Italia e il mondo

L’ “acquarugiola sul colle”_di WS

L’  “acquarugiola  sul  colle”  fa parte   delle  manovre in corso  in Italia per portarci in guerra;  perché    qualcuno  la guerra  dovrà firmarla   ed in particolare il borbottio  di ieri   sembra  legato  ad  un  possibile “ Mattarella III “ .

Perché  di  sicuro  Mattarella la  sua firma  la metterà.

Sia   chiaro  che  non   è mia intenzione  di accusare  di alcunché  il  “nostro”    Augustissimo  Presidente.  La mia   è attualmente   solo    una ipotesi  (geo)politica   che potrebbe   essere  passata  nella testa  dei suoi meno  augusti   consiglieri , così come è stata denunciata   da un giornale  di destra.

Ma  facciamo prima un breve  ricapitolazione  della  “time  table”   con  cui  ci sta portando in guerra.

1)   La NATO provoca la Russia in Ucraina

2) La    Russia  fa un “prempitive  attack”   ( come previsto nel piano NATO).

3) L’ Ucraina     non  accetta le condizioni  politiche  richieste  dalla Russia   e dichiara la  guerra totale ( come previsto nel piano NATO).

4)  la Russia  non la segue  su  questo piano ,  si mette sulla  difensiva   e  si adatta  al conflitto (cosa non prevista  dal piano NATO).

5)  La NATO   spinge  l’ Ucraina  all’ offensiva,    assistendola in tutti i modi provocatorii possibili  ma mantenendo   una formale   negazione     del proprio  coinvolgimento  nel conflitto.

6) La  Russia    ignora le provocazioni  e   si limita  a difendersi     distruggendo  l’esercito Ucraino.

7) la NATO propone un cessate il fuoco   che  comunque lasci  l’ Ucraina   nelle  sue mani e politicamente scornata la Russia.

8) la Russia  rifiuta   questa “pace”   ribadendo le sue precondizioni  politiche  che però  l’ Ucraina  rifiuta. La Russia passa  all’offensiva.

 La NATO  però  non    può e non vuole     mollare l’ Ucraina; deve quindi intervenire DIRETTAMENTE   per salvare il  suo  regime  a Kiev.

Ma  così la posta  diventa troppo  grossa  per  il master  della NATO  (  gli U$A);  le potenze nucleari non possono  farsi      guerra  DIRETTAMENTE .  E così  gli U$A hanno deciso  di lasciare  l’ onere della guerra  ai suoi ascari  €uropei .

Il motivo per il quale    dovrà  essere    l’ €uropa  a   dover  correre il rischio  e prendersi il danno  facendo  guerra  alla  Russia in un modo  o nell’ altro.

E  qui  veniamo     al cumquibus. A nessun  ascaro   sarà permesso  di sottrarsi  a  questa  guerra.   Riguardo a  ciò il  problema non è politico,  nel senso  che  in €uropa  i padroni  della NATO   detengono  il controllo non solo dei governi ma anche delle opposizioni.   Si  tratta  solo  di definire    l’ opportuna  “ narrazione”  per portare  avanti le decisioni prese.

E  qui  veniamo all’ Italia .

 L’ attuale    governo   non ha la  maggioranza   bellicista necessaria. Il partito  contrario, la Lega,   ( per ora ) non  sembra  disponibile a   “cambiare idea”.   Nel caso si tratterebbe  quindi    di costruire  una  maggioranza     ”ad hoc”    con pezzi  di opposizione   atti  a sostituire  i  renitenti  alla guerra  della attuale maggioranza.  Una  dinamica che  “  a parti invertite”   abbiamo  già visto con il governo Prodi1

Quindi :

Ipotesi  uno  : Giorgia   sbatte  fuori  la Lega .

E’ un cosa  abbastanza  semplice   fare un Giorgia 2  “  deguera” .  Basterebbe  mettere insieme  TUTTO  FdI,   TUTTA FI,        i “calendiani ”  e un pugno  di leghisti    sedicenti  “padanisti”; con   un   sapiente    contributo  della opposizione   sarebbe  fatta.

 Ma Giorgia nicchia.  Lei ha costruito   tutto il suo  successo politico  succhiando le ruote leghiste; non è disposta   a ridare  alla Lega   la sua libertà d’ azione elettorale . Quindi non se parla

Ipotesi  due :   Giorgia   cade   come Prodi e  arriva  un  ammucchione   di “guerrafondai”  come  ai tempi  del governo  D’Alema.  

C’ è anche   l’uomo giusto  : Crosetto. Ma   Crosetto , al contrario  di D’Alema nel 1998,  non ha il controllo del suo partito;  se Giorgia non vuole  non se ne fa nulla. 

 Giorgia probabilmente  è tentata   di lasciare  ad altri   la patata bollente   del   governo  “deguera”  portando    gran parte  del  suo partito all’ opposizione   con Salvini , ma…

Il problema è  in quel “gran parte”;   per  vari motivi   “gran  parte”  di FdI   seguirebbe  comunque  Giorgia   e Crosetto  non potrebbe guidare  un governo   nel quale     la  sua  squadra   sarebbe  quella  di minor peso.

In   questo  caso   entrerebbe  in campo il “noto  garante”,    recuperando   il  noto  “SSalvatore  della patria”  per un “governo  di SSalvezza nazionale”.   Si  andrebbe  in guerra  e buonanotte  ma ad una condizione…

Solo dopo le elezioni del ‘27.   Come ben noto   dalle  fine   de  “l’ altro  SSalvatore  della patria”,  un  ammucchione  che massacra il paese  poi non potrebbe  presentarsi   alle  elezioni    e vincerle.

Quindi abbiamo  l’ ipotesi 3:  L’ ammucchione del “ salvatore”  si  fa  prima  delle elezioni .

 Ovviamente  su l’ onda  di un emergenziale  “fate presto” e in questo  caso  presentandosi   tutti insieme  contro  gioggia&salvini con  “il garante”  che farà  la  sua  ( solita) parte   in  cambio  di un “terzo mandato”   da consegnare poi (forse)  al “Ssalvatore”.

Tanto,   comunque   non si voterà più  perché   “c’è  la guera”…

E’   quindi ovvio  che  qualche  consigliore   del “nostro”  Re  possa  “coltivare”  questa ultima ipotesi   e  che   Giorgia  ci abbia  voluto “ veder  chiaro”.

Che  ci piaccia o meno,  siamo tutti nelle mani  di  Giorgia     la quale evidentemente   non vuol collaborare ( per ora).

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La filosofia della complessità di Vladimir Putin_di Alexander Shchipkov

La filosofia della complessità di Vladimir Putin

Opinioni

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Alexander Shchipkov

Filosofo politico;
Università ortodossa russa di San Giovanni il Teologo,
Rettore

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Nell’ottobre 2025, in occasione dell’incontro annuale del Valdai Discussion Club, Vladimir Putin ha offerto al pubblico una visione del futuro prossimo e un nuovo modello di relazioni internazionali nell’era post-globalizzazione. Nell’analizzare questo discorso, è importante considerare che il Valdai Club è uno dei luoghi in cui il presidente russo rilascia dichiarazioni strategiche.

Vladimir Putin ha basato i punti chiave del suo discorso sui principi della “filosofia della complessità” e del policentrismo, o multipolarità. Inoltre, l’idea della filosofia della complessità rappresenta di fatto uno sviluppo e un’espansione dei concetti familiari di “multipolarità” e “policentricità”, elevandoli dal loro precedente livello strutturale a un nuovo livello metodologico. Il presidente russo ha sottolineato che nel nuovo mondo “ognuno ha i propri aspetti vantaggiosi e punti di forza competitivi, che in ogni caso creano una combinazione e una composizione uniche”, ma per comprendere tutto ciò “le semplici leggi della logica, le relazioni di causa-effetto e i modelli che ne derivano non sono sufficienti. Ciò che serve qui è una filosofia della complessità, qualcosa di simile alla meccanica quantistica, che è più saggia e, per certi versi, più complessa della fisica classica”. “

In sostanza, la filosofia della complessità è un approccio rilevante nella metodologia scientifica utilizzata per studiare sistemi combinati con connessioni non lineari, comunemente denominati “paradigmi complessi”. Una proprietà importante di tali sistemi è l’emergenza, ovvero l’irriducibilità delle leggi dell’insieme alle leggi dei sistemi al suo interno. Questo fenomeno è anche centrale nella teoria della sinergia, ovvero l’auto-organizzazione dei sistemi complessi.

Il ricorso di Putin ai principi della filosofia della complessità è del tutto logico: il mondo della politica internazionale rappresenterà molto presto proprio un sistema così “complesso”, un paradigma complesso. Le teorie sviluppate nell’era della globalizzazione non sono più sufficienti per comprenderlo.

Secondo Vladimir Putin, i principi della filosofia della complessità devono essere applicati a una nuova comunità globale che abbracci l’uguaglianza e il giusto allineamento degli interessi tra le entità che la compongono, la conservazione della loro unicità culturale e una storia multivettoriale. Quest’ultimo approccio implica considerare la storia non come un’evoluzione “naturale” o una procedura di governance aziendale, ma come una serie di processi multidirezionali e un giusto allineamento degli interessi. Tutto ciò esclude i dettami di un “consiglio di amministrazione” globale sotto forma di una classe dirigente globale.

Parlando del legame tra la filosofia politica della complessità e la “policentricità”, va notato che “policentricità” è ora usato come sinonimo di “multipolarità”, anche se quest’ultimo termine era prevalente in passato. Riteniamo che questo cambiamento non sia casuale. La differenza semantica tra questi concetti è che la “policentricità”, a differenza della “multipolarità”, non denota semplicemente un insieme di componenti, ma una nuova configurazione governata da leggi proprie.

Questo ordine mondiale liberale universalistico è finito

Fëdor A. Lukyanov

Questo ordine mondiale liberale, che nella sua essenza era universalistico, cioè basato sull’idea che esistesse una base normativa comune a tutti, e la cui fonte era l’Occidente, è giunto al termine. Sta per essere sostituito da un altro sistema, che non sappiamo ancora esattamente come chiamare. In esso non ci saranno norme universali, almeno per molto tempo.

Altro

Vale la pena notare che alcuni principi della filosofia della complessità trovano origine nella teologia ortodossa. Pertanto, da una prospettiva cristiana, non esistono verità teoriche autosufficienti oltre al Credo e ai comandamenti dati da Dio. Tutto il resto nasce e si sviluppa attraverso l’azione condivisa, la collaborazione, ovvero in modo conciliare. In sostanza, Vladimir Putin invita a utilizzare proprio questa metodologia, caratteristica delle religioni tradizionali.

L’ampia applicabilità di questa metodologia è comprensibile. Dopo tutto, come è noto, le religioni tradizionali dei popoli determinano le forme della loro vita culturale e la natura delle loro istituzioni sociali. Ad esempio, il contesto socioculturale del mondo russo è, in un modo o nell’altro, una proiezione dell’autentica religiosità ortodossa. In questo caso, il topos di un «ordine mondiale giusto», caratteristico della nostra intera tradizione, viene preservato e riprodotto in nuove condizioni culturali e storiche. Naturalmente, oggi è percepito in modo molto più pragmatico rispetto a mezzo secolo fa e si basa su fondamenta nuove, ben lontane dall’altruismo e dall’internazionalismo. Tuttavia, è proprio l’idea di una cooperazione equa che costituisce il fondamento della visione di Putin del mondo futuro.

Vladimir Putin cerca quindi di introdurre un elemento di conciliazione nelle relazioni internazionali. Egli sostiene che il mondo non può più essere strutturato come una società per azioni e che solo attraverso l’associazione di membri uguali e il giusto equilibrio dei loro interessi è possibile superare l’incommensurabilità delle posizioni e delle visioni del mondo. Questa è la filosofia della complessità di un mondo policentrico o multipolare. Essa consentirà ai paesi e ai popoli di sopravvivere al crollo del sistema neoliberista.

Entrambi i concetti, “filosofia della complessità” e “policentrismo”, implicano un rifiuto sistematico del globalismo come malattia storica del mondo occidentale nel prossimo futuro.

Il vettore globalista dell’egemonia occidentale sotto le spoglie della “leadership” si è esaurito. Nel nuovo modello politico, gli attori globali non sono più divisi in soggetti e oggetti del processo storico. Non sono più visti attraverso la lente del fatalismo progressista e della “leadership” globale. Sono chiamati ad abbracciare il rispetto reciproco e la cooperazione.

Come sottolinea Vladimir Putin, tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo «i paesi occidentali hanno ceduto alla tentazione del potere assoluto» e oggi «le istituzioni di governance globale create in epoche precedenti hanno smesso di funzionare o hanno perso gran parte della loro efficacia». L’egemonia sta «cedendo il passo a un approccio multilaterale e più cooperativo».

Tutti ricordiamo il sistema westfaliano dalle lezioni di storia. Dopo la lunga guerra dei trent’anni, il mondo del XVII secolo cambiò radicalmente, iniziando a seguire il principio della sovranità nazionale. La Santa Sede non imponeva più regole uniformi a tutta l’Europa. La politica globale era ora strutturata come un “concerto” delle potenze europee.

Oggi ci troviamo in una situazione simile, in un nuovo momento storico, con gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’oligarchia transnazionale che cercano di svolgere il ruolo della Roma cattolica. In un “mondo basato sulle regole”, le regole sono state sviluppate a Washington e Londra. Ma oggi vediamo che le loro “regole” non sono più efficaci. Il sistema neocoloniale di saccheggio economico e spersonalizzazione socioculturale ha fallito gravemente e le élite globali non possono più controllare il mondo attraverso conflitti gestiti.

Il raccolto del globalismo

Andrei P. Tsygankov

Le radici storiche dell’attuale crisi tra la Russia e l’Occidente sono in parte legate alla lotta tricentenaria della Russia per ottenere lo status di potenza globale, che ha minato la resistenza del Paese e approfondito il divario con l’Occidente. Oggi, questa lotta richiede alla Russia di rivedere le fondamenta stesse del suo sviluppo interno e della sua politica estera.

Altro

Vladimir Putin ha di fatto proclamato il passaggio a un nuovo «sistema westfaliano». Il mondo moderno è nuovamente composto da entità sovrane e, se guardiamo alla storia come alla storia dei popoli e non delle élite, la vediamo come una moltitudine di comunità. È possibile che queste si uniscano in un’unica comunità? Potrebbe essere produttivo e non violento, ad esempio, se condividesse un fondamento di valori comuni. Ma questo è ancora lontano, poiché molte religioni tradizionali hanno indebolito la loro immunità all’influenza del globalismo secolarista.

Qualsiasi principio liberale-secolare di unificazione “universale” porterà inevitabilmente a nuovi progetti globalisti, simili al Comintern comunista o all'”internazionale” mondiale delle strutture finanziarie. Dopo tutto, qualsiasi universalismo liberale-secolare proviene dal nemico dell’umanità. Ciò è chiaramente indicato dall’episodio evangelico della tentazione di Cristo. Il diavolo tenta Cristo proprio con l’idea dell’universalità, del potere completo e unico sul mondo, naturalmente attraverso la sua mediazione, quella del diavolo. Cristo rifiuta. «Di nuovo il diavolo lo portò su un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro magnificenza. “Tutto questo ti darò”, gli disse, “se ti prostrerai e mi adorerai”».

Gesù gli disse: «Vattene via da me, Satana! Sta scritto infatti: “Adora il Signore Dio tuo e servi lui solo”». Allora il diavolo lo lasciò e gli angeli vennero a servirlo (Matteo 4:8-11).

L’analogia tra il globalismo e la costruzione di una nuova Babilonia è piuttosto evidente, anche nel contesto dell’Apocalisse di Giovanni il Teologo. Nell’Apocalisse, come è noto, «Uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne e mi disse: “Vieni, ti mostrerò la punizione della grande prostituta, che siede su molte acque. Con lei i re della terra hanno commesso adulterio, e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino dei suoi adulteri”» (Apocalisse 17:1-2).

Oggi il mondo sta tornando ad essere un mondo di regioni, piuttosto che un unico centro globale. È proprio in questo contesto che, ad esempio, la Chiesa cattolica, con la sua propensione al globalismo, sta incorporando il concetto di “teologia della periferia” nella sua strategia diplomatica.

Rafforzando i legami con i paesi della “periferia” globale, il Vaticano, sullo sfondo della graduale decentralizzazione del mondo, sta entrando in una lotta per il Sud del mondo.

Questi sforzi vengono intrapresi attraverso il proselitismo religioso, che funge da “soft power” per l’occidentalizzazione e, in ultima analisi, promuove le strategie euro-atlantiste. In questo modo, l’Occidente cerca di appropriarsi delle risorse politiche del Sud del mondo per controllare l’Europa e prepararsi al previsto scontro con la Russia.

In questa complessa situazione, una visione strategica delle relazioni internazionali è di grande importanza per la Russia. Dopo tutto, nel contesto di una crisi globale, tutti gli attori globali sono bloccati in uno stato di zugzwang e preferiscono giocare una partita tattica di attesa: chi commetterà il primo errore o esaurirà le proprie risorse? Nel frattempo, Vladimir Putin è già pronto, attingendo alla filosofia della complessità, a delineare i contorni di un nuovo ordine mondiale conciliare in cui la Russia e i paesi BRICS potrebbero svolgere un ruolo di attori sistemicamente importanti.

Vladimir Putin incontra i membri del Valdai Discussion Club. Trascrizione della sessione plenaria della 22a riunione annuale

02.10.2025

 Sochi, Russia

© Club di discussione Valdai

Programma

Vladimir Putin ha partecipato alla 22a riunione annuale del Valdai Discussion Club. Il titolo dell’evento di quest’anno è “Il mondo policentrico: istruzioni per l’uso”. La sessione plenaria è stata presieduta dal direttore della ricerca del Valdai Club, Fyodor Lukyanov.

* * *

Direttore della ricerca della Fondazione per lo sviluppo e il sostegno del Club di discussione internazionale Valdai Fyodor Lukyanov: Signore e signori, ospiti del Club Valdai!

Diamo inizio alla sessione plenaria del 22° forum annuale del Club di discussione internazionale Valdai. È per me un grande onore invitare il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin su questo palco.

Signor Presidente, grazie mille per aver trovato ancora una volta il tempo di unirsi a noi. Il Club Valdai gode del grande privilegio di incontrarla per il ventitreesimo anno consecutivo per discutere delle questioni più attuali. Credo che nessun altro sia così fortunato.

Il 22° incontro del Club Valdai, che si è svolto negli ultimi tre giorni, era intitolato “Il mondo policentrico: istruzioni per l’uso”. Stiamo cercando di passare dalla semplice comprensione e descrizione di questo nuovo mondo a questioni pratiche: ovvero, capire come viverci, poiché non è ancora del tutto chiaro.

Possiamo considerarci utenti esperti, ma siamo comunque solo utenti di questo mondo. Tu, invece, sei almeno un meccanico e forse anche un ingegnere di questo ordine mondiale policentrico, quindi attendiamo con impazienza alcune linee guida per l’uso da parte tua.

Presidente della Russia Vladimir Putin: È improbabile che io sia in grado di formulare linee guida o istruzioni – e non è questo il punto, perché spesso le persone chiedono istruzioni o consigli solo per poi non seguirli. È una formula ben nota.

Vorrei esprimere la mia opinione su ciò che sta accadendo nel mondo, sul ruolo del nostro Paese in esso e su come vediamo le sue prospettive di sviluppo.

Il Club di discussione internazionale Valdai si è riunito per la ventiduesima volta e questi incontri sono diventati più di una buona tradizione. Le discussioni sulle piattaforme Valdai offrono un’opportunità unica per valutare la situazione globale in modo imparziale e completo, per rivelare i cambiamenti e comprenderli.

Indubbiamente, la forza unica del Club risiede nella determinazione e nella capacità dei suoi partecipanti di guardare oltre il banale e l’ovvio. Essi non si limitano a seguire l’agenda imposta dallo spazio informativo globale, dove Internet fornisce il suo contributo – sia nel bene che nel male, spesso difficile da discernere – ma pongono le loro domande non convenzionali, offrono la loro visione dei processi in corso, cercando di sollevare il velo che nasconde il futuro. Non è un compito facile, ma spesso qui a Valdai viene portato a termine.

Abbiamo ripetutamente sottolineato che viviamo in un’epoca in cui tutto sta cambiando, e molto rapidamente; direi addirittura in modo radicale. Naturalmente, nessuno di noi può prevedere completamente il futuro. Tuttavia, ciò non ci esonera dalla responsabilità di prepararci ad affrontarlo. Come hanno dimostrato il tempo e gli eventi recenti, dobbiamo essere pronti a tutto. In periodi storici come questo, ognuno di noi ha una responsabilità speciale nei confronti del proprio destino, di quello del proprio Paese e del mondo intero. La posta in gioco oggi è estremamente alta.

Come già detto, il rapporto del Club Valdai di quest’anno è dedicato a un mondo multipolare e policentrico. L’argomento è da tempo all’ordine del giorno, ma ora richiede un’attenzione particolare; su questo punto concordo pienamente con gli organizzatori. La multipolarità che di fatto è già emersa sta plasmando il quadro entro il quale agiscono gli Stati. Cercherò di spiegare cosa rende unica la situazione attuale.

Innanzitutto, il mondo odierno offre uno spazio molto più aperto – anzi, si potrebbe dire creativo – per la politica estera. Nulla è predeterminato; gli sviluppi possono prendere direzioni diverse. Molto dipende dalla precisione, dall’accuratezza, dalla coerenza e dall’attenzione delle azioni di ciascun partecipante alla comunicazione internazionale. Tuttavia, in questo vasto spazio è anche facile perdersi e perdere l’orientamento, cosa che, come possiamo vedere, accade abbastanza spesso.

In secondo luogo, lo spazio multipolare è altamente dinamico. Come ho già detto, i cambiamenti avvengono rapidamente, a volte in modo improvviso, quasi dall’oggi al domani. È difficile prepararsi e spesso impossibile prevederli. Bisogna essere pronti a reagire immediatamente, in tempo reale, come si suol dire.

Terzo, e di particolare importanza, è il fatto che questo nuovo spazio è più democratico. Esso apre opportunità e percorsi per un’ampia gamma di attori politici ed economici. Forse mai prima d’ora così tanti paesi hanno avuto la capacità o l’ambizione di influenzare i processi regionali e globali più significativi.

Avanti. Le specificità culturali, storiche e civili dei diversi paesi rivestono oggi un ruolo più importante che mai. È necessario cercare punti di contatto e convergenze di interessi. Nessuno è disposto a seguire le regole stabilite da qualcun altro, in un luogo lontano – come cantava un famoso chansonnier nel nostro paese, «oltre la nebbia», o oltre gli oceani, per così dire.

A questo proposito, il quinto punto: qualsiasi decisione è possibile solo sulla base di accordi che soddisfino tutte le parti interessate o la stragrande maggioranza. Altrimenti, non ci sarà alcuna soluzione praticabile, ma solo frasi altisonanti e un gioco sterile di ambizioni. Pertanto, per ottenere risultati, l’armonia e l’equilibrio sono essenziali.

Infine, le opportunità e i pericoli di un mondo multipolare sono inseparabili l’uno dall’altro. Naturalmente, l’indebolimento del diktat che ha caratterizzato il periodo precedente e l’espansione della libertà per tutti è innegabilmente uno sviluppo positivo. Allo stesso tempo, in tali condizioni, è molto più difficile trovare e stabilire questo equilibrio molto solido, il che di per sé è un rischio evidente ed estremo.

Questa situazione sul pianeta, che ho cercato di delineare brevemente, è un fenomeno qualitativamente nuovo. Le relazioni internazionali stanno subendo una trasformazione radicale. Paradossalmente, la multipolarità è diventata una conseguenza diretta dei tentativi di stabilire e preservare l’egemonia globale, una risposta del sistema internazionale e della storia stessa al desiderio ossessivo di organizzare tutti in un’unica gerarchia, con i paesi occidentali al vertice. Il fallimento di tale impresa era solo una questione di tempo, cosa di cui abbiamo sempre parlato, tra l’altro. E, secondo gli standard storici, è avvenuto abbastanza rapidamente.

Trentacinque anni fa, quando lo scontro della Guerra Fredda sembrava volgere al termine, speravamo nell’alba di un’era di autentica cooperazione. Sembrava che non ci fossero più ostacoli ideologici o altri ostacoli che potessero impedire la risoluzione congiunta dei problemi comuni all’umanità o la regolamentazione e la risoluzione delle inevitabili controversie e conflitti sulla base del rispetto reciproco e della considerazione degli interessi di ciascuno.

Permettetemi una breve digressione storica. Il nostro Paese, nel tentativo di eliminare le cause dello scontro tra blocchi e di creare uno spazio comune di sicurezza, ha dichiarato per due volte la propria disponibilità ad aderire alla NATO. La prima volta è stato nel 1954, durante l’era sovietica. La seconda volta è stata durante la visita del presidente americano Bill Clinton a Mosca nel 2000 – ne ho già parlato – quando abbiamo discusso con lui anche di questo argomento.

In entrambe le occasioni, siamo stati sostanzialmente respinti senza mezzi termini. Ribadisco: eravamo pronti a collaborare, a compiere passi non lineari nel campo della sicurezza e della stabilità globale. Ma i nostri colleghi occidentali non erano disposti a liberarsi dalle catene degli stereotipi geopolitici e storici, da una visione semplificata e schematica del mondo.

Ne ho parlato pubblicamente anche quando ne ho discusso con il signor Clinton, con il presidente Clinton. Lui ha detto: “Sai, è interessante. Penso che sia possibile”. E poi la sera ha detto: “Ho consultato i miei collaboratori: non è fattibile, non è fattibile adesso”. “Quando sarà fattibile?” E così è finito tutto, è sfumato tutto.

In breve, abbiamo avuto una reale opportunità di orientare le relazioni internazionali in una direzione diversa e più positiva. Tuttavia, purtroppo, ha prevalso un approccio diverso. I paesi occidentali hanno ceduto alla tentazione del potere assoluto. Si trattava davvero di una tentazione potente, e resistervi avrebbe richiesto una visione storica e un buon background intellettuale e storico. Sembra che a chi ha preso le decisioni in quel momento mancassero semplicemente entrambi.

In effetti, il potere degli Stati Uniti e dei loro alleati ha raggiunto il suo apice alla fine del XX secolo. Ma non c’è mai stata, né ci sarà mai, una forza in grado di governare il mondo, dettando a tutti come agire, come vivere e persino come respirare. Ci sono stati tentativi in tal senso, ma tutti sono falliti.

Tuttavia, dobbiamo riconoscere che molti hanno trovato accettabile e persino conveniente il cosiddetto ordine mondiale liberale. È vero, una gerarchia limita fortemente le opportunità di coloro che non si trovano al vertice della piramide o, se preferite, al vertice della catena alimentare. Ma chi si trovava alla base era sollevato da ogni responsabilità: le regole erano semplici: accettare i termini, adattarsi al sistema, ricevere la propria parte, per quanto modesta, ed essere soddisfatti. Altri avrebbero pensato e deciso al posto tuo.

E non importa cosa dicano ora, non importa quanto alcuni cerchino di nascondere la realtà – è così che è andata. Gli esperti qui riuniti lo ricordano e lo capiscono perfettamente.

Alcuni, nella loro arroganza, si sentivano in diritto di dare lezioni al resto del mondo. Altri si accontentavano di stare al gioco dei potenti come pedine obbedienti, desiderosi di evitare inutili problemi in cambio di un bonus modesto ma garantito. Ci sono ancora molti politici di questo tipo nella parte vecchia del mondo, in Europa.

Coloro che hanno osato opporsi e hanno cercato di difendere i propri interessi, diritti e opinioni sono stati, nel migliore dei casi, liquidati come eccentrici e, in sostanza, è stato loro detto: “Non avrete successo, quindi arrendetevi e accettate il fatto che, rispetto al nostro potere, voi non siete nulla”. Quanto ai più ostinati, venivano “educati” dai sedicenti leader mondiali, che non si preoccupavano nemmeno più di nascondere le loro intenzioni. Il messaggio era chiaro: resistere era inutile.

Ma questo non ha portato nulla di buono. Non è stato risolto nemmeno un problema globale. Al contrario, ne stanno nascendo continuamente di nuovi. Le istituzioni di governance globale create in epoche precedenti hanno smesso di funzionare o hanno perso gran parte della loro efficacia. E per quanto uno Stato, o anche un gruppo di Stati, possa accumulare forza o risorse, il potere ha sempre i suoi limiti.

Come ben sa il pubblico russo, in Russia esiste un detto che recita: Russia: “Non c’è nulla che possa contrastare un piede di porco, se non un altro piede di porco”, il che significa che non si porta un coltello a una sparatoria, ma un’altra pistola. E in effetti, quell'”altra pistola” si trova sempre. Questa è l’essenza stessa degli affari mondiali: emerge sempre una forza contraria. E i tentativi di controllare tutto generano inevitabilmente tensioni, minando la stabilità interna e spingendo la gente comune a porre una domanda molto legittima ai propri governi: “Perché abbiamo bisogno di tutto questo?”

Una volta ho sentito qualcosa di simile dai nostri colleghi americani, che hanno detto: “Abbiamo conquistato il mondo intero, ma abbiamo perso l’America”. Posso solo chiedere: ne è valsa la pena? E avete davvero guadagnato qualcosa?

È emerso un chiaro rifiuto delle eccessive ambizioni dell’élite politica delle principali nazioni dell’Europa occidentale, che sta crescendo nelle società di quei paesi. Il barometro dell’opinione pubblica lo indica in modo trasversale. L’establishment non vuole cedere il potere, osa ingannare direttamente i propri cittadini, aggrava la situazione a livello internazionale, ricorre a ogni sorta di stratagemma all’interno dei propri paesi, sempre più ai margini della legalità o addirittura oltre.

Tuttavia, trasformare continuamente le procedure democratiche ed elettorali in una farsa e manipolare la volontà dei popoli non funzionerà. Come è successo in Romania, per esempio, ma non entreremo nei dettagli. Questo sta accadendo in molti paesi. In alcuni di essi, le autorità stanno cercando di mettere al bando i loro oppositori politici che stanno acquisendo maggiore legittimità e maggiore fiducia da parte degli elettori. Lo sappiamo per esperienza diretta, risalente all’epoca dell’Unione Sovietica. Ricordate le canzoni di Vladimir Vysotsky: “Hanno cancellato persino la parata militare! Presto metteranno al bando tutto e tutti!” Ma non funziona, i divieti non funzionano.

Nel frattempo, la volontà del popolo, la volontà dei cittadini di quei paesi è chiara e semplice: che i leader dei paesi si occupino dei problemi dei cittadini, si prendano cura della loro sicurezza e della loro qualità di vita e non inseguano chimere. Gli Stati Uniti, dove le richieste della popolazione hanno portato a un cambiamento sufficientemente radicale nel vettore politico, ne sono un esempio calzante. E possiamo dire che gli esempi sono noti per essere contagiosi per altri paesi.

La subordinazione della maggioranza alla minoranza, insita nelle relazioni internazionali durante il periodo di dominio occidentale, sta cedendo il passo a un approccio multilaterale e più cooperativo. Esso si basa su accordi tra i principali attori e sulla considerazione degli interessi di tutti. Ciò non garantisce certamente l’armonia e l’assenza assoluta di conflitti. Gli interessi dei paesi non coincidono mai completamente e l’intera storia delle relazioni internazionali è, ovviamente, una lotta per raggiungerli.

Tuttavia, il clima globale fondamentalmente nuovo in cui il tono è sempre più dettato dai paesi della Maggioranza Globale, offre la promessa che tutti gli attori dovranno in qualche modo tenere conto degli interessi reciproci nella ricerca di soluzioni alle questioni regionali e globali. Dopo tutto, nessuno può raggiungere i propri obiettivi da solo, isolandosi dagli altri. Nonostante l’escalation dei conflitti, la crisi del precedente modello di globalizzazione e la frammentazione dell’economia globale, il mondo rimane integro, interconnesso e interdipendente.

Lo sappiamo per esperienza diretta. Sapete bene quanto impegno abbiano profuso i nostri avversari negli ultimi anni per, diciamolo chiaramente, spingere la Russia fuori dal sistema globale e condurci all’isolamento politico, culturale e informativo e all’autarchia economica. Per numero e portata delle misure punitive imposteci, che loro chiamano vergognosamente “sanzioni”, la Russia è diventata la detentrice assoluta del record nella storia mondiale: 30.000, o forse anche più, restrizioni di ogni tipo immaginabile.

E allora? Hanno raggiunto il loro obiettivo? Credo sia ovvio per tutti i presenti: questi sforzi sono falliti completamente. La Russia ha dimostrato al mondo il massimo grado di resilienza, la capacità di resistere alla più potente pressione esterna che avrebbe potuto distruggere non solo un paese, ma un’intera coalizione di Stati. E a questo proposito proviamo un legittimo orgoglio. Orgoglio per la Russia, per i nostri cittadini e per le nostre forze armate.

Ma vorrei parlare di qualcosa di più profondo. Si dà il caso che lo stesso sistema globale dal quale volevano espellerci semplicemente si rifiuti di lasciar andare la Russia. Perché ha bisogno della Russia come parte essenziale dell’equilibrio globale: non solo per il nostro territorio, la nostra popolazione, la nostra difesa, il nostro potenziale tecnologico e industriale o le nostre ricchezze minerarie, anche se, naturalmente, tutti questi sono fattori di fondamentale importanza.

Ma soprattutto, l’equilibrio globale non può essere costruito senza la Russia: né l’equilibrio economico, né quello strategico, né quello culturale o logistico. Nessuno. Credo che coloro che hanno cercato di distruggere tutto questo abbiano cominciato a rendersene conto. Alcuni, tuttavia, continuano ostinatamente a perseguire il loro obiettivo: infliggere, come dicono, una «sconfitta strategica» alla Russia.

Beh, se non riescono a capire che questo piano è destinato a fallire e continuano a insistere, spero comunque che la vita stessa insegni una lezione anche ai più testardi tra loro. Hanno fatto molto rumore molte volte, minacciandoci con un blocco totale. Hanno persino detto apertamente, senza esitazione, che vogliono far soffrire il popolo russo. Sono queste le parole che hanno scelto. Hanno elaborato piani, uno più fantasioso dell’altro. Penso che sia giunto il momento di calmarsi, di guardarsi intorno, di orientarsi e di iniziare a costruire relazioni in modo completamente diverso.

Comprendiamo anche che il mondo policentrico è altamente dinamico. Appare fragile e instabile perché è impossibile fissare in modo permanente lo stato delle cose o determinare l’equilibrio di potere a lungo termine. Dopo tutto, ci sono molti partecipanti a questi processi e le loro forze sono asimmetriche e composte in modo complesso. Ognuno ha i propri aspetti vantaggiosi e punti di forza competitivi, che in ogni caso creano una combinazione e una composizione uniche.

Il mondo odierno è un sistema eccezionalmente complesso e sfaccettato. Per descriverlo e comprenderlo adeguatamente, non bastano le semplici leggi della logica, le relazioni di causa-effetto e i modelli che ne derivano. Ciò che serve in questo caso è una filosofia della complessità, qualcosa di simile alla meccanica quantistica, che è più saggia e, per certi versi, più complessa della fisica classica.

Tuttavia, è proprio a causa di questa complessità del mondo che, a mio avviso, la capacità complessiva di raggiungere un accordo tende comunque ad aumentare. Dopo tutto, le soluzioni lineari unilaterali sono impossibili, mentre quelle non lineari e multilaterali richiedono una diplomazia molto seria, professionale, imparziale, creativa e, a volte, non convenzionale.

Sono quindi convinto che assisteremo a una sorta di rinascita, a un risveglio dell’arte diplomatica di alto livello. La sua essenza risiede nella capacità di dialogare e raggiungere accordi sia con i vicini e i partner che condividono gli stessi principi, sia – cosa non meno importante ma più impegnativa – con gli avversari.

È proprio in questo spirito – lo spirito della diplomazia del XXI secolo – che si stanno sviluppando nuove istituzioni. Tra queste figurano la comunità BRICS in espansione, le organizzazioni delle principali regioni come l’Organizzazione di cooperazione di Shanghai, le organizzazioni eurasiatiche e le associazioni regionali più compatte ma non per questo meno importanti. Molti di questi gruppi stanno emergendo in tutto il mondo – non li elencherò tutti, poiché li conoscete già.

Tutte queste nuove strutture sono diverse, ma sono accomunate da una qualità fondamentale: non operano secondo il principio della gerarchia o della subordinazione a un unico potere dominante. Non sono contro nessuno, sono per se stesse. Permettetemi di ribadire: il mondo moderno ha bisogno di accordi, non dell’imposizione della volontà di qualcuno. L’egemonia, di qualsiasi tipo essa sia, semplicemente non può e non riuscirà a far fronte alla portata delle sfide.

Garantire la sicurezza internazionale in queste circostanze è una questione estremamente urgente con molte variabili. Il numero crescente di attori con obiettivi, culture politiche e tradizioni distintive diversi crea un ambiente globale complesso che rende lo sviluppo di approcci per garantire la sicurezza un compito molto più intricato e difficile da affrontare. Allo stesso tempo, però, apre nuove opportunità per tutti noi.

Le ambizioni basate sui blocchi, pre-programmate per esacerbare il confronto, sono senza dubbio diventate un anacronismo privo di significato. Vediamo, ad esempio, con quanta diligenza i nostri vicini europei stiano cercando di rattoppare e ricoprire le crepe che attraversano l’edificio dell’Europa. Eppure, vogliono superare le divisioni e rafforzare l’unità traballante di cui un tempo andavano fieri, non affrontando efficacemente le questioni interne, ma gonfiando l’immagine di un nemico. È un vecchio trucco, ma il punto è che le persone in quei paesi vedono e capiscono tutto. Ecco perché scendono in piazza nonostante l’escalation esterna e la continua ricerca di un nemico, come ho detto prima.

Stanno ricreando l’immagine di un vecchio nemico, quello che hanno creato secoli fa, ovvero la Russia. La maggior parte degli europei fatica a capire perché dovrebbero avere così tanta paura della Russia, al punto che per opporsi ad essa devono stringere ancora di più la cinghia, abbandonare i propri interessi, rinunciarvi e perseguire politiche che sono chiaramente dannose per loro stessi. Eppure, le élite al potere dell’Europa unita continuano a fomentare l’isteria. Affermano che la guerra con i russi è ormai alle porte. Ripetono questa assurdità, questo mantra, all’infinito.

Francamente, quando a volte guardo e ascolto quello che dicono, penso che non possano davvero crederci. Non possono credere a quello che dicono quando affermano che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure stanno facendo credere questo al loro popolo. Quindi, che tipo di persone sono? O sono completamente incompetenti, se ci credono davvero, perché credere a simili sciocchezze è semplicemente inconcepibile, oppure sono semplicemente disonesti, perché non ci credono loro stessi ma stanno cercando di convincere i loro cittadini che è vero. Quali altre opzioni ci sono?

Francamente, sono tentato di dire: calmatevi, dormite sonni tranquilli e occupatevi dei vostri problemi. Guardate cosa sta succedendo nelle strade delle città europee, cosa sta succedendo con l’economia, l’industria industria, la cultura e l’identità europea, i debiti enormi e la crisi crescente dei sistemi di sicurezza sociale, la migrazione incontrollata e la violenza dilagante, compresa quella politica, la radicalizzazione di gruppi di sinistra, ultraliberali, razzisti e altri gruppi marginali.

Prendete nota di come l’Europa stia scivolando ai margini della concorrenza globale. Sappiamo perfettamente quanto siano infondate le minacce sui cosiddetti piani aggressivi della Russia con cui l’Europa si spaventa. Ne ho appena parlato. Ma l’autosuggestione è una cosa pericolosa. E non possiamo semplicemente ignorare ciò che sta accadendo; non abbiamo il diritto di farlo, per il bene della nostra sicurezza, per ribadire, per il bene della nostra difesa e della nostra incolumità.

Ecco perché stiamo monitorando attentamente la crescente militarizzazione dell’Europa. Si tratta solo di retorica o è giunto il momento di reagire? Abbiamo sentito, e anche voi ne siete a conoscenza, che la Repubblica Federale di Germania sta affermando che il suo esercito deve tornare ad essere il più forte d’Europa. Bene, stiamo ascoltando attentamente e seguendo tutto per capire cosa si intenda esattamente con questo.

Credo che nessuno abbia dubbi sul fatto che la risposta della Russia non tarderà ad arrivare. Per usare un eufemismo, la risposta a queste minacce sarà molto convincente. E sarà davvero una risposta: noi non abbiamo mai dato inizio a uno scontro militare. È insensato, inutile e semplicemente assurdo; distoglie l’attenzione dai problemi e dalle sfide reali. Prima o poi, le società inevitabilmente chiederanno conto ai loro leader e alle loro élite di aver ignorato le loro speranze, aspirazioni e necessità.

Tuttavia, se qualcuno dovesse ancora sentirsi tentato di sfidarci militarmente – come diciamo in Russia, la libertà è per i liberi – che ci provi pure. La Russia lo ha dimostrato più volte: quando la nostra sicurezza, la pace e la tranquillità dei nostri cittadini, la nostra sovranità e le fondamenta stesse del nostro Stato sono minacciate, reagiamo prontamente.

Non c’è bisogno di provocazioni. Non c’è stato un solo caso in cui questo abbia portato a un esito positivo per il provocatore. E non ci si devono aspettare eccezioni in futuro: non ce ne saranno.

La nostra storia ha dimostrato che la debolezza è inaccettabile, poiché crea tentazioni, l’illusione che la forza possa essere utilizzata per risolvere qualsiasi questione che ci riguarda. La Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione. Che lo ricordino coloro che provano risentimento per il fatto stesso della nostra esistenza, coloro che nutrono il sogno di infliggerci questa cosiddetta sconfitta strategica. A proposito, molti di coloro che ne parlavano attivamente, come diciamo in Russia, “alcuni non ci sono più, altri sono lontani”. Dove sono ora queste figure?

Ci sono così tanti problemi oggettivi nel mondo – derivanti da fattori naturali, tecnologici o sociali – che spendere energie e risorse per contraddizioni artificiali, spesso inventate, è inaccettabile, dispendioso e semplicemente sciocco.

La sicurezza internazionale è ormai diventata un fenomeno così multiforme e indivisibile che nessuna divisione geopolitica basata sui valori può frammentarla. Solo un lavoro meticoloso e completo che coinvolga diversi partner e si basi su approcci creativi può risolvere le complesse equazioni della sicurezza del XXI secolo. In questo contesto, non esistono elementi più o meno importanti o cruciali: tutto deve essere affrontato in modo olistico.

Il nostro Paese ha sempre sostenuto, e continua a sostenere, il principio della sicurezza indivisibile. L’ho detto molte volte: la sicurezza di alcuni non può essere garantita a scapito di altri. Altrimenti, non c’è sicurezza per nessuno. L’affermazione di questo principio si è rivelata infruttuosa. L’euforia e la sete di potere incontrollata di coloro che si consideravano vincitori dopo la guerra fredda – come ho ripetutamente affermato – hanno portato a tentativi di imporre a tutti nozioni unilaterali e soggettive di sicurezza.

Questo, infatti, è diventato la vera causa principale non solo del conflitto ucraino, ma anche di molte altre crisi acute della fine del XX secolo e del primo decennio del XXI secolo. Di conseguenza, proprio come avevamo avvertito, oggi nessuno si sente veramente al sicuro. È tempo di tornare ai principi fondamentali e correggere gli errori del passato.

Tuttavia, la sicurezza indivisibile oggi, rispetto alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, è un fenomeno ancora più complesso. Non si tratta più solo di equilibrio militare e politico e di considerazioni di interesse reciproco.

La sicurezza dell’umanità dipende dalla sua capacità di rispondere alle sfide poste dai disastri naturali, dalle catastrofi causate dall’uomo, dallo sviluppo tecnologico e dai rapidi processi sociali, demografici e informativi.

Tutto questo è interconnesso e i cambiamenti avvengono in gran parte da soli, spesso, l’ho già detto, in modo imprevedibile, seguendo la loro logica e le loro regole interne e, a volte, oserei dire, anche al di là della volontà e delle aspettative delle persone.

In una situazione del genere, l’umanità rischia di diventare superflua, un semplice osservatore di processi che non sarà mai in grado di controllare. Che cos’è questo se non una sfida a livello di sistema per tutti noi e un’opportunità per tutti noi di lavorare insieme in modo costruttivo?

Non esistono risposte pronte, ma ritengo che la soluzione alle sfide globali richieda, in primo luogo, un approccio libero da pregiudizi ideologici e pathos didattico, del tipo “Ora vi dirò cosa fare”. In secondo luogo, è importante comprendere che si tratta di una questione veramente comune e indivisibile che richiede lo sforzo congiunto di tutti i paesi e tutte le nazioni.

Ogni cultura e civiltà dovrebbe dare il proprio contributo perché, ripeto, nessuno conosce da solo la risposta giusta. Essa può essere trovata solo attraverso una ricerca comune e costruttiva, unendo – e non separando – gli sforzi e le esperienze nazionali dei vari paesi.

Ripeto ancora una volta: i conflitti e gli scontri di interessi ci sono sempre stati e, naturalmente, continueranno ad esserci per sempre – la questione è come risolverli. Un mondo policentrico, come ho già detto oggi, è un ritorno alla diplomazia classica, in cui la risoluzione dei conflitti richiede attenzione, rispetto reciproco e non coercizione.

La diplomazia classica era in grado di tenere conto delle posizioni dei diversi attori internazionali, della complessità del “concerto” composto dalle voci delle diverse potenze. Tuttavia, ad un certo punto è stata sostituita dalla diplomazia occidentale fatta di monologhi, prediche infinite e ordini. Invece di risolvere i conflitti, alcune parti hanno iniziato a perseguire i propri interessi egoistici, considerando quelli di tutti gli altri non degni di attenzione.

Non c’è da stupirsi che, invece di risolversi, i conflitti si siano solo ulteriormente inaspriti fino al punto di trasformarsi in una sanguinosa fase armata che ha portato a un disastro umanitario. Agire in questo modo significa non riuscire a risolvere alcun conflitto. Gli esempi degli ultimi 30 anni sono innumerevoli.

Uno di questi è il conflitto israelo-palestinese, che non può essere risolto seguendo le ricette di una diplomazia occidentale sbilanciata che ignora grossolanamente la storia, le tradizioni, l’identità e la cultura dei popoli che vivono in quella regione. Né contribuisce a stabilizzare la situazione in Medio Oriente in generale, che al contrario sta rapidamente peggiorando. Ora stiamo familiarizzando più nel dettaglio con le iniziative del presidente Trump. Mi sembra che in questo caso possa ancora apparire una luce alla fine del tunnel.

Anche la tragedia dell’Ucraina è un esempio terrificante. È un dolore per gli ucraini e i per tutti noi. Le ragioni del conflitto in Ucraina sono note a chiunque si sia preso la briga di esaminare il contesto della sua fase attuale, la più acuta. Non le ripeterò. Sono certo che tutti i presenti ne siano ben consapevoli, così come della mia posizione su questo tema, che ho espresso più volte.

C’è anche un’altra cosa ben nota. Coloro che hanno incoraggiato, incitato e armato l’Ucraina, che l’hanno spinta a inimicarsi la Russia, che per decenni hanno alimentato il nazionalismo sfrenato e il neonazismo in quel Paese, francamente – scusate la franchezza – non gliene fregava niente degli interessi della Russia o, per quel che conta, dell’Ucraina. Non provano nulla per il popolo ucraino. Per loro – globalisti ed espansionisti dell’ Occidente e i loro servitori a Kiev – sono materiale sacrificabile. I risultati di un avventurismo così sconsiderato sono sotto gli occhi di tutti e non c’è nulla da discutere.

Sorge un’altra domanda: sarebbe potuta andare diversamente? Sappiamo anche, e torno a quanto affermato una volta dal presidente Trump, che se lui fosse stato in carica all’epoca, tutto questo avrebbe potuto essere evitato. Sono d’accordo. In effetti, si sarebbe potuto evitare se il nostro lavoro con l’amministrazione Biden fosse stato organizzato in modo diverso; se l’Ucraina non fosse stata trasformata in un’arma distruttiva nelle mani di qualcun altro; se la NATO non fosse stata utilizzata a questo scopo mentre avanzava verso i nostri confini; e se l’Ucraina avesse finalmente preservato la sua indipendenza, la sua autentica sovranità.

C’è ancora una domanda. Come avrebbero dovuto essere risolte le questioni bilaterali tra Russia e Ucraina, che erano il risultato naturale della frammentazione di un vasto paese e di complesse trasformazioni geopolitiche? A proposito, credo che la dissoluzione dell’Unione Sovietica fosse legata alla posizione dell’ allora leadership russa, che cercava di liberarsi dal confronto ideologico nella speranza che ora, con la fine del comunismo, saremmo diventati fratelli. Non è successo nulla del genere. Sono entrati in gioco altri fattori sotto forma di interessi geopolitici. Si è scoperto che le differenze ideologiche non erano il vero problema.

Quindi, come dovrebbero essere risolti tali problemi in un mondo policentrico? Come sarebbe stata affrontata la situazione in Ucraina? Penso che se ci fosse stata una multipolarità, i diversi poli avrebbero cercato di risolvere il conflitto ucraino in base alle loro dimensioni, per così dire. Lo avrebbero misurato rispetto ai propri potenziali focolai di tensione e alle fratture nelle loro regioni. In tal caso, una soluzione collettiva sarebbe stata molto più responsabile ed equilibrata.

L’accordo si sarebbe basato sulla consapevolezza che tutti i partecipanti a questa difficile situazione hanno i propri interessi fondati su circostanze oggettive e soggettive che semplicemente non possono essere ignorate. Il desiderio di tutti i paesi di garantire la sicurezza e il progresso è legittimo. Senza dubbio, questo vale per l’Ucraina, la Russia e tutti i nostri vicini. I paesi della regione dovrebbero avere voce in capitolo nella definizione di un sistema regionale. Essi hanno le maggiori possibilità di concordare un modello di interazione accettabile per tutti, poiché la questione li riguarda direttamente. Rappresenta il loro interesse vitale.

Per altri paesi, la situazione in Ucraina è solo una carta da giocare in un gioco diverso, molto più grande, un gioco tutto loro, che di solito ha poco a che fare con i problemi reali dei paesi coinvolti, compreso questo in particolare. È solo una scusa e un mezzo per raggiungere i propri obiettivi geopolitici, espandere la propria area di controllo e guadagnare dalla guerra. Ecco perché hanno portato le infrastrutture della NATO proprio alle nostre porte e per anni hanno guardato con faccia impassibile alla tragedia del Donbass e a quello che è stato essenzialmente un genocidio e uno sterminio del popolo russo sulla nostra terra storica, un processo iniziato nel 2014 sulla scia di un sanguinoso colpo di Stato in Ucraina.

In contrasto con tale condotta dimostrata dall’Europa e, fino a poco tempo fa, dagli Stati Uniti sotto la precedente amministrazione, si contrappongono le azioni dei paesi appartenenti alla maggioranza globale. Essi rifiutano di schierarsi e si impegnano sinceramente per contribuire a stabilire una pace giusta. Siamo grati a tutti gli Stati che negli ultimi anni si sono sinceramente impegnati per trovare una via d’uscita dalla situazione. Tra questi ci sono i nostri partner, i fondatori del BRICS: Cina, India, Brasile e Sudafrica. Tra questi ci sono anche la Bielorussia e, per inciso, la Corea del Nord. Questi sono i nostri amici nel mondo arabo e islamico, soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto, Turchia e Iran. In Europa, questi includono Serbia, Ungheria e Slovacchia. E ci sono molti paesi simili in Africa e America Latina .

Purtroppo, le ostilità non sono ancora cessate. Tuttavia, la responsabilità di ciò non ricade sulla maggioranza per non essere riuscita a fermarle, ma sulla minoranza, principalmente l’Europa, che continua ad alimentare il conflitto – e, a mio avviso, nessun altro obiettivo è oggi nemmeno individuabile. Ciononostante, credo che la buona volontà prevarrà, e a questo proposito non ho il minimo dubbio: credo che anche in Ucraina si stiano verificando dei cambiamenti, sebbene graduali – lo vediamo. Per quanto le menti delle persone possano essere state manipolate, si stanno comunque verificando dei cambiamenti nella coscienza pubblica e, in effetti, nella stragrande maggioranza delle nazioni di tutto il mondo.

