno combattendo l’uno contro l’altro in Ucraina. Poi veniamo alla questione dell’escalation nucleare.

Penso prima di tutto, se gli Stati Uniti vengono trascinati in una lotta contro la Russia ed è una guerra convenzionale in Ucraina o per l’Ucraina nell’aria, gli Stati Uniti picchieranno i russi. Se gli ucraini stanno facendo così bene contro i russi militarmente, puoi immaginare quanto meglio faranno gli americani negli scontri aria-aria e anche a terra, giusto? In quella situazione, non crede che sia possibile che la Russia si rivolga alle armi nucleari? Penso sia possibile. Ho studiato un sacco di storia militare. Ho studiato la decisione giapponese di attaccare gli Stati Uniti a Pearl Harbor nel 1941. Ho studiato la decisione tedesca di lanciare la prima guerra mondiale durante la crisi di luglio del 1914. Ho esaminato la decisione egiziana di attaccare Israele nel 1973 .

Questi sono tutti casi in cui i decisori si sono sentiti in una situazione disperata e hanno capito tutti che in un modo molto importante stavano lanciando i dadi, stavano perseguendo una strategia incredibilmente rischiosa, ma sentivano semplicemente di non avere scelta. Sentivano che era in gioco la loro sopravvivenza. Quindi quello di cui stiamo parlando qui è prendere un paese come la Russia, giusto, che pensa di affrontare una minaccia esistenziale, che pensa che la sua sopravvivenza sia in gioco e che lo stiamo spingendo al limite. Stiamo parlando di romperlo. Stiamo parlando non solo di sconfiggerlo in Ucraina, ma di romperlo economicamente. Questa è una situazione straordinariamente pericolosa, e trovo davvero straordinario che stiamo affrontando l’intera questione in un modo così disinvolto. E comunque, Penso che molto di questo abbia a che fare con il fatto che così tante persone che sono state coinvolte nel pensare a questo problema oggi sono state sollevate durante il momento unipolare e non durante la Guerra Fredda. Durante la Guerra Fredda, come qualcuno come Jack può dirti anche meglio di me, abbiamo riflettuto a lungo sulla guerra nucleare.

Abbiamo riflettuto a lungo sulle relazioni tra USA e Unione Sovietica e su come ciò potrebbe portare a una guerra nucleare. Le persone che sono cresciute nel momento unipolare sono molto più sprezzanti su questi temi. E penso che questo rappresenti una situazione molto pericolosa. Ora vorrei notare che anche se i russi e gli americani non finissero per combattersi, ma gli ucraini fossero in grado di scaglionare i russi in Ucraina e infliggere loro sconfitte significative, i russi potrebbero comunque rivolgersi alle armi nucleari. È possibile. È probabile? No, ma è possibile. E questo mi spaventa molto e dovrebbe spaventare la maggior parte degli americani e certamente la maggior parte degli europei. Quindi tutto questo per dire, quando guardo alle relazioni USA-Russia oggi, penso che siamo effettivamente in guerra l’uno con l’altro. Anche se ancora una volta, gli americani non stanno combattendo contro i russi sul campo di battaglia,

Ora che dire dell’Ucraina? Gli ucraini non hanno alcuna agenzia? Voglio dire, dopo tutto, è il loro paese che viene distrutto. Si potrebbe argomentare che l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, è disposto a combattere questa guerra fino all’ultimo ucraino. E il risultato finale è che l’Ucraina è in effetti un paese distrutto. Dato che hanno un’agenzia, non è possibile che gli stessi ucraini dicano basta e mettano fine a tutto questo? Purtroppo, non credo che sia il caso. E penso che il fatto sia che gli Stati Uniti non permetteranno agli ucraini di concludere un accordo che gli Stati Uniti trovano inaccettabile.

Non vogliamo che ciò accada. Come ho detto prima, l’amministrazione Biden intende infliggere una sconfitta decisiva alla Russia. Se gli ucraini decideranno di concludere un accordo e consentire alla Russia di vincere in un certo senso significativo, gli americani diranno che è inaccettabile. E gli americani lavoreranno con i nazionalisti di destra in Ucraina per indebolire Zelenskyy o il suo successore. Quindi non vedo in alcun modo che l’Ucraina possa intervenire e porre fine a questa crisi. Lo vedo solo andare avanti e indietro. Posso concludere dicendo che George Kennen ha affermato alla fine degli anni ’90 che l’espansione della NATO è stato un tragico errore e che avrebbe portato all’inizio di una nuova Guerra Fredda. All’inizio sembrava che avesse torto. Abbiamo avuto la prima tranche di espansione nel 1999 e ce la siamo cavata. Abbiamo avuto la seconda tranche di espansione nel 2004 e siamo riusciti a farla franca. Ma poi, quando nell’aprile 2008 è stata presa la decisione per una terza tranche, che includerebbe Georgia e Ucraina, è abbastanza chiaro che avevamo spostato un ponte troppo oltre. E il risultato finale, mi dispiace dirlo, è che penso che la previsione di Kennen si sia rivelata vera. Grazie.

https://usrussiaaccord.org/acura-viewpoint-transcript-of-john-mearsheimers-april-7th-presentation/

SULLA SECONDA FASE DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA, di Roberto Buffagni

SULLA SECONDA FASE DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA

 

Nel video linkato in calce[1], il giornalista e documentarista italiano Giorgio Bianchi, che dal 2014 segue il conflitto in Ucraina, riporta quanto gli ha detto nel Donbass una fonte di alto livello e degna di fede del campo russo.

E’ notevole che il contenuto riportato da Bianchi coincida con quanto scritto da Gilbert Doctorow il 14 aprile[2] nel suo articolo The Russian Way of War – Part Two. Doctorow è uno storico americano, collaboratore dell’American Committee for U.S.-Russia Accord (ACURA)[3] del quale fu cofondatore il professor Stephen Cohen[4] (Princeton University), uno dei maggiori studiosi della Russia sovietica e post-sovietica.  Oggi Doctorow è residente a Bruxelles. Per decenni ha studiato la Russia e lavorato colà per imprese occidentali, come consulente. Ha dunque una vasta rete di relazioni in Russia.

I punti essenziali riportati da Bianchi sono:

  1. La Russia non prende in considerazione la possibilità di perdere questa guerra.
  2. Il campo occidentale ha chiarito che non intende trattare, ma anzi prolungare il più possibile la guerra per indebolire la Russia.
  3. Le sanzioni hanno già quasi raggiunto il massimo possibile.
  4. La demonizzazione della Russia da parte del campo occidentale è totale.
  5. Le FFAA russe hanno subito serie perdite.
  6. Dunque, non è più interesse russo continuare a condurre una guerra limitata, con mezzi limitati, per obiettivi limitati raggiungibili mediante trattativa diplomatica parallela alle operazioni militari.
  7. La Russia quindi ha deciso di impiegare tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere la vittoria sul campo, forse previa dichiarazione formale di guerra all’Ucraina.

Chiarisco il punto 1. Per la Russia, “perdere questa guerra” significa “interrompere le ostilità senza essersi assicurati gli obiettivi minimi dichiarati”, ossia a) Donbass indipendente b) neutralizzazione militare Ucraina c) neutralizzazione milizie armate nazionaliste radicali. I rapporti di forza oggettivi tra Ucraina e Russia fanno sì che la Russia possa “perdere questa guerra” solo se interrompe le ostilità con una decisione politica. Coeteris paribus, ossia se la NATO non interviene direttamente nel conflitto, è impossibile che la Russia subisca una sconfitta militare, se prosegue le ostilità. È incerto soltanto come, quando e a quale costo la Russia vincerà militarmente.

Chiarisco il punto 2. Che il campo occidentale non intenda favorire una trattativa tra Ucraina e Russia è chiarissimo, e non abbisogna di spiegazioni. Aggiungo una mia congettura. Secondo me la dirigenza russa ha concluso che gli Stati Uniti intendono prolungare il più possibile la guerra in Ucraina, per indebolire la Russia in vista di un obiettivo strategico: frammentazione della Russia sul modello jugoslavo. Ritengo che dal punto di vista russo, la strategia complessiva americana è quella di attaccare contemporaneamente i suoi maggiori avversari, Russia e Cina, al fine di riconfermare la propria egemonia mondiale. La Russia è il primo obiettivo perché è la più debole. Probabilmente gli Stati Uniti pensano anche che in caso di frammentazione della Russia, la Cina potrebbe essere associata agli Stati Uniti nella spartizione del bottino, e ricondotta a una (provvisoria) partnership con gli Stati Uniti.

