Italia e il mondo

ReArm Iran 2…e anche Israele_di Fogliolax

Rimpolpiamo l’articolo precedente (qui) con le ultimissime notizie dal Medio Oriente.

· I fatti

I due contendenti non si sono certo risparmiati in questi giorni.

Israele ha privilegiato le azioni di sabotaggio (in stile ucraino) con l’uso di droni e missili azionati dagli agenti infiltrati in territorio iraniano, mentre i caccia solo questa notte sono tornati a martellare con forza. Gli aerei israeliani, sfruttando i cieli aperti (per loro) di Giordania, Siria, Iraq e Azerbaijan, riescono a colpire quasi ovunque da Teheran a Isfahan e persino nella città santa sciita di Mashhad, al confine col Turkmenistan.

L’Iran, invece, predilige gli attacchi notturni (in stile russo) con ondate di droni e missili che esauriscono le difese nemiche. Haifa e Tel Aviv sono quasi sempre nel mirino, ma anche la base aerea di Nevatim e le strutture dei servizi segreti sono state colpite.

In attacco i due nemici più o meno si equivalgono; gli obiettivi preferiti da Israele sono gli aeroporti, le infrastrutture energetiche, i siti militari, di ricerca, nucleari e le figure dirigenziali sia militari che civili.

L’Iran, adottando un’altra tattica russa, centra lo stesso tipo di bersagli.

In difesa assistiamo a qualche progresso per gli iraniani, mentre per gli israeliani non si mette benissimo (lo vedremo tra poco).

· Le persone

In Libano, in Iraq e a Gaza gli attacchi notturni vengono visti come un film all’aperto o uno spettacolo pirotecnico: gente in strada e sui tetti che filma coi cellulari a suon di musica; a Teheran le reazioni sono miste, diverse persone lasciano la città, altre festeggiano in piazza fregandosene anche degli allarmi. Sono balzati agli onori della cronaca due giornalisti che, dopo essere stati bombardati in diretta, hanno ripreso le trasmissioni. Così come il noto professor Marandi scampato a un attacco missilistico, spostatosi in un seminterrato e andato in onda come ospite nel seguito programma del giudice Napolitano, in diretta nientemeno che da New York.

In generale, possiamo dire che il Paese si è stretto attorno ai vertici politici, militari e religiosi.

In Israele i più giovani rimangono in strada o sui balconi per riprendere le battaglie tra i missili e postarle sui social, cosa che ha fatto infuriare l’esercito (come in Ucraina); i meno giovani si riparano nei rifugi sotterranei o nella metropolitana con un misto di paura e nervosismo. Il Paese non si è stretto attorno al governo, almeno questa è l’impressione.

Occorre sempre tenere presente che al di là delle immagini spettacolari, ci sono persone che soffrono e che muoiono. Per quanto fino ad ora il numero delle vittime non sia minimamente paragonabile, ad esempio, a quelle di Gaza o del 7 ottobre, ricordiamoci che ogni vita è sacra.

· Considerazioni tecniche (sono fondamentali in una guerra, vi tocca leggerle)

In attacco Israele sfrutta la sua aviazione decisamente superiore a quella iraniana. Se la guerra dovesse durare pochi giorni problemi zero, se si prolungasse verrebbero fuori le note magagne degli F-35: costi di manutenzione e consumi di carburante disumani, surriscaldamento e malfunzionamenti elettronici in caso di stress operativo.

Quanto agli agenti del Mossad infiltrati che hanno dato un bel vantaggio iniziale ad Israele, vedremo quanto resisteranno alla caccia all’uomo che è iniziata per tutto l’Iran. Sono stati mobilitati i Basij, una sorta di guardia nazionale, e in molti villaggi sono sorte milizie popolari che hanno scovato diversi nascondigli, magazzini e mezzi utilizzati per attaccare i siti sensibili all’interno del Paese.

Pure l’Iran pare non avere problemi ad attaccare, tuttavia la reale situazione delle sue piattaforme di lancio è sconosciuta. Coi primi raid gli israeliani ne hanno distrutte parecchie, anche se (sempre in stile russo) molte erano esche, vale a dire o mezzi vecchi in disuso o veri e propri “fake”.

Passando alla difesa, gli israeliani stanno utilizzando sia il loro sistema a tre strati (corto, medio e lungo raggio) sia le due batterie THAAD made in USA. Il famoso iron beam, un’arma laser, ad oggi non si è visto. Dai video emerge chiaramente come le più avanzate batterie di difesa NATO & friends possano poco contro decine di missili e droni che saturano i cieli. Il discorso vale anche sotto l’aspetto economico: basti pensare che un complesso THAAD costa circa 1 miliardo di dollari chiavi in mano e ogni missile intorno ai 15 milioni, mentre l’ipersonico più costoso lanciato dall’Iran, il Fattah-1, si aggira intorno ai 200 mila dollari. Persino qui si rivedono scene tipiche della guerra russo ucraina, con una differenza di costi tra attacco e difesa a dir poco imbarazzante, visto che per un Fattah vengono sparati dai 6 ai 12 missili intercettori (quelli israeliani costano intorno ai 3 milioni di dollari l’uno).

D’altro canto, l’Iran è ancora alle prese coi problemi creati al sistema difensivo (soprattutto ai radar) dal Mossad. Sta comunque migliorando rispetto ai primi giorni, pare addirittura che abbia abbattuto alcuni caccia di Tel Aviv: meglio attendere una conferma visiva per esserne certi. I sistemi di lancio sembrano ancora in buono stato essendo conservati sottoterra e portati in superficie solo al bisogno.

· Considerazioni politiche ed economiche

La prima e la più importante: qualcuno delle parti in causa ha riflettuto due minuti sulla nuvola radioattiva che si propagherebbe per il Medio Oriente e il Caucaso qualora un paio di missili facessero centro all’interno di un sito nucleare? Anche qui sembra di rivivere quanto avviene in Ucraina con la centrale di Enerhodar: analisi delle conseguenze non pervenuta.

mercati finanziari rimangono dove erano poco dopo lo scoppio del conflitto: questo la dice lunga sul livello di inconsapevolezza che aleggia tra New York e Londra riguardo le ripercussioni di una escalation. È lo stesso schema seguito durante il Covid e la guerra russo ucraina; oggi due morti in meno e quindi va tutto bene e si sale, oggi due missili in meno e quindi tutto risolto e si sale. L’ho analizzato nella “Teoria delle aspettative irrealizzabili”.

Proprio nelle ultime ore, gli USA hanno incrementato il supporto logistico e di sorveglianza satellitare a Israele, spostando diversi aerei nella regione oltre al gruppo di navi capitanate dalla portaerei Nimitz. Lasciando perdere le altalenanti dichiarazioni del presidente Trump, tutto lascia presupporre che gli Stati Uniti interverranno a fianco di Israele.

· Possibili scenari

1) I due contendenti, a corto di munizioni e fatti due calcoli, inveiscono l’uno contro l’altro come nel 2024 diminuendo l’intensità degli attacchi fino a cessarli.

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2) Nessuno interviene, per Israele si mette male e decide di ricorrere all’arma nucleare; è una ipotesi estrema e da scongiurare con tutte le forze; tuttavia, non è da escludere (così come in Ucraina).

3) Gli USA intervengono e la guerra si estende a tutto il Medio Oriente; le basi americane nel Golfo e i Paesi che appoggiano il duo Washington-Tel Aviv vengono attaccati da Teheran; il numero dei morti cresce a dismisura.

4) L’Iran cerca appoggi esterni per contenere gli Stati Uniti senza trovarne; a quel punto si arrocca in difesa con qualche sortita offensiva e alla lunga ne esce vincitore, come gli Afghani e gli Houthi; il problema è che, rimanendo solo, se finisce i missili son finiti, se finisce i soldi son finiti, a meno che…

5) La Russia fornisce (o minaccia di fornire) a Teheran sistemi di difesa avanzati come gli S-350 e gli S-400 (escludiamo i nuovi S-500) molto temuti dai piloti NATO & friends e caccia Su35S (escludo i Su-57) che renderebbero la vita meno facile all’aereonautica israeliana; Trump a quel punto si ricorda di essersi autoproclamato “il pacificatore” e mette un freno al governo di Tel Aviv.

6) La Cina si unisce alla Russia raffreddando gli animi di israeliani e statunitensi; a questo proposito pare che due aerei cargo con supporto logistico partiti da Pechino siano già arrivati in Iran, che fornisce quasi il 15% del fabbisogno annuale di petrolio alla Cina.

7) Le tre super potenze, o solo Russia e Stati Uniti, trovano un accordo e tutti si calmano.

8) A quel punto, oltre a calmarsi, si organizza quella necessaria conferenza internazionale per mettere a punto la sicurezza di Europa orientale, Medio Oriente ed Estremo Oriente.

Ancora una volta e con maggior forza: che Dio ce la mandi buona!

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Guerra russo-ucraina: il ramoscello d’ulivo fiammeggiante, di Big Serge

Guerra russo-ucraina: il ramoscello d’ulivo fiammeggiante

Guerra russo-ucraina: estate 2025

Big Serge17 giugno
 LEGGI NELL’APP 

“È impossibile tenere un ramoscello d’ulivo in una mano e sparare con una pistola nell’altra.”

Così scherzò Wilhelm Solf, diplomatico del Ministero degli Esteri imperiale tedesco. Mentre l’Europa si faceva strada a tentoni tra le perdite di vite umane e l’esaurimento della civiltà causate dalla Prima Guerra Mondiale, Solf fu uno dei pochi personaggi chiave del governo tedesco a sostenere una pace negoziata all’inizio del 1917, quando la guerra aveva ormai superato la metà del suo svolgimento. Naturalmente, sappiamo che la Prima Guerra Mondiale non finì nel 1917: i tentativi di negoziare un accordo fallirono quasi all’istante, con gli alleati che respinsero categoricamente le proposte tedesche. Stranamente, uno dei principali punti di malcontento non riguardava nemmeno gli obiettivi della guerra o le specifiche condizioni di pace, ma piuttosto la questione della responsabilità. Sia le Potenze Centrali che l’Intesa Alleata erano irremovibili sul fatto che la controparte dovesse formalmente assumersi la responsabilità della guerra, e i colloqui non andarono mai oltre.

Il fallito processo di pace fu ulteriormente complicato dall’intervento del presidente statunitense Woodrow Wilson. Forte della fiducia conquistata con la vittoria alle elezioni del 1916, Wilson sentiva di avere la libertà politica di intervenire più attivamente in Europa, e gli Stati Uniti – forse soli tra tutte le potenze mondiali – sembravano avere leve di influenza su entrambe le parti in conflitto. L’agenda di Wilson, in quanto tale, era quella di negoziare una “pace senza vittoria”, senza che nessuna delle due parti annientasse l’altra, in uno spirito di cortesia e rispetto reciproco. Una pace ottenuta con una vittoria dolorosa, secondo Wilson, sarebbe stata percepita come un’umiliazione dalla parte sconfitta e avrebbe creato le condizioni per una guerra futura, seminando un risentimento intrattabile e un revanscismo.

Conoscendo ciò che sappiamo del Trattato di Versailles, che fu proprio questo tipo di pace punitiva profondamente odiata, le affermazioni di Wilson sembrano lungimiranti. Purtroppo, l’idealista (alcuni direbbero ingenuo) presidente americano non era riuscito a leggere la situazione. Il suo discorso “Pace senza vittoria ” fu ben accolto dal pubblico americano, ma respinto come anatema da praticamente tutti gli altri, inclusi non solo i tedeschi, ma anche l’Intesa anglo-francese.

Wilson, distante oltreoceano, non riuscì a comprendere due cose molto importanti. Primo, che l’Europa era in subbuglio dopo anni di carneficina. Questo era particolarmente vero dopo il fallito tentativo della Germania di offrire agli alleati un’offerta di pace; l’Intesa era indignata per quelle che considerava condizioni tedesche offensive, mentre i tedeschi, a loro volta, erano di umore provocatorio dopo il brusco rifiuto da parte dell’Intesa di quelle stesse condizioni. Secondo, Wilson non comprese di non essere considerato un mediatore imparziale, soprattutto dai tedeschi. Pur considerandosi uno statista dotato di un tocco di talento, in una posizione unica per fermare lo spargimento di sangue, Berlino fondamentalmente non si fidava né di lui né degli alleati, e preferiva invece sfruttare spietatamente tutte le sue potenzialità. Pace senza vittoria può sembrare benevola e rassicurante, ma la vittoria era molto più allettante. Dopo milioni di vittime, tutte le parti preferirono puntare alla vittoria piuttosto che arrancare con un pareggio.

A rischio di forzare l’analogia in modo troppo diretto, ci troviamo in una situazione molto simile in Ucraina. Il presidente Trump, come Wilson, uscì dall’euforia della sua vittoria elettorale, pienamente determinato a insinuarsi nella guerra come un pacificatore. Il suo impegno a porre fine alla guerra, come il discorso di Wilson del 22 gennaio 1917, fu molto apprezzato dal pubblico interno, ma ebbe poca risonanza oltreoceano. Come i tedeschi un secolo fa, la Russia non considera il presidente americano un onesto mediatore, e questi ha scoperto che la sua influenza non è così grande come pensava. Ancora più importante, è vero oggi come lo era nel 1917 che è dannatamente difficile convincere gli stati in guerra a farsi da parte quando il loro sangue è in piena attività e ad abbandonare il costo irrecuperabile di così tanto spargimento di sangue. Il tema della colpa è persino tornato, con molti partiti europei che liquidano l’idea di concessioni alla Russia semplicemente perché Mosca è la parte colpevole di questa guerra.

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Abbiamo un problema da Prima Guerra Mondiale, e si risolverà con una soluzione da Prima Guerra Mondiale, quando una delle parti in conflitto riuscirà a sfinire e annientare l’altra. Mentre le squadre di negoziatori ucraina e russa si incontravano a Istanbul per i loro brevi negoziati simbolici, prevedibilmente improduttivi, le due parti continuavano a scambiarsi attacchi nelle consuete proporzioni, e l’esercito russo avanzava lungo la linea di contatto. Il ramoscello d’ulivo di Wilhelm Solf non è mai stato seriamente in gioco, ma la pistola rimane operativa. Il sangue scorre in Ucraina e continuerà a inzuppare il terreno.

Il crollo della diplomazia (di nuovo)

I recenti “colloqui di pace” di Istanbul tra Ucraina e Russia sono iniziati e finiti in un batter d’occhio, rendendo evidente (come se non lo fosse già) che dalla discussione non sarebbe potuto scaturire nulla di produttivo. Il secondo round di colloqui, svoltosi il 2 giugno, è durato circa un’ora , un tempo appena sufficiente per le sottigliezze diplomatiche. Come prevedibile, non è stato concordato nulla, a parte un accordo provvisorio per lo scambio di prigionieri di guerra e uno scambio di resti di caduti in guerra, che ha già iniziato a deragliare.

Il problema attuale della diplomazia è che c’è poca propensione a negoziare effettivamente un accordo, ma tutte e tre le principali parti (Ucraina, Russia e Stati Uniti) sono disposte a impegnarsi in una diplomazia performativa con obiettivi ortogonali tra loro. È improbabile che uno qualsiasi dei team negoziali sia effettivamente arrivato a Istanbul con l’aspettativa o l’intenzione di porre fine alla guerra, ma avevano obiettivi reali che stavano cercando di raggiungere. La questione è ulteriormente offuscata dalla questione accessoria dell’accordo sui diritti minerari tra Ucraina e Stati Uniti, che non è direttamente correlato alle prospettive di una pace negoziata, ma è comunque un aspetto della negoziazione performativa del presidente Trump.

Per la Russia, lo scopo della diplomazia performativa è ribadire pubblicamente i propri obiettivi di guerra e affermare la fiducia nel proprio predominio sul campo di battaglia. È fondamentale ricordare che in ogni fase di questa guerra, quando ne è stata data l’opportunità, Mosca ha ribadito gli stessi termini fondamentali, che costituiscono la “linea di fondo” russa: tra questi, il ritiro delle forze ucraine dai quattro oblast annessi, il riconoscimento delle annessioni russe, i limiti alle dimensioni e agli armamenti delle forze armate ucraine, il divieto di adesione dell’Ucraina alle alleanze militari, inclusa la NATO, la protezione russa come lingua ufficiale dell’Ucraina e la revoca delle sanzioni internazionali contro la Russia.

Ciò equivale, in termini concreti, alla resa ucraina. Mosca ha esitato a usare un linguaggio del genere, e ha certamente evitato un linguaggio roboante in stile Seconda Guerra Mondiale come “resa incondizionata”, tuttavia questo è ciò che questi termini rappresentano. Ciò è particolarmente vero quando si tratta di quelle città nelle oblast’ annesse che sono ancora sotto il controllo ucraino: Cherson, Zaporižžja, Slovjansk e Kramatorsk. Il possesso ucraino di queste città rimane la carta più importante in mano a Kiev, e in effetti l’unica vera leva che hanno nei confronti della Russia è la loro capacità (per il momento) di costringere l’esercito russo a subire perdite aggiuntive per conquistare queste città. Una volta che la Russia avrà quelle città, l’Ucraina non avrà nulla da offrire nei negoziati. La reiterazione russa di questi obiettivi di guerra, quindi, equivale a una richiesta all’Ucraina di consegnare le sue risorse negoziali più importanti, il che equivale alla resa.

Dovremmo quindi interpretare le azioni della Russia a Istanbul come un’ostentata dimostrazione di forza, una richiesta appena velata di resa dell’Ucraina in un atto di diplomazia performativa. Questa performance è rivolta direttamente a Kiev e Washington.

L’Ucraina, tuttavia, è impegnata in una sua forma di diplomazia performativa, ma i russi non sono il pubblico a cui Kiev si rivolge. Piuttosto, l’Ucraina “negozia” come una forma di segnale a Washington (e, in misura minore, all’Europa). Ciò si evince dal fatto che, mentre la Russia esige di fatto la resa ucraina, Kiev chiede misure tampone come cessate il fuoco limitate. L’obiettivo, per l’Ucraina, non è porre fine alla guerra, ma dipingere i russi come la parte intransigente, restia persino a concordare un cessate il fuoco temporaneo. Dal punto di vista degli ucraini, questo crea uno scenario vantaggioso per tutti: se la Russia accetta un cessate il fuoco, ciò smorza lo slancio russo sul campo di battaglia e offre all’AFU l’opportunità di ricalibrarsi; se la Russia non accetta, questo può essere presentato all’Occidente come prova della sete di sangue russa.

Diplomazia performativa a Istanbul

Il risultato è che Mosca e Kiev stanno affrontando la questione dei negoziati con paradigmi incompatibili. Kiev, idealmente, vorrebbe un cessate il fuoco senza obblighi negoziali; Mosca vuole negoziati senza cessate il fuoco. La Russia ha dimostrato di essere perfettamente a suo agio nel negoziare mentre le operazioni militari sono in corso. Se la discussione fallisce, può sempre essere ripresa in seguito e, in ogni caso, l’esercito russo può continuare ad avanzare. Questa flessibilità deriva dalla fiducia russa di raggiungere gli stessi obiettivi strategici in entrambi i casi. Per l’Ucraina, d’altra parte, negoziare sullo sfondo di combattimenti in corso è un calcolo errato, perché è l’AFU a essere costantemente ritirata e a vedere la sua posizione strategica indebolirsi.

Portando questo alla sua conclusione paradigmatica, Russia e Ucraina hanno visioni fondamentalmente diverse del rapporto tra operazioni militari e negoziati. L’Ucraina cerca di negoziare per migliorare la propria posizione militare : utilizzando la diplomazia performativa per ottenere ulteriore sostegno dai suoi sostenitori occidentali e cercando un cessate il fuoco per ricostituire le proprie forze. La Russia, d’altra parte, utilizza le operazioni militari per migliorare la propria posizione nei negoziati . Gli obiettivi e le richieste di guerra specifici delle due parti sono pressoché irrilevanti, poiché le due parti non concordano nemmeno sullo scopo dei negoziati.

Nel frattempo, gli Stati Uniti sono impegnati in una loro forma di diplomazia altrettanto performativa, volta a dare a Trump flessibilità strategica in Ucraina. Organizzando i negoziati tra Russia e Ucraina (e consegnando a Mosca il suo labirintico piano di pace ), Trump può sostenere di aver compiuto un tentativo in buona fede di porre fine al conflitto. Se funziona e si riesce a raggiungere una pace negoziata, sarà acclamato come un grande pacificatore. Se non funziona, è ben posizionato per lavarsene le mani dell’Ucraina, passando Kiev agli europei. Ne vediamo già i segnali, con Washington che minaccia di abbandonare il processo di pace , si prepara a ridurre l’assistenza militare a Kiev e Trump che adotta un linguaggio sempre più apatico nei confronti dell’Ucraina .

Trump è senza dubbio desideroso di evitare di trasformare l’Ucraina nel suo Afghanistan, e ha il vantaggio di un partner minore (l’Europa) che è perfettamente disposto , se non pienamente in grado , di tenergli il cerino. Tutto sommato, Trump ha gestito l’Ucraina piuttosto bene, se si capisce che il suo obiettivo principale è stato quello di ottenere flessibilità politica, piuttosto che porre fine alla guerra a tutti i costi o ottenere una qualche forma di vittoria ucraina. Semplicemente riunendo negoziatori ucraini e russi nella stessa stanza (non importa quanto performanti siano stati i procedimenti), si è guadagnato la libertà di dire al pubblico americano di aver dato il massimo; quando i negoziati falliranno, potrà iniziare a lavarsene le mani dell’Ucraina e passare il sacco in fiamme agli europei.

Con la conclusione dei rapidi e prevedibilmente infruttuosi colloqui di Istanbul, sembra che siamo finalmente pronti a superare la farsa, soprattutto alla luce delle ultime notizie secondo cui gli Stati Uniti stanno annullando i colloqui bilaterali non correlati con Mosca . La cosa che salta più all’occhio, ovviamente, è che praticamente nulla è cambiato nelle relative posizioni negoziali. Nonostante l’affermazione del vicepresidente Vance secondo cui la Russia “sta chiedendo troppo “, Mosca sta avanzando esattamente le stesse richieste che avanza da anni, e si sta scontrando con lo stesso muro di cemento.

Né l’elezione di Trump, né il fallimento delle offensive ucraine nella steppa di Zaporižžja e a Kursk, né i continui progressi russi nel rilancio del Donbass hanno avuto alcun effetto concreto sui calcoli negoziali. Tutti questi fattori erano importanti di per sé, ma curiosamente nessuno di essi ha spostato l’ago della bilancia sulle prospettive diplomatiche in Ucraina. I negoziati sono un’impresa stranamente statica, sterile e performativa, che funge principalmente da forum per consentire a Ucraina e Russia di ribadire pubblicamente i propri obiettivi e le proprie lamentele. Da questo punto di vista, sono per lo più innocui. Nel frattempo, la guerra verrà combattuta fino alla sua conclusione.

Il blockbuster ucraino: la guerra d’attacco nel contesto

Di gran lunga il momento più importante dell’anno, almeno nei media occidentali, è stato l’inaspettato attacco ucraino contro gli assetti dell’aviazione strategica russa in basi aeree sparse nel profondo della Russia stessa. L’attacco, nome in codice Operazione “Ragno” , è stato certamente degno di nota per tre motivi distinti. In primo luogo, ha degradato l’aviazione strategica russa (bombardieri strategici e sistemi di allerta e controllo precoci aviotrasportati), assetti che fino a quel momento erano rimasti sostanzialmente indenni. In secondo luogo, l’attacco ha colpito basi russe lontane come l’Estremo Oriente russo, il che ha danneggiato il senso di stallo geografico russo e l’inviolabilità delle vaste dimensioni del paese. In terzo e ultimo luogo, la piattaforma per l’attacco era altamente innovativa, con gli ucraini che hanno lanciato piccoli droni da lanciatori trasportati da camion assemblati all’interno della Russia stessa, in una base ucraina segreta a Chelyabinsk .

Un aspetto interessante da notare fin dall’inizio è che, sebbene l’uso di un simile sistema di lancio montato su camion sia nuovo, l’idea in sé non lo è, e di fatto è nata dagli stessi russi. Più di un decennio fa, la Russia ha iniziato a sperimentare un sistema, affettuosamente soprannominato “Club K”, che si proponeva di lanciare missili da crociera da una piattaforma di lancio che a tutti gli effetti sembrava un innocuo container . Originariamente commercializzato come arma antinave, il Club K ha suscitato aspre critiche come esercizio di perfidia, e il lavoro in corso della Cina sul tema ha ricevuto critiche simili .

Questo, ovviamente, rende piuttosto buffo che l’Ucraina abbia ricevuto un tale ampio plauso e un elogio incondizionato per l’Operazione Ragnatela. Le lamentele sollevate contro gli esperimenti russi e cinesi con sistemi tipo Club K riguardano essenzialmente l’illegalità di camuffare i sistemi d’attacco come innocui carichi civili. Chiaramente, l’attacco ucraino non è particolarmente diverso, e si limita a scambiare un container trasportato da una nave con un camion. Ora, chi legge i miei lavori da un po’ di tempo sa che non sono il tipo da torcersi le mani per il “diritto internazionale”, che considero un concetto essenzialmente insensato. Il diritto internazionale non è propriamente legge, ma solo un meccanismo istituzionalizzato che permette ai forti di limitare i deboli. Né, del resto, l’ipocrisia ha davvero importanza. Ciò che conta, e in particolare in tempo di guerra, non è ciò che uno Stato è “autorizzato” a fare in base al diritto internazionale, ma ciò che è in grado di fare e il tipo di propensione al rischio che ha. Nel caso del Club K e della Ragnatela, vediamo che la loro perfidia è la nostra audace operazione segreta. L’ipocrisia non è poi così importante, ma almeno è un po’ divertente.

