Italia e il mondo

Di ritorno dal Sol Levante_di Daniele Lanza

DI RITORNO DAL SOL LEVANTE…….**

Si può ritenere che equilibri e dinamiche si siano assestati.

Nel mentre che a Pokrovsk – ora Myrnograd – si consuma l’epilogo del maggiore fatto d’armi del 2025 sul fronte ucraino (analogo a Bakhmut oltre 2 anni orsono), il presidente statunitense ha cercato di bilanciare a modo suo in estremo oriente (….).

In pratica non potendo far nulla di concreto per impedire la disfatta Ucraina sul campo – e non essendo riuscito settimane fa a far ragionare Zelensky facendogli presente la situazione – non gli rimane che far pressione sulla Russia………operazione tutt’altro che semplice o scontata: pressione economica diretta la stanno GIA’ facendo da oltre 3 anni (in realtà sin dal 2014), e ai paesi europei non si può chiedere nulla di più dal momento che hanno GIA’ applicato ogni sanzione loro possibile.

Trump non può chiedere all’occidente di isolare la Russia per il fatto che l’intero occidente è già avversario di Mosca e ha GIA’ isolato la Russia (la quale del resto ha imparato a vivere senza Bruxelles/Londra et affini) e più di così non può farle. Cosa rimane da fare ? Ne rimane solo una anche se estrema: rivolgersi alla cintura di paesi amici di Mosca (quelli del Brics), quelli al di fuori della benestante civiltà occidentale che sono rimasti attorno alla Russia aiutandola a rimanere in piedi malgrado l’assedio economico (che avrebbe eliminato dal gioco qualsiasi stato). Tali pesi tuttavia sono, per l’appunto, AMICI e SOLIDALI con Mosca, per consolidata tradizione………e non bastano sorrisini e pacche sulle spalle per fargli cambiare una politica ventennale di partnership con la Russia. Aggiungendo che l’amministrazione Trump dal suo insediamento ha promesso parecchi dazi a Cina ed altri paesi emergenti il che rende imbarazzante domandare particolari favori.

Nè sarebbe prudente la tattica della minaccia diretta (tipica di Washington), che inasprirebbe il dialogo quando invece ce n’è maggiormente bisogno (…).

Insomma, il quadro è giustamente da definirsi complesso.

IN GENERALE………..D. Trump rientra dal grande meeting di Busan con poco in mano. Alla Cina ha dovuto per forza di cosa abbassare i dazi anche solo per INIZIARE qualcosa che somigli ad un dialogo (già tanto)….lontani anni luce dal convincere Pechino a girar le spalle all’alleato russo. Il tanto atteso incontro Trump-XI Jinping (al posto del mancato incontro Trump-Putin di Budapest) in parole altre non ha concluso molto: Washington proclama – moderatamente – un successo, che in realtà è una specie di nulla di fatto……Cina e USA attenuano le tensioni ridefinendo il proprio rapporto in una serie di intese commerciali che non vedono alcun vincitore sostanzialmente, ma solo puntellano la situazione onde evitare conflitti troppo marcati. Inoltre nè Cina nè India nè il Giappone stesso (più stretto alleato che Washington abbia) hanno affermato che smetteranno di acquistare petrolio russo: l’arma più forte di pressione che si sarebbe potuta usare, in realtà non c’è, non si concretizza.

A parte questo, sembra che del fronte ucraino non si sia nemmeno parlato (cioè, lo si è sicuramente fatto, ma non pubblicamente e per un lasso di tempo brevissimo: e il fatto che il presidente americano di ritorno da Busan non vi faccia accenno può essere un segnale di quanto sia stato inconcludente): era del resto chiaro sin dal principio che non sarebbe stato cosa molto semplice chiedere ad uno stato rivale di fare pressioni su un proprio alleato (controsenso), considerando poi che la Cina è uno dei pochi stati al mondo su cui non si possa usare la forza o ricatti diretti (…).

Trump si dice persino pronto a incontrare in Nord Corea Kim (?!?) e questa è la nota più colorita del viaggio (ammesso che fosse serio): l’uscita mette in luce lo stato di frustrazione della stessa politica estera americana che non sa più a quale santo votarsi……..DEVONO far pressione sulla Russia per non perdere la faccia davanti a tutto l’occidente che se lo aspetta (il ruolo a stelle e strisce è questo, fare lo sceriffo), solo che si trovano davanti a “clienti del saloon” che non possono spostare con i mezzi abituali: occorrerebbe una GUERRA, che però non possono fare.

Questo è quanto.

Trump dal canto suo ha perlomeno assolto il suo dovere di fronte all’opinione pubblica e potrò dire di aver fatto tutto quello che poteva per far pressione su Mosca e quindi alleggerire la posizione di Kiev. D’altro canto aveva AVVERTITO Zelensky 2 settimane orsono, tirando in aria le sue cartine topografiche preannunciandogli quello che sarebbe successo: il presidente ucraino non può quindi recarsi da lui a piangere, dato che partirebbe un sonoro “TE L’AVEVO DETTO…..” e ulteriori intimazioni a cedere il Donbass diplomaticamente.

Il guaio è però anche che il tempo stringe: tra 1 anno a quest’epoca NON vi sarà più un Donbass perchè sarà stato già conquistato (e pertanto le richieste di Mosca riguarderanno ulteriori territori oltre il Donbass….oppure un riconoscimento DE JURE che Kiev rifiuta di dare).

Anche lì, Trump potrà dire:” Ho fatto tutto quello che potevo per aiutarti. Oltre era impossibile: il resto sta a te” (ed è qui che inizia la tragedia: che tutto dipende da Zelensky e la sua cricca da ora in poi).

Conclusione…

Tanto fumo e niente arrosto per la sortita americana in estremo oriente: essa era DI FATTO la vera controffensiva alla vittoria russa a Pokrovsk……ovvero cercare di bilanciare la vittoria russa sul campo con una SCONFITTA sul piano economico internazionale, tagliandole via il partenariato sino-indiano (e pure il Giappone). Insomma il punto è sempre il medesimo: si cerca spasmodicamente questa “sconfitta strategica della Russia” (il concetto è scolpito nei neuroni dei policy maker angloamericani) in qualsiasi luogo e forma sia possibile ottenerla. Sfortunatamente per Washington non è stata ottenuta nemmeno a Busan in Corea (sarebbe stato difficile trovarla del resto): nel frattempo……la linea ucraina del fronte si sta disgregando in modo accelerato.

“Palla in mano” a Kiev ora (per sfortuna degli ucraini stessi: questo perchè la “Volpe”, rassicurata dai leader europei – che promettono cosa non possono mantenere – opterà per resistere ad oltranza, sulla pelle dei propri coscritti…..finchè ce ne sono.

FINE

28 OTTOBRE – IN HOC SIGNO VINCES

E l’Impero divenne cristiano. (Leggersela che conviene*)

Tra mito e realtà: sono passati oltre 300 anni dalla nascita di Cristo, i suoi seguaci si sono organizzati in una chiesa che nel corso del tempo – di centinaia di anni – si è sviluppata e ramificata in tutto l’ecumene di lingua latina e greca. Eppure sempre in stato di semi-legalità: lo stato li tollera come il caldo d’estate…….una setta (ormai di massa quanto a dimensioni) che rigetta il materialismo vittorioso della romanitas per promuovere una più beata e riflessiva dimensione meditativa che consola gli ultimi e premia il fondo della società. Il mondo alla rovescia insomma, visto con occhi pagani.

Poi arriva il momento…….

Diocleziano, impagabile riformatore dell’impero nel 3° secolo, alla sua scomparsa (305 D.C.) lascia un potere politico instabile che vede 2 campioni contendersi lo scettro: MASSENZIO e COSTANTINO.

Il primo tra i due riesce a farsi eleggere imperatore, ma non viene considerato tale fintanto che non affronta il rivale, il che avviene puntualmente 5 anni più tardi, che viene a cadere nel 312.

La guerra e breve: Costantino mette assieme un esercito nelle Gallie e scende in Italia sconfiggendo in 2 grandi battaglie i generali di Massenzio, il quel si barrica a Roma, pianificando di non uscirne.

La reazione popolare fa tuttavia comprendere a Massenzio che nascondersi all’avversario è la cosa peggiore se si vuole essere riconosciuti nel ruolo di imperatore: inoltre un oracolo gli comunica che “il 28 OTTOBRE morirà il nemico dei romani” (Massenzio interpreta la cosa come riferita a Costantino, naturalmente…..)

MORALE =

Nel giorno in questione in due rivali si affrontano sul campo, apertamente: l’esercito di Massenzio è travolto e lui annegato nel fiume (verrà poi ripescato il corpo e decapitato).

COSTANTINO……….si ritrova indiscusso sovrano di tutto lo spazio imperiale d’occidente, ma soprattutto portatore di una nuova IDEA.

Gli storici contemporanei sono arrivati razionalmente alla conclusione che Costantino ancora non aveva realmente abbracciato la cristianità (proveniente lui in fondo da una civiltà pre-cristiana), nè si è certi al 100% in merito al SOGNO che avrebbe rivelato il sostegno divino a Costantino ispirandolo nella battaglia (…): è assai probabile che il segno delle iniziali di Cristo sugli scudi dei propri legionari sia un’invenzione (non è riportato da nessuno se non due fonti a lui fedeli).

Tuttavia, quali che fossero le convinzioni reali dell’uomo………con lui inizia la storia della cristianità LEGALE: mentre Massenzio contava di ripristinare l’antica religione romana mantenendo nella semilegalità il culto cristiano, Costantino I prende la decisione storica di renderlo legale. Forse aveva intuito il futuro ?

Ai tempi dei fatti esposti – rammentiamo – la cristianità equivaleva a circa il 10% della popolazione dell’impero: una minoranza energica, ma pur sempre una minuscola frazione della società.

Volle Costantino essere magnanimo con essi ? Immaginava lui che rendendo la loro chiesa legale, si sarebbe prodotto nel giro del secolo in corso un capovolgimento demografico che l’avrebbe resa maggioritaria ed alla fine addirittura esclusiva ?? (con Teodosio diventa culto unico – 380 dopo Cristo – e quelli pagani vengono banditi 395 D.C.). O forse voleva solo essere generoso con una comunità con la quale non era in conflitto e verso la quale sentiva un mistico ed irrazionale senso di riconoscenza ? Non immaginandosi cosa sarebbe avvenuto dopo ?

Insomma nel giro di 1 SECOLO, muta radicalmente l’identità stessa della romanità, così come era stata concepita sin dai suoi albori: si tingeva di oriente (il cristianesimo ERA oriente per i romani, una corrente dell’ebraismo universalizzatasi – con Paolo – per attecchire tra gli stranieri in particolare europei).

Immaginava Costantino tutto questo, sino in fondo ? Avrebbe approvato ? Nessuno lo saprà mai.

Sarà celebrato a posteriori come colui che cristianizzò l’impero (questo è inesatto a rigore di logica): ma così va il mondo……..la storia spesso la fanno coloro che NON SANNO di farla o meglio non lo sanno sino in fondo. Non hanno immaginazione completa delle conseguenze di un atto (del quale poi saranno considerati eroi e santi….agli occhi di coloro che ne beneficiano).

Interessante, sempre attuale riflessione.

Chi ci sta attorno può amarci (o odiarci) per qualcosa che abbiamo fatto o detto……….ma magari senza che noi la intendessimo per davvero e senza che volessimo sortire tale effetto (magari una cosa fatta involontariamente, addirittura).

Nell’ordine di grandezza della storia, il medesimo fenomeno si replica ma su scala ciclopica: i nostri posteri ci ameranno e odieranno per le nostre azioni e gli effetti che hanno avuto nelle loro vite (anche se magari tali effetti non erano stati da noi precisamente pianificati e si sono prodotti al di là del nostro preciso intento, più casualmente di quanto ci verrà attribuito molto tempo più tardi. Siamo quindi ricordati ed amati (o odiati) non tanto per l’intenzione teorica o il pensiero, quanto per il fatto concreto, l’unico che davvero RESTA, che abbiamo attuato, consapevolmente o meno, nel bene o nel male.

STOP.

TERZO AGGIORNAMENTO *** (Lituania chiude il valico per l’approvvigionamento energetico di Kaliningrad)_di Daniele Lanza

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Nel giro di una settimana è necessario intervenire in merito al caso lituano, già menzionato, per la TERZA volta.

A quanto pare, in concomitanza alle sanzioni americane contro la russa LUKOIL (petrolio), la compagnia ferroviaria di stato lituana avrebbe deciso di sospendere il diritto di transito di cui la Lukoil ancora godeva fino ad oggi per arrivare a Kaliningrad: ricordiamo che a partire dal 2022 l’approvvigionamento di petrolio e gas in area UE è possibile esclusivamente tramite i condotti già costruiti (cioè non può più essere trasportato in Europa su alcun mezzo).

Solo la Lituania faceva eccezione nel senso che permetteva alla Lukoil di arrivare a Kaliningrad via ferrovia traverso il proprio territorio: questo in virtù del fatto che Kaliningrad è un’enclave isolata con necessità particolari.

Da ora in avanti non è più possibile tale transito – come si vede in carta) il che significa che la popolazione di Kaliningrad per il proprio approvvigionamento energetico dipende direttamente da SAN PIETROBURGO (o meglio dalla rotta marittima tra le due città lungo il Baltico.

Come dire……che la sua sopravvivenza da ora in avanti sarebbe tutta affidata al trasporto navale: in assenza di questo si rimane al buio.

P.S. = ….si rimane al BUIO, oppure si acquista lo Shale gas americano (?!?).

Me viene in mente questa: “Occorre ridurre la dipendenza energetica dalla Russia”. L’UE deve smettere di comprare gas russo. Anche i paesi confinanti alla Russia devono smettere di comprare gas russo: anzi l’ideale sarebbe che la RUSSIA medesima, piano piano smettesse di utilizzare il PROPRIO gas….e si decidesse di comprare quello americano (!!).

Capite signori ?

AGGIORNAMENTO ** (in merito all’intervento sulla LITUANIA che chiude i confini: di utilità per i viaggiatori)

Dunque: dopo aver chiuso a tempo indefinito il valico di frontiera con la Bielorussia, il governo lituano comunica oggi – per voce del ministro degli Esteri Kestutis Budrys alla radio nazionale – che è pronto a bloccare anche il passaggio verso la regione russa di KALININGRAD (in giallo, sotto), se venisse provato il coinvolgimento russo nel caso dei palloni aerostatici bielorussi. La misura verrebbe presa nel nome della sicurezza nazionale (…).

Come a dire: dichiaro guerra ad un mio vicino che non mi piace, anche se quest’ultimo non mi è vicino (ossia non confina nemmeno con me, ma il pretesto lo trovo lo stesso).

STOP.