In effetti, il fenomeno della maggioranza globale è un nuovo sviluppo negli affari internazionali. Vorrei dire alcune parole anche su questo argomento. Qual è la sua essenza? La stragrande maggioranza degli Stati mondiali è orientata al perseguimento dei propri interessi civili, primo fra tutti il loro sviluppo equilibrato e progressivo. Ciò sembrerebbe naturale: è sempre stato così. Ma in epoche precedenti, la comprensione di questi stessi interessi era spesso distorta da ambizioni malsane, egoismo e dall’influenza dell’ideologia espansionistica.

Oggi, la maggior parte dei paesi e dei popoli – proprio questa maggioranza globale – riconosce i propri veri interessi. Fondamentalmente, ora sentono la forza e la fiducia necessarie per difendere tali interessi dalle pressioni esterne – e aggiungo che nel promuovere e sostenere i propri interessi, sono pronti a collaborare con i partner, trasformando così le relazioni internazionali, la diplomazia e l’integrazione in fonti della propria crescita, del proprio progresso e del proprio sviluppo. Le relazioni all’interno della maggioranza globale rappresentano un prototipo delle pratiche politiche essenziali ed efficaci in un mondo policentrico.

Si tratta di pragmatismo e realismo: un rifiuto della filosofia dei blocchi, l’assenza di obblighi rigidi imposti dall’esterno o di modelli che prevedono partner senior e junior. Infine, è la capacità di conciliare interessi che raramente sono pienamente allineati, ma che raramente sono in contraddizione tra loro. L’assenza di antagonismo diventa il principio guida.

Una nuova ondata di decolonizzazione sta sorgendo ora, poiché le ex colonie stanno acquisendo, oltre alla statualità, anche la sovranità politica, economica, culturale e di visione del mondo .

Un’altra data è importante a questo proposito. Abbiamo recentemente celebrato l’ ottantesimo anniversario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Non è solo un’organizzazione universale e la più rappresentativa al mondo, ma anche un simbolo dello spirito di cooperazione, alleanza e persino di fratellanza di combattimento, che ci ha aiutato a unire le forze nella prima metà del secolo scorso nella lotta contro il peggior male della storia: una spietata macchina di sterminio e schiavitù.

Il ruolo decisivo nella nostra comune vittoria sul nazismo, di cui siamo orgogliosi, è stato svolto dall’Unione Sovietica, naturalmente. Un rapido sguardo al numero di vittime per ciascun membro della coalizione anti-Hitler lo dimostra chiaramente

L’ONU è l’eredità della vittoria nella seconda guerra mondiale e, finora, l’esperienza di maggior successo nella creazione di un’organizzazione internazionale volta a risolvere i problemi globali attuali.

Oggi si dice spesso che il sistema delle Nazioni Unite sia paralizzato e stia attraversando una crisi. È diventato un luogo comune. Alcuni sostengono addirittura che abbia esaurito la sua funzione e che dovrebbe essere almeno radicalmente riformato. Sì, ci sono molte, moltissime carenze nel funzionamento delle Nazioni Unite. Eppure non c’è niente di meglio delle Nazioni Unite finora, e dobbiamo ammetterlo.

In realtà, il problema non riguarda l’ONU, che ha un potenziale enorme. Il problema sta nel modo in cui noi, le nazioni unite che sono state disunite, stiamo utilizzando questo potenziale.

Non vi è alcun dubbio che l’ONU debba affrontare delle sfide. Come qualsiasi altra organizzazione, dovrebbe adattarsi alle realtà in evoluzione. Tuttavia, è estremamente importante preservare l’essenza fondamentale dell’ONU durante la sua riforma e il suo aggiornamento, non solo l’essenza che le è stata impressa alla sua nascita, ma anche l’essenza che ha acquisito nel complesso processo del suo sviluppo.

A questo proposito, vale la pena ricordare che il numero degli Stati membri delle Nazioni Unite è quasi quadruplicato dal 1945. Negli ultimi decenni, l’organizzazione fondata su iniziativa di alcuni grandi paesi non solo si è ampliata, ma ha anche assorbito molte culture e tradizioni politiche diverse, acquisendo diversità e diventando una struttura veramente multipolare molto prima che il mondo diventasse multipolare. Il potenziale del sistema delle Nazioni Unite ha appena iniziato a dispiegarsi e sono fiducioso che questo processo sarà completato molto rapidamente nella nuova era nascente.

In altre parole, i  paesi della Maggioranza Globale costituiscono ora una stragrande maggioranza all’ONU, e la sua struttura e i suoi organi di governo dovrebbero quindi essere adeguati a questo fatto, il che sarà anche molto più in linea con i principi fondamentali della democrazia.

Non lo nego: oggi non c’è consenso su come dovrebbe essere organizzato il mondo, su quali principi dovrebbe basarsi negli anni e nei decenni a venire . Siamo entrati in un lungo periodo di ricerca, spesso procedendo per tentativi ed errori. Quando un nuovo sistema stabile prenderà finalmente forma – e quale sarà la sua struttura – rimane sconosciuto. Dobbiamo essere pronti al fatto che, per un periodo di tempo considerevole, lo sviluppo sociale, politico ed economico sarà imprevedibile, a volte persino turbolento.

Per mantenere la rotta e non perdere l’orientamento, tutti hanno bisogno di una base solida. A nostro avviso, questa base è, soprattutto, costituita dai valori che sono maturati nel corso dei secoli all’interno delle culture nazionali. Cultura e storia, norme etiche e religiose, geografia e spazio – questi sono gli elementi chiave che plasmano le civiltà e le comunità durature. Essi definiscono l’identità nazionale, i valori e le tradizioni, fornendo la bussola che ci aiuta a resistere alle tempeste della vita internazionale.

Le tradizioni sono sempre uniche; ogni nazione ha le proprie. Il rispetto delle tradizioni è la prima e più importante condizione per relazioni internazionali stabili e per risolvere le sfide emergenti.

Il mondo ha già vissuto tentativi di unificazione, di imposizione di modelli cosiddetti universali che si scontravano con le tradizioni culturali ed etiche della maggior parte dei popoli. L’Unione Sovietica ha commesso questo errore imponendo il proprio sistema politico: lo sappiamo bene e, francamente, non credo che qualcuno possa contestarlo. In seguito gli Stati Uniti hanno raccolto il testimone, e anche l’Europa ci ha provato. In entrambi i casi, hanno fallito. Ciò che è superficiale, artificiale, imposto dall’esterno non può durare. E coloro che rispettano le proprie tradizioni, di norma, non invadono quelle degli altri.

Oggi, sullo sfondo dell’instabilità internazionale, viene attribuita particolare importanza alle fondamenta di sviluppo di ciascuna nazione: quelle che non dipendono dalle turbolenze esterne. Vediamo paesi e popoli rivolgersi a queste radici. E questo sta accadendo non solo nella Maggioranza Globale , ma anche all’interno delle società occidentali. Quando tutti si concentrano sul proprio sviluppo senza inseguire ambizioni inutili, diventa molto più facile trovare un terreno comune con gli altri.

Come esempio, possiamo guardare alla recente esperienza di interazione tra Russia e Stati Uniti. Come sapete, i nostri paesi hanno molti disaccordi; le nostre opinioni su molti dei problemi mondiali divergono. Ma questo non è niente di straordinario per le grandi potenze; anzi, è assolutamente naturale. Ciò che conta è come risolviamo questi disaccordi e se riusciamo a risolverli pacificamente.

L’attuale amministrazione della Casa Bianca è molto chiara riguardo ai propri interessi, affermando direttamente ciò che vuole, a volte anche in modo schietto, come sicuramente concorderete, ma senza inutili ipocrisie. È sempre preferibile essere chiari su ciò che l’altra parte vuole e su ciò che sta cercando di ottenere. È meglio che cercare di indovinare il vero significato dietro una lunga serie di equivoci, linguaggio ambiguo e vaghi accenni.

Possiamo vedere che l’attuale amministrazione statunitense è guidata principalmente dai propri interessi nazionali, così come li intende essa stessa. E credo che questo sia un approccio razionale.

Ma poi, se mi permetti, anche la Russia ha il diritto di seguire i propri interessi nazionali. Uno di questi, tra l’altro, è il ripristino di relazioni complete con gli Stati Uniti. Indipendentemente dai nostri disaccordi, se le due parti si trattano con rispetto, allora i loro negoziati – anche quelli più difficili e ostici – saranno comunque finalizzati alla ricerca di un terreno comune. Ciò significa che alla fine si potranno raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili.

La multipolarità e il policentrismo non sono solo concetti, ma una realtà destinata a durare . Quanto velocemente e con quanta efficacia riusciremo a costruire un sistema mondiale sostenibile all’interno di questo quadro dipende ora da ognuno di noi. Questo nuovo ordine internazionale, questo nuovo modello, può essere costruito solo attraverso sforzi universali, un’impresa collettiva alla quale tutti partecipano. Vorrei essere chiaro: l’era in cui un gruppo selezionato delle potenze più forti poteva decidere per il resto del mondo è finita, ed è finita per sempre.

Questo è un punto che viene ricordato soprattutto da coloro che provano nostalgia per l’era coloniale, quando era comune dividere i popoli in quelli che erano uguali e quelli che erano, per usare la famosa frase di Orwell, “più uguali degli altri”. Conosciamo tutti quella citazione.

La Russia non ha mai preso in considerazione questa teoria razzista, non ha mai condiviso questo atteggiamento nei confronti di altri popoli e culture e non lo farà mai.

Noi sosteniamo la diversità, la polifonia, una vera sinfonia di valori umani. Il mondo, come sicuramente concorderete, è un luogo noioso e incolore quando è monotono. La Russia ha avuto un passato molto turbolento e difficile. La nostra stessa identità nazionale è stata forgiata dal superamento continuo di colossali sfide storiche .

Non intendo suggerire che altri Stati si siano sviluppati in condizioni favorevoli, ovviamente no. Tuttavia, l’esperienza della Russia è unica sotto molti aspetti, così come lo è il Paese che ha creato. Sia chiaro: non si tratta di una pretesa di eccezionalità o superiorità, ma semplicemente di una constatazione di fatto. La Russia è un Paese particolare.

Abbiamo attraversato numerosi sconvolgimenti tumultuosi, ognuno dei quali ha dato al mondo spunti di riflessione su una vasta gamma di questioni, sia negative che positive. Ma è proprio questo bagaglio storico che ci ha lasciato meglio preparati per la situazione globale complessa, non lineare e ambigua in cui tutti ci troviamo ora.

Attraverso tutte le sue prove, la Russia ha dimostrato una cosa: era, è e sarà sempre. Comprendiamo che il suo ruolo nel mondo sta cambiando, ma rimane invariabilmente una forza senza la quale la vera armonia e l’equilibrio sono difficili, e spesso impossibili, da raggiungere. Questo è un fatto provato, confermato dalla storia e dal tempo. È un fatto incondizionato.

Nel mondo multipolare di oggi, quell’armonia e quell’equilibrio possono essere raggiunti solo attraverso uno sforzo comune e congiunto. E oggi voglio assicurarvi che la Russia è pronta per questo lavoro.

Grazie mille. Grazie.

Fyodor Lukyanov: Signor Putin, grazie mille per questa ampia…

Vladimir Putin: Ti ho stancato? Mi dispiace.

Fyodor Lukyanov: Niente affatto, ha appena iniziato. (Risate). Ma ha immediatamente alzato molto l’asticella della nostra discussione, quindi naturalmente approfondiremo molti dei temi che ha sollevato.

Soprattutto perché un mondo veramente policentrico e multipolare sta ancora solo cominciando ad essere descritto. Come hai giustamente osservato nel tuo intervento, è così complesso che possiamo coglierne solo alcune parti, come in una vecchia parabola in cui ognuno tocca una parte dell’elefante e pensa che sia il tutto, ma in realtà è solo una parte.

Vladimir Putin: Sapete bene che non si tratta solo di parole. Ho parlato sulla base della mia esperienza. Mi trovo spesso ad affrontare questioni molto specifiche che devono essere risolte in una parte o nell’altra del mondo. In passato, durante l’ Unione Sovietica, era un blocco contro un altro: ci si accordava all’interno del proprio blocco e poi si partiva.

No, sarò sincero con te: più di una volta ho dovuto soppesare una decisione: fare questo o quello. Ma il mio pensiero successivo era: no, non posso farlo perché danneggerebbe qualcuno; sarebbe meglio fare qualcos’altro. Ma poi: no, questo farebbe del male a qualcun altro. Questa è la realtà. A dire il vero, ci sono stati alcuni casi in cui ho deciso che non avremmo fatto nulla. Perché il danno derivante dall’agire sarebbe stato maggiore rispetto a quello derivante dal semplice fatto di mostrare moderazione e pazienza.

Questa è la realtà odierna. Non ho inventato nulla: è semplicemente così che stanno le cose nella vita reale, nella pratica.

Fyodor Lukyanov: Giocavi a scacchi a scuola?

Vladimir Putin: Sì, mi piacevano gli scacchi.

Fyodor Lukyanov: Bene. Allora continuerò da quello che hai appena detto sulla pratica. È vero: non è solo la teoria a cambiare, ma anche le azioni pratiche sulla scena internazionale non possono più essere quelle di una volta.

Nei decenni precedenti molti facevano affidamento su istituzioni – organizzazioni internazionali, strutture all’interno degli Stati – che erano state create per affrontare determinate sfide.

Ora, come molti esperti hanno osservato a Valdai negli ultimi giorni, queste istituzioni per varie ragioni si stanno indebolendo o stanno perdendo la loro efficacia del tutto. Ciò significa che una responsabilità molto maggiore ricade sui leader stessi rispetto al passato.

Quindi la mia domanda per te è: ti senti mai come Alessandro I al Congresso di Vienna, che negoziava personalmente la forma del nuovo ordine mondiale, solo tu, da solo?

Vladimir Putin: No, non credo. Alessandro I era un imperatore; io sono un presidente, eletto dal popolo per un mandato specifico. È una grande differenza. Questo è il mio primo punto.

In secondo luogo, Alessandro I unificò l’Europa con la forza, sconfiggendo un nemico che aveva invaso il nostro territorio. Ricordiamo ciò che fece : il Congresso di Vienna e così via. Per quanto riguarda la direzione che ha preso il mondo dopo, lasciamo che siano gli storici a giudicare. È discutibile: le monarchie avrebbero dovuto essere ripristinate ovunque, come se si volesse riportare indietro un po’ la ruota della storia? Oppure non sarebbe stato meglio osservare le tendenze emergenti e indicare la strada da seguire? Questo è solo un commento – a proposito, come si suol dire – non direttamente correlato alla tua domanda.

Per quanto riguarda le istituzioni moderne, qual è il problema, in fin dei conti? Esse hanno subito un degrado proprio nel periodo in cui alcuni paesi, o l’Occidente collettivo, hanno cercato di sfruttare la situazione post-guerra fredda dichiarandosi vincitori. In questo contesto, hanno iniziato a imporre la propria volontà a tutti – questo è il primo punto. In secondo luogo, tutti gli altri hanno iniziato gradualmente, dapprima in modo silenzioso, poi più attivamente, a resistere a questo.

Durante il periodo iniziale, dopo la fine dell’Unione Sovietica, le strutture occidentali inserirono un numero significativo di proprio personale nelle vecchie strutture. Tutto questo personale, seguendo rigorosamente le istruzioni, ha agito esattamente come gli era stato ordinato dai propri capi di Washington, comportandosi, francamente, in modo molto rozzo, senza alcun riguardo per nulla e nessuno.

Ciò ha portato, tra l’altro, la Russia a cessare del tutto di collaborare con queste istituzioni, ritenendo che non si potesse ottenere nulla. Per quale motivo è stata creata l’OSCE ? Per risolvere situazioni complesse in Europa. E a cosa è servita ? L’intera attività dell’OSCE si è ridotta a diventare una piattaforma per discutere, ad esempio, dei diritti umani nello spazio post-sovietico.

Beh, ascolta. Sì, ci sono molti problemi. Ma non ce ne sono molti anche nell’Europa occidentale? Senti, mi sembra che proprio di recente anche il Dipartimento di Stato americano abbia notato che in Gran Bretagna sono emersi problemi relativi ai diritti umani. Sembrerebbe assurdo… beh, buona salute a coloro che lo hanno fatto notare.

Tuttavia, questi problemi non sono emersi solo ora, ma sono sempre esistiti. Queste organizzazioni internazionali hanno semplicemente iniziato a concentrarsi professionalmente sulla Russia e sullo spazio post-sovietico. Ma non era quello il loro scopo previsto. E questo è il caso in molti settori.

Pertanto, hanno perso in gran parte il loro significato originario, quello che avevano quando furono creati nel sistema precedente, quando esistevano l’Unione Sovietica, il blocco orientale e il blocco occidentale. Ecco perché si sono degradati. Non perché fossero mal strutturate, ma perché hanno smesso di svolgere i ruoli per cui erano state create.

Eppure non c’è e non c’era alternativa alla ricerca di soluzioni basate sul consenso. Per inciso, ci siamo gradualmente resi conto che dovevamo creare istituzioni in cui le questioni venissero risolte non come cercavano di fare i nostri colleghi occidentali, ma sulla base di un consenso autentico, basato su un reale allineamento delle posizioni. È così che è nata la SCO, l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai.

Da cosa è nato inizialmente? Dalla necessità di regolamentare i rapporti di confine tra paesi: le ex repubbliche sovietiche e la Repubblica Popolare Cinese. Ha funzionato molto bene, in effetti. Abbiamo iniziato ad ampliare il suo ambito di attività. E ha preso il volo! Capite?

È così che è nato il BRICS, quando il Primo Ministro dell’India e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese erano miei ospiti e ho proposto di incontrarci come un trio – questo avvenne a San Pietroburgo. Nacque il RIC – Russia, India, Cina. Concordammo che: a) ci saremmo incontrati; e b) avremmo ampliato questa piattaforma affinché i nostri ministri degli esteri potessero lavorarci. E il progetto decollò.

Perché? Perché tutti i partecipanti hanno immediatamente capito, nonostante alcune divergenze tra loro, che nel complesso si trattava di una buona piattaforma: nessuno voleva mettersi in prima linea o promuovere i propri interessi a tutti i costi. Al contrario, tutti hanno compreso che era necessario cercare un equilibrio.

Poco dopo, il Brasile e il Sudafrica hanno chiesto di aderire e sono nati i BRICS. Si tratta di partner naturali, uniti da un’idea comune su come costruire relazioni per trovare soluzioni reciprocamente accettabili. Hanno iniziato a riunirsi all’interno dell’organizzazione.

Lo stesso ha cominciato ad accadere in tutto il mondo, come ho già detto in precedenza riguardo alle organizzazioni regionali. Guardate come sta crescendo l’autorità di queste organizzazioni. Questa è la chiave per garantire che il nuovo complesso mondo multipolare abbia comunque una possibilità di essere stabile.

Fyodor Lukyanov: Lei ha appena usato una metafora chiara e popolare sul fatto che la forza è giusta a meno che non ci sia una forza più forte. Questo può essere applicato anche alle istituzioni, perché quando le istituzioni sono inefficaci, si è costretti a ricorrere alla forza, cioè alla forza militare, che è tornata in primo piano nelle relazioni internazionali.

Se ne discute spesso, e noi al forum Valdai abbiamo dedicato una sezione a questo tema: la natura della nuova guerra, della guerra moderna. È chiaramente cambiata. Cosa può dire, in qualità di comandante in capo supremo e leader politico, sui cambiamenti nel carattere della guerra?

Vladimir Putin: È una domanda molto specifica e tuttavia estremamente importante.

In primo luogo, sono sempre esistiti metodi non militari per affrontare questioni militari, ma questi stanno acquisendo un nuovo significato e producendo nuovi effetti con lo sviluppo della tecnologia. Mi riferisco agli attacchi informativi e ai tentativi di influenzare e corrompere la mentalità politica del potenziale avversario.

Ecco cosa mi è venuto in mente in questo momento. Recentemente mi è stato detto del ritorno di una vecchia tradizione russa, secondo la quale le giovani donne vanno alle feste, anche nei bar e nei club, indossando abiti tradizionali russi e copricapi. Sapete, non è uno scherzo, e questo mi rende felice. Perché? Perché significa che i nostri nemici non hanno raggiunto il loro obiettivo, nonostante tutti i tentativi di corrompere la società russa dall’interno, e che l’effetto è addirittura opposto a quello che si aspettavano.

È molto positivo che i nostri giovani abbiano questa difesa contro i tentativi di influenzare la mentalità pubblica dall’interno. È una prova della maturità e della forza della società russa. Ma questo è solo un lato della medaglia. L’altro è rappresentato dai tentativi di danneggiare la nostra economia, il settore finanziario e così via, il che è estremamente pericoloso.

Per quanto riguarda la componente puramente militare, ci sono molti nuovi elementi legati allo sviluppo tecnologico, ovviamente. È sulla bocca di tutti, ma lo ripeto ancora una volta: sono i veicoli senza pilota in grado di operare in tre ambiti: aria, terra e mare. Questi includono imbarcazioni senza pilota, veicoli terrestri senza pilota e veicoli aerei senza pilota.

Inoltre, tutte hanno un duplice impiego. Questo è estremamente importante; è una delle caratteristiche speciali della modernità. Molte tecnologie utilizzate in combattimento hanno un duplice impiego. Prendiamo ad esempio i veicoli aerei senza pilota, che possono essere usati in medicina e per consegnare cibo o altri carichi utili ovunque, anche durante le ostilità.

Ciò richiede lo sviluppo anche di altri sistemi, come quelli di intelligence e di guerra elettronica. Questo sta cambiando le tattiche di guerra. Molte cose stanno cambiando sul campo di battaglia. Non servono più le formazioni a cuneo di Guderian o cariche di Rybalko, che furono effettuate durante la seconda guerra mondiale. I carri armati vengono utilizzati in modo completamente diverso ora, non per caricare attraverso le difese nemiche, ma per supportare la fanteria, il che viene fatto da posizioni coperte. Anche questo è necessario, ma è un metodo diverso.

Ma sapete qual è l’aspetto più sorprendente? La rapidità con cui avviene il cambiamento. I paradigmi tecnologici possono cambiare nel giro di un mese, a volte in una settimana. L’ho detto molte volte. Supponiamo di implementare un’innovazione chiave, come le armi ad alta precisione, compresi i sistemi a lungo raggio, che sono una componente vitale della guerra moderna, e che improvvisamente diventi meno efficace.

Perché? Perché l’avversario ha schierato sistemi di guerra elettronica ancora più recenti. Ha analizzato le nostre tattiche e adattato la propria risposta. Di conseguenza, ora dobbiamo trovare un antidoto nel giro di pochi giorni, una settimana al massimo. Questo sta avvenendo con una regolarità sbalorditiva e ha profonde implicazioni pratiche, dal campo di battaglia stesso ai nostri centri di ricerca. Questa è la realtà dei moderni conflitti armati : un processo di continuo aggiornamento.

Tutto cambia, tranne una cosa: il coraggio, l’audacia e l’eroismo del soldato russo. È la nostra immensa fonte di orgoglio. E quando dico “russo”, non mi riferisco solo all’etnia o al passaporto che si possiede. I nostri soldati stessi hanno abbracciato questa idea. Oggi, ognuno di loro, indipendentemente dalla religione o dall’origine etnica, dice con orgoglio: “Sono un soldato russo”. E lo sono.

Perché? Vorrei rispondere ricorrendo a Pietro il Grande. Qual era la sua definizione? Chi era, ai suoi occhi, un russo? Chi conosce la citazione, la riconoscerà. Per chi non la conoscesse, ve la riporto qui di seguito. Pietro il Grande disse: “È russo chi ama e serve la Russia”.

Fyodor Lukyanov: Grazie .

Per quanto riguarda i copricapi, i kokoshnik, ho capito l’antifona. La prossima volta indosseremo abiti appropriati.

Vladimir Putin: Non hai bisogno di un kokoshnik.

Fyodor Lukyanov: No? Bene, come dice lei.

Signor Presidente, passando a toni più seri, lei ha parlato della rapidità del cambiamento, e in effetti il ritmo è sbalorditivo, sia in ambito militare che civile. Sembra chiaro che questa realtà accelerata è ciò che definirà i prossimi anni e i prossimi decenni

Questo riporta alla mente le critiche che abbiamo affrontato più di tre anni fa, all’inizio dell’operazione militare speciale. A quel tempo, i critici sostenevano che la Russia e il suo esercito fossero in ritardo in alcune aree – e molte delle nostre mosse meno che riuscite erano direttamente collegate a questo.

Questo mi porta a porre due domande fondamentali. In primo luogo, secondo lei siamo riusciti a colmare tale divario?

E in secondo luogo, visto che parliamo del soldato russo, qual è la sua valutazione dell’attuale situazione sul fronte?

Vladimir Putin: Innanzitutto, chiariamo una cosa: non si trattava semplicemente di un “ritardo”. C’erano interi campi in cui le nostre conoscenze erano semplicemente inesistenti. Il problema non era che non avevamo il tempo di sviluppare determinate capacità. Il problema era che eravamo completamente all’oscuro del fatto che tali capacità fossero anche solo possibili.

In secondo luogo, noi stiamo combattendo questa guerra e producendo le nostre attrezzature militari. Ma dall’altra parte della linea, siamo effettivamente in guerra con la potenza collettiva della NATO. Non nascondono nemmeno più questo fatto. Lo vediamo nel coinvolgimento diretto di istruttori della NATO e rappresentanti dei paesi occidentali nelle ostilità. È stato istituito un centro di comando in Europa allo scopo di coordinare lo sforzo bellico del nostro avversario: fornire alle forze armate ucraine intelligence, immagini satellitari, armi e addestramento. E devo ribadire: questo personale straniero non è coinvolto solo nell’addestramento, ma partecipa direttamente alla pianificazione operativa e alle operazioni di combattimento stesse.

Pertanto, questo rappresenta una grave sfida per noi, naturalmente. Ma l’ esercito russo, lo Stato russo e la nostra industria della difesa si sono rapidamente adattati.

Ora, lo dico senza alcuna esagerazione: non si tratta di iperbole o di vuote vanterie, ma sono convinto che oggi l’ esercito russo è l’esercito più pronto al combattimento al mondo. Ciò vale in termini di addestramento del personale, capacità tecniche e capacità di schierarle e aggiornarle continuamente. È vero per quanto riguarda la nostra capacità di fornire nuovi sistemi d’arma al fronte e anche per quanto riguarda la sofisticatezza delle nostre tattiche operative. Credo che questa sia la risposta definitiva alla sua domanda.

Fyodor Lukyanov: I nostri interlocutori – e il vostro interlocutore dall’altra parte dell’oceano – hanno recentemente rinominato il loro Dipartimento della Difesa in Dipartimento della Guerra. Superficialmente, potrebbe sembrare la stessa cosa, ma come si suol dire, c’è una sfumatura. Credi che i nomi abbiano un significato sostanziale?

Vladimir Putin: Si potrebbe dire di no, ma allo stesso modo si potrebbe osservare che “come chiami la nave, così navigherà”. Probabilmente c’è un significato in questo, anche se il Dipartimento della Guerra suona piuttosto aggressivo. Il nostro è il Ministero della Difesa: questa è sempre stata la nostra posizione, lo è tuttora e continuerà ad esserlo. Non nutriamo alcuna intenzione aggressiva nei confronti di paesi terzi. Il nostro Ministero della Difesa esiste esclusivamente per salvaguardare la sicurezza dello Stato russo e dei popoli della Federazione Russa.

Fyodor Lukyanov: Eppure ci deride definendoci una «tigre di carta»… che ne pensi?

Vladimir Putin: Una “tigre di carta” … Come ho già detto, negli ultimi anni la Russia non ha combattuto contro le forze armate dell’Ucraina o contro l’Ucraina stessa, ma di fatto contro l’intero blocco NATO.

Per quanto riguarda la tua domanda sugli sviluppi lungo la linea di contatto, tornerò tra poco su queste “tigri”.

Attualmente, lungo praticamente l’intera linea di contatto, le nostre forze stanno avanzando con sicurezza. Partendo da nord: il Gruppo di forze nord – nella regione di Kharkov, la città di Volchansk e nella regione di Sumy, la comunità residenziale di Yunakovka – sono state recentemente poste sotto il nostro controllo. Metà di Volchansk è stata messa in sicurezza – la parte restante seguirà inevitabilmente a breve, non appena i nostri combattenti avranno completato l’operazione. Una zona di sicurezza è in fase di istituzione in modo metodico e secondo i piani.

Il West Group of Forces ha in gran parte conquistato Kupyansk – un importante centro abitato (non completamente, ma per due terzi della città). Il quartiere centrale è già nostro, mentre gli scontri continuano nel settore meridionale. Un’altra città importante, Kirovsk, è ora interamente sotto il nostro controllo.

Il Gruppo di Forze Sud è entrato a Konstantinovka, una linea difensiva chiave che comprende Konstantinovka, Slavyansk e Kramatorsk. Queste fortificazioni sono state sviluppate dall’AFU in più di un decennio con l’ assistenza di specialisti occidentali. Tuttavia, le nostre truppe hanno ora penetrato queste difese e i combattimenti sono in corso. Lo stesso vale per Seversk, un’altra importante comunità dove sono in corso le ostilità.

Il Gruppo di forze centrale continua a condurre operazioni efficaci, dopo essere entrato a Krasnoarmeysk – dall’approccio meridionale, se ricordo bene – con combattimenti ora in corso all’interno della città. Mi asterrò dal fornire dettagli eccessivi, anche perché non ho alcun desiderio di informare il nostro avversario, per quanto paradossale possa sembrare. Perché? Perché sono in disordine e non riescono a comprendere la situazione. Fornire loro ulteriori chiarimenti non serve a nulla. State tranquilli, il nostro personale sta svolgendo i propri compiti con sicurezza.

Per quanto riguarda il Gruppo di forze dell’Est : sta avanzando in modo deciso attraverso la parte settentrionale della regione di Zaporozhye e parzialmente nella regione di Dnepropetrovsk a un ritmo rapido.

Anche il gruppo di forze del Dnieper opera con piena sicurezza. Circa… Quasi il 100% della regione di Lugansk è nostra, mentre il nemico controlla forse lo 0,13%. Nella regione di Donetsk, controllano marginalmente oltre il 19%. Nelle regioni di Zaporozhye e Kherson, questa cifra si attesta rispettivamente intorno al 24-25% circa. Ovunque, le forze russe – sottolineo – mantengono un’iniziativa strategica indiscussa.

Eppure se stiamo combattendo l’intera alleanza NATO, avanzando così con incrollabile fiducia, e siamo considerati una “tigre di carta”, cosa rende la NATO stessa? Che tipo di entità è allora?

Ma non importa. Ciò che conta di più è avere fiducia in noi stessi, e noi ce l’abbiamo.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Ci sono giocattoli di carta ritagliata per i bambini: le tigri di carta. Potresti regalarne una al presidente Trump quando lo incontrerai la prossima volta.

Vladimir Putin: No, abbiamo un rapporto tutto nostro e sappiamo cosa regalarci a vicenda. Sa, abbiamo un atteggiamento molto tranquillo al riguardo .

Non so in quale contesto sia stata pronunciata quella frase; forse era ironica. Vedi, ci sono alcuni elementi… Quindi, ha detto al suo interlocutore che [la Russia] è una tigre di carta. Quali azioni potrebbero seguire? Si potrebbero intraprendere azioni per affrontare quella “tigre di carta”. Ma nulla di tutto questo sta accadendo nella realtà.

Qual è il problema attuale? Stanno inviando armi sufficienti alle forze armate ucraine, tante quante ne servono all’Ucraina. A settembre, le perdite dell’AFU ammontavano a circa 44.700 persone, quasi la metà delle quali irrecuperabili . Nello stesso periodo, hanno mobilitato con la forza poco più di 18.000 persone. Circa 14.500 persone sono tornate all’esercito dagli ospedali. Se sommiamo queste cifre e sottraiamo il totale dal numero delle vittime, vedremo che l’Ucraina ha perso 11.000 persone in un mese. In altre parole, il numero delle sue truppe sul fronte non è stato reintegrato e sta diminuendo.

Se guardiamo ai dati relativi al periodo gennaio-agosto, circa 150.000 ucraini hanno disertato dall’esercito. Nello stesso periodo, 160.000 persone sono state mobilitate nell’esercito, ma 150.000 disertori sono troppi. Se si considerano anche le crescenti perdite, anche se la cifra era più alta il mese precedente, ciò significa che l’unica soluzione è abbassare l’età di mobilitazione. Ma nemmeno questo produrrà il risultato desiderato.

Gli esperti russi e, per inciso, anche quelli occidentali ritengono che ciò difficilmente avrà un effetto positivo, poiché non hanno il tempo di addestrare i coscritti. Le nostre forze avanzano ogni giorno, capite? Non hanno tempo per trincerarsi o addestrare il loro nuovo personale, e stanno anche perdendo più militari di quanti possano rimpiazzare sul campo di battaglia. Questo è ciò che conta.

Pertanto, i leader di Kiev dovrebbero riflettere più seriamente sulla possibilità di raggiungere un accordo. Lo abbiamo detto molte volte, offrendo loro l’opportunità di farlo .

Fyodor Lukyanov: Abbiamo abbastanza personale per tutto?

Vladimir Putin: Sì, è vero. Innanzitutto, anche noi subiamo delle perdite, purtroppo, ma sono di gran lunga inferiori a quelle delle forze armate ucraine.

E poi, c’è una differenza. I nostri uomini si arruolano volontariamente nel servizio militare. Sono effettivamente volontari. Non stiamo conducendo una mobilitazione di massa, figuriamoci forzata, a differenza del regime di Kiev. Non me lo sono inventato, credetemi, sono dati oggettivi, confermati da esperti occidentali: 150.000 disertori [dalle AFU] da gennaio ad agosto. Qual è il motivo? Le persone sono state catturate per strada e ora stanno disertando dall’esercito, e giustamente. Inoltre, li esorto a disertare. Li invitiamo anche ad arrendersi, cosa difficile da fare perché coloro che cercano di arrendersi vengono fucilati dalle unità ucraine anti-ritirata o di blocco o uccisi dai droni. E i droni sono spesso guidati da mercenari di altri paesi che uccidono gli ucraini perché non si preoccupano di loro. Per quanto riguarda l’esercito [ucraino], è un semplice esercito composto da operai e contadini. L’élite non sta combattendo, sta solo mandando i propri cittadini al massacro. Ecco perché ci sono così tanti disertori.

Abbiamo anche dei disertori, il che è normale nei conflitti armati. Alcuni lasciano le loro unità senza permesso. Ma sono pochi, davvero pochi, rispetto all’altra parte, dove la diserzione è diventata un problema enorme. Questo è il problema. Possono abbassare l’età di leva a 21 o addirittura a 18 anni, ma questo non risolverà il problema, e devono accettarlo. Spero che i leader del regime di Kiev se ne rendano conto e trovino la forza di sedersi al tavolo delle trattative.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Amici, fate pure le vostre domande.

Ivan Safranchuk, prego, proceda.

Ivan Safranchuk: Signor Presidente, la ringrazio molto per il suo interessantissimo discorso di apertura. Lei ha già posto delle basi molto elevate per la nostra discussione durante il suo scambio con Fyodor Lukyanov.

Questo argomento è stato brevemente accennato nei vostri precedenti commenti, ma vorrei chiedere alcuni chiarimenti. Tra i cambiamenti fondamentali avvenuti negli ultimi anni, c’è qualcosa che l’ha sinceramente sorpresa? Ad esempio, il fervore con cui molti europei hanno cercato lo scontro con noi e il modo in cui alcuni hanno smesso di vergognarsi della loro partecipazione alla coalizione di Hitler.

Dopo tutto, ci sono sviluppi che fino a poco tempo fa erano difficili da immaginare. C’è stato davvero un elemento di sorpresa? Come è potuto succedere? Lei ha osservato che nel mondo di oggi bisogna essere preparati a tutto, perché tutto può accadere, eppure fino a poco tempo fa sembrava esserci una maggiore prevedibilità. Quindi, in mezzo a questo rapido ritmo di cambiamento, c’è stato qualcosa che l’ha davvero stupita?

Vladimir Putin: Inizialmente… Nel complesso, in linea di massima, no, nulla mi ha particolarmente sorpreso, poiché avevo previsto gran parte di ciò che sarebbe accaduto. Tuttavia, ciò che mi ha stupito è stata questa disponibilità, persino impazienza, di rivedere tutto ciò che era stato positivo in passato.

Considerate questo: all’inizio, con molta cautela, sondando il terreno, l’ Occidente iniziò a equiparare il regime di Stalin al regime fascista in Germania, il regime nazista, il regime di Hitler, mettendoli sullo stesso piano. Osservai chiaramente tutto questo; stavo guardando. Cominciarono a riesumare il Patto Molotov-Ribbentrop, dimenticando timidamente il tradimento di Monaco del 1938, come se non fosse mai avvenuto, come se il Primo Ministro [della Gran Bretagna] non fosse tornato a Londra dopo l’incontro di Monaco e non avesse sventolato l’accordo con Hitler dalla scaletta dell’aereo – «Abbiamo firmato un accordo con Hitler!» – brandendolo – “Ho portato la pace!” Eppure, anche allora, c’era qualcuno in Gran Bretagna che dichiarava: “Ora la guerra è inevitabile” – era Churchill. Chamberlain disse: “Ho portato la pace”. Churchill ribatté: “Ora la guerra è inevitabile”. Quelle valutazioni furono fatte anche allora.

Hanno detto: il Patto Molotov-Ribbentrop – un’atrocità, in collusione con Hitler, l’Unione Sovietica ha cospirato con Hitler. Beh, ma voi stessi avevate cospirato con Hitler poco prima e avevate smembrato la Cecoslovacchia. Come se non fosse mai successo. A livello propagandistico sì, si possono inculcare queste false equivalenze nella testa della gente, ma in sostanza sappiamo com’è andata davvero. Quello fu il primo atto del Ballet de la Merlaison.

Poi la situazione degenerò. Non solo iniziarono a equiparare i regimi di Stalin e Hitler, ma tentarono anche di cancellare gli stessi risultati dei processi di Norimberga . Bizzarro, considerando che si trattava di partecipanti a una lotta comune e che i processi di Norimberga erano collettivi, tenuti proprio affinché nulla di simile potesse ripetersi. Eppure cominciarono a farlo. Cominciarono a demolire i monumenti ai soldati sovietici e così via, coloro che avevano combattuto contro il nazismo.

Capisco le basi ideologiche di questa posizione. Ho affermato da questo podio in precedenza che quando l’Unione Sovietica impose il proprio sistema politico all’Europa orientale, sì, tutto questo è chiaro. Ma le persone che hanno combattuto il nazismo, che hanno dato la vita, cosa c’entrano con tutto questo? Non erano loro a guidare il regime di Stalin, non prendevano decisioni politiche, hanno semplicemente sacrificato la propria vita sull’altare della vittoria sul nazismo. Hanno iniziato questo… e poi ancora, e ancora…

Eppure questo mi ha comunque sorpreso – che sembri non esserci alcun limite, puramente, ve lo assicuro, perché riguarda la Russia, e il desiderio di marginalizzarla in qualche modo.

Vedete, avevo intenzione di salire sul podio, ma non ho portato con me il mio libro : avevo programmato di leggervi qualcosa, ma me ne sono semplicemente dimenticato e l’ho lasciato a casa. Cosa desidero trasmettere? Sulla mia scrivania a casa c’è un volume di Pushkin. Di tanto in tanto mi piace immergermi nella lettura quando ho cinque minuti liberi . È intrinsecamente interessante, piacevole da leggere e, inoltre, mi piace immergermi in quell’atmosfera, percepire come vivevano le persone all’epoca, cosa le ispirava e cosa pensavano.

Proprio ieri l’ho aperto, l’ho sfogliato e mi sono imbattuto in una poesia. Lo sappiamo tutti – i russi [tra i presenti qui] lo sanno sicuramente – Borodino di Mikhail Lermontov : “Ehi, dimmi, vecchio mio, avevamo una causa …”, e così via. Tuttavia, non avevo mai saputo che Pushkin avesse scritto su questo tema. L’ho letta e mi ha fatto una profonda impressione, perché sembra che Pushkin l’abbia scritta ieri, come se mi stesse dicendo: «Ascolta, stai andando al Club Valdai, porta questo con te, leggilo ai tuoi colleghi, condividi le mie riflessioni sulla questione».

Francamente, ho esitato, pensando: va bene. Ma visto che la domanda è stata fatta, e ho il libro con me, posso rispondere? È affascinante. Risponde a molte domande. Si intitola “L’anniversario di Borodino”:

Il grande giorno di Borodino

Con fraterno ricordo

Proclameremmo quindi : “Le tribù non avanzarono

e minacciarci di devastazione?

Non era forse tutta l’Europa riunita qui?

E quale stella li guidò attraverso i cieli?

Eppure noi restammo saldi, con passo risoluto,

E affrontò a petto nudo la marea ostile

Delle tribù governate da quell’orgoglio altero

E uguale si rivelò la lotta impari.

E adesso? Il loro volo disastroso,

Sfacciati, ora dimenticano completamente;

Dimenticate la baionetta russa e la neve,

Che seppellirono la loro fama nelle distese desertiche sottostanti.

Ancora una volta sognano banchetti futuri –

Per loro, il sangue slavo è vino inebriante

Ma amara sarà la loro mattina

Ma lungo il sonno ininterrotto di tali ospiti,

In una nuova casa angusta e fredda,

Sotto il manto erboso del suolo settentrionale!

(Applausi.)

Tutto è articolato qui. Ancora una volta, sono convinto che Alexander Pushkin sia il nostro tutto. Per inciso, Pushkin si appassionò molto in seguito – non lo leggerò, ma potete farlo se volete. Questo fu scritto nel 1831.

Vedete, l’esistenza stessa della Russia è motivo di disappunto per molti, e tutti desiderano partecipare a questa impresa storica: infliggerci una “sconfitta strategica” e trarne profitto : un morso qui, un morso là… Sono tentato di fare un gesto espressivo, ma ci sono molte signore presenti [nella sala]… Non lo farò.

Fyodor Lukyanov: Vorrei sottolineare un parallelo molto significativo. Il presidente polacco Nawrocki ha letteralmente detto – credo proprio ieri in un’intervista…

Vladimir Putin: A proposito, la Polonia viene menzionata più avanti [nella poesia].

Fyodor Lukyanov: Sì, beh, naturalmente – il nostro partner preferito. Quindi, nell’intervista ha dichiarato che “conversa” regolarmente con il generale Piłsudski, discutendo di questioni che includono i rapporti con la Russia. Mentre lei – con Pushkin. Sembra un po’ discordante.

Vladimir Putin: Sapete, Piłsudski era un personaggio del genere: nutriva ostilità nei confronti della Russia, e così via, e sotto la sua guida, ispirata dalle sue idee, la Polonia commise molti errori prima della seconda guerra mondiale. Dopo tutto, la Germania propose di risolvere pacificamente le questioni relative a Danzica e al corridoio di Danzica, ma la leadership polacca dell’epoca rifiutò categoricamente e alla fine divenne la prima vittima del nazismo.

Hanno anche completamente ignorato quanto segue, sebbene gli storici lo sappiano bene: la Polonia rifiutò allora di consentire all’Unione Sovietica di aiutare la Cecoslovacchia. L’Unione Sovietica Unione Sovietica era pronta a farlo; i documenti nei nostri archivi lo attestano – li ho letti personalmente. Quando le note furono inviate alla Polonia, quest’ultima dichiarò che non avrebbe mai permesso il passaggio delle truppe russe per aiutare la Cecoslovacchia e che, se gli aerei sovietici avessero sorvolato il suo territorio, li avrebbe abbattuti. Alla fine, divenne la prima vittima del nazismo .

Se oggi la famiglia politica più importante in  Polonia lo ricordasse, comprendendo tutte le complessità e le vicissitudini delle epoche storiche e tenendolo presente mentre consulta Piłsudski, e prestasse attenzione a questi errori, allora non sarebbe affatto una cosa negativa.

Fyodor Lukyanov: Tuttavia, si sospetta che il suo contesto sia piuttosto diverso.

Giusto. Prossima domanda, colleghi, per favore.

Professore Marandi, Iran.

Seyed Mohammad Marandi: Grazie mille per l’opportunità, signor Presidente, e ringrazio anche Valdai per questa eccellente conferenza.

Siamo tutti rattristati perché negli ultimi due anni abbiamo assistito al genocidio a Gaza e al dolore e alla sofferenza di donne e bambini dilaniati giorno e notte. Recentemente abbiamo visto il presidente Trump presentare una proposta di pace che sembrava più una sottomissione e una capitolazione. E soprattutto, introdurre una persona come Blair con il suo passato è un insulto al danno. Mi chiedevo cosa pensate che possa fare la Federazione Russa possa fare per porre fine a questa miseria, che ha davvero oscurato le giornate di tutti? Grazie.

Vladimir Putin: La situazione a Gaza è uno degli eventi più tragici della storia recente. È anche ben noto che il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha pubblicamente ammesso – e spesso riflette le opinioni occidentali – che Gaza è diventata il più grande cimitero di bambini al mondo. Cosa potrebbe esserci di più tragico? Cosa potrebbe esserci di più doloroso?

Ora, per quanto riguarda la proposta del presidente Trump su Gaza, potresti trovarlo sorprendente, ma la Russia è complessivamente pronta a sostenerla. A condizione, ovviamente, che porti davvero all’obiettivo finale di cui abbiamo sempre parlato. Dobbiamo esaminare a fondo le proposte presentate

Dal 1948 – e successivamente nel 1974, quando fu adottata la relativa risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – la Russia ha costantemente sostenuto la creazione di due Stati: Israele e uno Stato palestinese. Credo che questa sia l’unica chiave per una soluzione definitiva e duratura del conflitto israelo-palestinese.

Per quanto ho capito – non ho ancora esaminato attentamente la proposta – essa suggerisce di creare un’amministrazione internazionale che governi la Palestina per un certo periodo, o più precisamente la Striscia di Gaza. Si propone che sia Blair a guidarla. Ora, lui non è noto per essere un grande pacificatore. Ma io lo conosco personalmente. Sono persino andato a trovarlo a casa sua, ho trascorso la notte lì e al mattino, davanti a un caffè in pigiama, abbiamo parlato a lungo. Sì, è vero.

Fyodor Lukyanov: Il caffè era buono?

Vladimir Putin: Sì, abbastanza bene.

Ma cosa vorrei aggiungere? È un uomo con forti opinioni personali, ma è anche un politico esperto. Nel complesso, se la sua conoscenza ed esperienza sono indirizzate verso la pace, allora sì, naturalmente, potrebbe svolgere un ruolo positivo.

Tuttavia, sorgono naturalmente diverse domande. Primo: per quanto tempo opererebbe questa amministrazione internazionale? Come e a chi verrebbe poi trasferito il potere ? A quanto mi risulta, questo piano prevede la possibilità di trasferire eventualmente il potere a un’amministrazione palestinese.

Credo che sarebbe meglio trasferire il controllo direttamente al presidente Abbas e all’attuale amministrazione palestinese. Forse potrebbero incontrare difficoltà nell’affrontare le questioni di sicurezza. Ma, come ho sentito dire oggi dai colleghi, questo piano prevede anche che il trasferimento di potere possa coinvolgere le milizie locali al fine di garantire la sicurezza. È una cosa negativa? A mio parere, potrebbe essere una buona soluzione.

Mi consenta di ribadire il concetto: dobbiamo capire per quanto tempo questa amministrazione internazionale rimarrà in vigore. Qual è il calendario previsto per il trasferimento dell’autorità civile? Non meno importanti sono le questioni relative alla sicurezza. Ritengo che ciò meriti il nostro sostegno.

Da un lato, stiamo parlando del rilascio di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas, e dall’altro del rilascio di un numero significativo di palestinesi dalle prigioni israeliane. Va anche chiarito: quanti palestinesi, chi esattamente e in quale arco di tempo avverrebbe questo scambio.

E, naturalmente, la questione più importante: come vede la Palestina stessa questa proposta? Questo è assolutamente essenziale. In questo caso, l’opinione della regione e dell’intero mondo islamico è importante, ma soprattutto quella della stessa Palestina e dei palestinesi, compreso Hamas. Ci sono diversi atteggiamenti nei confronti di Hamas, e anche noi abbiamo la nostra posizione e i nostri contatti con loro. Per noi è importante che sia Hamas che l’Autorità palestinese sostengano tale iniziativa

Tutte queste questioni richiedono uno studio approfondito e attento. Ma se questo piano venisse attuato, rappresenterebbe davvero un passo significativo verso la risoluzione del conflitto. Tuttavia, desidero sottolineare ancora una volta che il conflitto può essere risolto in modo definitivo solo attraverso la creazione di uno Stato palestinese.

Naturalmente, la posizione di Israele sarà cruciale in questo caso. Non sappiamo ancora come abbia reagito. Francamente, non ho ancora visto alcuna dichiarazione pubblica; semplicemente non ho avuto tempo di cercare. Ma ciò che conta davvero non è la retorica pubblica, bensì come reagirà la leadership israeliana e se sarà pronta ad attuare quanto proposto dal presidente degli Stati Uniti.

Ci sono molte domande qui. Ma nel complesso, se tutti questi elementi positivi che ho menzionato si uniscono, potrebbe diventare una vera svolta. Una svolta del genere sarebbe molto positiva.

Permettetemi di ripeterlo per la terza volta: la creazione di uno Stato palestinese è la pietra angolare di qualsiasi accordo globale.

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, è rimasto sorpreso quando, un paio di settimane fa, un alleato degli Stati Uniti, Israele, ha attaccato un altro alleato degli Stati Uniti, il Qatar? O ora è considerato normale?

Vladimir Putin: Sì, sono rimasto sorpreso.

Fyodor Lukyanov: E che dire della reazione degli Stati Uniti? O piuttosto, della mancanza di reazione? Come l’ha presa?

(Vladimir Putin alza le mani.)

Capisco. Grazie.

Tara Reade, per favore.

Tara Reade, Russia Today: (In russo) Здравствуйте (Buon pomeriggio), (in inglese) Presidente Putin, è un enorme onore poter parlare con lei. Vorrei iniziare con un ringraziamento che mi porterà alla domanda. Lavoravo per il senatore Biden e Leon Panetta negli Stati Uniti d’ America, e nel 2020 ho denunciato alcune cose e alcuni casi di corruzione, e sono stato preso di mira dal regime di Biden al punto che ho dovuto fuggire.

Margarita Simonyan, che è un’eroina per me, ha aiutato me e Masha, Maria Boutina, a superare questo momento difficile. E grazie a voi ho potuto ottenere asilo politico. Con il vostro impegno collettivo, mi avete salvato la vita.

Quindi grazie. Ero un bersaglio e la mia vita era in pericolo immediato. Quello che posso dire della Russia è (in russo) люблю Россию (amo la Russia). (In inglese) L’ho trovata bellissima. La propaganda occidentale sulla Russia era sbagliata. Amo Mosca. Le persone sono state molto cordiali e accoglienti. È efficiente e, per la prima volta, mi sento al sicuro e mi sento più libero.

Lavoro per RT e mi piace molto. Mi viene concessa molta libertà creativa per lavorare nel mio ambito di analisi geopolitica. E quindi grazie al Club Valdai per aver riconosciuto le mie aspirazioni intellettuali. Vi sono grato. Quindi, questa è la mia domanda. Ho incontrato altri occidentali che sono venuti qui in Russia in cerca di rifugio, anche per motivi economici e per valori condivisi.

Come ti senti nel vedere questo flusso di occidentali che arrivano chiedendo di vivere in Russia, e sarà più facile ottenere la cittadinanza russa? E lei mi ha concesso, con decreto presidenziale, la cittadinanza russa, che è una grande responsabilità e onore. Quindi, sono russo. Grazie mille.

Vladimir Putin: Lei ha parlato di valori condivisi. E come trattiamo quelle persone che vengono qui dai paesi occidentali, vogliono vivere qui e condividono questi valori con noi? Sa, la nostra cultura politica ha sempre avuto aspetti sia positivi che controversi.

Nei documenti di identità dei cittadini dell’ Impero russo non c’era alcuna riga per la “nazionalità”. Semplicemente non c’era. Nel passaporto sovietico era presente, ma in quello russo, ancora una volta, non c’era. E cosa c’era? “Religione”. C’era un valore comune, un valore religioso, un’affiliazione con il cristianesimo orientale, con l’ortodossia, la fede. C’erano anche altri valori, ma questo era quello determinante : quali valori condividi?