Un indizio a suffragio di questa congettura sono gli articoli che linko in calce. Il primo è di Ray McGovern, ex analista CIA a capo per la sezione Unione Sovietica. Tema: rapporto Cina-Russia. È solido? I russi hanno informato i cinesi dell’invasione? Hanno ottenuto il loro consenso?[5] McGovern argomenta che sì, il rapporto Russia – Cina è più che solido, e che i cinesi erano al corrente dell’invasione.

Il secondo, su “Foreign Policy” è di Matthew Kroenig, vicedirettore dell’Atlantic Council’s Scowcroft Center for Strategy and Security, uno dei più importanti think tank USA. Il titolo parla da sé: Washington Must Prepare for War With Both Russia and China/ Pivoting to Asia and forgetting about Europe isn’t an option[6]. L’accesso all’articolo è pagamento. Ma il terzo articolo che linko, di Deborah Veneziale, The U.S. is preparing war with China and Russia at the same time[7] analizza l’articolo di Kroenig e ne cita ampi stralci. Cosa assai interessante, è stato scritto per un pubblico cinese e pubblicato su “Guancha”[8].

Se la mia congettura è corretta, la Russia ritiene che in questo conflitto sia a rischio la propria sopravvivenza, e dunque è disposta a battersi fino alle estreme conseguenze, compreso uno scontro diretto con la NATO e l’impiego delle armi nucleari. Faccio notare che anche qualora il campo occidentale non intendesse perseguire questi scopi strategici, e la Russia avesse equivocato le intenzioni americane, per prevedere che cosa farà la Russia contano soltanto le percezioni russe.

Per concludere. Sinora, la Russia ha condotto una guerra limitata, con mezzi limitati, per raggiungere obiettivi limitati con una trattativa diplomatica parallela alle ostilità. Il quadro giuridico in cui si svolgono le ostilità è quello dell’aiuto militare alle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla Duma russa prima dell’inizio dell’invasione: è per questo che i russi chiamano le ostilità “operazione militare speciale” e non “guerra”.

È probabile che prima di passare alla seconda fase delle ostilità, la Russia dichiari formalmente guerra all’Ucraina, per cambiare il quadro giuridico del conflitto, sia all’interno, sia all’esterno del paese. Non conosco la legislazione russa e dunque non sono in grado di valutare l’importanza del cambiamento del quadro giuridico tra “operazione militare speciale” e “guerra” formalmente dichiarata. In Italia, la differenza sarebbe decisiva.

In ogni caso, è probabile che nel prossimo futuro assisteremo a una forte, progressiva escalation del conflitto in Ucraina.

Come profetizzato dal professor John Mearsheimer sin dal 2015[9], l’Ucraina subirà immani distruzioni e gravi perdite civili. Per sventare questa tragedia, questa “inutile strage”, basterebbe che un paese europeo importante rompesse il fronte occidentale e promuovesse un ridisegno del sistema di sicurezza europeo che tenga conto delle esigenze russe. Temo che non accadrà.

 

 

[1] https://youtu.be/0Wtxd7Ay8Cs

[2] https://gilbertdoctorow.com/2022/04/14/the-russian-way-of-war-part-two/?fbclid=IwAR0qsuDV38Tzaxk2rv4mGqh_n_sIc4nX836D5qg7xkNMcfVPI3EXJsyw2dc

[3] https://usrussiaaccord.org/

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_F._Cohen

[5] https://original.antiwar.com/mcgovern/2022/04/03/the-late-deceased-paradigm-on-russia-china/

[6] https://foreignpolicy.com/2022/02/18/us-russia-china-war-nato-quadrilateral-security-dialogue/

[7] https://mronline.org/2022/02/27/the-u-s-is-preparing-war-with-china-and-russia-at-the-same-time/

[8] https://www.guancha.cn/DeborahVeneziale/2022_02_26_627801.shtml

[9] https://youtu.be/JrMiSQAGOS4

Mario Draghi, la parabola di un funzionario_di Giuseppe Germinario

Per oltre un anno hanno invocato l’arrivo del redentore a rimedio dello sfacelo provocato con tanta buona volontà da Conte e dai suoi apostoli.

Il suo annuncio aveva sollevato gli animi dell’universo, o quasi, dei peccatori dal cuore fibrillante e penitente.

Il comun sentire suggeriva che il suo prestigio, le sue entrature nel ristretto mondo dei veri decisori avrebbero riportato all’istante il Bel Paese nel cerchio magico dei forgiatori dei destini del mondo; se non proprio tra i commensali, almeno nella stanza di servizio, quella adibita ai sussurri e alle suppliche con qualche fondata speranza di essere accolti.

Il suo avvento trionfale, la sua acclamazione simboleggiava la realizzazione sorprendente, quasi miracolistica, delle aspettative unanimi, ma sino all’attimo precedente discordanti. Un branco di animali rissosi ricondotti dal buon pastore docilmente all’ovile come pecorelle smarrite, pur con qualche bizza bonariamente tollerata per dar sfogo ad intemperanze e smarrimenti identitari. Persino le rade pecorelle rimaste fuori dal recinto a brucare in solitudine i cespugli selvatici non riescono a sfuggire all’attrazione, pronte a seguire sia pure a distanza l’itinerario tracciato dal guardiano.

Lo hanno ritenuto, ancora in parte lo ritengono, il Grande Timoniere in grado di riparare la nave e condurla nel porto più sicuro con tutti gli onori e qualche onere. Si sta rivelando rapidamente in realtà il timone dalla rotta rigidamente prestabilita dal timone automatico, guidato da un software nemmeno tanto sofisticato e flessibile; più prosaicamente una ruota da timone trafitta e bloccata nella direzione da una barra a prescindere dai flutti, dagli ostacoli e dalle correnti.

Sulle doti di coraggio ed intraprendenza del sedicente timoniere è sufficiente la narrazione espressa dalla immagine; non ci sarebbe molto altro di sostanziale da aggiungere.

Sul punto di arrivo della sua missione questa redazione non ha nutrito il minimo dubbio; altrettanto sulla rotta e gli strumenti che avrebbe utilizzato per raggiungerlo. Qualche spiraglio il sottoscritto, dimentico delle stilettate del buon Cossiga, aveva lasciato aperto sulla capacità e possibilità del capitano, o sedicente tale, di rappezzare la nave ed ammorbidire quantomeno le modalità di espressione della propria fedeltà.

Su questo al contrario Mario Draghi ha rivelato nei vari ambiti, piuttosto, i limiti e gli impacci propri di un grigio travèt piuttosto che la sagacia e l’intraprendenza di un condottiero.

Osserviamo nel più ampio spettro possibile le modalità, le finalità e gli strumenti di azione adottati dal nostro in questi quattordici mesi di governo.

Nelle dinamiche geopolitiche europee Mario Draghi è una delle pedine, nemmeno la più importante, certamente una delle più solerti, che deve assolvere al compito di neutralizzare e ricondurre al verbo atlantista le pulsioni autonome, per quanto timide e dettate dalla situazione politica interna piuttosto che dalle ambizioni del ceto politico al governo, di Francia e Germania; deve inoltre coordinare e guidare in questo senso l’azione dei paesi mediterranei, in particolare di Portogallo, Spagna e Grecia. La recente conferenza congiunta con questi paesi mediterranei e la fretta con la quale si vorrebbe giungere alla costituzione dell’esercito europeo, a prescindere dalla costruzione di un complesso industriale, logistico e di comunicazione militare adeguati sono l’indizio di questa intenzione. In questo Mario Draghi, di suo, ha contribuito ad accentuare lo straniamento dell’Italia dalle vicende della Libia, così cruciali per il nostro paese; ha azzerato ogni ruolo di possibile mediazione nel conflitto russo-ucraino esponendosi platealmente più di altri europei, in compagnia di paesi baltici, Svezia, Polonia e Gran Bretagna, il pieno e fattivo sostegno al governo dell’attore nel pieno delle sue funzioni, Zelensky. Analogo fervore e coerenza ha dimostrato nell’applicare la politica di sanzioni alla Russia, in questo superando nella solerzia addirittura Stati Uniti e Gran Bretagna in diversi ambiti; ha rivelato il proprio zelo rusticano, in questo assecondato egregiamente dal valletto Giggino e dal curiale Enrico, apostrofando fuori tempo massimo Erdogan e continuando nella fustigazione personale di Putin. Ha ricevuto in cambio il riconoscimento di Zelensky a che l’Italia sieda in buona compagnia con i peggiori fomentatori al tavolo come garante della futura neutralità ucraina. Un riconoscimento che sa di polpetta avvelenata in caso di accordo solo parziale con i russi sulle nuove frontiere e sullo status ucraino; comunque l’ennesimo impegno dell’Italia in uno scacchiere lontano dai suoi effettivi interessi strategici. Lo ha attraversato sorprendentemente un piccolo sussulto, chiedendo sommessamente ai propri superiori considerazione per la particolare dipendenza del paese dal gas e dal petrolio russi. Una preghiera durata il lasso di un respiro; giusto il tempo di un paio di articoli minatori di richiamo personale apparsi sulla stampa americana. Per il resto Supermario ci sta abituando soavemente e surrettiziamente, con gelida nonchalance, all’inevitabilità di un conflitto armato con la Russia o in alternativa di una politica sanzionatoria foriera di austerità e soprattutto di drammatico dissesto economico e sociale di un paese già colpito dalla furia catastrofista che ha pervaso la crisi pandemica e l’approccio ambientalista.