Come si sa, Kaliningrad costituisce un’enclave autonoma russa del tutto separata dalla patria, fisicamente: se già chiudere la frontiera con la Bielorussia danneggiava bielorussi e russi che si servivano di tale passaggio, ora chiudendo il passaggio tra Lituania e Kaliningrad, allora il territorio lituano diverrebbe in tutto e per tutto un BLOCCO di separazione fatto appositamente per tenere i russi lontani e scoraggiarne la circolazione fisica, una specie di buco nero sulle mappe per chiunque abbia passaporto russo o bielorusso (sono ormai la stessa cosa).

Gli abitanti di Kaliningrad nello specifico……si ritroverebbero sigillata quasi il 50% della propria frontiera terrestre, potendo così contare soltanto su quella polacca (col cui stato i rapporti non sono idilliaci), per poter FISICAMENTE uscire dalla propria regione. Non esistono alternative se buttarsi nel mare (…).

Per i viaggiatori dall’area UE = se anche la Polonia un giorno decidesse di chiudere i suoi valichi con Bielorussia e Kaliningrad, diventa materialmente impossibile raggiungere la Russia dal continente Europeo (toccherà servirsi esclusivamente di aeroporti da Turchia, Caucaso ed Emirati). Mai successo nemmeno ai tempi di Stalin.

27.10.2025

Si comunica che il confine terrestre tra LITUANIA e BIELORUSSIA è chiuso a tempo indeterminato.

La misura – presa a seguito dei palloni aerostatici che le autorità lituana avrebbero localizzato nel proprio spazio aereo e considerati mezzo spionistico (?) – di fatto chiude completamente una delle poche vie di passaggio tra Russia ed UE: un cittadino russo (moscovita) che volesse raggiungere l’Europa come faceva ? Semplice: da Mosca si raggiungeva in treno o in aereo Minsk a bassissimo costo……..quindi da Minsk (vedere la carta) si raggiungeva Vilnius in poche ore di autobus, ritrovandosi già in UE (dalla capitale lituana poi, partono voli low cost per tutto il continente).

Perlomeno era così per i russi dotati di visto famigliare (quello turistico non era più accettato nemmeno per il basilare transito del paese): da ora in poi con il valico CHIUSO non sarà proprio fisicamente possibile. Direi che a questo punto tutta la fascia di frontiera dalla Finlandia alla Lituania è impenetrabile……

Il solo momento in cui la circolazione è stata così chiusa nel secolo passato…….è stato nel 1918 e nel 1945: in perfetta coincidenza con le guerre mondiali.

Non vado oltre.

Dove sta andando l’Occidente?_di Peter Slezkine

Dove sta andando l’Occidente?

30.10.2025

Peter Slezkine

© Reuters

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L’Occidente ha effettivamente dominato gli affari mondiali per secoli. E il suo potere relativo sta rapidamente diminuendo. Gli europei – e le popolazioni di origine europea – sono sempre stati una minoranza a livello globale, ma hanno a lungo occupato le stanze del potere. Questa influenza sproporzionata sta chiaramente diminuendo e probabilmente continuerà a diminuire nei prossimi decenni. Ma “declino” non significa “sostituzione”, scrive Peter Slezkine in un articolo preparato appositamente per la 22a riunione annuale del Valdai Discussion Club.

L’Occidente potrebbe perdere il suo potere di governare con il diktat. Le sue istituzioni, la sua cultura e le sue mode morali potrebbero perdere il loro fascino. Ma continueremo a vivere in un mondo profondamente moderno e globalizzato di origine occidentale. I nostri sistemi educativi e scientifici, le nostre forme di governo, i nostri meccanismi legali e finanziari, il nostro ambiente costruito continueranno a poggiare su fondamenta occidentali.

Con questa premessa, possiamo passare alle domande principali. Che tipo di potere occidentale sta scomparendo dalla scena? E cosa dovremmo aspettarci dall’Occidente in futuro?

Possiamo dividere la storia dell’egemonia occidentale in due epoche distinte. Fino al 1945, l’Occidente può aver governato il mondo, ma lo ha fatto come un insieme di Stati in competizione tra loro piuttosto che come un’entità unica. In realtà, è stata proprio la competizione all’interno di un Occidente frammentato a fornire un importante impulso all’espansione verso l’esterno.

Dopo il 1945, il quadro è cambiato radicalmente. Per la prima volta, sotto l’egida americana è emerso un Occidente politicamente unito. Ma mentre i funzionari americani consolidavano l’Occidente, non organizzavano la politica estera degli Stati Uniti attorno ad esso. Al contrario, rivendicavano la leadership del “mondo libero”, che definivano negativamente come equivalente all’intero “mondo non comunista”. Il nucleo occidentale dell’ordine americano del dopoguerra era quindi doppiamente cancellato: era identificato con un liberalismo globale basato sul minimo comune denominatore che dipendeva, a sua volta, da una minaccia esterna per qualsiasi parvenza di coerenza interna.

22° incontro annuale del Valdai Discussion Club

29.09.2025 – 02.10.2025

Maggiori informazioni sull’evento

Diplomazia moderna

Il crollo dell’ordine mondiale e una visione della multipolarità: la posizione della Russia e dell’Occidente

Andrey Sushentsov

Gli Stati Uniti percepiscono la pace, la sicurezza e la stabilità come un dato di fatto che si realizza da sé. Secondo Washington, non sono necessari sforzi significativi per mantenerli e, quando ce n’è bisogno, sono gli stessi Stati Uniti ad avviare un conflitto militare. Questa è una grande differenza tra gli Stati Uniti e la Russia: la Russia capisce che, per salvare il mondo dalla catastrofe, le grandi potenze devono raggiungere un consenso e mantenere l’ordine nelle loro regioni, scrive il direttore del programma del Club Valdai Andrey Sushentsov.

Opinioni

Il crollo dell’Unione Sovietica non ha cambiato questa logica di fondo. L’Occidente ha continuato a identificarsi con l’intera “comunità internazionale” e, quando la democrazia liberale non è riuscita a diffondersi in tutto il mondo, è tornato a difendere il “mondo libero”, prima contro l’“Islam radicale” e poi contro i suoi familiari nemici della Guerra Fredda: Russia e Cina.

L’amministrazione Biden ha rappresentato sia il culmine che il compimento di questo approccio di politica estera. Biden è entrato alla Casa Bianca dichiarando una divisione globale tra democrazia e autocrazia e ha cercato di creare legami tra Europa e Asia come parte di un’alleanza globale contro Russia e Cina.

Ma il risultato, soprattutto dopo l’inizio dell’operazione speciale in Ucraina, non è stata l’unità di un “ordine liberale” globale, bensì un divario in rapida crescita e sempre più evidente tra le pretese universalistiche dell’Occidente e la sua portata limitata.

L’Europa ha seguito a ruota. Il resto del mondo ha per lo più seguito la propria strada. Alla fine, l’“ordine liberale” è stato respinto non solo dal mondo non occidentale, ma anche dall’elettorato americano, che l’anno scorso ha votato per la seconda volta a favore dell’America First.

A che punto è quindi l’Occidente? In linea di principio, vedo tre strade da seguire. La prima è una restaurazione liberale limitata. Si può immaginare che le élite europee respingano l’opposizione interna, sopravvivano a Trump e trovino un sostenitore nel Partito Democratico che prometta un parziale ritorno allo status quo ante. L’infrastruttura atlantista è forte e l’inerzia è una forza potente. Ma anche nel caso di una restaurazione post-Trump, l’antipatia popolare verso il programma internazionalista liberale comporterà una notevole contropressione e i vincoli di risorse continueranno a limitare la portata occidentale.

Un’altra possibilità è un vero e proprio ridimensionamento americano, inteso come abbandono dell’impero a favore della nazione. Dal punto di vista politico, una mossa del genere sarebbe molto popolare. La promessa di mettere al primo posto gli interessi dei cittadini americani ha un evidente fascino per l’elettorato americano. Anche in gran parte dell’Europa risuonano gli appelli a dare nuova priorità alla nazione. Il nazionalismo si inserisce naturalmente nel quadro della politica democratica. Rappresenta anche l’alternativa apparentemente ovvia al quadro precedentemente dominante dell’universalismo liberale. Una politica più nazionalista è la premessa fondamentale del MAGA, e figure come Steve Bannon – e altri “influencer” di destra – stanno attivamente promuovendo questo programma. La neutralizzazione dell’USAID, di Radio Free Europe (identificata come agente straniero e organizzazione indesiderabile in Russia) e del National Endowment for Democracy (identificato come organizzazione indesiderabile in Russia) rappresenta un passo sostanziale in questa direzione. Una nuova strategia di difesa nazionale che dia priorità alla difesa interna potrebbe costringere a un ulteriore allontanamento da una politica estera dedicata alla leadership dell’“ordine liberale”.

Allo stesso tempo, sarà difficile sciogliere i legami esistenti. Le élite atlantiste rimangono radicate in posizioni chiave all’interno e all’esterno del governo, e strutture vaste e complesse come la NATO e l’Unione Europea probabilmente resisteranno, anche se i partiti populisti acquisiranno potere in tutto l’Occidente. Altrettanto importante è il fatto che i leader nazionalisti occidentali sembrano comprendere che la ricerca ostinata della sovranità nazionale produrrà paesi troppo deboli per possedere una vera autonomia sulla scena internazionale. Se gli Stati Uniti si ritirassero nell’emisfero occidentale, il progetto di integrazione europea crollerebbe quasi certamente. E in un mondo di grandi potenze, le singole nazioni europee non sarebbero più in grado di puntare al di sopra delle loro possibilità (come facevano prima del 1945). Sebbene i partiti nazionalisti in Europa possano opporsi alle strutture transatlantiche dell’“ordine liberale”, tendono a non immaginare una rottura totale con gli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, dal canto loro, sono abbastanza grandi (e sicuri) da mantenere una posizione relativamente forte nel sistema internazionale anche se abbandonassero completamente il loro impero. Ma la maggior parte dei membri del MAGAverse non immagina un ritiro così completo. Come minimo, tendono a immaginare il mantenimento del dominio statunitense da Panama alla Groenlandia.

Ma molti sostenitori dell’America First preferirebbero mantenere il controllo dell’intero Occidente. La terza e ultima opzione, quindi, è un nuovo consolidamento transatlantico che sostituisca la logica universalista liberale con un quadro civilizzatore consapevole, con gli Stati Uniti come metropoli riconosciuta e l’Europa come periferia privilegiata. Se la leadership americana dell’ordine liberale rappresentasse un drenaggio netto di risorse (secondo Trump e Co), allora il nuovo accordo transatlantico invertirebbe il flusso. Allo stesso tempo, consentirebbe alle nazioni europee di entrare a far parte di un club con una popolazione e risorse sufficienti per competere sulla scena globale. Infine, l’adesione al club occidentale non richiederebbe il sacrificio dell’identità nazionale sull’altare del liberalismo globale. Anzi, richiederebbe la riaffermazione dell’identità nazionale e panoccidentale a scapito delle politiche che favoriscono l’immigrazione illimitata e l’espansione senza fine.

La costruzione di un “Occidente collettivo” consapevole costituirebbe un abbraccio della multipolarità e un tentativo di creare il polo più potente del sistema.

Probabilmente porterebbe anche a un riorientamento lontano dalla logica dei carri armati e delle truppe creata dalla contrapposizione della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica e verso un’attenzione alla tecnologia e al commercio più adatta alla concorrenza con la Cina. Il discorso del vicepresidente Vance al vertice sull’intelligenza artificiale a Parigi, il suo attacco contro gli atlantisti alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco e il recente discorso del presidente Trump alle Nazioni Unite hanno spinto l’Europa a riorganizzarsi in questo senso. Gli sforzi per trasferire gli oneri all’interno della NATO, insieme ai recenti accordi commerciali con la Gran Bretagna e l’UE, rappresentano passi concreti in questa direzione.

Il problema è che l’Occidente ha trascorso decenni dissolvendosi nell’ordine liberale e ha pochi contenuti civili su cui fare affidamento. Il canone occidentale è stato in gran parte distrutto nell’istruzione superiore. E la pratica religiosa è in declino in tutto l’Occidente. Il cristianesimo è ancora una forza potente nella politica americana (come abbiamo visto alla commemorazione in stile revival per Charlie Kirk). Ma l’Occidente non può più pretendere di essere la cristianità. Al momento, l’idea dell’Occidente attrae principalmente un piccolo numero di influenti intellettuali della Nuova Destra, geopolitici e titani della tecnologia che desiderano espandersi (ma si rendono conto che il globo è troppo grande per essere inghiottito).

Ci sono ostacoli su tutte e tre le strade. E non sono, in realtà, alternative. Il risultato più probabile è probabilmente una combinazione di tutte e tre. L’inerzia burocratica favorisce la prima opzione: un limitato ripristino liberale; la logica della politica interna favorisce la seconda: il ridimensionamento nazionalista; e gli imperativi geopolitici favoriscono la terza: la creazione di un vero e proprio “Occidente collettivo”.

In ogni caso, gli Stati Uniti dovrebbero essere in grado di mantenere una posizione favorevole. Le strutture dell’ordine liberale sono ancora forti, nonostante le crescenti crepe nelle fondamenta. Nel frattempo, l’amministrazione Trump continuerà a spingere per un rinnovamento delle relazioni transatlantiche verso un consolidamento più consapevole del blocco occidentale, unito da un approccio comune al commercio, all’alta tecnologia e alla gestione delle risorse. Infine, se l’Europa non riuscirà ad accettare il suo nuovo ruolo, o a svolgerlo bene, Washington potrà tagliare i ponti e ritirarsi nelle posizioni preparate nell’emisfero occidentale.

Il crollo dell’ordine mondiale e una visione multipolare: la posizione della Russia e dell’Occidente

20.11.2023

Andrey Sushentsov

© Reuters

Gli Stati Uniti considerano la pace, la sicurezza e la stabilità come un dato di fatto che si realizza da sé. Secondo Washington, non sono necessari sforzi significativi per mantenerle e, quando è necessario, sono gli stessi Stati Uniti ad avviare un conflitto militare. Questa è una grande differenza tra gli Stati Uniti e la Russia: la Russia comprende che, per salvare il mondo dalla catastrofe, le grandi potenze devono raggiungere un consenso e mantenere l’ordine nelle loro regioni, scrive il direttore del programma del Club Valdai Andrey Sushentsov.

Il rapporto del Club Valdai “Certificato di maturità, o l’ordine che non c’è mai stato” è un nuovo capitolo della serie analitica che i miei colleghi ed io prepariamo ogni anno per le riunioni annuali. Un ruolo importante nel rafforzare l’influenza delle argomentazioni del rapporto è svolto dal fatto che noi, forse prima di altri, abbiamo iniziato a scrivere del fatto che l’ordine mondiale ha iniziato a sgretolarsi. Ciò sta accadendo, da un lato, a causa del tentativo degli Stati Uniti di imporre il proprio dominio su tutti e, dall’altro, a causa della formazione nel mondo di un numero significativo di centri di potere strategicamente autonomi che non sono d’accordo con Washington.