Ecco perché ancora oggi per noi non fa alcuna differenza se una persona proviene dall’ Est, dall’Ovest, dal Sud o dal Nord. Se condivide i nostri valori, è una di noi. È così che ti vediamo, ed è per questo che senti l’atteggiamento verso di te. Ed è così che lo vedo anch’io.

Per quanto riguarda le procedure amministrative e legali, abbiamo preso le decisioni necessarie per facilitare le persone che desiderano vivere in Russia, a legare la propria vita al nostro paese, anche se solo per alcuni anni, o per un periodo più lungo. Queste misure riducono le barriere amministrative .

Non posso dire che stiamo assistendo a un afflusso enorme. Tuttavia, si tratta comunque di migliaia di persone. Penso che siano state presentate circa 2.000 domande , 1.800 circa, e che ne siano state approvate circa 1.500. E il flusso continua.

In effetti, le persone stanno arrivando, motivate non tanto da ragioni politiche, quanto piuttosto da valori. Soprattutto dai paesi europei, perché quello che definirei “terrorismo di genere” contro i bambini non è ben visto da molte persone, che sono alla ricerca di rifugi sicuri. Vengono da noi, e Dio conceda loro il successo. Li sosterremo per quanto possibile.

Lei ha anche detto – ho preso nota – “Amo la Russia”, “Amo Mosca”. Beh, abbiamo molto in comune, perché anch’io amo Mosca. Questa è la base su cui costruiremo.

Fyodor Lukyanov: Per un nativo di San Pietroburgo, di Leningrado, questo significa molto.

Vladimir Putin: uno sviluppo rivoluzionario .

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, per dare seguito a questa questione: un paio di mesi fa abbiamo appreso una notizia davvero sorprendente: un cittadino americano di nome Michael Gloss, figlio di un vicedirettore della CIA, che combatteva dalla nostra parte, è stato ucciso al fronte nel Donbass. La sua nazionalità americana era già abbastanza insolita da attirare l’attenzione, figuriamoci il suo background familiare .

Prima che questa storia diventasse di dominio pubblico, eri a conoscenza della sua presenza?

Vladimir Putin: No, non lo sapevo. L’ho saputo solo quando mi è arrivata sulla scrivania la bozza del decreto esecutivo che gli conferiva l’Ordine del Coraggio. E devo confessare che sono rimasto piuttosto sorpreso.

Dopo aver indagato, è emerso che entrambi i suoi genitori erano tutt’altro che normali. Sua madre è, infatti, vicedirettrice della CIA, mentre suo padre è un veterano della Marina che, credo, ora è a capo di un’importante azienda appaltatrice del Pentagono . Questa, come potete immaginare, è tutt’altro che una normale famiglia americana. E, ancora una volta, non ne sapevo nulla.

Ad ogni modo, come ha appena detto qui una nostra collega, descrivendo le sue opinioni e il motivo per cui si trovava qui, la sua storia e le sue motivazioni rispecchiavano quelle di Michael Gloss. Che cosa fece lui? Non disse mai ai suoi genitori dove stava andando. Aveva semplicemente detto loro che sarebbe andato in viaggio. Il suo viaggio lo portò in Turchia e poi in Russia. Una volta a Mosca, si recò direttamente all’ufficio di arruolamento militare e dichiarò di condividere i valori che la Russia difende.

Non sto esagerando: è tutto documentato. Diceva di voler difendere i diritti umani: il diritto alla propria lingua, religione e così via. Era un attivista per i diritti umani e, dato che la Russia stava combattendo proprio per quei valori, era pronto a difenderli con le armi in pugno. Dopo aver completato un corso di addestramento speciale, è stato arruolato, non solo nelle forze armate, ma in un’unità d’élite, le forze aviotrasportate.

Ha prestato servizio in un’unità d’assalto e ha combattuto in prima linea. Ha combattuto con valore ed è stato gravemente ferito quando un proiettile ha colpito il suo veicolo blindato. Lui e un altro compagno d’armi russo sono rimasti entrambi gravemente feriti nell’esplosione. Un terzo soldato russo, nonostante avesse riportato ustioni sul 25% del corpo, li ha tirati fuori dai rottami in fiamme e li ha trascinati in una zona boschiva.

Immaginate la scena: questo giovane uomo – aveva solo 22 anni, credo – mentre sanguinava dalle sue ferite, cercava di aiutare il suo compagno russo ferito . Tragicamente, sono stati individuati da un drone ucraino, che ha poi sganciato una bomba. Entrambi sono stati uccisi.

Credo che queste persone costituiscano davvero il nucleo del movimento MAGA, che sostiene il presidente Trump. Perché? Perché difendono gli stessi valori sostenuti da Michael Gloss. Questo è ciò che sono. E questo è ciò che era lui.

L’inno degli Stati Uniti parla della “terra dei liberi e patria dei coraggiosi”, non è vero ? Era un uomo coraggioso nel senso più vero del termine: lo ha dimostrato con le sue azioni e, alla fine, con la sua vita. Una parte significativa del popolo americano può, e credo debba, essere orgogliosa di un uomo come lui.

Ho presentato il suo ordine al signor Witkoff. Avevo chiesto ai compagni d’armi di Michael di partecipare alla cerimonia, e così hanno fatto. Si sono uniti a noi anche il comandante delle Forze aviotrasportate, il suo comandante di brigata, il suo comandante di compagnia e lo stesso soldato che lo ha tirato fuori dal veicolo in fiamme, quello che ha riportato gravi ferite, con ustioni che coprono il 25% del suo corpo. Vorrei sottolineare che quel soldato si è ripreso dalle ferite e è tornato al fronte. Questo è il calibro delle persone che combattono per noi.

Più recentemente, su iniziativa della leadership della Repubblica Popolare di Donetsk, una scuola nel Donbass è stata intitolata ai due soldati caduti – l’americano e il russa. Si tratta di una scuola specializzata nello studio approfondito della lingua inglese. Naturalmente, faremo in modo che sia mantenuta ad alti livelli, come ci impegniamo a fare per tutte le scuole del Donbass. Questa è una priorità per noi.

Questo era il tipo di persona che era Michael Gloss. Lasciatemelo dire ancora una volta: sia la sua famiglia che il suo paese – o almeno quella parte di esso che condivide le sue convinzioni – possono essere davvero orgogliosi di lui.

E in un senso più ampio, incarna ciò che ho menzionato prima parlando di persone di nazionalità diverse che si considerano soldati russi. Era americano di nascita, ma era un soldato russo.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Anton Khlopkov, per favore.

Direttore del Centro Studi sull’Energia e la Sicurezza (Mosca) Anton Khlopkov: Lei ha menzionato i tentativi di espellere Russia dal sistema globale. Aggiungerei: dai mercati globali. Nelle ultime settimane, le richieste di Washington alla Cina, all’India e ad altri paesi – accompagnate da pressioni – sono diventate sempre più insistenti, esortando queste nazioni a cessare l’ acquisto di materie prime e risorse energetiche russe.

Allo stesso tempo, lei ha anche parlato dell’importanza di unire, piuttosto che separare, gli sforzi, compresa l’esperienza di cooperazione tra Russia e Stati Uniti USA, e la necessità di ripristinare relazioni a tutti gli effetti.

Questa settimana, con grande sorpresa di molti analisti e osservatori che non si occupano quotidianamente di energia nucleare, sono state pubblicate delle statistiche che dimostrano che la Russia rimane il principale fornitore di uranio arricchito per combustibile nucleare degli Stati Uniti.

Considerando l’attuale formato e il livello delle relazioni bilaterali russo-americane nel campo politico, come valuta le prospettive di cooperazione tra Russia e gli Stati Uniti per quanto riguarda le forniture di uranio arricchito e , più in generale, l’ energia nucleare?

Grazie.

Vladimir Putin: Affronterò certamente queste potenziali restrizioni tariffarie sul commercio tra gli Stati Uniti e i nostri partner commerciali: Cina, India e diversi altri Stati.

Sappiamo che all’interno dell’amministrazione statunitense vi sono consiglieri che ritengono che ciò costituisca una politica economica valida. Allo stesso tempo, vi sono esperti negli Stati Uniti che nutrono dei dubbi al riguardo e molti dei nostri specialisti condividono tali dubbi sui suoi potenziali benefici.

Qual è il problema? Esiste senza dubbio. Supponiamo che vengano imposti dazi elevati sulle merci provenienti dai paesi con cui la Russia commercia materie prime energetiche – petrolio, gas e così via. A cosa porterebbe questo? Ciò comporterebbe una diminuzione delle merci – diciamo le merci cinesi – che entrano nel mercato statunitense, con un conseguente aumento dei prezzi. In alternativa, queste merci cinesi potrebbero essere dirottate attraverso paesi terzi o quarti, il che aumenterebbe anche i prezzi a causa della carenza emergente e della logistica più costosa. Se ciò dovesse verificarsi e i prezzi aumentassero, la Federal Reserve System sarebbe costretta a mantenere alti i tassi di interesse o ad aumentarli per frenare l’inflazione, rallentando in ultima analisi l’economia statunitense stessa.

Non è una questione di politica, ma di puro calcolo economico. Molti dei nostri esperti ritengono che questo è esattamente ciò che accadrà. Lo stesso vale per l’India e per i beni prodotti in quel Paese. Non c’è alcuna differenza rispetto ai beni cinesi.

Pertanto, i vantaggi per gli Stati Uniti sono tutt’altro che evidenti. Per quanto riguarda i paesi oggetto di queste minacce, prendiamo ad esempio l’India: se l’India dovesse rifiutare le nostre materie prime energetiche, subirebbe perdite misurabili, stimabili in vari modi. Alcuni suggeriscono che queste potrebbero ammontare a 9-10 miliardi di dollari se essi accettassero. Al contrario, se rifiutassero, verrebbero imposte sanzioni sotto forma di tariffe più elevate, con conseguenti perdite comparabili. Perché, allora, dovrebbero accettare, soprattutto quando devono affrontare costi politici interni sostanziali? Il popolo di un paese come l’India, credetemi, esaminerà attentamente le decisioni dei propri leader e non tollererà mai umiliazioni da parte di nessuno. Inoltre, conosco il primo ministro Modi: non prenderebbe mai una decisione del genere di sua iniziativa. Semplicemente, non vi è alcuna logica economica che lo giustifichi.

Per quanto riguarda, ad esempio, l’uranio, che cos’è in realtà? In questo caso, l’uranio è un combustibile, una risorsa energetica per le centrali nucleari. In questo senso, non è diverso dal petrolio, dal gas, dall’olio combustibile o dal carbone, perché anch’esso è una fonte di energia che genera elettricità. Qual è la differenza? Nessuna. Gli Stati Uniti, infatti, acquistano uranio da noi.

Hai chiesto: perché gli Stati Uniti lo acquistano, mentre allo stesso tempo cercano di impedire ad altri di acquistare le nostre risorse energetiche? La risposta è semplice ed è stata data molto tempo fa in latino. Conosciamo tutti il detto: Quod licet Iovi, non licet bovi – ciò che è permesso a Giove non è permesso a un bue. Questa è l’essenza della questione.

Ma né la Cina né l’India – nonostante il fatto che la vacca sia sacra in India – vogliono essere il bue in questo caso. Ci sono politici, soprattutto in Europa, che sono disposti a fare da buoi, capre o persino montoni. Non faremo nomi, ma questo non vale certamente per la Cina, l’India o altri paesi grandi, medi o anche piccoli che hanno rispetto di sé e rifiutano di essere umiliati.

Per quanto riguarda il commercio dell’uranio, sì, continua. Gli Stati Uniti sono uno dei maggiori produttori e consumatori di energia nucleare. Se ricordo bene, hanno circa 54 centrali nucleari e circa 90 reattori. Credo che l’energia nucleare rappresenti circa il 18,7% del loro mix energetico totale. In Russia abbiamo meno reattori e produciamo meno, ma la quota di energia nucleare nel nostro mix è simile: circa il 18,5%. Naturalmente, data la portata della loro industria nucleare, gli Stati Uniti necessitano di grandi quantità di combustibile.

Non siamo nemmeno il fornitore più grande. (Rivolgendosi al sig. Khlopkov.) Lei ha detto che lo siamo, ma non è del tutto corretto. Il principale fornitore è una società americano-europea – non ricordo il nome – che copre circa il 60% della domanda statunitense di uranio e combustibile nucleare. La Russia è il secondo fornitore, con circa il 25%.

L’anno scorso anno – non ricordo le cifre esatte in termini di volume o punti percentuali, ma ricordo gli utili – abbiamo guadagnato quasi 800 milioni di dollari, o per l’esattezza circa 750-760 milioni di dollari. Nella prima metà di quest’anno, le vendite di uranio agli Stati Uniti hanno superato gli 800 milioni di dollari. Entro la fine del 2025, la cifra supererà probabilmente il miliardo di dollari e si avvicinerà a 1,2 miliardi di dollari.

Abbiamo un’idea generale di quanto si potrà guadagnare l’anno prossimo sulla base delle richieste attuali; al momento, prevediamo guadagni superiori agli 800 milioni di dollari . Quindi, questo lavoro continua. Perché? Perché è redditizio. Gli americani acquistano il nostro uranio perché è vantaggioso per loro. E giustamente. Noi, a nostra volta, siamo pronti a continuare queste forniture in modo affidabile

Fyodor Lukyanov: Ho notato che al prossimo incontro del Valdai Club dovremmo aggiungere una sezione dedicata all’allevamento del bestiame per discutere di montoni e buoi.

Vladimir Putin: Questo è effettivamente un punto importante. Perché? Perché se si mette da parte la metafora, che tutti qui hanno compreso, e ci si concentra esclusivamente sull’agenda energetica, si vedrà che il rifiuto da parte dell’Europa del gas russo ha già portato a un aumento dei prezzi. Di conseguenza, la produzione di fertilizzanti minerali in Europa, che richiede molto gas, è diventata non redditizia, costringendo le fabbriche a chiudere.

I prezzi dei fertilizzanti sono aumentati, il che, a sua volta, ha influito sull’agricoltura, ha fatto aumentare i prezzi dei generi alimentari e, infine, ha influito sulla solvibilità delle persone. Ciò ha avuto un impatto diretto sul tenore di vita delle persone. Ecco perché stanno scendendo in piazza.

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, vorrei soffermarmi ancora un attimo sul tema nucleare. Molto è stato scritto recentemente, in particolare la scorsa settimana, sulla situazione alla centrale nucleare di Zaporozhye e sulla presunta minaccia di un grave incidente che potrebbe colpire tutte le regioni circostanti. Cosa sta succedendo lì?

Vladimir Putin: Quello che sta succedendo è lo stesso di prima. I combattenti della parte ucraina stanno cercando di colpire il perimetro della centrale nucleare. Grazie a Dio non si è arrivati a colpire la centrale stessa. Ci sono stati alcuni attacchi su quello che credo si chiami il centro di addestramento.

Qualche giorno fa, poco prima che Grossi arrivasse in Russia, c’è stato un attacco di artiglieria contro le torri di trasmissione dell’energia elettrica, che sono cadute, e ora la centrale nucleare di Zaporozhye è alimentata da generatori, e la fornitura è affidabile. Ma la domanda è: come riparare quelle reti? La difficoltà, come potete capire, è che questi siti si trovano nel raggio d’azione dell’artiglieria ucraina, che sta bombardando quelle zone e impedisce di fatto alle nostre squadre di riparazione di avvicinarsi ad esse. Eppure si continuano a diffondere le stesse notizie, secondo cui siamo noi a farlo. Il signor Grossi è stato lì; il personale dell’AIEA è presente: vedono tutto ma tacciono su ciò che sta realmente accadendo. Vedono cosa sta succedendo. Dovremmo averlo colpito noi stessi dal lato ucraino? È una sciocchezza.

Questo è un gioco pericoloso. Anche le persone dall’altra parte dovrebbero capire: se giocano in modo così sconsiderato, anche loro hanno centrali nucleari operative dalla loro parte, quindi cosa ci impedirebbe di rispondere con le stesse armi? Dovrebbero rifletterci. Questo è il primo punto.

Secondo: sotto l’amministrazione ucraina lo stabilimento impiegava circa 10.000 persone. Si trattava di un approccio in stile sovietico, perché la centrale gestiva un’intera infrastruttura sociale. Oggi più di 4.500 persone lavorano nell’impianto e solo circa 250 di loro provengono da altre regioni russe. Gli altri sono persone che hanno sempre lavorato lì. Da sempre. Alcuni se ne sono andati, ma nessuno ha costretto nessuno a rimanere o se ne sono andati. Le persone hanno scelto di rimanere e, come la nostra collega [Tara Reade], hanno preso la cittadinanza russa, vivono lì come prima e continuano a lavorare. Tutto questo sta avvenendo sotto gli occhi degli osservatori dell’AIEA di stanza sul posto: sono presenti nell’impianto e vedono tutto.

Questa è la situazione. Nel complesso è sotto controllo. Stiamo adottando misure relative alla protezione fisica dell’impianto e del combustibile esaurito. È una situazione difficile .

Vorrei aggiungere che gruppi di sabotaggio e ricognizione ucraini hanno ripetutamente tentato azioni simili negli ultimi mesi e persino l’anno scorso: hanno fatto saltare in aria linee di trasmissione ad alta tensione presso la centrale nucleare di Kursk e quella di Smolensk, intrufolandosi nelle foreste per farlo. I nostri specialisti hanno riparato quelle linee molto rapidamente.

Quello che sta accadendo ora alla centrale nucleare di Zaporozhye non è diverso dalle azioni di quei gruppi di ricognizione e sabotaggio, che sono essenzialmente gruppi terroristici. Si tratta di una pratica molto pericolosa che dovrebbe cessare. Spero che le persone coinvolte capiscano questo messaggio.

Fyodor Lukyanov: Quindi, Grossi sa cosa sta succedendo lì?

Vladimir Putin: Lui lo sa benissimo. Stanno lì seduti nell’impianto e vedono cadere un proiettile. Dovremmo aver attraversato il confine con l’Ucraina e averci bombardato da soli? È assurdo e privo di buon senso.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Signor Gábor Stier, prego, proceda.

Gábor Stier: Signor Presidente, grazie per aver condiviso le opinioni della Russia e il suo punto di vista sul mondo, sul futuro ordine mondiale e sull’attuale ordine mondiale.

Sono ungherese, e il mio Paese viene spesso definito la pecora nera dell’Unione Europea. Negli ultimi giorni, il Club Valdai ha discusso degli attuali sviluppi, chiedendosi se l’ Occidente sia pronto per le riforme, e del suo posto nel nuovo ordine mondiale. Abbiamo anche parlato della triste situazione dell’UE e dell’Europa.

Condivido questa opinione, e molti in Ungheria la pensano allo stesso modo, chiedendosi cosa accadrebbe all’UE. Non è chiaro se l’UE sopravviverà o se il suo futuro sarà cupo. Molti pensano che l’integrazione dell’Ucraina sarebbe l’ultimo chiodo nella bara dell’UE.

Cosa ne pensate? Condividete l’opinione secondo cui l’UE sta attraversando una profonda crisi? Qual è la vostra opinione su questa situazione?

Per quanto riguarda l’eventuale adesione dell’Ucraina all’UE, lei ha recentemente affermato che la Russia non sarebbe contraria. Molti di noi sono perplessi, perché… Da un lato, capisco che l’adesione dell’Ucraina indebolirebbe l’UE, il che avrebbe molti vantaggi, ovviamente. Ma se l’UE o l’Europa diventassero troppo deboli, ciò rappresenterebbe un rischio o un pericolo per lo spazio eurasiatico. Questo è il mio primo punto.

In secondo luogo, ultimamente l’UE assomiglia sempre più alla NATO. Ciò è piuttosto evidente se si considera il suo atteggiamento nei confronti della crisi ucraina. A mio avviso, l’Ucraina diventerà il pugno di ferro dell’Occidente, il pugno di ferro e l’esercito dell’UE. In questo caso, se l’Ucraina diventasse membro dell’UE, ciò potrebbe persino rappresentare una minaccia per la Russia.

Cosa ne pensi di questo?

Vladimir Putin: Per cominciare, l’UE si è sviluppata principalmente come comunità economica sin dai tempi dei suoi padri fondatori, come ricordiamo, a partire dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio e successivamente.

Ho già raccontato pubblicamente la seguente storia, ma non posso negarmi il piacere di ripeterla. Nel 1993 mi trovavo ad Amburgo insieme all’allora sindaco di San Pietroburgo [Anatoly] Sobchak, che aveva un incontro con l’ allora cancelliere [Helmut] Kohl. Il signor Kohl disse che se l’Europa voleva rimanere uno dei centri indipendenti della civiltà globale, doveva farlo con la Russia, e che la Russia avrebbe dovuto unirsi a tutti i costi all’UE, all’Europa, e che si sarebbero potentemente completate a vicenda, soprattutto perché in realtà si basano su valori tradizionali comuni, che erano rispettati in Europa all’epoca .

Cosa posso dire della situazione attuale? Posso solo offrire una visione generale. L’ho già presentata, citando Pushkin. Ma scherzi a parte, l’UE è un’associazione potente con un potenziale grande, se non enorme . È un potente centro della nostra civiltà, ma è anche un centro in declino. Credo che questo sia ovvio.

E il motivo non è solo che la Germania, motore dell’economia europea, è in fase di stagnazione da alcuni anni e non si prevede che superi tale fase nemmeno il prossimo anno. E non è che l’economia francese stia affrontando enormi problemi, con un deficit di bilancio e un debito crescente. Il fatto è che le questioni fondamentali relative all’identità europea stanno scomparendo. Questo è il problema. Si stanno erodendo dall’interno; l’immigrazione incontrollata sta facendo questo.

Non entrerò nei dettagli ora; voi conoscete queste questioni meglio di me. L’Europa dovrebbe evolversi in un’entità quasi statale o rimanere un’Europa delle nazioni, un’Europa come Stato indipendente? Non spetta a noi deciderlo; è una questione interna all’Europa. Tuttavia, in un modo o nell’altro, un certo quadro di valori deve sopravvivere. Perché se quel quadro fondamentale, quelle fondamenta, andranno perduti, allora l’Europa che tutti un tempo amavamo così tanto andrà perduta con essi.

Sai, abbiamo una consistente comunità liberale qui in Russia – proveniente dai circoli creativi e intellettuali. Abbiamo molti pensatori che chiamiamo “occidentalisti”, che credono che il percorso della Russia dovrebbe avvicinarla all’ Occidente.

Eppure anche queste persone mi hanno detto: «L’Europa che amavamo non esiste più». Non farò i loro nomi, ma credetemi, sono personaggi famosi. Sono, nel vero senso della parola, intellettuali europei . Alcuni di loro trascorrono metà dell’anno vivendo in Europa e tutti dicono la stessa cosa: l’Europa che amavamo così tanto è finita, non c’è più.

Cosa intendono dire, in particolare? Si riferiscono all’erosione di quei valori di riferimento, di quel quadro fondamentale. Se tale erosione continua, l’Europa, come ho detto, rischia di diventare un centro in declino, che si riduce e svanisce gradualmente. Questo, a sua volta, porta a problemi economici . E se l’attuale rotta persiste, è improbabile che la situazione migliori

Perché? Perché comporta una perdita di sovranità valutaria. E una volta persa tale sovranità, inevitabilmente seguono problemi economici. La logica è chiara, non è vero? Consideriamo la nostra discussione sull’uranio, un vettore energetico , che la Russia continua ad esportare negli Stati Uniti , mentre le forniture di gas e petrolio all’Europa sono bloccate. Perché, quando è economicamente efficiente? La risposta è: le sanzioni, dettate da idee politiche. Quali idee? Decine di idee, che inevitabilmente sorgono quando si sposta l’attenzione dagli interessi nazionali. Ma se si rimane concentrati sugli interessi nazionali e sulla sovranità, non c’è alcuna ragione razionale per rifiutare tale commercio. Una volta persa la sovranità, tutto il resto comincia a sgretolarsi.

Vediamo forze politiche orientate alla nazionalità guadagnare slancio in tutta l’Europa, in Francia e in Germania. Non mi addentrerò nei dettagli. L’Ungheria, naturalmente, sotto Viktor Orban, ha da tempo sostenuto questa posizione. Non posso dirlo con certezza, poiché non seguo da vicino la politica interna dell’Ungheria, ma credo che la maggioranza degli ungheresi desideri rimanere ungherese e quindi sosterrà Orban. Se non volessero rimanere ungheresi, sosterrebbero von der Leyen. Ma allora, alla fine, diventerebbero tutti “von der Leyen”, capite?

Il mio punto è questo: se queste forze politiche in Europa continuano a rafforzarsi, allora l’Europa rinascerà. Ma questo non dipende da noi; dipende dall’Europa stessa.

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, secondo quanto riferito, l’altro giorno è stata sequestrata una petroliera al largo delle coste francesi. I francesi hanno dimostrato la loro sovranità. Naturalmente, stanno collegando questo incidente alla Russia, in un modo o nell’altro, anche se la petroliera batte bandiera straniera. Cosa ne pensa?

Vladimir Putin: Si tratta di pirateria. Sì, sono a conoscenza dell’incidente. La petroliera è stata sequestrata in acque neutrali senza alcun motivo. Probabilmente stavano cercando qualche carico militare, tra cui droni o qualcosa del genere. Non hanno trovato nulla, poiché la nave non trasportava tali articoli. In effetti, la petroliera batteva bandiera di un paese terzo ed era gestita da un equipaggio internazionale.

Innanzitutto, non so come questo possa essere collegato alla Russia, ma so che questo fatto è realmente accaduto. Di cosa si tratta? È davvero importante per la Francia? Sì, è importante. Sapete perché? Considerando la difficile situazione in cui versa l’élite governativa francese, non hanno altro modo per distogliere l’attenzione della popolazione, dei cittadini francesi, dai problemi complessi e difficili da risolvere nella stessa Repubblica francese .

Come ho già detto nelle mie osservazioni, desiderano fortemente trasferire la tensione dall’interno del paese all’esterno, per stimolare altre forze, altri paesi, in particolare la Russia, a provocarci in modo da indurci a intraprendere azioni energiche e a dire al popolo francese che dovrebbe stringersi attorno al proprio leader che lo condurrà alla vittoria, come Napoleone. Questo è il punto centrale.

Fyodor Lukyanov: Lei ha lusingato il Presidente della Francia.

Vladimir Putin: Lo faccio con piacere. In realtà, entrambi manteniamo un rapporto di lavoro cordiale. Gli sviluppi attuali che ho appena menzionato sono esattamente ciò che sta accadendo, non ho alcun dubbio al riguardo. Lo conosco bene.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Feng Shaolei.

Feng Shaolei: Feng Shaolei del Centro Studi Russi di Shanghai.

Signor Presidente,

Sono felice di rivederti.

Sono pienamente d’accordo con te e con la tua posizione: la diplomazia classica deve tornare. Come eccellente esempio, hai compiuto due visite ufficiali molto importanti nelle ultime sei settimane: in primo luogo, il vertice russo-americano in Alaska, e in secondo luogo il vertice SCO seguito da una parata a Pechino.

Mi piacerebbe molto conoscere i risultati concreti e il significato di queste due visite molto importanti. Vede qualche influenza reciproca o interconnessione tra loro che possa aiutarci ad andare avanti sulla strada della normalizzazione della situazione internazionale?

Grazie mille.

Vladimir Putin: Innanzitutto, per quanto riguarda la visita negli Stati Uniti, in Alaska. Quando ci siamo incontrati lì, il presidente Trump e io abbiamo appena sfiorato questioni bilaterali o di altro tipo. L’attenzione era concentrata esclusivamente sulle possibilità e sui modi per risolvere la crisi ucraina. Penso che nel complesso sia stata una cosa positiva. Conosco il presidente Trump da molto tempo. Può sembrare un po’ scioccante – lo vedono tutti – ma, cosa abbastanza interessante, è il tipo di persona che sa ascoltare. Ascolta, sente e risponde. Questo lo rende un interlocutore piuttosto piacevole, direi. Il fatto che abbiamo cercato di esplorare potenziali soluzioni alla crisi ucraina è, a mio avviso, di per sé positivo.

In secondo luogo, in un modo o nell’altro, la discussione in questo caso, anche se superficiale, riguardava il ripristino delle relazioni russo-americane, che non solo sono in una fase di stallo, ma hanno raggiunto il punto più basso della loro storia.

Credo che il fatto stesso del nostro incontro, il fatto stesso che la visita abbia avuto luogo – e sono grato al Presidente per come l’ha organizzata – significano che è giunto il momento di pensare a ripristinare le relazioni bilaterali. Credo che questo sia positivo per tutti: per noi a livello bilaterale e per l’intera comunità internazionale.

Ora, per quanto riguarda la visita in Cina. Ho avuto discussioni approfondite con il mio amico, il presidente Xi Jinping, che considero sinceramente un mio amico, poiché abbiamo un rapporto personale basato sulla fiducia . In privato, mi ha detto direttamente: “In Cina, accogliamo con favore il ripristino e la normalizzazione delle relazioni russo-americane. Se possiamo svolgere un ruolo nel facilitare questo processo, faremo tutto il possibile”.

La visita alla Repubblica Popolare Cinese è stata, ovviamente, di natura molto più ampia. Perché? Beh, innanzitutto perché stavamo commemorando insieme la fine della Seconda Guerra Mondiale. Attraverso questa lotta condivisa – la Russia principalmente nella lotta contro il nazismo e successivamente insieme nella lotta contro il militarismo giapponese – la Russia e la Cina hanno dato un contributo enorme. Ne ho già parlato ; basta guardare ai colossali sacrifici umani che la Russia e la Cina hanno compiuto sull’altare di questa vittoria. Questo è il primo punto.

In secondo luogo. Questo, naturalmente, da parte nostra, proprio come da parte della Cina quando il Presidente ha partecipato alle celebrazioni del Giorno della Vittoria il 9 maggio in Russia – significa che rimaniamo fedeli allo spirito di quell’alleanza. Questo è estremamente importante. Pertanto, credo che in questo senso la visita in Cina abbia avuto una portata globale e fondamentale e ci ha naturalmente permesso, a margine di questi eventi, di discutere della situazione globale, sincronizzare le nostre posizioni e parlare dello sviluppo delle relazioni bilaterali in ambito economico, umanitario, culturale ed educativo.

Abbiamo deciso di proclamare il prossimo anno e quello successivo Anni dell’Educazione . Cosa significa veramente? Significa che vogliamo lavorare – e lavoreremo – con i giovani. È uno sguardo rivolto al futuro. In questo senso è stata una visita importantissima, senza alcun dubbio.

Inoltre, alcune iniziative del presidente Xi Jinping sulla governance globale, ad esempio, sono perfettamente in linea con le nostre idee sulla sicurezza eurasiatica. Era molto importante sincronizzare le nostre posizioni su tali questioni, di natura veramente globale – sia bilaterali che globali. Pertanto, apprezzo molto i risultati. Questo, a mio avviso, è stato un altro passo avanti positivo nello sviluppo delle nostre relazioni .

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, mi sembra che lei sia il primo leader mondiale a descrivere Trump come un interlocutore con cui è facile dialogare. La gente dice di tutto su di lui, ma mai questo.

Vladimir Putin: Sapete, io parlo sinceramente. Come ho detto, secondo me gli piace mettersi in mostra, ma pone anche domande incisive. Come ho detto nelle mie osservazioni, difende gli interessi nazionali come li definisce lui. Ma a volte, ripeto, a volte è meglio ascoltare una posizione diretta piuttosto che ambiguità difficili da decifrare.

Ma voglio ribadire che non si tratta solo di convenevoli. Abbiamo parlato per… quanto tempo? Circa un’ora e mezza. Ho esposto la mia posizione, lui ha ascoltato attentamente, senza interrompermi. Anch’io l’ho ascoltato con attenzione. Abbiamo scambiato opinioni su questioni complesse. Non entrerò nei dettagli, non è consuetudine, ma lui avrebbe detto: ascolta, sarà difficile da realizzare. E lui rispondeva: sì, è vero. Capisci? Abbiamo iniziato a discutere i dettagli. Ne abbiamo discusso, capisci? Voglio che questo sia chiaro: abbiamo discusso. Non si è trattato di una dichiarazione da parte di una delle parti: credo che tu debba fare questo, o devi fare quello – “togliti il cappello”, per così dire. Capisci? Questo non è successo.

Naturalmente, è importante che si giunga a conclusioni logiche, che si ottengano risultati – questo è vero. Ma è un processo complesso. Come ho detto prima: raggiungere un equilibrio di interessi, raggiungere un consenso, è difficile. Ma se ci avviciniamo e lo raggiungiamo attraverso la discussione, questi diventano accordi sostanziali, che possiamo sperare durino nel tempo.

Fyodor Lukyanov: Gli hai raccontato qualcosa della storia dell’Ucraina?

Vladimir Putin: No.

Fyodor Lukyanov: Va bene.

Vladimir Putin: Beh, non è divertente.

Una volta l ho detto questo ad altri interlocutori americani. Vorrei essere franco: abbiamo parlato apertamente e onestamente delle possibili opzioni di accordo. Quale sarà il risultato, non lo so. Siamo però pronti a proseguire la discussione

Fyodor Lukyanov: Di chi è stata l’idea di incontrarsi in Alaska?

Vladimir Putin: Beh, fa qualche differenza? La cosa importante è che ci siamo incontrati.

Fyodor Lukyanov: Capisco.

Vladimir Putin: Ci siamo trovati bene in Alaska. Lì l’ortodossia è ancora viva, con chiese ortodosse e persone che frequentano le funzioni religiose. La liturgia si svolge in inglese e poi, in alcune occasioni festive, quando la funzione in inglese finisce, il sacerdote si rivolge alla congregazione e dice in russo: “Buone feste!”. E tutti rispondono: “Buone feste!”. È meraviglioso.

Ivan Timofeyev: Signor Presidente, nel Suo discorso ha menzionato le sanzioni economiche contro la Russia. In effetti, il loro ammontare è senza precedenti. Ha anche appena parlato delle chiese ortodosse. Anche il Patriarca Kirill è stato sottoposto a misure restrittive da parte di alcuni paesi.

La nostra economia ha tenuto duro e ha mostrato un alto grado di resilienza alle sanzioni. Sia i nostri avversari che i nostri amici sono rimasti sorpresi da questa resilienza. Ma sembra che dovremo vivere sotto le sanzioni per anni e forse decenni, se non di più.

Come valutereste il loro impatto sulla nostra economia? E cosa occorre fare per garantirne la stabilità a lungo termine per molti anni a venire?

Grazie.

Vladimir Putin: In effetti, come ho detto prima, abbiamo percorso un cammino difficile e impegnativo di sviluppo, crescita e rafforzamento della nostra indipendenza e sovranità; in questo caso, la nostra sovranità economica e finanziaria.

Cosa abbiamo ottenuto e cosa è cambiato? In primo luogo, abbiamo significativamente rimodellato i nostri principali partenariati commerciali ed economici. Abbiamo riorganizzato la logistica per lavorare con questi partner. Abbiamo creato i nostri sistemi di pagamento. Tutto questo funziona con successo.

Naturalmente, questo da solo non è sufficiente nel mondo di oggi. Ora dobbiamo concentrarci su altre questioni. La più importante di queste è l’ulteriore diversificazione della nostra economia. Dobbiamo renderla più avanzata, più high-tech. Dobbiamo trasformare la struttura del mercato del lavoro e il sistema retributivo.

Cosa intendo dire? Come ho detto, dobbiamo rendere l’economia più orientata alla tecnologia, aumentare la produttività, il che porterà a salari più alti per gli specialisti altamente qualificati. Questa è la prima priorità.

In secondo luogo, dobbiamo anche concentrarci sulle persone con redditi bassi. Perché? Perché non si tratta solo di una questione di importanza sociale o politica, ma anche economica. Quando le persone con redditi bassi guadagnano di più, spendono quei soldi principalmente in beni prodotti internamente. Ciò significa che anche il nostro mercato interno cresce, il che è essenziale.

Dobbiamo assolutamente compiere ulteriori sforzi per rafforzare il nostro sistema finanziario. A tal fine, due priorità risultano fondamentali.

In primo luogo, dobbiamo rafforzare ulteriormente la stabilità macroeconomica e ridurre l’inflazione, cercando al contempo di mantenere una crescita economica positiva. Negli ultimi due anni, la nostra economia è cresciuta rispettivamente del 4,1% e del 4,3%, ben al di sopra della media globale.

Tuttavia, alla fine dello scorso anno, abbiamo riconosciuto che, per combattere l’inflazione, avremmo dovuto sacrificare questi tassi di crescita record. La Banca Centrale ha risposto aumentando il tasso di interesse di riferimento, una mossa che ovviamente influisce sull’economia nel suo complesso. Sebbene speri che ciò non porti a un rallentamento economico totale, intendiamo attuare misure mirate di raffreddamento. Dobbiamo sacrificare questi tassi di crescita per ripristinare gli indicatori macroeconomici vitali che garantiscono la salute generale dell’economia. Le recenti decisioni del governo in materia fiscale, che comportano un aumento del 2% dell’IVA Le recenti decisioni del Governo in materia fiscale, che comportano un aumento del 2% dell’IVA, sono state già rese pubbliche. È essenziale che questi cambiamenti non portino ad un’espansione dell’economia sommersa.

Tutto ciò rappresenta i nostri principali obiettivi a breve termine. Ci sono anche fattori fondamentali relativi alla nostra situazione economica, ovvero un debito pubblico relativamente basso e un modesto deficit di bilancio previsto al 2,6% quest’anno e all’1,6% l’anno prossimo. Almeno queste sono le cifre che abbiamo pianificato. Detto questo, il debito pubblico rimane al di sotto del 20 %.

Tutto ciò ci porta a ritenere che, nonostante la decisione del decisione del Governo sull’aumento dell’IVA influenzerà inevitabilmente la crescita economica a causa del maggiore carico fiscale – e ne siamo ben consapevoli – ma consentirà anche alla Banca Centrale di trovare una maggiore flessibilità nel prendere decisioni ben equilibrate sulle questioni macroeconomiche e nella gestione del tasso di interesse di riferimento, mentre il Governo prenderà le decisioni adeguate sulla spesa di bilancio e manterrà i parametri di base, creando al contempo le condizioni per uno sviluppo a lungo termine .

In sintesi, questi fattori: a) indicano che abbiamo attraversato un periodo altamente impegnativo, e b) ci danno la certezza che non solo abbiamo superato questa fase, ma che ora siamo in una buona posizione per andare avanti.

Sono fiducioso che sarà così.

Fyodor Lukyanov: Aleksandar Rakovic ha alzato la mano.

Aleksandar Rakovic: Signor Presidente,

Sono Aleksandar Rakovic, uno storico di Belgrado, Serbia. La mia domanda è: cosa ne pensi dei tentativi di fare una rivoluzione colorata in Serbia?

Grazie.

Vladimir Putin: Concordo con il presidente Vucic, e i nostri servizi segreti lo confermano: alcuni centri occidentali stanno effettivamente tentando di organizzare una rivoluzione colorata, in questo caso in Serbia.

Ci sono sempre persone, specialmente giovani, che non sono pienamente consapevoli dei problemi reali e delle radici di questi problemi, né delle possibili conseguenze di cambiamenti illegali al potere, compresi quelli causati dalle rivoluzioni colorate.

Tutti sanno bene a cosa ha portato la rivoluzione colorata in Ucraina. Una rivoluzione colorata è una presa di potere incostituzionale e illegale. Questo è ciò che è, per dirla senza mezzi termini. Di norma, non porta mai a nulla di buono. È sempre meglio rimanere nel quadro della legge fondamentale, all’interno della costituzione.

È sempre più facile influenzare i giovani e plasmare la loro coscienza. Ecco perché ho citato i nostri giovani che appaiono orgogliosamente in pubblico indossando kokoshnik o altri simboli russi. Questo senso di orgoglio è la chiave del successo di una società: è così che essa si difende dalle influenze esterne, specialmente quelle negative.

E i giovani in Serbia – anche quelli che scendono in pista – sono, in generale, patrioti. Non dobbiamo dimenticarlo. Il dialogo con loro è necessario, e credo che il presidente Vucic stia cercando di fare proprio questo. Ma devono anche ricordare che sono, prima di tutto, patrioti.

Non devono mai dimenticare le sofferenze subite dal popolo serbo prima, durante e dopo la prima guerra mondiale, e nel periodo precedente e durante la seconda guerra mondiale seconda guerra mondiale e durante la stessa. Il popolo serbo ha attraversato un periodo di immense difficoltà. Coloro che ora spingono i giovani in strada vogliono che il popolo serbo continui a soffrire, proprio come alcuni vogliono che il popolo russo a soffrire, e lo dicono anche apertamente. Forse in Serbia, coloro che incitano ai disordini potrebbero non dirlo ad alta voce, ma sicuramente lo pensano.

Promettono che se scendono in strada ora e rovesciano qualcuno, allora tutto andrà bene. Ma nessuno spiega mai come o quando andrà tutto bene, o come e a quale costo tutto improvvisamente migliorerà. Coloro che provocano tali eventi non lo dicono mai. Di norma, tutto finisce nel contrario di ciò che gli organizzatori si aspettano.

Credo che se si mantiene un dialogo costruttivo con questi giovani, sarà possibile raggiungere un’intesa con loro, perché sono, prima di tutto, patrioti – e devono rendersi conto di cosa sia veramente meglio per il loro paese: tali rivoluzioni e devono rendersi conto di cosa sia veramente meglio per il loro Paese: tali rivoluzioni o cambiamenti evolutivi, con la loro partecipazione, naturalmente.

Ma in sostanza, non sono affari nostri. Si tratta di una questione interna alla Serbia.

Fyodor Lukyanov: Ha buoni rapporti con il presidente Vucic adesso? Ci sono state alcune lamentele sui nostri colleghi serbi .

Vladimir Putin: Ho buoni rapporti con tutti, compreso il presidente Vucic.

Fyodor Lukyanov: [Una domanda di] Adil Kaukenov.

Adil Kaukenov: Buon pomeriggio, signor Presidente.

Mi chiamo Adil Kaukenov e sono uno studente di dottorato presso l’Università di Lingua e Cultura di Pechino. Vorrei tornare sull’argomento della sua [recente] visita in Cina.

Si è discusso molto in merito al recente annuncio secondo cui la Cina ha introdotto un regime di esenzione dal visto per i cittadini russi. In realtà, l’impatto è già evidente a Pechino, con la nuova ondata di visitatori.

Come valuta questo sviluppo? La Russia sta prendendo in considerazione l’introduzione di un accordo reciproco di esenzione dal visto per i cittadini cinesi? E quali risultati si aspetta da questa mossa?

Grazie mille.

Vladimir Putin: Per quanto riguarda le misure reciproche, ho detto a Pechino che risponderemo con misure analoghe. In realtà, ne ho discusso di recente con il nostro ministro degli Esteri . Inizialmente ha detto: “L’ abbiamo già attuata”, ma poi ha aggiunto: “In realtà, devo ricontrollare”. Ovviamente la burocrazia funziona allo stesso modo in tutti i paesi, ma se non è ancora stato fatto, lo faremo sicuramente.

L’annuncio della Cina di consentire l’ingresso senza visto ai cittadini russi è stato una sorpresa; si è trattato di un’iniziativa personale del presidente [cinese], molto apprezzata.

Quali sono i risultati attesi? Credo che saranno estremamente positivi, perché ciò significa che le fondamenta di solide relazioni interstatali vengono costruite a livello umano. Il numero di russi che si recheranno in Cina per turismo, ricerca e istruzione aumenterà in modo esponenziale, e lo stesso avverrà nella direzione opposta .

La cosa più importante è che si tratta di turisti russi e cinesi che visitano i rispettivi paesi in prima persona. Fondamentalmente, si tratta di passi essenziali; li sosteniamo pienamente e faremo ogni sforzo per facilitare questo processo.

Fyodor Lukyanov: Grazie .

Generale Sharma.

B.K. Sharma, Direttore, United Service Institution of India, Nuova Delhi: Signor Presidente, attendiamo con grande interesse la sua visita in India nel mese di dicembre. La mia domanda è: quale sarà l’obiettivo strategico della Sua visita in India? In che modo contribuirà ad approfondire le relazioni bilaterali e la collaborazione a livello regionale e internazionale?

Vladimir Putin: Abbiamo mantenuto un rapporto speciale con l’India sin dall’era sovietica, dopotutto, quando il popolo indiano ha combattuto per la propria indipendenza. In India lo ricordano, lo sanno e lo apprezzano, mentre noi li lodiamo per aver mantenuto viva questa memoria in India. E le nostre relazioni si stanno sviluppando; presto celebreremo i 15 anni dalla firma della dichiarazione che ha istituito un partenariato strategico privilegiato tra i nostri paesi .

Questa è la realtà. In effetti, la Russia e l’India non hanno mai avuto problemi o tensioni tra loro, mai. Il primo ministro Modi è un leader molto prudente e saggio. Naturalmente, gli interessi nazionali sono la sua priorità. E la popolazione indiana lo sa molto bene.

La cosa più importante per noi ora è stabilire relazioni commerciali ed economiche efficaci e reciprocamente vantaggiose. Il nostro commercio con l’India ha raggiunto circa 63 miliardi di dollari. Quante persone vivono in India? La sua popolazione è di un miliardo e mezzo, mentre Bielorussia ha una popolazione di dieci milioni. Ma il nostro commercio con la Bielorussia è pari a 50 miliardi di dollari, mentre quello con l’India è di 63 miliardi. Chiaramente, questo non è all’altezza del nostro potenziale e delle nostre capacità. Si tratta di un totale squilibrio.

A questo proposito, dobbiamo affrontare diversi obiettivi per sbloccare il nostro potenziale e trarre vantaggio dalle opportunità che abbiamo. Risolvere la questione logistica è in cima a questa lista, ovviamente. Il secondo compito consiste nell’affrontare le questioni relative al finanziamento e all’elaborazione delle transazioni. C’è qualcosa su cui lavorare e abbiamo tutto ciò che serve per raggiungere questo obiettivo.

Ciò può essere fatto anche utilizzando gli strumenti BRICS e, su base bilaterale, utilizzando rupie, valute di paesi terzi o pagamenti elettronici. Tuttavia, questi sono i principali punti da discutere. Abbiamo uno squilibrio commerciale con l’ India, perdonate la tautologia [in russo], e lo sappiamo, lo vediamo. E insieme ai nostri amici e partner indiani, stiamo pensando a come migliorare questo scambio.

Proprio di recente, letteralmente pochi giorni fa, ho impartito un’altra istruzione al Governo, al nostro co-presidente della Commissione Intergovernativa , il sig. Manturov, di collaborare con i suoi colleghi del Governo per esplorare tutte le possibili opzioni per ampliare i nostri legami commerciali ed economici. E il  governo russo sta lavorando su questo e proporremo ai nostri amici indiani le misure congiunte corrispondenti a tal fine.

Per quanto riguarda le relazioni politiche e i nostri contatti sulla scena internazionale, abbiamo sempre coordinato le nostre azioni. Certamente ascoltiamo e teniamo a mente le rispettive posizioni dei nostri paesi su varie questioni importanti. I nostri ministeri degli Esteri lavorano in stretta collaborazione.

Lo stesso vale per il settore umanitario. Abbiamo ancora molti studenti che studiano in Russia. Come ho già detto, ci piace il cinema indiano. Siamo probabilmente l’unico paese al mondo, a parte l’India, che ha un canale speciale che trasmette film indiani giorno e notte su base permanente

Abbiamo sviluppato un alto livello di fiducia anche nel settore della difesa. Insieme, produciamo diverse armi avanzate e promettenti. Questo è un ulteriore esempio che dimostra il tipo di fiducia che i nostri paesi hanno sviluppato nelle loro relazioni.

E, onestamente, anch’io non vedo l’ora di intraprendere questo viaggio all’inizio di dicembre, in cui incontrerò il mio amico e nostro fidato partner, il Primo Ministro Modi.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Anatol Lieven.

Anatol Lieven: Grazie mille, signor Presidente, per essere venuto a trovarci. Recentemente, in Occidente si è discusso pubblicamente di due gravi potenziali escalation: la fornitura di missili da crociera Tomahawk all’Ucraina e il potenziale sequestro di navi con carichi russi in alto mare, non solo nei porti e nelle acque territoriali. Potrebbe darci la sua opinione sui pericoli di tutto ciò e magari dirci qualcosa su come potrebbe reagire la Russia ? Grazie.

Vladimir Putin: È una cosa pericolosa. Per quanto riguarda i Tomahawk, si tratta di un’arma molto potente, anche se, a dire il vero, non è proprio all’avanguardia, ma resta comunque un’arma formidabile che rappresenta una minaccia.

Naturalmente, ciò non cambierà né influenzerà in alcun modo la situazione sul campo di battaglia. Come ho già detto, non importa quanti droni fornite all’Ucraina, e non importa quante linee di difesa apparentemente inespugnabili creino utilizzando questi droni, il problema fondamentale per le forze armate ucraine è che finché avranno carenze di personale, non ci sarà nessuno che combatterà queste battaglie. Lo capite?

Ho fatto riferimento al modo in cui le tattiche di combattimento si sono evolute con l’introduzione delle nuove tecnologie. Ma basta guardare ciò che le nostre reti televisive hanno riportato sul modo in cui le nostre truppe hanno avanzato le loro posizioni. Naturalmente, questo richiede tempo. Ci sono progressi, anche se avanzano in gruppi di due o tre, ci sono comunque progressi. I sistemi di guerra elettronica sono stati piuttosto efficaci nel disturbare questi droni per consentire alle nostre truppe di avanzare. La situazione qui è piuttosto simile.

Avevano già i sistemi ATACMS. Cosa ne è venuto fuori? I sistemi di difesa aerea della Russia si sono adattati a queste armi. Si tratta di un’arma ipersonica, ma abbiamo iniziato a intercettarle nonostante questo fatto. I Tomahawk possono farci del male? Sì, possono. Li intercetteremo e miglioreremo le nostre difese aeree.

Questo danneggerà le nostre relazioni, considerando che abbiamo finalmente iniziato a vedere la luce alla fine del tunnel? Ovviamente, ciò sarebbe dannoso per le nostre relazioni. Come potrebbe essere altrimenti? Non è possibile utilizzare i Tomahawk senza il coinvolgimento diretto del personale militare statunitense. Ciò segnerebbe l’avvento di una fase completamente nuova in questa escalation, anche in termini di relazioni della Russia con gli Stati Uniti .

Per quanto riguarda il sequestro delle navi, come potrebbe questo avere un effetto positivo? È simile alla pirateria. E cosa si fa con i pirati? Li si elimina. Come si possono affrontare i pirati in altro modo? Questo non significa che una guerra devasterà l’intero oceano mondiale, ma ovviamente aumenterebbe notevolmente il rischio di scontri.

A giudicare dall’esempio della Repubblica francese, credo che sia proprio questo ciò che sta accadendo. Credo che oggi questo tentativo di aumentare la tensione e il livello di escalation sia principalmente dovuto ai tentativi di distrarre le persone nei propri paesi dalle sfide sempre più difficili che i paesi che lo fanno hanno dovuto affrontare a livello interno. Vogliono che reagiamo: questo è ciò che stanno aspettando, come ho sempre detto.

Questo cambierebbe immediatamente il focus politico, consentendo loro di gridare “al lupo, al lupo” e affermare di essere sotto attacco. “Chi vi sta dando la caccia?” – “La terribile Russia! Tutti devono serrare i ranghi e coalizzarsi attorno ai propri leader politici”. Questo è l’ obiettivo principale, e le persone in questi paesi devono sapere che questo è ciò che stanno cercando di ottenere: vogliono ingannare il loro popolo, frodarlo e impedirgli di prendere parte alle manifestazioni di protesta, compreso l’uscire in strada, e allo stesso tempo sopprimere l’impegno civico mantenendo la presa sul potere.

Tuttavia, i cittadini di questi paesi devono comprendere che si tratta di un gioco rischioso. Sono spinti verso un’escalation e, forse, verso conflitti armati su larga scala. Sconsiglierei di procedere in questa direzione.

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, lei ha citato l’Europa come esempio di utilizzo delle minacce esterne per ottenere il consolidamento interno . Eppure, negli Stati Uniti, abbiamo recentemente assistito anche noi a un assassinio politico di alto profilo, che è stato visto come il risultato della polarizzazione sociale e come l’esposizione di un conflitto interno. Sembra che anche loro siano desiderosi di sfruttare le minacce esterne allo stesso scopo?

Vladimir Putin: Sapete, questa è un’atrocità disgustosa, soprattutto perché si è svolta in tempo reale e tutti abbiamo potuto vedere come è avvenuta. Davvero, che cosa disgustosa e orribile da vedere. Innanzitutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Charlie Kirk e alle persone che lo conoscevano. Siamo vicini a voi e condividiamo il vostro dolore .