Ben inteso il nostro ha saputo servire il calice amaro con argomenti insolitamente “sovranisti” per un uomo nutrito di valori agli antipodi. Sulle scelte energetiche ha riesumato il termine di “indipendenza”, ma solo per specificare che trattasi di indipendenza dalla Russia ed omettere il fatto che si arriverebbe in realtà a dipendere ulteriormente da una cerchia più ristretta di fornitori altrettanto e più rapaci, a cominciare dagli Stati Uniti; ha ripescato il termine diversificazione, un ossimoro per un globalista di tal fatta, quando in realtà l’eliminazione di un fornitore così importante conduce sulla strada opposta e per di più pescando in aree geopolitiche particolarmente instabili nelle quali l’Italia per altro riveste un ruolo del tutto insignificante.

I recenti viaggi in Algeria e in altri due paesi africani sono poco più di una cortina fumogena tesa a nascondere l’inattendibilità delle quantità di forniture promesse, per altro ridotte rispetto al fabbisogno nazionale e la divaricazione dei tempi rispetto all’urgenza imposta dalla propria sudditanza geopolitica agli statunitensi. L’Algeria, come è noto, paese per altro instabile politicamente, dispone di riserve in via di esaurimento rispetto alle potenzialità di altri paesi e soprattutto contese da numerosi concorrenti altrettanto assetati e meglio bardati. Riguardo alle forniture di GLN è sufficiente lanciare uno sguardo distratto sui costi esorbitanti di estrazione e di gestione delle infrastrutture di trasporto ed immissione per farsi un idea del dissesto a cui stiamo andando rapidamente incontro. Se a questo si aggiunge il furore dogmatico con il quale si è puntato sulla produzione di energia da fonti rinnovabili con tecnologie ancora sperimentali, comunque in buona misura inquinanti e non in grado di garantire continuità di fornitura e sostituibilità significativa delle fonti fossili, ecco che la strada verso il dissesto e la decrescita infelice è ormai ripida ed inarrestabile ovviamente coperta dall’aura della fedeltà europeista e del miraggio di un mondo bucolico scevro da fonti fossili e da energia nucleare della quale l’Italia deteneva sino a pochi decenni fa ottime capacità tecnologiche. Non solo ripida ed inarrestabile, anche di fatto irreversibile, almeno per lunghi lustri, data la mole e i tempi di attuazione richiesti dagli investimenti per dirottare i flussi verso sbocchi alternativi.

Come al solito, per leggere correttamente i termini della questione posti in Italia, bisogna curiosare sulla stampa e negli ambienti diplomatici all’estero. Nella fattispecie ci ha pensato l’ineffabile Victoria Nuland, rediviva sottosegretaria di stato statunitense, da sempre impegnata a fomentare il bellicismo e a coltivare i propri affari in Ucraina, a mettere nero su bianco i puntini sulle “i”. Raccomandiamo i lettori di scrutare attentamente la sua recente intervista sul quotidiano greco ekathimerinhttps://italiaeilmondo.com/2022/04/17/victoria-nuland-in-k-si-al-gnl-no-agli-oleodotti-nel-mediterraneo/

disponibile su questo nostro link assieme ad altri articoli importanti sull’argomento, in particolare per quanto dice su “Eastmed”. Ne risulta in sintesi la assoluta irrilevanza e scontata accondiscendenza dell’Italia rispetto alle priorità statunitensi rivolte alla Turchia, alla Germania, all’Europa Orientale e Settentrionale, giunte sino all’estremo sacrificio economico e strutturale del nostro paese.

Lungi dal porgere il petto in nome dell’interesse nazionale, il nostro se l’è cavata con un laconico ed inquietante “se ne può discutere”.

Tutto sommato, però, visti gli antefatti e il suo passato, in questi ambiti non ci si sarebbe potuto aspettare niente di diverso da quest’uomo, se non qualche asprezza ed qualche impaccio di troppo.

La vera sorpresa, mi si perdoni l’enfasi, riguarda e riguarderà ancor più in futuro i due piani operativi per i quali il nostro è stato invocato ed accolto trionfalmente: la gestione della crisi pandemica e la realizzazione del PNRR.

Una sorpresa particolarmente amara per il nostro paese e promettente per lui.

Segno che i destini di successo, gloria e riconoscenza personali non coincidono necessariamente con quelli del paese al quale presuntivamente si appartiene. Nella fattispecie tutto lascia intendere che siano inversamente proporzionali.

LA CRISI PANDEMICA

La conferma di personaggi a dir poco così improbabili, come il ministro Speranza e il commissario Arcuri, figli prediletti del cerchio magico, ormai decadente, direi penoso di Massimo Dalema, non lasciava presagire nulla di buono. La nomina del Generale Figliuolo è stato il vero colpo d’ala nella gestione della pandemia; ne ha rivelato nel tempo i limiti circoscritti e nel contempo indiscriminati dell’azione antipandemica rispetto ad altre finalità inconfessabili di manipolazione e controllo della società emerse via via in maniera sempre più evidente. Un baraccone costruito in realtà su un unico e rischioso obbiettivo, proprio per la sua unilateralità e preclusione di alternative ed interventi complementari: la vaccinazione di massa. Un rimedio dagli effetti annunciati miracolosi, in realtà solo parzialmente efficace. Una costruzione che in qualche maniera ha retto mediaticamente; che continuerà a reggere, anche se in maniera sempre più precaria, almeno sino a quando non saranno disponibili ed effettivamente di pubblico dominio i risultati esposti nelle 55.000 (cinquantacinquemila) pagine del documento appositamente prodotto dalla apposita Commissione, istituita ovviamente dal Congresso Americano.

Sta di fatto che la campagna vaccinale è riuscita soprattutto a nascondere l’incapacità e la aleatoria volontà di Governo e pubblica amministrazione ad agire selettivamente secondo categorie ed aree diversificate di rischio, con uno spettro ben più ampio di interventi seguendo un approccio multirischio più flessibile ed articolato, ma decisamente meno invasivo.

Ne abbiamo parlato e scritto più volte in questo sito sin dai primi giorni della crisi pandemica.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e lo sarà ancora di più nel futuro prossimo: il dissesto e la precarizzazione di interi settori economici e intere categorie sociali; la gestione inquietante, manipolatoria e totalitaria dell’informazione e dei provvedimenti, strumentale ad altri fini di potere e controllo, così lesta ad essere attribuita e additata a paesi come la Cina, ma negletta in casa propria.

Da qui la vergognosa caccia all’untore, sostenuta e alimentata dall’intero sistema mediatico, ai danni di qualsiasi voce critica, a prescindere dalla fondatezza degli argomenti, le aperte e protratte discriminazioni tese a nascondere e a sopperire alla inefficacia e controproducenza di provvedimenti generalizzati di chiusura e limitazione e al prevedibile saccheggio di risorse del quale si incomincia ad intravedere ormai la reale dimensione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, almeno per chi vuol vedere. La stessa diffusione e patogenicità, letalità del virus non ha subito limitazioni rispetto a paesi dalle politiche più lassiste e flessibili.