La nostra tesi sul crollo dell’ordine mondiale è stata espressa per la prima volta nel rapporto del 2018. Abbiamo scritto di come la pressione dell’Occidente sul resto del mondo sia uno degli ultimi tentativi di mantenere il proprio dominio, che sta volgendo al termine. Per 500 anni, l’Occidente è stato un centro di potere e di iniziativa politica fondamentale e influente. I conflitti chiave si sono svolti in Occidente e le innovazioni e le idee politiche fondamentali sono nate nei paesi occidentali. Oggi, il centro di gravità dell’economia globale si sta inevitabilmente spostando verso Oriente.

Con un certo ritardo, anche il centro dell’iniziativa politica si sposterà verso Oriente. Questo fenomeno non sarà di breve durata, ma diventerà un processo determinante nel corso del XXI secolo e, molto probabilmente, anche oltre.

L’Occidente è ben consapevole dell’inevitabilità di questo processo. La sua pressione sul resto del mondo, sul non-Occidente, sulla Russia e sulla Cina è un tentativo di rallentare lo spostamento verso l’Oriente o di preservare l’iniziativa occidentale nel nuovo mondo complesso e di ottenere condizioni preferenziali di interazione con il resto del mondo.

Il fatto che l’Occidente diventerà un’altra regione del mondo alla pari delle altre, importante e significativa, ma non leader globale o egemone, è la caratteristica più importante dell’ordine emergente. Il mondo sta diventando uniformemente denso, complesso e influente. Tuttavia, questo processo richiederà del tempo e non avverrà dall’oggi al domani.

Diplomazia moderna

Chi è meglio preparato per una lunga crisi geopolitica?

Andrey Sushentsov

Il mondo sta cambiando in modo irreparabile e l’Occidente sta incontrando difficoltà nel consolidare i partecipanti al sistema internazionale mobilitandosi contro la Russia, scrive Andrey Sushentsov, direttore del programma del Valdai Club.

Opinioni

Invece di comprendere correttamente la natura dei cambiamenti e di proporsi come moderatore ragionevole ed esperto o come centro di competenza politica per conciliare gli interessi contrastanti dei diversi paesi, l’Occidente agisce come centro attivo di disorganizzazione dei processi in diverse regioni del mondo. Con le sue azioni, aggrava i conflitti, disorganizza i sistemi regionali e quindi favorisce lo scenario più sfavorevole per sé stesso. In realtà, le azioni occidentali stanno spingendo la Russia ad allearsi con altri influenti centri di potere nel mondo, e un processo che potrebbe richiedere diversi decenni si sta verificando nel giro di pochi mesi.

Inoltre, le tendenze sociali, economiche e demografiche rendono il trasferimento del potere verso l’Oriente un processo oggettivo che non può essere fermato. Il potere militare e il possesso di risorse materiali e potenziale economico stanno ricominciando, come nel corso della storia mondiale, a svolgere un ruolo di primo piano. Qualche tempo fa, i paesi di tutto il mondo, influenzati dalla narrativa occidentale secondo cui “il mondo è piatto” e “la fine della storia” è arrivata, hanno iniziato a credere che l’economia dei servizi, l’interconnessione globale e i valori condivisi fossero la risorsa più significativa nel nuovo contesto internazionale. Alcuni paesi hanno effettivamente intrapreso la strada della riduzione delle loro risorse materiali e della loro influenza sulle relazioni internazionali.

Gli attuali sviluppi mondiali hanno dimostrato che si è trattato di un errore. I paesi la cui quota di servizi supera il 70% del PIL si sentono estremamente a disagio nell’attuale contesto internazionale. Tuttavia, i paesi in cui le risorse materiali e la loro estrazione, la produzione industriale, la produzione agricola e il commercio di risorse rappresentano una quota importante del PIL si sentono più a loro agio. Si rendono conto che la situazione sui mercati mondiali dipende da loro e, naturalmente, il centro di gravità globale politico, militare e di altro tipo si sposta verso di loro. Pertanto, vediamo che il potere, compreso quello militare, è ancora una valuta molto importante nel sistema internazionale. Gli Stati Uniti non si sono discostati molto da questa conclusione, nonostante abbiano proposto che tutti debbano considerare il mondo stabile e sicuro, poiché essi stessi rimangono il principale militarista mondiale con il più grande bilancio militare.

Gli americani considerano la multipolarità una situazione instabile con un gran numero di rischi e minacce. Allo stesso tempo, accusano i paesi che ritengono la multipolarità la configurazione ottimale del sistema internazionale di non essere pronti ad assumersi la responsabilità della stabilità nelle loro regioni e che solo gli Stati Uniti sono costretti ad assumere questo ruolo.

Dal punto di vista russo, questa interpretazione è errata. Le azioni americane, come hanno dimostrato gli ultimi 30 anni, portano ad un aumento della tensione e all’accumulo di contraddizioni che esplodono in crisi militari.

La Russia considera la multipolarità come una struttura naturale e organica delle relazioni internazionali, poiché si rende conto che nessuna potenza è attualmente in grado di gestire la comunità internazionale in tutta la sua complessità.

La Russia propone di considerare il mondo come una struttura fragile, il cui mantenimento richiede sforzi significativi da parte di tutti i paesi. Gli Stati Uniti percepiscono la pace, la sicurezza e la stabilità come un dato di fatto che si realizza da sé. Secondo Washington, non sono necessari sforzi significativi per mantenerla e, quando ce n’è bisogno, sono gli stessi Stati Uniti ad avviare un conflitto militare. Questa è una grande differenza tra gli Stati Uniti e la Russia: la Russia comprende che, per salvare il mondo dalla catastrofe, le grandi potenze devono raggiungere un consenso e mantenere l’ordine nelle loro regioni.

Man mano che queste grandi tendenze verso la formazione della multipolarità vengono attuate, gli Stati Uniti capiranno che non è necessario esagerare l’area della loro responsabilità per gli affari internazionali e si sentiranno in modo abbastanza armonioso come uno degli Stati leader, ma non più come un’egemonia. Nel prossimo futuro, questo obiettivo non può essere considerato rilevante, poiché l’Occidente sta attuando una strategia volta a sconfiggere la Russia. Il nostro rapporto è conflittuale, una rivalità molto intensa, in cui l’Occidente utilizza tutte le misure contro la Russia. Naturalmente, date le condizioni attuali, non abbiamo intenzione di costruire nulla insieme.

Tuttavia, dopo che l’Occidente avrà compreso come si presenta l’equilibrio di potere in Europa, si verificherà un risveglio che dovrebbe portare al potere in Occidente nuove forze politiche che si rendono conto che i tentativi di dominio sono un vicolo cieco. Se ciò si concretizzerà, sarà possibile tornare a un dialogo paritario su come possiamo cooperare per garantire la stabilità e la sicurezza globali.

Il disperato tentativo delle forze speciali di salvare Pokrovsk fallisce mentre le forze armate ucraine affrontano un crollo senza precedenti su tutti i fronti_di Simplicius

Il disperato tentativo delle forze speciali di salvare Pokrovsk fallisce mentre le forze armate ucraine affrontano un crollo senza precedenti su tutti i fronti

2 novembre
 
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La situazione continua a peggiorare sempre più per l’Ucraina.

Le principali testate giornalistiche riportano sempre più spesso i fatti concreti relativi alla situazione in Ucraina, che si tratti della crisi di manodopera o del collasso della rete elettrica:

In linea con quanto riportato nell’articolo del Telegraph, gli ultimi dati mostrano che nel 2025 le diserzioni in Ucraina sono aumentate vertiginosamente:

Nell’articolo dello Spectator sopra riportato, intitolato “Chi salverà le truppe ucraine a Pokrovsk?”, l’autore chiede essenzialmente alle autorità ucraine di salvare le truppe presenti sul posto, piuttosto che lasciarle “massacrare” come nei precedenti accerchiamenti, in cui il comando ucraino ostinato ha rifiutato di cedere terreno per privare spietatamente la Russia del suo trionfo il più a lungo possibile, a costo della vita di molti soldati.

Il comando militare ucraino non è sempre riuscito a mantenere tale equilibrio, permettendo talvolta alle proprie truppe di essere circondate e massacrate piuttosto che ordinare una ritirata tempestiva. Oggi, quella stessa scelta tra territori e vite umane viene compiuta a Pokrovsk.

L’unico modo per evitare un massacro una volta ordinata la ritirata è che i soldati ucraini si allontanino in piccoli gruppi attraverso la linea del fronte porosa, abbandonando tutte le attrezzature pesanti. Come ad Avdiivka e, più recentemente, nella regione russa di Kursk, alcuni dovranno rimanere indietro per coprire la ritirata, affrontando una morte certa o mesi di tortura nella prigionia russa.

La scorsa settimana le forze armate ucraine hanno dovuto affrontare un crollo della linea del fronte senza precedenti, praticamente su tutti i fronti principali. Sono state segnalate avanzate ovunque, dalla linea Zaporozhye-Dnipro a Pokrovsk, Konstantinovka, Seversk, Lyman e Kupyansk.

Poiché questa è l’unica vera notizia che conta in Ucraina in questo momento, passeremo subito ad analizzarla per comprendere la portata del collasso ucraino. Ma prima rivediamo le recenti dichiarazioni di Putin sulla situazione al fronte, rilasciate durante una visita ai soldati feriti in convalescenza:

Putin:

“La situazione generale nella zona dell’operazione militare speciale si sta sviluppando molto bene per noi. I vostri compagni d’armi stanno avanzando attivamente su tutti i fronti. In due luoghi, come sapete, nelle città di Kupyansk e Krasnoarmeysk, il nemico è stato bloccato e circondato. A proposito, ho discusso la questione con i comandanti dei rispettivi gruppi di truppe. Non si oppongono a far entrare nella zona dell’accerchiamento i rappresentanti dei media – giornalisti stranieri e ucraini – affinché possano entrare e vedere con i propri occhi cosa sta succedendo lì e verificare le condizioni delle unità ucraine circondate. In questo modo, la leadership politica dell’Ucraina potrà prendere la decisione appropriata riguardo al destino dei propri cittadini e dei propri militari, proprio come è stato fatto una volta ad «Azovstal». Avranno questa opportunità. Ci preoccupa solo una cosa: che non ci siano provocazioni da parte ucraina. Siamo pronti a cessare le ostilità per un certo periodo, per alcune ore – due, tre, sei ore – affinché gruppi di giornalisti possano entrare in questi insediamenti, vedere cosa sta succedendo, parlare con i militari ucraini e andarsene.

Putin ha offerto in modo controverso un cessate il fuoco temporaneo a Pokrovsk affinché i giornalisti occidentali potessero vedere con i propri occhi quanto fossero realmente circondate le forze ucraine presenti sul posto, un fatto attestato da Julian Ropcke che ha deriso il proprio invito personale:

La controversa richiesta di Putin ha sollevato un vespaio tra i sostenitori della Russia, che temono che il leader russo stia nuovamente mostrando debolezza nei confronti del nemico offrendo concessioni. Capisco il punto di vista di entrambe le parti, ma in questo caso penso che un cessate il fuoco di poche ore, come proposto da Putin, non causerebbe molti danni, ma porterebbe grandi benefici in termini di pubbliche relazioni. Inoltre, come sempre, Putin ha l’abitudine di fare offerte che sa saranno rifiutate dalla parte avversaria solo per apparire come un leader misericordioso e ragionevole, in contrasto con il suo avversario Zelensky.

Il motivo per cui ciò riveste particolare importanza, tuttavia, è che l’accerchiamento di Pokrovsk è diventato un importante segnale d’allarme per le attuali condizioni delle AFU. L’accerchiamento che le forze russe hanno realizzato attorno a questo agglomerato sembra essere il più stretto che abbiano mai realizzato attorno a una città, se dobbiamo credere alle mappe filo-russe, il che è un segnale estremamente eloquente rispetto all’attuale capacità di combattimento delle truppe ucraine.

La configurazione attuale mostra una distanza di soli ~2 km tra le linee russe rimanenti:

Si tratta di un varco molto stretto attraverso il quale, secondo quanto riferito, solo uno o due soldati ucraini alla volta possono tentare di fuggire, approfittando della nebbia, della notte o di altre “condizioni particolari”.

Certo, c’è molto dibattito su quante truppe ucraine siano effettivamente rimaste in quella sacca, e come ho affermato di recente, è probabile che non siano molte, forse poche centinaia o meno, ma nessuno sembra saperlo con certezza.

Tuttavia, o la quantità rimasta è ancora significativa, oppure ci sono ancora alcune persone molto importanti rimaste, perché il GUR ucraino ha deciso di lanciare un’audace operazione delle forze speciali con elicotteri “dietro le linee nemiche” fino alla punta dell’accerchiamento, per ragioni che per ora possiamo solo ipotizzare.

L’operazione è stata condotta qui, dove gli operatori delle forze speciali si sono trincerati negli edifici o nella vegetazione, prima di essere apparentemente distrutti dai droni russi in attesa:

Annuncio ufficiale del Ministero della Difesa russo:

Come affermato, un simile tentativo di infiltrazione suicida da parte delle GUR è quasi senza precedenti e rappresenta un atto disperato commisurato alla gravità della situazione. Considerando questo tentativo e la proposta senza precedenti di Putin di consentire ai media di assistere all’accerchiamento, possiamo solo supporre che la “morsa” di Pokrovsk sia una delle più complete che le forze russe abbiano mai realizzato finora.

Un post pubblicato direttamente da un importante canale ucraino legato all’esercito:

Certo, gli ucraini hanno ottenuto un grande successo nel respingere le forze russe dall’insediamento di Dobropillya a nord, il che ha persino suscitato voci secondo cui Gerasimov avrebbe “licenziato” il generale della 51ª Armata responsabile di quel quadrante, proprio a causa di questo fallimento. Ma le azioni qui erano state progettate per alleggerire la pressione su Pokrovsk e questo non sembra aver funzionato per l’AFU.

https://news.sky.com/story/le-truppe-ucraine-iniziano-ad-arrendersi-in-una-città-chiave-ma-Kiev-afferma-che-la-situazione-è-dinamica-13461786

Il crollo più consistente delle AFU continua a verificarsi lungo la linea del fiume Yanchur, dove la catena di insediamenti che abbiamo seguito per settimane è stata finalmente quasi completamente smantellata:

Da notare in particolare a nord, dove le forze russe stanno già entrando a Danylovka e ne hanno conquistato una parte. Questa città domina l’importante autostrada T0401 che rifornisce Gulyaipole a sud, e la sua conquista complicherà la logistica per Gulyaipole, che sta già iniziando a essere assediata su tre lati in termini di principali vie di rifornimento.

Inoltre, le forze russe hanno conquistato un’ampia fascia di territorio direttamente a nord di quest’area per rafforzare i fianchi e iniziare l’assalto verso l’altra Pokrovske, situata a nord-ovest della linea:

Appena a nord-est di lì, le forze russe hanno già iniziato a entrare e a conquistare Novopavlovka, che era stata lentamente circondata nelle ultime settimane:

Vista più ampia:

Per chi non segue da vicino, nella panoramica sopra è possibile vedere Pokrovsk a nord-est e la linea Yanchur a sud-ovest.