Inoltre, egli difese proprio questi valori tradizionali, che, tra l’altro, Michael Gloss arrivò a difendere con le armi in pugno e per i quali sacrificò la propria vita. Ha dato la vita combattendo per questi valori come soldato russo, mentre Kirk ha sacrificato la sua vita laggiù, negli Stati Uniti, combattendo per gli stessi valori. Qual è la differenza? In realtà, la differenza è minima, se non addirittura inesistente . A proposito, i seguaci di Kirk negli Stati Uniti devono sapere che qui in Russia ci sono americani che lottano con la stessa determinazione e sono altrettanto disposti a sacrificare la propria vita per questa causa, e lo fanno.

Quello che è successo è un segno di una profonda divisione sociale. Negli Stati Uniti, credo, non sia necessario fomentare la situazione dall’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di riportare l’ordine al suo interno. E ora non voglio fare alcun commento, poiché non sono affari nostri, ma a mio avviso gli Stati Uniti hanno intrapreso questa strada.

Tuttavia, ciò che lei ha affermato e la domanda del suo collega riguardo ai nuovi sistemi d’arma a lunga gittata e ad alta precisione rappresentano anche un modo per distogliere in qualche modo l’attenzione dalle sfide interne. Ma quello che vedo ora è che la leadership statunitense è attualmente incline a perseguire una politica diversa, in particolare concentrandosi sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo nazionale, così come li vede .

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Ho visto la mano di Glenn Diesen.

Glenn Diesen: Presidente Putin, grazie mille per aver condiviso le sue prospettive. La mia domanda riguardava l’adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO. Ciò cambia il panorama geopolitico dell’Europa e mi chiedevo come la Russia interpreti questo evento. Vale a dire, l’estremo nord e la situazione nel Mar Baltico, e forse in particolare la pressione a cui è sottoposta Kaliningrad, e come la Russia potrebbe rispondere a questo. Grazie.

Vladimir Putin: Per quanto riguarda la Marina, questo può causare conflitti: questo era il mio messaggio. Vorrei evitare di approfondire troppo questo punto o di fornire argomenti a coloro che vogliono che rispondiamo in modo duro e violento. Se approfondissi questo punto spiegando in modo specifico ciò che intendiamo fare, griderebbero immediatamente al lupo dicendo che Russia sta proferendo minacce e che loro lo avevano previsto da tempo. Questo servirebbe come scatto per raggiungere il loro obiettivo finale, che consiste nel gettare un velo sulle loro sfide interne mettendo le minacce esterne al centro dell’attenzione.

Non commettete errori, noi risponderemo. Non siamo noi a trattenere le navi della Marina straniera, mentre qualcuno sta cercando di impedirci di farlo. Continuano a parlare della cosiddetta flotta ombra e hanno introdotto questo termine. Ma potete dirmi cosa significa questo concetto di flotta ombra? Qualcuno qui può dirmelo? Non ho alcun dubbio che la risposta sia negativa, perché non esiste una flotta ombra nel diritto internazionale del mare. Ciò significa che queste azioni non hanno alcun fondamento giuridico. Coloro che stanno cercando di farlo devono essere consapevoli di questo fatto. Questo è il mio primo punto.

Il mio secondo punto, per rispondere alla tua prima domanda, riguarda l’adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO. Ma questa non è stata affatto una mossa intelligente. Dopo tutto, non avevamo alcun problema con la Svezia e ancor meno con la Finlandia. In realtà, non c’erano problemi nelle nostre relazioni con la Finlandia, tanto per cominciare. Sapete che le persone erano libere di usare i rubli quando facevano acquisti nei grandi magazzini del centro di Helsinki. Anche tre anni fa, le persone potevano facilmente recarsi a Helsinki, entrare in un negozio, prendere i rubli dal portafoglio e pagare i propri acquisti. Era proprio così semplice. Inoltre, nelle regioni di confine della Finlandia tutte le insegne e le etichette erano in russo. La gente era desiderosa di assumere persone che parlassero russo per lavorare negli hotel e nei centri commerciali, dato che c’erano tanti turisti e la nostra gente era solita acquistare immobili in quella zona.

È possibile che alcune forze nazionaliste in questi paesi possano sospettare o temere questi sviluppi, presentandoli come una tacita infiltrazione della Russia. Ma viviamo in un mondo interdipendente. Se qualcosa non vi piace, se lo considerate una minaccia, potete adottare misure economiche o amministrative per imporre restrizioni agli acquirenti di beni immobili o alla circolazione delle persone. Non c’è quasi nessuna questione che non possa essere risolta in questo modo. Detto questo, entrare a far parte della NATO, che è un blocco con una politica aggressiva nei confronti della Russia, perché dovrebbero farlo? Cosa stanno cercando di proteggere? Quali interessi devono proteggere la Finlandia e la Svezia? La Russia aveva intenzione di invadere Helsinki o Stoccolma? La Russia ha regolato tutti i conti con la Svezia nella battaglia di Poltava.

Questo è successo molto tempo fa e non ci sono questioni in sospeso. C’era Carlo XII, una figura molto controversa, che governava la Svezia, e non è ancora chiaro chi lo abbia ucciso… Alcuni credono che siano stati i suoi stessi uomini ad ucciderlo perché stanchi delle sue incessanti campagne militari e dei suoi tentativi di coinvolgere la Turchia in un’altra guerra contro la Russia. Ma questo è ormai un ricordo del passato. Infatti, questo è successo diversi secoli fa.

Qual è il problema della Finlandia? Sapete qual è il problema? Non ci sono problemi di alcun tipo. Abbiamo risolto tutte le nostre questioni e firmato tutti i trattati basati sui risultati della seconda guerra mondiale. Perché l’hanno fatto? Volevano la loro fetta di torta in caso di Russia subisse una sconfitta strategica o per prendersi qualcosa che appartiene a noi? Avrei potuto usare ancora una volta un gesto specifico, ma con le signore presenti in questa stanza non posso permettermi di farlo .

Ascolta, sia la Finlandia che la Svezia hanno perso i vantaggi del loro status di neutralità. Prendiamo ad esempio i colloqui su un possibile accordo in Ucraina. Perché è stato stipulato l’Accordo di Helsinki? Perché si chiama “Helsinki”? Perché il paese ospitante era neutrale, un luogo dove tutti si sentivano a proprio agio nell’incontrarsi. Ma ora, chi andrebbe ad Helsinki?

Prendiamo il signor Stubb. Donald dice che è un buon giocatore di golf. Va bene. Ma questo da solo non basta. (Risate) Non voglio mancare di rispetto, anch’io amo lo sport. Ma comunque non basta. Qual è la prospettiva a lungo termine ? Qualcuno può spiegarmi qual è il vantaggio? Ne nomini almeno uno. Ho detto prima che forse alcuni circoli nazionalisti finlandesi temevano che la Russia stesse silenziosamente acquistando troppa influenza in quel paese. Ebbene, se questa è la preoccupazione, introduciamo restrizioni amministrative o giuridiche. Perché no?

Ho sempre avuto ottimi rapporti con i precedenti leader finlandesi: ci facevamo visita regolarmente e discutevamo di ogni sorta di questioni pratiche: questioni di confine, collegamenti di trasporto e così via. Tutto funzionava senza intoppi.

Allora perché cambiare questa situazione? Perché la Russia presumibilmente persegue una politica aggressiva e ha attaccato l’Ucraina. Giusto. E il colpo di Stato in Ucraina, quello non conta? Il fatto che dal 2014 dei bambini siano stati uccisi nel Donbass, è normale? Che carri armati e aerei siano stati usati contro civili e che città siano state bombardate? Tutto questo è stato documentato, filmato, registrato. È accettabile? Semplicemente non c’era alcun desiderio di analizzare nulla, solo il desiderio di unirsi allo stesso branco che cercava di portare via qualcosa alla Russia. Qual è il risultato?

L’ex presidente una volta mi disse – avevamo un buon rapporto, ci sentivamo al telefono, abbiamo anche giocato a hockey insieme diverse volte – disse: “La Norvegia è nella NATO, e va bene così”. Va bene? Non c’è niente di buono in questo.

Avevamo rapporti normali con loro, avevamo persino raggiunto un accordo con la NATO sulle questioni marittime e tutto funzionava. Ma ora il confine tra la Russia e la NATO si è allungato. E allora? In precedenza non avevamo alcuna presenza militare in quella regione della Russia. Ora ce l’avremo. Dobbiamo creare un distretto militare separato. I finlandesi ci hanno detto che non avrebbero permesso il dispiegamento di armi pericolose per la Russia, in particolare armi nucleari. Beh, perdonatemi la schiettezza, ma chi diavolo lo sa? Sappiamo come vengono prese le decisioni nella NATO. Chi lo chiederà ai finlandesi? Non voglio offendere nessuno, ma so come funzionano le cose: le armi saranno collocate lì, e basta. E poi? Hai fatto buca in un colpo solo o no? Ecco fatto, Pershing. Ne sarai ritenuto responsabile, quindi risponderemo con i nostri sistemi. Che senso ha tutto questo?

Ora stanno parlando dei nostri aerei che sorvolano il Mar Baltico con i transponder spenti. Ricordo di aver sollevato la questione durante una visita a Helsinki: anche gli aerei della NATO volavano senza transponder. Il presidente finlandese ha quindi suggerito di concordare che tutti dovessero accenderli. Abbiamo accettato – la Russia ha accettato. E cosa hanno detto i paesi della NATO? “Non lo faremo”. Beh, se loro non lo fanno, allora non lo faremo nemmeno noi.

Si tratta di aumentare le tensioni in un’altra parte del mondo, mettendo a rischio la stabilità, compresa quella militare e strategica in quelle regioni. Se questo dovesse rappresentare un pericolo per noi, schiereremo le nostre forze anche lì per mettere in pericolo coloro che hanno schierato le loro armi in quella zona. Perché farlo? Chi ne trae vantaggio? Ha fatto qualche differenza per la sicurezza della Finlandia o della Svezia ? No, ovviamente no.

Quindi… continueremo, ovviamente, a lavorare come al solito. Se decidessero di costruire o ripristinare le relazioni con noi, non siamo contrari, anzi, siamo tutti favorevoli. Tuttavia, la situazione è cambiata. Come dice un famoso proverbio, abbiamo ritrovato i cucchiai scomparsi, ma l’incidente ci ha comunque lasciato l’amaro in bocca.

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, perché sta inviando così tanti droni in Danimarca?

Vladimir Putin: Prometto che non lo farò. Non invierò droni in Francia, Danimarca o Copenaghen. Quali altre destinazioni possono raggiungere?

Fyodor Lukyanov: Possono andare ovunque.

Vladimir Putin: Lisbona. Dove altro?

Sai, le persone che, un po’ di tempo fa, erano appassionate di oggetti volanti non identificati si stanno divertendo lì. Ci sono molti personaggi eccentrici lì. Proprio come facciamo qui, tra l’altro. La stessa cosa, soprattutto i giovani. Li lanceranno ogni singolo giorno, quindi lasciate che si diano da fare e lo capiscano.

Seriamente, però, non abbiamo nemmeno droni in grado di arrivare fino a Lisbona. Abbiamo alcuni droni a lungo raggio, ma non ci sono obiettivi a quella distanza. Questo è ciò che conta di più in questo senso.

Questo è un modo per aumentare le tensioni in generale, per ottemperare agli ordini provenienti dal “comitato regionale del partito di Washington” e per aumentare la spesa per la difesa.

Ci è stato appena detto che l’economia europea, in particolare in Germania e Francia, si trova in una situazione difficile. Non molto tempo fa, entrambi i paesi, in primis la Germania, erano i principali motori della crescita economica in Europa Per quanto la Polonia si sforzi, non è in grado di diventare un motore simile. Sta cercando di diventare leader dell’Unione Europea, lo vediamo. Ma questo sforzo metterà a dura prova la Polonia nel breve termine storico. Questi paesi stanno perdendo tale status a causa della stagnazione delle principali economie e anche perché i loro deficit di bilancio sono tristemente elevati e sono multipli dei nostri deficit di bilancio. Anche altri dati macroeconomici in questi paesi sono carenti. Noi, come ho detto prima, abbiamo il 2,6 [percento], mentre loro hanno cifre che sono da quattro a circa sei volte superiori. L’isteria viene fomentata per distogliere l’attenzione della gente da questi problemi fondamentali e profondi.

Fyodor Lukyanov: Hai spaventato il Portogallo quando hai menzionato Lisbona. Il loro senso dell’umorismo potrebbe venir meno e potrebbero prenderla sul serio. Ad ogni modo, per mettere le cose in chiaro, era uno scherzo.

Vladimir Putin: Perché uno scherzo? No.

Fyodor Lukyanov: No?

Vladimir Putin: No.

Fyodor Lukyanov: Mi scusi. Allora era un avvertimento corretto. E anche un gesto gentile.

Vladimir Putin: Uomo avvisato mezzo salvato.

Forse dovrei? Oppure è antidemocratico.

Fyodor Lukyanov: Sì, prego.

Vladimir Putin: Giovane donna con una camicetta chiara.

Domanda: Signor Presidente, due parole sull’ aggressione e sulla maggioranza globale.

Oggi avete menzionato più volte come è nato il BRICS, cosa sta succedendo al suo interno e quali sono gli obiettivi di questo gruppo. Sai, sentiamo ancora dire dai nostri esperti e colleghi occidentali che il BRICS è un’entità aggressiva. Anche se noi, e ogni singolo Paese, affermiamo che il nostro programma è positivo e lo dimostriamo con le nostre azioni, ma…

Ricordano ancora Kazan, ricordando quanto fossero isolati i nostri colleghi europei, che dicevano che la Russia era isolata.

Ci sono molte iniziative importanti. Vorrei ringraziarvi in modo particolare per il vostro sostegno personale. L’anno scorso abbiamo lanciato il Consiglio Civico BRICS. Si tratta di una vera e propria pietra miliare. Quindi, come possiamo garantire che il BRICS mantenga il suo slancio – ha raddoppiato le sue dimensioni, ha acquisito nuovi partner – e sia all’altezza della fiducia che la maggioranza globale ripone ancora in esso?

Grazie.

Vladimir Putin: La domanda è retorica. Il BRICS sta crescendo. Questo è positivo ma anche impegnativo. Hai fatto bene a sottolinearlo, perché più partecipanti ci sono, più interessi e opinioni ci sono . Coordinare una posizione comune diventa più difficile, ma non c’è altra soluzione. L’unica strada è quella del coordinamento, della ricerca di interessi comuni e della collaborazione in questa direzione. Nel complesso, finora ci siamo riusciti .

Il BRICS deve affrontare molte sfide. Riteniamo che una di queste vada oltre la semplice creazione di una piattaforma comune o di principi comuni di interazione, anche, in primo luogo, nell’ambito economico. Come ho già detto nel mio intervento, non stiamo perseguendo una politica contro nessuno. L’intera politica dei BRICS è rivolta a noi stessi, ai membri di questo gruppo.

Non stiamo conducendo alcuna campagna anti-dollaro né attuando politiche anti-dollaro, assolutamente no. È semplicemente che non ci è permesso regolare i conti in dollari. Quindi cosa dovremmo fare? Effettuiamo i pagamenti nelle valute nazionali. Ora faremo come molti altri paesi, compresi gli Stati Uniti. Lavoreremo per ampliare le opportunità di commercio elettronico e pagamenti elettronici.

Svilupperemo questo ambito anche all’interno dei paesi BRICS. Stiamo già cercando di farlo promuovendo l’idea di una nuova piattaforma di investimento, dove, a mio parere, possiamo aspettarci un successo. Se ci muoviamo in questa direzione, come ho appena detto, utilizzando le moderne tecnologie, anche nel sistema di pagamento, saremo in grado di creare un sistema completamente unico che opera con rischi minimi e praticamente senza inflazione. Dobbiamo solo riflettere attentamente sui progetti che saranno reciprocamente vantaggiosi per tutti i partecipanti a questo processo e, soprattutto, per coloro in cui tali progetti vengono attuati.

Vogliamo concentrarci principalmente sui mercati in rapida crescita dell’Africa e dell’Asia meridionale, che senza dubbio continueranno a crescere rapidamente. Lo stanno già facendo e il loro ritmo è destinato solo ad aumentare. Oggi, se guardiamo al PIL globale, i paesi BRICS rappresentano il 40 percento di esso. L’Unione Europea rappresenta il 23 percento e il Nord America il 20 percento. E questa crescita sta accelerando. Guardiamo la quota dei paesi del G7 di 10 o 15 anni fa e confrontiamola con quella odierna. La tendenza è chiara e in atto.

E cosa vogliamo? Vogliamo integrarci in questa tendenza di sviluppo e lavorare insieme, anche con i principali paesi BRICS, in questi mercati e in Africa, che ha anche un futuro molto luminoso .

Guardate i paesi di quella zona: hanno già una popolazione che si avvicina o supera i 100 milioni di persone e sono molto ricchi. Lo stesso vale per l’Asia meridionale e il Sud-Est asiatico. Si tratta di enormi opportunità di sviluppo per l’umanità e questi paesi si impegneranno naturalmente per aumentare il tenore di vita dei propri cittadini, avvicinandolo a quello delle nazioni più sviluppate.

In questo processo ci sarà inevitabilmente concorrenza e noi vogliamo partecipare a questo sforzo collettivo positivo. Che cosa c’è di aggressivo in questo? Si tratta semplicemente di una reazione un po’ nervosa al nostro successo, e di una reazione alla crescente concorrenza negli affari globali e nell’economia globale.

Un signore laggiù ha alzato la mano. Prego, proceda pure.

Direttore della Vivekananda International Foundation (Nuova Delhi) Arvind Gupta:

Grazie, Eccellenza, per la sua presentazione molto esauriente. Penso che lei abbia risposto a molte delle nostre domande e chiarito alcuni dubbi. Ascoltare direttamente da lei queste cose è molto utile per noi e desidero ringraziare Valdai per averci offerto questa opportunità.

Lei ha accennato alla sua imminente visita in India e ha anche menzionato alcuni progetti e iniziative che potrebbero essere intrapresi. Ma vorrei fare riferimento a un settore, ovvero la possibilità di cooperazione nell’ambito dell’alta tecnologia e delle tecnologie emergenti. Credo che sia necessario un’attenzione particolare e iniziative speciali per migliorare la nostra cooperazione, approfondire la nostra cooperazione nell’intelligenza artificiale, nel cyber e in altri settori. Quindi, avete in mente alcune misure speciali, come, ad esempio, la creazione di un fondo tecnologico India-Russia per promuovere tale cooperazione? Perché, a meno che non ci sia uno slancio ai livelli più alti, questa cooperazione richiederà un po’ di tempo. Questa è la mia prima domanda.

La mia seconda domanda è che anche oggi lei ha parlato di civiltà e cultura e della loro importanza. In precedenti incontri anche qui, lei ha sottolineato questo aspetto. Potrebbe approfondire il ruolo della civiltà e della cultura nella politica internazionale contemporanea? Ritiene che le civiltà favoriscano la cooperazione tra civiltà e portino stabilità? Oppure crede che ci siano possibilità di uno scontro di civiltà, come è stato previsto da alcuni studiosi alcuni anni fa?

Grazie mille.

Vladimir Putin: È una domanda piuttosto complessa. Inizierò dalla parte più semplice, l’intelligenza artificiale e altre tendenze di sviluppo della civiltà moderna, e l’idea di istituire una fondazione.

Possiamo crearne uno. Come ho detto prima, avevo dato istruzioni al Governo, in particolare al Vice Primo Ministro che copresiede la Commissione intergovernativa da parte russa lato russo, di sedersi al tavolo con i nostri amici e colleghi indiani e discutere proposte che identifichino le aree di cooperazione più promettenti e i modi per bilanciare il nostro commercio. Siamo disposti a farlo. Ad esempio, potremmo aumentare gli acquisti di prodotti agricoli e farmaceutici indiani, adottando anche alcune misure da parte nostra.

Per quanto riguarda la fondazione e, più in generale, la cooperazione con i nostri amici indiani, ci sono alcuni aspetto specifici da considerare. L’economia indiana è principalmente privata e guidata da iniziative private in cui si deve trattare direttamente con le aziende piuttosto che con lo Stato , mentre il governo, proprio come il nostro, svolge principalmente un ruolo di regolamentazione .

Naturalmente, a livello statale, dovremmo mirare a creare condizioni adeguate per un’interazione economica positiva tra gli agenti economici, ma dovremmo anche lavorare direttamente con le aziende. Tuttavia, la sua idea di unire gli sforzi in settori chiave dello sviluppo, compreso lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale, è buona.

Abbiamo compiuto alcuni progressi in questo campo di cui possiamo andare fieri e abbiamo aziende che stanno ottenendo risultati eccellenti. Unire gli sforzi è di fondamentale importanza e promette ottimi risultati congiunti .

Grazie per l’idea. Ne terrò conto e modificherò leggermente le mie istruzioni al Governo.

Per quanto riguarda le civiltà, lo scontro di civiltà e le argomentazioni di alcuni ricercatori al riguardo, ne sono consapevole, in linea di massima.

Probabilmente ti riferisci a uno degli ricercatori americani che hanno studiato i problemi e il futuro delle civiltà. Egli ha suggerito che le differenze ideologiche stanno passando in secondo piano, lasciando spazio ai principi essenziali e fondamentali della civiltà. Riteneva che le passate differenze ideologiche tra gli Stati potessero assumere aspetti civili e che non avremmo assistito a uno scontro di ideologie o di Stati a causa delle differenze ideologiche, ma piuttosto uno scontro di Stati e una coalescenza basata sulle caratteristiche civili

Se sai leggere e ti limiti a leggere tali dichiarazioni, potresti considerarle piuttosto sensate. Tuttavia, negli ultimi anni ho cercato di analizzare ciò che leggo. Ti dirò cosa ne penso. A mio parere, le considerazioni ideologiche che hanno avuto un ruolo di primo piano negli ultimi decenni erano solo una copertura che camuffava una vera e propria lotta di interessi geopolitici. E gli interessi geopolitici sono molto più profondi; sono più vicini agli interessi civilizzatori.

Vedete, quando l’Unione Sovietica è crollata, i sempliciotti russi e gli ex funzionari sovietici pensavano – anch’io lo pensavo – che avremmo vissuto come una famiglia, una famiglia di civiltà, che ci saremmo baciati, abbracciati – anche se sosteniamo i valori tradizionali – e avremmo vissuto come una famiglia di nazioni, come dovrebbe fare una buona famiglia.

Niente del genere. Questo è stato una sorpresa anche per me, un ex ufficiale del Servizio di intelligence estero dell’Unione Sovietica. Ne ho parlato quando ero direttore del Servizio Federale di Sicurezza (FSB), dicendo che ci consideravamo parte della famiglia, mentre i nostri partner, come li chiamavo allora, sostenevano il separatismo e i terroristi, compresa Al Qaeda nel Caucaso settentrionale. Ho detto loro : “Cosa state facendo? Siete pazzi? Noi siamo con voi, siamo della stessa famiglia borghese”, come ricordiamo da un libro per bambini. Dateci un grande vaso di miele e un grande cucchiaio, e berremo e divoreremo il miele insieme.

Ma no, ho visto, come direttore della CIA (risate) – futuro direttore – che i nostri avversari, come li chiamiamo ora… Il presidente Bush una volta mi ha mostrato dei documenti segreti alla presenza del suo direttore della CIA, che ha detto: “Signor Presidente, ha letto questi documenti top secret? Per favore, firmi qui, come da nostra procedura”. Ho risposto: “Va bene” e ho firmato i documenti.

Cosa ho scoperto mentre ricoprivo la carica di direttore del Servizio federale di sicurezza (FSB)? Sembrava che fossimo tutti uguali ora – le catene della vecchia ideologia erano cadute – ma cosa ho visto? Scusatemi, ma la CIA sta operando nel Caucaso meridionale, nel Caucaso settentrionale russo e nel Caucaso meridionale, mantenendo la propria rete di agenti, compresi i radicali, finanziandoli, fornendo loro supporto politico e informativo e persino fornendo armi e trasportandole con i propri elicotteri. Ad essere sincero, anche io – un ex ufficiale del servizio di intelligence estero sovietico – quando sono salito a una posizione così alta, sono rimasto sbalordito. Ho pensato: cosa diavolo sta succedendo? Ma è così che funziona la lotta geopolitica. A nessuno interessano più le differenze ideologiche. Sono finite e superate. L’obiettivo è quello di eliminare i resti dell’Unione Sovietica, la sua parte più grande, e fare ciò che Brzezinski disse una volta: dividerla in almeno quattro pezzi. E alcuni grandi Stati sanno bene che piani simili sono stati elaborati una volta anche per loro – forse lo sono ancora.

Cosa ci dice questo? Che l’ideologia, come scrisse una volta un autore di cui ho dimenticato il nome, sebbene fosse chiaramente un uomo intelligente, era in gran parte una facciata, mentre il vero conflitto era, e rimane, geopolitico, in altre parole, civilizzazionale.

Ci saranno ulteriori scontri? La competizione di interessi è sempre presente sulla scena internazionale. La vera domanda è, come ho già detto, se siamo in grado di condurre il nostro lavoro pratico in modo tale da cercare il consenso e raggiungere un equilibrio di interessi.

Abbiamo grande rispetto per le culture e le civiltà antiche: la civiltà indiana, buddista, indù, la civiltà cinese, la civiltà araba. La civiltà russa non è antica come quelle della Cina, dell’ India o del mondo arabo, ma ha già più di mille anni e un’esperienza propria e distinta

Ciò che rende unica la nostra cultura è che… Sì, anche in India, Cina e nel mondo arabo le società si sono evolute gradualmente e anche loro sono multietniche. Ma il nostro paese è stato multietnico e multiconfessionale fin dall’inizio. E non abbiamo mai avuto nulla di simile alle riserve, come alcuni dei miei colleghi e assistenti dicono – nessuna riserva.

Quando la Russia ha assorbito altri popoli, rappresentanti di diversi gruppi etnici e religiosi, lo ha sempre fatto con grande rispetto, trattandoli come parte di qualcosa di condiviso e comune. Gli Stati Uniti sono noti come un melting pot, dove persone di diverse religioni, etnie e paesi si mescolano tra loro.

Ma sono tutti immigrati: sono stati separati dalle loro radici native. Noi siamo diversi. Il nostro popolo, di diverse fedi ed etnie, ha sempre vissuto sulla terra dei propri antenati, fianco a fianco, per secoli. Questo ha dato forma a una cultura distintiva, una civiltà speciale tutta nostra. Abbiamo imparato a vivere, coesistere e svilupparci insieme e, inoltre, a riconoscere i vantaggi di tale sviluppo congiunto.

In questo senso, penso che offra un buon esempio, anche su come trovare un compromesso e un equilibrio tra tutti i partecipanti alle relazioni internazionali e tra le altre civiltà. Quindi sì, le contraddizioni sono possibili e anche inevitabili, ma se seguiamo lo stesso percorso che la Russia ha storicamente intrapreso nella formazione di uno Stato unificato, possiamo anche trovare modi per risolvere i problemi nel più ampio contesto internazionale.

Fëdor Luk’yanov: Abbiamo parlato per tre ore e mezza .

Vladimir Putin: Credo che il pubblico mi odierà per questo, ma suggerisco di spostarsi da questa parte della sala all’altra. Prego, procedete.

Konstantin Khudolei: Signor Presidente, mi chiamo Konstantin Khudolei, Università di San Pietroburgo.

Ecco la mia domanda. Qualche tempo fa, lei ha avanzato un’iniziativa che ritengo estremamente importante: prorogare di un anno il nuovo trattato START con gli Stati Uniti. Questa iniziativa viene messa a tacere in Occidente. Potrei essere troppo ottimista, ma speriamo che prevalga il buon senso, che il trattato venga prorogato di un anno e che la sua iniziativa venga accettata.

Ma la domanda è: cosa succederà dopo? Cercheremo di estendere gli accordi russo-statunitensi o la prossima serie di accordi, che sostituirà l’ultimo trattato in questo settore, stabilirà un sistema più complesso di controllo degli armamenti basato sul dovuto rispetto degli altri poli del mondo moderno?

Vladimir Putin: Konstantin, è molto difficile dire cosa accadrà in futuro perché la risposta non dipende solo da noi. So cosa accadrà entro un anno se l’amministrazione statunitense accetterà la nostra proposta, ma è difficile dire cosa accadrà oltre questo limite.

Non si tratta di un semplice dialogo; siamo consapevoli delle insidie. Innanzitutto, abbiamo creato molte armi moderne ad alta tecnologia, come Oreshnik. Non Oreshkin, ma Oreshnik. Recentemente abbiamo dimostrato che tali sistemi non sono armi strategiche. Tuttavia, alcuni esperti negli Stati Uniti sostengono che si tratti di armi strategiche. La questione deve essere chiarita. Non entrerò nei dettagli ora, ma è necessario un chiarimento, che richiederà tempo, ovviamente.

Abbiamo creato un altro sistema ipersonico – Kinzhal, e un sistema intercontinentale  – Avangard. Potremmo creare altri sistemi. Non abbiamo abbandonato nessuno dei nostri piani. Stiamo lavorando su di essi e otterremo i risultati desiderati. Questo è il primo punto.

La seconda questione riguarda le armi nucleari tattiche. Il trattato riguarda le armi strategiche, ma le armi tattiche moderne sono molte volte più potenti delle bombe che gli americani hanno sganciato sul Giappone, su Hiroshima e Nagasaki. Credo che quelle fossero bombe da 20 kilotoni, ma le armi moderne – i sistemi tattici – sono molte volte più potenti. Anche in questo ambito ci sono delle insidie. L’unico luogo in cui le abbiamo dispiegate al di fuori della Russia è la Bielorussia, mentre gli americani dispongono di tali armi in tutto il mondo: in Europa, in Turchia e in vari altri luoghi. Ma è vero che noi ne abbiamo di più . È una questione che richiede attenzione.

Diversi altri aspetti devono ancora essere definiti. Sappiamo che ci sono voci negli Stati Uniti che dicono di “non aver bisogno di un’estensione”. Beh, se non ne hanno bisogno, allora nemmeno noi. Nel complesso, stiamo andando bene così come siamo; abbiamo fiducia nel nostro scudo nucleare e sappiamo cosa faremo domani e dopodomani. Quindi, se loro non ne hanno bisogno, nemmeno noi ne abbiamo.

C’è poi un terzo aspetto: la dimensione internazionale. Siamo stati sollecitati con una certa insistenza a persuadere la Cina ad aderire a questo sistema strategico di limitazione delle armi offensive. Ma perché è nostra responsabilità? Chiunque voglia coinvolgere la Cina dovrebbe andare a negoziare direttamente con la Cina. Perché improvvisamente l’onere ricade su di noi?

Questo porta a un’altra domanda: se la Cina deve essere inclusa, perché vengono tralasciati i potenziali nucleari del Regno Unito e della Francia? Dopotutto, sono membri della NATO. Ciò è particolarmente rilevante poiché la Francia ha espresso il desiderio di fornire il suo ombrello nucleare a tutta l’Europa. Non dovremmo tenerne conto? Il mio punto è che ci sono molte questioni complesse che richiedono una ricerca meticolosa.

Tuttavia, se l’obiettivo è quello di mantenere lo status quo per un anno, siamo pronti e disponibili. In caso contrario, va bene lo stesso. Oggi abbiamo la parità. Gli americani hanno più sottomarini lanciamissili balistici, ma il numero di testate nucleari su quei sottomarini è più o meno lo stesso. Loro hanno più sottomarini strategici; noi ne abbiamo leggermente meno, ma abbiamo più sottomarini multiuso, che svolgono anch’essi un ruolo importante nell’equilibrio complessivo . E abbiamo le Forze missilistiche strategiche (RVSN), la nostra componente terrestre. Gli esperti comprendono l’importanza delle RVSN russe.

Siamo in una posizione di forza, soprattutto perché il nostro livello di modernizzazione è superiore a quello di qualsiasi altra potenza nucleare. Abbiamo semplicemente lavorato sodo e a lungo per raggiungere questo risultato. E, ribadisco, il progresso tecnologico delle nostre forze strategiche è eccezionale. Tuttavia, siamo disposti a fare una pausa e, oserei dire, a collaborare con i nostri colleghi americani su questo tema, se lo ritengono opportuno. Se non lo fanno, allora il sentimento è reciproco. Ma questo è l’ultimo patto rimasto al mondo che limita le armi strategiche offensive.

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, non è forse questo un buon momento per riprendere i test nucleari? Per caso?

Vladimir Putin: Vediamo che i preparativi sono in corso altrove. Se i test saranno condotti da altri, risponderemo con misure analoghe.

Sì, prego, da questa parte.

Fyodor Lukyanov: La parola al signor Feng Wei, prego.

Vladimir Putin: È già in piedi.

Feng Wei: Signor Presidente, rappresento l’Istituto cinese per l’innovazione e lo sviluppo strategico, uno degli organizzatori della conferenza Understanding China. Si tratta di una delle principali piattaforme per gli scambi internazionali in Cina, con il sostegno del Presidente Xi, naturalmente.

Stiamo attualmente collaborando con il Club Valdai per promuovere la comprensione reciproca tra Cina e Russia, che riteniamo essere di estrema importanza. Le relazioni tra Cina e Russia sono ai massimi livelli di sempre, grazie agli sforzi personali di Vostra Eccellenza e del Presidente Xi. Riteniamo che sia altrettanto importante consolidare ulteriormente le fondamenta a livello interpersonale. Quindi, insieme al Club Valdai, organizzeremo alcuni eventi durante la nostra riunione annuale della conferenza “Comprendere la Cina” di quest’anno.

Signor Presidente, può darci qualche consiglio su cosa possiamo fare per migliorare il nostro lavoro? E, in secondo luogo, potrebbe dire qualche parola al pubblico della conferenza “Comprendere la Cina” sulla comprensione della Russia? Lei ha numerosi amici in Cina, che sarebbero felici di sentire la sua voce, ma la Cina è un Paese grande e ci sono molte persone che hanno bisogno di comprendere meglio la Russia. Quindi un messaggio personale da parte sua sarebbe di grande aiuto, non come grande leader di Stato, ma come fratello delle sue sorelle e dei suoi fratelli cinesi.

Grazie.

Vladimir Putin: Sapete, posso solo dire ai miei fratelli e sorelle cinesi che siamo sulla strada giusta. Dobbiamo mantenere la rotta e coltivare il nostro rapporto. Ognuno di noi, ovunque ci troviamo, che ricopriamo posizioni di autorità, lavoriamo in una fabbrica, nel teatro o nella cinematografia, in un istituto di istruzione superiore o secondaria, dobbiamo fare del nostro meglio per rafforzare questa interazione. È della massima importanza sia per il popolo cinese che per il popolo russo.

Desidero ringraziarvi per tutto quello che avete fatto finora e vi auguro un successo continuo. Da parte nostra, io e, ne sono certo, il Presidente Xi Jinping, faremo tutto il possibile per sostenervi.

Fyodor Lukyanov: Suggerisco di dare la parola al signor Al-Faraj, al quale è stato tolto il microfono, e forse dopo di che potremo concludere.

Vladimir Putin: Concludiamo.

Abdullah Al-Faraj, Centro per la Ricerca e l’Intercomunicazione della Conoscenza (Arabia Saudita): Sono lieto di vederla, signor Presidente.

Vladimir Putin: Anche per me.

Abdullah Al-Faraj: Lei ha menzionato il mondo multipolare, che è di grande interesse per noi, principalmente perché esportiamo petrolio e importiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per il consumo e il progresso. Siamo particolarmente interessati a garantire la libertà di navigazione marittima e la sicurezza delle nostre rotte di esportazione del petrolio.

La mia domanda, signor Presidente, è se il futuro mondo multipolare sarà in grado di garantire la sicurezza della navigazione marittima e l’approvvigionamento energetico globale, in modo che incidenti come l’esplosione del Nord Stream non si ripetano mai più. Grazie.

Vladimir Putin: Ho già parlato in precedenza della sicurezza della navigazione marittima, ma vorrei ribadire questo punto, perché ritengo che sia fondamentale. I nostri avversari – mi permetta di usare questo termine blando per descriverli – continuano a chiederci di rispettare il diritto internazionale. Noi, a nostra volta, chiediamo a loro di fare lo stesso.

Non esiste alcuna norma del diritto internazionale che consenta la rapina, la pirateria o il sequestro di navi di altri paesi senza alcun fondamento giuridico. Tali azioni possono avere gravi conseguenze. Tuttavia, se agiamo nello spirito che ho menzionato oggi e se il mondo multipolare difende veramente gli interessi di tutti e mette a punto meccanismi per l’allineamento delle posizioni, credo che non si arriverà a questo. Questo è il mio primo punto.

In secondo luogo, la mia grande speranza è che le organizzazioni pubbliche e i cittadini dei paesi i cui leader stanno cercando di fomentare tensioni, ad esempio creando problemi per l’economia globale, la logistica internazionale e il settore energetico mondiale – i partiti politici, le organizzazioni pubbliche e i cittadini di quei paesi facciano tutto il possibile per impedire ai loro leader di provocare un collasso o complicazioni internazionali.

Indipendentemente da ciò che accadrà, sono assolutamente convinto che il settore energetico internazionale continuerà a lavorare con costanza. L’economia globale è in crescita e la domanda di fonti energetiche primarie, in particolare uranio per le centrali nucleari, petrolio, gas e carbone, è destinata ad aumentare. Ciò significa che i mercati internazionali consumeranno inevitabilmente queste fonti energetiche .

Oggi abbiamo parlato solo dell’uranio per le centrali nucleari, ma questo riguarda anche il petrolio, le spedizioni di petrolio, i trasporti e la produzione. Attualmente, gli Stati Uniti sono il principale produttore mondiale di petrolio, seguiti dall’Arabia Saudita e dalla Russia. È inimmaginabile che il ritiro delle forniture di petrolio russo non avrebbe alcun effetto sulla situazione energetica mondiale o sull’economia globale. Questo non accadrà.

Perché? Perché anche se si ipotizzasse uno scenario improbabile in cui i produttori russi e i i commercianti russi – che forniscono una quota significativa di petrolio al mercato internazionale – venissero esclusi, i prezzi salirebbero immediatamente alle stelle a 100 dollari al barile e oltre. È questo nell’interesse delle economie già in difficoltà, comprese quelle europee? Nessuno sembra prenderlo in considerazione ; oppure, se sono consapevoli delle conseguenze, continuano comunque a cercare i guai.

Tuttavia, qualunque cosa accada, il fabbisogno energetico del mercato internazionale sarà soddisfatto. Ciò sarà possibile, in parte, grazie agli sforzi delle persone che lavorano in questo settore, cruciale per l’intero sistema economico globale: persone come voi. Grazie mille .

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, all’inizio del suo discorso ha detto qualcosa di molto importante.

Vladimir Putin: Beh, almeno ho detto qualcosa di importante e oggi non abbiamo perso tempo.

Fyodor Lukyanov: Vorrei essere più specifico. Ho preso nota di un punto chiave. Quando ha parlato dell’ordine mondiale, ha affermato che vietare le cose non funziona. Questa frase – vietare le cose non funziona – è il motto del Valdai Club da ormai 23 anni. Qui abbiamo sempre cercato di non vietare nulla, ma di incoraggiare discussioni, dibattiti e dialogo. Faremo tutto il possibile per mantenere questa linea. Speriamo anche che questo principio si diffonda nel mondo intero e, come lei ha detto, nel nostro Paese, poiché a volte tendiamo a vietare più del necessario. Cerchiamo di mantenere vivo lo spirito del Valdai.

C’è un’altra cosa che io e tutti gli altri abbiamo sentito. Oggi abbiamo tutti appreso chi considera un “interlocutore gradito “. Ha fissato uno standard molto elevato, ma al Club Valdai faremo del nostro meglio per soddisfarlo, in modo che ci visiti più spesso e si senta a suo agio qui.

Vladimir Putin: Innanzitutto, vorrei chiarire che ci sono molte persone con cui mi piace parlare. Non voglio che sembri una sorta di monopolio. Non lo è. Lo dico sinceramente.

Sai, il nostro lavoro pratico si svolge in un modo particolare. Ho visitato quasi tutti i paesi finora, eppure ne ho visto molto poco. Il programma è questo: aeroporto, aereo, sala conferenze, aeroporto, aereo, il Cremlino. Poi, il Cremlino, un altro volo, un altro viaggio e ritorno a casa. Onestamente, non vedo quasi nulla, ma c’è sempre qualcuno con cui parlare e scambiare opinioni.

Il problema è che gran parte di essa è regolata dal protocollo. Quel protocollo rigido spesso prosciuga l’essenza dell’interazione. Raramente si presentano momenti in cui ci si può semplicemente sedere con un collega e avere una conversazione genuina e umana. È un evento raro .

Questo succede, però, con il primo ministro Modi o il presidente Xi Jinping. Quando il presidente Xi è venuto a San Pietroburgo, abbiamo fatto un giro in barca insieme dal punto A al punto B. Mentre superavamo l’incrociatore Avrora, ha detto: “Oh, quello è l’Avrora?” Ho risposto: “Sì. Vuole fermarsi a vederla ?” Lui ha risposto: “Sì”. Onestamente, ci siamo fermati. Per il leader della Cina, il capo del Partito Comunista, era importante vedere l’incrociatore Avrora. Dopo di che, siamo andati all’Hermitage per goderci uno spettacolo dei nostri artisti e abbiamo continuato a parlare per tutto il tempo. È stata una comunicazione umana genuina. Ma questo non accade spesso. Di solito, si tratta di arrivare in un luogo, parlare, fare i bagagli e tornare a casa.

Eppure, ci sono molte persone profonde e interessanti. Per vari motivi, spesso sfortunati, queste persone non sempre riescono ad arrivare al vertice. Coloro che ci riescono di solito hanno attraversato vere lotte e difficoltà.

Presto mi recherò in Tagikistan per una riunione della CSI e per incontrare il presidente Rahmon. Ci sono molte persone profonde e interessanti in tutto lo spazio post-sovietico.

Per fare un esempio, dopo che gli islamisti radicali hanno preso il potere, il presidente Rahmon è entrato nella capitale, Dushanbe, portando con sé un fucile. Immaginate un po’. E oggi, è riuscito a migliorare la situazione nel suo paese, che è, molto probabilmente, complessa.

Il mio punto è che conversare con persone del genere è sempre un’esperienza interessante e preziosa. E spero vivamente che la comunità di persone capaci di un dialogo significativo continui ad espandersi e che queste persone trovino il modo di raggiungere un’intesa sulle questioni globali fondamentali. L’élite intellettuale che vediamo riunita qui oggi ci aiuterà a raggiungere questo obiettivo.

Grazie mille a tutti.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Pubblicato originariamente su en.kremlin.ru

Trump II, Polonia e sicurezza europea: Varsavia vuole più uova in più cestini_di Piotr Sledz

Trump II, Polonia e sicurezza europea: Varsavia vuole più uova in più cestini

11 novembre 2025

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La Polonia si vanta di destinare il 4,7% del proprio PIL alla difesa nel 2024, con l’intenzione di raggiungere il 5% quest’anno, il che rappresenta lo sforzo più significativo tra i membri della NATO. Oltre all’aumento delle capacità militari, la logica sottesa è un duplice messaggio rivolto agli Stati Uniti: il rispetto assiduo degli impegni nell’ambito dell’alleanza e il rafforzamento dei legami bilaterali nel campo della sicurezza e della difesa (principalmente attraverso l’acquisto di materiale americano).

CCiò dimostra non solo una certa accettazione da parte della Polonia della politica estera transazionale di Trump (in qualità di «cliente»), ma soprattutto una percezione infallibile degli Stati Uniti come fornitore centrale di sicurezza per l’Europa, nonostante le attuali turbolenze politiche. Da questo punto di vista, le possibili soluzioni europee potrebbero rivelarsi un utile complemento o una soluzione di ripiego, ma non potrebbero sostituire (né tantomeno eguagliare) lo status quo incentrato sugli Stati Uniti.

Posizionamenti politiche interne

L’evoluzione delle relazioni transatlantiche sotto la presidenza Trump è stata al centro della campagna presidenziale polacca, con conseguenze significative. Le questioni relative alla sicurezza e alla difesa hanno occupato le prime pagine dei giornali (e persino i manifesti elettorali). La logica volta a massimizzare i guadagni elettorali ha influenzato l’elaborazione delle politiche. Tuttavia, tra i principali attori politici si possono individuare tre visioni principali della politica di sicurezza polacca. I partiti nazionali-conservatori (Diritto e Giustizia, Confederazione) e i loro candidati alla presidenza (Karol Nawrocki, Slawomir Mentzen), così come il presidente Andrzej Duda, rappresentano una posizione decisamente filoamericana, che tuttavia è dovuta più al loro fervente sostegno al programma di Donald Trump (i legami personali con la sua amministrazione ne sono una delle ragioni) che a un reale senso di appartenenza transatlantica. Numerose critiche da parte dei politici di destra polacchi nei confronti del governo, dell’UE o dell’Ucraina (in particolare la direzione di Volodymyr Zelensky) hanno preso di mira le loro posizioni contrarie alle priorità americane. D’altra parte, i partiti di sinistra (La Gauche, Ensemble) e i loro candidati alla presidenza (Magdalena Biejat, Adrian Zandberg) mettono in discussione le garanzie di sicurezza americane sotto Trump e sostengono la costruzione di cacapacità militari europee autonome (compreso l’esercito europeo).

I partiti della coalizione (ad eccezione di La Gauche) hanno adottato un approccio intermedio. Si tratta del discorso dei loro candidati alla presidenza – Rafal Trzaskowski, sindaco di Varsavia della Coalizione Civica, e Szymon Holownia, maresciallo della Dieta, rappresentante di Polonia 2050 e del Partito Popolare Polacco – ma anche della politica estera e di sicurezza condotta dal governo polacco. Questo approccio intermedio si basa su un equilibrio nelle relazioni transatlantiche (rafforzamento dell’ cooperazione europea, pur mantenendo il più possibile stretti rapporti con gli Stati Uniti, nell’ambito della NATO e a livello bilaterale) e su iniziative politiche, economiche e militari multisettoriali volte a rafforzare la sicurezza nazionale polacca in vari formati (bilaterali, minilaterali, multilaterali) con diversi partner.

UE e NATO

Il 23 aprile 2025, il ministro degli Affari esteri polacco Radoslaw Sikorski ha presentato al Parlamento la sua relazione annuale sui compiti di politica estera per il 2025. In esso ha analizzato il contesto di sicurezza polacco e ha illustrato in dettaglio le priorità politiche ad esso correlate (1). La guerra russa contro l’Ucraina e le sue implicazioni sono state considerate la principale minaccia alla sicurezza nazionale polacca. È quindi necessario fornire un sostegno politico, militare e finanziario continuo a Kiev in varie forme, nonché ritenere la Russia responsabile di questa brutale aggressione, sia durante la guerra (attraverso sanzioni) che dopo un eventuale cessate il fuoco (attraverso la condanna dei crimini internazionali e il risarcimento dell’Ucraina). Radoslaw Sikorski ha individuato quattro obiettivi principali per la politica estera polacca:

• rafforzare le capacità di difesa degli Stati europei e dell’UE come organizzazione, consentendole di assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza e quella dei paesi vicini (non solo in termini militari, ma anche in settori quali l’energia, l’alimentazione, l’informazione e la sicurezza dell’approvvigionamento per l’industria);

• mantenere l’unità e la cooperazione transatlantica, comprese strette relazioni con gli Stati Uniti (anche offrendo a Washington vantaggi in cambio del mantenimento della sua forte presenza in Polonia e in tutta Europa);

• proteggere l’ordine mondiale basato sulla Carta delle Nazioni Unite;

• mantenere un dialogo costruttivo con gli Stati del Sud del mondo, nel rispetto della loro soggettività e dei loro diversi interessi.

Non sorprende che abbia posto l’accento sui primi due obiettivi.

L’attuale presidenza polacca del Consiglio dell’UE è stata sicuramente uno dei principali motori di questa evoluzione, con il suo motto: «Sicurezza, Europa!». ”. Radoslaw Sikorski ha infatti presentato nel suo discorso la visione di un rafforzamento del contributo dell’UE alla sicurezza. Ha affermato che l’Europa sarà o unita, forte e in grado di affrontare le minacce alla sua sicurezza, o emarginata, difendendo chiaramente questa visione. È stata accolta con favore l’iniziativa della Commissione europea di investire fino a 800 miliardi di euro nella difesa, compreso il programma “Azione di sicurezza per l’Europa” (150 miliardi di euro sotto forma di prestiti a tasso agevolato). Questi fondi dovrebbero contribuire a migliorare le capacità industriali di difesa e le infrastrutture militari (in particolare il programma “Scudo orientale” volto a rafforzare i confini polacchi con la Bielorussia e la Russia). Va notato che la questione è stata sollevata più volte da Rafal Trzaskowski durante i suoi comizi elettorali, considerandola un’opportunità importante per l’economia polacca e la sicurezza nazionale. Radoslaw Sikorski ha anche suggerito che l’UE sviluppi la propria resilienza alle minacce non militari attraverso azioni quali la digitalizzazione delle istituzioni e dei processi critici, la lotta contro le minacce informatiche, terroristiche e ibride, l’approfondimento della cooperazione nella gestione delle crisi e lo sviluppo degli strumenti dell’UE per la comunicazione strategica e contro la disinformazione, anche per quanto riguarda i paesi vicini orientali.

È stata inoltre sottolineata la posizione della Polonia a favore di un rafforzamento della cooperazione UE-NATO e della complementarità dei contributi delle due organizzazioni in materia di sicurezza. Varsavia ritiene che lo sviluppo della politica di difesa dell’UE non debba essere in concorrenza, ma in linea con la NATO, contribuendo così ad aumentare il contributo europeo alla difesa collettiva. In questo contesto, Radoslaw Sikorski ha affermato che gli interessi dell’UE e degli Stati Uniti non sono identici, ma certamente convergenti. Ha aggiunto che la risposta dell’Europa ai dazi doganali imposti dagli Stati Uniti all’UE deve essere «intelligente e inequivocabile», il che implica proporzionalità e volontà di negoziare e rimuovere gli ostacoli. Sebbene la visione di un super-Stato federale europeo sia stata respinta, ha ribadito l’intenzione della Polonia di dotare l’UE di una politica e di capacità di difesa ben sviluppate, di un mercato unico europeo pienamente integrato, di una vera unione energetica e di un sistema più efficace di gestione delle frontiere esterne. La visione polacca dell’UE si basa su tre ipotesi:

• un’unione geopolitica (come attore strategico in grado di utilizzare il proprio potenziale economico per condurre una politica estera efficace e mobilitare le risorse necessarie per rafforzare il proprio potenziale di difesa) ; 

• un’unione di valori (che rispetta e tutela i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto) ; 

• un’unione per la crescita e la competitività (al fine di garantire uno sviluppo economico continuo e la competitività globale dell’UE, alleggerire gli oneri amministrativi per gli imprenditori e sostenere l’innovazione).

Radoslaw Sikorski ha sottolineato l’importanza dei formati di cooperazione minilaterale e regionale che coinvolgono gli Stati europei per rafforzare la loro sicurezza. In questo contesto, ha citato il Triangolo di Weimar, il Consiglio degli Stati del Mar Baltico e i forum ad hoc. Va notato che, in materia di cooperazione regionale, la Polonia ha chiaramente riorientato la propria attenzione dall’Europa centrale e orientale (in particolare nell’ambito del Gruppo di Visegrad, dei Nove di Bucarest o dell’Iniziativa dei Tre Mari, particolarmente apprezzata dal precedente governo di Diritto e Giustizia) verso il Baltico, privilegiando le iniziative bilaterali e multilaterali intraprese con gli Stati nordici e baltici. Da qui nasce la nuova idea del PNB (Polonia-Nordico-Baltico). Questo PNB comprende gli Stati degli otto paesi nordici o baltici che condividono la stessa percezione di sicurezza rispetto alla minaccia di un’aggressione militare russa, pur essendo esposti alla pressione di Mosca «al di sotto della soglia della guerra». Dal punto di vista polacco, come affermato da Radoslaw Sikorski, la sicurezza dei trasporti, dell’approvvigionamento energetico e delle infrastrutture critiche nel Mar Baltico è una delle priorità urgenti. Si tratta in particolare di contrastare la “flotta fantasma” russa e gli atti di sovversione attraverso un’adeguata sorveglianza e prevenzione. Per questo motivo, nel dicembre 2024, la Polonia è stata tra gli Stati che hanno invitato la NATO ad adottare le misure necessarie per la polizia navale del Baltico, il che ha portato al lancio dell’operazione «Baltic Sentry» volta a proteggere le infrastrutture critiche sottomarine. A livello bilaterale, i fenomeni citati possono essere illustrati dal partenariato strategico in materia di sicurezza tra Polonia e Svezia, basato su un accordo firmato nel novembre 2024, caratterizzato da azioni militari congiunte nell’ambito della NATO e da una cooperazione in materia di armamenti (produzione su licenza di navi da ricognizione radioelettronica di classe Dolphin o trasferimenti di lanci – rocket anticarro Carl Gustaf M4, di uno strumento di addestramento alla guerra antisommergibile AUV 62-AT e di due aerei di allerta precoce Saab 340).