Il sospetto, più che fondato, è che la crisi pandemica sia stata nel tempo l’occasione e il pretesto per sperimentare ed introdurre modalità e tecniche di manipolazione proprie di una condizione conflittuale e bellicista più generale e complessa, propria di una fase multipolare della quale gli Stati Uniti faticano e non intendono prendere atto. In questo contesto si inserisce ancora una volta l’azione specie mediatica, particolarmente maldestra, del nostro Supermario entro un baraccone mediatico parossistico, costruito con lo strepitìo di affermazioni e controaffermazioni dallo scarso fondamento scientifico e logico.

IL PNRR

Anche del PNRR abbiamo scritto con dovizia, almeno sino ad un anno fa. L’argomento avrebbe meritato ben altra attenzione nel tempo sia perché è stato il principale cavallo di battaglia che ha consentito l’ingresso di Mario Draghi nell’agone politico, sia per le grandi aspettative di sviluppo e riorganizzazione socioeconomica create ad arte intorno ad esso, sia per le finalità reali, ma celate, per le quali in realtà è stato rifilato, agognato e varato. Anche noi, purtroppo, a causa soprattutto della scarsità di forze disponibili, siamo caduti nella trappola della univocità dei temi imposti in questi ultimi due anni, nella fattispecie la crisi pandemica, dal quale è scaturito per altro il PNRR e la crisi poi del conflitto in Ucraina.

Dubbi perniciosi sulla effettiva efficacia del piano, almeno rispetto agli obbiettivi conclamati, iniziano ad insinuarsi anche in settori cruciali dell’establishment e dei centri amministrativi.

Altrettanto preoccupati, iniziano ad emergere giudici sulla organicità del piano, sulla definizione delle priorità e delle finalità, sull’approccio unilaterale che ignora i fattori multirischio che ne potrebbero inficiare l’esito, sulla capacità di realizzazione dei progetti da parte della macchina amministrativa, specie degli enti locali e sulla effettiva consistenza aggiuntiva dei fondi rispetto ai programmi di spesa di investimento previsti e non attuati in questi ultimi decenni.

Sono nodi dai quali il nostro Supermario riuscirà probabilmente a sfuggire, non sappiamo ancora con quale eleganza, visti i tempi di realizzazione previsti dal PNRR e vista la fretta sempre più evidente del nostro nel cercare gratificazioni alternative, possibilmenteal di fuori di questo “pauvre pays”; così povero, ma così irriconoscenteverso i propri geni.

Non è possibile in questo articolo ritornare analiticamente sulle varie parti del PNRR, né sono in grado al momento di affrontare nei dettagli le caratteristiche del piano.

È possibile comunque ribadire alcuni giudizi di fondo, già espressi per altro con più autorevolezza, ma con eccessiva cautela, da fonti ben più accreditate.

https://www.radioradicale.it/scheda/660186/pnrr-e-fondi-strutturali-2021-2027-il-paese-alla-prova-dellintegrazione-per-evitare-lo

https://www.radioradicale.it/scheda/661208/pnrr-scelte-di-sistema-per-la-ripartenza-scenari-e-valutazioni-sugli-strumenti

  • I fondi sono in gran parte sostitutivi di altri finanziamenti giacenti da tempo ed inutilizzati; la gran parte dei finanziamenti sono prestiti da restituire con una pesante ipoteca nel caso ad essi non dovesse corrispondere un sufficiente livello di sviluppo e crescita economica

  • i progetti, specie quelli propri degli enti locali, in gran parte sono riesumati

  • l’insieme dei progetti si sta rivelando una sommatoria avulsa da priorità, gerarchie, coordinamento ed inserimento in un progetto e modello di organizzazione sociale coerente ed efficace

  • la macchina tecnico-amministrativa, pur con gli interventi ventilati, non sembra in grado di formulare e seguire adeguatamente i progetti

  • manca esplicitamente quantomeno l’ambizione, esplicitata al contrario da Francia e Germania, di acquisire una capacità tecnologica autonoma, necessaria alla garanzia di acquisizione, protezione e manipolazione di dati e comandi indispensabili a gestire con sicurezza la circolazione dei flussi informatici e digitali. L’unico impegno riguarda l’intervento nella Pubblica Amministrazione e nella trasformazione digitale delle imprese in un quadro di indirizzo e controllo delle filiere determinato da altri, soprattutto da altri paesi

  • mancano progetti concreti consistenti di formazione di piattaforme industriali che integrino le attività di ricerca pura, applicata e di finalizzazione del prodotto senza i quali l’attività di ricerca in Italia, pur asfittica, anche se in realtà più significativa nella realtà chiusa delle piccole aziende di quanto mostrino i dati ufficiali, tende assumersi più i rischi che le potenzialità di realizzazione di profitto e sviluppo

  • mancano consistenti risorse finanziarie nazionali indispensabili, tali da curare specifici ambiti produttivi ed organizzativi e da aggirare i vincoli e le limitazioni al varo di nuove iniziative imposti dalle normative europee in materia di concorrenza

Ci sarebbero altri aspetti importanti da segnalare.

Sta di fatto che l’inerzia del processo di attuazione del piano tenderà a realizzare soprattutto alcuni progetti di entità strategica come la logistica e la rete di dati a danno di altri, secondo una logica per così dire apparentemente neutra, la quale porterà ad accentuare in realtà, in assenza di pesanti correttivi, ulteriormente i processi di polarizzazione della struttura socioeconomica europea e di periferizzazione ulteriore della struttura industriale italiana piuttosto che ad un riequilibrio delle dinamiche. Non solo! Ancora più importante, ad assecondare quei progetti logistici più compatibili con le strategie di integrazione militare della NATO e americane.

Una tematica ben presente da sempre in numerose sedi europee, ma quasi del tutto assente ancora in Italia. In perfetta linea purtroppo con la retorica ed il lirismo legato al tema del mancato utilizzo dei fondi strutturali piuttosto che ad un esame disincantato della loro funzione.

Non è il solo aspetto critico del piano.

Ne rimane un altro a segnare la continuità storica di ogni ambizione di riforma dello Stato e dei suoi apparati con precedenti nefasti.

La logica emergenziale, insita anche nel PNRR, che ha portato regolarmente alla creazione di apparati e centri di potere, inizialmente destinati a trasformare, coordinare e sostituire i precedenti e che in realtà si sono sovrapposti e sono entrati in competizione con essi sino ad arrivare e probabilmente a peggiorare in futuro il disordine istituzionale ed amministrativo e la competizione distruttiva e paralizzante tra centri di potere, sempre più spesso dipendenti e diretti da centri esterni.

Un disordine al quale la fede tecnocratica e positivista sulle magnifiche sorti e progressive delle nuove tecnologie difficilmente riuscirà a porre rimedio. Di esempi ne abbiamo ormai visti a iosa.

Il PNRR rappresenta solo l’ultimo strumento, l’occasione giusta al momento giusto, per rafforzare ulteriormente il processo di integrazione e subordinazione della formazione sociale ed economica italiana attraverso vincoli e dinamiche naturali e difficilmente reversibili al quale si sono prestate di buon grado quasi tutte le forze politiche e i gruppi di interessi ansiosi di partecipare ai frutti tanto attraenti nell’immediato, quanto tossici per la società nel futuro, di quel banchetto.

Frutti, per altro, già messi in forse dalle conseguenze destabilizzanti dell’attuale crisi geopolitica.

Attribuire a Mario Draghi la responsabilità esclusiva di tutto questo sarebbe fuorviante e ingeneroso. Una sopravvalutazione, soprattutto, del valore della persona.

Sono processi innescati ormai da oltre quarant’anni e culminati, nella prima fase, con Tangentopoli, la dismissione di un apparato pubblico industriale per altro in netta decadenza nella sua gran parte e un degrado e la letterale sparizione delle capacità tecnico-amministrative legate alla soppressione repentina di agenzie ed apparati pubblici negli anni ‘90.

EPILOGO

Mario Draghi ha seguito questa onda, ne è stato tra i tanti, l’artefice importante sin dagli albori; ci ha costruito sopra una brillante carriera.

Non ha evidentemente concluso la sua opera.

Quello che sta succedendo alla Tim-Telecom, con la possibile conciliazione e spartizione tra americani e francesi, alle Alleanze Generali, nella strategica industria di base italiana, a cominciare dall’acciaio, sono il compimento di questo processo drammatico e nefasto per il paese.