Cosa significa questo? Significa che si aggiunge un altro insediamento di grandi dimensioni che le forze russe probabilmente conquisteranno presto, insieme a Pokrovsk, Kupyansk e molti altri che stanno iniziando a cadere.

A nord, le forze russe hanno iniziato a prendere d’assalto la punta meridionale di Seversk, il che significa che anche questa città chiave è destinata a cadere nel prossimo futuro:

Progressi ancora più significativi sono stati registrati a nord-ovest di lì, a Krasny Lyman, dove le forze russe stanno ora assaltando la parte meridionale della città, dopo averne già conquistato una parte considerevole:

Ciò che è ancora più scioccante è la rapidità con cui le forze russe stanno avanzando sul fianco settentrionale di questo fronte, dove si sono spinte in profondità nelle foreste verso il fiume Seversky Donets:

Di fatto, questo li pone già nel raggio d’azione dell’artiglieria di Izyum:

Infine, Kupyansk ha registrato nuovamente importanti progressi. Le forze russe hanno attraversato il fiume da ovest e stanno avanzando anche da nord per conquistare l’ultima sezione sulla riva sinistra o orientale:

Una vista più ravvicinata mostra la zona più settentrionale della sponda orientale sotto assedio:

Inoltre, sulla prima mappa più ampia sopra riportata, è possibile vedere che le forze russe hanno già preso d’assalto il lato occidentale per conquistare Sadove, il che sta trasformando sempre più l’intera zona di Kupyansk in un vero e proprio calderone:

Allora, cosa abbiamo?

Pokrovsk e Mirnograd sono entrambe destinate a cadere presto. Kupyansk è destinata a cadere; Seversk, Krasny Lyman, Novopavlovka e Konstantinovka sono tutte sotto assedio e probabilmente cadranno prossimamente, mentre Gulyaipole e altre città saranno poi assediate.

La Russia era arrivata a conquistare in media solo una grande città all’anno (Mariupol nel 2022, Bakhmut nel 2023, Avdeevka nel 2024). Ora, le forze russe sono pronte a conquistare una serie di città in rapida successione. Allo stesso modo, l’Ucraina ha lanciato una grande “controffensiva” ogni anno dall’inizio della guerra: c’è stata quella di Kherson e Kharkov nel ’22, quella “grandiosa” di Zaporozhye nel ’23 e quella di Kursk nel ’24. Il 2025 è stato il primo anno senza una grande controffensiva ucraina.

Queste due statistiche contrastanti sono eloquenti: l’AFU è ormai esaurita e l’avanzata russa sta accelerando drasticamente.

Allo stesso tempo, gli attacchi della Russia alla rete elettrica ucraina sono stati i più determinati mai visti, con molti che hanno notato comportamenti “insoliti” come il doppio attacco alle squadre di riparazione e il lancio di giganteschi sciami di droni su ogni struttura, invece che semplicemente uno o due missili. Diversi funzionari ucraini hanno già invitato la popolazione ad abbandonare Kiev, avvertendo che per gran parte del prossimo inverno non ci sarà il riscaldamento.

La principale autorità energetica ucraina Ukrenergo:

Alcuni parlamentari ucraini stanno addirittura sollecitando una tregua energetica:

Un commentatore ucraino riassume la situazione: prestate particolare attenzione all’ultimo paragrafo.

Roman Ponomarenko scrive su TG:

“Un post pessimista, ma è così. Data l’attuale configurazione della guerra a cui stiamo assistendo, la sua conclusione chiaramente non sarà a nostro favore. Nessuno parla più dei confini del 1991 e il presidente Zelensky ha ripetutamente dichiarato la sua disponibilità a cessare le ostilità lungo la linea di contatto. E sebbene egli sottolinei costantemente che l’Ucraina non cederà nemmeno un centimetro del proprio territorio, l’attuazione pratica di questa intenzione appare incerta. Al momento non possiamo riconquistarli con mezzi militari. E sperare che la Russia rinunci volontariamente alle terre incorporate nella sua costituzione è futile: così facendo, Putin non solo delegittimerebbe se stesso come leader russo, ma firmerebbe anche la sua condanna a morte.

Le garanzie di sicurezza che Zelensky cerca così disperatamente sembrano una chimera palese nel mondo di oggi. Né gli Stati Uniti, né l’Europa, né la NATO combatteranno per noi, né ora né tra 5-10-15 anni. L’unica cosa su cui possiamo contare è un conflitto diretto tra la NATO o l’Europa e la Russia, ma solo dopo la fine della nostra guerra. Considerando che attualmente né gli Stati Uniti né l’UE ritengono vantaggioso o necessario il crollo della Russia, non sono sicuro che l’Europa combatterà attivamente nemmeno per se stessa. È più probabile che cercherà di comprare il conflitto, con denaro o territorio. Non è un caso che nei Paesi baltici non ci sia attualmente alcuna fiducia che la NATO combatterà per loro anche in caso di aggressione diretta da parte della Russia.

Pertanto, dopo la guerra, avremo perdite territoriali e una Russia guidata da Putin ai nostri confini, incoraggiata dalla vittoria e dalla grandezza imperiale. Ci imporrà le sue richieste in materia di politica estera e interferirà nella politica interna attraverso le elezioni a tutti i livelli. Considerando che gli ucraini sono molto bravi a litigare tra loro, questo non sarà difficile da realizzare per il nemico. Come esempio, guardate l’attuale Georgia, che 15 anni fa era categoricamente anti-russa.

E la domanda principale: l’Ucraina può vincere e garantirsi un futuro sicuro per almeno alcuni decenni? Teoricamente sì. Per questo, abbiamo bisogno di una destabilizzazione interna in Russia e di un cambiamento del regime al potere. Ciò è possibile con un approccio globale da parte nostra (alcuni aspetti sono già stati attuati: sul fronte stanno morendo più russi che soldati ucraini e gli attacchi alle raffinerie hanno provocato una crisi di benzina in molte regioni della Russia; alcuni aspetti devono ancora essere realizzati, come fomentare il confronto interno in Russia, ad esempio tra la popolazione indigena e i migranti, ecc. Tuttavia, i nostri sforzi da soli non sono sufficienti. Anche i partner occidentali dell’Ucraina devono dare il loro contributo. Sono disposti a correre dei rischi, dato che non vogliono il collasso della Russia? Una domanda retorica, semmai.

Il fatto più rivelatore delle improvvise avanzate russe su tutti i fronti è che queste non sembrano essere state ottenute a scapito di grandi assalti meccanizzati con enormi perdite, come era avvenuto in alcune delle precedenti “offensive” ufficiali della Russia. Certo, nelle ultime due settimane abbiamo assistito a una serie di assalti meccanizzati, ma questi hanno interessato principalmente fronti secondari, ad esempio la zona occidentale di Zaporozhye, intorno a Orekhove, a Shakhove, a nord di Pokrovsk, ecc.

I principali fronti discussi in precedenza sembrano tutti collassare nella solita vecchia tattica del “mille tagli”. Ciò significa, soprattutto, che la Russia non sembra pagare un prezzo elevato in termini di vittime e perdite di equipaggiamento per questi recenti successi, ad eccezione di equipaggiamenti sacrificabili come biciclette, auto civili, bukhankas, ecc.

Se così fosse, ciò rappresenterebbe un segnale estremamente negativo per l’AFU. Significherebbe infatti che è stato raggiunto un punto di non ritorno, in cui la Russia non dovrà più impiegare risorse ingenti per continuare a compiere questi progressi, il che significa che essi proseguiranno senza sosta.

Non sappiamo con certezza se sia così; ad esempio, il fatto che questo improvviso crollo delle AFU abbia coinciso proprio con l’arrivo della rasputitsa e di altre condizioni climatiche avverse simili a quelle invernali potrebbe significare che ciò ha più a che fare con la recente avanzata della Russia. Ma, come ho già affermato più volte in precedenza, la Russia ha sempre condotto le sue campagne più importanti durante l’inverno, periodo in cui sono state effettuate le operazioni di Bakhmut e Avdeevka.

Inoltre, in molte campagne precedenti, le forze russe hanno esercitato una forte pressione sin dall’inizio, per poi esaurirsi a causa delle perdite e dell’arrivo delle riserve ucraine; si vedano ad esempio la campagna di Sumy, Volchansk a Kharkov, ecc. Ma in questo caso, l’AFU sembra davvero rompersi in massa per la prima volta, tanto che è difficile immaginare che le forze russe possano arrivare a un esaurimento lungo l’intero fronte da questo punto in poi: ci sono semplicemente troppe aree in cui l’Ucraina non ha più le risorse umane per difendersi adeguatamente.

Alcuni hanno anche notato altre interessanti peculiarità dei recenti successi della Russia: stanno conquistando importanti insediamenti senza raderli al suolo, come avveniva in passato con Avdeevka, Bakhmut e persino con insediamenti più piccoli come Marinka:

Una delle cose che ho notato riguardo alla battaglia di Pokrovsk è che, a differenza di quanto accaduto all’inizio della guerra, i russi non hanno distrutto la città. Sembra che l’uso di munizioni pesanti sia notevolmente diminuito. Probabilmente ci sono varie ragioni per questo. Me ne vengono in mente due. Gli attacchi di precisione con i droni hanno probabilmente sostituito in una certa misura la necessità di munizioni pesanti. In secondo luogo, i problemi di personale dell’AFU potrebbero significare che non sono più necessarie.

Ciò sembra avere più a che fare con il fatto che le forze ucraine sono così ridotte che non sono nemmeno più in grado di difendere le città abbastanza a lungo da consentire ai russi di radere al suolo tutto. Le forze armate ucraine iniziano a ritirarsi anche contro gli ordini diretti e la schiacciante superiorità numerica delle truppe russe le spazza via da ogni lato.

https://kyivindependent.com/le-truppe-russe-superano-in-numero-l’ucraina-8-1-nel-settore-di-pokrovsk-afferma-zelensky/

Come è possibile superare numericamente il proprio avversario in quel modo quando questi sta infliggendo perdite pari a 10:1?

Una cosa da ricordare è che, con il progredire del crollo delle AFU, esso non potrà che accelerare per il fatto che gli intervalli di tempo a disposizione dell’Ucraina per costruire adeguate linee difensive a una distanza appropriata dietro ogni fronte in crollo o ogni avanzata russa sono sempre più brevi. Questo è il motivo per cui da tempo sostengo che il crollo, a un certo punto, non potrà che assumere un andamento parabolico, anziché rimanere lineare in termini di intensità.

L’unica cosa che potrebbe rallentarlo a questo punto è probabilmente una nuova grande mobilitazione da parte dell’Ucraina, che coinvolga sia i diciottenni che le donne. Ma, primo: ciò potrebbe significare il suicidio politico di Zelensky; e secondo: anche se la mobilitazione iniziasse ora, ci vorrebbe almeno sei mesi prima di vedere effetti concreti.

Concludiamo con queste riflessioni di un analista militare russo sui prossimi mesi di sviluppi nel campo dei droni:


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Il coccodrillo nello stagno_di WS

Oggi  commenterò per  esteso  il mellifluo  Korybko   sempre  così prodigo  di buoni  consigli  alla  Russia   e lo faccio dopo  aver letto   quanto  di  esso riportato  qui, dove , seppur  concludendo  con  consigli  che   non mi convincono , Korybko     parte  da una  corretta  constatazione :  gli U$A , gli  attuali  signori    del “rimland” non  stanno  “ritirandosi”  ma  ampliando  il loro  assalto  all’ “heartland”  e lo fanno  con la solita  strategia  ereditata  dai loro  parenti  inglesi : la strategia  dell’Anaconda.

E  qui  dobbiamo  innanzitutto  comprendere   come   questa  si sviluppi   e  quanto    sia antica  e determinata   questa  strategia di  predazione.

La  “ strategia de “l ‘Anaconda ”   o    del “Leviatano/ serpente  di mare/coccodrillo “, volendo  andare molto   più indietro fin  nella mitologia ,  consiste  nell’ avvolgere per  stritolare/affogare  la propria  vittima,   che nel caso   del “Behemot/ animale  di  terra/ippopotamo”  deve essere  una strategia ben   dissimulata      per  evitare  che  il   potente  ippopotamo possa  difendersi  lacerando  a morte  il  coccodrillo    con la sua       forza.

E’ infatti  evidente   che  questa mitologia  nasca   dalla  forzata  “convivenza”   tra  coccodrilli  ed ippopotami  nelle pozze  in restringimento    del deserto egiziano e  che la  cosa abbia profondamente  colpito allora l’ immaginario  di  coloro  che   avevano osservato la cosa  ,   trasferendola così   nella mitologia  di quei popoli  del mediterraneo orientale

Comunque nel mito  del  “Leviatano”, questa     creatura   “contorta , malvagia  e avvolgente” opera  sempre   nella dissimulazione  e nel  caos; è lui  sempre  e solo l’ aggressore   perché  deve  predare  per  vivere   mentre  il Behemot   il suo  vitale avversario     può prosperare     mangiando  erba.

Ovviamente  tutto questo  è un mito,  ma   ciò che   stiamo  vivendo  gli   assomiglia  molto e potrebbe  essere  raccontato  come   la  favola  de “ il coccodrillo nello  stagno”.

  In  questo “stagno”  che  è di fatto ormai  il mondo  globalizzato   sono  cresciuti coccodrilli  molto  grossi e voraci   che  in   mancanza   di  sufficienti  erbivori   “facili”      cominciano a divorarsi  tra loro     guardando anche   ai pochi  ippopotami   che  stanno insieme  a loro   nello “stagno”  e   che  “prede  facili”   non sono.

 I coccodrilli  questo lo  sanno,  ma non  sanno  come altro  calmare la propria  voracità  e quindi  cercano  di predare anche i pochi ippopotami  rimasti  nello specchio d’acqua   con,    guarda caso,  quella  che    è sempre  stata  la strategia del regno inglese:  avvolgere  e dividere  le  varie  “bestie”  con cui è entrato contatto  fino  a privarle delle  loro  forza,  smembrarle  e  “cibarsene”.

Tutti i più potenti    stati  del continente europeo    sono passati  da questo “trattamento”   e nessuno  se ne è accorto in tempo.  Nessuno, anzi,  aveva  raccolto  l’ analogia,  finché gli  stessi inglesi  non hanno   teorizzato  questa loro  strategia  di dominio   con Mackinder,  rivelando  così  quella  che era  diventata la loro  ossessione: l’ inarrivabilità  dell’ impero Russo,    questo    enorme animale  cresciuto  possente   nelle  steppe  dell’  Eurasia.

Sono infatti   almeno  170  anni  che l’ elite inglese  si  arrovella  in  questa impotenza  perché nonostante  gli enormi  colpi già  inflitti  a     “l’ animale” ,  esso  è ancora  vivo   ed in grado   fargli molto male.