Passiamo quindi ai danni causati dalla ragnatela stessa. Inizialmente, gran parte dell’infosfera ucraina sbandierava cifre palesemente assurde, sostenendo che circa il 70% della flotta di bombardieri strategici russa fosse stata distrutta. La dichiarazione ufficiale del governo ucraino era che 40 bombardieri e velivoli di allerta precoce erano stati gravemente danneggiati o distrutti, il che equivarrebbe a circa un terzo dell’inventario russo. Un’analisi del video pubblicato dall’Ucraina, così come delle immagini satellitari, conferma circa una dozzina di perdite totali, e i funzionari della difesa occidentale hanno stimato il numero 20 , inclusi sei Tu-95 distrutti e quattro Tu-22.

TU-95 distrutti nella base aerea di Olenya

Contestualizzando tutto ciò, la Russia ha perso circa il 12% della sua flotta di TU-95 e il 7% dei suoi TU-22, mentre l’inventario dei TU-160 è rimasto indenne. In totale, si tratta di circa l’8,5% dei bombardieri strategici russi. Il problema, che emerge costantemente da parte ucraina, sono le aspettative assurde e una grave incomprensione del significato di “successo”. In qualsiasi paradigma realistico, distruggere quasi il 10% dei bombardieri strategici russi con droni relativamente economici sarebbe considerato un successo considerevole, ma la continua aspettativa che le capacità russe possano essere semplicemente annientate impedisce una valutazione così realistica.

Dovremmo riconoscere i vantaggi per l’Ucraina, per non cadere nella trappola del “reggere”. È palese che “Ragno” sia stata un’operazione sia schematicamente ingegnosa che tecnicamente innovativa da parte dell’Ucraina. Colpendo cinque basi aeree russe ampiamente distanti tra loro, con risorse dislocate nel cuore della Russia, “Ragno” è stata un’operazione audace e ambiziosa, e non ha richiesto di mettere a rischio risorse ucraine particolarmente preziose. Da un calcolo rischio-beneficio, si è trattato chiaramente di un successo per l’Ucraina.

Inoltre, bisogna ammettere senza mezzi termini che gli aerei russi distrutti sono, di fatto, per lo più insostituibili. Il TU-95 è fuori produzione da anni e si prevedeva che la flotta esistente avrebbe svolto un ruolo di supporto nel prossimo futuro. La Russia ha una certa produzione del TU-160, con forse quattro velivoli in consegna a breve termine, ma questo ovviamente non sostituirà completamente le recenti perdite. Tuttavia, le cose avrebbero potuto andare molto peggio. Le perdite sono state ridotte al minimo dal fallimento totale degli attacchi su due dei cinque aeroporti presi di mira. All’aeroporto di Dyagilevo, vicino a Ryazan, le difese aeree russe si sono dimostrate efficaci e nessun aereo è stato colpito; nel frattempo, l’attacco all’aeroporto di Ukrainka, nell’Oblast’ dell’Amur, è fallito a causa dell’esplosione del contenitore di lancio. Sembra anche che l’attacco su Ivanovo Severny abbia colpito una coppia di aerei A-50 (AEWAC), distruggendoli.

Ci ritroviamo con un quadro piuttosto eterogeneo. L’Ucraina ha dimostrato una capacità innovativa e ambiziosa di colpire le risorse russe e ha distrutto diversi velivoli insostituibili, ma i risultati sono stati certamente ben al di sotto delle aspettative di Kiev. I russi hanno buone ragioni per ritenere di essere sfuggiti al peggio. Certamente, questo sarà un incentivo ad accelerare la costruzione di rifugi antiaerei rinforzati, in corso a ritmo lento, sebbene ovviamente non si tratti di aeroporti, dal 2023. Finora, i russi hanno dato priorità principalmente al rafforzamento degli aeroporti nel raggio d’azione dei sistemi d’attacco convenzionali ucraini (in luoghi come Kursk e la Crimea). Spider’s Web probabilmente indurrà un rafforzamento simile anche in aeroporti più remoti, un tempo considerati relativamente sicuri.

Nuovi rifugi costruiti all’aeroporto di Khalino nell’oblast’ di Kursk

Sommando tutto, il bilancio di Spider’s Web è piuttosto semplice: è stato un successo significativo per l’Ucraina, in quanto ha distrutto un buon numero di risorse russe di valore con un rischio minimo. Tuttavia, diversi aeroporti russi sono riusciti a sopravvivere senza perdere aerei, grazie a una combinazione di successo della difesa aerea russa e malfunzionamento ucraino. Gli ucraini hanno ottenuto un successo, ma molto più modesto di quanto avrebbero potuto sperare.

Ma, cosa ancor più significativa, la ragnatela degrada le capacità russe in un modo che è molto improbabile che abbia un impatto concreto sulla stessa Ucraina. La perdita di bombardieri strategici, soprattutto modelli fuori produzione, aumenta la pressione sulle cellule rimanenti e riduce la capacità, ma è altamente improbabile che queste perdite comportino qualcosa di diverso da una minima riduzione degli attacchi russi contro l’Ucraina.

La prima e più fondamentale ragione di ciò, ovviamente, è che i missili lanciati dall’aria della flotta di bombardamenti strategici costituiscono una frazione relativamente piccola delle munizioni che la Russia lancia in Ucraina. La stragrande maggioranza è stata , e continua a essere, costituita da droni (come il venerabile Geran) e dagli Iskander lanciati da terra . I Geran, in particolare, costituiscono la munizione più numerosa attualmente in uso, con centinaia di lanciati al giorno, in un contesto di rapida crescita della produzione. La partecipazione dei TU-95 agli attacchi aerei è un’occasione relativamente rara e, per quanto rumorosi e cinematografici possano essere i Big Bear, non sono minimamente la piattaforma di lancio principale in questa guerra.

In effetti, “Ragno” offre l’opportunità di pontificare su un punto accessorio di notevole importanza. L’uso di missili da crociera lanciati dall’aria da parte della Russia è diminuito significativamente nel 2025, poiché la Russia accumula missili non solo per l’uso in Ucraina, ma anche per altre evenienze. Infatti, pochi giorni prima che “Ragno” colpisse la forza di bombardamento strategico, i media ucraini si interrogavano ad alta voce sul relativamente scarso utilizzo russo di questi sistemi , notando che i lanci aerei da parte di bombardieri strategici si erano verificati solo una manciata di volte quest’anno. Al momento, il fattore chiave che limita gli attacchi missilistici da crociera russi contro l’Ucraina non è né la carenza di missili né la mancanza di aeromobili, ma le decisioni strategiche di accumulare risorse.

Nel grande schema delle cose, la perdita di bombardieri insostituibili comprime le capacità russe di punta, ma non in un modo che cambi i calcoli per l’Ucraina in questo momento. Distruggere un raggruppamento di TU-95 sul terreno è un successo per l’Ucraina, soprattutto considerando i mezzi a basso costo che hanno impiegato per l’incarico, ma non risolve il problema , ovvero che la Russia ha acquisito la capacità di bombardare in modo sostenibile l’Ucraina, in particolare con Iskander e Geran, il tutto accumulando risorse d’attacco. È possibile che, sulla scia di Spider’s Web, la Russia sia costretta a fare un uso più frequente del TU-160 (che è stato usato con estrema parsimonia fino a questo momento), ma è chiaro che la Russia ha molte opzioni di attacco e le sue capacità nei confronti dell’Ucraina rimangono più che adeguate. Questa è una guerra di logoramento industriale e le operazioni segrete dell’Ucraina non sono un sostituto della capacità di condurre una campagna aerea persistente.

In definitiva, questo ci porta al punto più ampio. Spider’s Web è stato un esempio innovativo di operazione asimmetrica, ma questo dimostra semplicemente la presenza di una più ampia asimmetria in questa guerra, in quanto tale. La Russia è il combattente di gran lunga più ricco e potente in questo conflitto, il che paradossalmente significa che ha più risorse sia da utilizzare che da perdere. L’Ucraina è riuscita a distruggere quasi una dozzina di bombardieri strategici russi, ma l’Ucraina non ne possiede affatto. La Russia sarà sempre vulnerabile a perdite asimmetriche di questo tipo, perché possiede risorse che l’Ucraina non possiede. Perdere bombardieri strategici non è un bene, ma è meglio che non averli affatto. In questo conflitto, c’è ancora una sola parte che dispone di un vasto e diversificato arsenale di sistemi d’attacco prodotti internamente, e una parte che deve ricorrere ad attacchi con droni lanciati da camion (certamente molto intelligenti) a causa dell’esaurimento delle sue capacità d’attacco convenzionali .

Colpire la cucitura: aggiornamento sul fronte del Donbass

Sul terreno, l’asse principale di intervento dell’esercito russo continua a essere il fronte centrale del Donbass, attorno alle città di Kostyantynivka e Pokrovsk. Ciò è particolarmente vero ora che i due assi a Sud di Donetsk e Kursk sono stati in gran parte cancellati. Un rapido sguardo alla mappa della situazione rivela una crescente offensiva russa in questo settore centrale critico. Gli ultimi anni avrebbero dovuto indurci a usare con cautela termini come “sfondamento” e “collasso”, quindi mi limiterò a sostenere che l’esercito ucraino è in seria difficoltà in questo settore.

Le ragioni sono piuttosto semplici e non risiedono solo nella crescente carenza di personale che affligge le formazioni ucraine, ma anche in una tripla vulnerabilità presente in questo particolare settore del fronte. In breve, l’asse Pokrovsk-Kostyantynivka soffre di quella che chiameremo una “tripla cucitura” che lo rende operativamente molto vulnerabile, e l’attuale offensiva russa è diretta direttamente a questa cucitura, o giunzione operativa. Approfondiamo il discorso.

La prima cucitura, o vulnerabilità, è geografica e quindi di gran lunga la più facile da comprendere. Il problema fondamentale è che la cintura urbana nella parte occidentale di Donetsk (che va da Kostyantynivka fino a Slovyansk) si trova sul fondovalle. In particolare, nel settore di Kostyantynivka, si trovano punti elevati locali attorno a Chasiv Yar, Toretsk e Ocheretyne, tutti ormai saldamente in mano russa e che costituiscono le basi di appoggio per l’avanzata verso Kostyantynivka. A ovest di Kostyantynivka, un altopiano a forma di cuneo separa la città da Pokrovsk, ed è proprio in questo cuneo elevato che i russi stanno ora avanzando.

Mappa altimetrica: Donbas centrale

Il problema operativo per l’Ucraina, tuttavia, va ben oltre la mappa altimetrica. Infatti, la questione altimetrica si intreccia con problemi strutturali relativi alle difese preparate dall’Ucraina. Per comprenderlo, dobbiamo prima ricordare lo stato del fronte nel 2023. Due estati fa, l’asse principale dello sforzo russo passava per Bakhmut, ovvero un’avanzata verso ovest attraverso il centro di Donetsk. A quel punto, l’asse sud-orientale del fronte (Avdiivka, Krasnogorivka, Ugledar) resisteva saldamente per l’AFU. Di fronte alla prospettiva di un’avanzata russa direttamente da est, gli ucraini costruirono difese intorno a Kostyantynivka, rivolte a est, verso Bakhmut.

Il crollo del fronte meridionale crea un perno nelle difese ucraine, cosicché l’asse dell’avanzata russa ora si dirama da sud-ovest di Kostyantynivka, anziché da est. Sebbene gli ucraini abbiano iniziato a costruire nuove difese (orientate verso sud) dopo il crollo del fronte meridionale, rimane un significativo divario a ovest di Kostyantynivka. Inoltre, il “nodo” in cui si intersecano le difese ucraine si trova essenzialmente al limite sud-occidentale di Kostyantynivka stessa.

Cinture difensive ucraine (riassunto militare)

Le recenti avanzate russe li hanno ora portati dietro le posizioni ucraine a guardia dell’accesso sud-occidentale a Kostyantynivka. Quando i russi raggiunsero Yablunivka (intorno al 4 giugno), si trovavano saldamente nelle retrovie della cintura difensiva a sud-ovest di Kostyantynivka, aprendo così alla linea ucraina l’accesso al fianco occidentale della città e collegandosi all’avanzata da Toretsk.

Situazione approssimativa intorno a Kostyantynivka

Data la carenza di personale dell’Ucraina, questi sistemi di trincee rischiano di trasformarsi in autostrade per le forze russe, come abbiamo visto lungo l’asse Ocheretyne nel 2024. Una volta che le forze russe penetrano in queste cinture, sono in grado di avanzare lungo la loro lunghezza fino a inoltrarsi nello spazio ucraino.

In breve, una varietà di debolezze strutturali si sta incastrando nello stesso settore del fronte. I russi stanno avanzando da posizioni elevate e vantaggiose verso le fessure strutturali delle difese ucraine, precisamente nell’area del fronte che separa Pokrovsk e Kostyantynivka. Il risultato è un doppio accerchiamento, con i russi che si stanno facendo strada al centro verso le retrovie dietro queste città. Il terreno e l’orientamento delle linee ucraine hanno ospitato un enorme cuneo di divisione russo che reciderà le linee di comunicazione con entrambe le città. Questo sarebbe un problema grave in circostanze ideali, ma data l’incapacità dell’Ucraina di presidiare adeguatamente le proprie posizioni, è diventato una crisi.

Nelle prossime settimane, le forze russe continueranno la loro espansione nello spazio interstiziale tra Pokrovsk e Kostyantynivka, sondando la strada verso il cuore operativo dell’Ucraina. Una volta raggiunto lo spazio appena a sud-ovest di Druzhivka, saranno posizionate per tagliare le linee di comunicazione verso entrambe le città. Contemporaneamente, continueranno a rafforzare le difese sul fianco sud-occidentale di Kostyantynivka. Con le forze russe che penetrano nel fianco sud-occidentale della città, quest’ultima si trova già in una posizione indifendibile.

Delle due città, Kostyantynivka probabilmente cadrà per prima, con i russi che inizieranno ad assaltare la città vera e propria a luglio. In quella che definirei semplicemente una decisione di comando, i russi sono stati pazienti nell’avanzare Myrnograd e nel distruggere la spalla della posizione di Pokrovsk. A questo punto, sembra improbabile che ci riescano finché l’avanzata nel solco non avrà compromesso le linee di rifornimento dalle retrovie.

A rischio di essere un po’ iperbolico, questo rimane l’unico settore che vale la pena osservare attentamente. Le forze russe stanno esercitando sforzi relativamente minimi sugli altri assi del fronte. Si registrano progressi graduali, ricchi di opportunità, intorno a Lyman e Kupyansk, e l’espansione della “zona cuscinetto” russa nell’oblast di Sumy merita di essere monitorata. Sembra estremamente improbabile, tuttavia, che la Russia abbia intenzione, a breve termine, di spingere il fronte verso la città di Sumy stessa; piuttosto, la zona cuscinetto mira a conquistare una linea difensiva avanzata lungo le alture sul lato ucraino del confine, mantenendo aperto un fronte vantaggioso per dissipare le risorse ucraine. Il baricentro di questa guerra rimane il Donbass centrale, e il fattore operativo chiave, in quanto tale, è stato il perno dell’asse strategico russo. Dopo essere avanzati verso ovest attraverso Bakhmut nel 2023, hanno sfondato il confine a sud nel 2024 e ora stanno avanzando ortogonalmente nella difesa ucraina tra Pokrovsk e Kostyantynivka, nel penultimo atto della campagna del Donbass prima di raggiungere l’obiettivo a Kramatorsk e Slovyansk.

Conclusione: chiarezza strategica

Ho scritto spesso dell’importanza cruciale di una “teoria della vittoria” quando si combatte una guerra. Questo si riferisce, in senso più semplice, alla necessità per uno Stato di avere un concetto globale per sfruttare il potere per i propri obiettivi bellici. Questo è il legamento strategico che collega le operazioni militari e la diplomazia agli obiettivi di guerra dello Stato.

Con l’avanzare della guerra nel suo quarto anno, l’Ucraina e i suoi sostenitori occidentali hanno sperimentato diverse teorie di vittoria, che sono state silenziosamente accantonate dopo essere andate in frantumi. Nel primo anno di guerra, la teoria della vittoria ucraina incentrata sulla Russia ha creato un inaccettabile rapporto costi-benefici. Se l’Ucraina e l’Occidente avessero mostrato una risolutezza inaspettata, mantenendo l’AFU impegnata a combattere ferocemente sul campo, si sperava che la Russia si sarebbe tirata indietro dal combattere una guerra lunga, soprattutto perché le sanzioni stavano erodendo l’economia russa. Invece, la Russia ha iniziato a mobilitarsi per una lotta più lunga, e l’economia russa ha finora superato indenne le sanzioni.

Questa teoria della vittoria fu poi sostituita da un modello basato esclusivamente sulle operazioni militari, che presupponeva che una vittoria decisiva potesse essere ottenuta a sud sfondando le difese russe nel ponte di terra. Questa teoria si dissolse in modo molto più evidente, con i mezzi corazzati occidentali che bruciavano nella steppa dopo un fallito tentativo di sfondare la linea Surovikin. Un secondo tentativo di riprendere le operazioni decisive incontrò una fine simile a Kursk.

Nell’ultimo anno circa, la teoria della vittoria ucraina ha nuovamente cambiato rotta, in particolare sotto l’egida della nuova amministrazione Trump, a favore di termini come “attrito” e “stallo” come meccanismi per raggiungere una soluzione negoziata. Se il fronte in Ucraina può essere bloccato in qualcosa di simile a una situazione di stallo – ovvero se il costo di ulteriori avanzamenti può essere reso proibitivo per la Russia – si creeranno le condizioni per una pace negoziata .

Al contrario, la Russia ha adottato una teoria della vittoria sostanzialmente coerente dalla fine del 2022, quando ha iniziato la mobilitazione. Questa teoria è molto semplice: gettando le basi per operazioni militari sostenibili contro l’Ucraina, è possibile mantenere una pressione costante e avanzamenti terrestri fino al crollo della resistenza ucraina o al controllo russo del Donbass. Finora, l’Ucraina non ha dimostrato capacità – né di passare all’offensiva né di fermare l’avanzata russa nel Donbass – tali da modificare questo calcolo di base.

I commentatori occidentali raramente cercano di vedere il conflitto dalla prospettiva russa, ma se potessero capirebbero subito perché la fiducia russa rimane alta. Dal punto di vista russo, hanno assorbito e sconfitto i due migliori attacchi dell’Ucraina sul campo (la controffensiva del 2023 e l’operazione Kursk), e hanno resistito a una lunga e costante infusione di potenza bellica occidentale senza che la traiettoria della campagna terrestre o della guerra d’attacco cambiasse radicalmente. Nel frattempo, la Russia ha sostanzialmente raschiato via l’intero Donbass meridionale, spingendo il fronte oltre il confine nell’Oblast di Dnipropetrovsk, ed è pronta a chiudere il settore centrale del fronte mentre l’avanzata intorno a Pokrovsk e Kostyantynivka fiorisce.

Ci troviamo, quindi, di fronte a una sconcertante discrepanza. Da un lato, l’amministrazione Trump si è avvicinata all’Ucraina come se la sua elezione avesse cambiato radicalmente tutto e aumentato all’istante la probabilità di una pace negoziata. La Russia, invece, ritiene, a ragione, che nulla sia cambiato. Ha assorbito tutto ciò che l’Occidente ha riversato nel conflitto e continua sia ad avanzare sul terreno sia a colpire incessantemente l’Ucraina con misure materiali che considera chiaramente sostenibili, senza gravare eccessivamente sulla vita civile in Russia.

Se qualcuno si è sorpreso, quindi, che la Russia sia venuta a Istanbul solo per ribadire le stesse condizioni presentate fin dall’inizio, è chiaro che non ci stava prestando attenzione. La Russia non ha alcun incentivo ad ammorbidire la sua posizione finché ritiene che il calcolo del campo di battaglia sia rimasto invariato, e nulla di ciò che l’Occidente (o l’Ucraina) ha fatto dal 2022 ha dato a Mosca un valido motivo per rivedere le proprie posizioni. Le richieste di base della Russia dovrebbero essere ormai ben comprese, così come la volontà russa di raggiungere rapidamente tali obiettivi. Se l’Ucraina non rinuncerà al Donbass al tavolo di Istanbul, potrà essere conquistato dall’esercito russo. In definitiva, la differenza è minima.

Ci rimane la formulazione di Woodrow Wilson. Non, ovviamente, la sua nobile “pace senza vittoria”, che oggi è un fallimento proprio come lo fu nel 1917. Piuttosto, ci rimane il Wilson indurito e amareggiato del 1918. Con gli Stati Uniti ormai parte attiva del conflitto, la prospettiva di Wilson si era oscurata immensamente, e ora si opponeva categoricamente a qualsiasi negoziato con una Germania imbattuta. Aveva invece concluso che “se la Germania fosse stata sconfitta, avrebbe accettato qualsiasi condizione. Se non fosse stata sconfitta, lui [Wilson] non desiderava scendere a patti con lei”.

Se il ramoscello d’ulivo è appassito, andrà bene anche la pistola.

SITREP 6/16/25: Lentamente abbandonata, l’Ucraina viene schiacciata dalla pressione russa, di Simplicius

SITREP 16/06/25: Abbandonata lentamente, l’Ucraina è schiacciata dalla pressione russa

Simplicius17 giugno
 
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Il Wall Street Journal ha deciso di pubblicare un articolo che non ha nulla da invidiare ad alcuni dei migliori dell’ISW:

https://www.wsj.com/world/ dove-la-russia-sta-avanzando-in- ucraina-e-cosa-spera-di- guadagnare-ad870176

Leggi il sottotitolo: “L’offensiva di Mosca è progettata per far credere ai leader che [la Russia sta vincendo]”.

Si allinea perfettamente con gemme famose come questa:

Secondo il WSJ, conquistare territori record non equivale a vincere, ma solo a illudersi di riuscirci. Il WSJ ammette che a maggio la Russia ha conquistato più territorio che in qualsiasi altro mese dal 2022:

A maggio le forze russe hanno invaso più territorio ucraino che in qualsiasi altro mese dalla fine del 2022, mentre il Cremlino spinge per un’offensiva estiva per dare l’impressione in Occidente che la vittoria sia a portata di mano.

Vedete, le conquiste russe creano semplicemente l’ impressione che la vittoria sia imminente, non la sua manifesta realtà.

È interessante notare che l’articolo cita un soldato ucraino che afferma non solo che i russi hanno un vantaggio di 2 a 1 in termini di uomini a Sumy, ma che la Russia detiene anche il vantaggio dei droni. Ricorderete in uno dei nostri ultimi aggiornamenti la citazione specifica secondo cui i droni russi stavano di gran lunga oscurando quelli ucraini a Sumy, in particolare: ora ne abbiamo la conferma.

“Lo schema è familiare: il nemico vuole disperdere le nostre forze su un lungo fronte, prosciugare le nostre risorse e logorarci”, ha detto, aggiungendo che finora il numero di truppe ha permesso che le posizioni fossero ancora difendibili. “Stanno preparando il terreno”, ha detto riferendosi ai russi. “La pressione non farà che aumentare con l’avanzare dell’estate”.

In merito a quanto sopra, il canale Rezident_UA osserva:

Insider

L’MI-6 ha trasmesso all’ufficio presidenziale nuove informazioni secondo cui la Russia sta preparando un esercito di un milione di uomini per una nuova campagna in Ucraina, che potrebbe iniziare in autunno. Nuove brigate sono state create e dotate di personale a questo scopo, non ci sarà un attacco principale in prima linea e, secondo l’intelligence britannica, l’esercito russo premerà su 4-7 sezioni del fronte per sforzare le forze delle Forze Armate ucraine e far crollare l’intera linea di difesa.

rezident ua

L’articolo conclude:

Hanno cominciato ad emergere altri indicatori che corroborano i nostri recenti resoconti sulla potenziale fragilità delle linee ucraine:

“Nel 3° Corpo d’Armata delle Forze Armate dell’Ucraina, un soldato controlla un chilometro del fronte” – leader nazista Biletsky

Il comandante del 3° Corpo afferma che una brigata detiene un fronte di 60 km, sebbene i regolamenti prevedano un massimo di 15 km.

Allo stesso tempo, ritiene che le forze esistenti siano “sufficienti a mantenere la linea del fronte”.

Fa notare inoltre che nelle Forze armate ucraine la distribuzione del personale è inefficace: le persone istruite ed esperte finiscono nei “posti sbagliati”, motivo per cui “la fanteria sta peggiorando”.

Come se non bastasse, un comandante di battaglione ucraino della 72ª Brigata afferma che le forze russe sono più numerose delle sue, con un rapporto di 10:1, nella loro sezione del fronte, che è una delle più calde, in direzione di Pokrovsk:

Nella regione di Dnipropetrovsk ci sono 10 combattenti russi per 1 soldato ucraino — comandante del battaglione ucraino

Il comandante di battaglione della 72a brigata delle forze armate ucraine lamenta la mancanza di personale.

“Per ogni ucraino ci sono 10 russi”, afferma.

Secondo lui, nonostante la resistenza delle Forze Armate ucraine, l’esercito russo sta avanzando costantemente.

Fa notare inoltre che le truppe russe effettuano rotazioni molto più spesso rispetto alle Forze Armate ucraine.

Certo, dà la risposta banale che i russi vengono massacrati, ma allora com’è possibile che siano in superiorità numerica di 10 a 1 rispetto ai suoi uomini, quando è dimostrato che l’Ucraina ha iniziato la guerra con molti più uomini della Russia? Chiaramente, i suoi uomini vengono massacrati ancora di più.

L’attenzione è sempre più rivolta a Sumy, dove i funzionari ucraini sostengono che la Russia sta accumulando una forza sempre più numerosa.

La Russia continua a rafforzare la sua forza d’attacco nei pressi di Sumy.

Secondo Petro Andryushchenko, ex consigliere del sindaco di Mariupol, nel fine settimana sono stati trasferiti a Mariupol almeno dieci nuovi cannoni semoventi, un sistema di difesa aerea e più di quaranta camion con personale e munizioni.

Secondo la sua valutazione, si tratta del più grande movimento militare durante l’intero conflitto e di un’intensità senza precedenti. Il flusso principale proviene dalla Crimea e dalla regione di Kherson, e la direzione è la regione di Sumy, dove è già stata registrata un’avanzata attiva delle truppe russe, giunte in prossimità del centro regionale.