Il bilaterale

La Polonia desidera inoltre rafforzare la sicurezza europea attraverso iniziative bilaterali con i principali attori del continente: Francia, Germania e Regno Unito. Tra questi, la Francia merita un’attenzione particolare in seguito alla firma, il 9 maggio 2025 a Nancy, di un nuovo trattato di cooperazione e amicizia rafforzata, che include in particolare una clausola di assistenza reciproca. Questo trattato approfondisce la cooperazione bilaterale in materia di sicurezza e difesa in settori quali l’interoperabilità delle forze armate, le capacità e le tecnologie industriali di difesa (in particolare attraverso la ricerca e lo sviluppo), il sostegno reciproco alla complementarità UE - NATO (attraverso la partecipazione attiva alle iniziative di difesa dell’UE e agli sforzi di deterrenza e difesa collettiva della NATO), nonché la lotta comune contro i problemi di sicurezza non militari (in particolare le minacce ibride, il terrorismo, la disinformazione o l’immigrazione clandestina). Mentre la coalizione al potere ha accolto con favore il trattato come un prezioso contributo al rafforzamento del pilastro europeo della NATO (3), il leader dell’opposizione Jaroslaw Kaczyński lo ha criticato definendolo inaffidabile a causa della relativa asimmetria tra le potenze militari francese e russa e di un’esperienza storica scoraggiante (mancanza di sostegno militare alla Polonia attaccata nel settembre 1939 nonostante il patto di difesa franco-polacco in vigore) (4). Un trattato analogo dovrebbe essere firmato prossimamente con il Regno Unito.

L’iniziativa del presidente Macron di «aprire il dibattito strategico» su un possibile contributo francese alla protezione degli alleati europei grazie alle sue capacità di deterrenza nucleare, che costituiva la sua prima presa di posizione, ha suscitato un certo attendismo. Il primo ministro Tusk è rimasto cauto sulla questione, che, come ha affermato, è stata «attentamente analizzata» nei suoi dettagli (in particolare per quanto riguarda la questione del comando e del controllo)(5). Il presidente Duda ha accolto favorevolmente il suggerimento francese, ma auspica che sia conforme, e non in contraddizione, con la condivisione nucleare della NATO (6). Una spiegazione più dettagliata di questa ambiguità riguarda alcuni limiti dello scenario previsto, come le capacità inferiori (rispetto agli arsenali nucleari statunitensi e russi) di dispiegare eventualmente testate sul territorio dei paesi alleati (cosa che comunque non è stata ancora dichiarata come previsto dalla Francia) e di contrastare efficacemente un attacco nucleare russo. Sono stati inoltre sottolineati la natura della posizione nucleare francese e l’assenza di un progetto annunciato di rafforzamento nucleare da parte di Parigi (ad oggi) (7). Tra le premesse figurano la relativa fattibilità di questa opzione in caso di ritiro americano e un aumento del rischio di escalation per la Russia dopo un eventuale uso di armi nucleari in un conflitto (8).

Sebbene Radoslaw Sikorski non abbia affrontato direttamente la questione della cooperazione bilaterale polacco-americana in materia di sicurezza nel suo discorso (probabilmente per ragioni di politica interna), tale cooperazione rimane molto stretta, anche sotto Trump. La Polonia sembra condividere il punto di vista americano sulla necessità di aumentare le spese militari degli Stati membri della NATO, non solo sottolineandone l’importanza e i vantaggi strategici che ciò può comportare, ma anche, dopotutto, dando l’esempio. In questo contesto, va sottolineato che una parte significativa degli investimenti polacchi nel settore della difesa è stata destinata all’acquisto di prodotti americani. L’elenco di questi prodotti è piuttosto lungo e comprende, tra l’altro, caccia F-35, carri armati M-1A1/M-1A2 Abrams, sistemi di razzi di artiglieria HIMARS, droni MQ-9 Reaper o missili di vario tipo (come JASSM-ER, Hellfire e AMRAAM).

Nel 2025, sotto Trump, la Polonia ha firmato con aziende americane nuovi contratti per il noleggio di elicotteri d’attacco Apache AH-64D, il supporto logistico del sistema missilistico antibalistico Patriot, missili AARGM-ER e altri AMRAAM, nonché macchinari edili specifici per il programma “Scudo orientale”. L’entità dell’investimento mira chiaramente a rafforzare i legami tra la Polonia e gli Stati Uniti su base puramente economica, indipendentemente dalle possibili fluttuazioni al potere. Ma anche la dimensione politica è molto importante, e la Polonia ha inviato, in modo molto controverso, un segnale di questo tipo all’amministrazione Trump, in particolare dichiarando (chiaramente sotto la pressione americana) che Benjamin Netanyahu era stato autorizzato a partecipare all’anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau dal presidente Duda e dal primo ministro Tusk (il che costituiva un atto bipartisan del tutto eccezionale secondo gli standard della politica interna polacca), in spregio al mandato di arresto della CPI nei suoi confronti (il primo ministro israeliano alla fine non è venuto in Polonia).

La posizione della popolazione

I sondaggisti confermano la legittimità di una politica estera e di sicurezza equilibrata presso l’opinione pubblica polacca. In primo luogo, i polacchi intervistati esprimono alcune preoccupazioni sul futuro delle relazioni polacco-americane nell’era Trump. Queste relazioni sono state giudicate molto meno positive rispetto a solo due anni fa. (calo dall’80 al 31% delle valutazioni positive, il 52% le ha dichiarate «né buone né cattive»), mentre il 60% degli intervistati era preoccupato per la presidenza Trump (9). Tuttavia, in un altro sondaggio d’opinione, il 62% degli intervistati era d’accordo con l’affermazione secondo cui “la Polonia può resistere a un eventuale aggressore solo con il sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa “, mentre gli Stati Uniti erano considerati lo Stato militarmente più potente (con l’85% delle indicazioni, contro il 48% del Regno Unito, il 43% della Francia e il 36% della Germania)(10).

I polacchi che hanno partecipato allo studio (secondo un sondaggio More in Common) hanno dichiarato che l’UE (67%), il Regno Unito (64%), la Francia (57%), gli Stati Uniti (55%) ; anche se il 58% era d’accordo – completamente o in parte – con l’affermazione “Da quando Donald Trump è diventato presidente, gli Stati Uniti sono diventati un alleato meno affidabile “) e la Germania (50%) come alleati della Polonia (11). Inoltre, il 66% degli intervistati sostiene la necessità di continuare a sostenere l’Ucraina contro l’aggressione russa, anche se gli Stati Uniti dovessero annullare i loro aiuti. Per quanto riguarda le visioni preferite in materia di politica di sicurezza, il 45% dei polacchi intervistati sostiene un equilibrio nella cooperazione con gli Stati Uniti e l’Europa, il 28% raccomanda di dare priorità agli alleati europei e solo il 16% desidera un ruolo centrale degli Stati Uniti (12). I sondaggi citati indicano chiaramente che l’incertezza portata da Donald Trump nelle relazioni transatlantiche è percepita dall’opinione pubblica come una sfida alla sicurezza in sé e che una forte dipendenza dalle garanzie di sicurezza americane per la Polonia è potenzialmente rischiosa.

Dal 2022 (o addirittura dal 2014), il forte senso di minaccia russa rimane al centro di tutte le riflessioni sulla politica estera e di sicurezza polacca. L’evoluzione della guerra in Ucraina, così come l’approccio americano, non solo nei confronti di questo conflitto, ma anche delle relazioni con i partner eeuropei e la Russia sotto Trump saranno sicuramente fattori determinanti per la politica polacca, indipendentemente dalle fluttuazioni politiche interne. Queste due circostanze sono tuttavia difficilmente prevedibili e i numerosi sforzi compiuti dalla Polonia – notIl rafforzamento delle proprie capacità di difesa e il consolidamento delle relazioni con i partner stranieri in varie forme mirano a rafforzare la sua reattività di fronte a qualsiasi possibile evoluzione, nella speranza che la realtà non si riveli mai.

Note

(1) « Informazioni del Ministro degli Affari Esteri sui compiti della politica estera polacca nel 2025 », Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Polonia, 23 aprile 2025 (https://​www​.gov​.pl/​w​e​b​/​d​i​p​l​o​m​a​c​y​/ ​i​n​f​o​r​m​a​z​i​o​n​e​-​d​el​-​m​i​n​i​s​t​e​r​o​-​d​e​l​-​p​e​r​s​o​n​a​-​r​i​n​c​h​i​a​s​c​i​f​i​c​a​-​d​e​l​-​p​e​r​s​o​n​a​-​r​i​n​c​h​i​a​s​c​i​f​i​c​a​-​d​e​l​-​p​e​r​s​o​n​a​-​r​i​n​c​h​i​a​s​c​i​f​i​c​a​-​d​e​l​-​p​e​r​s​o​n​a​-​r​i​n​c​h​i​a​s​c​i​f​i​c​a​-​d​e​l​-​p​e​r​s​o​n​a​-​ -​p​o​l​i​s​h​-​f​o​r​e​i​g​n​-​p​o​l​i​c​y​-​t​a​s​k​s​-​i​n​-​2​025).

(2) « Traité pour une coopération et une amitié renforcées entre la République de Pologne et la République française », Chancellerie du Premier ministre de Pologne, 9 mai 2025 (https://www.gov.pl/web/premier/przelomowy -traktaat-polsk-francuski-podpisany-w-nancy).

(3) « Istotą traktatu z Francją będą wzajemne gwarancje bezpieczeństwa – premier », Polska Agencja Prasowa, 9 mai 2025 (https://biznes.pap.pl/wiadomości/gospodarka/ ​i​s​t​o​t​a​-​t​r​a​k​t​a​t​u​-​z​-​f​r​a​n​c​j​a​-​b​e​d​a​-​w​z​a​j​e​m​n​e​ -​g​w​a​r​a​n​c​e​-​b​e​z​p​i​e​c​z​e​n​s​t​w​a​-​p​r​e​m​i​e​r​-​o​pis).

(4) « Kaczyński: Siły nuklearne Francji i Wielkiej Brytanii, w porównaniu z rosyjskimi, są słabiutkie », Dziennik Gazeta Prawna (Quotidiano Gazzetta Giuridica), 11 mai 2025 (https://www.gazetaprawna.pl/wiadomości/kraj/artykuły/9796096, kaczyński-silne-nukleare-francia-e-grande -​b​r​y​t​a​n​i​i​-​w​-​p​o​r​o​w​n​a​n​i​u​-​z​-​r​o​s​y​j​s​k​i​m​i​-​s​a​-​s​l​a​b​i​u​t​k​i​e​. ​h​tml).

(5) J. Matoga, « Premier Tusk o polskim odstraszaniu nuklearnym: Będziemy badali możliwości », RMF24, 7 mars 2025 (https://www.rmf24.pl/fakty/polska/news-premier-tusk-o-polskim -odstraszanionuuklearnymbezpieczeństwem-bada,nId,7926970).

(6) W. Kozioł, « Prezydent RP otwarty na francuską tarczę nuklearną », Difesa24, 19 avril 2025 (https://defence24.pl/polityka-obronna/prezydent-rp -​o​t​w​a​r​t​y​-​n​a​-​f​r​a​n​c​u​s​k​a​-​t​a​r​c​z​e​-​n​u​k​l​e​a​rna).

(7) A. Kacprzyk, « La Francia invita gli alleati a un debate sull’estensione della sua deterrenza nucleare», Istituto polacco di affari internazionali, 7 marzo 2025 (https://​pism​.pl/​p​u​b​l​i​c​a​t​i​o​n​s​/ ​f​r​a​n​c​e​-​i​n​v​i​t​e​s​-​a​l​l​i​e​s​-​t​o​ -​a​-​d​e​b​a​t​e​-​o​n​-​e​x​t​e​n​d​i​n​g​-​i​t​s​-​n​u​c​l​e​a​r​-​d​e​t​e​r​r​ent).

(8) Ibid.

(9) « Aktualne problemy i wydarzenia (420) », 3-13 avril 2025, CBOS.

(10) R. Kalukin et M. Duma, « Kampania w cieniu Trumpa », Polityka 2025, no 11 (3506).

(11) « Wojna w Ukrainie, Donald Trump i bezpieczeństwo », More in Common, 3-5 mars 2025 (https://www.moreincommon.pl/nasze-projekty/ wojna-w-ukrainie-donald-trump-i-bezpieczenstwo).

(12)Ibid.

Didascalia della foto in prima pagina: decollo di un F-35 polacco. La prima classe di piloti qualificati su questo velivolo ha recentemente conseguito il diploma.(© US Air Force)

Il falso attentato polacco “Sabotage” alimenta ulteriori minacce contro la Russia mentre le forze armate ucraine subiscono una sconfitta schiacciante a Seversk_di Simplicius

Il falso attentato polacco “Sabotage” alimenta ulteriori minacce contro la Russia mentre le forze armate ucraine subiscono una sconfitta schiacciante a Seversk

Simplicius Nov 19
 
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Una linea ferroviaria è stata “sabotata” in Polonia lungo la tratta Varsavia-Lublin, dando luogo a un’altra operazione psicologica volta a provocare il panico di massa e ad alimentare ulteriormente le fiamme della guerra:

In Polonia, un tratto della linea ferroviaria nel villaggio di Mika è stato fatto saltare in aria.

Il primo ministro polacco Donald Tusk ha definito l’incidente sulla linea ferroviaria Varsavia-Lublin un atto di sabotaggio. Questa tratta è estremamente importante anche per il trasporto di merci militari verso l’Ucraina.

L’incredibile campagna propagandistica è partita con accuse immediate contro la Russia come responsabile dell’attacco. Ma ancora più incredibile è il fatto che lo stesso Tusk abbia riferito che ora è certo che dietro l’attacco ci fossero due uomini ucraini, eppure, incredibilmente, questo è in qualche modo ancora legato alla Russia e venduto a quella che i leader polacchi e dell’UE devono chiaramente ritenere una popolazione stupida e priva di qualsiasi capacità di ragionamento indipendente.

Questa propaganda scandalosamente di bassa lega sarebbe ancora più scioccante se non fossimo già stati sottoposti a qualcosa di peggiore con Nord Stream 2, in cui anche gli ucraini erano stati accusati dell’attacco, ma era stato comunque intessuto un labirinto di contorsioni mentali per incolpare la Russia.

I polacchi nativi su Internet non se la bevono:

Il vice primo ministro polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz ha prolungato la ridicola operazione psicologica:

“Solo quando i criminali saranno catturati avremo la certezza assoluta, ma analizzando tutti gli eventi che stanno accadendo in Polonia e in Europa, tutte le tracce conducono a est, verso la Russia. Questo fa parte della guerra che stanno conducendo contro la NATO, contro l’Europa, contro di noi — una guerra ibrida, una guerra volta a seminare disordine e paura. È una strategia per indebolire l’Occidente”, ha affermato Kosiniak-Kamysz.

Questa propaganda sconcertante è diventata di moda negli ultimi tempi tra gli sfortunati burocrati europei: praticamente tutte le azioni malvagie dell’Occidente vengono attribuite senza pietà alla Russia; un esempio recente:

Immaginate quanto debba essere propagandata la popolazione di un paese per poter abboccare a questa esca: che sia la Russia a minacciare la Groenlandia piuttosto che Trump, il quale ha letteralmente accennato all’uso della forza militare per conquistare il territorio?

Ma ce lo hanno spiegato chiaramente diverse volte, anche di recente:

https://www.politnavigator. https://www.politnavigator.net/nuzhen-terakt-masshtaba-11-sentyabrya-ehks-prezident-estonii-pridumal-kak-natravit-es-na-rossiyu.html

Il titolo sopra riportato è un po’ sensazionalistico: l’ex presidente estone Toomas Hendrik Ilves non ha detto esattamente che abbiamo bisogno attacco terroristico al Forum sulla sicurezza di Varsavia in ottobre, ma lo ha piuttosto sottinteso affermando che l’Europa non si sarebbe resa conto della minaccia russa fino a quando non si fosse verificato un attacco di portata pari a quello dell’11 settembre.

“Dobbiamo lavorare sulla no-fly zone che è stata dichiarata sull’Ucraina dal 25 febbraio. Possiamo farlo. Solo un paio di mesi fa, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno fornito supporto aereo a Israele. Possiamo fare lo stesso per l’Ucraina. Per questo, abbiamo solo bisogno di aerei che abbattano gli aerei russi che bombardano le città ucraine”, ha detto Ilves.

“Per me, quello che sta succedendo in Ucraina è una guerra. Non hanno invaso il nostro territorio, ma stanno bruciando il più grande centro commerciale d’Europa. Ammettiamo già che siamo sotto attacco.

I politici europei saranno in grado di ammettere onestamente ciò che stiamo affrontando solo dopo che si verificherà qualcosa di simile agli attacchi dell’11 settembre. Dopo di che, i politici europei non potranno più dire che non vogliono fare nulla”, ha affermato il politico estone.

Le intenzioni dietro la sua retorica incendiaria erano tuttavia chiare. E questo vettore viene sempre più promosso in tutta l’UE:

Smettiamo di avere paura della Russia, dobbiamo intensificare la nostra azione! – Il ministro degli Esteri lituano Kestutis Budrys

Ora, come da copione, i tamburi di guerra suonano di nuovo più forte, con il capo di Stato Maggiore polacco che annuncia che la Russia, pronta ad espandere la guerra, sta già preparando un importante “attacco” alla Polonia:

“Sembra che si stia preparando un attacco alla Polonia, la Russia ha già iniziato i preparativi per la guerra.”
— Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Polacche Kukula

Per inciso, l’SVR russo ha recentemente pubblicato questa valutazione:

Il Servizio di intelligence estero russo rilascia una dichiarazione:

— Le truppe d’assalto della Legione straniera francese sono di stanza nelle zone di confine della Polonia e si prevede che saranno trasferite nelle regioni centrali dell’Ucraina.

— Se le informazioni dovessero trapelare, la Francia sosterrà che riguardano un piccolo gruppo di istruttori giunti in Ucraina per addestrare i militari ucraini mobilitati.

— In Francia si stanno creando centinaia di posti letto ospedalieri supplementari a ritmo accelerato per accogliere i feriti.

Anche Stanislaw Zaryn, consigliere del presidente polacco e “capo del Dipartimento di Sicurezza Nazionale”, ha espresso la sua opinione, includendo in modo caricaturale foto generate dall’intelligenza artificiale di Putin in posa da guerriero accanto alla ferrovia sabotata, per infiammare ulteriormente i suoi elettori già influenzati dalla propaganda:

Ancora una volta, gli ucraini sono stati colti in flagrante, ma la colpa è dell’IA di Putin. L’intento dietro questa propaganda infantile è più che evidente.

Ma ciò non rallenta la marcia europea verso la guerra, perché i leader dell’UE, comprati e pagati, non hanno la sovranità necessaria per prendere decisioni indipendenti: tutto dipende dalle direttive di Bruxelles.

Il Financial Times riferisce ora che la NATO sta cercando urgentemente di ridurre il tempo necessario per dispiegare le proprie truppe al confine con la Russia in tempo di guerra, da 45 giorni a un massimo di 3-5:

https://archive.ph/IyhJv

I paesi europei vogliono ridurre da 45 a 3 giorni il tempo necessario alle truppe della NATO per spostarsi da ovest a est, riferisce il Financial Times citando funzionari dell’UE.

Ci sono diversi problemi: ponti, strade e burocrazia che ostacolano la loro rapida ristrutturazione e ricostruzione.

Gli europei hanno pianificato riparazioni urgenti su quasi 3.000 infrastrutture di trasporto.

Ma naturalmente l’articolo si concentra sulle citazioni dello stesso vecchio circo logoro di buffoni militari da quattro soldi come Ben Hodges, le cui opinioni sono essenzialmente prive di valore.

In realtà, l’UE continua a sgretolarsi mentre fantastica di eliminare la Russia come se fosse la causa di tutti i suoi mali.

E chi ne è la causa, ci si chiede?

E mentre il sogno dell’Europa va in frantumi come una tenda tarlata, Zelensky viene spinto sempre più vicino al bordo del water proprio dal sistema corrotto che lo aveva elevato al ruolo temporaneo di burattino preferito:

Le ultime notizie ci informano che non solo Yermak è ora sul patibolo e, secondo quanto riferito, sarà presto rimosso, ma che il ministro della Difesa Umerov è fuggito dall’Ucraina dopo una visita programmata in Turchia. Se fosse vero, allora le cose starebbero davvero iniziando a svelarsi; Witkoff avrebbe presumibilmente annullato un incontro programmato con Yermak a causa di queste voci.

Da MP Goncharenko:

A peggiorare le cose, il fronte ha appena subito un altro crollo improvviso, questa volta nella roccaforte di Seversk, da tempo contesa. Si trattava di una delle roccaforti più affidabili dall’inizio della guerra, un’area in cui le forze ucraine avevano ripetutamente respinto le avanzate russe in un continuo alternarsi di vittorie e sconfitte.

Ora, le forze russe hanno improvvisamente sfondato il centro della città, la cui conquista sembra ormai imminente.

Il corrispondente di guerra russo Yuriy Kotenok:

«L’assalto decisivo a Seversk è significativo. Il nemico aveva preparato per anni la difesa della città, situata in una pianura. E quando le nostre forze hanno raggiunto la periferia meridionale, le forze armate ucraine avrebbero dovuto prepararsi. Ma è già una questione di motivazione. I nostri gruppi d’assalto non possono più essere fermati: hanno raggiunto i grattacieli. Inizieranno a aggirare la ferrovia, e allora il nemico avrà poche opzioni: morire sotto le macerie degli edifici o fuggire dai grattacieli. A giudicare dalle dinamiche a Pokrovsk (Krasnoarmeysk), la maggior parte sceglierà la seconda opzione.

C’è ancora una flebile speranza tra i comandanti banderisti di cercare di mantenere la linea lungo il fiume Bakhmutka facendo affidamento sulle alture a ovest della città. Ma le nostre forze stanno sfondando queste alture dal lato di Platonovka.

Un’ulteriore avanzata delle forze armate russe verso Kaleniki e Reznikovka è molto pericolosa per il nemico. In tal caso, le forze armate ucraine dovranno difendere Rai-Aleksandrovka e Nikolaevka e isolare Sloviansk. Inoltre, le nostre forze possono raggiungere Vasyukovka dalle retrovie attraverso le alture. Di fatto, questo potrebbe essere un avvicinamento al canale e l’inizio delle battaglie per Sloviansk…

Inoltre, le nostre forze sono già a 5 km da Sviatohirsk e stanno attaccando Dibrova, ovvero circondando Krasnyi Lyman sui fianchi. La guarnigione di Krasnyi Lyman potrebbe essere tagliata fuori dai rifornimenti via terra… Data la carenza di riserve, sorge la domanda: chi useranno le forze armate ucraine per difendere almeno il perimetro di una città abbastanza grande come Sloviansk?

Le riserve principali e più pronte al combattimento delle Forze Armate dell’Ucraina sono state logorate nei pressi di Dobropillia, Krasnoarmeysk e Kupiansk. La nostra avanzata verso Zaporizhzhia e Pavlohrad è ora sostanzialmente senza opposizione. La caduta di Seversk e l’accerchiamento di Krasnyi Lyman sono imminenti… All’inizio del 19 novembre 2025, circa un terzo di Seversk è stato restituito alla Russia. L’operazione è in pieno svolgimento.

Il signore della droga si è dato da fare in tempo e sta nuovamente conducendo trattative. La creatura verde percepisce la sua fine?

“Non ho intenzione di ‘bombardare con cappelli’ nessuno. C’è ancora molta strada da fare. Ma è ovvio che il nemico sta affrontando problemi sistemici.”

Qui un soldato russo descrive come Danilovka sia stata conquistata in direzione di Gulyaipole: come abbiamo già scritto in precedenza, i soldati si sono infiltrati a coppie durante la nebbia:

“È stato difficile raggiungerlo, molto difficile, ma il tempo ci ha permesso di infiltrarci in piccoli gruppi, a coppie”. Le truppe d’assalto del gruppo Vostok descrivono come hanno conquistato Danilovka.

Un rapporto russo descrive i disperati contrattacchi dell’Ucraina nella direzione di Pokrovsk, con l’intenzione di rompere l’accerchiamento:

Krasnoarmeysk • Rodinskoye

Per il secondo giorno consecutivo, si sono verificati continui attacchi alle nostre posizioni avanzate sul fianco settentrionale della città, con tentativi di avanzare verso l’insediamento di Rodinskoye.

Le forze armate ucraine hanno perso quasi un battaglione di personale e attrezzature in due giorni. Stanno mandando soldati inesperti al massacro. Anche le attrezzature sono tutt’altro che nuove, sono logore.

Nel frattempo, il gruppo ucraino intrappolato nel calderone di Pokrovsk sta cominciando a morire di fame e per mancanza di assistenza medica. Alcuni stanno fuggendo. Altri preferiscono addormentarsi e non svegliarsi più.

Nel frattempo, i Fab-3000 russi stanno visitando le postazioni ucraine rintanate nei condomini di Mirnograd:

Direzione Mirnograd: la città è attualmente sotto pressione costante, il nemico non risparmia bombe FAB pesanti e le lancia sui quartieri, aprendo corridoi tra le zone residenziali. Alla periferia ci sono già case conquistate, e da lì cercano di spingersi ulteriormente verso i quartieri di Molodizhny e Skhidny: vogliono tagliare la città e addentrarsi più a fondo, come in un labirinto di cemento.

Il punto più caldo in questo momento è il fianco sud. Lì, la zona grigia ha quasi consumato l’intero distretto: i movimenti del nemico sono costanti, avanzano in piccoli gruppi, cambiando percorso per interrompere il ritmo della nostra difesa. Ma lì muoiono anche in massa perché non sono riusciti a stabilirsi saldamente: si precipitano, vengono colpiti duramente, si ritirano e riprovano.

La lotta per la città è feroce, il contatto ravvicinato e il caos tra i grattacieli sono il loro stile: nascondersi, attraversare di corsa, cogliere l’attimo. Tuttavia, i nostri cosacchi mantengono il quartiere sotto costante controllo. La ricognizione non dorme mai: ripulisce i cortili, segna i movimenti e li colpisce immediatamente con precisione con i droni. Dove i cinghiali pensavano di poter sgattaiolare silenziosamente, arriva un duro colpo con la precisione di un orologio.

Alcune ultime cose:

Il deputato ucraino Roman Kostenko ha una previsione pessimistica sull’aumento dei casi di assenze ingiustificate in Ucraina:

«Presto il numero dei soldati che hanno disertato sarà pari a quello dei soldati che combattono» — Roman Kostenko, deputato ucraino

«L’80% sta attualmente fuggendo dai centri di addestramento e il Paese non sta facendo nulla per riportarli indietro o creare le condizioni affinché abbiano paura di fuggire e adempiano al loro dovere».

Un altro soldato ucraino ritiene che gli uomini ucraini dovrebbero essere marcati come bestiame per impedire loro di sfuggire alle squadre di mobilitazione:

Che idea!

I soldati dell’AFU vestiti da civili stanno cercando di fuggire da Pokrovsk e vengono ora regolarmente catturati dalle pattuglie russe:

Un video impressionante delle bombe plananti russe UMPK in rotta verso una posizione dell’AFU, ripreso da un drone di sorveglianza russo che si trovava proprio sulla traiettoria di volo della bomba:

Il FAB-500T con UMPK-PD vola vicino a un UAV da ricognizione.

Una suggestiva immagine da Kherson mostra come appaiono in autunno le ormai onnipresenti reti delle vie di rifornimento:


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L’incidente del sabotaggio ferroviario in Polonia è altamente sospetto_di Andrew Korybko

L’incidente del sabotaggio ferroviario in Polonia è altamente sospetto

Andrew Korybko18 novembre
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Potrebbe trattarsi di un attacco sotto falsa bandiera per indebolire la parziale de-escalation delle tensioni tra Polonia e Bielorussia e provocare un peggioramento di quelle tra Russia e Stati Uniti. L’attacco arriva inoltre sei settimane dopo che le spie russe avevano lanciato l’allarme su un “attacco simulato (sotto falsa bandiera) congiunto polacco-ucraino contro infrastrutture critiche in Polonia”.

Gli investigatori polacchi affermano che una ferrovia che collega Varsavia a Lublino è stata danneggiata da quella che ritengono essere stata un’esplosione. Il Primo Ministro Donald Tusk ha scritto su X che “far saltare in aria i binari della tratta Varsavia-Lublino è un atto di sabotaggio senza precedenti che colpisce direttamente la sicurezza dello Stato polacco e dei suoi civili. Questa tratta è anche di fondamentale importanza per la consegna degli aiuti all’Ucraina. Prenderemo i responsabili, chiunque essi siano”. Il contesto che circonda questo incidente è molto rilevante.

Quel giorno, la Polonia aveva appena riaperto due valichi di frontiera con la Bielorussia, chiusi a settembre in risposta alle esercitazioni Zapad 2025 tra Russia e Bielorussia di quel mese. Lo stesso giorno, il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate polacche, Wiesław Kukula, ha dichiarato che “(la Russia) ha iniziato la fase di preparazione alla guerra. Stanno costruendo un ambiente che crei le condizioni favorevoli a una potenziale aggressione sul territorio polacco”. Questo ha fatto seguito ai commenti di Tusk della scorsa settimana:

“Non voglio entrare nei dettagli, ma non ho dubbi che i recenti attacchi a diversi sistemi digitali, non solo al [sistema di pagamento elettronico] BLIK, siano il risultato di un sabotaggio deliberato e pianificato. E ce ne saranno sempre di più, in tutta Europa. Perché la guerra che Putin sta conducendo contro l’Occidente si sta svolgendo anche all’interno delle nostre società. Putin ha strumenti che possono distruggere l’Unione Europea come organizzazione, ma anche l’Europa come fenomeno culturale. Questi strumenti sono le quinte colonne della Russia, presenti in ogni paese d’Europa”.

Tutto questo è accaduto circa due mesi dopo che i droni finti russi erano entrati nello spazio aereo polacco, molto probabilmente a causa di un disturbo della NATO . La NATO ha quindi cercato di abbatterli, ma un missile vagante ha danneggiato un’abitazione locale. Il governo di Tusk ha mentito, tuttavia, affermando che la colpa fosse di un drone russo, e il suo rivale, il presidente Karol Nawrocki, ha scoperto la verità solo grazie a una fuga di notizie. I lettori possono saperne di più qui , ma il punto è che lo “stato profondo” polacco ha presumibilmente cercato di manipolare Nawrocki per spingerlo a dichiarare guerra alla Russia.

Gli eventi che hanno preceduto l’incidente del sabotaggio ferroviario in Polonia spiegano perché sia ​​altamente sospetto. Lo “stato profondo” polacco aveva già tentato senza successo di manipolare il Presidente per spingerlo a dichiarare guerra alla Russia e ci si aspettava quindi che ci provasse di nuovo a breve. Il suo rivale, il Primo Ministro, aveva poi diffuso il panico riguardo alle quinte colonne russe pronte a compiere atti di sabotaggio in tutto l’Occidente una settimana prima che qualcosa del genere apparentemente accadesse, coincidendo con la parziale distensione delle tensioni polacco-bielorusse .

Questo sviluppo favorisce gli interessi russi e potrebbe essere visto come un risultato marginale dei negoziati in corso con gli Stati Uniti, nonostante l’escalation delle sanzioni di Trump del mese scorso. Di conseguenza, non ha senso che la Russia rovini tutto con un piccolo atto di sabotaggio, che prevedibilmente rischia di ribaltare quanto detto sopra, per non parlare del rafforzamento della posizione recentemente avversaria di Trump, dando credito alle accuse dei guerrafondai sulla presunta perfidia di Putin. Gli unici a trarne vantaggio sono proprio questi stessi guerrafondai.

L’incidente del sabotaggio ferroviario in Polonia potrebbe quindi essere un falso allarme per il raggiungimento di questi due obiettivi, in particolare per l’aggravarsi delle tensioni tra Russia e Stati Uniti, che potrebbero verificarsi se il Congresso approvasse il disegno di legge di Lindsey Graham per imporre dazi punitivi ai partner commerciali della Russia, come appena approvato da Trump . Lo “Stato profondo” statunitense, le loro controparti polacche, il Regno Unito e l’Ucraina hanno tutti interesse in questo, e le spie russe hanno recentemente lanciato l’allarme su un “attacco simulato (false flag) congiunto polacco-ucraino alle infrastrutture critiche in Polonia”.

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Le indagini parlamentari dell’AfD non equivalgono a spionaggio per la Russia

Andrew KorybkoNov 18
 
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L’establishment al potere teme che la continua ascesa dell’AfD, nonostante tutte le precedenti diffamazioni, possa portare un giorno il partito a rompere il “firewall” per partecipare a una coalizione di governo, possibilmente con il sostegno dietro le quinte degli Stati Uniti, il che contestualizza il loro ultimo attacco esagerato contro di loro.

Il deputato dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU) Marc Heinrichmass, membro della commissione parlamentare di controllo sui servizi segreti, ha affermato durante un dibattito al Bundestag che l’AfD è “guidata dal Cremlino come un cagnolino al guinzaglio”. Ha anche aggiunto con sarcasmo che “come minimo, hanno tra le loro fila una cellula dormiente fedele alla Russia. Che fortuna per Vladimir Putin che l’AfD esista in Germania”. Il contesto era la sua opposizione alle indagini parlamentari del partito su questioni militari e infrastrutturali.

Alcune delle domande a cui l’AfD cercava risposta riguardavano le forniture di armi all’Ucraina, le centrali elettriche, la produzione di droni e le basi militari, ma il governo ha rifiutato di rispondere a dieci di esse con il pretesto della sicurezza nazionale. La CDU sta ora cercando di sfruttare quelle stesse domande per alimentare la diffamazione di lunga data secondo cui l’AfD, che è ora il partito più popolare in Germania, è un proxy russo. La realtà, tuttavia, è che si tratta di domande legittime che qualsiasi partito responsabile dovrebbe porre.

Il conflitto ucraino rappresenta la più grande esplosione di violenza nel continente dalla Seconda guerra mondiale, le stesse élite occidentali hanno avvertito che la Russia potrebbe tentare di attaccare o hackerare infrastrutture critiche, i droni sono il futuro della guerra e la Germania è al centro del nascente “Schengen militare“. Il fatto che la CDU, che guida la coalizione di governo tedesca, non condivida l’approccio dell’AfD al conflitto ucraino e alle relazioni con la Russia in generale non significa che siano burattini di Putin.

Infatti, il loro mancato approfondimento di questi argomenti potrebbe anche essere usato contro di loro per sostenere in modo molto più convincente che sono irresponsabili e non comprendono l’interesse nazionale, rendendoli così presumibilmente inadatti a guidare una coalizione di governo come sperano di fare un giorno. L’AfD si trova quindi in un dilemma perché qualunque cosa faccia o non faccia non piacerà mai all’establishment al potere, che la odia ferocemente e vuole tenerla lontana dal potere a tutti i costi.

A tal fine, hanno fatto di tutto, dal diffamarli come fantocci della Russia al sottintendere che siano conservatori senza scrupoli per aver presumibilmente preso in considerazione un’alleanza con la sinistra su sollecitazione di Mosca, ultima narrazione che hanno comunque contraddetto insistendo anche sul fatto che siano estremisti di destra (a17). Nel frattempo, la popolarità dell’AfD ha continuato a crescere nonostante il cosiddetto “firewall” che i partiti dell’establishment hanno costruito per tenerli fuori da qualsiasi futura coalizione di governo.

La suddetta tendenza politica riflette il dissenso espresso da un numero crescente di tedeschi. Essi sostengono un partito le cui possibilità di guidare il Paese rimangono scarse, poiché è improbabile che riesca mai a ottenere la maggioranza parlamentare, che l’establishment gli negherà prevedibilmente attraverso una ripetizione delle elezioni simile a quella rumena, azioni legali o, se necessario, misure ancora più severe, e un’ipotetica coalizione tra loro e l’opposizione di sinistra non sistemica rimane un sogno irrealizzabile. Probabilmente non reggerebbe comunque.

Sebbene il dissenso sopra menzionato non rappresenti quindi una minaccia imminente per l’establishment, dimostra comunque che l’élite sta perdendo il sostegno della popolazione in nome della quale governa ufficialmente. Questo a sua volta li ha spinti al panico, forse per il timore che l’AfD possa un giorno ottenere un sostegno sufficiente tra la popolazione da rompere il “firewall” (con l’aiuto dietro le quinte degli Stati Uniti?), il che contestualizza il loro ultimo attacco esagerato contro di loro.

Quanto è probabile che la Svizzera segua l’UE nel suo vassallaggio verso gli Stati Uniti?

Andrew Korybko17 novembre
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Gli Stati Uniti hanno già dimostrato, nei casi della Malesia e della Cambogia, di poter utilizzare con successo i dazi come arma per costringere gli Stati presi di mira a rispettare le sanzioni contro i paesi terzi.

All’inizio di novembre, la TASS ha sollevato la questione di un interessante articolo pubblicato dal quotidiano svizzero in lingua tedesca Tages-Anzeiger . Quest’ultimo riportava che gli Stati Uniti vogliono che la Svizzera rispetti tutte le sanzioni in cambio di una riduzione dei dazi doganali. L’articolo cita i recenti accordi degli Stati Uniti con Malesia e Cambogia (articolo 5.2.2 di entrambi) come modello. Secondo l’articolo, l’obiettivo principale di questo accordo è controllare gli investimenti cinesi in Svizzera e le esportazioni svizzere verso la Cina, ma potrebbe essere utilizzato anche contro la Russia.

Il Tages-Anzeiger ha sottolineato come le recenti pressioni statunitensi abbiano portato la Gunvor, con sede a Ginevra, ad abbandonare la sua offerta di acquisto delle attività estere di Lukoil, con l’obiettivo di prevenire shock di mercato, come spiegato qui , dopo le ultime sanzioni statunitensi contro la principale compagnia energetica russa. Sebbene il quotidiano abbia anche ricordato ai lettori che la legge svizzera obbliga il governo ad applicare solo le sanzioni ONU, potrebbe comunque adottare le restrizioni imposte da altri, caso per caso, e una nuova legge sullo screening degli investimenti potrebbe soddisfare le richieste degli Stati Uniti nei confronti della Cina.

Pertanto, a tutti gli effetti, sembra proprio che la Svizzera seguirà l’UE in un rapporto di vassallaggio con gli Stati Uniti, stipulando un accordo altrettanto sbilanciato di quello dell’Unione europea della scorsa estate. Chiunque sia sorpreso da questa valutazione dovrebbe ricordare che la Svizzera ha di fatto abbandonato la sua storica neutralità nel corso del conflitto ucraino in corso . Potrebbe sempre spingersi oltre, ma i limiti raggiunti finora sono sufficienti per giungere a questa conclusione.

Il capo della missione russa presso le Nazioni Unite a Ginevra ha scritto un articolo feroce al riguardo alla fine del 2023, seguito dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov che ha confermato “la perdita da parte della Svizzera della sua reputazione di mediatore neutrale affidabile” dopo un incontro con la sua controparte a New York lo scorso settembre. Questa conclusione è stata raggiunta dopo che la Svizzera ha votato contro la Russia sull’Ucraina alle Nazioni Unite invece di astenersi e ha anche adottato le sanzioni anti-russe dell’UE ( seppur applicate in modo incoerente ).

L’ipotetica adozione delle sanzioni statunitensi non cambierebbe quindi molto a questo punto nei confronti della Russia, ma rappresenterebbe comunque un’umiliante rinuncia alla sovranità residua della Svizzera. Potrebbe anche influire negativamente sulle sue relazioni con la Cina e altri paesi come i ricchi Regni del Golfo. Questi ultimi potrebbero essere spaventati da questa mossa e diversificare rapidamente i loro asset svizzeri, nel timore che le sanzioni statunitensi politicizzate contro di loro in futuro possano portare Berna a congelarli, proprio come ha già congelato quelli della Russia .

Le tendenze multipolari e di regionalizzazione stanno portando alla creazione di blocchi di civiltà dopo che gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia unipolare in declino sull’Occidente durante gli ultimi 3 anni e mezzo del conflitto ucraino. È difficile immaginare come la Svizzera, senza sbocchi sul mare e comunque non più veramente neutrale, abbia potuto resistere a questa pressione a tempo indeterminato dopo il crollo dell’UE. La Malesia è stata l’ultima a capitolare nel dispetto Di IL percezione che si tratti di un leader multipolare in ascesa, quindi la resa della Svizzera è praticamente assicurata .

La tendenza generale è che gli Stati Uniti hanno già dimostrato, nei casi della Malesia e della Cambogia, di poter usare con successo i dazi come arma per costringere gli stati presi di mira a rispettare le sanzioni contro paesi terzi. Questo approccio verrà probabilmente replicato con la Svizzera, ma incontrerà probabilmente la resistenza dell’India, con la quale gli Stati Uniti stanno negoziando un accordo commerciale e che vanta decenni di stretti legami con la Russia, esponendo così i propri limiti. Per il momento, tuttavia, si tratta di una politica molto efficace e gli stati più piccoli faranno fatica a resistere.

Momenti salienti dell’intervista di Lavrov che un importante quotidiano italiano si è rifiutato di pubblicare

Andrew Korybko15 novembre
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Lavrov ha effettivamente inserito alcune prevedibili polemiche nelle sue risposte, come è nel suo stile, come sa chiunque lo segua, ma queste non sono ragioni legittime per non pubblicare la sua intervista.

Il principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera, ha scandalosamente rifiutato di pubblicare integralmente l’ intervista esclusiva con Sergej Lavrov, offerta dal Ministero degli Esteri russo per chiarire le posizioni della Russia e con la quale era ansioso di collaborare fino a quando non avesse ricevuto le sue risposte. Il Ministero degli Esteri russo ha quindi condannato la decisione definendola “un palese caso di censura”. Di seguito sono riportati i punti salienti dell’intervista, affinché i lettori possano farsi un’opinione personale.

Lavrov ha iniziato raccontando come Trump avesse concordato con Putin ad Anchorage che l’Ucraina dovesse essere esclusa dalla NATO e che la nuova realtà sul campo dovesse essere riconosciuta. Ucraina, UE e Regno Unito hanno immediatamente cercato di manipolarlo durante il loro incontro alla Casa Bianca. Il Financial Times ha poi svolto un ruolo complementare dopo la successiva telefonata Trump-Putin a ottobre, ipotizzando che la successiva telefonata di Lavrov con Rubio avesse rovinato i loro piani per il vertice di Budapest. Putin è comunque ancora pronto a incontrare Trump lì.

Il punto successivo sollevato da Lavrov è stato che lo speciale L’operazione non riguarda il territorio, ma il salvataggio delle vite della minoranza russa e la garanzia della sicurezza del suo Paese. La moderazione che la Russia ha esercitato finora è volta a risparmiare vite civili e militari. Ha anche ribadito gli obiettivi della Russia nell’operazione speciale e ha difeso l’uso di una felpa con la scritta “URSS” sul davanti durante il vertice di Anchorage, il che, ha affermato, non implica il desiderio di ricreare l’Unione Sovietica, ma è solo una dimostrazione di patriottismo.

Proseguendo, Lavrov ha affermato che gli europei vogliono perpetuare indefinitamente il conflitto ucraino perché “non hanno altro modo di distrarre i loro elettori dai problemi socioeconomici interni in forte peggioramento… stanno apertamente preparando l’Europa per una nuova grande guerra contro la Russia e stanno cercando di convincere Washington a rifiutare un accordo onesto ed equo”. Ha poi fatto riferimento alla proposta russa precedente al 2022 per riformare l’architettura di sicurezza europea, respinta dalla NATO e dall’UE.

Alla domanda sull'”isolamento” della Russia, Lavrov ha elencato l’ampia gamma di partner della Russia nel Sud del mondo e alcuni degli eventi di alto livello a cui hanno partecipato i suoi colleghi diplomatici, respingendo al contempo l’insinuazione dell’intervistatore secondo cui la Russia sarebbe alleata con la Cina e dipendente da essa. Ha chiarito che coordinano le loro posizioni su questioni chiave e si considerano alla pari. Lavrov ha poi concluso affermando che un riavvicinamento russo-italiano è possibile solo se Roma abbandona le sue politiche ostili.

Lavrov ha effettivamente iniettato alcune prevedibili polemiche nelle sue risposte, come è nel suo stile, come sa chiunque lo segua, ma queste non sono ragioni legittime per non pubblicare la sua intervista. Il Corriere della Sera ha il diritto di non pubblicare ciò che vuole o di pubblicarne solo una versione modificata, ma la sua decisione di non pubblicare integralmente questa intervista puzza di censura, attuata con il pretesto dei suoi standard editoriali. Probabilmente non volevano che la gente leggesse le sue polemiche contro l’Ucraina e l’Occidente.

In ogni caso, tutto ciò che hanno fatto è stato inavvertitamente attirare maggiore attenzione sulle stesse polemiche che presumibilmente volevano censurare dopo che il Ministero degli Esteri russo ha puntato i riflettori su questo scandalo. Il Corriere della Sera è considerato uno dei quotidiani di riferimento in Europa, quindi questo non è un granché per loro e per l’industria giornalistica del continente nel suo complesso. Ciò non sorprende gli osservatori più attenti, ma potrebbe fare impressione tra quelli più superficiali che ingenuamente davano per scontato che la censura non esistesse lì.

La prossima fase dell’indagine tedesca sul Nord Stream potrebbe peggiorare ulteriormente i legami con la Polonia

Andrew Korybko13 novembre
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La potenziale estradizione di un sospettato ucraino in Germania da parte dell’Italia potrebbe portare a un processo molto pubblicizzato (e prevedibilmente politicizzato) che coinvolgerebbe la Polonia in questo attacco senza precedenti a un alleato della NATO.

Il Wall Street Journal ha recentemente pubblicato un articolo dettagliato su ” L’inchiesta Nord Stream che sta frammentando l’Europa a causa dell’Ucraina “. Il succo è che l’indagine tedesca sulla pista ucraina, che è probabilmente una falsa pista pianificata come sostenuto qui all’inizio del 2023, ha già peggiorato i rapporti con la Polonia dopo che uno dei suoi giudici si è rifiutato di estradare un sospettato ucraino. Potrebbe presto peggiorare anche i rapporti con l’Ucraina se l’Italia ne estradasse un altro e seguisse un processo molto pubblicizzato (e prevedibilmente politicizzato).

L’inchiesta tedesca sul Nord Stream ha messo la Germania in un dilemma, poiché deve addossare la colpa a qualcuno per uno dei più grandi attacchi terroristici/sabotaggi degli ultimi decenni, eppure non osa indagare sulla pista americana su cui il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh ha attirato l’attenzione all’inizio del 2023. Accusarla di aver orchestrato questo attacco significherebbe rischiare di incorrere in tariffe punitive da parte di Trump e potrebbe convincerlo ad autorizzare il graduale trasferimento di alcune infrastrutture EUCOM dalla Germania alla vicina Polonia.

A questo proposito, la pista ucraina implica anche opportunamente la Polonia, danneggiandone così la reputazione. L’idea che questo alleato della NATO abbia svolto anche solo un ruolo passivo nel facilitare l’attacco di un paese terzo contro un membro “altro”, per non parlare del fatto che potrebbe cercare di insabbiare quanto sopra dopo essersi rifiutato di estradare uno dei sospettati, potrebbe avere conseguenze concrete. La Germania, ad esempio, potrebbe mobilitare altri alleati contro il sostegno alla Polonia in un’ipotetica crisi con la Russia, e potrebbe persino incolparne la Polonia.

Non solo, ma la proposta della Polonia di sovvenzionare l’industria bellica tedesca come forma di risarcimento per la Seconda Guerra Mondiale potrebbe essere osteggiata con il pretesto che il danno a lungo termine che la Polonia ha aiutato l’Ucraina a infliggere alla Germania equivale a qualsiasi sussidio tedesco, vanificando così la richiesta. Il peggioramento delle relazioni bilaterali potrebbe quindi dare una spinta all’opposizione conservatrice, che detesta la Germania quasi quanto detesta la Russia, in vista delle prossime elezioni parlamentari dell’autunno 2027.

Sostituire la coalizione liberal-globalista al potere, cosa che potrebbe essere realizzata alleandosi con l’opposizione populista-nazionalista, una volta acconsentito alle sue richieste di dimissioni dei principali leader del partito, rafforzerebbe la sfida che la Polonia pone all’influenza tedesca nella regione . Questo perché la destra controllerebbe la presidenza e il parlamento, sbloccando così la situazione di stallo in atto da quando l’attuale coalizione ha ottenuto il potere nel dicembre 2023 e consentendo un’attuazione più efficace delle politiche.

Questo esito potrebbe verificarsi anche senza un processo tedesco ampiamente pubblicizzato che implichi il coinvolgimento della Polonia nell’attacco al Nord Stream, ma renderebbe la situazione molto più probabile se ciò accadesse. In un simile scenario, l’unità già frazionata tra UE e NATO potrebbe ulteriormente indebolirsi, con il rischio di ostacolare la cooperazione contro la Russia attraverso lo ” Schengen militare ” e altri quadri multilaterali emergenti. Potrebbe inoltre sorgere un dilemma di sicurezza tra i due Paesi, a causa delle loro reciproche percezioni e armi avversarie. accumuli .

Gli osservatori dovrebbero ricordare che ciò è possibile unicamente perché la Germania si è rifiutata di indagare sulla traccia americana nell’attacco al Nord Stream, optando invece per quello ucraino che coinvolge anche la Polonia. L’opinione pubblica chiede che qualcuno venga incolpato per l’impennata dei costi causata dall’esclusione della Germania dal gas russo, economico e affidabile. L’ élite ha quindi deciso di addossare la colpa a loro, ma non è chiaro se abbiano ponderato le conseguenze menzionate in questa analisi.

Lo scandalo del grano russo-ucraino in Armenia è più grave di quanto molti possano immaginare

Andrew Korybko14 novembre
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La potenziale sostituzione da parte dell’Armenia del grano russo a basso costo con il più costoso grano ucraino potrebbe peggiorare la sua già difficile situazione finanziaria e quindi spingere l’Azerbaigian e/o la Turchia a proporre un salvataggio in cambio di ulteriori concessioni di sovranità nella sua provincia meridionale strategica di Syunik.

Il Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha riferito che l’Armenia prevede di sostituire il grano russo a basso costo con grano ucraino più costoso, sovvenzionato dall’UE, come segnale di sostegno a Kiev e ulteriore presa di distanza da Mosca. Il Primo Ministro Nikol Pashinyan ha smentito la notizia, che il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha insistito nel definire non infondata, ma ha confermato che l’Armenia ha ricevuto offerte per grano di migliore qualità e a basso costo, alle quali non “farà orecchie da mercante”. Il contesto più ampio è importante.

L’Armenia ha appena ricevuto il suo primo carico di grano russo via ferrovia attraverso l’Azerbaigian in trent’anni, dopodiché Pashinyan ha preso in considerazione l’importazione di altri beni russi attraverso la stessa rotta. Ciò è stato reso possibile dalla normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Azerbaigian, mediata dagli Stati Uniti a fine estate, che ha portato anche alla “Rotta Trump per la pace e la prosperità internazionale” (TRIPP). Tale corridoio minaccia di minare la posizione regionale della Russia , facilitando l’iniezione di influenza occidentale da parte della Turchia lungo la sua periferia meridionale .

Durante le ultime rivolte in Armenia all’inizio dell’estate, non si sapeva che il TRIPP sarebbe stato annunciato meno di due mesi dopo, ma col senno di poi, si sarebbe potuto evitare se Pashinyan si fosse dimesso, come richiesto dai manifestanti che, a suo dire , erano sostenuti dalla Russia. È salito al potere cavalcando l’onda del sentimento anti-russo e da allora ha giocato regolarmente questa carta, soprattutto dopo la sconfitta dell’Armenia nel Karabakh del 2020. Conflitto , accusando di recente anche il KGB di aver messo il suo popolo contro gli azeri e i turchi.