Ma a  che  serve   tutto questo mio allegorico  preambolo?  Solo  a dire  che   questa ossessione  e questa  strategia     è  trasmigrata  nella  testa   del ben  più  enorme “coccodrillo”  americano     : gli U$A.

I  quali  U$A,   ormai  diventati   i principali “predatori”  nello “stagno”,  possono anche  raccontare in giro    che  vorrebbero    tornare  a “mangiare  erba”  come  tutti  gli altri stati, ma l’ unico  modo  con cui possono  risolvere  alla  svelta la loro  smisurata fame (  “american  way of life” la chiamano loro )  è solo  quello  di trovare  un modo migliore  per   catturare ANCHE le  “ grosse prede”.

 Che poi è sempre il solito modo : dividerle    e poi  attaccarle  una  alla volta. Questo che ci  sta  dicendo Korybko.

E   se tutte “ bestie”  sono in allarme ?  Beh , laddove non si possano  tranquillizzare,  bisogna    almeno confonderle   ed è a questo  che  serve la girandola Trump. L’ importante   è  che le “bestie “ non  facciano “branco”  per  difendersi.

Il  che   poi  negli “erbivori”  è cosa abbastanza normale,  perché in  genere  ognuno  “bruca”  per  proprio conto.

Ma ora, entrando nel più specifico    triangolo   U$A-Russia-Cina ,   sarebbe  veramente   da  bischeri    se   Russia e Cina, ma soprattutto  Russia,   non  si  ricordassero     dei  trattamenti già ricevuti;  “il serpente” però è abilissimo a raccontare  favole   e soprattutto   specializzato  a  ipnotizzare  le élites.  Da qui l’ estrema prudenza  di  entrambe   le potenziali “vittime”.

A molti    di sicuro meraviglierà    soprattutto la “prudenza”  russa     la cui  dirigenza , nonostante la Russia  si trovi  sotto  attacco VERO, continua  a  cercare  un appeasement   con un “  caro partner”   la cui   maligna falsità      dovrebbe  essergli   già ben nota. Un paradosso     quindi   che li rinchiude  così nella veste     dei  “deboli  ed ingenui”,  incoraggiando  quindi l’aggressione  in corso.

Quale spiegazione  allora ?  La darò   dopo  aver     ricordato   quanto  apparisse  debole  ed  esitante lo   zar Stalin   tra   il 1938  e il 1941   quando  sappiamo per certo  dai  documenti riservati del tempo  che  Stalin  avesse  già  da  anni prima definita inevitabile la guerra  e prioritario un   riarmo massiccio  e forzato.

Semplicemente  allora Stalin  stava  guadagnando  tempo    per  rafforzarsi  ed     vedere  con    migliore  chiarezza   nel quadro  strategico. Questa  stessa cosa  sta facendo  adesso Putin

Ma quale chiarezza  strategica     sta aspettando Putin ?     Su due aspetti   ovviamente .

 La prima è la stabilità del quadro interno.  Stalin non si poteva fidare  del partito   esattamente   quanto Putin  non si può  fidare   della  sua elite; l’ unica  differenza  è nella modalità delle “purghe”  attualmente in corso.

La  seconda è capire la reale posizione   di  TUTTI i propri  vicini   quando lo scontro   entrerà     veramente  “nel vivo”.

  Ma allora  quale è  la conclusione   della  favola ? 

 Non lo so , ma posso dire, e  ce lo ha mostrato la stessa BBC,    che   nelle pozze   dell’ Okawango   quando un  coccodrillo  attacca  un ippopotamo  ,  di  solito  finisce  con una strage  di  coccodrilli .

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Ancora una volta sulla tragedia geopolitica del XXI secolo: lo scisma mondiale e le sue radici NATO-russe_di Gordon Hahn

Ancora una volta sulla tragedia geopolitica del XXI secolo: lo scisma mondiale e le sue radici NATO-russe

Gordon Hahn 31 ottobre∙Pagato
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In un raro caso di correttezza riguardo a qualcosa sulla Russia, il New Yorker e Masha Gessen hanno pubblicato diversi anni fa un breve articolo che discuteva estratti dalle trascrizioni di Clinton-Eltsin appena pubblicate. L’articolo risale a un’epoca passata, in cui era possibile non incolpare la Russia e il presidente russo Vladimir Putin per ogni crimine commesso. Gessen non è mai stata una “burattinaia di Putin”; è un’attivista gay radicale, anzi rivoluzionaria, e una dissidente russa che si oppone fermamente a Putin. Ha scritto numerosi libri e articoli sulla “Russia di Putin” da quando è stato pubblicato l’articolo descritto di seguito, molti dei quali contengono resoconti molto unilaterali che criticano Putin. Ma l’estratto qui sotto è di natura diversa e merita di essere letto. È un ritorno al passato, a prima della grande rottura di Maidan, quando era possibile, almeno per gli oppositori di Putin, scrivere in modo obiettivo, riportando le sfumature di grigio.

A quel tempo, si potrebbe persino immaginare di considerare – sorprendentemente! – se la Russia non fosse l’unica responsabile della nuova guerra fredda, quali azioni occidentali abbiano portato alla rottura delle relazioni tra Stati Uniti e Russia e quanto inevitabile e persino provocata fosse l’attuale guerra in Ucraina a causa di tali azioni. Tutte queste erano catastrofi geopolitiche preannunciate dall’espansione della NATO a est e dalle conseguenti violazioni del diritto internazionale. In Jugoslavia e Serbia, l’Occidente ha registrato la prima grande violazione militare da parte di una grande potenza estera dopo che il riavvicinamento tra Stati Uniti e Unione Sovietica aveva inaugurato l’era post-Guerra Fredda. Questa azione occidentale, in particolare della NATO, è stata il bombardamento della Jugoslavia e il conseguente riconoscimento dell’indipendenza albanese, violando la risoluzione sponsorizzata dall’Occidente stesso che ne sanciva l’integrità territoriale.

Per una volta Gessen è imparziale e coglie nel segno la Russia nel descrivere l’effetto che i bombardamenti illegali della Jugoslavia da parte della NATO hanno avuto sul pensiero politico russo, anche se permangono alcuni dei soliti pregiudizi:

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Eltsin non fa che rattristarsi. “D’ora in poi il nostro popolo avrà sicuramente un atteggiamento negativo nei confronti dell’America e della NATO”, dice. “Ricordo quanto sia stato difficile per me cercare di orientare la testa del nostro popolo, la testa dei politici verso l’Occidente, verso gli Stati Uniti, ma ci sono riuscito, e ora perdere tutto questo. Bene, dal momento che non sono riuscito a convincere il Presidente, significa che ci aspetta una strada molto difficile, molto difficile, per quanto riguarda i contatti, se si dimostreranno possibili. Addio.”

Diciannove anni dopo, sembra chiaro che un presidente sia stato più onesto dell’altro. Contrariamente a quanto affermato da Clinton, lui e gli altri leader della NATO avevano certamente una scelta in quella situazione, e la scelta che fecero – lanciare un’offensiva militare senza l’approvazione delle Nazioni Unite – cambiò il modo in cui gli Stati Uniti esercitano la forza. Aggirando il Consiglio di Sicurezza e affermando gli Stati Uniti come unico arbitro del bene e del male, aprì la strada, tra le altre cose, alla guerra in Iraq.

Cambiò anche la Russia. Quella che fu vista come una decisione unilaterale americana di iniziare a bombardare un alleato russo di lunga data incoraggiò l’opposizione nazionalista e fece leva su un profondo complesso di inferiorità. Sensibile a questi sentimenti, Eltsin rispose quel maggio celebrando il Giorno della Vittoria con una parata militare in Piazza Rossa, la prima in otto anni. In effetti, quell’anno si svolsero parate militari in tutto il Paese, che da allora si sono ripetute ogni anno. Ciò che fu ancora più spaventoso fu una serie di parate non governative del Giorno della Vittoria da parte di ultranazionalisti. Il fatto che queste manifestazioni pubbliche, alcune delle quali raffiguravano la svastica, fossero tollerate, e in così stretta prossimità con le celebrazioni della festa più sacra del Paese, suggeriva che la xenofobia avesse acquisito nuovo potere in Russia. Più tardi, quello stesso anno, Eltsin nominò Vladimir Putin suo successore e firmò una nuova guerra in Cecenia. Questa offensiva, progettata per rafforzare il sostegno al nuovo leader scelto dal Paese, fu sia ispirata che resa possibile dal Kosovo. Era una sfida agli Stati Uniti, un’affermazione che la Russia avrebbe fatto ciò che voleva nella sua autonomia musulmana.

Non sapremo mai se la politica russa si sarebbe sviluppata diversamente se non fosse stato per l’intervento militare statunitense in Kosovo. E, naturalmente, la nuova guerra in Cecenia e l’ascesa dello stesso Putin sono stati sintomi di problemi più profondi, tra cui l’incapacità della Russia di reinventarsi come stato post-sovietico e post-imperiale. Di questo, la responsabilità maggiore ricade su Eltsin stesso. Eppure, queste trascrizioni raccontano una tragica storia di molto più di un’amicizia finita male ( www.newyorker.com/news/our-columnists/the-undoing-of-bill-clinton-and-boris-yeltsin-friendship-and-how-it-changed-both-countries ).

Sebbene Gessen e TNY abbiano ragione su alcune cose, ne hanno sbagliate anche parecchie.

Gessen e il direttore di TNY David Remnick non possono fare a meno di ricadere nella loro modalità “dare sempre la colpa alla Russia”. Quando Gessen scrive ” naturalmente, la nuova guerra in Cecenia e l’emergere di Putin stesso erano sintomi di problemi più profondi, tra cui l’incapacità della Russia di reinventarsi come stato post-sovietico e post-imperiale “, sta esagerando per incolpare la Russia delle guerre cecene. In realtà, il movimento indipendentista ceceno era un movimento estremista ultranazionalista con elementi semi-islamisti, e Mosca aveva tutto il diritto di preservare la sua integrità territoriale. Inoltre, contrariamente all’opinione e/o alla propaganda di alcuni a Washington (Bryan Glynn Williams), tra i ceceni non c’erano George Washington o Thomas Jefferson. La loro ideologia nazionalista, già venata di islamismo e che portava ad attacchi terroristici (ad esempio, Budyonovsk), era destinata a evolversi verso un jihadismo conclamato, come accadde nel 2002, dando vita all’Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso), alleato di Al Qaeda, nell’autunno del 2007, e a migliaia di attacchi terroristici in tutto il Caucaso settentrionale e in Russia.

In effetti, la questione del Kosovo fu un fattore irritante che contribuì a provocare la seconda guerra cecena. A parte l’invasione cecena del Daghestan e gli attacchi terroristici, il Kosovo presentava troppi parallelismi con la questione cecena perché Mosca potesse rischiare che la situazione sfuggisse ulteriormente al controllo e diffondesse il jihadismo al resto del Caucaso settentrionale, come poi accadde. I parallelismi includono: i ceceni che si armarono e si rifugiarono sulle montagne per ottenere l’indipendenza, un movimento ultranazionalista che si dedicò al terrorismo e alle operazioni militari prima dello Stato centrale, un popolo islamico in parte suscettibile alle ideologie islamiste e jihadiste radicali, e l’esistenza di sostenitori a Washington DC e in altre capitali occidentali, che avrebbero potuto convincere l’Occidente a intervenire in Cecenia in modi simili o diversi dal suo intervento in Kosovo. Dubito che Washington tollererebbe un movimento separatista ultranazionalista come quello della Repubblica cecena di Ichkeriya sul territorio statunitense per tutto il tempo che la Russia ha tollerato, dal 1991 al 1994 e di nuovo dal 1998 al 1999, quando Mosca ha negoziato con i terroristi ceceni. La condotta della guerra da parte della Russia è un’altra storia. Più brutale del necessario, ma non così brutale come molti in Occidente sostengono.

Gessen e Remnick sono anche selettivi nelle questioni e nei documenti che scelgono di discutere e citare. L’espansione della NATO non viene menzionata. Ma ha aperto la strada e ha fornito il contesto, rispettivamente, per l’intervento della NATO in Kosovo senza un mandato ONU e per la resistenza della Russia alla guerra della NATO contro un alleato russo.

L’emergere di Putin come concorrente ostinato non era inevitabile, come non lo era per la Russia nel suo complesso. La persistenza dell’Occidente nell’espandere la NATO e nell’ignorare gli interessi nazionali russi ha fatto sì che Putin e la Russia si rivoltassero contro l’Occidente. Putin era più o meno filo-occidentale e filo-democratico quando salì al potere; almeno non era contrario a questa direzione. Espresse disprezzo per Lenin e i bolscevichi e, nel suo primo “discorso sullo stato dell’Unione” a entrambe le Camere dell’Assemblea Federale, menzionò positivamente la democrazia almeno una decina di volte. In effetti, Paul Noble, analista di lunga data del governo statunitense, ha sofferto nel corso della sua carriera per aver affermato che Putin non aveva menzionato affatto la democrazia.

Gli occidentali stanno commettendo lo stesso errore a distanza di oltre due decenni. Il professore della Stanford University ed ex ambasciatore statunitense a Mosca, Michael McFaul, capovolge completamente la questione. Sostiene che Putin e i russi non si oppongono all’espansione della NATO. Piuttosto, Putin si oppone alla democrazia e non negozierà a meno che le forze russe non vengano fermate in Ucraina: “I negoziati si svolgono solo quando l’esercito di Putin viene fermato. Dobbiamo dare all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per far sì che ciò accada” (https://x.com/mcfaul/status/1983673555821982058 ).

Per chi è confuso da questo punto di vista, l’opposizione russa all’espansione della NATO è un “mito”, come dice McFaul, e l’opposizione all’espansione della democrazia presumibilmente spiega le azioni militari russe in Georgia e Ucraina. Non importa che solo pochi mesi prima che la Russia intraprendesse per la prima volta un’azione militare contro i candidati alla NATO – in Georgia nell’agosto 2008, a seguito dell’attacco di Tbilisi all’Ossezia del Sud che uccise le truppe russe di peacekeeping – la NATO avesse dichiarato che un giorno sarebbe entrata a far parte della NATO. Non importa che le forze russe, di gran lunga superiori, si trovassero a 80 chilometri da Tbilisi e non abbiano fatto alcun tentativo di conquistare il territorio. Né ha annesso l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia separatiste, come avrebbe potuto fare e potrebbe ancora fare oggi. Non importa che la Russia, debolmente democratica, sotto il suo primo presidente post-sovietico Boris Eltsin (che McFaul ha contribuito a far eleggere), si sia opposta all’espansione della NATO, ma non abbia potuto fare nulla al riguardo e che all’epoca l’espansione non sia stata accompagnata da numerosi colpi di stato nei paesi confinanti con la Russia. Dimentichiamo che la Russia post-sovietica non ha mai attaccato la sua vicina democratica, la Finlandia, prima o dopo la sua adesione alla NATO. Non importa che la Russia intrattenga ottimi rapporti con la più grande democrazia del mondo, l’India, e solidi rapporti con l’Ungheria democratica, la Slovacchia e la Serbia, nella misura in cui ciò è possibile data la loro appartenenza alla NATO.