Di seguito l’intervista completa ad Andryushchenko sul canale ucraino Trukha, con i relativi punti salienti:

Massivo trasferimento di equipaggiamento militare russo nella regione di Sumy, minaccia per la regione di Dnipropetrovsk e oltre. Cosa c’è da sapere sulla situazione attuale in prima linea? Diamo un’occhiata.

Petro Andriushchenko, ex consigliere del sindaco di Mariupol e direttore del Centro per lo Studio dell’Occupazione, ha annunciato il più grande trasferimento di forze militari russe degli ultimi sei mesi. Ne ha illustrato i dettagli in esclusiva per Trukha Ucraina:

Negli ultimi giorni, la direzione principale del trasferimento di attrezzature russe da Mariupol è stata verso la regione di Sumy via Taganrog e Rostov sul Don;

Sono stati registrati diversi grandi convogli: più di 10 nuovi cannoni semoventi, oltre 40 camion con equipaggiamento da combattimento e personale, trattori e un sistema di difesa aerea. Sono stati inviati nella regione di Kursk. In particolare, sono stati inviati nella regione di Sumy;

Si tratta del trasferimento più grande degli ultimi sei mesi e del primo del suo genere dall’inizio della guerra.

Per quanto riguarda le nuove unità di artiglieria semoventi, sembra che la Russia veda del potenziale nella regione di Sumy o voglia aumentare la pressione attraverso di essa.

Alcuni movimenti nella regione di Zaporizhia vengono rafforzati.

La Russia sta cercando di riprendere le operazioni offensive nell’area di Huliaipole. Ma sta subendo duri colpi dalle Forze Armate ucraine, che le stanno costringendo a perdere le riserve prima che possano essere schierate in operazioni d’assalto;

La scorsa settimana è stato osservato un attivo ridispiegamento nel nord della regione di Donetsk, attraverso Mariupol. Questa settimana non è stata registrata alcuna attività del genere.

L’analista militare Dmytro Snegirev ha parlato in esclusiva a Trukha Ukraine degli obiettivi tattici della Federazione Russa e della situazione nelle varie aree:

L’obiettivo strategico della Federazione Russa nelle regioni di Sumy, Kharkiv, Zaporizhia e Kherson è quello di accedere al poligono di tiro dell’artiglieria lanciarazzi.

Direzione Sumy. L’obiettivo tattico della Federazione Russa è occupare gli insediamenti di Yunakivka e Khotyn. Ciò consentirà loro di mantenere le aree residenziali di Sumy sotto il controllo del fuoco dell’artiglieria pesante. Ciò creerà caos e panico;

Direzione di Kharkiv. La tattica della Federazione Russa è pressoché la stessa. L’obiettivo è infliggere danni da fuoco con l’artiglieria a barili;

La Federazione Russa non sarà in grado di conquistare Kharkiv, Sumy e Zaporizhia. Non hanno sufficienti riserve operative per tali operazioni;

Direzione Bakhmut. Non sarà possibile prendere Chasiv Yar. Lo dimostra il fatto che l’FSB vi è stato trasferito come riserva. È significativo il fatto che vengano usati come truppe d’assalto;

Direzione Zaporizhia. La distanza è fino a 40 km. Ma i droni FPV russi hanno già colpito edifici residenziali due volte. Questo è un segnale allarmante. Inoltre, si è verificata un’intensificazione delle ostilità e tentativi di avanzare più in profondità nella regione, fino a raggiungere una distanza tale da causare danni da incendio sopra il centro regionale;

Direzione di Kherson. Un’operazione anfibia su larga scala è impossibile. La larghezza del fiume Dnipro è fino a 1 km. La Federazione Russa è priva di imbarcazioni e riserve operative, e le Forze Armate ucraine hanno una superiorità di fuoco. Non si può parlare di un assalto a Kherson;

Direzione Dnipropetrovsk. È difficile lì. Ma la Federazione Russa non ha accesso ai confini amministrativi. Questa è una finta pressione, per mostrare la minaccia di intensificare le operazioni di combattimento a scapito di nuove regioni. Non c’è alcun accerchiamento operativo.

Il primo video mostra l’avanzata dei russi in prima linea dall’inizio del 2025.”

È interessante notare che la Russia non ha alcuna possibilità di conquistare Cherson a causa della larghezza del Dnepr. Ecco un nuovo video girato da un ucraino che mostra l’aspetto attuale del bacino di Kakhovka, due anni dopo la distruzione della diga:

Infine, per quanto riguarda Sumy, Ukrainska Pravda ha pubblicato un nuovo, lungo e dettagliato articolo sulla direzione di Sumy e sui problemi che l’AFU sta attraversando lì. Trattandosi di una fonte ucraina che attinge direttamente dalle truppe ucraine in prima linea, offre una rara panoramica su quel fronte critico.

Inizia rivelando che esiste una sorta di censura in questa direzione, con i giornalisti ucraini a cui non è consentito l’accesso alla regione e il comando militare che non contrassegna più il territorio conquistato dalla Russia nelle mappe dei propri report giornalieri . Questo include le mappe di DeepState, il cartografo ucraino semi-ufficiale legato al Ministero della Difesa ucraino. Questo accade essenzialmente perché DeepState ricava le sue informazioni direttamente dalle mappe “ufficiali” del Ministero della Difesa ucraino, e quindi quando il Ministero della Difesa ucraino stesso non aggiorna una direzione, questo si riflette nei report di DeepState.

L’articolo dell’Ukrainska Pravda rivela la frustrazione delle truppe del 425° battaglione d’assalto Skala schierato a Sumy:

Innanzitutto a causa dell’enorme carenza di personale nelle unità di rinforzo, cioè di coloro che dovevano restare sulla difensiva dopo gli assalti del 225° e 425° battaglione.

Uno dei nostri interlocutori ha risposto alla domanda chiarificatrice “State avanzando verso Tetkino?”:

“Stiamo avanzando a rilento”, il che significa che continuiamo ad attaccare ripetutamente, senza riuscire a tenere ferma la difesa in seguito.

Un altro soldato afferma:

“I russi hanno schierato paracadutisti d’élite, e alcune delle nostre unità si sono rifiutate di entrare in posizione per difendere i fianchi. E il nostro battaglione è stato annientato durante questo mese di assalti, quindi ora siamo più sulla difensiva “, afferma UP, uno dei combattenti che ha partecipato all’offensiva in direzione di Tetkinoye.

Ricordiamo che Tetkino è il luogo in cui l’Ucraina sostiene di aver ottenuto un certo “successo” di recente, ma a quanto pare ciò avviene a caro prezzo, dato che il soldato ammette che il suo battaglione è stato “annientato” lì.

UP descrive le due visioni opposte sull’offensiva di Sumy:

La maggior parte dei nostri interlocutori tra i civili residenti a Sumy è della stessa opinione: non c’è una grande avanzata russa nella regione di Sumy, e nei villaggi conquistati non ci sono mezzi pesanti che potrebbero raggiungere Sumy, quindi non bisogna esagerare i rischi. La città in sé non è ancora in pericolo.

Allo stesso tempo, quasi tutto il personale militare che gestisce la difesa lungo il confine e nell’area di Yunakovka, nonché che guida queste unità a livello di comando – paracadutisti, guardie di frontiera – è significativamente meno ottimista. Ci hanno descritto la situazione come “difficile”, “critica”, “caos” e “super f* * k”. Mancano uomini, in particolare equipaggi di FPV potenti, droni a fibra ottica, fortificazioni, posizioni preparate, operazioni di sminamento tempestive e una consolidata interazione tra le unità per una difesa efficace.

L’UP spiega come la Russia sia riuscita a compiere tali progressi a Sumy; ancora una volta la causa è stata l’avida e avida prepotenza di Zelensky, che ha inviato battaglioni a essere “spazzati via” in altri inutili assalti a Tetkino, nella regione di Kursk, mentre Sumy veniva invasa:

La successiva grande rivelazione, che contraddice gran parte della propaganda ucraina, è stata che le difese russe nella regione avevano “sorpreso” notevolmente gli ucraini:

L’Ucraina non ha sfruttato il periodo dell’operazione Kursk per rafforzare il suo confine nella regione di Sumy.

“Quando eravamo seduti sulle posizioni russe, siamo rimasti molto sorpresi nel vedere che avevano trincee di 6-8 chilometri ciascuna, che si estendevano sottoterra e portavano tutte al confine, al checkpoint. Hanno fortificato il loro confine molto bene. E ora siamo nella regione di Sumy, e qui non c’è proprio niente… bisogna affrettarsi a fare qualcosa per se stessi. L’altro giorno, i miei ragazzi stavano tenendo la difesa nei rifugi scavati nel 2014. Ha iniziato a piovere e sono rimasti allagati fino alla cintola.

Quando c’era Kursk, si poteva usare la fantasia e creare un mondo sotterraneo nella regione di Sumy. Ma nessuno ha fatto nulla. “Se avessimo teso le reti sulle strade prima, la situazione nella regione di Kursk si sarebbe potuta evolvere diversamente”, si indigna il sergente capo di una delle unità UAV, che in precedenza aveva combattuto nella regione di Kursk e ora opera nella regione di Sumy, in un’intervista con l’UP.

“Non c’era assolutamente nulla di cementato lì. Sebbene fosse possibile realizzare fortificazioni a tutta lunghezza con l’equipaggiamento, nessuno lo fece”, conferma il nostro interlocutore della 17a brigata.

È interessante notare che il famoso corrispondente di guerra Sladkov ha appena visitato proprio una di queste “città” sotterranee nella regione di Sumy. Appartiene all’83ª brigata paracadutisti d’assalto aereo che combatte sul fronte di Yablonovka e impiega un’ingegnosità degna dei Vietcong, con botole e falsi tunnel:

L’articolo sottolinea l’obiettivo della Russia di estendere il più possibile le forze ucraine, non solo sull’intero fronte, ma anche su fronti locali; ad esempio, nella regione di Sumy, attaccando lungo più assi. Il gioco che noi stessi abbiamo delineato qui oltre due anni fa rimane: la Russia continuerà a riversare forze mentre le forze ucraine si assottigliano, finché qualcosa non si romperà – l’unica domanda è quale sarà la prima linea del fronte. L’Ucraina è sempre più costretta a destreggiarsi tra le sue riserve in diminuzione e i vari punti caldi, mentre il ritmo accelera come l’acqua che irrompe da una diga che crolla.

Nella regione di Sumy, le forze russe hanno lentamente circondato e catturato Yunakovka, raggiungendo anche Sadky sul suo fianco orientale:

Al momento in cui scrivo, alcuni rapporti sostengono addirittura che le forze russe abbiano preso completamente Yunakovka, anche se la notizia non è ancora stata confermata:

A sud-est di lì, sulla triplice frontiera Donetsk-Kharkov-Lugansk, le forze russe stanno avanzando oltre Ridkodub, recentemente conquistata, verso Karpovka:

Poco più a sud, sul fronte di Seversk, avrebbero catturato Gregorovka, a lungo contesa, che aveva cambiato più volte padrone nel lontano passato, avvicinandosi lentamente all’indomita fortezza di Seversk:

Avanzarono anche sui fianchi appena a sud, appiattendo l’intero fronte lungo le linee gialle in alto.

La Terza Armata d’assalto russa issa la bandiera nel settore Grigorovka/Hryhorivka Syversk/Seversk.

Nel Giorno della Russia, i nostri soldati hanno liberato il villaggio di Grigorovka, nella regione di Seversk. Il coraggio e l’eroismo dei nostri soldati ci hanno permesso di sventare l’offensiva nemica nel più breve tempo possibile. A seguire, buon Giorno della Russia.

La vista satellitare di questo insediamento è una testimonianza particolare dell’inferno dei combattimenti che si sono svolti qui negli ultimi due anni e passa: basta dare un’occhiata al paesaggio costellato di crateri lunari:

In realtà, questa città dista solo poche centinaia di metri dal luogo in cui ebbe luogo il disastroso attraversamento del Seversky Donets nel maggio 2022, durante il quale la 74ª brigata russa perse decine di carri armati e veicoli blindati.

A est di Pokrovsk, le forze russe catturarono Koptjeve, migliorando nel contempo le posizioni altrove lungo questo fronte:

Poco a sud di Koptjeve, Myrne è devastata dopo la liberazione di Malinovka, avvenuta negli ultimi due giorni.

Liberazione di Ulyanovka (nome russo di Malinovka): un assalto tattico della 39a Brigata delle Guardie

I soldati della 39ª Brigata Fucilieri Motorizzata Separata della Guardia hanno liberato con successo l’insediamento di Ulyanovka, nella Repubblica Popolare di Donetsk. Affrontando le possenti fortificazioni nemiche, le nostre forze sono avanzate gradualmente utilizzando motociclette, buggy e pattuglie a piedi, con la nebbia a fornire una copertura essenziale dai droni nemici. L’assalto ha previsto attacchi da più lati per liberare le posizioni fortificate, con conseguente annientamento dei militanti in fuga e cattura di altri. Nel villaggio, le truppe hanno scoperto equipaggiamento NATO, depositi di armi e rifornimenti occidentali.

Di fatto, i russi stanno ora conquistando una seconda Malinovka, più vicina a Gulaipole, molto più a ovest, a Zaporižžja.

Ironicamente, la città è stata il set di un famoso film sovietico la cui trama ruota attorno al fatto che la città “cambiava di mano” ogni giorno tra le forze nazionaliste sovietiche e quelle ucraine:

Il film racconta la storia di un villaggio ucraino durante la guerra civile russa. Con un’alternanza quasi quotidiana di potere tra le forze sovietiche e quelle nazionaliste ucraine, gli abitanti di Malinovka non sono mai sicuri di chi sia al comando, quindi modificano il loro comportamento e si vestono di conseguenza.

L’ironia sta nel fatto che, durante questa guerra, la cosa è cambiata di mano più volte:

Le truppe russe si sono impadronite di Malinovka. Quella stessa Malinovka, nella zona di Gulyaipole, dove è stato girato il film “Nozze a Malinovka”.

Malinovka era già occupata dalle truppe russe all’inizio dell’SMO, ma è stata abbandonata nella primavera del 2022. Più di 3 anni dopo, ci stiamo tornando.

A ovest di Pokrovsk, l’insediamento strategico di Udachne è stato finalmente conquistato dalle truppe russe ed è già quasi per metà conquistato:

A sud-ovest le forze russe catturarono completamente Oleksiivka e subito dopo Zelenyi Kut, appena a nord di Bogatyr, recentemente conquistata:

Le forze armate russe hanno liberato l’insediamento di Alekseyevka in direzione di Dnepropetrovsk

I soldati della 14a Brigata Fucilieri Motorizzata della 51a Armata hanno issato le bandiere in una zona popolata

Nelle vicinanze, le truppe russe entrarono finalmente e catturarono Komar e persino l’insediamento adiacente di Perebudova, appena a nord:

I marines della 336ª Brigata e la fanteria della 37ª Brigata Fucilieri Motorizzata occuparono il villaggio di Komar, a ovest di Otradnoye e Bogatyr, sulla riva orientale del fiume Mokryye Yaly. Il grande villaggio fu liberato abbastanza rapidamente, in soli quattro giorni.

Ci sono stati molti altri piccoli progressi, ma queste sono state le principali catture di insediamenti degli ultimi due giorni.

L’analista ucraino Tatarigami condivide apertamente le sue previsioni in peggioramento:

Ultimi articoli:

Secondo quanto riferito, i rifugi antiaerei russi stanno finalmente venendo costruiti un po’ ovunque, in particolare nell’aeroporto di Khalino Kursk e in diversi aeroporti della Crimea:

Immagine satellitare degli hangar protettivi per aerei presso la base aerea di Saki in Crimea, nonché di 5 droni Orion, apparentemente utilizzati per contrastare i droni ucraini nel Mar Nero.

Di recente sono apparse foto ravvicinate di questi hangar.

Catturato da terra:

I funzionari occidentali stanno terrorizzando i loro cittadini, dicendo loro che se non cederanno una parte maggiore delle loro tasse ai complessi militari-industriali, presto saranno costretti a imparare a parlare russo:

Durante una riunione della Commissione Difesa del Parlamento britannico, al Capo di Stato Maggiore della Difesa della Gran Bretagna, ammiraglio Tony Radakin, è stato chiesto se i membri della NATO dovranno davvero imparare il russo, come aveva precedentemente affermato il nuovo Segretario Generale dell’Alleanza, Mark Rutte.

Ricordiamo che Rutte aveva affermato che se i paesi della NATO non avessero iniziato a spendere almeno il 5% del loro PIL per la difesa, avrebbero dovuto imparare il russo, alludendo alla minaccia proveniente dalla Russia.

A questo Radakin rispose con un sorriso in russo: “Vorrei proprio dire: “nyet”, suscitando sorrisi tra i partecipanti all’incontro.

Segue una nuova iniziativa di propaganda sulla stampa britannica:

Si sono verificati diversi nuovi scambi di corpi, con una disparità che è diventata sempre più preoccupante per l’Ucraina:

16/06/25 Scambio di salme Il 16 giugno, nella zona SVO tra Russia e Ucraina, si è svolto un altro scambio di salme di militari caduti. L’Ucraina ha ricevuto le salme di 1.248 militari caduti, la Russia di 51. Grafico dello scambio di salme dei deceduti negli anni 23-25.

Blu: corpi ucraini restituiti dalla Russia.
Rosso: corpi russi restituiti dall’Ucraina.

Ora la Russia afferma di volerne restituire altre migliaia.

Putin afferma che, a differenza della Russia e degli Stati Uniti, l’Europa è indifesa contro i missili balistici e i leader europei dovrebbero capirlo:

L’ambasciatore russo nel Regno Unito Kelin afferma che la Russia ha le risorse per continuare la guerra per molto tempo. Ancora più interessante, afferma che il conflitto in Ucraina non è una “guerra” e che se la Russia scegliesse di fare una vera guerra, potrebbe tagliare l’intero Dnepr distruggendo tutti i ponti:

D’altro canto, il negoziatore russo e collaboratore di Putin Medinsky afferma che i russi chiedono al governo misure più severe, tra cui gli “Oreshnik su Kiev”:

Putin annuncia la creazione di un ramo separato di sistemi senza pilota per le Forze Armate russe:

Lindsey Graham presenta un disegno di legge sulle sanzioni che suona sospettosamente come un’autoimmolazione economica suicida:

Infine, al momento in cui scrivo è in corso una nuova tornata di attacchi missilistici contro Kiev: qui si vedono i Kh-101 disperdere i razzi prima di colpire i loro obiettivi:


Il vostro supporto è inestimabile. Se avete apprezzato la lettura, vi sarei molto grato se vi impegnaste a sottoscrivere un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, così da poter continuare a fornirvi report dettagliati e incisivi come questo.

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Lo sherpa russo dei BRICS ha condiviso alcune informazioni sul gruppo, di Andrew Korybko

Lo sherpa russo dei BRICS ha condiviso alcune informazioni sul gruppo

Andrew Korybko16 giugno
 LEGGI NELL’APP 
Considerazioni molto significative che pongono in una luce realistica le dinamiche multipolari, all’interno delle quali va inserito il movimento dei BRICS, al di là di ingenui e fuorvianti trionfalismi che non fanno altro che alimentare i propositi e i messaggi di contrapposizione ostile del mondo occidentale, orientato alla guerra_Giuseppe Germinario

Sergey Ryabkov ha cercato di chiarire l’approccio della Russia nei confronti dei BRICS, che è ancora ampiamente frainteso sia dai media tradizionali sia dalla comunità dei media alternativi.

Il viceministro degli Esteri russo Sergej Rjabkov, che è anche lo sherpa dei BRICS del suo Paese, ha condiviso alcune riflessioni sul gruppo durante la sua ultima intervista con la Komsomol’skaja Pravda . Per comodità del lettore, le riassumeremo e le analizzeremo, poiché alcune delle sue dichiarazioni potrebbero sorprendere gli osservatori occasionali. Ha iniziato accusando coloro che descrivono i BRICS come un blocco anti-occidentale di “cercare di creare un’immagine di Russia e Cina come nemiche e violatrici maligne dell'”ordine basato sulle regole””.

Ciò contraddice nettamente la narrazione diffusa dai principali influencer della Alt-Media Community (AMC), inclusi i cosiddetti “Pro-Russian Non-Russian” (NRPR), che insistono sul fatto che i BRICS siano contrari all’Occidente. Rybakov ha infatti chiarito che il suo unico scopo è quello di aumentare il coinvolgimento dei paesi non occidentali nella governance globale. Nelle sue parole, “Siamo impegnati in un programma positivo, piuttosto che conflittuale. Questo ci distingue da molti format creati dagli Stati Uniti e dai loro alleati europei”.

A tal fine, nel corso della loro esistenza, i BRICS hanno istituito meccanismi specifici in una vasta gamma di settori, concentrandosi sulla cooperazione economica e finanziaria, ma anche su sanità, sport, trasporti e altri settori. Sul tema della finanza, che è quello su cui si concentra la maggior parte dei commentatori quando si parla dei BRICS, Ryabkov ha sottolineato l’importanza dell’utilizzo delle valute nazionali negli scambi commerciali intra-BRICS e dell’espansione della Nuova Banca di Sviluppo, ma ha affermato che è prematuro discutere di una moneta unica.

I lettori possono consultare queste analisi qui , qui e qui per saperne di più su come i BRICS, e la Russia in particolare, non stiano proattivamente “de-dollarizzando” come molti membri dell’AMC sono stati erroneamente indotti a credere, ma stiano solo rispondendo alla militarizzazione del dollaro da parte degli Stati Uniti. Per sottolineare questo punto, Ryabkov ha citato quanto affermato da Putin durante il vertice dei BRICS dello scorso autunno a Kazan, per ricordare a tutti che “i BRICS non sono affatto contrari al dollaro”, ma non è chiaro se questa riaffermazione politica correggerà le percezioni errate di Trump.

In ogni caso, l’importanza dell’intervista di Ryabkov risiede nel fatto che ha cercato di chiarire l’approccio della Russia nei confronti dei BRICS, ancora profondamente frainteso sia dai media mainstream che dall’AMC. Entrambi, spinti da motivazioni ideologiche opposte, alimentano ampiamente la narrazione secondo cui la Russia starebbe strumentalizzando i BRICS contro l’Occidente. I media mainstream lo fanno per incutere timore nei loro confronti e giustificare così politiche più aggressive, mentre l’AMC lo fa per risollevare il proprio pubblico e risollevare il morale.

Il risultato finale è che pochi sanno che la Russia vede i BRICS solo come una piattaforma per accelerare i processi di multipolarità finanziaria al fine di elevare il coinvolgimento dei suoi membri nella governance globale, seppur attraverso una cooperazione puramente volontaria tra loro. È proprio a causa della mancanza di obblighi da parte dei BRICS che si è ottenuto poco di tangibile, sebbene questa non sia di per sé una critica, poiché è sempre stato irrealistico aspettarsi che un gruppo così eterogeneo di economie di dimensioni asimmetriche potesse concordare su molto.

Sebbene sia improbabile che i BRICS infliggano un colpo mortale al dollaro come molti hanno ormai pensato, a prescindere dalla propria opinione su tale esito, possono comunque portare alla creazione di più piattaforme non occidentali, promuovere l’integrazione Sud-Sud e rafforzare le valute nazionali. Il loro formato di circolo di discussione e le centinaia di eventi congiunti organizzati ogni anno sono anche utili strumenti per condividere esperienze rilevanti. Nel complesso, anche se i BRICS non sono come molti pensavano che fossero, come Ryabkov ha appena ricordato loro, sono comunque importanti.

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Il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov: L’Occidente deve ritrovare il senso della realtà
Sergei Ryabkov: è prematuro parlare di moneta unica dei BRICS
Vladislav VOROBIEV

Il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov. Foto: Donat Sorokin/TASS

Il processo di normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Russia è complicato. E Mosca non ha fretta di fare dichiarazioni ottimistiche. Ma il nostro Ministero degli Esteri ha ragione di credere che la parte americana abbia iniziato a comprendere meglio la posizione della Russia.

Tuttavia, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ha ancora cancellato la sua minaccia di imporre tariffe del 150% contro i Paesi che intendono creare un’alternativa al dollaro. Quale risposta prepareranno i membri dei BRICS al vertice di Rio de Janeiro di luglio?

Komsomolka ha parlato di questo e altro con il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov, che non solo supervisiona le relazioni russo-americane al Ministero degli Esteri, ma è anche lo sherpa della Russia nei BRICS.

  • Sergei Alexeyevich, alcuni esperti occidentali ritengono che Russia e Cina vogliano fare dei BRICS un’arma geopolitica contro gli Stati Uniti. Ma recentemente le relazioni tra Mosca e Washington sembrano aver toccato il fondo. Qual è la sua risposta a questi esperti?
  • Immagino che lei si riferisca a quegli esperti che cercano di creare un’immagine della Russia e della Cina come un nemico e un feroce violatore dell'”ordine basato sulle regole”. Tuttavia, la situazione reale è talvolta in netto contrasto con i comuni luoghi comuni della propaganda, tra i quali includerei la tesi secondo cui i BRICS sono antiamericani.

Per sua natura, il BRICS non può essere utilizzato nell’interesse di un solo Stato o di un gruppo ristretto. Come molti dei nostri amici hanno ripetutamente affermato, il BRICS non è un formato anti-occidentale ma non-occidentale. È stato concepito per esprimere le aspirazioni e le aspirazioni degli Stati del Sud e dell’Est globale che costituiscono la Maggioranza mondiale.

L’Alleanza mira a creare e mantenere condizioni favorevoli per una crescita sostenuta, a costruire il potenziale socio-economico, innovativo e umano dei suoi membri e a cercare soluzioni collettive ai problemi internazionali più urgenti, compresa la riforma della governance globale in modo che le voci degli Stati in via di sviluppo e meno sviluppati siano ascoltate e tenute in considerazione.