La Russia, quindi, non si fida di Pashinyan, e il suo comportamento anti-russo avvalora il rapporto dell’SVR sui suoi piani di sostituire il grano russo a basso costo con grano ucraino più costoso, sovvenzionato dall’UE, nonostante le sue dichiarazioni sull’aumento delle importazioni di altri beni russi attraverso l’Azerbaigian. Come hanno valutato le sue spie, “Ciò che è allettante è che all’UE venga offerto un accordo ‘tre per uno’: grano per l’Armenia, sostegno a Kiev e promozione della sfiducia tra Mosca e Yerevan”.

Il problema, tuttavia, è l’eccesso di finanziamenti. Secondo loro, l’UE non può permettersi di pagare il conto del grano ucraino, che costa “più del doppio” di quello russo, motivo per cui è più probabile che “Yerevan dovrà pagare su base continuativa” se andrà avanti con questo schema. L’implicazione è che l’Armenia, già in difficoltà finanziarie, farebbe fatica a farlo, con i prezzi in aumento generalizzato e le casse dello Stato che si svuotano a un ritmo ancora più rapido, il che potrebbe portare a un’altra ondata di disordini.

L’ultima è stata alimentata dalla percezione che Pashinyan abbia svenduto l’Armenia ai suoi vicini turchi, e questa convinzione potrebbe presto intensificarsi se dovesse andare avanti con l’accordo in questione. In tal caso, l’Azerbaigian e/o la Turchia potrebbero salvare l’Armenia in cambio di ulteriori concessioni di sovranità nella provincia meridionale di Syunik, che ospiterà il TRIPP, il che potrebbe non portare a una cessione territoriale formale per evitare reazioni negative dall’estero. Questo è uno scenario credibile che Pashinyan potrebbe persino voler promuovere intenzionalmente.

La subordinazione dell’Armenia all'”Organizzazione degli Stati Turchi” come “sangiaccato neo-ottomano” di fatto potrebbe essere inevitabile a causa del TRIPP, che i suoi antesignani turco-azeri dovrebbero ottenere con la forza se Yerevan dovesse mai tirarsi indietro, ma le condizioni potrebbero essere meno severe purché non sia indebitata finanziariamente con loro. La sua indipendenza politica è già perduta, ma la perdita dell’indipendenza finanziaria potrebbe portare alla perdita della sua indipendenza socio-culturale, a cui potrebbe seguire la turchizzazione, anche se inizialmente solo gradualmente.

Il ritiro europeo del Pentagono non allevierà le preoccupazioni della Russia sulla sicurezza

Andrew Korybko14 novembre
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Gli Stati Uniti stanno scaricando la maggior parte delle responsabilità di contenimento della Russia su Polonia, Regno Unito, Francia e Germania, mantenendo al contempo una presenza minima lungo il fianco orientale della NATO a fini di “deterrenza”.

Il Ministro della Difesa rumeno ha recentemente confermato che gli Stati Uniti ritireranno circa la metà dei loro 2.000 soldati nell’ambito dei piani di ridefinizione delle priorità in Asia, che potrebbero includere anche il ritiro di truppe da altri Paesi. Lo scorso febbraio si è valutato che ” è improbabile che Trump ritiri tutte le truppe statunitensi dall’Europa centrale o abbandoni l’Articolo 5 della NATO “, poiché mantenere una presenza minima in questa regione è psicologicamente rassicurante per quei Paesi che temono la Russia e può anche fungere da “trappola per scoraggiare le aggressioni”.

Ciò è particolarmente vero per l’aspirante leader regionale, la Polonia . Trump ha dichiarato all’inizio di settembre che gli Stati Uniti potrebbero persino dispiegare più truppe lì su richiesta e, sebbene ciò non sia ancora avvenuto, il Ministero della Difesa polacco ha confermato che il numero di truppe statunitensi rimane stabile nonostante le ultime notizie dalla Romania. Questi due Paesi e gli Stati baltici ospitano anche le forze di numerosi altri alleati , tra cui Francia e Regno Unito, dotati di armi nucleari, i cui ruoli integrano quello di “deterrenza” degli Stati Uniti, precedentemente menzionato.

L’Europa occidentale, centrale e orientale si stanno inoltre unendo attraverso lo ” Schengen militare “, che si riferisce all’iniziativa volta a facilitare il flusso di truppe e attrezzature tra i membri, mentre le ultime due regioni si stanno integrando maggiormente attraverso l'” Iniziativa dei Tre Mari “. La Polonia, che comanda il terzo esercito più grande della NATO , svolge un ruolo cruciale in entrambi i casi, collegando l'”Europa continentale” con gli Stati baltici. Questo spiega perché è destinata a diventare il principale partner europeo degli Stati Uniti in futuro.

Dal punto di vista degli Stati Uniti, in continua evoluzione dopo gli ultimi 3 anni e mezzo di guerra per procura, i suoi partner minori europei stanno finalmente assumendosi una parte maggiore dell’onere del contenimento della Russia, quindi la presenza di così tante truppe sul continente non è più necessaria se non per scopi di “deterrenza”. Sarebbero molto più utili in Asia, come ora sembrano credere i pianificatori politici, per incoraggiare i suoi partner minori a replicare le loro controparti europee, assumendosi una parte maggiore dell’onere del contenimento della Cina.

Finché Francia e Regno Unito, dotate di armi nucleari, manterranno la propria presenza militare nei paesi da cui gli Stati Uniti ritirano le proprie truppe, gli Stati Uniti potranno aspettarsi che “guidino dal fronte” in caso di crisi, mentre gli Stati Uniti dovrebbero solo ” guidare da dietro “. Questi due paesi e la Polonia svolgerebbero i ruoli principali nelle future tensioni con la Russia, mentre gli Stati Uniti fornirebbero supporto logistico e di intelligence. Potrebbero anche intensificare direttamente la tensione da soli se la situazione si facesse dura per i loro partner minori.

Un numero minimo di truppe statunitensi lungo il fianco orientale della NATO segnerebbe delle linee che le truppe russe sarebbero dissuase dall’attraversare, pena il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto. Il coinvolgimento diretto delle truppe francesi e britanniche nella regione completerebbe tale ruolo, ricordando alla Russia che il conflitto potrebbe degenerare in nucleare e che quindi tutte le parti dovrebbero mantenere un approccio convenzionale. Se la crisi dovesse ulteriormente peggiorare, potrebbero agitare le loro armi nucleari, soprattutto se nel frattempo avessero trasferito parte delle loro armi nucleari alla Germania e/o alla Polonia .

L’evoluzione della situazione geopolitica, militare e strategica in Europa è quindi tale che gli Stati Uniti stanno scaricando la maggior parte delle responsabilità del contenimento della Russia su Polonia, Regno Unito, Francia e Germania . Di questi quattro, la Polonia è il perno da cui dipende il successo di questo piano di contenimento promosso dall’UE ma sostenuto dagli Stati Uniti per ragioni logistiche militari, il che significa che i suoi legami con la Russia determineranno in larga misura il futuro della guerra e della pace in Europa dopo la fine del conflitto ucraino.

Gli accordi degli Stati Uniti sui minerali dell’Asia centrale potrebbero esercitare maggiore pressione su Russia e Afghanistan

Andrew Korybko13 novembre
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Si prevede che i nuovi interessi strategici degli Stati Uniti nella regione rafforzeranno il loro impegno nello sviluppo di due nuove rotte commerciali verso quella regione, il che potrebbe portare i loro partner turchi, azeri e pakistani (alleati tra loro) a esercitare maggiore pressione su Russia e Afghanistan.

Gli Stati Uniti hanno annunciato accordi minerari cruciali con il Kazakistan e l’Uzbekistan durante il vertice C5+1 tra i cinque leader dell’Asia centrale e Trump. Era già stato spiegato come ” l’Occidente stia ponendo nuove sfide alla Russia lungo tutta la sua periferia meridionale “, e questa ne è l’ultima manifestazione, ma anche l’Afghanistan potrebbe presto essere sottoposto a maggiori pressioni. Questo perché i nuovi interessi strategici degli Stati Uniti nella regione rafforzano il loro impegno nello sviluppo di due nuove rotte commerciali verso quella regione.

Il primo è il “Trump Route for International Peace and Prosperity” ( TRIPP ) dell’estate , che inietterà l’influenza occidentale in Asia centrale attraverso la Turchia, membro della NATO, aumentando così le probabilità che i loro legami commerciali possano un giorno portare a legami di sicurezza che minacciano gli interessi della Russia. Per quanto riguarda il secondo, riguarda la proposta di una ferrovia Pakistan-Afghanistan-Uzbekistan ( PAKAFUZ ), che potrebbe avere uno scopo simile attraverso il Pakistan, “principale alleato non NATO” (MNNA), dopo la sua politica postmoderna filo-americana . colpo di stato nell’aprile 2022.

Il PAKAFUZ è al momento congelato a causa delle recenti tensioni afghano-pakistane , ma il chiaro favoritismo regionale degli Stati Uniti nei confronti del Pakistan e l’interesse di Trump a mediare un accordo tra i due paesi suggeriscono che potrebbe presto essere ripreso. Gli osservatori dovrebbero anche ricordare che Trump vuole riportare le truppe statunitensi alla base aerea di Bagram in Afghanistan , il cui accesso è politicamente possibile solo attraverso il Pakistan, e che il Pakistan starebbe offrendo agli Stati Uniti un porto ed è stato accusato dai talebani di aver lasciato transitare i droni statunitensi nel suo spazio aereo .

Di conseguenza, i nuovi accordi statunitensi sui minerali critici con il Kazakistan e l’Uzbekistan potrebbero esercitare ulteriore pressione sull’Afghanistan affinché concluda un accordo con il Pakistan che consenta la costruzione di PAKAFUZ per facilitare le esportazioni di tali risorse, per non parlare del possibile rientro delle truppe statunitensi a Bagram. Il mancato rispetto di tali accordi potrebbe portare l’MNNA Pakistan a punire l’Afghanistan su richiesta degli Stati Uniti. Anche senza alcuna svolta sul PAKAFUZ, tuttavia, il TRIPP e gli accordi sopra menzionati sono comunque sufficienti per esercitare pressione sulla Russia.

Nonostante l’incipiente riavvicinamento russo-azerbaigiano, l’Azerbaigian potrebbe ancora consentire l’utilizzo del TRIPP per scopi militari, come il transito delle forze NATO per esercitazioni congiunte (o persino regionali) su larga scala e la vendita di armi, quest’ultima volta volta ad adeguare le proprie forze armate agli standard NATO. A questo proposito, l’Azerbaigian ha appena annunciato che il suo esercito, finora di stampo sovietico/russo, è ora conforme agli standard del blocco, a dimostrazione che è possibile per altri seguirne l’esempio con l’aiuto turco.

L'”Organizzazione degli Stati Turchi” (OTS) guidata dalla Turchia, all’interno della quale si trovano i turco – azeri alleato Il Pakistan, che può essere considerato un membro informale (anche per le sue parziali origini turche, derivate dall’odierno Babur dell’Uzbekistan, fondatore dell’Impero Moghul), potrebbe fungere da previsto sostituto della CSTO russa da parte della NATO. Se il Kazakistan, membro congiunto dell’OTS e della CSTO, adeguasse il suo esercito agli standard NATO, allora il membro turco del blocco, l’Azerbaigian, e il Pakistan, membro del MNNA, potrebbero inviargli aiuti in un’ipotetica crisi con la Russia.

Per essere assolutamente chiari, non si profila alcuna crisi del genere all’orizzonte, poiché ci vorrebbero anni prima che il Kazakistan adegui il suo esercito agli standard NATO, ammesso che ci provi (e non ci sono indicazioni che sia interessato). Ciononostante, i nuovi accordi statunitensi sui minerali critici con il Kazakistan e l’Uzbekistan conferiscono agli Stati Uniti interessi strategici più ampi in Asia centrale rispetto a quelli che la sua “diplomazia energetica” già possiede. raggiunto negli anni ’90, aumentando così la pressione su Russia e Afghanistan e aumentando le possibilità che si materializzassero scenari oscuri.

Korybko ai media alternativi uruguaiani: Ucraina, “Fortezza America” e il futuro della governance globale

Andrew Korybko16 novembre
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Ecco la versione integrale in lingua inglese dell’intervista che ho rilasciato a Victor M. Rodriguez sul conflitto ucraino, sulla “Fortezza America” ​​e sul futuro della governance globale, originariamente pubblicata in spagnolo sulla sua piattaforma mediatica alternativa uruguaiana Si Que Se Puede con il titolo “Geopolítica sin ilusiones: Andrew Korybko y las nuevas coordenadas del poder global”.

1. Come valuta l’attuale stato del conflitto tra Russia e Ucraina, considerando l’esaurimento militare, la stanchezza politica in Occidente e il riposizionamento di attori come Ungheria, Polonia o Turchia? Stiamo affrontando una guerra di logoramento prolungata o prevede una svolta che potrebbe ridefinire l’architettura di sicurezza europea?

La guerra per procura NATO-Russia in Ucraina è ancora in una fase di logoramento, che Trump prevede di intensificare a causa delle sanzioni energetiche di metà ottobre, che a suo avviso finiranno per danneggiare le finanze del Cremlino. Trump non costringerà Zelensky a fare concessioni per soddisfare le richieste di pace di Putin. Al contrario, gli Stati Uniti stanno vendendo armi alla NATO a prezzo pieno per il trasferimento indiretto all’Ucraina, traendo così profitto dal conflitto. Più a lungo imperversa, più forte diventa la presa degli Stati Uniti sull’UE.

Sebbene il conflitto abbia inflitto danni economici e finanziari al blocco, c’è sufficiente sostegno da parte delle élite per mantenerlo in vita. Alcuni membri dell’opinione pubblica non sono contenti, ma non hanno il potere di cambiare le cose. Non ci sono state rivoluzioni populiste di piazza come alcuni avevano previsto, e qualsiasi protesta violenta che degenerasse in rivolte verrebbe probabilmente dispersa dalle forze di sicurezza prima di avere la possibilità di assaltare il parlamento. Le loro forze armate e la NATO non accetterebbero comunque un “governo rivoluzionario”.

Esistono due scenari realistici per porre fine al conflitto: 1) la Russia ottiene una svolta decisiva sul fronte che costringe l’Ucraina a soddisfare le sue richieste di pace, potenzialmente fino al massimo (ad esempio, smilitarizzazione e denazificazione, quest’ultima comportante modifiche legali e politiche); oppure 2) la Russia scende a compromessi su alcuni dei suoi obiettivi massimi una volta ottenuto il pieno controllo almeno sul resto del Donbass. Non esiste una tempistica chiara per quando entrambi gli scenari potrebbero materializzarsi, ma è probabile che uno dei due accadrà.

2. In che misura il coinvolgimento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea è legato a una strategia di contenimento globale contro la Russia o a interessi divergenti all’interno del blocco atlantico? Ritiene che la coesione transatlantica reggerà o stiamo iniziando a vedere segnali di una frattura geopolitica tra Washington e Bruxelles?

Alcuni hanno sostenuto che gli Stati Uniti abbiano “adescato” la Russia a intervenire in Ucraina per creare il pretesto per scatenare quella che da allora è diventata una guerra di logoramento, che è servita anche a ripristinare l’egemonia statunitense sull’UE, fino a quel momento in declino. Con poche eccezioni come l’Ungheria e ora la Slovacchia, l’UE ha marciato di pari passo con gli Stati Uniti in questo conflitto, anche a scapito dei propri interessi economici, finanziari ed energetici. Ciò è dovuto al fatto che la sua élite condivideva la percezione della necessità di contenere la Russia.

Questa percezione è diffusa tra i liberal-globalisti che guidano l’UE e molti dei suoi paesi, mentre altri gruppi più nazionalisti dell’Europa centrale e orientale odiano la Russia per ragioni storiche. Sebbene da allora si siano sviluppate tensioni tra i membri dell’UE e tra l’UE e gli Stati Uniti, finora si sono dimostrate gestibili. A riprova di ciò, l’UE si è subordinata agli Stati Uniti attraverso l’accordo commerciale sbilanciato dell’estate e la NATO ora acquista armi dagli Stati Uniti a prezzo pieno prima di donarle all’Ucraina.

Questi sviluppi suggeriscono che la coesione transatlantica resisterà, contrariamente alle previsioni di alcuni, a meno che non accada qualcosa di inaspettato, ovviamente. Qualsiasi escalation significativa del conflitto (ad esempio, una svolta importante da parte della Russia, un incidente nucleare e/o ostilità dirette tra NATO e Russia avviate da uno dei membri del blocco) potrebbe tuttavia compensare questo scenario, dividendo tutti in due campi: coloro che vogliono scendere a compromessi per la pace e coloro che vogliono un’escalation a rischio di una Terza Guerra Mondiale.

3. Come valuta il futuro della politica statunitense in relazione a: 1) il conflitto politico e umanitario in Venezuela; 2) le tensioni diplomatiche con la Colombia; e 3) le relazioni commerciali e migratorie con il Messico?

A settembre circolavano voci secondo cui la bozza della Strategia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, non ancora ufficialmente presentata al momento della stesura di questo articolo, avrebbe dato priorità all’emisfero occidentale rispetto all’Afro-Eurasia. Potrebbe esserci del vero in questa affermazione, data l’escalation del coinvolgimento militare statunitense nell’area da allora. Il rafforzamento militare statunitense nei Caraibi, ora noto come “Operazione Southern Spear”, si basa sugli attacchi contro presunti narcoterroristi e potrebbe estenderli al Venezuela continentale e/o alla Colombia.

Trump sta chiaramente facendo affidamento sull’uso della forza, per ora limitato, per ottenere concessioni poco chiare dai paesi della regione con questo pretesto. Sebbene ciò possa essere sfruttato per combattere l’immigrazione clandestina e il traffico di droga, spesso interconnessi, potrebbe anche essere finalizzato a perseguire un cambio di regime contro paesi socialisti come il Venezuela e persino Cuba, nonché a ottenere vantaggi per le compagnie energetiche statunitensi. Il successo su uno qualsiasi di questi fronti ripristinerebbe l’egemonia degli Stati Uniti nell’emisfero, finora in declino.

L’obiettivo è costruire la “Fortezza America”, ovvero il piano per garantire che gli Stati Uniti possano sopravvivere e persino prosperare qualora venissero tagliati fuori dall’emisfero orientale o se ne ritirassero, sfruttando al massimo le risorse, i mercati e la forza lavoro dell’emisfero occidentale. È una versione moderna della Dottrina Monroe che mira anche a combinare tre civiltà correlate – nordamericana, iberoamericana e caraibica – in una civiltà composita guidata dagli Stati Uniti che potrebbe quindi diventare un megapolo nell’emergente ordine mondiale multipolare.

4. Come vede l’evoluzione della guerra commerciale e tecnologica tra Stati Uniti e Cina, e quali implicazioni concrete ha per l’America Latina e l’Africa in termini di infrastrutture, investimenti, sovranità digitale e autonomia politica? Stiamo assistendo a una rinascita del vecchio schema centro-periferia o all’emergere di un nuovo modello multipolare che offre un reale margine di manovra ai paesi del Sud del mondo?

La rivalità sistemica sino-americana sui contorni dell’emergente Ordine Mondiale Multipolare è fortemente incentrata sulla tecnologia, data la “Quarta Rivoluzione Industriale”/”Grande Reset” (4IR/GR) in corso, che ha preceduto il COVID ma è stata notevolmente accelerata da esso. Il Sud del mondo deve scegliere, sia paese per paese che persona per persona, tra gli ecosistemi tecnologici americano e cinese. Considerazioni politiche, economiche e strategiche, soprattutto a livello statale, determineranno la loro scelta.

Concedere contratti tecnologici e aprire il proprio mercato ai loro prodotti ingrazierà maggiormente i paesi all’uno o all’altro. Un equilibrio è possibile, ma uno di loro, molto probabilmente gli Stati Uniti in molti casi, probabilmente li spingerà a concentrarsi solo sul loro ecosistema tecnologico. Le considerazioni economiche giocheranno un ruolo fondamentale in questo, mentre quelle strategiche riguardano il modo in cui ritengono che i Big Data ottenuti dalle loro popolazioni saranno utilizzati, sia per il marketing (competenza della Cina) che per l’ingerenza (competenza degli Stati Uniti).

Big Data, IA e Internet delle Cose definiscono la Quarta Rivoluzione Industriale/Rivoluzione della Resilienza e, senza competenze tecnologiche indigene, la maggior parte dei Paesi sarà costretta a cedere questi elementi della propria “sovranità tecnologica” ad altri, in particolare alla Cina e/o agli Stati Uniti. Un’industria tecnologica veramente sovrana e il rafforzamento della sicurezza socio-economica e politica che ne consegue sono quindi quasi impossibili da raggiungere per la maggior parte delle persone. Gli Stati Uniti prevedono di dominare la sfera tecnologica dell’America Latina e dei Caraibi nell’ambito della loro strategia “Fortezza America”.

5. Alla luce dell’inazione o dei limiti delle Nazioni Unite in merito a conflitti come Ucraina, Gaza, Iran o alle massicce crisi migratorie, ritiene che ci troviamo di fronte a un’erosione strutturale del sistema multilaterale o a una riconfigurazione dei suoi equilibri di potere? Quale tipo di architettura internazionale potrebbe emergere da questo apparente crollo dell’ordine post-1945?

In termini pratici, il ruolo primario dell’ONU è quello di fungere da forum a più livelli tra i cinque vincitori della Seconda Guerra Mondiale nel Consiglio di Sicurezza (il cui numero permanente di seggi potrebbe un giorno aumentare per essere più rappresentativo dei cambiamenti geopolitici intervenuti dalla nascita dell’ONU), il resto del mondo e tra questi due livelli. La situazione di stallo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite degli ultimi decenni è la conseguenza naturale degli interessi sempre più divergenti dei suoi due blocchi di fatto (l’Occidente e quella che oggi può essere definita l’Intesa sino-russa).

Ciò ha portato quell’organismo globale d’élite a perdere la sua reputazione di credibile meccanismo di controllo per il rispetto del diritto internazionale, la cui interpretazione varia a seconda degli interessi di ciascun blocco in un dato contesto, e a “coalizioni di volenterosi” e persino a conseguenti azioni unilaterali. Esempi includono rispettivamente la guerra degli Stati Uniti in Iraq e l’operazione speciale della Russia in Ucraina. Anche se ci fossero più membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ciò non farebbe che rafforzare la suddetta dinamica, senza modificarla.

Si prevede quindi che il futuro della governance globale sarà più regionale, nel senso che i leader regionali, in particolare gli stati-civiltà (quelli che hanno lasciato eredità socio-politiche durature ai loro vicini nel corso dei secoli), stabiliranno sfere di influenza. Il nucleo regionale cercherà quindi di gestire gli affari all’interno della sua sfera, il che avrà successo se la partecipazione dei suoi membri sarà sostenuta dalle rispettive popolazioni (ovvero popolare e non forzata) e se una complessa interdipendenza economica li legherà strettamente tra loro.

L’intervista è stata originariamente pubblicata in spagnolo su Si Que Se Puede con il titolo “ Geopolítica sin ilusiones: Andrew Korybko y las nuevas coordenadas del poder global ”.

Il Giappone potrebbe sfidare la Cina prima del previsto

Andrew KorybkoNov 19
 
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Il risultato emergente è un “ritorno alla storia” nel senso che gli ex leader regionali stanno ripristinando le loro sfere di influenza perdute con il sostegno degli Stati Uniti, con tutto ciò che ciò comporta in termini di aggravamento delle tensioni con l’Intesa sino-russa.

Recentemente è stato valutato che “il Giappone svolgerà un ruolo molto più importante nel promuovere l’agenda americana in Asia“, cosa che il suo nuovo primo ministro ultranazionalista Sanae Takaichi non ha perso tempo a fare. La sua prima mossa in questa direzione è stata quella di dichiarare al parlamento che “se ci saranno navi da guerra e uso della forza (da parte della Cina contro Taiwan), a prescindere da come la si pensi, ciò potrebbe costituire una minaccia alla sopravvivenza”. Questo linguaggio si riferisce a un termine giuridico per l’attivazione dell’uso delle “Forze di autodifesa” (SDF) del Giappone.

Sebbene non abbia fornito ulteriori dettagli, la sua controversa logica è presumibilmente che il controllo postbellico della Cina sull’industria dei semiconduttori di Taiwan (ammesso che sopravviva al conflitto) potrebbe portare a costringere il Giappone a concessioni strategiche unilaterali, la cui possibilità alimenta i timori di un’egemonia cinese sull’Asia. Takaichi ha poi evitato di rispondere alla domanda se il suo governo rispetterà i tre principi non nucleari del Giappone: non possedere armi nucleari, non produrle e non ospitarle.

L’accordo sugli sottomarini nucleari stipulato dagli Stati Uniti con la Corea del Sud, che è stato valutato qui come un’adesione informale all’AUKUS, è stato seguito da notizie secondo cui anche il Giappone potrebbe stipulare un accordo simile con gli Stati Uniti. In tal caso, le forze di autodifesa marittime rappresenterebbero una minaccia ancora più formidabile per la Marina dell’Esercito popolare di liberazione di quanto non lo siano già, che secondo l’analisi collegata all’inizio di questo articolo rappresentano già una sfida per la Russia, secondo l’opinione del consigliere senior di Putin e eminente specialista navale Nikolai Patrushev.

Ricordando i legami stretti del Giappone con le Filippine in materia di difesa, entrambi alleati degli Stati Uniti nella difesa reciproca e tra i quali si trova Taiwan, è chiaro che il Giappone sta ricevendo il sostegno degli Stati Uniti per ristabilire parte della sua sfera di influenza regionale perduta, al fine di contenere la Cina sul fronte asiatico della nuova guerra fredda. Ciò è parallelo al sostegno degli Stati Uniti alla Polonia per contenere la Cina sul fronte asiatico della nuova guerra fredda. è chiaro che il Giappone sta ricevendo dagli Stati Uniti il potere di ristabilire parte della sua sfera di influenza regionale perduta, al fine di contenere la Cina sul fronte asiatico della Nuova Guerra Fredda. Ciò è parallelo al potere concesso dagli Stati Uniti alla Polonia per contenere la Russia sul fronte europeo della Nuova Guerra Fredda attraverso il parziale ristabilimento della propria sfera di influenza regionale perduta.

La tendenza generale è che gli Stati Uniti stanno incitando dilemmi di sicurezza lungo la periferia di quella che ora può essere descritta come l’Intesa sino-russa, attraverso i loro alleati di difesa reciproca in Giappone e Polonia, che a loro volta fanno parte dell’AUKUS+ asiatico, simile alla NATO, e della NATO, per dividere e governare l’Eurasia. È interessante notare che, proprio come il Giappone sta ora flirtando con le armi nucleari, anche la Polonia ha recentemente ribadito di voler ospitare armi nucleari francesi e un giorno persino svilupparne di proprie. Si prevede che gli Stati Uniti sosterranno questi piani.

Trump 2.0 sta quindi perfezionando la “doppia contenimento” dell’intesa sino-russa da parte dell’amministrazione Biden, come ha descritto il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov la politica occidentale guidata dagli Stati Uniti, concentrandosi maggiormente su “guidare da dietro” al fine di ottimizzare la “condivisione degli oneri”. Il risultato emergente è un “ritorno alla storia” nel senso che gli ex leader regionali stanno ripristinando le loro sfere di influenza perdute con il sostegno degli Stati Uniti e tutto ciò che ciò comporta per l’aggravarsi delle tensioni con l’intesa sino-russa.

La Cina non dimenticherà mai il genocidio del suo popolo da parte dei giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, mentre la Russia commemora ogni anno l’espulsione dei polacchi da Mosca nel 1612 in occasione della Giornata dell’unità nazionale. Nessuno di questi traumi storici è ripetibile al giorno d’oggi grazie alla deterrenza nucleare, ma la rinascita dei loro rivali storici li rende certamente inquieti, anche se allo stesso tempo unisce i loro popoli di fronte alle minacce sostenute dagli Stati Uniti, mentre la Nuova Guerra Fredda continua a intensificarsi senza una fine in vista.

Che effetto ha avuto il lobbying pakistano sul voltafaccia di Trump sulla Russia?

Andrew Korybko16 novembre
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I suoi lobbisti ben introdotti potrebbero aver incluso argomenti anti-russi nel loro appello a Trump affinché imponesse tariffe punitive all’India per l’importazione di petrolio russo, cosa che Trump ha finito per fare durante l’estate e poi ha sanzionato l’industria energetica russa in autunno, contestualizzando così il suo voltafaccia apparentemente casuale.

Il New York Times (NYT) ha pubblicato un rapporto su ” Come il blitz di spesa del Pakistan ha contribuito a vincere Trump e a capovolgere la politica statunitense “, il cui succo è che il lobbying ha svolto un ruolo importante nel rapido riavvicinamento tra Stati Uniti e Pakistan . Riconoscono che anche fattori al di fuori del controllo del Pakistan sono stati significativi, come il rifiuto dell’India di accettare la richiesta di Trump di mediare il cessate il fuoco di primavera o di fare importanti concessioni commerciali, ma sostengono che l’accesso ottenuto grazie al lobbying abbia notevolmente accelerato questo processo.

È interessante notare che questa teoria sul voltafaccia di Trump sull’India potrebbe spiegare anche il suo voltafaccia sulla Russia, con il rapporto che osserva che “Quattro mesi dopo la firma del contratto (con l’ex consigliere economico del presidente Everett Eissenstat e il suo ex segretario alla Difesa, Mark Esper), Trump ha ridotto i dazi sul Pakistan al 19 percento, uno dei tassi più bassi tra le principali economie asiatiche, e ha aumentato quelli sull’India al 50 percento, in gran parte a causa della frustrazione del presidente Trump per il fatto che continuasse ad acquistare petrolio russo”.

I dazi punitivi imposti dagli Stati Uniti all’India per le sue continue importazioni di petrolio russo erano degni di nota di per sé, ma anche perché rappresentavano un palese doppio standard nei confronti delle continue importazioni di petrolio russo da parte di Cina, UE, Turchia e altri, nessuno dei quali era stato anch’esso sottoposto a dazi punitivi. Sebbene sia possibile che Trump abbia autorizzato questi dazi punitivi come ulteriore forma di pressione sull’India per ottenere importanti concessioni commerciali, non si può escludere, dopo l’articolo del NYT, che il lobbying pakistano abbia avuto un ruolo.

Non solo i lobbisti pakistani ben introdotti avrebbero potuto convincere Trump che questa sarebbe stata una forma efficace di pressione sull’India, visto che il petrolio russo a basso costo alimenta letteralmente la sua economia, ma per rendere la loro proposta politica il più convincente possibile, avrebbero potuto promuoverla anche come forma di pressione sulla Russia. Dopotutto, la possibile riduzione delle importazioni indiane potrebbe colpire le casse del Cremlino, incentivando così la Russia a fare concessioni sull’Ucraina, come si dice. Trump potrebbe quindi prendere due piccioni con una fava.

Questa teoria contestualizza il motivo per cui Trump , apparentemente in modo casuale a metà ottobre, ha deciso di imporre le prime sanzioni della sua seconda amministrazione alla Russia, che prendevano specificamente di mira il suo settore energetico e, a posteriori, potrebbero essere viste come la seconda fase della sua politica, probabilmente ispirata dai lobbisti pakistani. Per essere chiari, il Pakistan non ha assunto questi lobbisti per promuovere un programma anti-russo, ma un programma interconnesso pro-pakistano e anti-indiano, sebbene l’elemento speculativo anti-russo avrebbe sicuramente favorito i suoi obiettivi.

Sebbene i legami russo-pakistani siano oggi più solidi che mai, la designazione del Pakistan come “principale alleato non-NATO” implica che si allineerà sempre più agli Stati Uniti che alla Russia. Questo spiega perché, secondo quanto riferito, avrebbe offerto agli Stati Uniti un porto ed è stato accusato dai talebani di aver lasciato che i droni statunitensi attraversassero il suo spazio aereo, due azioni che mettono in discussione gli interessi russi nella regione. Il Pakistan potrebbe anche sostituire gli investimenti russi pianificati nel suo settore delle risorse con quelli statunitensi come ricompensa per il sostegno di Trump.

Di conseguenza, il Pakistan non avrebbe sollevato obiezioni all’inclusione di argomenti anti-russi da parte dei suoi lobbisti nel loro appello a Trump affinché imponesse dazi punitivi all’India per l’importazione di petrolio russo, ed è possibile che i suoi funzionari abbiano suggerito questo approccio quando hanno contattato quei lobbisti. Naturalmente non si può sapere con certezza, ma questa linea di pensiero, ispirata dal recente rapporto del NYT, contestualizza il suo apparentemente casuale voltafaccia sulla Russia in autunno. La Russia farebbe quindi bene a tenerlo a mente quando interagisce con il Pakistan.

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Il sottomarino nucleare sudcoreano costruito negli Stati Uniti porterà probabilmente Seul ad aderire ad AUKUS+

Andrew Korybko17 novembre
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Il suo ruolo potrebbe rimanere limitato al tracciamento dei missili e dei sottomarini cinesi tramite THAAD e del suo futuro sottomarino nucleare, ma ciò sarebbe comunque di grande aiuto per i suoi alleati in caso di crisi.

Uno dei momenti salienti dell’ultimo tour di Trump in Asia, oltre agli accordi di pace tra Thailandia e Cambogia da lui mediati e all’incontro con il presidente cinese Xi Jinping, è stato l’annuncio che gli Stati Uniti costruiranno il primo sottomarino nucleare della Corea del Sud . Si tratta del secondo esempio recente di condivisione di questa tecnologia militare altamente protetta da parte degli Stati Uniti dopo la creazione di AUKUS nel settembre 2021. Si tratta del patto trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti per la costruzione della prima flotta di sottomarini nucleari australiani.

AUKUS è considerata il fulcro di un’alleanza di tipo NATO in Asia, volta a contenere più saldamente la Cina attraverso una maggiore “condivisione degli oneri” nel perseguimento di questo obiettivo strategico comune. Giappone , Filippine e Taiwan , tutti e tre alleati americani (i primi due sono alleati di mutua difesa degli Stati Uniti, mentre la responsabilità degli Stati Uniti nei confronti dell’ultimo è volutamente ambigua) e possono essere collettivamente definiti la ” Mezzaluna asiatica/di contenimento ” nei confronti della Cina, sono pertanto considerati membri di AUKUS+.

Ciò si riferisce all’espansione informale di AUKUS oltre i suoi tre membri fondatori, di cui quello americano è indiscutibilmente il nucleo, proprio come la NATO, e ci si aspetta naturalmente che la Corea del Sud aderisca ad AUKUS+ una volta che gli Stati Uniti avranno completato la costruzione del loro primo sottomarino nucleare. Mentre il pretesto implicito per questa cooperazione militare-strategica privilegiata tra i due è il contenimento della Corea del Nord, che presumibilmente possiede un proprio sottomarino nucleare e avrebbe ricevuto anche la tecnologia dei reattori russi, il vero obiettivo è la Cina.

La Corea del Sud si destreggia abilmente tra Cina e Stati Uniti, la prima dei quali è il suo principale partner commerciale e praticamente un vicino, mentre i secondi sono il suo principale partner per la sicurezza, incaricato di difenderla dallo scenario (per quanto improbabile) di un’altra invasione nordcoreana, ma è più vicina agli Stati Uniti che alla Cina. Sebbene sia improbabile che venga coinvolta direttamente in una crisi sino-americana su Taiwan, ad esempio se la Cina ricorresse a mezzi coercitivi per riunirsi alla sua provincia canaglia, il suo sottomarino nucleare può comunque monitorare quelli cinesi.

Il Giappone, attraverso le isole Ryukyu, e le Filippine, attraverso l’isola di Luzon, entrambe sede di basi statunitensi, potrebbero svolgere un ruolo di supporto logistico in tale scenario o addirittura impegnarsi direttamente con le forze cinesi da lì. A quel punto, è anche possibile che il Giappone abbia già sviluppato le proprie armi nucleari attraverso un programma accelerato che sfrutta le sue enormi scorte di plutonio a tal fine, mentre il Regno Unito potrebbe trasferire alcune delle sue testate nucleari lanciate da sottomarini all’Australia per utilizzarle nei suoi nuovi sottomarini nucleari, in entrambi i casi con l’approvazione americana.

L’innesco di tali escalation si verificherebbe se la Cina testasse reciprocamente armi nucleari nel caso in cui gli Stati Uniti lo facessero per primi, come recentemente autorizzato da Trump (anche se non è chiaro se ciò accadrà). In tal caso, il Giappone potrebbe sviluppare rapidamente armi nucleari, mentre l’Australia non otterrebbe quelle britanniche finché i suoi sottomarini non saranno costruiti nel prossimo decennio. Prima di allora, tuttavia, si prevede che l’Australia ospiterà a rotazione sottomarini nucleari americani e britannici presumibilmente armati con armi convenzionali entro il 2027 , che potrebbero ufficialmente diventare dotati di armi nucleari in tale scenario.

L’importanza dei due paragrafi precedenti è contestualizzare il ruolo della Corea del Sud nell’AUKUS+, che probabilmente rimarrà supplementare e meno diretto di quello dei suoi alleati, con l’unico focus sul tracciamento di missili e sottomarini cinesi tramite il THAAD e il suo sottomarino nucleare di costruzione statunitense, rispettivamente. Si tratta comunque di ruoli importanti, che potrebbero un giorno estendersi anche ad altri ambiti. L’unica cosa che lo impedisce, almeno per ora, è il timore della Corea del Sud di una risposta economica asimmetrica da parte della Cina.

L’Etiopia ha fortemente suggerito che l’Eritrea stia seguendo le orme dell’Ucraina

Andrew KorybkoNov 19
 
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La descrizione del ministro degli Esteri delle lamentele dell’Etiopia nei confronti dell’Eritrea, insieme alle sue osservazioni conclusive su come si tratti di “due Stati che hanno praticamente un unico popolo”, ricorda l’articolo di Putin “Sull’unità storica dei russi e degli ucraini” pubblicato sette mesi prima dell’operazione speciale.

Il ministro degli Esteri etiope, dott. Gedion Timothewos, ha tenuto a metà novembre un dettagliato discorso ai membri del corpo diplomatico sulle tensioni tra il suo Paese e l’Eritrea. È importante diffondere il più possibile le informazioni da lui fornite, poiché suggeriscono che un’altra guerra provocata dall’Eritrea potrebbe essere imminente. Ha esordito chiarendo che la ricerca pacifica dell’Etiopia di un accesso al mare non è la causa di queste tensioni, sottolineando l’ostilità dell’Eritrea alla fine degli anni ’90, prima ancora che la questione fosse sollevata.

A tal proposito, la guerra combattuta dal 1998 al 2000 non è stata causata dal confine, come molti osservatori hanno superficialmente concluso, ma è stata determinata da cinque fattori sottostanti che rimangono rilevanti ancora oggi e la cui errata interpretazione “potrebbe portare a soluzioni sbagliate e inutili” per risolvere le tensioni attuali. Il primo è il continuo ingerimento dell’Eritrea negli affari etiopi dopo la sua indipendenza, mentre il secondo è il fatto che il presidente Isaias Afweri abbia permesso al suo Paese di diventare un proxy per tutte le terze parti con interessi anti-etiopi.

La “Dottrina Isaias” è il terzo fattore, che Gedion ha descritto come la convinzione fortemente implicita del leader eritreo che “il mantenimento dello status di paese sovrano dell’Eritrea dipenda dall’insicurezza dell’Etiopia”. Egli ha valutato che “si tratta di una dottrina che trae origine da una fedele emulazione di coloro che vogliono strumentalizzare l’Eritrea come proxy contro l’Etiopia”. Il secondo fattore nella sua lista è quello che definisce la “sindrome di Nakfa”, che prende il nome da una famosa vittoria eritrea durante la guerra civile durata trent’anni.

Si tratta di «una condizione psicologica delle élite al potere in Eritrea, incapaci e restie a disimparare e superare i comportamenti dei loro anni di guerriglia. Ciò ha portato, a livello interno, all’imposizione di un servizio militare a tempo indeterminato all’intera società eritrea, con il risultato di una vera e propria schiavitù moderna… Pertanto, non avendo nessuna delle normali considerazioni economiche che vincolano i governi normali, il governo eritreo è libero di dedicarsi a tempo pieno a causare problemi nella regione”.

Infine, Gedion ha menzionato come “una parte considerevole degli etiopi politicamente consapevoli” metta in discussione la legittimità del governo di transizione post-Derg e la legittimità della sua decisione di concedere l’indipendenza all’Eritrea senza garantire all’Etiopia l’accesso al mare. Ha ribadito che l’Etiopia rispetta l’indipendenza dell’Eritrea, ma l’insinuazione è che forse la costa eritrea abitata dagli Afar avrebbe dovuto unirsi alla regione Afar del loro Paese e rimanere parte dell’Eritrea.

Il protrarsi dell’occupazione da parte dell’Eritrea di alcuni territori settentrionali dell’Etiopia e il sostegno ai militanti antistatali costituiscono un legittimo casus belli, ha affermato, ma l’Etiopia sta mantenendo un atteggiamento moderato nella speranza che la comunità internazionale riesca a convincere l’Eritrea a cambiare atteggiamento. Affinché ciò avvenga, l’Eritrea deve smettere di essere il proxy di altri (un’allusione allo storico rivale egiziano dell’Etiopia) e cooperare con l’Etiopia sui suoi piani di integrazione regionale, che possono iniziare con un accordo di libero scambio e progetti infrastrutturali congiunti.

La descrizione di Gedion delle lamentele dell’Etiopia nei confronti dell’Eritrea, insieme alle sue osservazioni conclusive su come si tratti di “due Stati che hanno praticamente un unico popolo”, ricorda l’articolo di Putin “Sull’unità storica dei russi e degli ucraini” pubblicato sette mesi prima dell’operazione speciale operazione. Di conseguenza, l’Etiopia potrebbe intraprendere un’azione altrettanto decisiva per garantire i propri interessi di sicurezza se gli sforzi diplomatici fallissero, il che sarebbe disastroso per l’Eritrea. Afwerki dovrebbe quindi pensarci due volte prima di seguire le orme di Zelensky.

La «guerra digitale»: una nuova realtà, di Yuri Baluyevsky

La «guerra digitale»: una nuova realtà

La Russia deve adeguarsi urgentemente a tale situazione.

N. 6 2025 Novembre/Dicembre

DOI: 10.31278/1810-6439-2025-23-6-60-68

Yuri Baluyevsky

Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa — Primo Vice Ministro della Difesa della Federazione Russa (2004—2008). Generale dell’esercito.

Ruslan Pukhov

Direttore del Centro di analisi delle strategie e delle tecnologie (CAST).

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Per citare:

Baluyevsky Yu.N., Pukhov R.N. La guerra digitale: una nuova realtà // La Russia nella politica globale. 2025. Vol. 23. N. 6. Pp. 60–68.

È difficile trovare un esperto che neghi i cambiamenti rivoluzionari nel campo militare: la “rivoluzione dei droni” o la “rivoluzione della guerra dei droni”. Forse, valutando in modo più ampio, la “guerra digitale”. Ci sono tutte le ragioni per credere che questo processo continuerà ad ampliarsi e ad approfondirsi, poiché le possibilità di potenziare la “guerra dei droni” superano la capacità di contrastare efficacemente questo tipo di armi.

La miniaturizzazione e la riduzione dei costi dei componenti, lo sviluppo di soluzioni di rete (proprio di rete, l’intelligenza artificiale (AI), che a quanto pare rimarrà ancora a lungo un fattore secondario) portano alla partecipazione alle operazioni militari di vere e proprie orde di droni dei tipi, delle forme, delle dimensioni e delle destinazioni più disparate. La maggior parte di essi è costituita da droni sempre più piccoli e economici, ma sempre più potenti e autonomi, che combinano capacità di ricognizione e di attacco. Il campo di battaglia tattico e le retrovie a decine di chilometri dalla linea di contatto diventeranno, in sostanza, una “zona di sterminio totale”. Naturalmente, il compito prioritario sarà quello di contrastarli. In questo modo, la lotta armata si trasformerà innanzitutto in una battaglia per la “supremazia dei droni” nell’aria. Di conseguenza, l’organizzazione delle truppe dovrà essere adeguata agli obiettivi e ai compiti della lotta per tale supremazia nell’aria e nello spazio.

Pericolosa trasparenza

Ricordiamo che una delle conseguenze più importanti della rivoluzione descritta è stata la trasparenza del campo di battaglia, ovvero la completa dissipazione della “nebbia di guerra”. In futuro, questa caratteristica sarà ulteriormente accentuata dallo sviluppo di soluzioni informatiche sia senza pilota che spaziali (i veicoli spaziali da combattimento, in sostanza, sono anch’essi dei droni) e di rete.

Il miglioramento dei mezzi di sorveglianza, sensori, capacità di calcolo, reti informatiche, metodi di trasmissione ed elaborazione dei dati e IA crea in prospettiva un ambiente informativo globale unificato terrestre-aereo-spaziale (“spazio informativo di combattimento”) che garantisce una trasparenza tattica, operativa e strategica unificata e sempre più ampia.

Già oggi si può parlare di una cancellazione dei confini delle operazioni militari a livello tattico, operativo e strategico.

Un’importante conseguenza della “trasparenza” del campo di battaglia è stato il nuovo volto della guerra, dimostrato nel corso dell’operazione militare speciale in Ucraina. Alla base di ciò vi è innanzitutto un’elevata dispersione e una densità molto bassa delle forze e dei loro schieramenti. Le possibilità di ricognizione, individuazione, designazione degli obiettivi e colpi di alta precisione, aumentate in modo radicale, determinano una vulnerabilità significativamente più elevata sia dei gruppi di truppe, dal livello delle unità tattiche a quello delle unità operative e operativotattiche, sia dei singoli oggetti di equipaggiamento militare. Il risultato è l’impossibilità di trasferire e concentrare in modo discreto forze e mezzi nelle direzioni di concentrazione degli sforzi principali, il che cambia radicalmente la stessa filosofia di impiego delle truppe.

Il fattore principale nello spazio informativo bellico durante la guerra speciale è stata l’introduzione e l’uso massiccio di Internet basato sul sistema Starlink. Per la prima volta nella storia sono stati realizzati una rete informativa accessibile a tutti, veloce e sufficientemente protetta e un sistema di scambio di dati. Questa tecnologia consente di collegare tutti i livelli di comando fino a quelli più bassi e garantisce la comunicazione e la guida sul campo di battaglia indipendentemente dalla distanza. Quest’ultimo aspetto ha rivoluzionato la navigazione con mezzi senza pilota, consentendo per la prima volta l’uso massiccio anche di piccoli mezzi senza pilota a una distanza teoricamente illimitata. Lo stesso risultato, sebbene con minore efficacia, si ottiene utilizzando reti commerciali di telefonia mobile per il controllo degli UAV.

Il prossimo passo nella rivoluzione informatica in questo settore sarà l’integrazione di soluzioni satellitari e cellulari di rete, che consentirà lo scambio globale di informazioni via satellite tramite un normale telefono cellulare e relativi dispositivi di comunicazione ultracompatti.

Ciò porterà a un’espansione esplosiva delle capacità dell’esercito, compreso il “collegamento” diretto di ogni militare sul campo di battaglia, la miniaturizzazione estrema dei sistemi di comunicazione che garantiscono un controllo illimitato delle truppe, compresi i mezzi senza pilota e le armi ad alta precisione. Ciò aumenterà notevolmente le capacità di condurre una guerra “a distanza”.

La rivoluzione informatica sta cambiando le forme e l’aspetto delle operazioni militari. La “trasparenza” del campo di battaglia e l’individuazione degli obiettivi in tempo reale stanno portando all’eliminazione della necessità di sparare in linea di vista a favore di sparare da posizioni coperte. Per secoli, sparare in linea di vista è stato alla base della sconfitta e, in sostanza, le tattiche erano costruite proprio intorno alla garanzia della sua efficacia. Ora non è più necessario vedere il nemico direttamente davanti a sé, gli obiettivi possono essere individuati a qualsiasi distanza e colpiti con mezzi ad alta precisione (in primo luogo i droni), lanciati al di fuori della linea di tiro del nemico. La sopravvivenza e la resistenza in combattimento di qualsiasi mezzo sparso a distanza per condurre il fuoco da posizioni coperte e i loro calcoli sono molto superiori a qualsiasi arma per condurre il fuoco in linea di vista. Ciò porta a un cambiamento fondamentale nella pianificazione dell’intero sistema di fuoco contro il nemico.

La crisi dei mezzi tradizionali

Questa circostanza, e non l’insufficiente protezione dai droni, è stata la causa principale della crisi delle forze corazzate. Il carro armato è il principale mezzo di fuoco a vista diretta e, in sostanza, è stato progettato come piattaforma protetta per condurre tale fuoco. Ora è un bersaglio facilmente individuabile e colpibile, con un sistema d’arma poco efficace per colpire a distanza visiva. Di conseguenza, il carro armato ha perso il suo significato di principale mezzo di sfondamento e manovra dell’esercito.

I tentativi di aumentare la sopravvivenza e il potenziale bellico dei carri armati dotandoli di sistemi di protezione attiva, UAV e armi a lungo raggio non sembrano ancora adeguati dal punto di vista del rapporto “costo-efficacia”. Non è chiaro quale vantaggio possa apportare sul campo di battaglia un veicolo vulnerabile e con capacità di armamento limitate, il cui costo si avvicina a quello di un aereo da caccia. Per quanto riguarda il carro armato come vettore di UAV o di mezzi di distruzione ad alta precisione oltre l’orizzonte, perché utilizzare un carro armato come piattaforma, chiaramente eccessivo in termini di protezione e peso? Non ci sono risposte a questa e ad altre domande.

Si può anche notare una crisi dell’artiglieria. Il conflitto militare in Ucraina sembra aver riportato l’artiglieria con munizioni non guidate sul piedistallo del “dio della guerra”. Tuttavia, dietro a ciò si intravede la controversia sull’uso di costosi cannoni con un elevato consumo di munizioni molto costose per risolvere compiti di fuoco che possono essere risolti su un campo di battaglia “trasparente” con droni e altri mezzi di alta precisione. Il requisito fondamentale per l’artiglieria moderna è l’aumento della gittata di tiro, ma per colpire efficacemente a distanze significative sono necessari colpi guidati ad alta precisione (compresi quelli missilistici). La domanda logica è: è razionale utilizzare ingombranti sistemi di artiglieria come piattaforme per il lancio di tali munizioni?

Affermazioni nello spirito della famosa frase di Voroshilov, secondo cui «il cavallo darà ancora prova di sé» (oggi riferita ai carri armati o all’artiglieria), ignorano il fatto che anche le tecnologie senza pilota sono solo all’inizio del loro sviluppo. In questo senso, sembra più logico affermare che «anche i droni daranno prova di sé», soprattutto alla luce dell’ulteriore sviluppo delle tecnologie di rete e spaziali.

Pertanto, i droni stanno realmente rivoluzionando la scienza militare. Da un lato, influenzano un fattore chiave come la concentrazione di forze e mezzi, dall’altro rendono sostanzialmente superflue le manovre tattiche di forze e mezzi per garantire la vittoria. Questi cambiamenti fondamentali nella tattica e nell’arte operativa dovrebbero portare a una revisione non solo delle forme di combattimento, ma anche della struttura organizzativa delle forze armate.

Il conflitto postindustriale

La campagna in Ucraina ha posto fine a quasi un secolo di predominio delle concezioni di guerra meccanizzata tipiche delle società industriali. In questo senso, la guerra in Ucraina è stata il primo conflitto armato su vasta scala del XXI secolo, segnando una rivoluzione nell’arte militare: il passaggio alla “guerra digitale”. Tutte le tendenze già evidenti o appena delineate probabilmente si svilupperanno nel prossimo decennio, continuando a cambiare il volto dell’arte militare.

I tentativi di conciliare la realtà della transizione alla guerra “digitale” e “con i droni” con le condizioni della guerra meccanizzata, ad esempio mantenendo il ruolo precedente dei carri armati e delle unità corazzate, porteranno solo a una riduzione dell’efficacia delle forze armate, alla loro inadeguatezza alle nuove condizioni di combattimento, a costi e perdite inutili.