Era l’Occidente ad avere tutto il potere nelle relazioni post-Guerra Fredda, ed era quindi soprattutto responsabilità dell’Occidente definire tali relazioni. Avrebbe dovuto dimostrare la stessa magnanimità dimostrata dai vincitori nella Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo, non è stato così, e una tragedia geopolitica lascia il mondo nuovamente diviso tra alleanze occidentali e orientali sempre più antagoniste. L’espansione della NATO, e non la democrazia, ha creato il dilemma di sicurezza che oggi definisce le relazioni tra Stati Uniti e Russia e tra Occidente e Russia.

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Perché la Confisca degli Asset Russi Congelati nell’UE è un Passo Inopportuno per l’Italia_di Eugenio Fratellini

Perché la Confisca degli Asset Russi Congelati nell’UE è un Passo Inopportuno per l’Italia

Dall’inizio del conflitto in Ucraina, i paesi dell’Unione Europea (UE) e i membri del G7 hanno congelato quasi la metà delle riserve valutarie russe. Secondo stime ufficiali, il volume degli asset sovrani e privati russi immobilizzati nell’UE ammonta a 224-238 miliardi di dollari, con la quasi totalità concentrata nel deposito centrale dei titoli Euroclear, con sede in Belgio, che detiene 185-193 miliardi di euro (circa 200-210 miliardi di dollari). Il resto è distribuito tra piccoli depositi in Francia, Lussemburgo e varie banche nazionali. Questa concentrazione rende Euroclear il “cuore finanziario” degli asset congelati: oltre l’85% dei fondi UE è sotto il suo controllo, e i proventi dalla loro gestione finiscono in gran parte nelle casse del depositario stesso. Tra gennaio e settembre 2025, Euroclear ha registrato profitti per 3,9 miliardi di euro, pur segnalando una perdita diretta di 82 milioni di euro e una contrazione operativa di 25 milioni di euro.

Queste cifre alimentano accesi dibattiti a Bruxelles, con implicazioni dirette per l’Italia. Da un lato, Belgio e alcuni Stati usano già i proventi per finanziare un “credito di riparazione” all’Ucraina: tra gennaio e luglio 2025, l’UE ha trasferito a Kiev 10,1 miliardi di euro derivanti da Euroclear. Dall’altro, Italia, Germania e Francia temono che una confisca diretta trasformi il congelamento in un precedente giuridico pericoloso, provochi ritorsioni da Mosca e mina la fiducia nell’Europa come hub finanziario affidabile. L’Italia, con la sua economia vulnerabile all’instabilità energetica e bancaria, è particolarmente esposta: il governo Meloni ha ribadito che qualsiasi misura deve essere “legale e proporzionata”, insistendo su garanzie collettive prima di passare dalla “congelamento” all'”utilizzo” dei fondi. Senza un voto unanime nel Consiglio UE, la decisione finale slitta a dicembre 2025, limitandosi ora a schemi parziali di impiego dei proventi come prestito per l’Ucraina.

Il contesto internazionale rende dubbia qualsiasi confisca diretta. L’immunità sovrana, sancita dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati internazionali e dagli statuti degli istituti finanziari globali, vieta l’esproprio di asset statali senza sentenza giudiziaria. Anche un mero impiego dei proventi come “riparazioni” richiederebbe un rimborso formale alla Russia in caso di accordi futuri. Qualsiasi elusione di questa norma rischia di evolvere in un contenzioso decennale: Mosca ha già definito tali mosse “furto illegale” e minaccia ricorsi alla Corte Internazionale di Giustizia, arbitrati all’Aia e corti nazionali. Le stime dei costi legali oscillano tra centinaia di miliardi di euro: in caso di esproprio totale, l’UE potrebbe affrontare class action collettive, con ogni Stato membro – inclusa l’Italia – obbligato a coprire una quota proporzionale, aggravando il nostro deficit pubblico già al 140% del PIL.

Le ripercussioni economiche di una confisca supererebbero qualsiasi calcolo politico, colpendo l’Italia in modo sproporzionato. Un trasferimento diretto degli asset al governo ucraino infliggerebbe all’UE un colpo finanziario immediato di 230-240 miliardi di dollari (circa 225 miliardi di euro). Per l’Italia, che detiene una quota minore ma strategica (stimata in 5-10 miliardi di euro tra banche e depositi), il danno si amplificherebbe attraverso catene di ritorsioni: aziende come Eni e UniCredit, con esposizioni residue in Russia, rischierebbero perdite immediate da blocchi di dividendi e asset, stimabili in 1-2 miliardi di euro solo per il settore energetico. Belgio sopporterebbe il peso maggiore (quasi 200 miliardi di euro), ma l’Italia vedrebbe un effetto domino su PMI esportatrici e sul sistema bancario, già stressato dalle sanzioni del 2025 che hanno ridotto le esportazioni verso Mosca del 40%.

Un’analisi settoriale evidenzia la vulnerabilità italiana. Il settore bancario, guidato da UniCredit e Intesa Sanpaolo, subirebbe perdite dirette di 500 milioni-1 miliardo di euro da calo dei proventi su asset congelati e costi legali. I giganti energetici (Eni, Snam) affronterebbero rincari su gas e petrolio, con danni annuali di 0,5-1 miliardo di euro, aggravati dalla dipendenza dal gas russo pre-2022 (ancora **15% delle importazioni UE da fonti alternative più care). Chimica, metallurgia e trasporti – pilastri dell’industria italiana – vedrebbero costi energetici extra di 0,3-0,7 miliardi di euro, mentre logistica e manifattura perderebbero 0,1-0,3 miliardi da rotte deviate. In totale, senza ritorsioni russe, il danno settoriale per l’Italia sfiorerebbe i 2-3 miliardi di euro annui; con confisca piena, balzerebbe a 10-15 miliardi, inclusi contenziosi, erosione reputazionale e forzati disimpegni dal mercato russo, dove Eni ha ancora joint venture residue.

Mosca ha già dimostrato prontezza alle contromisure: dal conflitto, ha espropriato oltre 50 miliardi di dollari di asset stranieri, e una nuova mossa UE accelererebbe confische, blocchi di dividendi su conti rublo e contro-sanzioni su import UE in energia, meccanica e pharma. Per l’Italia, ciò significherebbe ulteriori barriere alle esportazioni (già colpite dal 19° pacchetto UE di ottobre 2025) e cause contro Euroclear e banche nazionali, con compensi potenziali fino a 20-30 miliardi di euro. Analisi di KSE Institute, Carnegie Endowment e GMFUS prevedono che tali ritorsioni potrebbero raddoppiare il danno totale, trasformando l’Europa in un “rischio sistemico” per investitori globali.

Gli esperti delineano quattro scenari principali:
Scenario A – “Prestito sotto pegno”. I proventi finanziano un fondo per l’Ucraina, asset congelati: danno UE limitato a 10-12 miliardi di dollari di opportunità perse, rischio legale medio per l’Italia.

Scenario B – Confisca totale. Asset diretti a Kiev: impatto immediato di 230-240 miliardi di dollari, alto rischio legale e cause per l’Italia su Eni/UniCredit.

Scenario C – Riscatto parziale. Meccanismo di vendite e crediti per 30-40 miliardi di dollari, rischi moderati, con possibile rimborso alla Russia.

Scenario D – Escalation russa. Post-confisca, Mosca accelera espropri: perdite extra di 50-100 miliardi di dollari, “rischio legale altissimo” per l’Italia.Tra questi, lo schema “prestito sotto pegno” appare il più razionale: preserva la legalità UE, minimizza perdite italiane e mantiene l’eurozona attraente per capitali.

Il mondo business italiano deve preparare piani di contingenza, limitare esposizioni russe e attivare strumenti finanziari anti-ritorsione.

In sintesi, una confisca totale degli asset russi congelati rappresenta per l’Italia un rischio economico, legale e sistemico che potrebbe costare decine di miliardi di euro, erodere la fiducia nella nostra infrastruttura finanziaria e intensificare tensioni con Mosca. Un approccio soft, basato su proventi e garanzie collettive, sostiene l’Ucraina preservando la stabilità italiana: una via che, pur complessa, evita un “crisi economica” più duratura del conflitto attuale.

Riferimenti Bibliografici

  1. Open.online. (2025, 24 ottobre). Le ritorsioni di Putin, i capitali in fuga dall’Europa. https://www.open.online/2025/10/24/confisca-asset-russi-ue-belgio-bce-rischi-capitali-eutopia/
  2. Askanews. (2025, 25 ottobre). Tra 27 revalgono dubbi su utilizzo asset russi per prestito a Ucraina. https://askanews.it/2025/10/25/tra-27-revalgono-dubbi-su-utilizzo-asset-russi-per-prestito-a-ucraina/
  3. La Mia Finanza. (2025, 25 ottobre). Congelamento e possibili utilizzi degli asset russi. https://www.lamiafinanza.it/2025/10/congelamento-e-possibili-utilizzi-degli-asset-russi/
  4. IARI Site. (2025, 26 ottobre). Il Prestito che può Far Saltare l’Europa. https://iari.site/2025/10/26/il-prestito-che-puo-far-saltare-leuropa-dentro-la-battaglia-sugli-asset-russi-congelati/
  5. Repubblica. (2025, 22 ottobre). Gli asset russi congelati e come usarli per l’Ucraina. https://www.repubblica.it/economia/rubriche/outlook/2025/10/22/news/gli_asset_russi_congelati_e_come_usarli_per_l_ucraina_senza_compiere_il_furto_del_secolo-424928345/
  6. Reuters. (2025, 22 ottobre). Italy says any new EU measures on Russian assets must be lawful. https://www.reuters.com/world/italy-says-any-new-eu-measures-russian-assets-must-be-lawful-2025-10-22/
  7. Bloomberg. (2025, 23 ottobre). EU Leaders Defer Russian Frozen Asset Plan Decision to December. https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-10-23/eu-leaders-defer-russian-frozen-asset-plan-decision-to-december
  8. Linkiesta. (2025, 16 ottobre). Le aziende italiane che aggirano le restrizioni europee sulla Russia. https://www.linkiesta.it/2025/10/italia-sanzioni-russia-europa/
  9. Non Solo Ambiente. (2025, 24 ottobre). La nuova ondata di sanzioni UE contro la Russia e le implicazioni per l’Italia. https://www.nonsoloambiente.it/2025/10/24/la-nuova-ondata-di-sanzioni-ue-contro-la-russia-e-le-implicazioni-per-litalia-tra-rigore-e-vulnerabilita-economica/
  10. Formiche. (2025, 22 ottobre). La prudenza italiana sugli asset russi. https://formiche.net/2025/10/russia-asset-ucraina-meloni-italia-beni-congelati/

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Cinque punti chiave dall’accerchiamento dell’Ucraina_di Andrew Korybko

Cinque punti chiave dall’accerchiamento dell’Ucraina

Andrew Korybko1 novembre
 
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Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso.

Putin ha annunciato che più di diecimila soldati ucraini sono stati circondati a Kupyansk e Krasnoarmeisk (Pokrovsk), con il suo Ministero della Difesa che ha presto aggiunto Dimitrov (Mirnograd) vicino a quest’ultima alla lista. Il leader russo ha anche proposto di interrompere i combattimenti in modo che i giornalisti stranieri, compresi quelli ucraini, possano recarsi al fronte per riferire sulla situazione. Putin ha suggerito una resa di massa proprio come nella situazione di stallo di Azovstal all’inizio del 2022, ma Zelensky sembra disinteressato, almeno per ora. Ecco cosa significa tutto questo:

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1. La Russia continua a guadagnare terreno nonostante i miliardi di aiuti occidentali all’Ucraina

The Economist ha recentemente pubblicato un articolo in cui sollecita l’Europa a finanziare l’Ucraina nei prossimi quattro anni, con un costo per i contribuenti che secondo loro ammonterebbe ad almeno 390 miliardi di dollari. L’articolo riporta inoltre che quest’anno sono stati spesi 100-110 miliardi di dollari, “la somma più alta mai raggiunta”, per un totale di 360 miliardi di dollari dal 2022 (probabilmente una stima al ribasso). È abbastanza chiaro che gli aiuti occidentali non sono riusciti a respingere la Russia, ma solo a rallentarne l’avanzata. L’accerchiamento dell’Ucraina dimostra quindi che nessuna somma di denaro potrà infliggere una sconfitta strategica alla Russia.

2. Il treno della fortuna potrebbe finire se l’Ucraina riconoscesse questo accerchiamento

Sulla base di quanto sopra, Zelensky e il comandante in capo Alexander Syrsky hanno negato questi accerchiamenti, molto probabilmente perché temono che il suddetto treno della fortuna possa finire o almeno rallentare se ordinano alle loro forze di arrendersi. Dopo tutto, la perdita di migliaia di soldati in tre accerchiamenti nel corso di tre anni e mezzo di conflitto non è cosa da poco, e potrebbe indurre alcuni funzionari occidentali a riconsiderare il finanziamento all’Ucraina, dato che la vittoria che era stata loro promessa non è più in vista.

3. La conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante.

Che le forze ucraine vengano eliminate o si arrendano, la conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante, specialmente quello di Krasnoarmeisk/Pokrovsk, poiché è la porta d’accesso alla regione di Dnipropetrovsk dove le forze russe sono già entrate all’inizio dell’estate. Qualsiasi ulteriore avanzata lungo le pianure non presidiate oltre il suddetto insediamento potrebbe costringere l’Ucraina a soddisfare le richieste di pace della Russia o spingere gli Stati Uniti a “intensificare per allentare la tensione”.

4. Putin preferisce una rapida soluzione politica piuttosto che una lunga guerra di logoramento

Contrariamente a quanto alcuni hanno valutato, Putin non vuole che il conflitto si protragga né vuole espandere le rivendicazioni territoriali della Russia, motivo per cui ha invitato le truppe ucraine circondate ad arrendersi. Egli spera che questo gesto di buona volontà possa portare al ritiro dell’Ucraina dal resto del Donbass e quindi a una rapida soluzione politica che soddisfi gli altri obiettivi della Russia. Zelensky vuole continuare a combattere per i motivi egoistici citati in precedenza, quindi alla fine tutto dipenderà da ciò che vuole Trump.

5. Trump deve decidere presto se vuole fare sua questa guerra

Trump considera il conflitto ucraino come “la guerra di Biden” e insiste sul fatto che non sarebbe scoppiato se lui avesse vinto le elezioni del 2020, eppure presto dovrà decidere se vuole davvero la pace, come sostiene, o se è disposto a fare sua questa guerra, perpetuandola a tempo indeterminato. Putin gli sta offrendo una via d’uscita invitando le truppe ucraine circondate ad arrendersi come mezzo per rilanciare i negoziati di pace congelati, quindi spetta a Trump decidere se fare pressione su Zelensky affinché accetti o se accettare la sua sfida con tutto ciò che ne consegue.