In quasi 15 anni di esistenza, il BRICS si è trasformato da una piattaforma di dialogo informale a un meccanismo innovativo di cooperazione interstatale che copre un’ampia gamma di settori e mira a trovare soluzioni reciprocamente accettabili basate sul consenso. Oggi è percepito come una delle principali forze trainanti nella formazione di un ordine mondiale multipolare più giusto e democratico. Il BRICS è un partenariato strategico autosufficiente che ha una propria cultura del dialogo, proprie tradizioni e modalità di lavoro.

Siamo impegnati in un’agenda positiva piuttosto che conflittuale. Questo ci distingue da molti formati creati dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei.

Per quanto riguarda le relazioni russo-americane, si sono effettivamente verificati dei cambiamenti positivi, come si evince dai recenti contatti bilaterali ai livelli più alti, più elevati e più esperti. C’è motivo di credere che la parte statunitense sia diventata più consapevole della nostra posizione sull’Ucraina.

Il Presidente Donald Trump e il suo staff stanno parlando pubblicamente delle cause profonde del conflitto. Il tempo ci dirà fino a che punto i passi reali della nuova amministrazione statunitense saranno in linea con le sue dichiarazioni. Il processo di normalizzazione è complesso, ma siamo sempre aperti a una conversazione onesta e alla ricerca di un equilibrio di interessi.

Allo stesso tempo, vorrei sottolineare che lo sviluppo del dialogo con gli Stati Uniti non può e non andrà a scapito delle nostre relazioni strategiche con i nostri partner BRICS e altri Stati amici.

“GUARDARSI ALLO SPECCHIO IN TEMPO”

  • In seguito alla riunione dei ministri degli Esteri dei BRICS tenutasi a Rio de Janeiro il 29 aprile, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha affermato che l’Occidente “non è più abbastanza collettivo”. C’è qualche merito in questo per i BRICS?
  • Ripeto, gli obiettivi dell’associazione sono costruttivi. Non lavoriamo contro nessuno. Ciò che accade nelle relazioni all’interno dell'”Occidente collettivo” è il risultato di processi naturali.

La fonte dei loro problemi risiede nel desiderio di preservare l’ordine mondiale unipolare di cui sono diventati ostaggi. Sullo sfondo dei cambiamenti economici e politici globali, l’Occidente utilizza l’intera gamma di misure a sua disposizione, tra cui sanzioni, ricatti, pressioni e forza militare, per mantenere il proprio dominio.

La fissazione sul mantenimento del dominio ostacola lo sviluppo di una cooperazione multilaterale sana e reciprocamente vantaggiosa e provoca gravi crisi nelle relazioni internazionali. Naturalmente, si può incolpare chiunque per i propri problemi. Ma è importante guardarsi allo specchio e guardarsi intorno per ritrovare il senso della realtà.

I nuovi centri di potere in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente stanno sviluppando il loro potenziale economico e il loro peso geopolitico e cercano una giusta ridistribuzione dei ruoli negli affari internazionali.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Foto: Sofya Sandurskaya / TASS

Il movimento del mondo verso la multipolarità – polifonia, secondo la definizione del Presidente Vladimir Vladimirovich Putin – è coerente e irreversibile. Cresce il ruolo delle associazioni di integrazione regionale e dei formati innovativi come i BRICS, che si stanno trasformando in una delle strutture portanti di un nuovo ordine mondiale più equo.

Allo stesso tempo, non intendiamo agire a scapito di nessuno e ci concentriamo sull’agenda che è rilevante per l’intera comunità internazionale. Siamo convinti che solo tenendo conto delle opinioni e degli interessi nazionali di tutti i partecipanti ai processi internazionali si possano raggiungere soluzioni equilibrate e a lungo termine, nell’interesse di una pace duratura e di una prosperità comune.

COSA ABBIAMO OTTENUTO IN 15 ANNI?

  • Il BRICS esiste da più di 15 anni. Come valuterebbe il suo coefficiente di efficacia?
  • In effetti, nel corso degli anni, i BRICS sono diventati un pilastro fondamentale di un mondo multipolare basato sulla sovranità e sull’uguaglianza. La recente espansione ha rafforzato in modo significativo il suo potenziale: i membri rappresentano ora circa il 40% del PIL globale in termini di parità di potere d’acquisto e il suo peso geopolitico continua ad aumentare. Ciò conferma la necessità di un formato che dia agli Stati la possibilità di svilupparsi senza pressioni esterne.

Il BRICS dispone di un ampio sistema di cooperazione. Le decisioni specifiche sui percorsi settoriali vengono prese nell’ambito delle riunioni ministeriali annuali, delle riunioni degli alti funzionari e dei gruppi di lavoro di esperti. In alcuni settori di cooperazione sono stati istituiti meccanismi specializzati. Ad esempio, la Piattaforma di ricerca sull’energia, il Centro per lo sviluppo e la ricerca sui vaccini, la Rete di ricerca sulla tubercolosi, la Piattaforma per le tecnologie pulite e l’Istituto per le reti future. Il loro lavoro contribuisce a forgiare posizioni comuni su questioni settoriali specifiche.

Sono stati adottati diversi accordi concettuali, tra cui documenti di posizione sulla lotta al terrorismo e alla corruzione, sulla cooperazione fiscale e sul cambiamento climatico. Non possiamo non citare la Strategia di partenariato economico 2025 dei BRICS, che è essenzialmente una tabella di marcia per il “secondo pilastro” della cooperazione. Stiamo lavorando all’aggiornamento di questo documento concettuale.

Sono state avviate nuove forme di interazione, tra cui le riunioni dei presidenti delle commissioni parlamentari per gli affari internazionali e le riunioni dei ministri della Giustizia dei BRICS. Sono stati raggiunti risultati significativi anche nei trasporti, nell’assistenza sanitaria, nella tutela del lavoro e in molti altri settori. Poniamo particolare attenzione a garantire la sicurezza alimentare ed energetica e ad approfondire il dialogo sullo sviluppo equo e sostenibile. Ricordo i Giochi BRICS, ai quali l’anno scorso hanno partecipato più di 80 Paesi.

Una priorità speciale dei BRICS è quella di creare le condizioni per la crescita del commercio e degli investimenti tra i membri. La quota dei Paesi BRICS nelle esportazioni e importazioni globali di beni è superiore al 20%. Si presta molta attenzione a garantire la sostenibilità finanziaria. Durante la “guardia” russa abbiamo compiuto seri progressi in questo campo. Puntiamo ad attuare iniziative concrete per creare una piattaforma per i pagamenti transfrontalieri, il regolamento, la compensazione e l’infrastruttura di riassicurazione. La quota di pagamenti in valuta nazionale tra la Russia e i Paesi BRICS ha già raggiunto il 90%, riducendo così la dipendenza dal dollaro.

Altre iniziative chiave sono la Borsa dei cereali BRICS, che migliorerà la sicurezza alimentare. Dato che i Paesi BRICS rappresentano il 42% della produzione agricola globale e un terzo della produzione di petrolio, questo progetto potrebbe diventare la base per un più ampio commercio di materie prime.

Un altro passo importante è la Nuova Piattaforma di Investimento, che aiuterà a utilizzare meglio le risorse della Nuova Banca di Sviluppo per finanziare progetti nel Sud globale. Ciò rafforzerà le economie nazionali dei partecipanti e la loro posizione nel sistema globale.

La Nuova Banca di Sviluppo rimane un elemento importante per dare forma a un’architettura finanziaria equa, finanziando 101 progetti di infrastrutture e sviluppo sostenibile per un valore di 35,5 miliardi di dollari.

Parlando dei CDI BRICS, vorrei citare i seguenti fatti. Nell’ambito del calendario ufficiale della presidenza russa dei BRICS nel 2024, si sono tenuti più di 250 eventi di vario tipo, di cui più di 30 a livello ministeriale. Concorderete che non sono molti i formati multilaterali in grado di garantire un tale volume di cooperazione.

Continuiamo a sviluppare il nostro partenariato strategico in uno spirito di continuità. Anche la presidenza brasiliana di quest’anno ha grandi progetti. Il BRICS ha dimostrato la sua efficacia non con le parole ma con i fatti, attraverso iniziative e risultati concreti.

PORTE APERTE

  • Non c’è il timore che l’aumento del numero di membri dei BRICS porti a un effetto “cigno, gambero e luccio”?
  • Certo, ci sono alcuni rischi. Ogni Stato difende i propri interessi nazionali e le nostre opinioni su alcune questioni non sempre coincidono.

Tuttavia, il BRICS mira a risolvere problemi globali sui quali le posizioni di tutti i membri dell’associazione sono molto vicine. Sono convinto che, con sforzi congiunti e volontà politica, possiamo trovare soluzioni accettabili per tutti anche ai problemi più difficili. Dopo tutto, i membri dei BRICS sono civiltà antiche con culture e storie ricche. L’allargamento dell’associazione ha ulteriormente arricchito questa tavolozza e ha garantito la rappresentanza di regioni chiave come il Sud-Est asiatico e il Medio Oriente.

L’aspetto principale è che condividiamo principi comuni: il rispetto reciproco, il diritto di scegliere autonomamente il percorso di sviluppo, l’uguaglianza sovrana e il consenso. Alla fine prevale ancora il desiderio di raggiungere accordi reciprocamente vantaggiosi che ci permettano di progredire qualitativamente nella nostra cooperazione. Questa è la chiave per una cooperazione di successo.

Vediamo il crescente interesse dei Paesi del Sud e dell’Est del mondo per i BRICS. Crediamo che le porte dell’associazione rimangano aperte a tutte le persone che la pensano allo stesso modo. A Kazan è stata presa la storica decisione di istituire la categoria degli Stati partner. Ora dieci Paesi hanno già acquisito questo status.

Siamo inoltre consapevoli dei collaudati formati outreach/BRICS Plus, che consentono di coinvolgere gli Stati interessati nel nostro lavoro. Intendiamo sviluppare ulteriormente questa pratica non solo per arricchire il nostro lavoro, ma anche per rafforzare la capacità dei BRICS di promuovere i veri interessi dei Paesi della Maggioranza Globale.

Kazan, 2024. Durante la sessione plenaria del vertice BRICS. Foto: Zuma\TASS

“L’UNIFICAZIONE NON È CONTRO IL DOLLARO”.

  • A febbraio, Donald Trump ha minacciato di imporre tariffe del 150% ai Paesi BRICS per qualsiasi tentativo di creare un’alternativa al dollaro. Quanto i BRICS considerano seria questa minaccia? Tali dichiarazioni influenzeranno il desiderio di creare una moneta unica dei BRICS il prima possibile?
  • Al vertice di Kazan dell’ottobre 2024, il presidente russo ha sottolineato che, pur esplorando le opzioni per creare piattaforme di pagamento alternative e nuovi sistemi di regolamento interbancari, il BRICS non è assolutamente contrario al dollaro. Il motivo per cui molti Paesi, non solo i membri del BRICS, stanno cercando di diversificare i loro meccanismi di regolamento non è dovuto al desiderio di indebolire il dollaro, ma alla politica di Washington, in base alla quale gli stessi americani usano il dollaro come strumento di pressione sugli Stati indesiderati.

L’interazione nella sfera finanziaria è saldamente stabilita nei BRICS come uno dei temi chiave. Si tratta di un impegno costante e di lunga data. L’obiettivo è creare meccanismi sostenibili nell’interesse dei Paesi in via di sviluppo. Come ho già detto, stiamo attualmente lavorando per espandere l’uso delle valute nazionali nei regolamenti reciproci. Per quanto riguarda la moneta unica dei BRICS, è ancora prematuro parlarne oggi.

  • Nel 2023 lei ha parlato del fatto che l’imposizione di sanzioni ha causato difficoltà nell’attuazione del finanziamento di progetti in Russia da parte della Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS. Cosa sta facendo Mosca per eliminare questi aspetti?
  • I Paesi BRICS sono certamente interessati a rafforzare la posizione internazionale della Nuova Banca di Sviluppo e a incrementare le sue attività operative, anche nella Federazione Russa. La NDB svolge un ruolo significativo nell’attuazione di progetti infrastrutturali nei Paesi azionisti e nella promozione del loro sviluppo sostenibile.

Purtroppo, le pressioni sanzionatorie dei Paesi occidentali continuano a ostacolare le normali operazioni della Banca nella Federazione Russa. La direzione della NDB, compresa la Presidente Dilma Rousseff, eletta per un secondo mandato, sta prendendo le misure necessarie per garantire che la NDB raggiunga i suoi obiettivi in modo equo e non discriminatorio.

Continuiamo a collaborare con la Banca in vari settori, tra cui l’espansione dei finanziamenti nelle valute nazionali e lo sviluppo di processi innovativi nel campo degli investimenti e degli strumenti finanziari.

I partner BRICS condividono le nostre preoccupazioni sull’impatto negativo delle sanzioni illegittime non solo sulla situazione economica dei singoli Paesi, ma anche sul sistema economico globale nel suo complesso. I membri dell’associazione concordano sul fatto che tali misure minano il sistema commerciale multilaterale e ostacolano il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

  • Qual è il compito massimo della Russia al prossimo vertice dei BRICS che si terrà a luglio a Rio de Janeiro?
  • Ho già citato una serie di iniziative presentate durante l’anno di presidenza russa. È importante che il lavoro su di esse prosegua e si concretizzi. In particolare, intendiamo rafforzare il ruolo dei Paesi BRICS nel sistema monetario e finanziario globale, incrementare la cooperazione interbancaria, aumentare la quota delle valute nazionali nei regolamenti reciproci e creare meccanismi di regolamento e di assicurazione resistenti ai rischi esterni, al fine di promuovere il commercio e gli investimenti reciproci. Ci aspettiamo che vengano sviluppate proposte come la creazione della Borsa del grano BRICS e della Nuova piattaforma di investimento.

Il vertice BRICS è tradizionalmente il culmine di ogni presidenza, una sorta di riassunto di mesi di lavoro in tutti i settori chiave del nostro partenariato strategico. I nostri amici brasiliani hanno fissato priorità molto ambiziose per il loro anno. Dato che il vertice si terrà a luglio, possiamo dire che stiamo raggiungendo il traguardo e che i lavori proseguono praticamente senza interruzioni.

Non c’è dubbio che il prossimo XVII Vertice dei BRICS sarà efficace. Da parte nostra, siamo pronti a fornire tutta l’assistenza necessaria per garantire il successo dell’incontro dei leader BRICS.

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Iran contro Israele, di Julian Macfarlane

Iran contro Israele

Chi vince?

Jiulian Macfarlane15 giugno
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Mi sono astenuto dal commentare l’andamento degli eventi nella guerra israelo-iraniana appena iniziata. In una situazione militare come questa, è sempre meglio aspettare almeno quattro giorni – 3 giorni + 1 – per risolvere la situazione. Detto questo, farò qualche commento.

Gli israeliani stanno certamente esagerando i loro successi e minimizzando gli effetti della rappresaglia iraniana, sfruttando al meglio i media occidentali compiacenti. Quindi, non prestate troppa attenzione ai media tradizionali, o ai media alternativi che si basano sui media tradizionali. Finora, ci sono semplicemente troppe contraddizioni, soprattutto se si esaminano attentamente le prove visive. Le mie fonti in Medio Oriente mi raccontano una storia diversa.

È ovvio che, nonostante gli israeliani abbiano causato molti danni con il loro attacco a sorpresa, ciò non è stato sufficiente a prevenire i massicci attacchi di rappresaglia che sono seguiti e che ora continuano giorno dopo giorno.

A questo punto, oserei dire che l’attacco è stato un grave errore da parte di israeliani e americani. Disperato e suicida. Semplicemente non ponderato.

Una strategia più intelligente per Israele sarebbe stata quella di continuare a usare il Mossad per fomentare disordini interni in Iraq. Il Mossad è intelligente e ha decenni di esperienza in trucchi sporchi.

In ogni caso, questo attacco palese e illegale ha unito l’Iraq. Improvvisamente, c’è chiarezza .

Anche chi normalmente si oppone al governo iraniano ora si sta radunando attorno alla bandiera. Questa donna non indossa l’hijab e normalmente non sosterrebbe il governo.

Il sabotaggio diretto dal Mossad da parte di vari gruppi in Iraq provoca rabbia, non contro il governo iraniano, ma contro le comunità e i gruppi etnici che ospitano terroristi. Saranno sotto pressione perché dimostrino la loro lealtà, o se ne vadano.

In altre parole, l’attacco israeliano ha avuto un effetto polarizzante, il che significa un maggiore sostegno alle Guardie della Rivoluzione islamica. Ricordate come hanno reagito gli Stati Uniti all’11 settembre?

È ovvio che l’Iran si sta preparando da molto tempo alla guerra con Israele.

Mentre gli israeliani hackeravano i loro sistemi di comunicazione elettronica, essenziali per la difesa aerea, che avrebbero dovuto rimanere fuori uso per 3 giorni, questi furono riparati in meno di 10 ore, apparentemente con l’aiuto russo. Persero comandanti esperti, ma avevano un gruppo di comando “ombra” che prese immediatamente il controllo. I loro sistemi missilistici e di difesa aerea erano per lo più mobili e rimasero intatti. Finora, gli israeliani hanno perso diversi dei loro costosi F35 “invisibili”, come avevo previsto se li avessero fatti volare nel raggio d’azione dei sistemi S400.

Gli iraniani non hanno mai voluto combattere, ma erano pronti e ora sono i sionisti a pagarne il prezzo.

Forse quando Tel Aviv assomiglierà a Gaza capiranno il messaggio.

L’Iran ha le risorse per sopravvivere a israeliani e americani, e ha appena iniziato a contrattaccare: sta solo ora iniziando a utilizzare i suoi missili più avanzati. Specialisti russi in EW e EA (attacco elettronico) sono già in Iran. La Corea del Nord offrirà sicuramente missili se l’Iran dovesse iniziare a scarseggiare. Hanno margine per migliorare il loro gioco.

Se questi attacchi continueranno per più di una settimana, Israele perderà i missili intercettori. Gli yemeniti si sono già uniti. E se lo facesse anche Hezbollah? I gruppi iracheni di Hezbollah hanno minacciato di attaccare le basi statunitensi. Poi, i libanesi.

E se l’Iran chiudesse Hormuz?

Trump ordinerà un attacco ai B52? I B52 sono obiettivi succulenti.

Pubblicherò di nuovo un articolo più dettagliato con un’analisi strategica migliore.

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Trump, Netanyau, Kameney tra svolte, azzardi e voltafaccia Con Gianfranco Campa 13 giugno 2025

Al terzo tentativo di registrazione siamo riusciti a presentare un resoconto particolarmente denso di dati e considerazioni, tutto da ascoltare. Il dato cruciale è la chiusura di una tenaglia che ha indotto allo smarrimento e al trasformismo il principale personaggio politico dello scenario occidentale: Donald Trump. Le conseguenze saranno enormi e dirompenti. Trascineranno il mondo e gli Stati Uniti in una gestione caotica ed imprevedibile del processo multipolare. Mi spingo in una previsione un po’ azzardata, dettata dalla mia esperienza: di certo non salveranno Trump, divenuto, suo malgrado e oltre le sue virtù, un simbolo della resistenza a questa classe dirigente nichilista, da una fine beffarda, se non tragica, dettata dal suo progressivo isolamento dalle forze che lo hanno sostenuto e salvato. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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I limiti del realismo offensivo e l’emergere di una nuova forma di realismo: il caso dell’OCS , di Cédric Garrido 

I limiti del realismo offensivo e l’emergere di una nuova forma di realismo: il caso dell’OCS  

Da Rassegna dei conflitti

La teoria del realismo offensivo è stata definita da John J. Mearsheimer. Questa teoria presenta alcuni limiti, come dimostrato dal caso dell’OCS

Di Cédric Garrido

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Introduzione

Il 9 maggio 2025, in occasione delle celebrazioni dell’80ᵉ anniversario della vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista, Xi Jinping e Vladimir Putin hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui le due superpotenze eurasiatiche e i principali attori della SCO e dei BRICS, hanno denunciato in particolare gli effetti deleteri della ricerca della ” sicurezza strategica assoluta ” da parte di ” alcune potenze nucleari sostenute dai loro alleati ” sulla stabilità regionale e globale, mettendo così in discussione i dogmi del realismo offensivo;sicurezza strategica assoluta ” da parte di “alcune potenze nucleari sostenute dall’appoggio dei loro alleati ” sulla stabilità regionale e globale, mettendo così in discussione i dogmi del realismo offensivo.

Questa teoria delle relazioni internazionali sviluppata da John J. Mearsheimer[1] ed esposta nel suo libro The Tragedy of Great Powers Politics (2001)[2] afferma che l’anarchia del sistema internazionale condiziona gli Stati a massimizzare il proprio potere per garantire la propria sicurezza, avendo come obiettivo finale la sopravvivenza. Caratteristica consolidata e predominante delle relazioni internazionali, il realismo offensivo sembrava fino a poco tempo fa aver raggiunto un punto della sua storia in cui il fine perseguito – la sicurezza ottimale – e i presunti mezzi per raggiungerlo – la prevalenza all’interno di un gioco a somma zero – si confondevano. La traiettoria post-Guerra Fredda degli Stati Uniti, particolarmente ricca di insegnamenti, ha però dimostrato che la ricerca della massimizzazione del potere è alla fine controproducente, rivelandosi fonte di erosione del potere e di instabilità in una parossistica incarnazione del dilemma della sicurezza. Il fenomeno della de-occidentalizzazione è semplicemente il risultato logico di questa sequenza.

Nonostante il precedente storico così creato, un’altra discutibile equivalenza che influenza la nostra percezione delle relazioni internazionali e il comportamento atteso dei suoi attori è ancora comunemente fatta tra la ricerca della sicurezza e il desiderio di egemonia: a parte l’etnocentrismo geopolitico, Cina e Russia sono ancora percepite dall’Occidente attraverso il prisma dell’esperienza egemonica americana. In conformità con la dottrina del realismo offensivo, essi sono visti come tentativi di alterare l’ordine mondiale (o regionale) esistente a loro esclusivo vantaggio, falsando così la nostra lettura degli eventi e limitando la nostra capacità di anticipazione. Tuttavia, le caratteristiche e il funzionamento dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), un’organizzazione multilaterale per la cooperazione di sicurezza neo-westfaliana di cui Cina e Russia sono membri fondatori, tendono a confutare questi pregiudizi e ci invitano a interrogarci sui limiti del realismo offensivo, al di là delle battute d’arresto americane di questa dottrina.

L’obiettivo di questo articolo è esaminare come il modo in cui la SCO opera e la comunità di interessi che è stata in grado di costruire sfidino la nostra percezione del realismo offensivo e in che misura questa organizzazione sia indicativa dell’emergere di un nuovo paradigma nelle relazioni internazionali. A tal fine, adotteremo innanzitutto una prospettiva storica, passando in rassegna i legami tra la SCO e la de-occidentalizzazione. In seguito, ci soffermeremo sui limiti del potere normativo multilaterale occidentale, la cui perdita di attrattiva per la SCO è sintomatica. Infine, confronteremo le caratteristiche della SCO con il realismo offensivo per comprenderne i limiti e definire i contorni del nuovo paradigma che probabilmente emergerà.

Per ricordare che la SCO è un’organizzazione di cooperazione per la sicurezza fondata nel 2001, erede del “Gruppo di Shanghai”, la cui funzione principale era quella di risolvere i conflitti di confine nell’Asia centrale post-Guerra Fredda.Fondata originariamente dai Paesi dell’Asia centrale (tranne il Turkmenistan), dalla Russia e dalla Cina, vi hanno poi aderito l’India, il Pakistan, l’Iran e la Bielorussia, e conta oggi 18 Paesi osservatori e partner di dialogo, uniti da interessi primari di sicurezza (lotta ai “tre flagelli”). – terrorismo, separatismo, estremismo religioso – e criminalità transnazionale), prima di vedere la sua sfera di cooperazione estesa a tutti i settori della vita politica (economico, energetico, culturale, ecc.). Con il suo carattere eurasiatico esteso al Medio Oriente, al Nord Africa, all’Asia meridionale e sudorientale, è oggi la più grande organizzazione di cooperazione regionale del pianeta in termini economici, demografici e di superficie (42% della popolazione totale per il 24% del PIL e copertura del 66% della superficie del continente eurasiatico).

L’OCS e le origini del riflusso dell’influenza occidentale in Eurasia

Per de-occidentalizzazione si intende la perdita di influenza delle potenze occidentali o delle istituzioni multilaterali dominate dall’Occidente a favore dei Paesi, o delle istituzioni che essi costituiscono, precedentemente dominati da queste stesse potenze occidentali. Questo fenomeno è spesso associato alla “fine del mondo unipolare” o alla “transizione verso un mondo multipolare”. L’attenzione dei media sui suoi aspetti economici e diplomatici (perdita di influenza del G7, ascesa dei BRICS, rafforzamento diplomatico dei Paesi in via di sviluppo, il “Sud globale”) farebbe pensare che i suoi aspetti di sicurezza siano di secondaria importanza.

Tuttavia, la storia della cooperazione in materia di sicurezza in Eurasia è un indicatore altrettanto rilevante della natura e delle prospettive di questo fenomeno, per una serie di ragioni. È opportuno dare un rapido sguardo al contesto. Da un punto di vista geostrategico globale, la prima condizione per preservare la posizione centrale degli Stati Uniti negli affari mondiali è il mantenimento della relativa divisione del continente eurasiatico. Infatti, un eventuale coordinamento diplomatico ed economico del “mondo insulare”, che concentra la maggior parte delle risorse, dei territori e dei mercati del pianeta, marginalizzerebbe irrimediabilmente la potenza americana, riportandola allo status di isola periferica[3]. L’importanza degli aspetti di sicurezza della de-occidentalizzazione va quindi valutata con il metro delle questioni eurasiatiche, che sono di assoluta attualità, anche se discrete : Le istituzioni euro-atlantiche (NATO/UE) hanno tracciato una lunga linea di frattura tra l’Europa occidentale e la Russia, il cui avvicinamento alla Cina (bilaterale o multilaterale istituzionale nell’ambito dei BRICS o della SCO, tassati come organizzazioni ” ;anti-occidentali[4] “) viene regolarmente deplorato dagli ” strateghi ” occidentali, senza riuscire a prevenirlo. Inoltre, l’attuale posizione militare degli Stati Uniti continua a cingere il continente eurasiatico, circondandolo ai suoi confini orientali e occidentali[5].