La legge sulla concorrenza dovrebbe essere infine la cornice adeguata per assecondare organicamente queste scelte e il compimento dell’opera.

A guardare gli ultimi documenti significativi prodotti dal Governo, in particolare il DEF e le note al DEF, colpisce l’assordante silenzio in materia di intervento e politiche attive di intervento nell’industria, di obbiettivi di ricostruzione consapevole delle filiere interrotte ed incrinate dalla crisi della globalizzazione, almeno nelle forme sin qui conosciute, di gestione in prima persona almeno di parte delle dinamiche fondamentali.

Una sequela di incentivi generali e di interventi assistenziali dal carattere meramente redistributivo, teso ad accontentare questuanti e ceto politico di bassa lega, ma che dissangueranno ulteriormente il paese e lo distoglieranno dalle questioni cruciali che si stanno affrontando in modo succedaneo e truffaldino.

La stessa protrazione di provvedimenti, quali l’agevolazione del 110% negli interventi di edilizia residenziale rappresentano una distorsione gigantesca in un settore complementare, ma cruciale, tale da saturare e distorcere l’offerta lavorativa ed imprenditoriale, determinare una levitazione enorme dei prezzi di fatto a carico dello Stato per il momento e dei privati nel futuro prossimo e distorcere l’attività dell’intero settore, specie quello legato all’edilizia industriale.

La possibilità di un contraccolpo, quindi, molto difficilmente riassorbibile. Specie se concomitante con la crisi pandemica e con i riflessi della crisi geopolitica in atto.

Su questo si è inserito da par suo, ancora una volta, il contributofattivo e subdolo di Mario Draghi.

Tirando fuori il solito tema, fondato per la verità, ma creato dalla farraginosità e superficialità dei sistemi di controllo, della corruzione ha soppresso il fattore più significativo e positivo di quel provvedimento, assecondando presumibilmente le sollecitazioni discrete ma efficaci della Commissione Europea o di lobby particolari in essa presenti: la circolarità di quei titoli, di fatto una moneta locale.

Mario Draghi ha trovato una strada spianata davanti a sé, grazie anche alla complicità del sistema associazionistico e lobbistico.

Alcune, come Confindustria, istituzionalmente incapaci per la loro composizione, di affrontare e proporre indirizzi di sviluppo, conversione ed aquisizione di potenza di una formazione socio-politica. Altre, come le confederazioni sindacali, incapaci di affermare e confermare appunto il proprio ruolo confederale ed una visione politica di insieme, quantomeno tentata in tempi lontani, che potesse prospettare una forma di sviluppo e di coesione sociale tale da offrire alle rivendicazioni la forma di diritti e doveri compatibili con un determinato assetto produttivo e sociale coeso e dinamico piuttosto che la caratteristica di una difesa distributiva di tipo sempre più difensivo e corporativo del tutto sterile. Un aspettativa evidentemente illusoria con un gruppo dirigente sindacale sin troppo legato alla matrice progressista ed europeista dell’attuale ceto politico e ad una visione sterilmente movimentista abbagliata dalla suggestione compassionevole di masse informi, per altro politicamente inesistenti quanto facilmente manipolabili, piuttosto che dalla partecipazione cosciente dei settori più professionalizzati, antico reale nocciolo duro del passato glorioso dei sindacati e dei partiti di massa organizzati.

Non sappiamo se la piega presa dal paese abbia assunto una direzione definitiva; lo temiamo. In qualche maniera sappiamo cosa servirebbe, ma non siamo in grado, almeno per ora, di contribuire a produrne le condizioni.

Sarebbe già tanto far comprendere che la fortuna personale di un personaggio con un tale passato e di tal fatta non coincide con quella di un paese e della sua popolazione; ne è agli antipodi, ma è quello che vogliono farci credere.

Con le dovute cautele, prima se ne andrà, meglio sarà per la nazione.

CHE DOMANDA DOVREMMO FARCI?_di Pierluigi Fagan

È IL MOMENTO DI FARCI UNA DOMANDA: CHE DOMANDA DOVREMMO FARCI? L’intero apparato di gestione e controllo del pensiero e conseguente dibattito pubblico, ha ricevuto precise indicazioni dagli strateghi della psicologia comportamental-cognitivista. Per tutti costoro c’è una sola domanda da farsi: che fare davanti ad una ingiustificabile aggressione che provoca morte, distruzione e dolore ad un aggredito?
Qualcuno segnala la stranezza di farsi tali domande oggi quando non ce le siamo mai fatte e continuiamo a non farcele per molti altri tristi casi di conflitto planetario. Altri pensano forse che l’aggressione se non giustificabile andrebbe almeno contestualizzata. Qualcun altro pensa forse che anche l’aggredito non è esente da responsabilità pregresse. Altri infine sospettano che tra aggredito ed aggressore c’è un terzo incluso che andrebbe specificato per capire meglio la situazione per poi prender decisioni. C’è anche chi la mette sul pragmatico e cinicamente invita a farci i conti di quanto costa rispondere in un modo o in un altro a quella domanda. Ma è davvero questo la domanda più importante da farsi? O forse la domanda da farsi prima di ogni altra è proprio “ma chi ha deciso che è questa la domanda più importante da farci?”. Potrebbe esser il caso invece di farci questa seconda domanda e scoprire che rispondendo a questa, avremo anche più conseguente e logica risposta a quella che ci viene imposta.
Vediamo un po’. Vari istituti di ricerca d’opinione, segnalano concordi che c’è una evidente asimmetria tra quello che il parlamento italiano sta decidendo su i fatti relativi la guerra in Ucraina (non solo armi sì o no), unitamente alle unanimi convinzioni dell’intero apparato di gestione e controllo del pensiero e conseguente dibattito pubblico e l’opinione prevalente del popolo italiano. In una recente trasmissione televisiva un ambasciatore ed un oligarca occidentale hanno candidamente ammesso che la gente normale di queste cose non capisce niente e quindi c’è chi deve decidere per loro. Ma da qualche giorno, emerge anche un’altra questione interessante.
L’istituto SWG ha fatto una ricerca sui sentimenti geopolitici degli italiani. Tra il vissuto precedente il conflitto e l’oggi emergono significativi scostamenti. Sono crollate le simpatie verso la Russia dal 18% al 2% e quelle verso la Cina dal 22% al 3%. Sono salite quelle verso la Francia dal 15% al 38% e quelle verso la Germania dal 12% al 34%. Quindi si rileva un significativo ri-orientamento dall’Italia soggetto individuale con sguardo interessato verso altri mondi, all’Italia che riconosce comunanza di interessi coi consimili europei. Da notare che se il frame è l’Europa, questi sono stati a lungo vissuti come concorrenti, se il frame si allarga al mondo allora le differenze che notiamo con questi vicini ci fanno sembrare questi prima concorrenti, dei fratelli quasi naturali.
Ma il dato più interessante è forse un altro. La precedente postura di una Italia curiosa e libera di coltivare desiderio di relazione con questo o quello, inclusi i russi ed i cinesi, era pensato e vissuto dentro un fortissimo senso di coappartenenza con gli Stati Uniti d’America. Gli italiani consideravano gli USA il Paese più amico in assoluto ben il 44% pensava questo, più di Russia, Cina, Francia e Germania e di non poco. Oggi invece, questa percentuale è al momento scesa al 27%, ben meno del nuovo sentimento di neo-fratellanza europeo-occidentale. È la prima volta in settanta anni che l’Italia si sente più europea che americana e scommetterei sul fatto che questo trend continuerà ad approfondirsi.
Annusa l’aria al volo il direttore di una testata on line ora anche stampata settimanalmente, TPI. Una testata con una sua indipendenza che non la fa comunque essere nel campo “alternativo”, ma neanche del tutto in quello “mainstream”. L’articolo di fondo di Gambino titola: “Perché in questa guerra non possiamo non dirci anti-americani”. Gli USA vogliono indebolire se non far collassare la Russia e non è detto questo sia del tutto anche il nostro interesse. Gli USA vogliono egemonizzare l’intera Europa subordinandola ai propri interessi e spaccarla tra parte orientale ed occidentale e questo non è un nostro interesse. Gli USA vogliono colpire indirettamente per il momento la Cina e questo, ancora, non è il nostro interesse specifico visto che l’altro Europa è niente più che un mercato e logica del mercato vuole che vi siano forti interessi a sviluppare scambi con la Cina e l’Asia in generale che per via di ragione geografica non rappresenta, né mai potrà rappresentare per noi un problema. È da Marco Polo che rappresenta invece una opportunità, ma se si studia “Le vie della Seta” dello storico P. Frankopan anche ben da prima di Polo. Segue una densa analisi di come l’ordine mondiale versione americana, sia sempre più contradditorio e semmai utile solo agli americani e soprattutto come questa loro utilità confligga sempre più con la nostra.
Riguardo la domanda che sembra esser l’unica che ci dobbiamo porre, ne consegue ciò che ha sostenuto anche il gen. Tricarico ed altri tra i pochi che hanno voce indipendente in questi tempi bizzarri: Biden alzi il telefono e chiami un tavolo diretto di trattativa con Putin che non aspetta altro poiché tutto quanto sta succedendo riguarda più loro giochi di potenza di primo livello che non l’Ucraina ed il nostro inviargli o meno armi e tagliarci i consumi di energia sprofondando in profonda recessione e prossimo conseguente disordine sociale, con finale arruolamento in una Terza guerra mondiale che noi europei occidentali non vogliamo in alcun modo. Dobbiamo quindi mandare armi a Zelensky o un telefono a Biden?
La domanda da farci allora è “a chi stiamo andando appresso?”. Gli USA hanno in programma un potete riarmo del mondo e quando ci sono le armi, di cui sono i leader mondiali di produzione, poi queste vanno usate. Hanno sovvertito in un attimo alleanze consolidate con mezzo pianeta, tra cui il mondo arabo e buona parte di quello asiatico, inclusa l’India. Hanno fatto impazzire i prezzi dell’energia facendo infiammare l’inflazione. Hanno tentato di spaccare l’ONU, tra l’altro non riuscendoci. Dopo averci rimbambito per trenta anni con le meravigliose sorti progressive della globalizzazione, dopo essersi rimpinzati di soldi a livello delle loro esigue élite, ora hanno deciso che noi europei dovremmo commerciare solo con loro perché tutti gli altri sono “impuri”. Hanno un Presidente con un figlio che trafficava con investimenti in gas e laboratori bio in Ucraina e chissà che Zelensky e la sua cricca non lo ricatti con carte imbarazzanti. Un Presidente che ha sfondato il minimo storico di gradimento già sfondato da Trump, una macchietta presa in giro da mezzo mondo perché si vede che l’età non gli consente più di dirigere i molteplici e complessi interessi del suo Stato-potenza. Ma se è evidentemente incapace di svolgere i suoi compiti chi altro li svolge per lui? È stato eletto questo “dietro di lui”? Che agenda ed interessi ha? Un Paese che ha la più asimmetrica distribuzione di ricchezza interna del mondo occidentale e la conseguente più ampia popolazione carceraria del mondo, cosa ha di fondo “in comune” con noi? Un Paese che ha fatto 34 conflitti armati dal dopoguerra, per non parlare dei “colpi di Stato” e “regime change”, nonché varie proxy-war.
Si chiama geopolitica perché la geografia e la geostoria contano. Gli Stati Uniti sono su un’altra piattaforma continentale, così i canadesi. Gli inglesi sono su un’isola che dalla favola di Mandeville in poi (ma già da Enrico VIII) guarda all’Europa in maniera problematica e per nulla famigliare. Australiani e neozelandesi sono in mezzo ad un altro oceano e pure in un altro emisfero. Personalmente non amo le definizioni in negativo (una identità non si determina per esser “anti” un’altra) quindi non mi sento antiamericano. È sudditanza psico-culturale anche questo porre l’altro come qualcosa verso il quale si deve esprimere la differenza per trovare la propria identità.
Penso invece ci si trovi in una nuova ed interessante congiuntura storica, quella in cui occorre domandarci: “noi” chi siamo? Prima di elaborare, discutere e condividere una intenzione, la risposta al fatidico “che fare?” dovremmo capire chi è il soggetto, chi è questo “noi”. Un mio vecchio amico, diceva che più che di “progresso”, dovremmo porci il problema dell’”emancipazione”. Prima di domandarci da che parte andare e cosa fare, domandarci chi siamo anche perché è rispondendo a questa domanda che ogni altra va di conseguenza.