Alcuni aspetti di questo fenomeno, attualmente osservabili in Ucraina, sono causati piuttosto dal relativo ritardo tecnologico delle forze armate delle parti in conflitto, dalla carenza di droni e mezzi di informazione (da parte russa), che costringono a improvvisare con ciò che si ha a disposizione.

Oggi gli acquisti di droni FPV hanno raggiunto centinaia di migliaia di unità al mese per ciascuna delle parti, il che è paragonabile (se non superiore) ai volumi di produzione di proiettili di artiglieria. I droni FPV, attaccando letteralmente a sciami qualsiasi militare avvistato, sono diventati l’arma principale per colpire non solo i mezzi militari, ma anche il personale. Secondo le statistiche russe, all’inizio del 2025 i droni erano responsabili di oltre il 70% delle vittime tra i combattenti. La loro portata di utilizzo è in costante aumento e supera già le decine di chilometri, il che rende possibile il loro impiego nella lotta contro le batterie nemiche, nella distruzione delle comunicazioni, dei secondi echi nemici e nell’isolamento delle zone di combattimento. In futuro è prevedibile il passaggio a soluzioni di gruppo e di sciame, compresa la possibilità di controllare gruppi significativi di UAV da parte di un unico operatore, la creazione di UAV con un blocco hardware-software che consenta di utilizzare mezzi di distruzione senza l’intervento dell’operatore.

Si possono individuare tre fattori fondamentali della guerra dei droni e del loro impatto sull’organizzazione e sull’impiego militare delle truppe.

Primo. La necessità di una estrema dispersione delle forze e dei mezzi con una densità molto bassa delle formazioni di combattimento cambierà radicalmente l’organizzazione delle truppe e la loro interazione.

Secondo. Un forte aumento della profondità di distruzione delle parti in conflitto e dei loro mezzi fino alla profondità operativa. Le “zone di distruzione totale” raggiungeranno presto diverse decine di chilometri. Ciò rende impossibile manovrare e concentrare le truppe anche nella propria profondità operativa.

Terzo. La guerra ha messo in luce il difficile problema dell’approvvigionamento delle truppe, per il quale attualmente vengono utilizzati mezzi di trasporto facilmente vulnerabili, che possono essere colpiti con relativa facilità dal nemico (il problema era noto da tempo, ma era stato ignorato anche dagli strateghi sovietici). In condizioni di “guerra dei droni” e di enormi “zone di distruzione totale” delle forze e dei mezzi su tutta la profondità operativa, il problema dell’approvvigionamento in termini operativi, tattici e “microtattici” (“ultimo miglio del fronte”) diventa colossale e richiederà soluzioni non banali e rivoluzionarie.

Alcune questioni relative all’organizzazione delle truppe

Come dovrebbe essere la struttura organizzativa e organica delle forze armate per la “guerra dei droni”? Si tratta di una combinazione di unità d’assalto e sistemi senza pilota e mezzi di fuoco (fino al livello di plotone e squadra) non solo con droni, ma anche, ad esempio, con missili a guida ottica a fibra, nonché vari mezzi di lotta contro i sistemi senza pilota e di loro soppressione (dal livello di ogni combattente e ogni veicolo fino alle unità speciali). Tutte queste forze devono disporre di mezzi di rete il più possibile integrati, garantendo la guida del fuoco dei “livelli superiori” e dell’aviazione.

Il compito delle forze armate sarà quello di raggiungere la “supremazia dei droni” e poi garantirla.

L’avanzata della fanteria sul campo di battaglia deve essere effettuata utilizzando una combinazione di mezzi a seconda della situazione, tra cui marcia a piedi, motociclette, veicoli leggeri da trasporto, veicoli blindati e veicoli da combattimento altamente protetti con elevata efficacia di fuoco.

Questi BMP dovrebbero costituire la base dell’armamento corazzato e dell’equipaggiamento tecnico delle forze terrestri. La combinazione di un’elevata protezione con un peso moderato richiederà un livello inferiore di supporto tecnico, ingegneristico e di altro tipo. Sebbene sia possibile prendere in considerazione anche veicoli da combattimento pesanti con un peso simile a quello dei carri armati principali, il loro peso eccessivo e il loro costo, a nostro avviso, inducono a preferire veicoli “di compromesso” di peso “medio” – 30-40 tonnellate, come l’M2 Bradley, che si è dimostrato il “veicolo ideale” nella guerra ucraina. Dotare tali veicoli di mezzi per combattere i droni, in primo luogo quelli attivi, in combinazione con una protezione circolare e misure per migliorare la sopravvivenza (separazione del carico bellico, rimozione del carburante, ecc.) consentirà loro di garantire una maggiore sopravvivenza sul campo di battaglia anche in una “guerra dei droni”, ma di mantenere lo status di “materiale di consumo” adatto alla produzione di massa. La questione della creazione di unità di tali BMP (assegnando loro reparti di fanteria regolari o, al contrario, organizzando i BMP solo come “gruppi taxi”) richiede una considerazione a parte.

Al posto dei carri armati, le unità di fanteria dovrebbero utilizzare su larga scala veicoli pesanti da ingegneria militare e sminamento, ovvero piattaforme da combattimento con la massima protezione, sia strutturale che attiva contro i droni. Non hanno bisogno di armamenti pesanti, poiché questi ne ridurrebbero solo la sopravvivenza.

Le truppe devono disporre di un adeguato supporto logistico (logistico, tecnico, ecc.). Nelle condizioni della guerra moderna, il supporto logistico è di per sé una forma di combattimento con una costante opposizione agli attacchi nemici e deve disporre di un’organizzazione e di una tecnologia adeguate (anche senza equipaggio).

Pertanto, l’esercito del futuro non dovrebbe essere rigidamente suddiviso in corpi d’armata, ma, al contrario, dovrebbe essere una forza multifunzionale il più possibile unificata e integrata, in grado di operare in qualsiasi condizione di guerra moderna.

Riteniamo che tutti abbiano prestato attenzione al recente post pubblicato dal sito ucraino DeepState, che descrive la «nuova dottrina di fanteria» delle forze armate russe e dimostra chiaramente l’adattamento delle tattiche militari alle esigenze della «guerra dei droni». Si distinguono quattro aspetti chiave dei cambiamenti tattici da parte russa.

Primo. Aumento dell’uso di complessi robotici terrestri, munizioni alate vaganti e pesanti FPV, che porta alla “robotizzazione di alcuni processi di combattimento”. Attualmente si sta cercando di trasferire completamente il compito delle azioni d’assalto e dell’impatto di fuoco ai droni per impedire il rilevamento dei gruppi d’assalto.

Secondo. Passaggio all’azione di un gran numero di gruppi “dispersi” e di dimensioni minime, composti da sole 2-4 persone.

Terzo. Riduzione al minimo dei combattimenti a distanza e degli attacchi frontali alle posizioni nemiche e, in generale, dell’avvicinamento della fanteria al nemico, trasferendo il ruolo principale del supporto di fuoco dagli aerei d’assalto ai droni.

Quarto. Ampio ricorso alla tattica della lenta e “strisciante” infiltrazione o aggiramento delle posizioni principali del nemico con piccoli gruppi, anche utilizzando mezzi di camuffamento (mantelli, ecc.), penetrando il più profondamente possibile nelle retrovie, ricerca e neutralizzazione degli operatori di droni, dei mortai, ecc.

È evidente che la struttura, l’organizzazione e la tecnica delle truppe devono subire un adeguato adeguamento. Il tempo dei “grandi battaglioni” è finito.

Prospettiva fondamentale

Vale la pena notare che lo sviluppo dei modelli più diffusi di tecnologia senza pilota, già utilizzati in combattimento, si basa su soluzioni commerciali di massa, soprattutto provenienti dagli enormi mercati interni cinese e americano. Da un lato, ciò garantisce la loro elevata accessibilità. D’altra parte, le possibilità di una reale industrializzazione dei tipi più diffusi di UAV (mavic, droni FPV, piccoli UAV) nell’ambito di scenari autarchici e puramente sostitutivi delle importazioni sembrano ancora dubbie, soprattutto alla luce del rapido cambiamento delle soluzioni e dei modelli. I mezzi senza pilota e senza equipaggio più complessi per uso aereo, terrestre e marittimo richiedono lo sviluppo ai massimi livelli di mezzi di sorveglianza, capacità satellitari, sensori, potenza di calcolo, reti informatiche, metodi di trasmissione ed elaborazione dei dati e IA. Un Paese che non è in grado di soddisfare tutti questi requisiti è destinato a rimanere indietro in campo militare.

Il passaggio alla “guerra digitale” dimostra che nel secolo attuale il fattore chiave per lo sviluppo delle questioni militari e delle capacità belliche (e, più in generale, dello sviluppo della civiltà umana) è il miglioramento delle capacità di calcolo.

Essi garantiscono il potenziale in tutti gli altri settori sopra indicati. Le risorse dei paesi e delle alleanze dipenderanno proprio dallo sviluppo e dalla produzione di capacità di calcolo, e non dal controllo territoriale o delle risorse. Va inoltre sottolineato che lo sviluppo delle capacità di calcolo e delle reti basate su di esse (comprese quelle spaziali) per il controllo, il rilevamento, l’individuazione degli obiettivi e la trasmissione dei dati consentirà di creare sistemi automatizzati globali di ricognizione, attacco e difesa con una densità e un’efficacia di distruzione enormi. In particolare, potrebbero aumentare in modo significativo le capacità di contrastare i tradizionali mezzi di attacco missilistico nucleare, ovvero i sistemi di difesa antimissile raggiungeranno un nuovo livello. E questo comporta il rischio di svalutare le armi nucleari e il deterrente nucleare in linea di principio.

Nel medio termine, la Russia sarà in ritardo rispetto ai leader mondiali nello sviluppo delle capacità di calcolo (mancanza di competenze, capacità industriali e capacità del mercato interno). È necessario prestare immediatamente attenzione a questo aspetto, altrimenti il ritardo aumenterà, minacciando gli interessi strategici del Paese.

La Russia dispone delle risorse necessarie per correggere questa situazione e conserva anche un patrimonio scientifico e tecnologico. Tuttavia, il ritmo dei cambiamenti globali è tale che potrebbe semplicemente non essere possibile realizzare le opportunità disponibili.

La consapevolezza di ciò richiede di mettere da parte le divergenze politiche e concentrarsi sulla risoluzione urgente dei problemi amministrativi e tecnologici.

Autori:

Yuri Baluyevsky, generale dell’esercito, capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa (2004-2008);

Ruslan Pukhov, direttore del Centro di analisi delle strategie e delle tecnologie.

Limiti e potenzialità della forza militare

N. 6 2025 Novembre/Dicembre

DOI: 10.31278/1810-6439-2025-23-6-54-59

Jennifer Kavana

Ricercatore senior, direttore del dipartimento di analisi militare del centro di analisi Defense Priorities.

Per citare:

Kavana D. Limiti e possibilità della forza militare // La Russia nella politica globale. 2025. Vol. 23. N. 6. Pp. 54–59.

Club di discussione internazionale “Valdai”

La forza militare ha sempre avuto un ruolo centrale nell’approccio degli Stati Uniti alle questioni internazionali. Anche prima della seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti erano considerati una potenza isolazionista, essi ricorrevano volentieri e spesso alla forza militare per proteggere i propri interessi economici e influenzare gli eventi politici nei paesi dell’emisfero occidentale. Tuttavia, è stato proprio dopo la seconda guerra mondiale che il ruolo globale delle forze armate è aumentato notevolmente, poiché sono diventate la base dell’enorme impero americano che ha conquistato l’Europa, l’Asia e il Medio Oriente.

I compiti affidati alle centinaia di migliaia di militari che gli Stati Uniti hanno dispiegato in tutto il mondo negli ultimi otto decenni sono numerosi e vari: proteggere gli alleati, prevenire le minacce prima che raggiungano le coste statunitensi, garantire l’accesso ai mercati, diffondere la democrazia e i valori liberali. All’interno del Paese vengono spesso propagandati anche altri vantaggi della politica estera militarizzata degli Stati Uniti. I funzionari americani dichiarano agli elettori che le spese per la difesa creano posti di lavoro e stimolano l’innovazione tecnologica, mentre la presenza di forze armate potenti è considerata una fonte di patriottismo e orgoglio nazionale.

Nel corso di decine di operazioni militari, l’America ha ottenuto numerosi successi tattici, ma questi non sempre hanno portato a vittorie strategiche.

Il prezzo delle avventure militari era estremamente alto, sia all’interno del Paese che al di fuori dei suoi confini.

Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno speso trilioni di dollari in interventi militari che hanno causato la perdita di oltre centomila vite americane, una diminuzione dell’influenza geopolitica e la comparsa di nuovi nemici statali e non statali. I paesi in cui gli Stati Uniti hanno cercato di dimostrare la loro potenza militare raramente migliorano dopo il ritiro delle truppe americane (ammesso che se ne vadano), mentre alcuni si ritrovano in una situazione notevolmente peggiore. I politici americani hanno dovuto affrontare il fallimento di ambiziosi progetti di costruzione di altri Stati e di un ordine mondiale.

Poiché molti paesi investono ingenti risorse nel potenziamento delle proprie forze armate e utilizzano la potenza militare per promuovere la propria influenza e i propri interessi, possono trarre insegnamento da ciò che hanno fatto gli Stati Uniti e da ciò che non dovrebbero fare. Ci sono molte ragioni per cui gli americani hanno avuto difficoltà a raggiungere i propri obiettivi, nonostante il vantaggio spesso significativo in termini di capacità, risorse e numero di effettivi. Tuttavia, i fallimenti più grandi si sono verificati quando la forza militare è stata utilizzata per scopi per cui non era destinata.

L’esperienza americana dimostra che, nonostante tutti i suoi vantaggi, la forza militare ha un campo di applicazione molto limitato. È utile per conquistare e difendere il territorio, proteggere le vie navigabili e lo spazio aereo, garantire la sicurezza fisica in punti strategici chiave e creare costi per il nemico. Le minacce militari possono talvolta essere utilizzate come leva per esercitare pressioni su altri Stati o costringerli a concessioni economiche o politiche.

Ma la forza militare ha dei limiti. Non garantisce il raggiungimento degli obiettivi politici e solo occasionalmente contribuisce a promuovere quelli economici.

I risultati delle campagne statunitensi in Iraq e Afghanistan ci ricordano che, sebbene i militari siano in grado di rovesciare i governi, non sono in grado di ricostruirli. L’esercito può distruggere i ribelli, ma raramente è efficace nel combattere le idee che li animano. I militari possono essere ben addestrati ed efficaci nel loro lavoro, ma ciò non significa che siano altrettanto bravi nell’addestrare o rafforzare le forze armate di altri paesi. I militari possono conquistare territori o risorse economicamente preziosi, ma non possono garantire una bilancia commerciale favorevole, creare potenziale industriale o generare crescita economica. Negli Stati Uniti, le elevate spese militari non hanno portato benefici al lavoratore medio, ma hanno invece contribuito ad aumentare le disuguaglianze e distolto risorse dalle priorità interne.

Queste limitazioni dovrebbero indurre anche le grandi potenze a diffidare di un eccessivo affidamento alla forza militare, ma non sminuiscono l’importanza di disporre di un potenziale autosufficiente, soprattutto nel mondo moderno. Per tutti i paesi è indispensabile disporre di forze armate sufficientemente potenti per difendere il proprio territorio e di essere in grado di fornire a tali forze le attrezzature necessarie sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Gli Stati che non hanno investito nelle forze armate nella misura necessaria si trovano ad affrontare sia una vulnerabilità fisica che la probabilità di diventare geopoliticamente irrilevanti. È proprio in questa situazione che si trova oggi l’Europa, incapace di influenzare le decisioni relative alla propria sicurezza. Al contrario, gli Stati che hanno creato forze armate potenti e basi industriali di difesa sono riusciti a utilizzare queste risorse per proteggersi e, in alcuni casi, per migliorare la propria posizione strategica, ma solo fino a un certo punto. È necessario un certo insieme di capacità di base, ma al di là di esso gli investimenti militari aggiuntivi non sempre giustificano le opportunità perse e talvolta creano più rischi (coinvolgimento ed escalation) che vantaggi in termini di leva economica e politica.

La crescente importanza della potenza militare, tuttavia, non significa che il suo utilizzo efficace diventerà più semplice.

Di fatto, i cambiamenti tecnologici rendono più difficile l’uso della forza anche per i paesi più preparati a sfruttare i progressi tecnologici per creare sistemi d’arma all’avanguardia.

Citerò due esempi.

In primo luogo, la diffusione di armi a basso costo ha democratizzato l’accesso alla potenza militare. È diventato molto più facile per piccoli gruppi ribelli e Stati deboli procurarsi una quantità sufficiente di droni, munizioni vaganti e missili a basso costo da impedire anche a forze armate potenti, come quelle americane, di raggiungere i propri obiettivi.

I piccoli Stati e le formazioni non statali potrebbero non essere mai in grado di sconfiggere un nemico molto più grande. Tuttavia, sono in grado di impedirgli di raggiungere i propri obiettivi, contendendogli lo spazio aereo e i punti di controllo marittimi, utilizzando droni per rendere impossibile un’offensiva terrestre. Lo abbiamo visto chiaramente nel Mar Rosso, dove gli Houthi hanno interrotto la navigazione, nonostante i continui sforzi degli Stati Uniti per reprimere la loro campagna. Mentre gli Houthi attaccavano le navi mercantili con droni del valore di diecimila dollari, l’esercito americano ha speso miliardi in munizioni, prima di ricorrere alla diplomazia per concludere un armistizio.

Questa tendenza livella le possibilità e rende difficile anche agli Stati con una potenza militare schiacciante raggiungere obiettivi tattici sul campo di battaglia, per non parlare di quelli politici.

In secondo luogo, per ottenere un vantaggio in questa complessa situazione militare, gli Stati ricorrono a nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, l’ipersonica e la meccanica quantistica. Uno dei settori interessati dalla ricerca di capacità sempre più avanzate è quello dei missili a lungo raggio, sia convenzionali che nucleari. I missili di ultima generazione sono in grado di volare più lontano, più velocemente e di trasportare una maggiore potenza di fuoco. Grazie ai nuovi sistemi di rilevamento e controllo, riescono a eludere con maggiore efficacia la difesa antiaerea e a individuare i bersagli, infliggendo danni significativi da lontano. Negli ultimi anni, l’esercito americano fa sempre più affidamento sulle cosiddette capacità “oltre l’orizzonte” nelle operazioni antiterrorismo in Medio Oriente e ora anche nella lotta contro i trafficanti di droga in America Latina, al fine di ridurre la dipendenza da operazioni terrestri e marittime su larga scala. Inoltre, si prevede che nei conflitti futuri assumeranno un ruolo sempre più importante i missili a lungo raggio, in grado di colpire obiettivi terrestri, aerei e marittimi.

Le tecnologie missilistiche avanzate sono in grado di produrre effetti impressionanti, ma il loro utilizzo è soggetto a severe restrizioni. Il controllo del territorio, dello spazio aereo e delle vie navigabili richiede sempre una presenza fisica. I missili a lungo raggio comportano costi elevati e danno agli Stati un senso di maggiore forza e sicurezza, ma non sono in grado di rafforzare l’influenza politica, influenzare gli indicatori economici o garantire una sicurezza reale e a lungo termine.

Inoltre, comportano enormi rischi di escalation e errori di valutazione, aumentando la probabilità di conseguenze catastrofiche.

Le conseguenze politiche ed economiche richiederanno sempre qualcosa di più della potenza militare, indipendentemente dalla perfezione dei missili o dalla varietà delle armi. Un mondo in cui la potenza militare diventa sempre più importante, diffusa e allo stesso tempo sempre più difficile da usare è un mondo pieno di rischi. Con l’aumento del potenziale militare degli Stati, può sorgere la tentazione di ricorrere ampiamente alla forza e alla minaccia della forza per raggiungere diversi obiettivi. Tuttavia, l’esperienza degli Stati Uniti permette di prevedere le conseguenze spesso negative di una tale strategia.

Le guerre potrebbero diventare più frequenti e molto probabilmente saranno combattute all’ultimo sangue, con grandi perdite e risultati lenti. Anche il rischio di escalation rimarrà elevato, poiché gli Stati dovranno cercare qualsiasi fonte di vantaggio, che si tratti di nuove armi o dell’estensione del conflitto nello spazio o sott’acqua. E, come spesso è accaduto con gli Stati Uniti, con l’aumento dei costi militari, le possibilità di successo tendono a diminuire, senza lasciare nulla da offrire in cambio dei danni o delle distruzioni causati.

La potenza militare è importante per gli Stati che aspirano a svolgere un ruolo nel mondo della politica di forza. Ma si tratta di uno strumento specializzato, che è meglio utilizzare con parsimonia e cautela. Nel processo di militarizzazione degli Stati, la diplomazia diventa sempre più importante, anziché meno. È inoltre necessario instaurare una comunicazione tra alleati e avversari per chiarire e rispettare le “linee rosse”, nonché stabilire dei confini che prevengano malintesi. Le vecchie regole e norme non sono adatte al mondo moderno. Possiamo e dobbiamo crearne di nuove. Si tratta di un progetto in cui grandi potenze come Cina, Russia e Stati Uniti devono assumere un ruolo di primo piano.

Autore: Jennifer Kavanagh, ricercatrice senior e direttrice del dipartimento di analisi militare presso l’organizzazione Defence Priorities (Stati Uniti).

Questo materiale è stato preparato per la riunione annuale del Club di discussione internazionale “Valdai” nell’ottobre 2025 e pubblicato sul sito web: https://ru.valdaiclub.com/a/highlights/

Dove sta andando l’Occidente?_di Peter Slezkin

Dove sta andando l’Occidente?

N. 6 2025 Novembre/Dicembre

DOI: 10.31278/1810-6439-2025-23-6-48-52

Peter Slezkin

Ricercatore senior e direttore del programma russo dello Stimson Center (Washington) e conduttore di The Trialogue Podcast.

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Per citare:

Sleozkin P. Dove sta andando l’Occidente? // La Russia nella politica globale. 2025. Vol. 23. N. 6. Pp. 48–52.

Club di discussione internazionale “Valdai”

L’Occidente ha dominato per secoli, ma il suo potere relativo sta diminuendo rapidamente. Gli europei – e i coloni di origine europea – sono sempre stati una minoranza a livello mondiale, ma per molto tempo hanno dominato i corridoi del potere. Questa influenza sproporzionata sta chiaramente diminuendo e probabilmente continuerà a diminuire nei prossimi decenni.

Tuttavia, il declino non equivale alla sostituzione. L’Occidente potrebbe perdere la capacità di dettare le proprie condizioni. Le sue istituzioni, i suoi codici culturali e le sue tendenze morali alla moda potrebbero perdere attrattiva. Ma continueremo a vivere in un mondo globalizzato di origine occidentale. I nostri sistemi educativi e scientifici, le nostre forme di governo, i nostri meccanismi giuridici e finanziari, il nostro ambiente materiale: tutto questo si basa su fondamenti occidentali.

Detto questo, possiamo passare alle questioni principali. Quale tipo di dominio occidentale sta declinando? E cosa dobbiamo aspettarci dall’Occidente in futuro?

La storia dell’egemonia occidentale può essere suddivisa in due epoche. Fino al 1945, l’Occidente non era un insieme omogeneo, ma un gruppo di Stati in competizione tra loro.

La rivalità all’interno di un Occidente frammentato ha rappresentato uno stimolo fondamentale per l’espansione esterna.

Dopo il 1945, il quadro cambiò radicalmente. Sotto l’egida degli Stati Uniti, per la prima volta nella storia, nacque un Occidente politicamente unito. Tuttavia, dopo aver consolidato l’Occidente politico, i funzionari americani non costruirono una politica estera su questa base. Hanno invece proclamato l’Occidente leader del “mondo libero”, definito in modo residuale e negativo come l’intero “mondo non comunista”. Il nucleo occidentale consolidato dell’ordine americano del dopoguerra era quindi doppiamente indebolito: era identificato con il minimo comune denominatore del liberalismo globale, che a sua volta dipendeva dalla minaccia esterna per preservare l’unità interna.

Il crollo dell’Unione Sovietica non ha cambiato questa logica. L’Occidente ha continuato a identificarsi con la “comunità internazionale” e, quando la democrazia liberale non è riuscita a diffondersi in tutto il mondo, è tornato a difendere il “mondo libero” prima dall'”Islam radicale” e poi dai nemici tradizionali della guerra fredda: Russia e Cina. L’amministrazione di Joseph Biden ha rappresentato sia il culmine che la conclusione di questo approccio di politica estera. Biden è entrato alla Casa Bianca e, proclamando il confronto tra democrazia e autocrazia, ha cercato di stabilire legami tra Europa e Asia nell’ambito di un’alleanza globale contro la Russia e la Cina.

Ma il risultato, soprattutto dopo l’inizio della campagna in Ucraina, non è stata l’unità dell’«ordine liberale» globale, bensì un divario sempre più evidente e in rapida crescita tra le pretese universalistiche dell’Occidente e le sue limitate capacità. L’Europa ha marciato al passo. Il resto del mondo ha seguito per lo più la propria strada.

Alla fine, l’«ordine liberale» è stato rifiutato non solo dal non-Occidente, ma anche dall’elettorato americano, che per la seconda volta ha votato a favore del principio «l’America prima di tutto».

Allora, dove sta andando l’Occidente? Vedo tre possibili strade.

Il primo è una restaurazione liberale limitata. È ipotizzabile che le élite europee superino l’opposizione interna, sopravvivano a Donald Trump e trovino sostegno in un presidente democratico che prometta un parziale ritorno allo status quo. L’infrastruttura atlantista è forte e l’inerzia è una forza potente. Ma anche nel caso di una restaurazione post-Trump, l’antipatia di una parte significativa della popolazione nei confronti del programma di internazionalismo liberale porterà a una forte opposizione, mentre la carenza di risorse continuerà a limitare le possibilità occidentali.

Il secondo percorso è un vero e proprio ritiro americano, inteso come rinuncia all’impero a favore della nazione. Dal punto di vista politico, una mossa del genere sarebbe molto popolare. La promessa di mettere al primo posto gli interessi dei cittadini è senza dubbio allettante per gli elettori. Gli appelli alla supremazia degli interessi della nazione trovano eco in molti paesi europei. Il nazionalismo si inserisce naturalmente nel quadro della politica democratica. Inoltre, rappresenta un’alternativa evidente all’ortodossia del universalismo liberale. Una politica più nazionalista è alla base di MAGA e “America First”, e figure come Steve Bannon e altri commentatori di destra promuovono attivamente questo programma. Il rifiuto di finanziare USAID, “Radio Liberty” (riconosciuta in Russia come agente straniero e organizzazione indesiderabile. – Nota dell’editore.) e del National Endowment for Democracy (riconosciuto in Russia come organizzazione indesiderabile. – Nota dell’editore.) rappresenta un passo significativo in questa direzione. La nuova strategia di difesa, che ha come priorità la protezione del territorio nazionale, potrebbe accelerare l’allontanamento da una politica estera orientata alla leadership nell’ambito dell’«ordine liberale».

Tuttavia, gli impegni esistenti sono difficili da rompere. Le élite atlantiste continuano a occupare posizioni chiave all’interno e all’esterno del governo, mentre le strutture estese e complesse della NATO e dell’Unione Europea probabilmente rimarranno inalterate, anche se i partiti populisti dovessero arrivare al potere nella maggior parte dei paesi occidentali. Non meno importante è il fatto che i leader nazionalisti occidentali sembrano comprendere che una ricerca coerente della sovranità nazionale renderebbe i loro paesi troppo deboli per godere di una reale autonomia sulla scena internazionale. Se gli Stati Uniti limiteranno la loro sfera di influenza all’emisfero occidentale, il progetto di integrazione europea quasi certamente fallirà. In un mondo di potenze gigantesche, i paesi europei non potranno occupare una posizione sproporzionatamente elevata (come era prima del 1945). I partiti populisti e nazionalisti in Europa, che si oppongono alle strutture transatlantiche dell'”ordine liberale”, non mirano a una rottura completa con Washington. Gli Stati Uniti sono abbastanza forti (e ben protetti) da mantenere una posizione relativamente influente nel sistema internazionale anche in caso di completo abbandono dell’impero. Ma la maggior parte dei sostenitori di MAGA non ha in mente un ritiro completo. Come minimo, partono dalla necessità di mantenere il dominio americano da Panama alla Groenlandia. In definitiva, la maggior parte dei sostenitori dello slogan “America first” preferirebbe mantenere il controllo su tutto l’Occidente.

La terza e ultima opzione è una nuova consolidazione transatlantica, in cui la logica dell’universalismo liberale sarà sostituita da un paradigma civilizzatore con gli Stati Uniti nel ruolo di metropoli e l’Europa in quello di periferia privilegiata. Se la leadership americana nell’«ordine liberale» rappresentava (secondo Trump e il suo entourage) un puro spreco di risorse, la nuova struttura transatlantica potrebbe invertire il flusso. Allo stesso tempo, offrirebbe ai paesi europei l’adesione a un club con una popolazione sufficientemente numerosa e risorse sufficientemente potenti per competere sulla scena globale. Infine, l’adesione al club occidentale non avrebbe richiesto il sacrificio dell’identità nazionale in nome del liberalismo globale. Al contrario, avrebbe contribuito all’affermazione dell’identità nazionale e occidentale invece che a una politica di immigrazione illimitata e di espansione infinita.

La costruzione di un vero e proprio «Occidente collettivo» significherebbe accettare la multipolarità e tentare di creare il polo più potente del sistema.

Probabilmente avrebbe anche portato a un riposizionamento dalla logica dei “carri armati e delle truppe”, necessaria per la guerra fredda con l’Unione Sovietica, alla logica della tecnologia e del commercio, più adatta alla concorrenza con la Cina. Il discorso del vicepresidente Jay D. Vance al vertice sull’intelligenza artificiale a Parigi, la sua dura critica agli atlantisti alla conferenza sulla sicurezza di Monaco e il recente discorso di Trump alle Nazioni Unite mirano a spingere l’Europa a riorganizzarsi in questa direzione. Gli sforzi per ridistribuire gli oneri nella NATO, così come i recenti accordi commerciali con la Gran Bretagna e l’UE, sono passi concreti in questa direzione.

Il problema è che l’Occidente si è dissolto in un “ordine liberale” minimalista e ha rinunciato alla maggior parte del contenuto civilizzatore su cui avrebbe potuto fare affidamento. Il canone occidentale nell’istruzione superiore è stato in gran parte distrutto. Anche la pratica religiosa in Occidente è in declino. Il cristianesimo rimane una forza potente nella politica americana (come abbiamo visto all’addio a Charlie Kirk). Ma l’Occidente non può più definirsi un mondo cristiano. Oggi l’idea di un “Occidente collettivo” come polo dell’ordine mondiale attira solo un piccolo numero di influenti intellettuali della “nuova destra”, nonché geopolitici e titani della tecnologia che vogliono raggiungere un “effetto di scala” (ma capiscono che non è possibile inghiottire il mondo intero).

Tutte e tre le opzioni incontrano degli ostacoli. Inoltre, tali opzioni non sono mutuamente esclusive. L’esito più probabile sarà una combinazione imbarazzante di tutte e tre. L’inerzia burocratica favorisce la prima opzione, ovvero una limitata restaurazione liberale, la logica della politica interna porta alla seconda, ovvero una consolidazione nazionalista, mentre gli imperativi geopolitici richiedono la terza, ovvero la creazione di un vero e proprio “Occidente collettivo”.

In ogni caso, gli Stati Uniti sono in grado di mantenere una posizione vantaggiosa. Le strutture dell’«ordine liberale» rimangono forti, nonostante le crescenti crepe nelle fondamenta, ma l’amministrazione Trump continuerà a insistere sul rinnovamento delle relazioni transatlantiche verso una consolidazione più consapevole del blocco occidentale, unito da un approccio comune al commercio, alle alte tecnologie e alla gestione delle risorse. Se l’Europa non accetterà il suo nuovo ruolo o non sarà in grado di gestirlo, Washington potrebbe liberarsi del peso e ritirarsi sulle posizioni preparate nell’emisfero occidentale.

Autore: Pyotr Slyozkin, ricercatore senior e direttore del programma russo dello Stimson Center (USA).

Questo materiale è stato preparato per la riunione annuale del Club di discussione internazionale “Valdai” nell’ottobre 2025 e pubblicato sul sito web: https://ru.valdaiclub.com/a/highlights/ 

Confucio sognava l’equilibrio di potere?

Il nuovo orientalismo alla ricerca della maggioranza mondiale

N. 4 2025 ottobre/dicembre

DOI: 10.31278/1810-6374-2025-23-4-192-217

Alexander V. Solovyov

Russia in Global Affairs
Vicedirettore responsabile;
Università Nazionale di Ricerca – Scuola Superiore di Economia, Mosca, Russia
Docente invitato

ID AUTORE

SPIN RSCI: 7701-8673
ORCID: 0000-0003-2897-0909
ResearcherID: Y-6177-2018

Contatti

E-mail: a.soloviev@globalaffairs.ru
Tel.: (+7) 495 980 7353
Indirizzo: Fondazione per la ricerca in politica estera, 623, Mosca 119049, Russia.

Abstract

Nel crescente dibattito sulla Maggioranza Mondiale, una domanda fondamentale è: quali paesi ne fanno parte? Alcuni suggeriscono che i paesi della Maggioranza Mondiale costituiscono civiltà in cui la storia delle relazioni interstatali “non è mai stata intesa in termini di competizione, lotta feroce o anarchia, che possono essere controbilanciate solo dal predominio del potere di singoli stati o alleanze”. Questo articolo esamina tale tesi alla luce del tradizionale sistema tributario dell’Asia orientale e del grado in cui esso continua a influenzare la visione cinese moderna delle relazioni internazionali. Le idee di politica estera, caratteristiche dell’Asia orientale sinocentrica, vengono analizzate utilizzando testi classici antichi e medievali, alcuni dei quali poco noti agli specialisti di relazioni internazionali. I risultati mettono in dubbio una concettualizzazione della “maggioranza mondiale” basata sulla tradizione storica.

Parole chiave

Teoria delle relazioni internazionali (IRT), sistema tributario, sistema westfaliano, pensiero politico dell’Asia orientale, anarchia, gerarchia, alleanze, equilibrio, bandwagoning, egemonia, pragmatismo morale.

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Per la citazione, si prega di utilizzare:
Solovyov, A.V., 2025. Confucio sognava l’equilibrio di potere? Russia in Global Affairs, 23(4), pp. 192–217. DOI: 10.31278/1810-6374-2025-23-4-192-217

“L’estremo è il mio declino.

 Da molto tempo non sogno più,

come ero solito fare,

che ho visto il duca di Zhou.

Confucio. Analecta, 7:5
(Tradotto da James Legge)

Il pensiero politico spiega (concettualizza) o giustifica (legittima) l’azione politica. Nel primo caso, i vincoli e gli incentivi alla ricerca sono principalmente teorici e metodologici. Nel secondo caso, invece, gli studiosi possono essere guidati da questioni contemporanee urgenti, che portano a generalizzazioni affrettate e conclusioni infondate. Più la questione è delicata, maggiore è il rischio di commettere tali errori.

Un esempio lampante di tale generalizzazione è stato fornito da Timofei Bordachev dopo la conferenza del Club Valdai del novembre 2024. Contrastando la visione della politica internazionale dei paesi della maggioranza mondiale con «il ragionamento tradizionale europeo caratterizzato da giudizi categorici e dalla ricerca del conflitto come motore principale del cambiamento nell’economia e nella politica mondiale», egli sostiene che la storia delle relazioni interstatali in questi paesi «non è mai stata compresa nel quadro concettuale europeo: competizione, lotta dura e anarchia, che possono essere controbilanciate solo dal predominio del potere dei singoli Stati o delle alleanze». Egli descrive il modo di pensare non europeo come il riflesso di un “ambiente geografico… dove non possono esistere relazioni alleate permanenti né conflitti di forte carica ideologica” (Bordachev, 2024).

Ciò suggerisce due importanti tesi metodologiche. Le civiltà possono essere classificate in base ai modelli di pensiero storico-politico che non possiedono (essenzializzazione negativa). E le relazioni internazionali occidentali non sono in grado di spiegare e descrivere adeguatamente il pensiero politico e il comportamento dei paesi della maggioranza mondiale.

I dubbi sull’universalità delle teorie occidentali non sono affatto una novità nelle relazioni internazionali (si vedano, ad esempio, le opere ormai classiche di Acharya e Buzan, 2007; Hobson, 2012). Tuttavia, l’Asia orientale, con la sua particolare venerazione per la storia e le testimonianze scritte, offre una base particolarmente utile per analizzare la storia del pensiero delle relazioni internazionali, comprese le affermazioni sopra riportate al riguardo.

La discussione sul pensiero politico dell’Asia orientale (principalmente cinese) e sulla sua influenza sul comportamento politico è probabilmente iniziata con l’articolo di Qin Yaqing (2007) sui fondamenti ideologici e filosofici di una potenziale “scuola cinese di relazioni internazionali”. Gradualmente, altri si sono uniti e hanno ampliato la discussione (si veda una breve panoramica di alcune delle argomentazioni in: Kozinets, 2016, pp. 107-108; Kang, 2020). Tuttavia, anche prima di allora, i sinologi russi avevano discusso due diverse linee di pensiero tradizionale cinese sull’ordine mondiale: la “monarchia costruttrice di mondi” universalista ed espansionista e il sistema contrattuale e isolazionista di Stati uguali (ad esempio, Goncharov, 1986, pp. 5-6, 12).

Molto illustrativa è la discussione tra John J. Mearsheimer e Yan Xuetong sul rapporto, nella tradizione politica storica e moderna cinese, tra potere (compresa la natura e l’efficacia dell’equilibrio di potere) e moralità, tra norme e comportamento, e tra aspirazioni egemoniche e loro contenimento (Dialogue, 2013; Mearsheimer, 2014; Yan, 2016). Entrambi gli studiosi hanno attinto con entusiasmo alle prove storiche per sostenere le loro posizioni, che sono ugualmente distanti l’una dall’altra e da quella di Bordachev. Mearsheimer sostiene che la politica storica della Cina è quella di una grande potenza: “La Cina si è comportata proprio come le altre grandi potenze, vale a dire che ha una ricca storia di azioni aggressive e brutali nei confronti dei suoi vicini”, utilizzando le massime confuciane per giustificare ideologicamente e moralmente tale aggressività (Mearsheimer, 2014). Yan Xuetong, al contrario, ritiene che la moralità confuciana (e qualsiasi altra) abbia effetti reali di limitazione o stimolo sul comportamento della politica estera (Yan, 2016, pp. 6-8).

Suggerisco di ampliare questa discussione rivolgendoci ad opere che sono abbastanza note agli studiosi dell’Asia orientale, ma non agli esperti di relazioni internazionali.

L’ORIENTE INCONTRA L’OCCHIDENTE: IL MONDO È UN REGNO PUBBLICO O UN CAMPO DI BATTAGLIA DELLA POLITICA DI POTERE?

Alla fine di agosto del 1880, al ritorno da una missione diplomatica a Tokyo, il funzionario Chosŏn Kim Hongjip presentò al re Kojong la Strategia per la Corea (朝鮮策略) scritta dal diplomatico cinese Huang Zunxian. Questo “documento politico per eccellenza” (Hirano, 2005, p. 3) è considerato emblematico del pensiero politico estero cinese di quel periodo. Esso analizzava la situazione internazionale della Corea, identificava l’espansione russa come la principale minaccia[1] e proponeva delle contromisure.

Huang Zunxian identificò la Russia come la principale minaccia per diversi motivi: le sue enormi dimensioni, la forza del suo esercito e della sua marina militare (“più di un milione di soldati d’élite e… più di duecento grandi navi”) e il suo espansionismo “naturale-storico”. Riguardo a quest’ultimo aspetto, la Strategia sottolineava che la Russia si stava avvicinando inesorabilmente ai confini della Corea e avvertiva: “Se la Russia vuole conquistare [nuovi] territori [nell’Asia orientale], inizierà sicuramente dalla Corea” (Huang, 1880, pp. 47-48). Per contrastare l’espansione russa, la Strategia raccomandava che Chosŏn “rimanesse vicina alla Cina, stringesse legami con il Giappone, si alleasse con gli Stati Uniti e perseguisse una politica di auto-rafforzamento” (Ibid).

Per gli specialisti di relazioni internazionali, le argomentazioni di Huang Zunxian ricordano molto (in alcuni casi, quasi alla lettera) i fattori determinanti della percezione della minaccia esterna formulati da Stephen Walt più di un secolo dopo: potere aggregato, vicinanza, capacità offensiva e intenzioni offensive (Walt, 1985, p. 9). Infatti, la proposta di Huang Zunxian di un equilibrio esterno (alleanze internazionali) e di un equilibrio interno (auto-rafforzamento) contro la potenziale egemonia regionale (Russia) è parallela alla teoria dell’equilibrio di potere di Kenneth Waltz (1979, p. 168). Il termine “equilibrio di potere” (均勢) era familiare a Huang Zunxian (Huang, 1880, p. 53).

La Strategia ebbe un forte impatto sulla classe politica di Chosŏn. Wang Kojong ne ordinò un’ampia diffusione. Fu accolta con ostilità dai confuciani tradizionalisti,[2] ma ispirò i modernizzatori per molti anni. Nell’autunno del 1885, il giovane intellettuale coreano Yu Kilchung compilò un Trattato sulla neutralità (中立論), proponendo una politica estera basata in gran parte sulla Strategia. A suo avviso, le relazioni internazionali sono del tutto predatorie: “Il desiderio dei forti di annettere i deboli, il desiderio di uno Stato grande di assorbire uno piccolo: questo è un impulso naturale della natura umana” (Yu, 1885, p. 321). E gli Stati sono aggressivi: “[nascosto] nel profondo dell’anima di ogni Stato, il desiderio di guerra non si è dissipato” (Ibid, p. 325). Yu Kilchung era scettico sull’efficacia dell’equilibrio di potere: “I russi ci tengono d’occhio da tempo, ma non hanno ancora osato muoversi. Sebbene si ritenga che [essi] siano frenati dall’equilibrio di potere, in realtà hanno paura della Cina”[3] (Ibid).

Dubitando dell’efficacia dei trattati bilaterali, Yu Kilchung propose di creare un sistema di accordi multilaterali che garantisse la neutralità della Corea e allo stesso tempo promuovesse “l’autoconservazione degli altri paesi” (Ibid, pp. 326-327). Egli essenzialmente concepì un sistema di sicurezza collettiva dell’Asia orientale basato su trattati e garanzie reciproche. La Cina avrebbe dovuto guidare questo sistema, data la sua autorità morale e militare. Infatti, Yu Kilchung chiese di garantire la sicurezza della Corea principalmente a spese della Cina (Huh, 2017, p. 58), poiché in una tale configurazione quest’ultima avrebbe perso la sua posizione esclusiva di sovrana della Corea.

Le idee di Huang Zunxian e Yu Kilchung sono ancora oggi molto richieste, almeno nella Corea del Sud. L’influenza di Yu Kilchung è evidente nell’interpretazione sudcoreana del “middlepowermanship” (Shin, 2012, pp. 138-139), mentre le disposizioni della Strategia sono utilizzate dai pubblicisti per descrivere l’espansione della Cina nella regione Asia-Pacifico e i mezzi per contrastarla (Chosun Ilbo, 2013).

Tuttavia, le intuizioni di Huang Zunxian e Yu Kilchung non sono impeccabili come prove contro l’affermazione che nel pensiero politico dell’Asia orientale non esistesse il concetto di alleanze e di equilibrio. Dopo tutto, essi interpretarono non solo l’esperienza empirica delle interazioni cinesi e coreane con le potenze occidentali, ma anche i postulati teorici dei pensatori occidentali. Huang Zunxian doveva avere familiarità con l’equilibrio di potere in Giappone (dove era diventato saldamente radicato nel discorso politico (Hirano, 2005, p. 28)) mentre prestava servizio nell’ambasciata Qing.

Yu Kilchung, come molti pensatori dell’Asia orientale di quel periodo, era affascinato dalle idee del darwinismo sociale, quindi la sua idea della “sopravvivenza del più forte” nell’arena internazionale era ispirata, almeno in parte, dai concetti occidentali.

Chi dovrebbero essere considerati Huang Zunxian e Yu Kilchung (e decine o centinaia di altri modernizzatori dell’Asia orientale): rinnegati che hanno rifiutato la tradizione o innovatori che hanno fatto affidamento su quella tradizione? Dopo tutto, sia la Strategia che il Trattato sono ricchi di riferimenti alla storia delle relazioni sino-coreane, attribuendo particolare importanza ai secoli di amicizia ininterrotta (Huang, 1880, p. 48; Yu, 1885, p. 325), il che contraddice l’affermazione di Bordachev sull’assenza di “relazioni alleate permanenti” nell’Asia orientale. Naturalmente, in entrambi i casi, le relazioni in questione sono quelle tra un sovrano e un vassallo. Tuttavia, come verrà dimostrato di seguito, tali relazioni non differivano molto dalle alleanze asimmetriche tra patroni e clienti descritte da James Morrow (1991) un secolo dopo.[4] Ad ogni modo, per capire se la tradizione politica dell’Asia orientale rifiutasse (o condividesse) la Realpolitik, è necessario rivolgersi al periodo precedente, quello imperiale.

INTO THE PAST: “AL SERVIZIO DEI GRANDI” O AL PASSO CON L’EGEMONIA?

Le relazioni internazionali della civiltà sinocentrica sono definite “sistema tributario”[5] (Fairbank, 1968) e generalmente modellate come cerchi concentrici, con la Cina (il Regno di Mezzo) al centro, circondata da vassalli interni, vassalli esterni e infine “barbari” stranieri. Più ci si allontana dal centro, meno si è “civilizzati” (cioè soggetti all’influenza socio-politica cinese) e più la politica cinese nei loro confronti si basa sulla “forza militare” (武) – definita “pacificazione”, come quella dei disordini interni – piuttosto che sulla “cultura” (文). [6] Le entità politiche esterne (non cinesi), sufficientemente “civilizzate” da riconoscere la supremazia incondizionata del Regno di Mezzo, erano incluse in questo sistema come stati vassalli tributari. In epoche diverse, questi includevano il Giappone, la Corea e vari stati dell’Asia centrale, meridionale e sud-orientale.

Sebbene autonomi nella politica interna, i loro governanti ricevevano l’investitura, i sigilli regali e i motti del calendario regale (o il permesso di utilizzare quelli cinesi) dall’imperatore cinese.

Secondo il principio “un vassallo non può occuparsi di relazioni estere/diplomazia” (人臣無外交) contenuto nel classico confuciano Liji — Libro dei riti (禮記), i sovrani tributari non avevano alcun diritto formale di condurre una politica estera[7] al di là delle regolari missioni tributarie in Cina. Questo complesso sistema di relazioni rituali-simboliche si basava sul principio del “servire il Grande” (事大), che significava il riconoscimento incondizionato della supremazia morale e politica della Cina.[8] La superiorità civilizzatrice (culturale, economica e militare) del Regno di Mezzo sui suoi vassalli garantiva la coerenza e la stabilità della struttura sinocentrica delle relazioni internazionali. Ad esempio, la scrittura cinese fungeva da lingua franca politica e letteraria, le sue istituzioni politiche erano prese a modello, ecc.

Questo sistema ricorda il “mondo del bandwagoning” di Walt portato all’estremo (o all’assurdo) (Walt, 1985, p. 14). Gli Stati più deboli non hanno la possibilità di negare o contestare la supremazia dell’egemone; proprio come non ci sono due soli nel cielo, non possono esserci due Figli del Cielo nell’Impero Celeste. Tuttavia, a differenza del modello di Walt, l’assenza di alternative all’egemone elimina la possibilità stessa di una competizione di potere. (Tuttavia, ipoteticamente, una singola sconfitta da parte di un aggressore esterno al sistema potrebbe segnalare una transizione di potere (ibid.).) In assenza di una minaccia esterna, gli altri partecipanti a un tale sistema hanno principalmente “relazioni di buon vicinato” (交隣); questo termine, che risale a Mencio e che è in qualche modo diverso dal moderno睦隣, è spesso associato al principio di “servire il grande”. Gli ambasciatori dei paesi confinanti con la Cina avevano più probabilità di incontrarsi alla corte imperiale che le truppe dei loro paesi di incontrarsi sul campo di battaglia. La competizione tra i vassalli esterni si riduceva alla rivalità per ottenere il favore dell’imperatore cinese, che era tanto maggiore quanto più essi diventavano “colti” (cioè sinicizzati).

Il pensiero tradizionale cinese semplicemente non poteva postulare l’internazionalità delle relazioni tra i sistemi politici, quindi non c’era bisogno di una teoria delle relazioni internazionali (Qin, 2007, pp. 322-324). La natura paternalistica dell’ordine mondiale – “ineguale ma benigno” (Ibid, p. 330) – riproduceva le relazioni familiari ideali. “Il padre doveva essere il padre e il figlio doveva essere il figlio”[9] sia all’interno della Cina che nelle sue relazioni con i paesi vicini. In una tale “famiglia internazionale” non poteva esserci – presumibilmente – alcun pensiero di “dura lotta e anarchia” o di “conflitti di alta intensità ideologica”. “Esistono numerose prove che dimostrano che le unità dell’Asia orientale non bilanciavano il potere e che le unità più piccole non si alleavano per bilanciare una minaccia più grande” (Kang, 2020, p. 81).

Per sinicizzare i vicini della Cina ed estendere la portata di questo modello, furono sviluppati sofisticati mezzi di influenza culturale non violenta. Jia Yi (200-168 a.C.), un dignitario dell’Impero Han, in un rapporto simile per struttura e logica alla Strategia di Huang Zunxian, propose “cinque esche” (五餌) per pacificare le tribù Xiongnu che terrorizzavano l’impero. Invitando l’élite degli Xiongnu a corte, era necessario “sedurre[10] i loro occhi” con abiti lussuosi, carri e una scorta sontuosa; “sedurre le loro labbra” con un banchetto squisito in loro onore; “sedurre le loro orecchie” con vari divertimenti e spettacoli; “sedurre il loro grembo/le loro anime”, [11] fornendo loro alloggi confortevoli che “superano tutto ciò che [hanno avuto] prima”; e “sedurre i loro cuori” attraverso la “gentilezza e l’affetto paterno” dell’Imperatore. A quel punto gli Xiongnu si sarebbero sottomessi senza combattere (Xin Shu, 4:4).

Altri mezzi di controllo politico non violento includevano matrimoni dinastici e lo scambio di ostaggi di alto rango. Liu Jing, un altro dignitario dell’Impero Han, suggerì all’imperatore di dare in sposa sua figlia al capo degli Xiongnu per renderlo (e i suoi discendenti) dipendenti dalla ricchezza e dal lusso. Il loro comportamento sarebbe cambiato nel tempo “a causa dell’avidità per le cose di valore”. Egli propose anche di inviare dei retori “per istruirli delicatamente sulle regole di condotta e sui rituali” (Shiji, 99:6).

I matrimoni dinastici non solo influenzarono le élite degli Stati confinanti, ma fornirono anche giustificazioni per l’annessione di tali Stati, come quando l’Impero mongolo Yuan nel XIV secolo tentò di incorporare Koryŏ sulla base di diverse generazioni di matrimoni tra principi di Koryŏ e principesse mongole.

Per quanto riguarda lo scambio di ostaggi, esso era talvolta condannato in Cina e nei paesi confinanti. Il Storie dei Tre Regni coreano del XII secolo afferma che “scambiare… i figli come ostaggi è un comportamento indegno persino dei Cinque Egemoni”[12] (Samguk sagi, 45:1397). Tuttavia, la pratica continuò.

Il sistema di relazioni centro-periferia (Regno di Mezzo contro barbari stranieri) fu codificato durante l’Impero Han (202 a.C.-220 d.C.) sulla base dei principi socio-filosofici ancora più antichi del rituale Zhou. Fino alla fine del XIX secolo, essi non subirono cambiamenti significativi, nonostante la profonda revisione del confucianesimo nel periodo 1000-1200 e i vari sconvolgimenti politici regionali (Qin, 2007, p. 323). Alla fine del XIX secolo, nella mente degli intellettuali dell’Asia orientale, il modello immaginario tributario dell’ordine mondiale incontrò il modello non meno immaginario di Westfalia, dando vita alle opere di Huang Zunxian, Yu Kilchung e molti altri autori di quel periodo (Larsen, 2013, p. 233).