Tuttavia, risulta che la cooperazione in materia di sicurezza in Eurasia non è mai stata occidentalizzata nel vero senso della parola. L’ascesa dell’influenza occidentale sulla sicurezza regionale, che ha beneficiato del consenso globale dei primi anni della “guerra al terrore” che ha contrapposto la coalizione occidentale ai Talebani in Afghanistan, si è scontrata nel 2005 con il desiderio dei Paesi della SCO di porre fine alle locazioni americane in Asia centrale[6] a causa delle ricorrenti interferenze negli affari interni[7] e della più generale inadeguatezza della dottrina della cooperazione (cfr. infra). sotto). Questo evento segna l’inizio del declino dell’influenza occidentale nella sicurezza regionale.

A livello istituzionale, il funzionamento dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), la principale organizzazione di cooperazione per la sicurezza in Eurasia dominata dall’Occidente, è stato notevolmente ostacolato dal deterioramento delle relazioni tra Occidente e Russia. Insieme alle divisioni interne che attualmente colpiscono il campo occidentale nel contesto del conflitto russo-ucraino, è molto probabile che l’OSCE sia destinata a svolgere solo un ruolo relativamente marginale nella cooperazione per la sicurezza in Eurasia[8]. Allo stesso tempo, la SCO, che opera su una base più egualitaria e rispettosa della sovranità nazionale, ha continuato a espandersi e a istituzionalizzarsi e ha contribuito in modo significativo alla stabilizzazione dell’Asia centrale, promuovendo lo sviluppo economico regionale. Possiamo quindi notare che non solo l’aspetto della sicurezza della de-occidentalizzazione, di cui la SCO è allo stesso tempo attore, beneficiario e simbolo, non è insignificante rispetto agli aspetti economici e diplomatici, ma anche che li precede di quasi un decennio, essendo i BRICS stati formalizzati solo nel 2009. Esaminiamo ora le caratteristiche della proposta occidentale di cooperazione in materia di sicurezza e le tappe che hanno portato al suo fallimento.

I limiti del potere normativo del multilateralismo occidentale

L’aspetto interessante dell’evoluzione dell’influenza sulla sicurezza in Asia centrale dopo l’11 settembre 2001 è che, pur essendo circoscritta a un contesto relativamente limitato, è sostanzialmente simile all’evoluzione più generale del potere normativo del multilateralismo occidentale su scala globale dal 1949. In linea di massima, questa evoluzione può essere descritta in tre fasi:

Una prima fase di adesione al progetto basata sulla forza di convinzione del suo promotore (combinazione di potere oggettivo e soft power) e sull’assenza di alternative (ONU e Consiglio di Sicurezza, istituzioni di Bretton Woods, ” fine della Storia ” e ” nuovo ordine mondiale “) ;

Una seconda fase di disillusione ha visto le promesse del multilateralismo disattese dall’uso dell’utilitarismo al servizio della politica di potenza (interventi militari senza mandato ONU in Kosovo, Iraq (2003) e Libia, condizionalità della Banca Mondiale e del FMI, Washington Consensus, rivoluzioni cromatiche, invocazione del diritto internazionale a geometria variabile per quanto riguarda, tra i più noti, i conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese);

E infine, una terza fase di fine dell’ascesa dell’influenza, seguita da un riflusso non appena gli attori statali che si sentono danneggiati dal quadro esistente si trovano nella posizione di prendere nuovamente l’iniziativa (G20, SCO, BRICS, Belt and Road InitiativeAsian Infrastructure Investment BankNew Development Bank), finendo per proporre alternative.

Così (1ʳᵉ fase) all’indomani dell’11 settembre, grazie a un consenso globale senza precedenti, la Russia e i Paesi dell’Asia centrale (PAC), uniti intorno agli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo jihadista, hanno accettato di aprire loro le porte dell'” Heartland “, uno spazio geostrategico storicamente molto ambito. L’impatto normativo globale della dichiarazione di guerra al terrorismo è quindi piuttosto significativo; la sua elevazione al rango di minaccia strategica è gravida di conseguenze in termini di lotta al terrorismo, con l’istituzione di nuove norme e pratiche, tra cui il rafforzamento della cooperazione internazionale e la riforma dei sistemi di sicurezza statali. Va notato che già nel 1994 i PAC avevano potuto sperimentare i benefici della cooperazione con la NATO nel quadro del Partenariato per la Pace (PfP) e rivalutare le loro relazioni con il   nemico eterno , il cui vantaggio istituzionale rispetto alla SCO e alla CSTO era all’epoca innegabile, consentendo di rispondere alle aspirazioni di multiallineamento dei PAC.

Fino alla (2ᵉ fase), le discrepanze dottrinali, le differenze strutturali e le priorità contrastanti hanno arrestato l’ascesa dell’influenza occidentale sulla sicurezza. È nata quindi un’opposizione dottrinale tra i sostenitori regionali della rigida sovranità westfaliana e quelli di un’agenda occidentale post-westfaliana di “sicurezza umana”[9]. Un’illustrazione degna di nota è il ritorno di molti Paesi dell’ex URSS a una nozione più tradizionale di sovranità alla fine del periodo di cooperazione dei primi anni Novanta, che stanno diventando sempre più riluttanti nei confronti di ciò che considerano un’interferenza dell’OSCE.

Inoltre, le organizzazioni regionali occidentali e non occidentali si distinguono per differenze fondamentali nella progettazione strutturale. Mentre la concezione razionale e la funzionalità condizionano le prime (l’UE è progettata per servire il federalismo europeo, indipendentemente dalle esigenze e dagli interessi specifici dei suoi Stati membri), è intorno alle esigenze e agli interessi comuni degli Stati membri che si strutturano le seconde (che cooperano per rispondere a un bisogno preesistente di sicurezza e stabilità). Questi Stati condividono valori e ideologie simili, sviluppati in linea con la propria identità, e cercano di svolgere un ruolo attivo nella loro regionalizzazione, spesso come reazione all’etnocentrismo europeo.

Allo stesso modo, l’uso della condizionalità e dell’utilitarismo per interferire sono i principali ostacoli alla penetrazione dell’influenza occidentale sulla sicurezza in Asia centrale. Gli aiuti americani all’Uzbekistan in seguito al trasferimento della base aerea di Karshi-Khanabad erano condizionati agli sforzi compiuti dalla parte uzbeka per promuovere i diritti umani e la democrazia. La repressione della rivolta di Andijan nel 2005, in spregio a questi impegni, ha portato a sanzioni economiche e politiche contro il governo uzbeko. La risposta della SCO a queste sanzioni, con la prevista espulsione delle forze statunitensi dall’Asia centrale, ha segnato un importante cambiamento nell’influenza strategica occidentale nella regione[10]. Queste sanzioni hanno avuto l’effetto di screditare la promozione delle idee democratiche, che appaiono qui strumentalizzate in nome della diffusione forzata dell’influenza occidentale.

Infatti, “l’attenzione prestata dagli Stati Uniti all’Asia centrale deriva storicamente da interessi non indigeni alla regione, una funzione delle politiche e delle priorità americane “. L’anarchia del sistema internazionale impone alle grandi potenze un utilitarismo di rigore, questo è un dato di fatto. La differenza è che, nel caso della Cina e della Russia, i loro interessi strategici sono strettamente legati alla situazione della sicurezza in Asia centrale, quindi sono vincolati dall’obbligo di ottenere risultati. A differenza degli Stati Uniti, che sono liberi di spingere l’utilitarismo fino a discutere della necessità di ostacolare attivamente le organizzazioni regionali in quanto facilitatori dell’emergere di un mondo multipolare, e quindi di ostacolare la supremazia americana. Eppure, per i PAC, le organizzazioni regionali sono proprio un fattore di stabilizzazione.

È stato inoltre stabilito che nel decennio successivo all’indipendenza dei Paesi dell’Asia centrale (1991-2001), ” la regione era lontana dall’essere una priorità per Washington “, e che una relativa mancanza di considerazione per le questioni regionali caratterizza il successivo periodo di maggiore coinvolgimento occidentale (2001-2021).Ciò si è poi riflesso in una dissonanza delle priorità di sicurezza tra gli attori della regione:  la lotta al terrorismo, pur essendo ancora di indubbia importanza, non era più una priorità strategica nell’agenda occidentale. La “guerra al terrorismo” sta finendo per cedere il passo alla competizione tra grandi potenze, relegando il terrorismo allo status di “un fastidio con cui possiamo convivere, a patto di “tagliare il prato” periodicamente […] “.

Infine, l’attenzione riservata alle priorità di sicurezza regionale dell’Asia centrale è rapidamente diminuita a favore dell’Ucraina, prima all’indomani di EuroMaïdan (2014), in coincidenza con il disimpegno regionale della NATO, e poi in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina (2022). Quest’ultima è diventata la principale preoccupazione per la sicurezza dell’Occidente, catturando una quantità significativa di risorse umane, materiali e finanziarie, a scapito della questione afghana. Allo stesso modo, per quanto riguarda l’UE, mentre la sua strategia per l’Asia centrale del 2007 indicava esplicitamente l’Afghanistan come una minaccia per la sicurezza regionale, nell’aggiornamento del 2019 non è più considerato tale. La diminuzione del ruolo dell’OSCE, in particolare in Afghanistan, che è “completamente sparito sotto i radar da febbraio (2022)”, conferma questo stato di cose.

In altre parole, l’approccio occidentale al multilateralismo post-Guerra Fredda e l’influenza dell’Occidente sulla sicurezza in Asia centrale stanno fallendo per le stesse ragioni, le stesse cause producono gli stessi effetti: la ricerca di ottimizzare il potere nel breve-medio termine attraverso il predominio in un gioco a somma zero (in questo caso di influenza sulla sicurezza) secondo le modalità del realismo offensivo produce l’effetto opposto a quello ricercato (perdita di capacità di proiezione militare e discredito diplomatico, compromettendo le prospettive di acquisizione di potere).

La retrocessione dell’Asia centrale nell’agenda della sicurezza occidentale è avvenuta quindi a favore di un quadro di cooperazione per la sicurezza ritenuto più appropriato, definito da e per gli attori regionali, che è quello della SCO (3ᵉ fase), e che discuteremo di seguito, non senza aver prima esaminato i postulati del realismo offensivo.

I limiti del realismo offensivo e un approccio alternativo alle relazioni internazionali

Il realismo offensivo si basa sui seguenti cinque presupposti: 1) il sistema internazionale è anarchico, 2) le grandi potenze possiedono tutte capacità militari offensive, 3) ogni Stato è incerto sulle intenzioni degli altri, 4) la sopravvivenza è la preoccupazione principale delle grandi potenze, la sicurezza il loro obiettivo principale, 5) le grandi potenze sono attori razionali. L’insieme di queste caratteristiche favorisce l’atmosfera di sfiducia strutturale che caratterizza le relazioni interstatali, incoraggiando gli Stati a ottimizzare il proprio potere e a impegnarsi nella competizione strategica. Pertanto, secondo Mearsheimer, il predominio in un gioco a somma zero sembrerebbe essere la migliore garanzia di sicurezza e la forza (forza) il mezzo per raggiungere e preservare tale sicurezza. Il potere equivarrebbe alla sicurezza, quindi più potere sarebbe sinonimo di più sicurezza, con il risultato di una competizione infinita sulla sicurezza, la “tragedia della politica delle grandi potenze”, che condanna la Storia a un eterno riavvio.

Tuttavia, l’autore riconosce alcuni limiti alla sua teoria: una semplificazione della realtà insita in tutte le teorizzazioni, l’oscuramento del ruolo degli individui e delle considerazioni di politica interna nel processo decisionale, o gli errori di calcolo derivanti da un processo decisionale poco informato, nel qual caso il realismo offensivo non è più applicabile, oltre a qualche rara eccezione alla regola.

La forza dell’impegno di Stati Uniti, Cina e Russia, solo per citarne alcuni, nella competizione strategica, testimonia l’efficacia del modello di Mearsheimer, che era ben sostenuto all’epoca della sua pubblicazione. Tuttavia, quasi un quarto di secolo dopo, la de-occidentalizzazione, la perdita di influenza e la generale perdita di slancio degli Stati Uniti, nonostante siano l’esempio del realismo offensivo, richiedono un riesame di alcune delle sue ipotesi.

Il rapporto tra egemonia e sicurezza, ad esempio, deve essere messo in discussione su più fronti. Quando il realismo offensivo difende l’idea che l’egemonia sia la migliore garanzia di sopravvivenza per uno Stato, presuppone che lo status di egemone possa essere mantenuto una volta raggiunto. Questo è tutt’altro che facile, come dimostra l’esempio americano. L’appiattimento degli Stati Uniti sulla scena internazionale, causato dalla scarsa attrattiva del modello proposto, rivela l’importanza di quest’ultimo come garanzia della durata dell’egemonia perseguita, accanto agli attributi del potere economico e militare. Inoltre, evidenzia la natura cruciale del potere normativo, che è l’argomento principale dei modelli alternativi di relazioni internazionali proposti dalla SCO o dai BRICS[11]. Si dovrebbe fare una riflessione a posteriori su come questi avrebbero potuto e dovuto preservare il potere federativo del modello di società liberale promosso. Lo stanno facendo probabilmente Paesi come la Cina e la Russia, per i quali la sconfitta degli Stati Uniti e il fallimento del progetto europeo dovrebbero fungere da istruttivi controesempi di strategia di potenza, i primi peccando di eccessiva ottimizzazione e assoluta trascuratezza del dilemma della sicurezza, i secondi di integrazione forzata e sovranazionalità.

Allo stesso modo, Mearsheimer difende l’idea che un mondo multipolare con almeno un potenziale egemone sia il più favorevole alla guerra[12], rendendo la Cina, il principale sfidante degli Stati Uniti e il principale polo di potere nel mondo multipolare emergente, una minaccia intrinseca (indipendentemente dalle sue intenzioni). Ma possiamo già vedere che la sua strategia di potere è molto diversa. Si afferma, si impone e cresce in potenza secondo le proprie modalità, escludendo a proprio vantaggio il cambio di regime, l’intervento militare o il dirottamento delle istituzioni multilaterali, affidandosi, tra l’altro, alle sue comprovate capacità di guerra economica sistemica (forze d’attacco industriali, commerciali, diplomatiche, tecnologiche, normative). Sta certamente sviluppando le sue capacità militari offensive, ma non sembra incline a usarle finché non viene superata nessuna delle sue linee rosse.

Inoltre, la consapevolezza, esacerbata dall’interconnettività digitale e logistica, dei limiti fisici del mondo e delle sfide globali (vincoli energetici, riscaldamento globale, tensioni idriche, rischi di pandemie, distruzione degli ecosistemi) sta riportando gli Stati a un comune ancoraggio terrestre, integrando questi fattori nello sviluppo della loro strategia di sicurezza. Un mondo in cui la sicurezza nazionale dipende intrinsecamente dalla cooperazione interstatale limita certamente il valore della posizione di egemonia, nella misura in cui le sfide sollevate non possono essere affrontate con la forza bruta, rendendo ancora più obsoleta la relazione causale tra egemonia e sicurezza.

Un altro dogma caratteristico della scuola “realista” oggi degno di essere riconsiderato è quello della visione deterministica e insuperabile del quadro del gioco a somma zero, secondo cui il guadagno di potere di uno Stato avviene necessariamente a spese di un altro Stato. Sebbene questo dogma rimanga sensato da un punto di vista tattico, rimane fondamentalmente controproducente nel medio-lungo termine, compromettendo di fatto qualsiasi obiettivo di sicurezza strategica attraverso comportamenti statali che favoriscono l’aumento del livello di insicurezza circostante, e minacciato di obsolescenza dal concetto più unificante e costruttivo di indivisibilità della sicurezza promosso da Cina e Russia, in particolare nel quadro della SCO.

Le conclusioni di Mearsheimer sul comportamento delle grandi potenze richiedono anche qualche commento sulle loro implicazioni per il multilateralismo. Egli afferma così :

Le grandi potenze non sono aggressori insensati, così decisi a conquistare il potere da lanciarsi a capofitto in guerre perdenti o perseguire vittorie di Pirro. Al contrario, prima di intraprendere azioni offensive, le grandi potenze pensano attentamente all’equilibrio di potere e a come gli altri Stati reagiranno alle loro mosse”.

Approfondiamo questa affermazione: essa giustificherebbe in effetti una percezione comune del multilateralismo al tempo stesso disillusa e opportunista, secondo la quale le grandi potenze starebbero per così dire in agguato permanente, aspettando cautamente che le condizioni siano giuste prima di agire. Così sia. Resta il fatto che questa visione sottrae comunque alla nostra vigilanza analitica ogni potenziale strategia di conquista del potere che non assomigli a ciò che già conosciamo. Ad esempio, una strategia che vada oltre il quadro di un gioco a somma zero, senza (tentare di) sconvolgere improvvisamente l’equilibrio, e che si concentri sull’indivisibilità della sicurezza, non per opportunismo egemonico mascherato da benevolenza o ideologia, ma per chiaro pragmatismo, dato che la competizione per la sicurezza secondo le modalità del realismo offensivo si rivela controproducente nel medio termine.

Mearsheimer, citando Edward H. Carr[13], ci ricorda che i realisti, rassegnati all’idea dell’inevitabilità della competizione per la sicurezza e della guerra, ritengono che ” la più grande saggezza risiede nell’accettare e adattarsi a queste forze e tendenze “. Ciò che allora poteva essere inteso come un’ingiunzione ad abbracciare la competizione per la sicurezza, oggi, con il senno di poi, negli ultimi decenni, potrebbe suggerire di abbracciare la resilienza e la stabilità di fronte ai rischi geopolitici o finanziari. È questa capacità di resilienza, che sarebbe in realtà simile alla prevenzione e alla gestione del rischio applicata alla geopolitica, che la Russia e la Cina, insieme ai loro partner, intendono continuare a sviluppare attraverso organismi multilaterali come la SCO o i BRICS, o attuando politiche di buon vicinato, politiche estere di empowerment o persino emancipandosi gradualmente dalla dipendenza dal dollaro USA nel commercio internazionale.

Non si tratta di sostenere i realisti difensivi, ai quali Mearsheimer contrappone risultati statistici innegabilmente a favore degli aggressori. L’idea è piuttosto quella di indicare un cambio di paradigma che si verifichi quando quello attuale è giunto al capolinea della sua logica, e che privilegi la resilienza come garanzia di sopravvivenza e per estensione l’indivisibilità della sicurezza, avanzata da potenze che avranno compreso i limiti, se non l’utopia odierna, delle aspirazioni all’egemonia (anche solo regionale) in senso realista offensivo[14]. Un esame delle funzionalità della SCO, in particolare di quelle emergenti, dovrebbe aiutare a illustrare questa idea.

Come funziona l’OCS e i suoi vantaggi

La “fine della storia” non è ancora arrivata, quindi dobbiamo essere vigili sui nuovi sviluppi che le interpretazioni del passato non sono in grado di cogliere. La SCO è una novità sotto molti aspetti e la dottrina del realismo offensivo potrebbe non essere sufficiente per comprenderne i lati positivi e negativi. Infatti, la SCO è l’unica organizzazione di cooperazione regionale per la sicurezza che copre la maggior parte del continente eurasiatico (compreso il suo cuore asiatico centrale) e inaugura la prima iniziativa multilaterale nella storia della diplomazia cinese (SONG, 2016)  ha una costituzione rigorosamente non occidentale e concretizza la convergenza degli interessi strategici sino-russi  riunisce quattro potenze nucleari e la stragrande maggioranza dei suoi membri pratica il multiallineamento. Attualmente rappresenta oltre il 40% della popolazione mondiale e circa il 25% del PIL. In rottura con la tradizione cinese del bilateralismo, la SCO offre alla Cina uno spazio per la pratica della governance multilaterale, di cui si fa depositaria dell’autorità concettuale, formulando le basi dottrinali dell’organizzazione fonti della sua attrattiva, come lo  ” spirito di Shanghai[15] ” o il ” Nuovo concetto di sicurezza “[16], e che riflettono l’importanza attribuita alla politica di vicinato (o diplomazia periferica) nella dottrina della politica estera cinese : L’obiettivo della Cina era quello di creare condizioni favorevoli alla solidarietà tra gli Stati membri attraverso valori e norme istituzionali in grado di convincere i Pac e la Russia che “la fiducia e il beneficio reciproci, la non alleanza, il non scontro e il non bersagliamento di una terza parte” sono condizioni sine qua non per la loro rispettiva sicurezza nazionale.

Molto più che un rozzo cavallo di Troia per l’influenza cinese in Eurasia, la SCO è stata infatti guidata fin dall’inizio dalle relazioni sino-russe e manifesta la convergenza dei loro interessi strategici in Asia centrale, così come in Asia-Pacifico da quando India e Pakistan si sono uniti nel 2017 (LUKIN et al., 2019). È essenzialmente da queste relazioni che dipende la sopravvivenza dell’organizzazione (ARIS, 2011). Le recenti dichiarazioni ufficiali e gli analisti concordano sul fatto che le loro interazioni, sebbene spesso descritte come eminentemente conflittuali per i due Paesi, non sono regolate dalle regole di un gioco a somma zero, ma rientrano nella stretta cooperazione per mantenere la sicurezza e la stabilità regionale. Pertanto, non vi sono prove che la Cina stia cercando di diminuire il ruolo della Russia nell’area. Si tratta piuttosto di preservare una sana interdipendenza tra i due vicini, che è un prerequisito per mantenere le rispettive agentività, in particolare per ragioni di know-how russo e di bilanciamento intra-organizzativo. Le risposte congiunte alle sfide di sicurezza post-Guerra Fredda (risoluzione dei conflitti di confine, smilitarizzazione delle frontiere, cooperazione in Asia centrale) e il conseguente rafforzamento della fiducia reciproca sono stati, insieme all’antagonismo americano, i fattori chiave dello sviluppo delle relazioni sino-russe[17].

Il rapporto è reso ancora più duraturo dal fatto che è complementare: la Russia cede la preminenza economica alla Cina, pur beneficiando della sua influenza sulla scena internazionale; la Cina a sua volta si affida al know-how militare[18] e istituzionale multilaterale della Russia, senza il quale l’agentività regionale della Cina sarebbe ridotta. Un accordo tacito che viene accolto con favore dai membri centroasiatici della SCO per la rilevanza dell’agenda che ne deriva. E illustra il tipo di concessioni che questi due attori principali sono disposti a fare in nome del buon funzionamento dell’organizzazione. Sebbene possa permanere un certo grado di diffidenza, il rafforzamento delle relazioni bilaterali è stato incoraggiato da una percezione comune delle sfide occidentali e dei problemi di sicurezza dell’Asia centrale. In queste condizioni, non si può pensare di sostituire gli interessi di un possibile egemone regionale a quelli della regione, come hanno fatto gli Stati Uniti nella regione del Nord Atlantico inimicandosi la Russia a scapito degli interessi europei.

La SCO è anche strutturalmente flessibile, come dimostra non solo la sua elasticità attraverso i vari meccanismi di allargamento che ha attuato e la sua capacità di conciliare politiche estere diverse, ma anche i meccanismi emergenti di regolazione dell’influenza, che impediscono a qualsiasi Stato membro di godere di un’influenza relativa sproporzionata all’interno della SCO, un sintomo egemonico se mai ce n’è stato uno. Pertanto, poiché la partecipazione ai programmi congiunti si basa sulla stretta volontà di ciascun membro (senza rischio di sanzioni in cambio), la generazione di consenso rimane la priorità della SCO se vuole agire come attore coerente. Questo quadro non vincolante ha anche l’effetto di rassicurare gli Stati membri sul rispetto della loro sovranità. L’apparente mancanza di efficacia dell’organizzazione, derivante da un alto grado di dipendenza dalla buona volontà dei singoli Stati, è in parte compensata dal fatto che essi sono in grado di concentrarsi meglio su aree di interesse comune (ARIS, 2011). Ciò contribuisce anche alla resilienza dell’organizzazione. Ad esempio, né i conflitti in Georgia o in Ucraina che hanno coinvolto la Russia, né le dispute sul lato economico dell’organizzazione, né le più recenti controversie tra India e Pakistan in seguito agli attentati del 22 aprile 2025 in Kashmir, l’hanno mai messa a rischio.

La rilevanza della SCO come forum di dialogo è confermata anche dalla valutazione di Mearsheimer sull’importanza del fattore “paura” nell’intensità della competizione per la sicurezza, dato che l’organizzazione svolge un ruolo chiave nello stabilire relazioni di fiducia e nel costruire e consolidare una comunità di interessi.

Un altro vantaggio apprezzato dagli Stati membri dell’Asia centrale è la facilitazione dell’organizzazione nella gestione della competizione tra grandi potenze: salvaguardando la coabitazione di politiche estere eterogenee, mantiene un ambiente istituzionale propizio al multiallineamento. Ciò distingue anche il modo di operare della SCO dal realismo offensivo praticato dagli Stati Uniti, che pretendono che i loro alleati o partner si allineino alle loro posizioni internazionali, ove necessario.