Ucraina, una realtà rimossa_con Max Bonelli

Poiché il Team di You Tube ha rimosso il video, l’unico link disponibile è quello di rumble. D’ora in poi si suggerisce di privilegiare tale accesso

La realtà della situazione in Ucraina fatica pesantemente ad emergere non ostante alcune crepe che qua e là cominciano ad emergere nel sistema mediatico nazionale. Una cappa opprimente comune a tutti i paesi europei, ma che in Italia sta raggiungendo i vertici della disinformazione più dozzinale. Negli Stati Uniti, come testimoniato anche dal filmato iniziale di questa conversazione, la situazione è in buona misura diversa e più favorevole. Merito soprattutto dello scontro politico aperto fra le compagini politiche e all’interno degli stessi centri decisori; grazie anche al fatto che quanto avviene in Europa e nell’Ucraina stessa non è solo la conseguenza, ma l’esito diretto di decisioni statunitensi prese sul campo con una catena di comando sempre più diretta. E le decisioni, per essere prese e per renderle efficaci, hanno bisogno di una relativa trasparenza nella fase di elaborazione. I paesi europei sono sempre più, con rare eccezioni, soggetti passivi di queste scelte. La mediocrità tragicamente banale del ceto politico e della classe dirigente italiani, a cominciare dai nostri due presidenti, ne sono l’emblema più disarmante e sconfortante. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v116vrq-ucraina-una-realt-negata-con-max-bonelli.html

QUANDO CHI STA PERDENDO SI PORTA VIA IL PALLONE_ di Pierluigi Fagan

QUANDO CHI STA PERDENDO SI PORTA VIA IL PALLONE.

In un precedente post abbiamo usato una immagine simbolo del mondo come un pallone oggetto di giochi di contesa. Oggi continuiamo con la metafora del sogno di possederlo tutto questo pallone-mondo e laddove la realtà intralcia i sogni, si può arrivare a sottrarre l’oggetto stesso del contendere. Se non vincerò al gioco di quel pallone, mi porto via il pallone o lo buco, così nessun altro potrà giocarvi, fine dei giochi.

Ieri abbiamo assistito in mondovisione, forse per la prima volta che io ricordi, ad una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il nostro miglior uomo, nostro in quanto occidentali, ha arringato piuttosto arrabbiato il Mondo dicendo che se questa istituzione planetaria non è in grado di istruire un processo tipo Norimberga, se non è in grado di estromettere la Russia ed il suo fastidioso diritto di veto dal Consiglio di Sicurezza, allora tanto vale che l’ONU si sciolga ed ammetta la sua inutilità ed impotenza, lasciando il campo a qualche nuova forma ordinativa. Dopo settantasette anni, l’Assemblea dell’Umanità è stata arringata e sferzata da un ex comico ucraino che dopo aver invocato ripetutamente atti che porterebbero alla Terza guerra mondiale, dopo aver arringato e sgridato o parlamenti occidentali distribuendo via Zoom voti dei buoni e dei cattivi, dopo aver detto al parlamento degli ebrei israeliti di decidere da che parte stare nella grande battaglia finale del Bene contro il Male nella piana di Armageddon, arriva a dire al Mondo che deve sciogliere questa sua unica istituzione che ne riflette la globalità, visto che non riesce a decidere da che parte stare.

A fine marzo 2022 si contano 59 guerre attive di varia intensità nel mondo, ma solo la sua conta. Quella in Libia ha fatto pare 15.000 morti mal contati così come quella in Yemen, la ventennale in Afghanistan ha fatto 50.000 vittime civili, forse 200.000 in Iraq, quella in Siria ha fatto circa 500.000 morti, ma nessuno ha mai avuto la possibilità di andare all’ONU a lamentarsene.

Il corrispettivo di Zelensky nel sistema finanziario globale, il nostro miglioro uomo in quel ambito, quel Larry Fink CEO di BlackRock, ha serenamente sancito quello che già i più sapevano ovvero la fine della globalizzazione. Il denaro si traferirà sul digitale e la transizione energetica va spalmata ad anni se non decenni, nel mentre si torna al carbone o si sdogana in fretta il nucleare. I prezzi aumenteranno violentemente, ma molte produzioni prima disperse nelle catene del valore globale torneranno entro i confini dei sistemi di civiltà. L’Europa dell’est, ad esempio, potrebbe diventare il posto migliore in cui riportare produzioni appaltate in Asia, contando su poche regole e basso costo del lavoro. Ma se qualcuno in Africa o in Sud America si mostrerà buon amico del nuovo sistema occidentale, potrà meritare anche lui qualche delocalizzazione.