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Il recente accerchiamento delle forze ucraine in questi tre insediamenti è quindi molto più importante di quanto possa sembrare a prima vista, alla luce delle informazioni appena condivise. Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso. Questo momento sarà quindi visto come una pietra miliare col senno di poi, indipendentemente da ciò che Trump deciderà di fare.

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L’iniziativa russa per un partenariato eurasiatico allargato e la visione congiunta della Carta eurasiatica per la diversità e la multipolarità nel XXI secolo_di Karl Sanchez

L’iniziativa russa per un partenariato eurasiatico allargato e la visione congiunta della Carta eurasiatica per la diversità e la multipolarità nel XXI secolo

Due documenti molto importanti che costituiscono la base per la futura sicurezza eurasiatica

Karl Sánchez30 ottobre
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Questi due documenti sono fondamentali per comprendere quanto discusso alla Conferenza Misk e che continua a essere oggetto di discussione durante tutto l’anno in altre sedi. ” L’Iniziativa per un Partenariato Eurasiatico Maggiore della Russia ” è seguita dalla ” Dichiarazione della Federazione Russa e della Repubblica di Bielorussia su una visione comune della Carta Eurasiatica per la Diversità e la Multipolarità nel XXI secolo “. L’immagine di testa non compare da un po’ di tempo e indica che il contenuto dell’articolo è costituito da documenti. L’archivio contiene diverse immagini di questo tipo per chi ha il coraggio di consultarle.

L’iniziativa russa del Partenariato Eurasiatico Maggiore

Il Partenariato Eurasiatico Maggiore (GEP) è un’iniziativa concreta e pratica del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, presentata nel suo discorso all’Assemblea Federale nel 2015 per delineare un ampio quadro di integrazione nel continente eurasiatico. Al centro degli sforzi collettivi previsti con i partner interessati c’è il desiderio di promuovere la costruzione di un ordine mondiale policentrico ed equo, che implichi lo sviluppo di una cooperazione economica equa, a più velocità e reciprocamente vantaggiosa nell’intera gamma di problemi urgenti. I progressi in questa direzione saranno realizzati su base volontaria, saranno aperti e contribuiranno alla più stretta integrazione possibile di tutte le strutture, i meccanismi e gli strumenti pertinenti in questo ambito.

Gli approcci generali ai principi dell’operazione GEP sono stabiliti nei principali documenti di pianificazione strategica che incidono sulle attività internazionali della Federazione Russa.

Tra questi rientrano principalmente la Strategia di sicurezza nazionale del 2021 e il Concetto di politica estera del 2023. Ciò significa che il BEP, il cui nucleo potrebbe essere l’UEE, la SCO e l’ASEAN, sfruttando anche le capacità di formati complementari come l’iniziativa infrastrutturale cinese BRI, può creare i prerequisiti necessari per trasformare l’Eurasia in un “unico spazio continentale di pace, stabilità, fiducia reciproca, sviluppo e prosperità”.

Il lavoro del BEP metterà in risalto la necessità di tenere in debita considerazione le specificità dell’organizzazione dei processi produttivi, dei modelli tecnologici e delle condizioni di mercato. Allo stesso tempo, i compiti chiave sono rafforzare l’interconnettività normativa e fisica, semplificare le operazioni commerciali e gli investimenti ed eliminare le barriere ingiustificate che impediscono l’efficace istituzione di catene di approvvigionamento e legami economici.

In termini di struttura settoriale, il BEP potrebbe comprendere i seguenti componenti:

– Rete di accordi commerciali e di investimento internazionali;

– Spazio di trasporto comune;

– Una rete unica di corridoi economici e zone di sviluppo;

– Misurazione digitale;

– Spazio energetico;

– Misurazione finanziaria;

Uno degli attori chiave nell’ambito del GEP sarà l’UEE. Particolare enfasi sarà posta sulla conclusione di accordi di libero scambio multilaterali e bilaterali. Tale attività è già attivamente svolta attraverso l’UEE. Esiste un accordo di libero scambio con Serbia e Vietnam e si sta valutando la possibilità di firmare documenti simili con Egitto, Indonesia, Emirati Arabi Uniti, India e Iran (ad oggi è in vigore un accordo di libero scambio temporaneo con l’Iran).

Il compito di costituire il Grande Partenariato Eurasiatico si riflette nelle Direzioni strategiche per lo sviluppo dell’integrazione economica eurasiatica fino al 2025, approvate nella riunione del Consiglio economico eurasiatico supremo (SEEC) dell’11 dicembre 2020.

Nel 2005 è stato firmato un Memorandum d’intesa tra i segretariati della SCO e dell’ASEAN. La possibilità di stabilire una cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra l’UEE, l’ASEAN e la SCO è stata sostenuta dai dieci paesi dell’ASEAN in occasione del vertice Russia-ASEAN tenutosi a Sochi nel maggio 2016. A margine del vertice Russia-ASEAN tenutosi a Singapore il 14 novembre 2018, è stato firmato un Memorandum d’intesa tra la Commissione economica eurasiatica (CEE) e l’ASEAN. Il programma di cooperazione tra l’UEE e l’ASEAN è stato prorogato fino al 2025. Durante la riunione del Consiglio dei Capi di Stato della SCO del 10 novembre 2020, è stato deciso di firmare un Memorandum d’intesa tra il Segretariato della SCO e la CEE. Il relativo memorandum è stato firmato a margine della riunione del Consiglio dei Capi di Stato della SCO a Dushanbe il 16-17 settembre 2021.

Dal 2015 è stato instaurato un dialogo intenso con la Cina. Nell’ambito dell’attuazione di questo accordo, nel maggio 2018 è stato firmato un accordo non preferenziale di cooperazione commerciale ed economica tra l’UEE e i suoi Stati membri, da un lato, e la RPC, dall’altro, entrato in vigore il 25 ottobre 2019.

In continuità con questi sforzi, nel febbraio 2023 è stato adottato un Piano (Roadmap) per lo sviluppo della cooperazione commerciale ed economica tra l’UEE e la Cina. Il documento mira a intensificare la cooperazione commerciale ed economica sul piano pratico e si compone di tre sezioni: digitalizzazione dei corridoi di trasporto; avvio di dialoghi sulla politica commerciale estera; conduzione di uno studio scientifico congiunto per analizzare gli effetti di diversi scenari per l’approfondimento della cooperazione commerciale ed economica tra l’UEE e la RPC.

Il settore dei trasporti appare invariabilmente una priorità del BEP. Il sistema dei trasporti è la spina dorsale di qualsiasi economia per l’aumento dei flussi commerciali esteri. La Russia, che occupa 1/7 della superficie terrestre mondiale ed è situata lungo l’intero continente eurasiatico, è in grado di offrire un’ampia gamma di rotte aeree, stradali, ferroviarie e marittime competitive per tutti i modi di trasporto. È in corso un lavoro sistematico per sviluppare le infrastrutture di trasporto nelle direzioni est-ovest e nord-sud. L’importanza di sviluppare questi progetti è stata particolarmente sottolineata da quasi tutti i capi di Stato degli Stati membri del SEE durante l’ultima riunione del 25 maggio 2023.

Esiste una stretta collaborazione con tutti i partner internazionali costruttivi sul tema del sostegno all’iniziativa GEP. Oltre alla Cina, anche economie dinamiche e attraenti come Vietnam, India, Iran, Indonesia, Pakistan, ecc., dichiarano di avere una percezione positiva del BEP, in una forma o nell’altra.

Nell’ambito di importanti piattaforme internazionali come SPIEF ed EEF, si tengono regolarmente sessioni tematiche e tavole rotonde su vari aspetti della costruzione della Grande Eurasia e del GEP.

Attualmente, il Ministero degli Affari Esteri della Russia sta aggiornando il concetto di BEP in un formato interdipartimentale, che sarà integrato con strumenti pratici: un piano d’azione a livello di autorità economiche e progetti applicativi settoriali.

**** Il formato non consente il trattamento delle citazioni a blocchi:

VISIONE CONDIVISA
della Carta Eurasiatica per la Diversità e la Multipolarità nel XXI secolo

Noi, rappresentanti della Federazione Russa e della Repubblica di Bielorussia, partiamo dal riconoscimento delle seguenti realtà chiave del nostro tempo:

  1. LA DIVERSITÀ COME BASE DELLA PACE – La pace è sempre stata caratterizzata dalla diversità di vita, civiltà, culture, tradizioni, caratteristiche dello sviluppo storico, sistemi di valori e, con la formazione dello Stato come elemento principale delle relazioni internazionali, da una varietà di forme di struttura politica statale e modelli di sviluppo socio-economico, culturale e umanitario interno.
  2. Il rispetto per l’intero spettro della diversità ha tradizionalmente favorito una sana competizione e il progresso generale dell’umanità, mentre la negligenza di questo fenomeno fondamentale della vita pubblica da parte degli Stati ha portato a guerre e conflitti tra Stati e a varie crisi.
  3. LA DIVERSITÀ NEL MONDO DI OGGI – L’essenza e l’importanza della diversità stanno diventando sempre più chiare e la necessità di rispettare questo fenomeno è particolarmente sentita nel mondo odierno, alla luce del rapido sviluppo delle tecnologie digitali, che ampliano notevolmente la conoscenza di tutte le persone sul pianeta.
  4. CAMBIAMENTO DI PARADIGMA – Nel mondo moderno, nelle relazioni internazionali si stanno verificando trasformazioni profonde, oggettive e irreversibili, causate da accelerati cambiamenti tettonici in vari campi, che hanno un impatto enorme su tutti i partecipanti alla vita internazionale.
  5. MULTIPOLARITÀ ALL’ORIZZONTE – Il mondo si sta muovendo inesorabilmente verso uno stato di multipolarità, conseguenza della sua diversità primordiale. Ciò rappresenta un’opportunità per costruire un ordine mondiale democratico giusto e inclusivo e una coesistenza pacifica per la sicurezza e la prosperità comune di tutti gli Stati nel lungo termine, basati su una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e su un autentico multilateralismo.
  6. FATTORI DI RALLENTAMENTO – Allo stesso tempo, il movimento evolutivo del mondo intero verso la multipolarità e un modello policentrico che soddisfi gli interessi della maggioranza mondiale rallenta se si ignora il fatto della diversità delle civiltà, delle culture, delle tradizioni, delle caratteristiche dello sviluppo storico, dei sistemi di valori, delle forme di struttura statale e dei modelli di sviluppo interno e si violano le norme e i principi del diritto internazionale.
  7. PECULIARITÀ DELL’EURASIA – L’Eurasia è il centro geografico e il fondamento materiale del mondo multipolare emergente, qui hanno sede antiche civiltà, attorno alle quali si sono formati stati, associazioni di integrazione, organizzazioni regionali e centri di potere.
  8. L’IMPORTANZA DELL’EURASIA – Il continente eurasiatico, per la sua posizione geografica, le sue dimensioni, la sua popolazione e il suo potenziale di risorse, ha storicamente svolto e continua a svolgere un ruolo importante nelle relazioni internazionali, fungendo da motore dello sviluppo globale nel suo complesso. È in Eurasia che viene assicurato il principale contributo alla crescita progressiva dell’economia mondiale e che si stanno rafforzando centri di sviluppo indipendenti.
  9. IL FUTURO DELL’EURASIA – L’interazione efficace tra tutti i soggetti dello spazio eurasiatico, l’armonizzazione delle relazioni tra i centri di sviluppo dell’Eurasia sono condizioni indispensabili per il consolidamento del continente nell’interesse di tutti gli stati che vi si trovano, il che alla fine servirà anche all’obiettivo di costruire un giusto ordine mondiale su base multipolare.
  10. INTERESSE GLOBALE COMUNE – Nel contesto dell’importante ruolo dell’Eurasia, il raggiungimento degli obiettivi di pace, sicurezza, stabilità e prosperità in questo spazio soddisfa gli interessi non solo degli stati del continente, ma anche di tutti i paesi del mondo.

A questo proposito, ci impegniamo a:

  1. FARE AFFIDAMENTO SUL DIRITTO INTERNAZIONALE – Lasciarsi guidare nelle proprie azioni dalle norme del diritto internazionale, basate sulla Carta delle Nazioni Unite nella sua interezza e interconnesse, e da altri documenti internazionali giuridicamente vincolanti.
  2. RISPETTARE LA DIVERSITÀ – Riconoscere e rispettare la diversità e l’uguaglianza delle civiltà, delle culture, delle tradizioni, delle caratteristiche storiche e dei sistemi di valori universali, la diversità delle forme di struttura politica statale e dei modelli di sviluppo socioeconomico interno dei paesi del mondo, opporsi all’eccezionalismo e ai doppi standard nella politica internazionale.
  3. CREARE UN MONDO MULTIPOLARE – Contribuire alla rapida costruzione di un mondo multipolare e di un giusto ordine globale.
  4. ATTUARE INIZIATIVE – Attuare iniziative che contribuiscano al riconoscimento da parte di tutti i paesi del mondo della diversità dei percorsi di sviluppo, all’instaurazione di un dialogo tra le civiltà, di un dialogo sul tema della sicurezza globale, alla formazione di un nuovo tipo di relazioni internazionali nell’interesse della creazione di una comunità coesa di stati, allo sviluppo di processi economici regionali e di partenariati in Eurasia, all’attuazione di progetti pan-eurasiatici reciprocamente vantaggiosi, incluso l’obiettivo di formare la Grande Partnership Eurasiatica e rafforzare la cooperazione culturale e umanitaria.
  5. RAFFORZARE LA SICUREZZA – Per creare una nuova architettura di cooperazione a livello continentale nel campo della sicurezza, basata sui principi di indivisibilità della sicurezza, giustizia, legittimità, sostenibilità e contributo congiunto dei partecipanti.
  6. RIPRISTINARE IL RUOLO DELLE NAZIONI UNITE – Promuovere il ripristino e il rafforzamento del ruolo centrale di coordinamento delle Nazioni Unite negli affari mondiali e l’uso efficace dei meccanismi del sistema delle Nazioni Unite per superare le sfide e le minacce globali comuni, per rafforzare la voce dei paesi della maggioranza mondiale nell’Organizzazione.
  7. RAFFORZARE L’EURASIA – Lavorare per consolidare lo spazio eurasiatico per garantire pace, stabilità e prosperità comune nel continente nell’interesse di tutti i suoi Stati.
  8. COOPERARE NEI SETTORI – Contribuire ai processi di rafforzamento della cooperazione pratica nel continente eurasiatico nei settori della sicurezza, dell’economia, della cultura e in altri ambiti, sulla base dell’apertura, dell’ampia inclusione, dell’uguaglianza e del reciproco vantaggio.
  9. UTILIZZARE I MECCANISMI EURASIATICI – Utilizzare i meccanismi di cooperazione multilaterale operanti nel continente eurasiatico, tra cui UEE, CSTO, CSI, SCO, ASEAN, CICA, LAS, GCC, Stato dell’Unione, per attuare questo compito. Promuovere l’interazione multipiattaforma tra di essi, l’attuazione di iniziative congiunte.
  10. PREVENIRE LE INTERFERENZE – Contrastare i tentativi di forze esterne di interferire negli affari degli stati eurasiatici e perseguire una politica volta a minare i processi di consolidamento e cooperazione nel continente, per imporre i propri modelli di sviluppo, atteggiamenti ideologici e valori spirituali e morali estranei.
  11. CREARE PARTENARIATI ESTERNI – Interagire e interfacciarsi con i processi economici regionali che si svolgono in altri continenti.