L’effetto di equilibrio che emerge dall’interdipendenza dei membri all’interno dell’organizzazione è un altro fattore importante che ne condiziona l’attrattività e la durata. L’effetto di bilanciamento ha dimensioni sia intra- che extra-organizzative e si manifesta in un’ampia gamma di configurazioni interattive:

-Tra la Cina, che brama sbocchi economici in Asia centrale, e la Russia che, pur frenando l’aspetto economico della SCO, accoglie con favore il riconoscimento da parte di Pechino dell’Unione economica eurasiatica (TEURTRIE, 2021), che in cambio richiede l’ascendente regionale di Mosca per sciogliere le riserve della PAC;

-Tra il binomio Cina/Russia e i PAC, dal cui consenso dipende il buon funzionamento dell’organizzazione. Infatti, la stabilità interna e le relazioni costruttive con i PAC rientrano nelle priorità della politica estera russa e cinese (ARIS, 2011), creando le condizioni per una forte interdipendenza intra-organizzativa;

-Tra i PAC, i meno potenti vedono le ambizioni regionali kazake mitigate dai vicini russi e cinesi;

-Per i PAC, un equilibrio tra l’influenza occidentale e quella regionale consente di sfruttare i vantaggi comparativi di ciascun membro dell’equazione. Pur apprezzando il contributo dell’Occidente al loro sviluppo economico e tecnologico, preferiscono un mondo con un polo di potere alternativo e organizzazioni come la SCO che si occupano delle loro questioni di sicurezza (LUKIN, 2019);

I leader dei PAC giocano anche sulla loro appartenenza simultanea alla SCO, alla CSTO e all’UEE per evitare che una di esse domini, preservando così un equilibrio inter-organizzativo;

-L’azione collettiva (esercitazioni militari congiunte), la promozione di standard istituzionali e l’allargamento sono tutti strumenti utilizzati dalla SCO per raggiungere un equilibrio flessibile dell’influenza occidentale nella regione;

La struttura della SCO, che favorisce il multiallineamento, evidenzia l’importanza delle CAP all’interno dell’organizzazione. Il loro ruolo è importante per la Cina e la Russia, poiché è essenziale per creare un clima di fiducia. In cambio, essi apprezzano la possibilità, nonostante le loro modeste dimensioni, di impegnare le due grandi potenze ;

-Questi meccanismi di bilanciamento sono stati ulteriormente rafforzati dall’adesione dell’India, terza potenza dell’Eurasia, nel 2017, compromettendo ulteriormente qualsiasi ambizione egemonica tra i suoi membri.

Poiché la SCO è definita un’organizzazione di sicurezza non tradizionale, la cooperazione militare non è un elemento centrale del suo approccio alla sicurezza nella lotta contro i “tre flagelli”. Tuttavia, non va sottovalutato il valore delle esercitazioni militari e antiterrorismo congiunte, che restano un meccanismo estremamente importante per gli Stati membri per la funzione simbolica e pratica che svolgono. In particolare, sono espressione del desiderio di autonomia della sicurezza regionale, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti, di cui non vogliono vedere il ritorno in Asia centrale dopo la loro partenza dall’Afghanistan nel 2021. Sono anche una vetrina molto concreta del loro impegno nella lotta al terrorismo (SONG, 2016), che può avere un effetto dissuasivo sui primi interessati. Da un punto di vista più pratico, in quanto meccanismo di sicurezza periodico[19] e istituzionalizzato, costituiscono una piattaforma per lo sviluppo di capacità antiterroristiche e di difesa regionale congiunta, oltre che un indiscutibile vettore di fiducia reciproca. In particolare, contribuiscono allo sviluppo di capacità operative, di spedizione e di interoperabilità, aumentando così il potere assoluto degli Stati membri.

La ricerca di visibilità e stabilità internazionale è anche una delle ragioni che spingono gli Stati partecipanti ad aderire alla proposta della SCO, percepita come un veicolo di rappresentanza e visibilità a livello interorganizzativo regionale e internazionale. Dal 2004, ciò si è tradotto nella graduale creazione di una rete di cooperazione e partenariato con diverse organizzazioni multilaterali, tra cui l’ONU e l’ASEAN.

Infine, l’aspirazione alla stabilità rimane un leitmotiv dei Paesi fondatori: la stabilità del vicinato e la priorità nazionale della stabilità interna si riecheggiano per la Cina, il concetto di ” arco di stabilità ” nella regione nord-eurasiatica per gli esperti e i decisori russi, o il ruolo di ” poli di stabilità ” svolto da Russia e Cina agli occhi della PAC.Insieme alla sicurezza, è una precondizione e una garanzia dello sviluppo economico regionale.

Conclusioni

Si può quindi constatare che le aspirazioni, il funzionamento e le dinamiche interne della SCO, pur rispondendo in modo molto pragmatico a interessi ben comprensibili, non sembrano devolversi in una ricerca di ottimizzazione sfrenata del potere, come prescriverebbe il realismo offensivo. Al contrario, essi incorporano la ” indivisibilità della sicurezza ” nel loro software,  sostituendo a ogni possibile pax egemonica o ” peacebuilding ” ex nihilo più idee cardinali di stabilità e resilienza. Inoltre, è probabile che il mondo multipolare che emerge sia destinato, almeno temporaneamente, a oscillare tra due tendenze opposte. Da un lato, avremmo i sostenitori incrollabili di un realismo offensivo fino all’estremismo (compreso l’Occidente, fratturato dalle sue contraddizioni interne[20]), e dall’altro il partito di coloro che hanno compreso i limiti di questa dottrina divenuta dogma. Questi ultimi cercheranno, in uno spirito di lucido realismo e di fronte all’assenza di qualsiasi prospettiva auspicabile che essa offra nel medio-lungo termine, di uscirne a poco a poco esplorando un approccio alternativo alla sicurezza attraverso la costituzione di una comunità di interessi che dia priorità alla ricerca della stabilità.  Ciò non è affatto improbabile se si conferma il quinto postulato del realismo offensivo, che prevede che le grandi potenze siano attori razionali. Le ripetute osservazioni di J.D. Vance sull’avvento di un ordine mondiale multipolare come nuova realtà del sistema internazionale e sulla natura obsoleta dell’interventismo americano vanno in questo senso. E riecheggiano le parole di A. Bezrukov[21] sull’imperativo di riprendere il dialogo strategico tra grandi potenze e sulla necessità di dare una risposta collettiva alla domanda : ” Dove vogliamo andare ?  “.

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[1] Nato nel 1947 a New York, John J. Mearsheimer è professore di scienze politiche all’Università di Chicago dal 1982 e influente pensatore della scuola realista di geopolitica.

[2] MEARSHEIMER, John J. The Tragedy of Great Power Politics. WW Norton, New York, 2001.

[3] Si vedano a questo proposito le opere di Zbigniew Brezinski La Grande Scacchiera o di Henry Kissinger Diplomazia.

[4] Che fondamentalmente non lo sono, vedi GARRIDO Cédric, ” Méprises autour de l’OCS et remise en perspective “, iris-france.org, gennaio 2025, URL : https://www.iris-france.org/meprise-autour-de-lorganisation-de-cooperation-de-shanghai-ocs-et-remise-en-perspective/

[5] Corrispondono alle tre zone che ospitano gli “attori chiave” identificati all’epoca da Brzezinski, ossia la zona occidentale (penisola europea), la zona meridionale (Caucaso, Medio Oriente, Golfo Persico, Asia meridionale) e la zona orientale -meno la Cina- (prima catena di isole: Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Filippine, Cambogia, Thailandia).

[6] Basi a Karshi-Khanabad (Uzbekistan) e Manas (Kirghizistan).

[7] Interferenze ritenute responsabili della Rivoluzione delle Rose in Georgia (novembre 2003), della Rivoluzione Arancione in Ucraina (novembre 2004), della Rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan (marzo 2005) e della Rivolta di Andijan (Uzbekistan, maggio 2005).

[8] Non è stato possibile votare un bilancio unificato dal 2023, né pubblicare un rapporto annuale dal 2021.

[9] Gli Stati membri della SCO enfatizzano la non interferenza e danno priorità alla loro stabilità interna e a quella dell’ambiente circostante, in un contesto di convinzione della necessità di sviluppare capacità militari e risposte statali forti. Mentre l’agenda occidentale promuove la democratizzazione e l’intervento umanitario.

[10] Un’altalena che il discorso di Putin alla conferenza di Monaco del 2007 non fa che sottolineare.

[11] I BRICS si allontanano dalle istituzioni di Bretton Woods per ovvie ragioni di sicurezza e stabilità finanziaria dopo la crisi del 2007-2008.

[12] Rispetto al sistema multipolare senza egemone e al sistema bipolare.

[13] Edward H. Carr (1892-1982) : storico, diplomatico e giornalista britannico, autore di The Twenty Years’ Crisis: 1919-1939: An Introduction to the Study of International Relations, considerata una delle opere standard del realismo classico.

[14] “Data la difficoltà di determinare quanto potere sia sufficiente per l’oggi e per il domani, le grandi potenze riconoscono che il modo migliore per garantire la loro sicurezza è raggiungere l’egemonia ora, eliminando così ogni possibilità di sfida da parte di un’altra grande potenza” (Mearsheimer, 2001). Ciò che il livellamento dei differenziali di potere tra le grandi potenze non consente più.

[15] “[…] spirito di fiducia reciproca (互信), vantaggio reciproco (互利), l’uguaglianza (平等), consultazioni reciproche (协商), il rispetto della diversità culturale (尊重多样文明) e l’aspirazione allo sviluppo congiunto (谋求共同发展)”.

[16] Questi concetti derivano da norme internazionali modificate (i cinque principi di coesistenza pacifica enunciati da Zhou Enlai nel 1953), o si ispirano a lavori accademici stranieri (il concetto di sicurezza settoriale della Scuola di Copenhagen). Si noti che il Nuovo concetto di sicurezza è stato proposto per la prima volta dalla Cina al forum dell’ASEAN nel marzo 1997.

[17] Cfr. il continuo approfondimento del partenariato sino-russo dalla metà degli anni ’90 e la quantità di documenti ufficiali bilaterali che lo testimoniano.

[18] Le preoccupazioni russe per il potenziamento militare della Cina sono mitigate dal rapporto di fiducia esistente ai confini e dalla priorità politica e militare della Cina di espansione marittima (LUKIN, 2019).

[19] La prima esercitazione bilaterale congiunta è stata condotta da Cina e Kirghizistan nel 2002. La prima esercitazione bilaterale sino-russa (Peace Mission) si è svolta nel 2005, dopo gli eventi di Andijan. La prima esercitazionemultilaterale (Missione di pace) che ha coinvolto tutti i membri della SCO è stata condotta nel 2007. La più recente esercitazione congiunta antiterrorismo (Interazione 2024) ha coinvolto tutti i 10 Paesi membri.

[20] L’Unione Europea, nel suo epidermico rifiuto della nuova presidenza Trump e nella sua irragionevole ostinazione a voler sconfiggere la Russia in Ucraina, assume così a pieno titolo il ruolo di portabandiera dei democratici neoconservatori del continente eurasiatico, la cui sconfitta è amara e per i quali c’è da sperare in vari e svariati tentativi di sovvertire e riconquistare il potere.

[21] Professore del Dipartimento di Analisi Applicata delle Questioni Internazionali presso l’Istituto Statale di Relazioni Internazionali di Mosca (MGIMO), ex ufficiale dei servizi segreti, autore.

Bollettino speciale: Israele lancia grandi attacchi all’Iran, di Simplicius

BOLLETTINO SPECIALE: Israele lancia attacchi su vasta scala contro l’Iran

Simplicius13 giugno
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Lo stato canaglia israeliano ha aggiunto un altro dei suoi vicini alla lunga lista di nazioni regionali che sta attualmente bombardando. Dal Libano, alla Palestina, alla Siria, all’Iraq, allo Yemen, alle acque internazionali e ora all’Iran, Israele ora le bombarda tutte impunemente, pur continuando a lamentarsi della propria “sicurezza”.

Secondo quanto dichiarato dagli alti funzionari, gli attacchi sarebbero solo la prima fase di una lunga ondata di aggressioni che durerà giorni o settimane:

NETANYAHU: SIAMO IN UN MOMENTO DECISIVO NELLA STORIA DI ISRAELE NETANYAHU: ATTACCARE IL PROGRAMMA NUCLEARE DELL’IRAN E I MISSILI BALISTICI *NETANYAHU: GLI ATTACCHI DURERANNO FINCHÉ LA MINACCIA NON SARÀ RIMOSSA

Una dichiarazione del portavoce dell’IDF, BG Effie Defrin, sull’attacco preventivo israeliano contro obiettivi nucleari iraniani

Fonti ebraiche: Gli attacchi dell’aeronautica militare contro l’Iran sono divisi in tre missioni principali: Il progetto nucleare La distruzione delle piattaforme di lancio dei missili L’eliminazione di alti funzionari del regime

Notizie israeliane:

Il canale israeliano 14, citando un funzionario israeliano, ha affermato: “Abbiamo un piano offensivo lungo e ampio per i giorni a venire: ci attendono giorni complessi. Gli iraniani risponderanno e, se l’opinione pubblica sarà disciplinata, ci saranno poche vittime. Siamo in guerra ” .

Secondo quanto riferito, la Casa Bianca aveva dichiarato in precedenza che gli Stati Uniti non sarebbero stati coinvolti in alcuna azione unilaterale israeliana e, non appena sono iniziati gli attacchi, Rubio si è assicurato di prendere le distanze dagli Stati Uniti con una dichiarazione ufficiale:

Netanyahu ha nuovamente invocato la falsa pista delle armi nucleari iraniane, già usata così tante volte in passato, da trasformarla in una litania parodistica, riportata di seguito:

La parte più sorprendente degli attacchi è stata l’affermazione di fonti israeliane secondo cui gli attacchi incorporavano un deliberato inganno politico e “diplomatico”, il che sembra implicare che le varie dichiarazioni di Trump e soci sulla de-escalation facessero parte della trappola tesa per indurre l’Iran in un falso senso di sicurezza prima di assassinare spietatamente la leadership iraniana in un vile attacco a sorpresa:

È stata confermata l’uccisione di diversi alti funzionari iraniani, tra cui il generale Salami dell’IRGC, il capo di stato maggiore Mohammad Bagheri e il famoso scienziato nucleare Fereydoon Abbasi:

Gli abbonati paganti noteranno che l’ultimo rapporto aveva appena trattato la profetica intervista di Abbasi, in cui descriveva come l’eliminazione di importanti scienziati iraniani o di siti nucleari non avrebbe avuto alcun effetto sui progressi nucleari dell’Iran, qualora quest’ultimo decidesse di accelerare i tempi verso “la bomba”.

Allo stesso modo, ho scelto di scrivere l’ultimo rapporto su Israele perché sentivo che le cose stavano finalmente arrivando al dunque: era chiaro che i fallimenti di Netanyahu a Gaza lo avevano costretto ad agire, mentre vedeva le sue possibilità svanire. Non mi sorprende quindi che i funzionari israeliani stiano ora caratterizzando l’inizio di questa guerra come un momento critico nella storia di Israele. Netanyahu l’ha definita il “momento decisivo nella storia israeliana”, mentre il Ministro della Difesa Israel Katz avrebbe annunciato :

Il ministro della Difesa Israel Katz allo Stato maggiore delle IDF prima dell’attacco all’Iran: Questo è un momento decisivo nella storia dello Stato di Israele e del popolo ebraico.

Israele si trova a un bivio, come ho già descritto in precedenza: il Paese è in una spirale discendente e ha una sola possibilità rimasta di appropriarsi della storia per garantire la propria sopravvivenza. Perché? Le ragioni sono quasi troppo lunghe per essere elencate in questo breve articolo, ma includono la demografia, così come il declino del sionismo e l’ascesa della “sorveglianza” in Occidente, il che significa che nel giro di una o due generazioni il sostegno a Israele potrebbe diminuire al punto da essere travolto dai nemici regionali.

L’altra ragione principale: le tecnologie emergenti hanno creato una parità tra Israele e i suoi nemici, dove gruppi come Hamas e Hezbollah possono utilizzare armi economiche ma tecnologicamente altamente efficaci per infliggere danni precisi e invalidanti alle infrastrutture più critiche e sensibili di Israele. Lo stesso vale per l’Iran: il Paese ha raggiunto la maturità e ha padroneggiato la missilistica e la nuova guerra dei droni al punto che i numeri semplicemente non gioveranno a Israele in nessuna guerra futura.

Un tempo Israele aveva il sostegno dell’alleanza delle “superpotenze” occidentali più dominante al mondo; ora le sorti della storia si sono semplicemente ribaltate a sfavore di Israele.

Ora, ci sono voci secondo cui l’Iran potrebbe “dichiarare guerra” a Israele. Rimango scettico per il seguente motivo: l’Iran non ha una vera e propria capacità di “sottomettere” completamente Israele a uno stato di debellatio. Israele ha le armi nucleari e, presumibilmente, l’Iran non le ha ancora. Nessuna quantità di missili convenzionali potrebbe costringere Israele ad arrendersi, e pertanto una dichiarazione di guerra non ha alcun significato reale. Inoltre, i due Paesi non condividono un confine, quindi non è possibile che le truppe iraniane possano in qualche modo invadere Israele per conquistarne la capitale.

Qualsiasi attacco di vasta portata che possa ferire gravemente Israele potrebbe provocare una risposta nucleare israeliana, dimostrando ulteriormente che l’Iran non ha il vantaggio di un’escalation o la carta vincente. Sarebbe come se l’Ucraina “dichiarasse guerra” alla Russia: che significato avrebbe? L’Ucraina non ha il predominio di un’escalation tale da “sottomettere” la Russia in alcun modo, e l’unico obiettivo di una vera “guerra” è proprio questo: la vittoria totale e la sottomissione dell’avversario. Pertanto, non vedo alcun modo logico per dichiarare una guerra, a meno che l’Iran non abbia finalmente preparato segretamente quella bomba e non sia pronto a usarla. L’unica altra possibilità è per motivi di pubbliche relazioni, per soddisfare le richieste della popolazione infuriata, prima di dichiarare vittoria dopo aver raggiunto alcuni obiettivi arbitrari tramite una serie di attacchi, e dire basta.

Per la cronaca, ecco il discorso riportato dalla Guida Suprema Khamenei:

All’alba di oggi, il regime sionista ha allungato la sua mano vile e insanguinata per commettere un crimine nel nostro amato Paese, smascherando ulteriormente la sua natura malvagia e prendendo di mira le zone residenziali. Il regime deve ora attendere una severa punizione. La mano potente delle Forze Armate della Repubblica Islamica non li lascerà impuniti, se Dio vuole. Negli attacchi nemici, diversi comandanti e scienziati sono stati martirizzati. I loro successori e colleghi riprenderanno immediatamente i loro doveri, se Dio vuole. Con questo crimine, il regime sionista si è preparato un destino amaro e doloroso, e certamente lo subirà.

Poiché molti se lo sono già chiesto, un’ultima nota: la prima ondata di attacchi israeliani ha ovviamente avuto un successo osservabile e verificabile, in particolare con le decapitazioni di alti dirigenti già confermate dalle agenzie ufficiali iraniane. Gli attacchi alle infrastrutture di produzione nucleare richiederanno più tempo per essere convalidati. Questo solleva interrogativi sulla preparazione dell’Iran: come hanno potuto i vertici dell’Iran essere così impreparati sapendo che Israele era pronto a mettere a segno attacchi su larga scala da un giorno all’altro?

Questa è certamente una critica valida. Ma quando si tratta delle decantate difese aeree dell’Iran, che senza dubbio saranno oggetto di critiche, tutto ciò che posso dire è che le recenti guerre dell’era tecnologica moderna hanno dimostrato che nessun paese al mondo è in grado di difendersi completamente da armi moderne come i missili balistici. Quanti missili iraniani o Houthi ha abbattuto Israele nei precedenti attacchi? Quasi nessuno, se non erro. Quante volte i Patriots americani non sono riusciti ad abbattere alcunché, nemmeno sopra le basi statunitensi dove gli attacchi iraniani hanno causato “danni cerebrali” a centinaia di soldati statunitensi, e quante volte droni e missili ucraini aggirano le difese russe? Nessuno ha una difesa inattaccabile, anche se a giudicare dai recenti attacchi su Mosca, il paese al mondo che si è più avvicinato a tale distinzione è la Russia.

E per la cronaca, stasera vediamo segnalazioni di stadi di accelerazione degli ALBM israeliani “diffusi in varie province irachene”, il che sembra ancora una volta dimostrare che Israele ha lanciato i suoi ordigni ben al di fuori dello spazio aereo iraniano, probabilmente i missili Air LORA come negli attacchi precedenti:

Sebbene circolassero varie “voci” di jet che volavano sopra Teheran, sembra che in ogni caso si trattasse di jet iraniani decollati al momento degli attacchi, non solo per evitare di essere colpiti sugli aeroporti, ma probabilmente anche per missioni di difesa aerea.

Infine, molti si aspettavano che l’Iran avesse già preparato una risposta immediata: il lancio immediato di centinaia di missili alla prima salva di Israele. La realtà è che l’Iran non ha mai agito in questo modo: attende e valuta la situazione prima di organizzare attentamente un’operazione su larga scala come la tanto attesa “True Promise 3.0”. Perché? Una spiegazione spesso citata e razionalmente valida è la seguente:

Non è necessariamente un bene o un male: forse il metodo iraniano dimostrerà la sua superiorità nella sua longevità. Dovremo aspettare e vedere se l’Iran organizzerà una risposta e quanto ben calcolata o meno. Sappiamo che l’Iran è avverso al rischio e non voleva un’escalation, ma a questo punto Israele lo ha spinto a dover agire, altrimenti perderà molta credibilità come deterrente. L’unica domanda è se l’Iran effettuerà un altro attacco “di facciata” per dimostrare la sua ira, che causerà danni limitati e cercherà di segnalare una de-escalation, o se l’Iran colpirà davvero la giugulare?

La logica suggerirebbe che se avessero scelto quest’ultima opzione, avrebbero già preparato una salva istantanea per colpire Israele nel suo punto di minima preparazione. Aspettare giorni per rispondere telegrafa le proprie azioni e dà al nemico il tempo di prepararsi, il che logicamente implica un attacco “di facciata”. Ma nulla è certo in questo gioco di guerra, quindi dovremo aspettare e vedere.


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In Germania, l’ala filorussa della SPD chiede un riavvicinamento a Putin: testo completo_di Pierre Mennerat

In Germania, l’ala filorussa della SPD chiede un riavvicinamento a Putin: testo completo

Due piccioni con una fava: in questo testo la conferma di due espressioni tra di esse ostili, rappresentative dello scontro politico in Europa: la russofobia globalista di una testata demo-progressista francese che ha comunque il merito di esplicitare piuttosto che censurare le posizioni; l’esistenza ufficiale di una corrente politico-economica ben più ampia di quella espressa dalla BSW e dalla AfD ostile all’appiattimento russofobo, presente addirittura nella compagine governativa di Merz e in particolare nella SPD, proprio in vista della scadenza congressuale_ Buona lettura, Giuseppe Germinario

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Un gruppo di personalità, per lo più appartenenti all’ala sinistra della SPD, ha appena presentato un “manifesto” per la pace in Europa.

Intriso di propaganda del Cremlino e slegato dal contesto strategico europeo, illustra l’influente presenza di un’ala filo-mosca all’interno del partner di coalizione di Friedrich Merz.

A due settimane dal congresso del partito, che nominerà una nuova dirigenza e fornirà una nuova piattaforma, questa potrebbe essere una manovra destabilizzante da parte del GroKo.

Lo traduciamo e lo commentiamo riga per riga.

Autore Pierre Mennerat


Il manifesto è stato pubblicato dal “Circolo Erhard Eppler”, che prende il nome dall’ex Ministro della Cooperazione Internazionale e attivista per la pace (1926-2019). Tra i suoi firmatari figurano cinque parlamentari federali attivi, mentre la maggior parte delle altre personalità si è ritirata dalla politica attiva. Tra i primi figura il deputato del Bundestag Ralf Stegner, che ha recentemente incontrato a Baku un gruppo di investitori affiliati al regime di Putin. 1—, Nina Scheer, Sanae Abdi, Maja Wallstein e soprattutto Rolf Mützenich, ex capogruppo del gruppo parlamentare fino allo scorso febbraio. Tra gli altri firmatari di fama nazionale, Norbert Walter-Borjans, co-presidente del partito tra il 2019 e il 2021, e Hans Eichel, ministro delle Finanze dal 1999 al 2005 nel governo del cancelliere Gerhard Schröder.

L’iniziativa richiama il “manifesto per la pace” avviato nel 2023 dalla deputata Sahra Wagenknecht e dall’attivista femminista Alice Schwarzer, che invitava l’Ucraina a deporre le armi e a porre fine agli aiuti militari occidentali. 2.

Il documento verrà pubblicato due settimane prima del congresso della SPD, che si terrà dal 26 al 29 giugno e che sarà cruciale per la nuova dirigenza del partito, in carica da quattro mesi. 

Il suo nuovo leader, Lars Klingbeil, noto per essere un centrista e molto duro in materia di sicurezza, ha rafforzato il suo controllo sulla SPD dopo le elezioni perse del 23 febbraio, inserendo nel governo figure leali e relativamente sconosciute, a scapito dei pesi massimi del partito. Mentre Olaf Scholz si è sempre preoccupato di proteggere i pacifisti all’interno del partito, Klingbeil non ha riservato loro un posto speciale nel suo nuovo apparato.

La tentazione neutralista dei socialdemocratici tedeschi non è una novità.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, a Est, il partito fu forzatamente assorbito dal Partito Socialista Unificato (SED), che governò la Repubblica Democratica Tedesca (RDT) senza incontrare ostacoli, sul modello sovietico. Nella Repubblica Federale Tedesca (RFG), pur rifiutando di fondersi con i comunisti, la SPD non rifiutò l’idea di una rapida riunificazione della Germania alle condizioni stabilite da Mosca. Minoritario nel Bundestag, il partito, allora guidato da Kurt Schumacher, si oppose quindi alla ricostituzione della Bundeswehr e all’integrazione della RFT nella NATO, sperando che la Germania Ovest di Konrad Adenauer si emancipasse dagli Stati Uniti. Dopo la morte di Schumacher nel 1952, il partito fu preso in mano dai realisti che adottarono il Programma di Bad Godesberg nel 1959, che riconosceva l’appartenenza della Germania al blocco occidentale ma chiedeva che le forze armate fossero infine sostituite da un ordine di sicurezza internazionale che promuovesse il disarmo.