Nel frattempo, il sistema occidentale scopre improvvisamente che tutto ciò porta a doversi difendere dalla barbarie circondante e quale miglior difesa dell’attacco? Eccoci, quindi, tutti obbligati a riarmarci, siamo improvvisamente tutti in guerra. Tutti ora a studiare i missili ipersonici, bio-armi, cosmo-armi, psico-armi, info-armi e chissà cos’altro.

La guerra è una istituzione umana che, contrariamente a quanto alcuni ritengono, compare tardi nella nostra storia. La più antica prova di un massacro da scontro armato che abbiamo, data a soli 13.000 anni fa. Se ne trovano pochissimi altri esempi sino a che l’atmosfera territoriale in quel della Mesopotamia si scalda, più o meno a partire da 6000 anni fa. Lì si manifesta quella densità territoriale che in rapporto allo spazio e sue risorse, è il motivo per cui facciamo guerre ovvero pratica di violenza tra gruppi umani. Da allora, non abbiamo più smesso.

Finita quella ucraina scommetto sul Polo Nord, tanto lì non ci sono spettatori e ci si potrà darsele di santa ragione. Ci sono 412 miliardi di barili di petrolio e gas fossile, praticamente il 22% delle riserve globali, per un valore totale di 28.000 miliardi di dollari, più uranio, terre rare, oro, diamanti, zinco, nickel, carbone, grafite, palladio, ferro e le insidiose rotte della via della Seta del Sauron pechinese appoggiate dagli orchi russi.

Gli Stati Uniti debbono risolvere l’impossibile equazione del come mantenere un sostanziale controllo diretto ed indiretto sul Mondo onde preservare il loro comodo rapporto tra una esigua popolazione (4,5% del pianeta) ed una cospicua ricchezza (25% del Pil mondiale). Questo, nel mentre l’85% del mondo, cioè il non-Occidente, cresce in demografia e ricchezza, da decenni e per previsti decenni futuri. Il mondo si è molto densificato negli ultimi settanta anni, quindi, che si fa?

La guerra, appunto. Prima si rinserrano le fila del sistema occidentale, poi si rompe il consesso mondiale a vari livelli (la rottura delle c.d. organizzazioni multilaterali dall’ONU al WTO, continuerà nelle prossime settimane a mesi, potete giurarci), poi ci si trova nel più semplice formato “Civiltà vs Barbarie”, poi sarà quel che sarà.

La costruzione del blocco delle democrazie di mercato procede spedito a dimostrazione del fatto che tutto questo è stato a lungo prima pensato, poi preparato, ora eseguito con visione ed intenzione assai decisa. Catturata l’Europa, ora la NATO si rilancia in chiave globale. Alla riunione NATO del 6 aprile, si è messo in agenda la possibile disdetta dell’accordo del 1997 che istituì il Consiglio permanente congiunto Nato-Russia che vietava all’Alleanza di schierare ordigni nucleari nelle repubbliche ex Patto di Varsavia. Svezia e Finlandia stanno per rompere gli indugi per entrare operativamente nell’Alleanza portando la minaccia diretta a San Pietroburgo. Nel documento finale compaiono aggregati alle intenzioni nord atlantiche, gli AP4 (Asia-Pacifico-4 ovvero Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone) dopo che gli USA ed UK avevano già stretto l’alleanza militare diretta con Australia. Il Giappone, dopo lunga preparazione delle opinioni pubbliche che va avanti da qualche anno, sta valicando l’autoimposto limite al riarmo. Poi sarà l’aggiornamento dei Paesi a cui è concessa l’arma atomica. Il lungo post WWII è terminato, le potenze perdenti ora sono inglobate funzionalmente nel dominio a centro americano e così pioveranno miliardi per il riarmo di Germania e Giappone.

Tutto questo si sta svolgendo davanti ai nostri occhi attoniti. Villaggio globale, multiculturalismo, globalizzazione, soft power, governo mondiale, comunità di destino, cura della casa naturale comune planetaria ed una susseguente arruffata collezione di concetti che ancora un mese fa facevano sistema dogmatico di riferimento di ogni buon occidentale dal cuore d’oro, via. Ora il gioco diventa improvvisamente duro e quindi è il momento in cui i duri cominciano a giocare. Cominciando dal portarsi via il pallone perché o si fa parte della SuperLega delle democrazie di mercato di pelle bianca o non si gioca più. Si spara.

Non vi piace? Vabbe’, è previsto, almeno all’inizio un po’ di smarrimento è concesso. Ma vedrete che tra qualche mese, dopo bombardamenti psico-valoriali 7/24, finirete col schierarvi con Rampini. Basta con questa lagnosa autocoscienza critica occidentale, siamo la Civiltà guida ed un sordido mondo sempre più trafficato ci assedia. Tutti quindi a difendere le mura della città stante che, com’è noto, la miglior difesa è l’attacco. A livello di sistema-mondo, il motto ora è “la Russia fuori, la Cina sotto, nuovi alleati dentro”. Il regolamento di conti finale si sta preparando in gran fretta, per un Nuovo Secolo Americano questa è l’ultima chiamata e la risposta che vediamo approntarsi promette fuochi artificiali di grande effetto. Del resto senso comune dice che “non c’è due senza tre” e la prima impensabile WWIII, fa capolino all’orizzonte degli eventi che mai avremmo voluto vedere.

Ucraina! Il vizio d’origine di un regime_di Max Bonelli

La narrazione di casa nostra ci presenta ossessivamente Zelensky, un attore nel pieno esercizio delle sue funzioni e il regime ucraino come i paladini delle libertà del mondo occidentale in antitesi al totalitarismo dell’invasore russo. Max Bonelli ci offre un primo spaccato inquietante della natura del regime ucraino, impegnato a combattere con la stessa intensità sia l’esercito russo che una parte molto significativa della propria popolazione. Un regime che ovviamente ha il diritto di opporsi militarmente, ma che altrettanto ovviamente in questi anni ha perseguito politicamente una linea di aperta ostilità ed aggressione verso la Russia e di feroce repressione verso una componente fondamentale della propria popolazione e ai danni della consistente opposizione politica presente nel paese. Il regime ha avuto quasi dieci anni per cercare un accordo dignitoso con le parti. Istigato e lautamente foraggiato dalle componenti più avventuriste delle élites statunitensi ed europee ha scelto la strada di un nazionalismo territoriale ed etnico che prescinde dalla complessità ed eterogeneità del paese. Un aspetto particolarmente inquietante anche e soprattutto per i paesi della Unione Europea. Il lirismo che ammanta le azioni della dirigenza europeista, visto l’esito dell’esperimento ucraino ed il veleno introiettato dall’accettazione senza remore nel proprio seno del particolare nazionalismo proprio di buona parte dei paesi dell’Europa Orientale, è una maschera che con disinvoltura nasconde ormai a stenti intenti particolarmente inquietanti, già intravisti nella gestione della crisi pandemica ed una supina ed autodistruttiva subordinazione politica all’avventurismo statunitense, disposto ad alimentare e strumentalizzare chiunque, per quanto impresentabile, pur di perseguire i propri obbiettivi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v10kpiv-peccati-dorigine-di-un-regime-con-max-bonelli.html

 

 

gli ultimi giorni della battaglia per Mariupol, di gilbert doctorow

Leggi tutto: gli ultimi giorni della battaglia per Mariupol

L’operazione russa per la presa della città portuale di Mariupol sta volgendo a buon fine. Il “successo” deve essere inteso oggi in un senso qualificato, dal momento che gran parte della città ora giace in rovina e fino a 4.000 civili potrebbero essere stati uccisi nei combattimenti, in gran parte vittime degli ultranazionalisti ucraini felici scatenati. I soldati del battaglione Azov e altri irregolari che trattenevano la città da posizioni fortificate nelle comunità residenziali di questa città di 460.000 hanno sparato arbitrariamente a coloro che hanno cercato di fuggire dai sotterranei dei condomini per andare a prendere l’acqua o che hanno osato tentare di raggiungere i corridoi umanitari e uscire dal città. La popolazione civile fu tenuta in ostaggio e costituiva uno “scudo umano”. Hanno protetto le forze ucraine dalla piena furia dell’artiglieria russa e dagli attacchi aerei di precisione,

Tutti i combattimenti per Mariupol hanno avuto pochissima copertura nei media occidentali. Tutto ciò di cui abbiamo sentito parlare è stata la difficoltà di stabilire corridoi umanitari e interviste con i pochi civili terrorizzati che sono riusciti a raggiungere l’Occidente. Ad essere onesti, la situazione sul campo a Mariupol è stata riferita solo in parte dai russi perché è stato un lavoro in corso che hanno mantenuto sotto regole di segretezza in linea con la loro intera “operazione militare speciale”.