Noi, rappresentanti della Federazione Russa e della Repubblica di Bielorussia, invitiamo tutti gli Stati eurasiatici a unirsi al dialogo su una serie di questioni che riguardano i principi di interazione nell’era multipolare e relative all’architettura continentale di sicurezza, cooperazione e sviluppo, al fine di elaborare, tenendo conto delle disposizioni del presente documento, la “Carta eurasiatica per la diversità e la multipolarità nel XXI secolo”.

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Credo che la maggior parte delle persone concorderà sul fatto che si tratti di documenti molto progressisti, che offrono un’eccellente base per ampie discussioni. La grande domanda è: l’Occidente riuscirà a superare la sua dipendenza dall’egemonia e dall’eccezionalismo per entrare nel dialogo e migliorare il mondo?

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Faccia a faccia Trump-Xi per tutte le biglie in Corea del Sud_di Simplicius

Faccia a faccia Trump-Xi per tutte le biglie in Corea del Sud

Simplicius 31 ottobre
 
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Ieri si è finalmente svolto in Corea del Sud l’atteso incontro tra Trump e Xi.

La “resa dei conti” tra le due superpotenze degli Stati Uniti e della Cina è culminata da tempo con la guerra tariffaria “dura” di Trump, volta a vassallare la Cina nello stesso modo in cui è stato fatto con l’Europa. Ma come abbiamo trattato di recenteLa Cina ha coltivato una neonata determinazione e fiducia nei confronti del suo stagnante avversario, che ha portato a sorprendenti dimostrazioni di ambiguità e di arretramento da parte degli Stati Uniti.

In primo luogo, ricordiamo quanto Trump sia apparso per antonomasia impacciato e debole di fronte a Xi:

Questo perché, come avevo accennato in XTrump è talmente abituato a imporsi sulle sue servili e lusinghiere controparti “occidentali” con un bagaglio di gag ed espedienti da showman, che sembra decisamente spaesato di fronte a un vero statista del calibro di Xi. Il contegno eccessivamente disinvolto e le buffonate nervose non sono state ricambiate da un Xi dal volto di pietra, che non è sembrato nemmeno lontanamente impressionato dall’esuberante “fascino occidentale” di Trump. Nonostante il fatto che Trump sia in realtà più anziano di Xi di sette anni, l’ottica ha dato più l’impressione di un uomo che soffre per il favore del leader cinese.

L’incontro sarebbe durato meno di due ore e, secondo le indiscrezioni, le conferenze stampa congiunte e le altre manifestazioni “ufficiali” sarebbero state cancellate, proprio come era avvenuto nell’incontro in Alaska con Putin. In realtà, un Trump affettivamente ottimista ha definito l’incontro un “12 su 10”, facendo eco al suo voto “10/10” per l’incontro Putin-Alaska di mesi fa:

Trump

si è immediatamente allontanato verso l’Airforce One per tornare a casa, mentre gli osservatori si sono chiesti se avessero appena assistito a un altro flop di pubbliche relazioni.

Chiedete… perché non ci sono state dichiarazioni congiunte, nessun comunicato stampa, nemmeno un briefing con la stampa, zero contratti firmati Trump vorrebbe vantarsi subito delle buone notizie con il mondo, non con l’organo di stampa all’interno di AF1. Il più breve incontro di 100 minuti tra le due parti, di sempre! Non siete curiosi?

L’osservatore della Cina Arnaud Bertrand ha svolto un’analisi approfonditadi ciò che è effettivamente accaduto e di chi ha beneficiato delle distensioni concordate tra Trump e Xi. Kathleen Tyson ne aveva un’altra, ancora più dettagliata.

Nulla sembra ancora assolutamente certo, data la mancanza di chiarezza ufficiale, ma l’opinione comune sembra essere che Xi abbia fatto scendere Trump dal cornicione e sia riuscito ad ottenere complessivotariffe ridotte dal 57% al 47%. Tuttavia, sembra che in realtà si tratti solo del 16% di nuove tariffe, in linea con quelle imposte da Trump sui prodotti europei, dato che il resto sono tariffe di riporto in vigore dall’amministrazione Biden e dal primo mandato di Trump. A sua volta, la Cina sospenderà per un anno i controlli sulle esportazioni di terre rare.

Il problema è che, alcuni osservatori hanno notato che il resoconto Cines non ha nemmeno menzionato i controlli sulle esportazioni di terre rare, e molti si chiedono cosa sia stato deciso esattamente.

Trump afferma che la Cina ha accettato di ritardare le restrizioni sulle terre rare. La dichiarazione ufficiale della Cina non dice nulla del genere. Tre punti sono stati confermati:

– Gli Stati Uniti sospendono le tariffe per un anno.
– Gli Stati Uniti sospendono i divieti di esportazione per un anno.
– Gli Stati Uniti sospendono le indagini 301 per un anno.

Nessun accenno alle terre rare. Nessun accenno a TikTok. Nessun chip Nvidia.

Ancora una volta, Trump ha negoziato con la propria immaginazione e ha dichiarato la vittoria sulla realtà.

Così come la lettura dell’incontro in Alaska da parte russa sembrava differire notevolmente da quella statunitense, sembra che anche in questo caso ci siano le caratteristiche di una possibile manipolazione dei risultati da parte degli americani per alterare l’ottica a favore di Trump.

Molte testate occidentali, tuttavia, avevano già emesso il loro verdetto, secondo cui questa guerra commerciale era finita prima ancora di iniziare:

https://www.nytimes.com/2025/10/29/opinion/china-us-trade-war-xi-trump.html

Quando Trump ha annunciato in modo avventato i suoi dazi per il “Giorno della Liberazione” in aprile, ha sbagliato di grosso i calcoli. Sembrava pensare che la Cina fosse vulnerabile perché esportava negli Stati Uniti molto più di quanto acquistasse. A quanto pare non si è reso conto che gran parte di ciò che la Cina acquistava, come la soia, poteva ottenerlo altrove – mentre Pechino è ora l’OPEC dei minerali di terre rare, lasciandoci senza fonti alternative.La Cina controlla circa il 90% delle terre rare ed è l’unico fornitore di sei minerali pesanti di terre rare; domina anche i magneti di terre rare.

Anche la BBC ha scritto il seguente parere:

Trump ha iniziato la guerra commerciale con la Cina in aprile da una posizione di forza e ha chiesto la capitolazione. Nove mesi dopo, sta già facendo concessioni in nome di una fragile tregua. Trump ha accettato di revocare le misure punitive con le quali intendeva costringere la Cina a fare concessioni, mentre Xi ritirerà solo le minacce di ritorsione – e anche in questo caso solo temporaneamente, per un anno. Solo sei mesi fa, Trump si aspettava che le tariffe avrebbero bilanciato il deficit commerciale con la Cina e che le restrizioni sulla fornitura di chip avanzati avrebbero frenato lo sviluppo tecnologico del principale rivale economico e militare degli Stati Uniti. Nessuna delle questioni fondamentali per cui Trump ha iniziato la guerra commerciale è stata risolta nell’incontro di oggi. La Cina ha semplicemente alzato la posta in gioco, limitando l’esportazione di metalli e magneti di terre rare, senza i quali gli impianti automobilistici occidentali e l’industria della difesa si fermerebbero.Allo stesso tempo, la Cina ha smesso di acquistare soia dagli Stati Uniti, portando gli agricoltori americani sull’orlo della bancarotta.

Lo scrive la BBC, aggiungendo che l’esito dell’incontro è “una buona notizia per la Russia e una cattiva per l’Ucraina”.

Anche se è difficile sapere per certoPossiamo almeno supporre che la resa dei conti di Trump con la Cina non si sia risolta in un successo estasiante che avrebbe adornato il suo petto con una nuova serie di allori dorati. Il solo fatto che la Cina abbia mantenuto la sua posizione e abbia ottenuto almeno un pareggio è già una vittoria morale cinese e significa l’arrivo simbolico della Cina sulla scena mondiale come coequal che gli Stati Uniti non possono più spingere a capriccio.

Ancora una volta ci viene ricordato che la maggior parte di queste aperture non sono altro che sessioni di postura geopolitica su larga scala: praticamente nulla di tutto ciò ha una reale conseguenza sul disastro che si sta preparando per l’economia statunitense.

https://archive.ph/zyKnE

Gli Stati Uniti stanno affrontando una crisi dei consumi. Uno dei maggiori produttori alimentari del mondo, Kraft Heinz, afferma che gli Stati Uniti si stanno avvicinando alla peggiore recessione della storia, poiché i consumatori non acquistano nemmeno i prodotti alimentari di base.

“Attualmente abbiamo uno dei peggiori sentimenti dei consumatori degli ultimi decenni”, ha dichiarato mercoledì l’amministratore delegato Carlos Abrams-Rivera durante una conference call con gli analisti. Le azioni di Kraft Heinz sono scese del 4,3% mercoledì, con un calo del 17% dall’inizio dell’anno, mentre l’indice S&P 500 è salito del 17%. Anche altre grandi aziende alimentari hanno sottolineato la pressione sugli acquirenti americani, in particolare sulle famiglie a basso reddito. Mondelez International ha dichiarato martedì che i consumatori in difficoltà si stanno concentrando sui beni di prima necessità.

Anche i ristoranti americani stanno affrontando problemi di affluenza dei clienti. Chipotle sui consumatori statunitensi: “All’inizio di quest’anno, in mezzo a un forte calo del sentimento dei consumatori, abbiamo assistito a una significativa diminuzione della frequenza delle visite al ristorante in tutte le categorie della popolazione. Da allora, il divario si è ampliato e i clienti con reddito medio-basso hanno mangiato fuori casa ancora meno.

Riteniamo che gli ospiti con un reddito familiare inferiore a 100.000 dollari rappresentino circa il 40% delle vendite totali e che cenino meno a causa delle preoccupazioni per il futuro dell’economia e dell’inflazione. La fascia d’età più problematica è quella compresa tra i 25 e i 35 anni. Riteniamo che questa tendenza non sia esclusiva di Chipotle e che si riscontri in tutti i ristoranti e in molte categorie di prodotti”.

Quasi il 60% delle aziende di ristorazione ha riportato dinamiche di vendita negative quest’anno e il 51% ha riportato dinamiche negative nell’arco di due anni.

Gli operatori hanno lanciato più di 40.000 offerte di sconto, un numero record, nel tentativo di attirare i clienti che non tornano. Ma aumentare gli importi degli assegni non può risolvere il problema del traffico. Quasi il 40% degli americani mangia meno fuori casa e la metà delle persone a basso reddito taglia le spese.L’82% afferma che i prezzi dei ristoranti sono in forte aumento e un quarto definisce l’aumento ingiustificato.

Il fatto è che il confronto con la Cina è in realtà tutto teso a nascondere il declino economico degli Stati Uniti e, allo stesso tempo, a fare leva, a sabotare e a indebolire il più possibile la Cina. Questo perché la classe politica statunitense non ha risposte per la propria economia in crisi e deve quindi affidarsi esclusivamente alla strategia di ostacolare i propri concorrenti. Si tratta di un’azione volta a prevenire l’acquisizione da parte della Cina per dare tempo alla classe politica statunitense di trovare un modo per resettare la spirale del debito in fuga e la torre babilonese iper-finanziarizzata degli Stati Uniti, cosa che molti ora credono avverrà con la cripto-izzazione del debito statunitense:

L’AMERICA VUOLE AVERE TUTTI I SUOI 37 TRILIONI DI DEBITO IN CRIPTO per poi far crollare il mercato, eliminando il debito.

Traduzione: ESPORTARE IL DEBITO IN ALTRE NAZIONI

Questo piano è stato enumerato in particolare al Forum economico orientale di recente dal consigliere speciale di Putin Anton Kobyakov:

SMASCHERATO IL COMPLOTTO CRITTOGRAFICO DEGLI STATI UNITI: cancellare 35.000 miliardi di dollari di debito a spese del mondo

“Gli Stati Uniti risolveranno i loro problemi finanziari a spese del mondo intero, spingendo tutti nella nuvola delle criptovalute. Nel corso del tempo, quando parte del debito statale statunitense sarà collocato in stablecoin, gli Stati Uniti svaluteranno questo debito”.Kobyakov, consigliere di Putin, ha rivelato.

Tutti ne parlano ora, a partire dalle principali pubblicazioni MSM come, in questo caso, la Reuters:

https://www.reuters.com/markets/stablecoins-might-reboot-us-exorbitant-privilege-2025-09-10/

Anche a Larry Fink stesso, che di recente ha fatto alcune dichiarazioni “interessanti” sulle criptovalute.come Peter Thiel ha lasciato intendereche BlackRock potrebbe aver cooptato tutti i Bitcoin:

Quando un uomo che gestisce 13T di dollari dice che possedere cripto ha senso perché i governi continueranno a uccidere le loro valute… questo è il vostro indizio.Gli addetti ai lavori del sistema stanno ammettendo in silenzio quello che i Bitcoiners sapevano da sempre. Guardate quello che fanno, non quello che predicano.

Come detto in precedenza, a questo punto i teatrini con la Cina e le varie altalene tariffarie sembrano più che altro una distrazione e un disperato teatrino per guadagnare tempo. Gli Stati Uniti sono insolventi e la loro intera economia si regge sempre più su niente più che una lavatrice vuota di capitale AI che fa girare in tondo la stessa palla di lanugine che si gonfia, mentre la plebe è immiserita oltre il punto di rottura.

Una nuova casta di speculatori della crittografia e della finanza cavalca l’onda dell’euforia della tecnologia del vapore, arricchendosi a livelli mai visti e dando la falsa sensazione di un “boom” economico. In realtà, non sono altro che oracoli ossei di una moderna gematria tecnomantica, la magia nera della finanza, che ha corrotto il mondo con la sua arte totalizzante. Sotto una tale ombra, quale significato potrebbero avere nel lungo periodo le meschine sessioni di pilpul di Trump sui dazi?

Il resto del mondo non fa altro che seguire l’esempio nell’abisso, mentre i leader inutili con l’11% di approvazionigiocano a travestirsi nel vano tentativo di arginare la tempesta in arrivo.


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