Dagli anni ’70, nell’ambito dell’Ostpolitik sotto la guida di Willy Brandt, la SPD ha concluso accordi che consentono la normalizzazione delle relazioni Est-Ovest e una distensione europea. Ma questa politica è anche un pretesto per il partito, che preferisce mantenere buoni rapporti con il governo di Mosca in nome della distensione piuttosto che difendere i diritti umani. Il ragionamento perseguito da Brandt e dal suo successore Helmut Schmidt è che gli “aiuti umanitari” per i cittadini comuni, consentiti dagli accordi sul traffico interzonale o dai permessi di visita, valgono più dell’impegno che percepiscono come rumoroso per i prigionieri di coscienza perseguitati nelle “democrazie popolari”. La conclusione di importanti accordi per l’approvvigionamento energetico consente inoltre alla SPD di credere nella formula del “cambiamento attraverso il riavvicinamento” ( Wandel durch Annäherung ). Quando Helmut Kohl (CDU) divenne Cancelliere, non ebbe difficoltà a proseguire questa politica. 

Tornata al potere nel 1998 nell’Europa del dopoguerra fredda, la SPD perseguì il suo programma di interdipendenza con l’Est e rafforzò i legami commerciali con Mosca in nome del “commercio dolce” ( Wandel durch Handel ). L’ex cancelliere Gerhard Schröder (1998-2005) divenne consigliere speciale della società russa Gazprom, come ricompensa per il suo impegno nella costruzione di gasdotti attraverso il Mar Baltico (Nord Stream 1 e 2). Alcuni artefici della politica tedesca nei confronti della Russia hanno poi riconosciuto la loro errata interpretazione, come l’ex ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, ora presidente federale.

Nonostante l’apparente fallimento della politica di conciliazione con la Russia e il significativo aggiornamento costituito dal discorso di Zeitenwende del febbraio 2022 , il manifesto del 2025 denuncia chiaramente la persistenza, in una parte minoritaria ma influente della SPD, di un tropismo moscovita privo di qualsiasi autocritica. I primi firmatari, fino a poco tempo fa, ricoprivano importanti cariche all’interno del partito e rivendicano di costituire un’opposizione interna.

Il resto del partito ha reagito in modo piuttosto critico al testo. Il Ministro della Difesa Boris Pistorius, sostenitore di una sicurezza più rigida all’interno della SPD, lo ha definito in particolare una “negazione della realtà”. 3Il manifesto è stato accolto favorevolmente anche dalla Bundeswehr Sahra Wagenknecht e dal partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD).

In una tipica inversione accusatoria delle argomentazioni russe, il manifesto ritrae l’Europa come prigioniera della sua logica bellicista e della sua corsa agli armamenti. I firmatari ignorano che, a più di tre anni dall’inizio del conflitto su larga scala in Ucraina, l’industria della difesa europea sta ancora lottando per ripristinare le scorte prebelliche e fornire le attrezzature necessarie per difendere il territorio ucraino. 

Il testo non affronta la responsabilità della Russia per la distruzione o le morti che sta causando in Ucraina, né menziona i crimini di guerra o i crimini contro l’umanità commessi dall’invasore contro il popolo ucraino. Si astiene inoltre dal menzionare la natura dittatoriale del regime di Putin, che non viene nemmeno specificamente nominata.

Al contrario, il testo ripete, senza troppi sforzi per camuffarli, gli argomenti propagandistici del Cremlino utilizzati dal 2014 per giustificare l’invasione dell’Ucraina , pur mantenendo una fraseologia pacifista e internazionalista basata sulla Conferenza sulla Sicurezza e la Pace in Europa (CSCE) del 1975, elevata a mito. Inoltre, il manifesto minimizza la minaccia russa: l’idea di una Russia di fronte a una NATO nettamente superiore o persino la percezione di una minaccia proveniente dall’Occidente vengono citate più volte. Anche la “cosiddetta imminenza” di un nuovo conflitto in Europa viene liquidata a priori. L’elenco delle accuse attribuite alla NATO è tanto più lungo e preciso quanto più breve e vaga rimane la condanna delle ripetute violazioni del diritto internazionale commesse dalla Russia di Vladimir Putin.

Infine, il gruppo respinge gli aumenti previsti del bilancio della difesa, promettendo invece che il dialogo e la cooperazione con Mosca forniranno una garanzia di sicurezza più efficace. Quanto al ripristino di una capacità di difesa credibile e autonoma per l’Europa di fronte all’ascesa dell’imperialismo americano sotto Donald Trump, il manifesto rimane molto vago.

Garantire la pace in Europa attraverso la capacità di difesa, il controllo degli armamenti e la comunicazione

Ottant’anni dopo la fine della secolare catastrofe della Seconda guerra mondiale e la liberazione dal fascismo di Hitler, la pace in Europa è nuovamente minacciata.

Stiamo assistendo a nuove forme di violenza e violazioni dei diritti dell’umanità: la guerra della Russia contro l’Ucraina, ma anche la violazione fondamentale dei diritti umani nella Striscia di Gaza.

Le divisioni sociali nel mondo si stanno aggravando, sia all’interno che tra le società. La crisi dei sistemi terrestri e climatici causata dall’uomo, la distruzione delle risorse alimentari e le nuove forme di colonialismo minacciano la pace e la sicurezza umana.

Infine, i nazionalisti cercano di sfruttare le insicurezze, i conflitti e le crisi per i loro sordidi interessi. 

L’Europa è ben lontana dal tornare a un ordine stabile di pace e sicurezza.

Al contrario: in Germania e nella maggior parte dei paesi del continente sono emerse forze che cercano il loro futuro principalmente in una strategia di confronto militare e in centinaia di miliardi spesi in armamenti. La pace e la sicurezza non si ottengono più con la Russia, ma, secondo loro, dovrebbero essere imposte alla Russia. 

L’analisi qui sviluppata di un trionfo di un “partito della guerra” contro i pacifisti in Germania è smentita dalla mancanza di una vera inversione di rotta in politica estera dall’arrivo di Friedrich Merz a cancelliere. Nonostante le dichiarazioni a sostegno di Kiev, i missili Taurus a lungo raggio non sono ancora stati consegnati all’Ucraina, mentre la Russia sta bombardando obiettivi civili e ponendo le condizioni per la resa come forma di negoziazione .

↓Vicino

Si invoca l’obbligo di armarsi sempre di più e di prepararsi a una guerra presumibilmente imminente, anziché collegare la necessaria capacità di difesa a una politica di controllo degli armamenti e di disarmo al fine di raggiungere una sicurezza comune e una reciproca capacità di pacificazione. Siamo convinti che il concetto di sicurezza comune sia l’unico mezzo responsabile per prevenire la guerra attraverso il confronto e il sovra-armamento, al di là di tutte le differenze ideologiche e di interessi contrastanti. Fu questo concetto a costituire anche la base del divieto di tutte le armi nucleari a medio raggio, concordato tramite trattato tra il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il segretario generale del PCUS Mikhail Gorbachev nel 1987, che contribuì in modo significativo alla fine della Guerra Fredda in Europa e all’unità tedesca.

A partire dagli anni ’60, il mondo è stato portato più volte sull’orlo del collasso nucleare.

La Guerra Fredda fu caratterizzata da sfiducia reciproca e da un confronto militare tra le potenze dominanti in Oriente e in Occidente. Il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, Willy Brandt e altri leader politici dell’epoca trassero le loro conclusioni dall’impasse di questa corsa agli armamenti, che divenne evidente dopo la crisi cubana.

Invece dello scontro e degli armamenti, hanno avuto la precedenza discussioni e negoziati sulla sicurezza attraverso la cooperazione, la fiducia, il controllo degli armamenti e il disarmo.

La firma dell’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) a Helsinki nel 1975 segnò il culmine di questa riflessione comune sulla politica di difesa e di disarmo, che garantì la pace in Europa per decenni e rese possibile anche la riunificazione della Germania. 

A Helsinki furono adottati i principi centrali della sicurezza europea basati su relazioni pacifiche tra gli Stati: uguaglianza degli Stati indipendentemente dalle loro dimensioni, garanzia dell’integrità territoriale degli Stati, rinuncia alla minaccia della violenza, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, rinuncia all’ingerenza negli affari interni degli Stati e accordo su una cooperazione globale.

Curiosamente, gli autori attribuiscono all’Atto finale della CSCE di Helsinki del 1975 un’altissima importanza storica, rendendolo il momento decisivo per la risoluzione della Guerra Fredda, mentre fu piuttosto un successo diplomatico per Mosca. Acclamato all’epoca dall’URSS di Leonid Brežnev come una vittoria politica, segnò certamente l’inizio di una distensione e di un allentamento delle relazioni Est-Ovest, ma non impedì né l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS nel 1979, né il ritorno alla corsa agli armamenti all’inizio degli anni Ottanta. Contrariamente a quanto affermano i suoi autori, fu paradossalmente l’incapacità dell’economia sovietica di tenere il passo con questa corsa agli armamenti a spingerla a scegliere, con Michail Gorbaciov, la via di una distensione definitiva e sincera. L’adozione dei principi di Helsinki non fu definitivamente confermata fino alla Carta di Parigi del 1990.

↓Vicino

Oggi viviamo in un altro mondo.

L’ordine di sicurezza europeo, basato sui principi della CSCE, era già stato minato dall’attacco della Russia all’Ucraina in violazione del diritto internazionale, ma anche dall'”Occidente” con l’attacco della NATO alla Serbia nel 1999, dalla guerra in Iraq con una “coalizione dei volenterosi” nel 2003, o dal mancato rispetto degli impegni sul disarmo nucleare del Trattato di non proliferazione, dalla risoluzione o dal mancato rispetto degli accordi sul controllo degli armamenti, principalmente da parte degli Stati Uniti, e dall’attuazione del tutto inadeguata degli accordi di Minsk dopo il 2014. 

Nonostante il breve accenno all’invasione russa, l’elenco delle responsabilità per il deterioramento dell’ordine internazionale privilegia le reali o presunte lamentele dell'”Occidente”, senza che queste abbiano necessariamente alcun collegamento con la situazione ucraina. In questo senso, questo testo riecheggia in parte elementi della propaganda di Putin.

↓Vicino

Questo sviluppo storico dimostra che non dovremmo spostare unilateralmente la colpa, ma piuttosto condurre un’analisi differenziata di tutti i contributi all’abbandono dei principi di Helsinki.

È proprio per questo motivo che non dobbiamo dimenticare le lezioni della storia. Un ritorno a una politica di pura deterrenza senza controllo degli armamenti e a una corsa agli armamenti non renderebbe l’Europa più sicura. Dobbiamo invece tornare a impegnarci per una politica pacifista con l’obiettivo della sicurezza comune.

Ma oggi l’idea di una sicurezza comune appare illusoria a molti.

Questa è una valutazione fuorviante e pericolosa, perché non esiste un’alternativa responsabile a una politica di questo tipo. Questo percorso non sarà facile. Prima di adottare misure concrete per costruire la fiducia, sono necessari piccoli passi: limitare l’ulteriore escalation, garantire standard umanitari minimi, avviare una cooperazione tecnica, come nei settori del soccorso d’emergenza o della sicurezza informatica, e una cauta ripresa dei contatti diplomatici. 

Nel novembre 2024, subito dopo la caduta del suo governo, Olaf Scholz aveva telefonato di sua iniziativa a Vladimir Putin, senza tuttavia ottenere la minima concessione dal padrone del Cremlino.

↓Vicino

Solo quando queste fondamenta saranno gettate la fiducia potrà crescere e quindi aprire la strada a una nuova architettura di sicurezza europea. Anche il dibattito pubblico sulla politica di sicurezza deve contribuire a questo.

Inoltre, l’Europa è più che mai chiamata ad assumersi autonomamente le proprie responsabilità.

Sotto la presidenza Trump, gli Stati Uniti stanno nuovamente perseguendo una politica di confronto, in particolare con la Cina. Ciò aumenta significativamente il rischio di un’ulteriore militarizzazione delle relazioni internazionali. L’Europa deve contrastare questo fenomeno con una politica di sicurezza autonoma e orientata alla pace; deve partecipare attivamente al ritorno a un ordine di sicurezza cooperativo orientato ai principi dell’Atto finale della CSCE del 1975.

Gli autori invocano lo spirito di Helsinki, ma evitano di specificare differenze significative rispetto a oggi. Infatti, fino agli anni ’70, i bilanci militari della Germania Ovest rappresentavano circa il 3 o il 4% del PIL. 4.

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È chiaro che sono necessari una Bundeswehr capace di autodifendersi e un rafforzamento della capacità d’azione dell’Europa in materia di sicurezza.

Ma questa capacità di agire deve essere integrata in una strategia di de-escalation e di rafforzamento della fiducia, non in una nuova corsa agli armamenti.

In effetti, i membri europei della NATO, anche senza le forze armate statunitensi, sono chiaramente superiori alla Russia nel campo convenzionale. La retorica militarista allarmista e i programmi di armamenti di grandi dimensioni non creano maggiore sicurezza per la Germania e l’Europa, ma portano alla destabilizzazione e a un rafforzamento della percezione di minaccia reciproca tra NATO e Russia.

Gli autori del manifesto postulano – senza basarsi su cifre precise – una schiacciante superiorità convenzionale degli stati membri europei della NATO sulla Russia, escludendo opportunamente l’arsenale nucleare dai loro calcoli. Tuttavia, mentre la superiorità europea nel dominio aereo è reale, la superiorità terrestre, in particolare in termini di veicoli da combattimento e carri armati, è molto meno certa.

↓Vicino

Gli elementi centrali di una nuova, praticabile politica di pace e sicurezza sono quindi: 

  • Porre fine alle uccisioni in Ucraina il più rapidamente possibile. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo bisogno di un’intensificazione degli sforzi diplomatici da parte di tutti gli Stati europei. Il sostegno alle rivendicazioni dell’Ucraina ai sensi del diritto internazionale deve essere legato ai legittimi interessi di sicurezza e stabilità di tutti in Europa. Su questa base, dobbiamo intraprendere il difficilissimo tentativo di riprendere il dialogo con la Russia quando le armi saranno state spente, in particolare su un ordine di pace e sicurezza per l’Europa sostenuto e rispettato da tutti.
  • Istituire una capacità di difesa autonoma per gli Stati europei, indipendente dagli Stati Uniti, e porre fine alla corsa agli armamenti. La politica di sicurezza europea non deve basarsi sul principio del riarmo e della preparazione alla guerra, ma su un’efficace capacità di difesa. Abbiamo bisogno di equipaggiamento difensivo per le forze armate che protegga senza creare ulteriori rischi per la sicurezza.
  • Non vi è alcuna giustificazione politica di sicurezza per un aumento a tempo determinato del bilancio della difesa al 3,5 o al 5% del prodotto interno lordo. Riteniamo irrazionale stabilire una percentuale della spesa militare basata sul PIL. Invece di stanziare sempre più fondi per gli armamenti, abbiamo urgente bisogno di maggiori risorse finanziarie da investire nella lotta alla povertà, alla protezione del clima e alla distruzione delle basi naturali della vita, che colpisce in modo sproporzionato le persone a basso reddito in tutti i Paesi.

Questa equazione tra spesa sociale e spesa militare è stata anche uno degli argomenti utilizzati da Olaf Scholz per licenziare il suo ministro delle finanze, Christian Lindner, e porre fine alla coalizione nel novembre 2024.

↓Vicino

  • Nessun dispiegamento di nuovi missili a medio raggio statunitensi in Germania, perché l’impiego di sistemi missilistici a lungo raggio e iperveloci statunitensi in Germania renderebbe il nostro Paese un bersaglio primario.
  • Alla Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare del 2026, l’obbligo di disarmo nucleare ai sensi dell’articolo 6 sarà rinnovato e rafforzato attraverso relazioni vincolanti sui progressi compiuti e dichiarazioni di diritto internazionale di tipo “No First Use”.
  • Allo stesso tempo, è importante sottolineare il rinnovo del nuovo trattato START sulla riduzione delle armi strategiche, che scade nel 2026, e i nuovi negoziati sulla limitazione degli armamenti, il controllo degli armamenti, le misure di rafforzamento della fiducia, la diplomazia e il disarmo in Europa.
  • Tornare gradualmente a un allentamento delle relazioni e della cooperazione con la Russia, tenendo conto anche delle esigenze del Sud del mondo, in particolare per contrastare la minaccia comune del cambiamento climatico.
  • Nessuna partecipazione della Germania e dell’Unione a un’escalation militare nel Sud-est asiatico.

Primi firmatari

Dott. Ralf Stegner, membro del Bundestag, Dott. Rolf Mützenich, membro del Bundestag, Dott. Norbert Walter-Borjans, ex presidente federale della SPD aD, Dott. hc. Gernot Erler, ex segretario di Stato, Prof. Dott. Ernst Ulrich von Weizsäcker, presidente onorario del Club di Roma, Dott.ssa Nina Scheer, membro del Bundestag, Maja Wallstein, membro del Bundestag, Sanae Abdi, membro del Bundestag, Lothar Binding, presidente del gruppo di lavoro SPD 60 plus, Hans Eichel, ex presidente del Bundesrat ed ex ministro federale delle finanze aD, Dott. Carsten Sieling, ex presidente del Senato e sindaco di Brema […].

Informazioni sui Circoli di Pace SPD

I Circoli della Pace della SPD sono un organo consultivo che si riunisce regolarmente per discutere questioni relative alla politica di pace della SPD. I partecipanti provengono da diversi circoli, associazioni e gruppi di lavoro, come il Circolo Erhard Eppler, il Circolo Willy Brandt, la Società Johannes Rau, SPD 60 plus, Mehr-Diplomatie-wagen, Demokratische Linke 21, Entspannungspolitik Jetzt!, Naturfreunde, AK Frieden Bremen e Colonia.

Fonti
  1. Ralf Stegner rende omaggio al Presidente delle Russlands a Baku , ZDF-Heute, 05/09/2025
  2. Petizione · Manifesto für Frieden – Germania , Change.org
  3. Ucraina-Krieg – Verteidigungsminister Pistorius (SPD): Paper von SPD-Politikern zu Rüstungspolitik “Realitätsverweigerung” , Deutschlandfunk, 06.11.2025
  4. Fonte: Kiel Focus: Schuldenbremse und Verteidigung: Den Schuss nicht gehört .

L’arrivo della Russia a Dnipropetrovsk mette l’Ucraina in un dilemma, di Andrew Korybko

L’arrivo della Russia a Dnipropetrovsk mette l’Ucraina in un dilemma

Andrew Korybko10 giugno
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È molto difficile immaginare come l’Ucraina possa impedire ulteriori avanzamenti russi dopo questo.

Il Ministero della Difesa russo ha annunciato domenica l’ingresso delle sue forze nella regione ucraina di Dnipropetrovsk, che il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha confermato essere parte del piano di Putin per la creazione di una zona cuscinetto . L’operazione era prevista già a fine agosto, all’inizio della battaglia di Pokrovsk, ma è stata realizzata anche senza la conquista di quella città-fortezza strategica. Le forze russe l’hanno semplicemente aggirata dopo aver sfondato il fronte meridionale del Donbass. Questo sviluppo mette l’Ucraina di fronte a un dilemma.

Ora dovrà fortificare contemporaneamente il fronte di Dnipropetrovsk, insieme a quello meridionale di Kharkov e a quello settentrionale di Zaporozhye, nel caso in cui la Russia sfruttasse la sua nuova posizione per lanciare offensive in uno di questi tre fronti. Ciò potrebbe mettere a dura prova le Forze Armate ucraine, che stanno già faticando a impedire un importante sfondamento nella regione di Sumy da Kursk. Se a ciò si aggiungono la riduzione degli effettivi e i dubbi sulla continuazione del supporto militare e di intelligence statunitense, questo potrebbe essere sufficiente a far crollare le linee del fronte.

Certo, questo scenario è stato sbandierato più volte negli ultimi 1.200 giorni, ma oggi appare più allettante che mai. Gli osservatori non dovrebbero dimenticare che Putin ha detto a Trump che risponderà agli attacchi strategici con droni dell’Ucraina all’inizio di questo mese, il che potrebbe combinarsi con i due fattori sopra menzionati per raggiungere questa svolta a lungo desiderata. Certo, potrebbe trattarsi solo di una dimostrazione di forza simbolica, ma potrebbe anche essere qualcosa di più significativo .

Le migliori possibilità per l’Ucraina di impedire tutto questo sono che gli Stati Uniti convincano la Russia a congelare le linee del fronte o a lanciare un’altra offensiva. La prima possibilità potrebbe essere favorita dall’approccio del bastone e della carota, proponendo un partenariato strategico incentrato sulle risorse migliore di quello già offerto in cambio, pena l’imposizione di sanzioni secondarie paralizzanti ai suoi clienti energetici (in particolare Cina e India, con probabili deroghe per l’UE) e/o il raddoppio degli aiuti militari e di intelligence se dovesse ancora rifiutare.

Quanto alla seconda, i 120.000 soldati che l’Ucraina ha radunato lungo il confine bielorusso, secondo quanto dichiarato dal presidente Aleksandr Lukashenko la scorsa estate, potrebbero attraversare quella frontiera e/o una delle frontiere russe riconosciute a livello internazionale. Oggettivamente parlando, tuttavia, entrambe le possibilità hanno solo scarse possibilità di successo: la Russia ha chiarito che deve raggiungere altri obiettivi nel conflitto prima di accettare un cessate il fuoco , mentre il suo successo nel cacciare l’Ucraina da Kursk è di cattivo auspicio per altre invasioni.

La probabilità che l’Ucraina riduca le perdite accettando ulteriori richieste di pace da parte della Russia è nulla. Pertanto, potrebbe inevitabilmente optare, in alternativa agli scenari sopra menzionati o parallelamente a uno o entrambi, per intensificare le sue “operazioni non convenzionali” contro la Russia. Questo include omicidi, attacchi strategici con droni e terrorismo. Tutto ciò, tuttavia, non farà altro che provocare una maggiore (probabilmente sproporzionata) rappresaglia convenzionale da parte della Russia, ritardando così dolorosamente l’apparentemente inevitabile sconfitta dell’Ucraina.

Con uno sguardo rivolto alla fase finale, sembra che un punto di svolta stia per essere raggiunto, o sia già stato raggiunto, nel senso che le dinamiche strategico-militari cambieranno irreversibilmente a favore della Russia. È molto difficile immaginare come l’Ucraina possa uscire da questo dilemma. Tutti gli indizi indicano che ciò sia impossibile, sebbene il conflitto abbia già sorpreso osservatori di entrambe le parti in passato, quindi non può essere escluso. Ciononostante, si tratta di uno scenario improbabile, ed è più probabile che la sconfitta ufficiale dell’Ucraina sia vicina.

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Gli sforzi della Russia per restituire alle loro famiglie i bambini ucraini sfollati screditano la CPI

Andrew Korybko9 giugno
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È sempre tragico quando i bambini vengono sfollati o resi orfani dai conflitti, ma evacuarli dalle linee del fronte e dare loro le cure adeguate non è come “rapirli”, figuriamoci quando vengono poi restituiti ai loro parenti.

La “Corte penale internazionale” (CPI) ha emesso mandati di arresto per Putin e la Commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova all’inizio del 2023, accusandoli di essere responsabili del presunto “rapimento” da parte della Russia di bambini ucraini provenienti dalle regioni che hanno votato per l’adesione alla Russia nel settembre 2022. La realtà, tuttavia, come la Russia ha costantemente sostenuto, è che questi bambini sono stati affidati alle cure del governo in base alle norme globali, in quanto sfollati o resi orfani dal conflitto.

Inoltre, il Qatar ha contribuito in diverse occasioni al ricongiungimento di alcuni di questi bambini affidati alle cure russe con i loro parenti ucraini, screditando così le basi su cui la CPI ha emesso i mandati di arresto per Putin e Lvova-Belova. Sebbene a nessuno dei due importi ciò che afferma quell’organismo parzialmente riconosciuto e scandaloso, soprattutto perché non hanno intenzione di recarsi in nessuno dei Paesi che agirebbero in base ai loro mandati, la questione è tornata a essere centrale nel conflitto dopo gli ultimi colloqui di Istanbul.

Il capo della delegazione russa, Vladimir Medinsky, ha confermato che la parte ucraina ha consegnato una lista di 339 nomi di bambini durante il secondo round dei negoziati bilaterali appena ripresi , che a sua volta ha trasmesso a Lvova-Belova. Medinsky aveva incontrato Putin lo stesso giorno per questioni ufficialmente non correlate , ma la tempistica suggerisce che la Russia si aspettasse di ricevere tale lista e le stia dando priorità. In seguito, Medinsky ha riferito ai giornalisti che il numero di bambini ucraini presumibilmente “rapiti” è sceso da 900.000 a 339 .

Anche la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, è intervenuta su questo tema durante il primo Global Digital Forum della scorsa settimana , dichiarando che “Non ci sono bambini ucraini rapiti dalla Russia, come dicono loro. Basta sapere questo e questo dovrebbe essere il punto di partenza quando si discute di questo problema”. Si tratta di un approccio rispettoso di sé, poiché accettare la falsa premessa dell’Ucraina di aver “rapito” dei bambini come punto di partenza per le discussioni sarebbe un’implicita ammissione di falsa colpa da parte della Russia.

Zakharova ha continuato spiegando che “Ci sono bambini di diverse nazionalità, diverse cittadinanze. Inoltre, molti di loro potrebbero non avere alcun documento o potrebbero essere vittime di persone che falsificano documenti, e sono ricercati da parenti, genitori e altri parenti prossimi. Ci sono procedure specifiche in questo lavoro”. Ha anche attribuito la causa del mancato raggiungimento di una soluzione al problema ucraino alla “mancanza di dati chiari, alla mancanza di trasparenza, alla trasparenza nel lavoro, alle infinite manipolazioni”.