Ora che la cattura di Mariupol è nella sua fase finale, alcune informazioni di valore sono state pubblicate nei media russi alternativi e propongo di presentarle qui per dare ai lettori un’idea di come questa guerra viene perseguita e perché. Fonte principale:  https://www.9111.ru/questions/777777777771838727/

In effetti, la maggior parte della città vera e propria è stata presa dall’esercito russo e dalle milizie di Donetsk, con la significativa assistenza di un battaglione di ceceni guidato dal loro leader Kadyrov. Poiché le rotte fuori città in direzione est sono state liberate e poiché i cecchini e altre forze Azov sono stati respinti per fornire un certo livello di sicurezza nelle strade, un gran numero di civili ha lasciato la città la scorsa settimana. Si stima che la popolazione civile rimasta a Mariupol attualmente sia circa un terzo di quella che era all’inizio del conflitto.

I combattenti Azov, altri irregolari e le forze dell’esercito ucraino erano all’inizio circa 4.000 e ora sono stati ridotti a causa delle vittime. Tra di loro ci sono “mercenari stranieri” come dicono da tempo i russi. Ora dalle conversazioni telefoniche intercettate di questi belligeranti, sembra che tra gli stranieri ci siano istruttori della NATO. Ciò significa che la guerra per procura tra Russia e USA/NATO inizia ad avvicinarsi a un confronto diretto, contraddicendo le dichiarazioni pubbliche dell’amministrazione Biden. Se i russi riusciranno a portare in vita questi istruttori della NATO, che è uno dei loro compiti prioritari, le prossime sessioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU potrebbero essere molto tese.

A dire il vero, le 4.000 forze nemiche sopra menzionate erano solo quelle all’interno della città. Le forze ucraine, forse dieci volte di più, erano posizionate a ovest della città all’inizio delle ostilità. Presumibilmente sono stati respinti in Occidente.

Come sappiamo da circa una settimana, le restanti forze dell’Azov e altre forze ucraine si sono ritirate dalla città vera e propria in due località alla periferia di Mariupol: il porto e il territorio industriale dell’Azovstal. I russi ora hanno completamente accerchiato entrambi.

Il porto corre per circa 3 chilometri lungo il mare e raggiunge nell’entroterra circa 300 metri. È da qui che la scorsa settimana il gruppo Azov ha cercato di inviare in elicottero una dozzina o più dei suoi alti ufficiali. L’elicottero è stato abbattuto dai russi, uccidendo tutti a bordo. Anche un elicottero di soccorso è stato distrutto dai russi, ma qui è sopravvissuto un ucraino ed è stato interrogato sull’operazione fallita.

Il porto viene ora sgomberato dalle forze nemiche, con la milizia del Donbas in testa.  

Il complesso industriale dell’Azovstal è molto più difficile da decifrare. Si compone di due acciaierie. La loro caratteristica specifica sono i livelli sotterranei che scendono da sei a otto piani, dove il nemico deve essere stanato con metodi d’assedio non con sbarramenti di artiglieria o bombardamenti. Potrebbero esserci fino a 3.000 nazionalisti e soldati dell’esercito ucraino. Il compito principale per i russi è controllare tutti gli ingressi e le uscite della metropolitana.

I russi non stanno bombardando per due motivi:

Primo, non ha senso distruggere l’infrastruttura sopra il livello del suolo se il nemico è rintanato al di sotto. Inoltre, nelle vicinanze sono presenti alcuni edifici residenziali.

Secondo, se bombardi e seppellisci i nazionalisti sottoterra, non ci saranno testimoni da portare in tribunale per parlare delle atrocità che queste persone hanno commesso nel Donbas. E potrebbero benissimo esserci in questi bunker sotterranei ancora altri laboratori biologici che fino ad ora sono stati tenuti molto accuratamente nascosti alla vista. I russi vogliono mettere le mani sulla prova.

Qualunque sia il livello di distruzione, la vittoria russa in attesa sulle forze ucraine a Mariupol è tutt’altro che di Pirro. Si tratta di una vittoria a sangue pieno di grande importanza strategica in quanto dà ai russi il pieno controllo del litorale del Mar d’Azov. Sigilla il ponte terrestre che collega la terraferma della Federazione Russa con la Crimea. È anche un elemento chiave per garantire l’approvvigionamento idrico della Crimea, che era stata interrotta dall’Ucraina per infliggere il massimo dolore alla Crimea russa. Con l’acqua che scorre ancora una volta dal Dnepr, vi sono solide basi per riprendere l’agricoltura in Crimea ai suoi livelli tradizionali e anche per sostenere gli afflussi turistici, una fonte di reddito fondamentale per la regione. A ciò si aggiunga la probabilità che con un po’ di tempo e investimenti, Mariupol riassuma il suo importante ruolo economico di porto marittimo e città industriale.

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow-com.translate.goog/2022/04/09/read-all-about-it-final-days-of-the-battle-for-mariupol/?fbclid=IwAR2NYKqYYnySsfVpvaAgIptAKKrdM4WmIeCzfxzAwA5FTJNnrO6w-4nanwA&_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it

Stati Uniti, Russia! Nebbia della guerra, nebbie nelle menti_con Gianfranco Campa

Un presidente ormai isolato, ignorato, oltre il limite del patetico. Un ceto politico sempre più privo di senso istituzionale, tutto preso dallo scontro politico e dalle beghe interne. E’ la situazione paradossale della più grande potenza mondiale, laddove solo il Pentagono e quindi gran parte delle più alte cariche militari sembrano aver conservato prudenza e lucidità in un contesto geopolitico sempre più mutevole e conflittuale. L’Ucraina è attualmente il centro focale delle attenzioni, ma è sicuramente uno soltanto degli episodi che costelleranno la scacchiera internazionale in uno stillicidio di provocazioni e risposte. L’Ucraina è attualmente un porto delle nebbie dove la verità pretende di essere dettata dai detentori della propaganda e del sistema mediatico. Vedremo se il castello di menzogne riuscirà a reggere sino al logoramento dell’iniziativa russa oppure andrà incontro al crollo di una realtà politica e socioeconomica che, specie in Europa, si avvia sempre più velocemente verso un drammatico dissesto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v10gikf-nebbia-della-guerra-nebbie-nelle-menti-con-gianfranco-campa.html

 

Russia, Ucraina! Guerra civile e guerra tra stati_con Antonio de Martini

Tutta la saggezza e la maestria di Antonio de Martini. Siamo tutti impegnati a seguire e decifrare i movimenti militari nella guerra in Ucraina. Con essi i risvolti tragici legati ad esecuzioni e rappresaglie con il corollario delle morti dei civili; inevitabili queste ultime come in una qualsiasi guerra moderna, ma in una dimensione molto ridotta almeno sino ad ora, se comparato con quanto successo in Iraq, in Siria, in Afghanistan. Una condotta militare dettata da una scelta politica precisa da parte di Putin. La dovizia di fatti e di immagini induce e serve a nascondere il filo conduttore delle strategie politiche in corso. De Martini lo sottolinea continuamente. Strategie il cui filo conduttore si può ricondurre agli antefatti della guerra civile in Russia di un secolo fa con la diretta partecipazione di anglosassoni e a quelli della seconda guerra mondiale, riconducibili alla rete di contatti costruita dai tedeschi e riportata nella loro integrità agli statunitensi nel secondo dopoguerra. Una trappola ordita dal mondo anglosassone, dalla quale il governo russo mostra di poterne uscire con grande difficoltà. Più il conflitto rischia di assumere i connotati di una guerra civile, più lo scontro rischia di impantanarsi seguendo direzioni imprevedibili. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v10df6p-russia-ucraina-una-guerra-civile-con-antonio-de-martini.html

 

1 139 140 141 142 143 186