Ma la cosa più importante è che ha affermato che “un numero enorme di bambini è effettivamente scomparso, sia di cittadinanza ucraina che di genitori ucraini, ma solo sul territorio dell’Unione Europea”. Questo merita di essere indagato, ma è improbabile che l’UE o le principali ONG lo facciano seriamente, poiché c’è più capitale politico da guadagnare nel dare falso credito all’affermazione che la Russia abbia “rapito” bambini ucraini, screditata dai suoi sforzi per restituire coloro che sono sotto la sua cura ai loro parenti.

Riflettendo sulle riflessioni condivise su questo tema, sembra proprio che l’Ucraina stia “mettendo in scena uno spettacolo per vecchie signore europee dal cuore tenero e senza figli”, esattamente come Medinsky avrebbe detto alla delegazione ucraina quando ne ha ricevuto la lista. È sempre tragico quando i bambini vengono sfollati o resi orfani a causa del conflitto, ma evacuarli dalle linee del fronte e prendersi cura di loro adeguatamente non equivale a “rapirli”, figuriamoci quando vengono poi restituiti ai loro parenti.

Il trasferimento da parte di Israele di alcuni missili Patriot di fabbricazione statunitense all’Ucraina potrebbe danneggiare i legami con la Russia

Andrew Korybko11 giugno
 
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Considerando che la gamma realistica delle opzioni di ritorsione della Russia è ora limitata, Bibi ha probabilmente calcolato che il danno ai legami bilaterali sarà gestibile, ergo perché Israele non avrebbe molto da perdere andando finalmente fino in fondo.

L’ambasciatore israeliano in Ucraina Mikhail Brodksy ha dichiarato che Israele ha trasferito all’Ucraina missili di difesa aerea Patriot di fabbricazione statunitense, ma è stato smentito dal suo Ministero degli Esteri. I legami con la Russia potrebbero essere danneggiati dopo che l’estate scorsa l’inviato dell’ONU aveva avvertito di “certe conseguenze politiche” se ciò fosse accaduto. Da allora la regione è cambiata dopo l’uccisione del capo di Hezbollah Nasrallah, la fuga di Assad dalla Siria e la ripresa dei colloqui nucleari da parte dell’Iran con gli Stati Uniti, per cui le conseguenze potrebbero essere limitate.

Dopo tutto, non è più realistico considerare lo scenario di una Russia che arma Hezbollah, che permette finalmente alla Siria di usare i suoi S-300 per difendersi dagli attacchi dei jet israeliani, o che fornisce altre forme di sostegno indiretto alla Resistenza nella sua guerra per procura regionale con Israele che è ora praticamente persa. Queste ipotesi sono sempre state inverosimili, ma ora sono meno probabili che mai, il che suggerisce che la Russia probabilmente si limiterà a presentare una denuncia formale e al massimo a flirtare con la designazione di Israele come “Paese non amico”.

Nondimeno, la seconda possibilità non può essere data per scontata, visto che Israele sta segnalando agli Stati Uniti di mantenere le basi russe in Siria come una sorta di contrappeso contro la Turchia, e la recente spaccatura Trump-Bibi potrebbe essere sfruttata per presentare Putin come un partner più affidabile. Inoltre, Israele non rispetta ancora formalmente le sanzioni anti-russe dell’Occidente, ma la sua leadership potrebbe finalmente cedere se la Russia li designasse ufficialmente come “non amici”, per cui il Cremlino probabilmente procederà con cautela.

Il precedente approfondimento contestualizza il motivo per cui Israele ha aspettato fino ad ora per trasferire finalmente alcuni dei suoi missili di difesa aerea Patriot di fabbricazione statunitense all’Ucraina. Considerando che la gamma realistica delle opzioni di ritorsione della Russia è ora limitata, Bibi ha probabilmente calcolato che il danno ai legami bilaterali sarà gestibile, ergo perché Israele non avrebbe molto da perdere andando fino in fondo. Quanto al motivo per cui l’ha fatto, potrebbe essere un tentativo di accattivarsi il favore dei falchi statunitensi, sperando che questo possa a sua volta mitigare le conseguenze della sua frattura con Trump.

Tuttavia, questo inutile azzardo a somma zero non ha prodotto alcun dividendo tangibile, come dimostrano le continue tensioni nei loro legami. Al contrario, ha rivelato quanto Bibi sia diventato disperato, tanto da rischiare di danneggiare i legami con la Russia con l’aspettativa di riportare Israele nelle grazie degli Stati Uniti, il che lo fa apparire peggio di prima agli occhi di osservatori obiettivi. Le recenti pressioni hanno chiaramente offuscato i suoi pensieri, altrimenti non l’avrebbe fatto.

Trump e gli alleati che la pensano come lui hanno certamente preso nota dei suoi calcoli e potrebbero presto sfruttarli al massimo, sapendo quanto Bibi sia diventato disperato e percependo di conseguenza che ora potrebbero essere in grado di strappare a Israele più concessioni che mai. Ciò potrebbe assumere la forma di convincere Israele ad accettare un certo livello di arricchimento nucleare iraniano come parte dell’accordo che stanno negoziando con il paese, invece di bombardare unilateralmente l’Iran nell’ipotesi che tale accordo venga raggiunto.

È interessante notare che, se da un lato il trasferimento da parte di Israele di alcuni missili Patriot di fabbricazione statunitense potrebbe danneggiare i legami con la Russia, dall’altro potrebbe peggiorare ulteriormente i legami con gli Stati Uniti se Trump facesse richieste politicamente inaccettabili a Bibi dopo aver percepito quanto sia diventato più debole in seguito alla loro recente rottura. In risposta, Bibi capitolerà a costo di perdere ulteriore sostegno da parte della sua base, oppure sfiderà gli Stati Uniti a scapito della sicurezza nazionale di Israele se andrà fino in fondo con il bombardamento dell’Iran, ma sarà poi appeso al chiodo da Trump.

La risposta dell’Ucraina al disegno di legge del Sejm sulla commemorazione del genocidio in Volinia ha fatto infuriare i polacchi

Andrew Korybko8 giugno
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Minimizzare questo crimine e insinuare che i polacchi sono degli idioti utili alla Russia perché lo ricordano può spingerli a sostenere una linea molto più dura nei confronti dell’Ucraina rispetto a qualsiasi altra precedente.

Il Sejm polacco ha approvato un disegno di legge a favore dell’istituzione dell’11 luglio come ” Giorno della Memoria dei Polacchi – vittime del genocidio commesso dall’OUN-UPA nei confini orientali della Seconda Repubblica Polacca “. Il disegno di legge passerà ora al Senato e dovrà poi essere firmato dal Presidente, ma non si prevedono problemi. Questa mossa mira a formalizzare la risoluzione del Sejm del 2016 sullo stesso argomento, rendendo l’11 luglio festa nazionale. Come prevedibile, ha suscitato una furiosa reazione da parte dell’Ucraina, comunicata tramite un messaggio del Ministero degli Esteri.

Hanno minimizzato la tortura e l’uccisione di oltre 120.000 polacchi, la maggior parte dei quali donne e bambini, definendolo un “cosiddetto” genocidio e insinuando che il disegno di legge “potrebbe portare ad un aumento della tensione nelle relazioni bilaterali”. Hanno anche aggiunto: “Ancora una volta, vi ricordiamo che i polacchi non dovrebbero cercare nemici tra gli ucraini, e gli ucraini non dovrebbero cercare nemici tra i polacchi. Abbiamo un nemico comune: la Russia”. Basti dire che i polacchi sono infuriati e lo stanno esprimendo sotto il post.

Non si tratta di uno scandalo insignificante. In primo luogo, la questione del genocidio in Volinia è molto toccante per i polacchi, dato che l’Ucraina non si è scusata né ha fatto ammenda , e solo ora sta iniziando a riesumare una manciata di corpi per dare loro finalmente una degna sepoltura. In secondo luogo, liberali e conservatori si sono uniti al Sejm per far approvare questa legge, dimostrando così che si tratta di una questione bipartisan. In terzo luogo, la vergognosa risposta dell’Ucraina arriva subito dopo le elezioni presidenziali polacche , il cui esito è una cattiva notizia per Kiev .

Questo perché il candidato conservatore Karol Nawrocki ha firmato un impegno in otto punti prima della sua vittoria al secondo turno, in cui ha promesso di non sostenere l’adesione dell’Ucraina alla NATO né di dispiegarvi truppe. È anche il presidente dell’Istituto della Memoria Nazionale, che ha fatto più di qualsiasi altra entità al mondo per sensibilizzare il più possibile sul genocidio della Volinia. Dal suo insediamento, il 6 agosto, si prevede che Nawrocki adotterà una linea dura nei confronti dell’Ucraina.

Sebbene il Presidente collabori con il Primo Ministro e il Ministro degli Esteri nella definizione della politica estera, il che potrebbe causare problemi poiché il primo proviene dall’opposizione (sia in carica che in successore), l’unità bipartisan sulla questione del genocidio in Volinia può essere d’aiuto. Dopotutto, è stato proprio il Primo Ministro liberale Donald Tusk a perseguire per primo una linea più dura nei confronti dell’Ucraina, con cui il suo predecessore conservatore aveva solo sfiorato la linea poco prima delle elezioni del Sejm dell’autunno 2023.

All’epoca, la disputa sul grano era l’unica questione che inaspriva i rapporti bilaterali, ma il governo di Tusk riaccese la disputa sul genocidio in Volinia, tagliò fuori l’Ucraina dalle armi gratuite (ora saranno vendute a credito ) e dichiarò esplicitamente di voler trarre profitto dall’Ucraina. Certo, questa potrebbe anche essere stata una tattica elettorale fallimentare, proprio come quella che il suo predecessore fu accusato di aver orchestrato all’epoca, ma si può sostenere che abbia preso vita autonoma il fatto che l’elezione di Nawrocki e la proposta di legge del Sejm potrebbero presto raggiungere un livello superiore.

Nel complesso, l’Ucraina si rifiuta di riconoscere il genocidio della Volinia, poiché farlo screditerebbe ancora di più i suoi moderni “eroi nazionali” post-Maidan, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, quindi sta invece minimizzando questo crimine e insinuando che i polacchi siano gli utili idioti della Russia per averlo ricordato. Questa è una mancanza di rispetto incredibile e i polacchi sono giustamente infuriati, il che potrebbe facilmente galvanizzare la popolazione a sostegno di una linea molto più dura nei confronti dell’Ucraina rispetto a qualsiasi altra precedente

I disordini di Los Angeles rappresentano una minaccia urgente per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti

Andrew Korybko9 giugno
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Questo perché riguarda la seconda città più grande del Paese, potrebbe sconvolgere uno dei suoi principali centri economici e potrebbe trasformarsi in una campagna irredentista da parte dei nazionalisti messicani e dei loro alleati di sinistra negli Stati Uniti.

Disordini su larga scala hanno colpito alcune zone di Los Angeles dalla fine della scorsa settimana, in risposta alle recenti operazioni dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) contro gli immigrati clandestini. Trump ha autorizzato la Guardia Nazionale a ristabilire l’ordine, ma gli scontri continuano. I disordini rappresentano una grave minaccia per la sicurezza nazionale poiché riguardano la seconda città più grande del Paese, potrebbero sconvolgere uno dei suoi principali centri economici e potrebbero trasformarsi in una campagna irredentista da parte dei nazionalisti messicani e dei loro alleati di sinistra statunitensi .

Le radici immediate sono la politica di frontiere aperte di fatto dell’amministrazione Biden, che ha permesso a milioni di immigrati clandestini , per lo più provenienti dalla penisola iberica, di riversarsi nel paese. Poi c’è l’influenza dei disordini dell’estate 2020, che hanno convinto attivisti e agitatori, compresi i professionisti, di potersi ribellare impunemente. Infine, è rilevante anche la Cessione del Messico, avvenuta a metà del XIX secolo , che alcuni nazionalisti messicani e i loro alleati di sinistra statunitensi si rifiutano di riconoscere come legittima.

Questi fattori si sono combinati per catalizzare i disordini in corso, che hanno visto il coinvolgimento di diverse ONG, movimenti di sinistra radicale e del filantropo Neville Singham, secondo l’inchiesta virale in due parti di “Data Republican” su X. Ciò ha portato a tracciare parallelismi con la Guerra al Terrore Ibrida contro l’America dell’estate 2020, analizzata qui all’epoca. Certo, alcuni dei partecipanti a entrambe le guerre erano autenticamente autonomi, ma altri operavano e operano tuttora come parte di un progetto più ampio.

Gli osservatori dovrebbero anche ricordare che elementi dello “stato profondo” statunitense, allineati ai Democratici, hanno fornito armi americane ai cartelli messicani nell’ambito dell’Operazione Fast & Furious , che a loro dire è stata un’operazione sotto copertura fallita, sebbene i critici rimangano convinti che si sia trattato di qualcosa di più nefasto. Non si può quindi escludere che ad alcune di queste forze non importi, come minimo, che quei cartelli seminino il caos sul lato statunitense del confine con il pretesto di “protestare” contro l’ICE per creare problemi a Trump.

Oltre al coinvolgimento speculativo di cartelli messicani (probabilmente sostenuti dal “deep state”), ci sono anche nazionalisti messicani che agiscono autonomamente tra le comunità di immigrati clandestini, naturalizzati e di seconda e ultima generazione di Los Angeles che partecipano ai disordini insieme alla sinistra statunitense. Sono alleati in quanto nessuno dei due riconosce la legittimità della Cessione del Messico di metà Ottocento , da qui il loro sostegno all’apertura delle frontiere per “reclamare” questo territorio perduto come forma di “giustizia storica”.

Alcuni apologeti multipolari hanno paragonato questo fenomeno alle rivolte in Crimea e nel Donbass dopo “EuroMaidan”, ma la differenza fondamentale è che furono guidate da cittadini ucraini di origine russa che si ribellarono in difesa dei propri diritti umani dopo che i radicali presero il potere e minacciarono di sottometterli . Al contrario, l’amministrazione Trump non ha segnalato che farà qualcosa di simile contro i residenti americani legali di origine iberoamericana, sta semplicemente applicando la legge espellendo gli invasori immigrati clandestini.

I residenti legali negli Stati Uniti di origine iberoamericana possono parlare, pubblicare e insegnare liberamente le loro lingue. Hanno inoltre pari diritti (a parte il fatto di non poter votare fino all’ottenimento della cittadinanza) e hanno beneficiato di ” azioni positive “. A tutti gli effetti, i nazionalisti messicani che risiedono legalmente negli Stati Uniti possono vivere come se fossero in Messico (ancora meglio, visto che altrimenti non se ne sarebbero andati) purché rispettino la legge, screditando così l’argomento della “giustizia storica” che alcuni hanno utilizzato per giustificare i disordini.

Tuttavia, alcuni dei rivoltosi sono chiaramente spinti da motivazioni nazionaliste, come dimostrato dal fatto che sventolano la bandiera messicana mentre attaccano violentemente i membri dei servizi segreti, da qui l’importanza di sedare i disordini il prima possibile affinché non degenerino in una spirale incontrollata. Ci sono anche considerazioni politiche ed economiche, ma queste impallidiscono di fronte alla necessità di espellere gli immigrati clandestini dalla regione di confine, soprattutto quei messicani che potrebbero ricorrere al terrorismo per alimentare i loro piani irredentisti.

A questo proposito, è possibile che l’irredentismo violento non sia così popolare tra gli immigrati clandestini messicani, ma che cartelli (probabilmente sostenuti dal “deep state”) provenienti da lì e da altri paesi come il Venezuela stiano cercando di promuovere questa idea, sperando che provochi disordini simili in altre grandi città. La maggior parte di queste città negli Stati Uniti ha una significativa popolazione ispanoamericana, inclusi immigrati clandestini, quindi i veri orchestratori (se ce ne sono, come si ipotizza) potrebbero sperare di “ispirare” “proteste di solidarietà” in tutti gli Stati Uniti.

Tutto ciò che si può sapere con certezza è che le immagini dei rivoltosi che sventolano la bandiera messicana a Los Angeles suscitano naturalmente preoccupazioni riguardo a una campagna irredentista emergente che rappresenta una pressante minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e che pertanto sfida Trump a impiegare tutti i mezzi legali a sua disposizione per reprimerla, altrimenti. Nonostante tutto ciò che ha fatto finora, nel rispetto della legge, i suoi oppositori potrebbero presto accusarlo disonestamente di comportarsi come un “dittatore fascista”, il tutto nel tentativo di “ispirare” ulteriori disordini.

Qui risiede l’obiettivo dei veri orchestratori e/o opportunisti politici, a seconda di chi si crede dietro le rivolte: si tratta di erodere l’autorità di Trump, dipingendolo erroneamente come un “dittatore fascista” e, nel complesso, galvanizzare i Democratici ben prima delle elezioni di medio termine dell’autunno 2026. Questi obiettivi vengono perseguiti da partecipanti e professionisti che agiscono in modo autonomo, con alcuni dei primi che non si rendono conto del ruolo che stanno svolgendo nel piano più ampio, rendendolo così un colore. Rivoluzione .

Questa descrizione non implica automaticamente intenzioni di cambio di regime né il coinvolgimento di un governo straniero, ma si riferisce solo alla strumentalizzazione delle proteste, oggi comune in tutto il mondo dopo la proliferazione incontrollata di tecnologie socio-politiche nell’ultimo quarto di secolo. Il coinvolgimento segnalato di così tanti attori diversi in questo caso dimostra la gravità del tentativo di destabilizzare l’amministrazione Trump, che potrebbe avere implicazioni globali di vasta portata se avesse successo.

Perché la Russia ha dato credito all’affermazione di Trump secondo cui avrebbe personalmente fermato il conflitto indo-pakistano?

Andrew Korybko7 giugno
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L’ascesa della fazione russa pro-BRI, l’intensa diplomazia pakistana e gli interessi della Russia nei confronti degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina spiegano probabilmente ciò che è accaduto in modo sorprendente.

Il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov, uno degli amici più intimi e dei consiglieri più fidati di Putin, ha dato credito all’affermazione di Trump di aver personalmente fermato l’ ultimo conflitto indo-pakistano, durante un briefing con i giornalisti sui colloqui tra Putin e Trump durante la loro ultima chiamata. Nelle sue parole , “Si è parlato anche del Medio Oriente e del conflitto armato tra India e Pakistan, che è stato fermato grazie al coinvolgimento personale del presidente Trump”.

L’India ha ripetutamente negato che Trump abbia posto fine al conflitto, sostenendo invece che si sia trattato di una decisione puramente bilaterale, frutto dell’insistenza del Pakistan. Le continue affermazioni contrarie di Trump hanno eroso la fiducia dell’India nel suo governo e sollevato preoccupazioni sulle sue intenzioni. Alcuni temono che stia agendo contro gli interessi del loro Paese nell’ambito di un complotto per ridisegnare la geopolitica dell’Asia meridionale a favore degli Stati Uniti. Questo spiega, almeno a loro avviso, perché stia indebolindo l’India in questo momento così delicato.

Anche la neutralità della Russia nei confronti dell’ultimo conflitto e le recenti dichiarazioni dei suoi funzionari hanno destato perplessità. Russia e India descrivono formalmente le loro relazioni come un partenariato strategico speciale e privilegiato, eppure la crescente influenza della fazione politica pro-BRI del Cremlino ha portato a ipotizzare un possibile cambiamento dei loro rapporti. Questo gruppo privilegia la Cina e il suo alleato pakistano rispetto all’India, a differenza dei loro rivali equilibrati/pragmatici, che sono indofili. Ecco alcuni briefing di contesto su tutto questo:

* 14 maggio: “ Potrebbe esserci un metodo dietro la follia di Trump che danneggia inaspettatamente i legami indo-americani ”

* 16 maggio: “ Il ritorno desiderato da Trump alla base aerea di Bagram potrebbe rimodellare la geopolitica dell’Asia meridionale ”

* 18 maggio: “ La neutralità della Russia durante l’ultimo conflitto indo-pakistano è dovuta alle nuove dinamiche politiche ”

* 4 giugno: “ La percezione dell’India da parte dei politici russi potrebbe cambiare ”

* 7 giugno “ Gli Stati Uniti stanno ancora una volta cercando di subordinare l’India ”

Finora la Russia non aveva commentato la vanteria di Trump, che aveva provocato ripetute smentite da parte dell’India. Tre recenti sviluppi, tuttavia, spiegano probabilmente perché alla fine abbia espresso la sua opinione e sostenuto la sua affermazione. Il primo riguarda la recente visita del senatore pakistano Mushahid Hussain in Russia, su invito del Ministero degli Esteri e del partito al governo del suo ospite, per partecipare a un evento multilaterale sulla sicurezza. Ha incontrato il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov e in seguito lo ha elogiato per la neutralità della Russia nei confronti dell’ultimo conflitto.

Secondo lui , “c’è un rinnovato rispetto e una nuova simpatia per il Pakistan nell’establishment politico russo”, dovuti in parte alla “disillusione russa nei confronti dell’India”. L’assistente speciale del Primo Ministro pakistano Syed Tariq Fatemi ha seguito le sue orme poco dopo. Ha incontrato Lavrov, Ushakov, il co-presidente del comitato intergovernativo Sergey Tsivilev e il Valdai Club , e ha rilasciato interviste anche a Sputnik e RT . Ciò ha coinciso con l’ impasse dei colloqui russo-ucraini .

Di conseguenza, Putin potrebbe essere incline a ingraziarsi Trump nella speranza che costringa l’Ucraina a fare concessioni, il che spiegherebbe perché Ushakov abbia dato credito alle rivendicazioni indo-pakistane di Trump. Nel complesso, l’ascesa della fazione russa pro-BRI, l’intensa diplomazia pakistana e gli interessi della Russia con gli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina spiegano probabilmente ciò che è accaduto in modo sorprendente. Ci si aspetta quindi un’ondata di diplomazia indiana con l’obiettivo di chiarire e indurre la Russia a ricalibrare la propria posizione.

Gli Stati Uniti stanno di nuovo cercando di subordinare l’India

Andrew Korybko7 giugno
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La sfida dell’India potrebbe presto causare problemi nei suoi rapporti con gli Stati Uniti, a meno che uno dei due non ceda.

Verso la fine dell’anno scorso si nutrivano grandi speranze che ” Trump avrebbe riparato i danni inflitti da Biden ai legami indo-americani ” a causa degli alti funzionari indofili di cui aveva pianificato di circondarsi, eppure, nonostante un incontro dignitoso con Modi a febbraio, gli Stati Uniti stanno ancora una volta cercando di subordinare l’India. Il primo segnale preoccupante è arrivato dopo che Trump ha minacciato di imporre dazi del 100% sui paesi BRICS , seguito dalla minaccia di revocare o modificare l’esenzione dalle sanzioni dell’India per il porto iraniano di Chabahar.

Diversi mesi dopo, all’inizio di maggio, Trump ha ripetutamente affermato di aver mediato la fine dell’ultimo conflitto indo-pakistano , affermazione contraddetta da fonti ufficiali a Delhi. Queste analisi, qui e qui, tentano di far luce sul metodo dietro la follia che lo ha portato a danneggiare inaspettatamente i rapporti bilaterali in questo modo. In breve, si è ipotizzato che egli preveda di rimodellare l’Asia meridionale in modo da ostacolare la rapida ascesa dell’India a Grande Potenza, il tutto come punizione per non essersi subordinata al ruolo di partner minore degli Stati Uniti.

A proposito di questo obiettivo speculativo, la scorsa settimana il Segretario al Commercio Howard Lutnick lo ha confermato quasi esplicitamente durante il suo intervento all’ottavo Forum sul partenariato strategico tra Stati Uniti e India, dove ha criticato duramente l’India per aver continuato ad acquistare equipaggiamento militare russo e per essere rimasta membro dei BRICS. Per quanto riguarda il primo aspetto, gli S-400 e i missili supersonici BrahMos, prodotti congiuntamente, hanno notevolmente aiutato l’India durante l’ultimo conflitto, mentre l’appartenenza ai BRICS contribuisce ad accelerare i processi di multipolarità finanziaria.

Ciononostante, la tendenza documentata è che l’India sta sviluppando più equipaggiamento interno, riequilibrando al contempo le importazioni militari russe con quelle occidentali, il tutto negando ufficialmente qualsiasi intenzione ostile di de-dollarizzazione, ma continuando a difendere la necessità di riequilibrare le proprie riserve valutarie. A prescindere da come si possa pensare a queste politiche, esse rappresentano un diritto sovrano dell’India e nessuna delle due va oggettivamente contro gli interessi degli Stati Uniti.

In effetti, si potrebbe sostenere che in realtà rafforzano quanto detto sopra, ma solo se percepiti da un punto di vista diverso da quello attualmente deplorevole del Trump 2.0. Un’India forte e prospera funge da parziale contrappeso alla Cina, ma ciò richiede di dotarsi del miglior equipaggiamento difensivo possibile e di non essere soggetta ad alcuna militarizzazione finanziaria, da cui deriva l’importanza delle armi russe e la diversificazione delle sue riserve valutarie. Trump 2.0 vede le cose diversamente.

Pur dichiarando apertamente la necessità di un’India forte e prospera, il governo non vuole che l’India sia troppo forte o prospera, poiché ciò potrebbe accelerare la transizione sistemica globale verso il multipolarismo , accelerando il declino degli Stati Uniti come potenza egemone unipolare, da cui la necessità di controllarne l’ascesa. A tal fine, i metodi menzionati in precedenza sono stati impiegati insieme a una nuova indagine, a quanto pare, sul magnate indiano Gautam Adani , le cui attività conglomerate sono cruciali per la continua ascesa dell’India.

Stando così le cose, se non si verifica presto una correzione di rotta e l’India rimane ostinata rifiutandosi di subordinarsi agli Stati Uniti, i nuovi problemi nei loro rapporti potrebbero catalizzare tendenze più ampie. Ad esempio, i persistenti problemi nei rapporti indo-americani potrebbero portare a un miglioramento dei rapporti indo-cinesi se il ” reset totale ” di Trump con la Cina dovesse fallire. parallelamente , i rapporti con la Russia potrebbero diventare più importanti che mai . In definitiva, l’Asia meridionale potrebbe effettivamente essere rimodellata, ma non nel modo attualmente previsto da Trump 2.0.

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