Tuttavia, in un periodo così lungo, la realtà politica dell’Impero Celeste spesso differiva dal modello. La Cina ha vissuto periodi di frammentazione, in cui entità statali governate da “cinesi autoctoni” (華) e barbari (夷) competevano per l’egemonia.[13]

Mentre la Cina a volte sconfiggeva i barbari, altre volte il suo governo veniva asservito o rovesciato da loro.

Gli aspiranti Figli del Cielo dovevano “apparire forti e potenzialmente pericolosi” per attirare il sostegno degli altri; gli Stati clienti avrebbero abbandonato i loro protettori per alternative più forti al minimo segno di debolezza; e le controversie internazionali venivano risolte con la forza: tutte caratteristiche del “mondo del bandwagoning” (Walt, 1985, p. 14). In questo contesto, le alleanze erano indispensabili.

Già nel periodo Han, Chao Cuo (200-154 a.C. circa) descriveva la creazione di alleanze come segue: “… servire i potenti [è] la disposizione di uno Stato piccolo; [stringere] un’alleanza con uno Stato piccolo per attaccarne uno grande [è] la disposizione di uno Stato pari [in forza al suo rivale]; usare i barbari… per attaccare i barbari [è] la disposizione del Regno di Mezzo” (Han Shu, 49(19):22). In seguito, il suo concetto fu ridotto alla frase da manuale “usare i barbari contro i barbari”. La comprensione di Huang Zunxian e Yu Kilchung dell'”equilibrio di potere” è spesso ricondotta a questo detto (vedi, ad esempio, Hirano, 2005, p. 29; Vradiy, 2015, p. 77). Ma questo, ovviamente, non è del tutto corretto: Chao Cuo distingueva chiaramente tra bandwagoning (“servire i grandi”), balancing (unirsi contro un pari) e wedging (tra barbari) (vedi, ad esempio, Wang, 2013, p. 222).

Nella storiografia cinese, la strategia adottata nei periodi di dissoluzione era spesso descritta come “tenersi lontani dai forti e allearsi con i deboli” (离强合弱). Il riavvicinamento di Kissinger alla Cina ha analogamente allineato gli Stati Uniti con la parte più debole contro la più forte Unione Sovietica (Kissinger, 1979, p. 178). Cheng Yawen, dell’Università di Shanghai, sostiene ora in modo simile che la Cina e la Russia, più deboli, dovrebbero allearsi contro gli Stati Uniti, più forti: “Quale sarebbe il risultato di un’alleanza con una potenza maggiore per eliminare una potenza relativamente più debole? La storia fornisce esempi classici: la dinastia Song settentrionale si alleò con la dinastia Jin per distruggere la dinastia Liao, solo per vedere la Jin ribaltare la situazione e distruggere la Song settentrionale; allo stesso modo, la Song meridionale si alleò con i mongoli per sconfiggere la Jin, solo per essere poi conquistata dagli stessi mongoli” (Cheng, 2025).

Nella loro discussione sull’articolo di Cheng Yawen pubblicato sul portale Sinification, Thomas Geddes e James Farquharson (2025) lo hanno inserito nel contesto più ampio del dibattito sul conflitto tra interessi e valori nelle relazioni internazionali (infatti, una delle sezioni dell’articolo di Cheng Yawen è intitolata proprio così). Questo conflitto, nelle sue varie forme, è caratteristico sia del pensiero sociopolitico e morale dell’Asia orientale che di quello occidentale. Tuttavia, nello spirito della storiografia confuciana, è necessario un piccolo commento prima di passare alla discussione sulla moralità.

COMMENTO DELLO STORIOGRAFO

Il modello tributario ha acquisito una nuova prospettiva quando gli studiosi di relazioni internazionali sono entrati nella discussione e hanno confrontato[14] le sue caratteristiche strutturali (la distribuzione del potere relativo e l’uguaglianza/disuguaglianza politica dei suoi attori) con quelle del modello westfaliano. La lunga durata del sistema tributario e la vaghezza dei suoi confini geografici (entrambi ancora oggetto di dibattito tra gli storici – cfr. Kozinets, 2016, p. 111) hanno messo in luce esempi di comportamenti politici che non erano né benigni né pacifici.

Ciò ha permesso ai realisti di affermare che il sistema tributario ha funzionato in modo diverso nei vari periodi dell’equilibrio di potere, ma tale differenza era determinata esclusivamente dal potere relativo degli attori. Il sistema era effettivamente gerarchico quando il potere era distribuito in modo asimmetrico: si instaurava un “rapporto di potere grossolano tra il forte e il debole”, “mascherato [da] una retorica confuciana benigna” che fungeva da “facciata di [un] sistema tributario” che “serviva in modo sproporzionato i [propri] interessi” (Wang, 2013, p. 209). Ma “quando esisteva una simmetria di potere tra gli attori politici, la parità diplomatica diventava possibile” (Wang, 2013, p. 209).

I realisti vedono il suddetto impero Song, destinato al fallimento, come la prova più evidente di questa tesi. Nel 1005, attraverso il trattato di Chanyuan, i Song riconobbero l’impero Khitan Liao come loro pari. Il sovrano Liao fu nominato Imperatore e i Song pagarono regolarmente un tributo ai Liao. (Questo fu ufficialmente definito “assistenza con le spese militari” (Wang, 2013, p. 217), anche se gli stessi Khitan erano meno formali nella corrispondenza interna, affermando direttamente: “L’oro e l’argento sono stati offerti come tributo per sostenere il nostro esercito” (Tao, 1988, p. 29). Successivamente, nel XII secolo, l’Impero Song fu costretto a riconoscersi vassallo dell’Impero Jurchen (Jin).

Quest’ultimo confuta l’affermazione di Qin Yaqing secondo cui le relazioni nell’Asia orientale non erano concepite come internazionali. In realtà, il sistema non regolava i suoi partecipanti, ma le relazioni tra di essi, rendendo tali relazioni – e la loro percezione da parte di attori autonomi – veramente internazionali. Il divieto di politica estera dei vassalli fu di fatto ignorato per quasi tutta l’esistenza del sistema; fu rispettato solo durante gli imperi Ming e Qing (e anche allora non in modo assoluto; la Corea e il Giappone si scambiarono regolarmente ambasciate fino al 1811, quando i coreani smisero a causa delle spese). Il concetto di “trattati paritari” – “paritari nel rituale” (同等之禮)[15] o “conclusi in diaspro e seta” (玉帛) – esisteva in Cina molto prima del trattato di Chanyuan del 1005 (Kozinets, 2016, p. 110).

La gestione dei vassalli da parte del Regno di Mezzo veniva ripetuta dagli stessi vassalli nei confronti dei propri vassalli, con la Cina che li motivava deliberatamente a tal fine.

Quando nel 504 il re di Koguryŏ si lamentò con l’imperatore Wei che i popoli Paekche e Wuji stavano bloccando il tributo alla corte imperiale, fu severamente rimproverato e gli fu ordinato di “ricorrere a tutte le misure di violenza o pacificazione necessarie per… ristabilire la pace tra i popoli delle zone orientali,… in modo che le entrate derivanti dai tributi non fossero interrotte…” (Samguk sagi, 19:529).

I rivolgimenti politici avvenuti tra il 1000 e il 1200, causati dal declino dello status della dinastia Song, ebbero un impatto significativo sul pensiero politico cinese. Di fronte all’evidente incapacità dell’imperatore di costruire un impero diffondendo la sua virtù all’estero, i filosofi Song dichiararono che la sua missione principale era interna: l’armonizzazione del proprio Stato. Solo dopo averla compiuta avrebbe potuto dedicarsi all’armonizzazione di Tutto sotto il Cielo (Goncharov, 1986, pp. 262-263). Ciò svalutò ulteriormente la forza militare, come strumento di politica estera, agli occhi dei confuciani.

Sotto le dinastie successive, quando i confini dello Stato raggiunsero quasi quelli di Tutto sotto il Cielo, l’armonizzazione dello Stato cessò di essere un mezzo per raggiungere un fine e divenne il fine stesso. Ciò escludeva relazioni internazionali paritarie, rendendo la vassallaggio nominale e simbolico dei vicini uno strumento per la legittimazione politica interna dei governanti cinesi. La pratica della “diplomazia tra pari” dei Song fu condannata come moralmente riprovevole, sia dal punto di vista ideologico che pratico (Goncharov, 1986, pp. 264-266). Oggi, i lamenti di Cheng Yawen sulla miopia politica dei Song citati sopra sembrano riflettere tali atteggiamenti.

Il vassallaggio non garantiva sempre la sicurezza (Wang, 2013, p. 213), né dai vicini aggressivi né dalla stessa Cina. Alla fine dell’unificazione della Corea, a metà del VII secolo, i regni di Paekche e Koguryŏ, ormai condannati, continuarono a inviare missioni tributarie alla corte Tang (Samguk sagi, 22:608-609; 28:728), sebbene l’alleanza offensiva tra l’Impero Tang e lo Stato coreano di Silla non fosse un segreto per loro. Il vassallaggio non garantiva la sicurezza della Cina nemmeno durante i periodi di dominio incondizionato e forzato. Ad esempio, Silla riconobbe il suo vassallaggio e il potere superiore dei Tang, ma comunque riconquistò con la forza le parti della Corea che erano state occupate dai Tang dopo la sconfitta di Koguryŏ e Paekche. Il re di Silla temeva che tale comportamento potesse essere immorale: “Per il nostro bene l’esercito dei Tang ha sconfitto il nemico. Se combattiamo contro di loro, il Cielo ci perdonerà?” Ma il suo consigliere più stretto, Kim Yusin, descritto nelle Storie dei Tre Regni come un modello di virtù confuciane, rispose: “Sebbene un cane tema il suo padrone, se il padrone gli calpesta la zampa, il cane morde il padrone. Come possiamo, di fronte alle difficoltà, non [cercare] di salvarci?» (Samguk sagi, 42:1130).

Pertanto, non è del tutto vero che la stabilità e la pace siano garantite quando la Cina è forte, una convinzione condivisa sia dagli idealisti[16] che dai realisti[17].

Inoltre, pur riconoscendo la flessibilità del sistema tributario (Wang, 2013, p. 217), i realisti cercano di spiegarlo esclusivamente attraverso i cambiamenti nell’equilibrio di potere. Selezionano i casi più eclatanti di politica di potere in azione (come il periodo della rivalità tra Song, Liao e Jin) e li estendono all’intera storia dell’Asia orientale. Tuttavia, questo meccanismo causale è discutibile se gli Stati ricorrono alla diplomazia invece che alla forza.

I realisti trascurano anche i fattori culturali e politici interni. Ad esempio, la debolezza della dinastia Song nei confronti dei nomadi del nord potrebbe essere stata il risultato del suo “pacifismo ragionato” e del suo impegno a favore della cultura piuttosto che della forza militare (Fairbank, 1992, pp. 109, 117). Nella dinastia Song, i funzionari militari erano subordinati a quelli civili e l’esercito era meno prestigioso della cultura.

Il realismo sostiene che la Cina avrebbe dovuto accogliere con favore la discordia tra i suoi vicini, ma in realtà inviava loro costantemente rescritti che invitavano alla riconciliazione.

Quando nel 1712 i coreani scoprirono che un funzionario Qing aveva erroneamente tracciato parte del confine sino-coreano a favore della Corea, i coreani furono spinti dalla moralità e dalla giustizia a informare (anche se con una certa esitazione) il governo Qing dell’errore (Chesnokova e Trubninkova, 2025, p. 109).

La logica realista non è in grado di comprendere le sottigliezze del protocollo diplomatico dell’Asia orientale, che prevedeva la legittimazione reciproca attraverso la definizione dello status[18] e consentiva alla parte più debole di compiere gesti piuttosto dimostrativi che simboleggiavano le sue ambizioni. (Si veda la storia della Torre della Neve Luminosa (明雪樓) come simbolo della resistenza culturale di Choson nei confronti dei Qing (Gale, 1902; Chesnokova, 2017, p. 119).)

I realisti non sono nemmeno in grado di spiegare perché l’Impero Ming, all’apice del suo potere e della sua influenza, abbia rinunciato all’espansione politica ed economica a favore di un isolazionismo che alla fine lo ha paralizzato.

Il principale punto debole del realismo, tuttavia, è il suo trattamento del sistema tributario come comportamento politico (secondo Fairbank) piuttosto che come costrutto ideologico, ignorando l’osservazione di Qin Yaqing secondo cui questo sistema è un costrutto ideologico e dovrebbe essere considerato proprio come tale (Qin, 2007, pp. 327-328). [19]

Questo spiega perché i realisti utilizzino solo due citazioni di Confucio e Mencio, relative alla possibilità delle guerre giuste, per concludere che il confucianesimo abbia stimolato piuttosto che frenato la pratica cinese della Realpolitik (Hui, 2011; Wang, 2013, p. 213; Mearsheimer, 2014). Mearsheimer si spinge ancora oltre, insistendo sul fatto che le affermazioni sulla pacificità intrinseca del confucianesimo «non riflettono il modo in cui le élite cinesi hanno effettivamente parlato e pensato alla politica internazionale nel corso della loro lunga storia… Ci sono poche prove storiche che la Cina abbia agito in conformità con i dettami del confucianesimo» (Mearsheimer, 2014).

Pertanto, per spiegare il riconoscimento da parte dell’Impero Tang della riconquista della Corea da parte di Silla, i realisti sostengono che la Cina fosse distratta dai conflitti con i tibetani e i popoli turchi. Ma un confuciano (almeno se coreano) citerà il comandante cinese Su Dingfang: «Il sovrano di Silla è benevolo e ama il [suo] popolo, e i suoi dignitari [dimostrano] lealtà nel servire lo Stato. Quelli di rango inferiore servono i loro superiori come padri o fratelli maggiori. [Pertanto], sebbene [il paese] sia piccolo, è impossibile capire [come conquistarlo]» (Samguk sagi, 42:1330).

Questa enfasi sulla moralità e sulla virtù, piuttosto che sulla forza militare, si è ripetuta di generazione in generazione.

Naturalmente, uno degli obiettivi delle Storie dei Tre Regni era quello di legittimare l’unificazione militare della Corea da parte di Silla e la successione da parte di Koryŏ; un altro era quello di affermare, nel contesto di una disputa indiretta con i radicali “nazionalisti” di Koryŏ, che avevano invocato una maggiore indipendenza di Koryŏ, anche a costo di entrare in conflitto con gli imperi “barbarici” della Cina (vedi sotto), la dottrina di Silla del vassallaggio rituale alla Cina.

RITORNO ALLE ORIGINI: ETICA DELLA VIRTÙ O GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI?

Mentre le radici della teoria occidentale delle relazioni internazionali sono tradizionalmente individuate nell’opera di Tucidide La guerra del Peloponneso, quelle della teoria cinese delle relazioni internazionali possono essere rintracciate nelle prime opere storiche cinesi. La cronaca più antica, Chunqiu (Annali di Primavera e Autunno) — che si ritiene sia stata compilata dallo stesso Confucio — è stranamente silenziosa sulla moralità e la virtù, mentre le descrizioni delle guerre e della politica estera (comprese le alleanze militari) costituiscono quasi i due terzi della cronaca (Deopik, 1999, pp. 217, 241). La seconda per importanza e ordine cronologico è Zhan Guo Ce (Strategie degli Stati Combattenti), risalente al I secolo a.C. Anche questa opera non tratta di moralità, ma si occupa delle tecniche diplomatiche dei regni in guerra. Contiene le idee chiave della Scuola di Diplomazia (縱橫家), nota anche come Scuola delle Alleanze Verticali e Orizzontali. I due principali rappresentanti di questa scuola, nonché avversari politici, erano Su Qin (380-284 a.C.), che costruì un'”alleanza verticale” di sei regni contro lo Stato egemonico di Qin, e Zhang Yi (prima del 329-309 a.C.), consigliere di Qin, le cui alleanze “orizzontali” con gli stessi regni cercavano di dividere il blocco anti-Qin.

I nomi di queste alleanze riflettono sia la loro posizione geografica (i regni minori si estendevano da nord a sud, mentre quello di Qin era situato a ovest rispetto a tutti gli altri) sia la loro struttura (Han Feizi descrive la differenza tra loro: “un’alleanza verticale è l’unione di molti deboli per attaccare un forte; un’alleanza orizzontale è il servizio (subordinazione) a un forte per attaccare molti deboli” (Hanfeizi, 49:11)).

Zhan Guo Ce era così “non confuciano” nel carattere che, dopo la dinastia Han, fu classificato come libro “pericoloso” (Vasilyev, 1968, pp. 9-10). Tuttavia, il concetto di alleanze verticali e orizzontali è sopravvissuto nel pensiero politico della Cina e dei suoi vicini, sebbene come esempio di tradimento politico e bassezza (縱橫). In una lettera al re Munmu di Silla, il comandante Tang Xue Ren-Gui lo rimproverò per “non aver seguito la rettitudine/giustizia/moralità, aver trascurato la bontà e aver ascoltato discorsi sulla verticale e l’orizzontale” (Samguk sagi, 7:222-223).

La “delegittimazione intellettuale” della Scuola di Diplomazia, se mai effettivamente avvenuta, sembrava essere parte del ripensamento dell’Impero Han di tutto il patrimonio intellettuale precedente (incluso Confucio) (Tseluiko, 2024). Ciò comportò un riassetto delle idee imperiali, ora basate sulla condanna del tirannico imperatore Qin Shi Huang, sulla moralità e la virtù e sui conseguenti limiti all’autocrazia, alla crudeltà e alla bellicosità.[20]

L’esempio negativo dell’Impero Qin divenne cruciale per il confucianesimo. Oggi, i ricercatori osservano giustamente che i cinesi trattavano i “barbari” con disprezzo e arroganza, sottolineando la loro intrinseca crudeltà, maleducazione e avidità (Wang, 2013, pp. 217-219). I vicini confuciani della Cina fecero lo stesso: nelle Dieci ingiunzioni (訓要十條) (attribuite al fondatore dello Stato coreano di Koryŏ), Khitai (non ancora pari all’imperatore cinese o al sovrano di Koryŏ) è definita “la terra degli uccelli e delle bestie”, ovvero dei selvaggi (Chesnokova, Kolnin e Glazunova, 2023, pp. 252-253). Ma tali atteggiamenti ed epiteti erano più spesso associati all’Impero Qin,[21] che veniva descritto come un paese barbaro, un predatore “come un lupo e una tigre” (豺虎), “privo di principi morali” (無道). Queste invettive divennero una designazione stereotipata dell’Altro ostile nell’Asia orientale. Furono utilizzate dal comandante Silla Kim Yusin contro Koguryŏ e Paekche (Samguk sagi, 41:1309), e da Huang Zunxian (Huang, 1880, p. 48) e Yu Kilchung (Yu, 1885, p. 325) contro la Russia. Oggi, i pubblicisti sudcoreani equiparano la Cina moderna all’aggressivo Impero Qin (Cosun Ilbo, 2013).

Il confucianesimo come pensiero politico si è formato nel caos, nell’anarchia e nella lotta brutale che sono stati infine contenuti dal governo centralizzato. Mentre la filosofia politica occidentale cerca di organizzare l’anarchia (anche nelle relazioni internazionali), la filosofia confuciana cerca di armonizzarla.

Attribuiva all’Impero una missione civilizzatrice, descritta in modo aforistico da Confucio come l’insediamento di un uomo nobile tra i barbari: «Se un uomo superiore dimorasse tra loro, quale maleducazione ci sarebbe?» (Analecta, 9:13).

Il contenuto morale ed etico del sistema IR ritualizzava la diplomazia dell’Asia orientale, formando un complesso sistema di comunicazioni simboliche. Esso includeva non solo la nozione tradizionale di “servire i grandi”, ma anche il principio parallelo di “servire i piccoli” (事小),[22] in linea con l'”auto-umiliazione” taoista: “uno Stato grande, condiscendendo agli Stati piccoli, li conquista per sé; e gli Stati piccoli, umiliandosi davanti a uno Stato grande, lo conquistano a loro favore” (Tao Te Ching, 61). In pratica, ciò creava una gerarchia dinamica a più livelli con relazioni rituali-politiche interdipendenti, che inclinavano i partecipanti verso metodi pacifici di influenza piuttosto che verso la violenza. In questo sistema, l’investitura e altri privilegi concessi dal sovrano legittimavano lui tanto quanto i vassalli, e questi ultimi potevano sfruttare gli interessi del sovrano per elevare il loro status internazionale. Se c’erano diversi pretendenti all’egemonia, i vassalli potevano temporeggiare tra loro (come ha fatto la Corea del Nord tra la Repubblica Popolare Cinese e l’Unione Sovietica). Le relazioni tra gli Stati cinesi e coreani forniscono ampi esempi di tale interdipendenza.

Nel VI secolo, i regni cinesi rivali di Wei e Liang si contendevano l’attenzione di Koguryŏ, che inviò ambasciate sia a Wei che a Liang, ricevendo in cambio doni sontuosi e titoli nobiliari. Koguryŏ era allora piuttosto potente; un secolo dopo, l’Impero Sui tentò senza successo di conquistarlo.

In seguito, la competizione tra la dinastia Song e gli stati di Liao e Jin convinse le élite intellettuali e politiche di Koryŏ che Koryŏ era loro pari in termini di cultura, civiltà e potere (Breuker, 2010, p. 256). Koryŏ intraprese quindi alcune azioni piuttosto audaci (e non sempre coronate da successo[23]) e proclamò il suo sovrano Figlio del Cielo. Al culmine di questo sentimento, e in un momento di evidente declino della dinastia Song all’inizio del 1100, alcuni nobili di Koryŏ chiesero al re Injong di proclamare Koryŏ impero e di attaccare i Jin (Breuker, 2010, p. 408). Ciò si concluse in un disastro,[24] ma il punto è che l’idea di diversi imperatori (governanti uguali e sovrani all’interno di un unico sistema internazionale) non sembrava tradimento per l’élite confuciana di Koryŏ, che sarebbe stata felice se il proprio sovrano fosse diventato uno di questi imperatori.

Tale opportunismo politico basato su imperativi morali[25] potrebbe essere definito pragmatismo morale. In questo contesto, seguire la moralità è vantaggioso, poiché garantisce una relativa sicurezza e persino prosperità, mentre la sola forza non può garantirle e genera aggressioni irresponsabili. [26] Il comportamento morale deve essere sostenuto dal potere, ma questo deriva meno dalla forza che dalla virtù. L’uso della forza è ammissibile, ma solo come ultima risorsa di fronte a una minaccia inevitabile. Dopo tutto, sia nella guerra Imjin (1592-1596) che nella guerra di Corea (1950-1953), la Cina è venuta in aiuto del suo vassallo (Chosŏn) o alleato (la Repubblica Popolare Democratica di Corea) solo quando il vassallo/alleato era sull’orlo della sconfitta totale, rappresentando una minaccia immediata per la Cina stessa. Inoltre, il ricordo delle terribili conseguenze di questi interventi (il crollo dell’Impero Ming e il fatto che la Cina sia stata quasi bersaglio di attacchi nucleari statunitensi (vedi Dingman, 1988-1989)) può spiegare l’attuale diffidenza della Cina nei confronti delle alleanze.

Nella tradizione cinese, la moralità (義) e il profitto/interesse (利) sembrano antagonisti, incompatibili come l’acqua e l’olio: secondo Confucio, «l’uomo superiore (nobile) pensa alla virtù (rettitudine/giustizia/moralità); l’uomo meschino pensa al comfort (beneficio/vantaggio/profitto)» (Analecta, 4:11). Tuttavia, un approccio così rigorista (che non può essere ridotto al proverbiale «l’avidità è un male») è stato messo in discussione da vari filosofi cinesi[27] e ora sembra essere caduto in disgrazia. Al vertice BRICS del 23 ottobre 2024, Xi Jinping ha affermato che “un uomo virtuoso considera la rettitudine come il massimo interesse” (Xi, 2024). Questo è un altro esempio di pragmatismo morale, poiché qui l’interesse (nazionale) è incorporato nella rettitudine e nella virtù (cioè nei valori), mentre la rettitudine e la virtù sono designate come interesse fondamentale. I sinologi russi hanno discusso attivamente della “riabilitazione del beneficio/interesse” nel lessico della politica estera cinese (Zuenko, 2024), ma questa discussione sembra essere rimasta confinata a una ristretta cerchia di sinologi ed è passata quasi inosservata agli esperti di relazioni internazionali (per ulteriori informazioni sulla moralità nel discorso politico cinese attuale, cfr. Kubat, 2018; Global Times, 2025).

Il dibattito sul pensiero tradizionale della politica estera dell’Asia orientale è lungi dall’essere concluso. A questo punto, i partecipanti sembrano allontanarsi dalle posizioni radicali. David Kahn ha proposto un’idea di compromesso, sebbene estremamente vaga: «Non c’è nulla di essenziale nella Cina che sia esclusivamente bellicoso o pacifico. Piuttosto, questioni diverse in momenti diversi con avversari diversi possono portare a una diversa propensione all’uso della violenza» (Kang, 2020, p. 78). Ancor prima, il sistema tributario era stato descritto in modo simile da Zhang Feng (2009), a cui si attribuisce la paternità del termine «realismo morale». In generale, l’idea postmodernista secondo cui l’incertezza e la contingenza sono alla base dell’ordine mondiale sta penetrando sempre più nelle discussioni sull’Asia orientale: “Lo studio della storia dell’Asia orientale mostra che gli ordini internazionali sono probabilmente più contingenti – e la gamma di unità politiche più diversificata – rispetto alle ipotesi individualistiche, sovrane e uguali, di Stati in anarchia che sono alla base di quasi tutte le teorie apparentemente universali delle relazioni internazionali (Kang, 2020, p. 89).

Questa discussione e il suo impatto sul comportamento della politica estera della Cina moderna e dei paesi dell’Asia orientale trarrebbero vantaggio da un maggiore coinvolgimento della Russia. Finora, gli esperti russi, nonostante le loro conoscenze ed esperienze, si sono limitati a fornire panoramiche generali (Grachikov, 2012, 2019; Lomanov, 2025) e articoli dettagliati relativi più alla politica interna che a quella estera (Denisov e Adamova, 2017; Lomanov, 2017, 2023; Bashkeev, 2023).

CONCLUSIONE: MAI DIRE MAI

Le prove sopra riportate sono ovviamente lungi dall’essere esaustive. Il loro scopo è quello di illustrare la mia tesi, non di sostanziare una teoria confuciana delle relazioni internazionali.

Tuttavia, ciò dimostra ampiamente che le alleanze, come mezzo per contenere o rafforzare un potenziale egemone, non solo sono riconosciute nel pensiero politico dell’Asia orientale, ma ne costituiscono il fondamento. Anche l’anarchia era riconosciuta, ma considerata contraddittoria rispetto al corretto ordine mondiale e quindi soggetta a pacificazione (principalmente attraverso l’influenza civilizzatrice dell’egemone culturale, ma anche attraverso la conclusione di alleanze e l’uso della forza, se necessario). È fondamentale sottolineare che queste idee sono emerse nell’Asia orientale indipendentemente dall’Occidente, da qui l’accettazione (in varia misura) dei concetti occidentali di relazioni internazionali da parte dei pensatori dell’Asia orientale alla fine del 1800.

Il primato della moralità e della virtù nel confucianesimo lo spinse a riflettere su ciò che dovrebbe essere, piuttosto che su ciò che è, con effetti significativi sullo sviluppo politico dell’intera regione. La riproduzione delle istituzioni imperiali cinesi (compresi elementi del sistema tributario) da parte di vassalli, rivali e persino invasori testimonia l’attrattiva e l’utilità degli insegnamenti del sistema,[28] ma indica anche un potenziale di “conflitti ideologici intensi” che Bordachev rifiuta. “Non sorprende che le unità che hanno rifiutato il confucianesimo e le nozioni siniche di conquista culturale siano coinvolte in conflitti con quelle che hanno abbracciato la cultura sinica” (Kang, 2020, p. 81). La moralità stessa non può proteggere dai conflitti basati sui valori, poiché afferma sempre la priorità di determinati valori.

Conflitti basati sui valori si sono verificati in molti dei paesi della maggioranza mondiale, dalla “civiltà confuciana” e oltre. In Cina c’è stato il maoismo e la sua esportazione. In Iran, la rivoluzione islamica e la sua esportazione. Nella Repubblica Popolare Democratica di Corea, l’identità della politica estera è costruita sull’antimperialismo e l’antiamericanismo.

Nell’analisi storica e politica, sembra privo di significato ridurre il pensiero tradizionale occidentale e orientale in materia di relazioni internazionali rispettivamente al sistema westfaliano e al sistema tributario, e questi a loro volta rispettivamente all’«anarchia delle sovranità uguali» e alla «gerarchia egemonica». Entrambi i modelli descrivono la realtà politica e la sua percezione solo entro determinati limiti spaziali e temporali.

Altrettanto errati sono i tentativi di definire la cultura politica di un paese o di un gruppo di paesi in base agli attributi di cui sono carenti. Attribuire un certo “pensiero non occidentale” a tutti (o anche solo ad alcuni) paesi non occidentali è simile al “nuovo orientalismo”, ovvero al “giudizio categorico” tipico, come sostiene Bordachev, del ragionamento tradizionale europeo (Bordachev, 2025).

Sembra quindi metodologicamente problematico definire la Maggioranza Mondiale sulla base di qualcosa che va oltre gli attuali interessi di politica estera della Russia. La “maggioranza” non ha un’azione sufficiente (Safranchuk, 2025) e, data la sua diversità culturale, politica e soprattutto storica, non può essere considerata una comunità internazionale unificata o un’unità analitica.

SITREP 16/11/25: Gli attacchi energetici esagerati contro la Russia mascherano nuovamente il crollo del fronte ucraino_di Simplicius

SITREP 16/11/25: Gli attacchi energetici esagerati contro la Russia mascherano nuovamente il crollo del fronte ucraino

Simplicius17 novembre
 
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Una nota sugli attacchi energetici russi da parte dell’Ucraina. C’è stata un’interessante convergenza di nuove notizie che contraddicono la narrativa secondo cui la Russia starebbe soffrendo gravemente a causa degli attacchi ucraini.

Ciò avviene casualmente solo un giorno dopo che l’Ucraina ha lanciato un attacco “su larga scala” contro il porto russo di Novorossiysk, che avrebbe paralizzato una percentuale significativa delle esportazioni energetiche russe. Oggi giungono notizie da fonti ucraine secondo cui navi russe sarebbero state avvistate mentre caricavano merci proprio nel porto che solo il giorno prima era stato dichiarato “paralizzato”:

Ho spesso sottolineato il fatto che le voci filo-ucraine utilizzano attacchi risalenti a mesi fa come “prova” dei danni subiti dalla Russia, ignorando completamente la rapidità con cui tali danni vengono spesso riparati, senza contare che a volte i danni sono minimi e l’impatto degli attacchi è ampiamente sopravvalutato fin dall’inizio.

Ora Bloomberg ha riportato in modo esilarante che gli attacchi alle infrastrutture petrolifere russe sono in parte responsabili dell’aumento del costo della benzina negli Stati Uniti e in altri paesi:

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-11-15/consumatori-sentono-il-pugno-alla-gola-alla-pompa-mentre-la-russo-guida-il-boom-della-raffinazione-del-petrolio-

Le sanzioni dell’UE e degli Stati Uniti contro la Russia e i continui attacchi delle forze armate ucraine alle raffinerie di petrolio russe hanno portato a un aumento dei prezzi del carburante negli Stati Uniti — Bloomberg 

I prezzi del diesel sono aumentati del 3%, mentre quelli della benzina rimangono ai livelli di inizio anno, nonostante un calo del 20% dei prezzi globali del petrolio. Ciò “probabilmente non piacerà all’amministrazione statunitense”, per la quale l’energia a prezzi accessibili è un elemento chiave del programma economico.

L’aumento dei prezzi è legato alla riduzione della raffinazione: gli attacchi alle infrastrutture russe, le interruzioni degli impianti in Asia e Africa, nonché la chiusura di raffinerie in Europa e negli Stati Uniti hanno sottratto milioni di barili di carburante dal mercato.

Ulteriori pressioni derivano dalle sanzioni contro Lukoil e Rosneft, nonché dal divieto dell’UE sulle importazioni di prodotti petroliferi che entrerà in vigore nel gennaio 2026.

Questo media ucraino ha persino riferito che la raffinazione del petrolio russo ha subito solo un “leggero” calo a seguito dei recenti attacchi, con una diminuzione pari ad appena il 3%.

https://mezha.net/eng/bukvy/russian-oil-refining-declines-slightly-despite-drone-attacks-in-2025/

Secondo fonti indipendenti del settore, quest’anno la raffinazione del petrolio in Russia è diminuita solo del 3% circa, nonostante gli attacchi su larga scala con droni, poiché le raffinerie hanno utilizzato la capacità inutilizzata per compensare i danni.

Senza contare che la capacità di raffinazione della Russia serve principalmente il proprio mercato interno e non le esportazioni di greggio verso il resto del mondo; circa il 70% dei prodotti raffinati è destinato al mercato interno e quindi non incide nemmeno sulle “entrate petrolifere” russe, come sostengono molti in Occidente.

Questo articolo conferma quanto sopra, sottolineando che la Russia è stata in grado di attivare la “capacità inutilizzata” di altri impianti per compensare quelli messi fuori servizio, dato che la Russia dispone di un ampio surplus di capacità di raffinazione, tanto da mantenerne una parte inattiva proprio per casi come questo.

Eppure, nonostante il bombardamento, volto a soffocare la principale fonte di finanziamento di Mosca per la guerra in Ucraina, la produzione totale di petrolio della Russia è diminuita solo del 3% quest’anno, poiché il Paese ha attivato la capacità inutilizzata di altri impianti.

Infine, il Financial Times riporta che la russa Gazprom sta portando avanti il suo importante progetto del gasdotto Power of Siberia 2 verso la Cina, che sostituirà interamente le esportazioni perse verso l’Europa:

https://archive.ph/C4tR3

A titolo di confronto, il Power of Siberia 2 trasporterà oltre 50 miliardi di metri cubi di gas alla Cina ogni anno, che è all’incirca la stima di quanto la Russia ha esportato in Europa negli ultimi due anni; al suo picco massimo molti anni fa, la Russia esportava oltre 150 miliardi di metri cubi.

Passiamo ora ad alcuni aggiornamenti sul campo di battaglia.

Il disastro imminente sta davvero cominciando a diventare chiaro a molte figure filo-ucraine per la prima volta in modo davvero viscerale. L’aspirante politico ucraino ed ex leader della sezione di Odessa del Settore Destro Serhii Sternenko ha pubblicato il seguente appello urgente, che ha suscitato molte discussioni:

A ciò ha fatto seguito un appello simile da parte dello stesso Julian Roepcke, che ha persino evocato lo stesso identico concetto di “sconfitta strategica”:

La sua ignoranza riguardo al destino dei “17.000 mobilitati” in Ucraina è piuttosto divertente da vedere; forse dovrebbe andare al fronte e controllare sotto le foglie autunnali.

Nel frattempo, un soldato ucraino della 35ª Brigata – che attualmente opera sul fronte di Novopavlovka, ormai allo sbando – avrebbe scritto questa suggestiva supplica che, nel contesto, andrebbe letta anche:

Un soldato ucraino della 35ª Brigata dei Marines:

La brigata verrà ritirata; le perdite sono terribili. Spero che gli altri non si trovino nella stessa situazione. Stiamo mantenendo la difesa.

Tutte le perdite derivano dagli attacchi FPV e KAB (bombe Fab); nessuno ha mai visto il nemico faccia a faccia. A volte i cecchini funzionano, ma è raro. Si va in guerra e si viene bruciati da un FPV o fatti a pezzi da un KAB; chi si stava effettivamente combattendo, nessuno lo sa. È così che va ovunque adesso, ed è così che sarà sempre.

Qui, chi sopravvive è chi scava più a fondo e non espone inutilmente la testa. Dico sempre ai nuovi arrivati di rimanere nascosti e di non sfidare la sorte.

Ma l’ironia è che più a lungo combatti, più sei disposto a rimanere nell’ombra, e meno hai combattuto, più spesso ti espone, che tu ne abbia bisogno o meno. Ecco perché solo i veterani sopravvivono.

Molti temono di poter essere sepolti sottoterra, ma ciò è probabile solo se un KAB atterra nelle vicinanze o se viene colpito da artiglieria pesante. Le probabilità sono basse. È più probabile che un drone voli e ti squarci il cranio o il torace con il suo carico.

Un altro timore è quello che l’arteria inguinale venga lacerata: le possibilità di sopravvivenza sono scarse, ma almeno non è molto doloroso. I feriti si siedono nella “posizione del pensatore” e aspettano la morte, che prima o poi arriva per tutti.

Alcune persone sono venute a dirmi di non diffondere informazioni sulla situazione nella brigata. Meno male che nessuno sa che gestisco questo canale. Rimarrano sorpresi: senza verità non ci sarà vittoria, ricordatelo.

E anche se lo scoprissero, come potrebbero punirmi? Mandandomi in guerra? Ah ah ah.

Tutti gli occhi sono ora puntati sulla direzione di Zaporozhye, che sta semplicemente crollando più rapidamente di qualsiasi altra cosa nella guerra precedente. Molti account filo-ucraini sono in preda al panico:

Sul fronte occidentale, le forze russe hanno continuato la loro avanzata in direzione di Gulyaipole dopo aver conquistato Rivnopillya e Yablukove:

La conquista di Rivnopillya da parte del 114° Reggimento Fucilieri Motorizzati della 127° Divisione Fucilieri Motorizzati della 5° Armata Interarmi delle forze orientali:

Non lontano a ovest di lì, la Russia ha compiuto una sorprendente avanzata in direzione di Orekhove, conquistando gran parte di Mala Tokmachka, da dove era partita la sfortunata controffensiva ucraina del 2023:

La sorpresa più grande continua a essere nella direzione di Novopavlovka, dove le forze russe hanno apparentemente approfittato della fitta nebbia per effettuare lanci meccanizzati di truppe in tutta la città, penetrando ancora più a nord e conquistandone la maggior parte:

I dettagli della svolta sono stati resi noti a Novopavlovka, dove le nostre truppe hanno già raggiunto la parte più settentrionale del villaggio, che è molto grande.
Sotto la copertura della nebbia, è stato stabilito un passaggio tra Yalta e Dachnoye. Successivamente, sono stati trasportati 10 veicoli blindati e una grande forza di sbarco è entrata nel villaggio, distribuendosi tra le case. Altri tre gruppi di forze di sbarco sono arrivati su BMP. L’attacco ha avuto successo.
I combattimenti alla periferia di Novopavlovka durano da 3 mesi, ma le nostre truppe non avrebbero mai immaginato di sbarcare una forza così numerosa.

I canali militari ucraini sono rimasti scioccati da questo avanzamento:

Per contestualizzare, ecco come appare la nebbia da un drone Mavic Spotter, giusto per darvi un’idea del perché le truppe siano in grado di condurre qualcosa di simile a una guerra di manovra quando il tempo lo permette:

A Pokrovsk, alcune fonti riferiscono che praticamente tutto nella parte meridionale della caldaia è stato catturato e sta per essere spazzato via:

I rapporti indicano che la maggior parte delle truppe ucraine nella sacca non si sono ritirate nella parte nord di Mirnograd e si nascondono nei seminterrati e in altre posizioni all’interno degli edifici.

Alcuni ultimi elementi disparati:

La Russia sta attualmente sviluppando una nuova bomba planante UMPK con una gittata sorprendente di 400 km che supera qualsiasi altra disponibile al mondo:

I servizi segreti ucraini riferiscono che la Russia sta sviluppando FAB con UMPK in grado di volare fino a 400 km. Ciò consentirà un notevole risparmio sui missili, ciascuno dei quali è più costoso di un nuovo carro armato. La gittata di 400 km può essere raggiunta solo con l’uso di propulsori a reazione, che sono al centro della ricerca attuale. Gli attuali FAB D-30SN UMPK possono colpire bersagli a una distanza di 120-130 km. Se i nuovi FAB saranno sganciati sulla regione di Kursk, potranno raggiungere senza problemi Kiev, Kremenchug e Krivoy Rog. 100-200 pezzi al giorno?

Sono già state pubblicate nuove foto di un UMPK russo con quelli che sembrano essere dei razzi ausiliari collegati per aumentare notevolmente la gittata:

Sono apparse le prime foto della nuova versione della bomba aerea russa ad alto potenziale esplosivo con un propulsore a razzo integrato nel modulo di pianificazione e correzione. È stato riferito che, grazie al propulsore a razzo, la Russia ha acquisito la capacità di colpire obiettivi a una distanza di circa 200 km. Rispetto alle prime versioni dell’UMPK, il nuovo set si differenzia non solo per il propulsore, ma anche per il sistema di montaggio, nella cui parte centrale del corpo sono integrati, a quanto pare, nuovi sensori del sistema satellitare protetto dalle interferenze “Kometa”.

Per non parlare dei video che sono emersi, apparentemente, di uno fallito che si è schiantato da qualche parte in Ucraina:

Infine, un famoso medico mercenario americano in Ucraina ci dice ciò che sappiamo già da tempo:

https://www.the-independent.com/news/world/europe/nato-war-russia-ukraine-soldiers-drones-b2863755.html

Questo è il futuro della guerra, e l’Occidente non è pronto per ciò che potrebbe accadere in un conflitto aperto con la Russia: vittime in massa e una trasformazione della battaglia che va ben oltre ciò per cui si stanno addestrando le forze armate della NATO.

Il laptop è di Rebekah Maciorowski, una paramedico volontaria americana che gestisce le operazioni mediche, le evacuazioni e l’addestramento di un intero battaglione di uomini e donne sul fronte orientale dell’Ucraina, sotto la sua terza brigata. In una guerra convenzionale, sarebbe un maggiore. In questo conflitto? Non ha idea di quale sia il suo grado e non le interessa nemmeno.

Altro:

Ma la sua squadra subisce pesanti perdite. La settimana scorsa, un medico di alto livello, nome in codice Viking, è stato ucciso durante una missione di soccorso a est di Slaviansk. Qualche settimana prima, un altro autista è stato ucciso dall’esplosione di un drone.

“Non vedo altri europei affrontare questa situazione”, afferma.

Qualcosa di cui parliamo da tempo qui:

La dottrina della NATO si concentra su quella che definisce “manovra interarma”. Ciò significa porre l’accento sulla concentrazione di aerei, mezzi corazzati, fanteria e artiglieria con l’obiettivo di sorprendere e sopraffare il nemico.

Non funziona più.

Un altro punto importante:

Il metodo della NATO consiste nell’affrontare gli attacchi di massa delle forze “quasi pari” della Russia. Ma le tattiche della Russia non si concentrano più sulla massa – il peso del numero di uomini e armi utilizzati contro l’Ucraina tre anni fa.

Beh, sembra che i sapientoni si stiano finalmente svegliando.


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Le questioni russe al di là dell’Ucraina, di George Friedman

Le questioni russe al di là dell’Ucraina

Di

 George Friedman

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11 novembre 2025Apri come PDF

La settimana scorsa, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha incontrato a Washington i leader di Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan, tutti ex membri dell’Unione Sovietica prima del suo crollo. Le relazioni post-sovietiche con queste nazioni sono varie e complesse, ma tutte mantengono generalmente legami economici e militari con Mosca.

Per comprendere il contesto dell’incontro di Washington, è necessario capire cosa è successo nella regione del Caucaso. Il Caucaso meridionale è composto da Armenia, Georgia e Azerbaigian, anch’essi ex Stati sovietici. I rapporti tra questi paesi e la Russia, e tra loro stessi, hanno oscillato tra ostilità e conflitti armati e accordi di compromesso. L’Armenia e l’Azerbaigian hanno combattuto diverse guerre per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, mentre la Russia ha invaso la Georgia nel 2008 a causa delle sue ambizioni di entrare nella NATO. E sebbene la Georgia non abbia ancora relazioni diplomatiche con la Russia, mantiene con essa importanti rapporti economici e politici.

A nord delle montagne del Caucaso si trova una serie di paesi che fanno ancora parte della Russia, anche se alcuni (come la Cecenia) hanno combattuto per l’indipendenza. In larga misura, Mosca ha pacificato il Caucaso settentrionale, creando così una zona cuscinetto tra esso e il Caucaso meridionale. In passato, la capacità dell’Unione Sovietica di controllare entrambi i versanti del Caucaso – esso stesso in gran parte una zona cuscinetto contro un avversario storico e membro della NATO come la Turchia – limitava anche qualsiasi minaccia alla Russia proveniente da sud.

Former USSR Countries to Russia's South


(clicca per ingrandire)

I paesi del Caucaso meridionale sono ora ampiamente alleati con gli Stati Uniti, in particolare in materia economica. (La minaccia rappresentata dalla Turchia è in qualche modo attenuata dalla sua ostilità nei confronti dell’Armenia, mentre la Georgia ha una politica estera molto più complicata sia con la Russia che con l’Occidente). Nell’ultimo anno circa è emerso un progetto di sviluppo. Conosciuto come Trump Route for International Peace and Prosperity (Percorso Trump per la pace e la prosperità internazionale), collegherà l’Armenia e l’Azerbaigian, importante produttore di petrolio, e sarà reso possibile solo dalla conclusione del conflitto del Nagorno-Karabakh. Il percorso rappresenta, fondamentalmente, un grosso problema per l’Iran.

In altre parole, il Caucaso meridionale ha smesso di essere una zona cuscinetto della Russia ed è diventato un alleato degli Stati Uniti, anche se informale. E ora gli Stati Uniti stanno corteggiando l’Asia centrale. Mentre la Russia era impegnata a occuparsi del suo confine occidentale con l’Ucraina, i suoi confini meridionali e sud-orientali sono diventati meno sicuri. Nessuna di queste aree ha visto dispiegamenti militari statunitensi, ma la Russia non può escludere questa possibilità.

Nel frattempo, si è verificata un’interessante evoluzione al confine sud-orientale della Russia con la Cina. Dopo l’incontro tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, gli Stati Uniti hanno chiesto alla Cina di interrompere le importazioni di petrolio russo; due importanti importatori cinesi hanno accettato di farlo. Si è trattato almeno di un tentativo parziale da parte di Pechino di instaurare relazioni migliori con Washington senza ostilità formali nei confronti di Mosca. Ora, la Russia e la Cina sono state ostili molte volte nel corso della loro storia. Erano in contrasto anche durante la Guerra Fredda, nonostante fossero entrambe nazioni comuniste. La Cina non ha votato contro la risoluzione delle Nazioni Unite che condannava l’invasione russa dell’Ucraina, scegliendo invece di astenersi, né ha inviato truppe a sostegno della Russia. (Ha però permesso alla Russia di acquistare le sue armi). Allo stesso tempo, il governo di Pechino ha pubblicato mappe che raffigurano le zone della Russia orientale, compresa Vladivostok, conquistata dalla Russia nel XIX secolo, come parte della Cina.

La volontà della Cina di impedire alle aziende di acquistare petrolio russo dovrebbe essere vista come un gesto di buona volontà in vista di relazioni, si spera, migliori con Washington. Ciò ha senso perché l’economia cinese ha bisogno di accedere ai mercati statunitensi. La Cina sta attraversando gravi problemi economici, tra cui il potenziale calo delle esportazioni, una crisi immobiliare e un alto tasso di disoccupazione in alcuni segmenti della popolazione. Se la Cina decidesse l’ovvio, ovvero che se le tensioni porteranno a dazi massicci, avrà bisogno di migliori relazioni con gli Stati Uniti, probabilmente respingerà la Russia, soprattutto se ciò non comporterà ripercussioni economiche significative.

Tutto ciò per dire che l’ossessione della Russia per il suo confine occidentale è andata a discapito del suo confine meridionale, i paesi lungo il quale sono interessati a raggiungere un accordo con gli Stati Uniti. La Russia non ha né la capacità né l’interesse ad agire su due confini contemporaneamente. Normalmente, ciò porterebbe una nazione a moderare l’attenzione sulla guerra che non sta vincendo e a cercare di ridurre le minacce future sugli altri confini. Finora, non è questo ciò che sta facendo la Russia.

Una nuova mappa dell’Artico

Una sede diplomatica statunitense ha appena acquisito molta più importanza.

Di

 Antonia Colibasanu

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14 novembre 2025Apri come PDF

Secondo quanto riferito, questa settimana i legislatori statunitensi stanno procedendo alla creazione formale di una carica diplomatica di alto livello denominata ambasciatore straordinario per gli affari artici, istituita nel 2022 ma raramente ricoperta, al fine di coordinare meglio la politica federale in materia di strategia artica, sicurezza, protezione ambientale e coinvolgimento delle popolazioni indigene. L’iniziativa legislativa sembra essere stata avviata nell’ultima settimana di ottobre, in coincidenza con l’annuncio di un accordo storico tra Cina e Russia per lo sviluppo congiunto e la commercializzazione del trasporto marittimo lungo la rotta marittima settentrionale della Russia. L’accordo rafforzerà la cooperazione sino-russa nella regione e, in teoria, trasformerà la NSR in un importante corridoio commerciale tra Asia ed Europa. L’operatore russo di rompighiaccio nucleari, Rosatom, guiderà gli sforzi infrastrutturali per mantenere la rotta navigabile. Pechino ha anche intensificato la ricerca nell’Artico, inviando rompighiaccio in lunghe spedizioni per studiare i modelli del ghiaccio marino e migliorare l’efficienza operativa.

È un dato di fatto che l’attività di trasporto marittimo occidentale lungo la NSR sia crollata dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Il calo è dovuto in parte al desiderio degli operatori di evitare le sanzioni e in parte al fatto che essi dipendevano eccessivamente dalle scorte di rompighiaccio e dai porti russi per svolgere la loro attività. Ciò che non era immediatamente chiaro era la rapidità con cui Cina e Russia avrebbero approfittato del vuoto lasciato dalle aziende occidentali. Dopo una breve pausa nel 2022, il transito marittimo ha registrato una ripresa nel 2023, raggiungendo livelli record grazie esclusivamente alla domanda cinese. Nel 2023 la NSR ha registrato 75 viaggi di transito per un totale di 2,1 milioni di tonnellate di merci, in netto recupero rispetto al traffico di transito praticamente inesistente dell’anno precedente. Oggi la Cina è l’utente internazionale predominante della NSR. Secondo i dati del Center for High North Logistics, nel 2023 oltre il 95% di tutte le merci in transito nella regione viaggiava da o verso la Cina. La Cina rappresentava quasi tutta l’attività non russa della NSR: le navi portarinfuse, le petroliere e un nuovo servizio di container “Arctic Express” gestito dalla Cina erano praticamente gli unici viaggi collegati all’estero che sono tornati sulla rotta.

L’aumento del traffico è stato dovuto in gran parte al cambiamento nel commercio energetico. Dopo che l’UE ha vietato le importazioni di petrolio greggio russo nel dicembre 2022, la Russia ha reindirizzato alcune esportazioni di petrolio verso l’Asia attraverso la NSR. Nell’estate del 2023, la Russia ha iniziato a inviare carichi di greggio artico verso est attraverso i mari polari fino alla Cina. Almeno 14 petroliere cariche hanno transitato sulla NSR nel 2023, consegnando circa 1,5 milioni di tonnellate di petrolio greggio russo ai porti cinesi. Questi convogli petroliferi artici, di dimensioni senza precedenti, hanno portato la Cina, ora principale acquirente di petrolio russo, a sostituire efficacemente il mercato europeo perduto. Il trasporto di altre risorse ha seguito un andamento simile: i carichi di minerale di ferro e carbone che un tempo sarebbero potuti arrivare ai mercati occidentali sono stati invece spediti in Asia attraverso le rotte della NSR. Nel 2024 la tendenza ha subito un’accelerazione; i dati preliminari hanno mostrato un record di 3 milioni di tonnellate di merci in transito attraverso la NSR, di cui il 95% proveniente da o diretto verso la Russia e la Cina. In altre parole, quasi tutto il transito internazionale sulla NSR era costituito da scambi bilaterali di materie prime tra Cina e Russia.

Oltre alle merci sfuse, la Cina ha anche guidato una rinnovata spinta per il trasporto marittimo di container nell’Artico con la Russia. Nel 2023, le nuove ambizioni della Cina relative alla Via della Seta polare hanno portato a viaggi sperimentali di container lungo la NSR. Nel 2023, le aziende logistiche cinesi hanno effettuato una serie di transiti pilota di navi container dall’Asia orientale alla parte europea della Russia attraverso l’Artico. Nel 2023 sono stati completati in totale sette viaggi di navi container lungo la NSR. Nel 2024, questa cifra è raddoppiata. Sebbene ancora modeste, queste incursioni dimostrano l’intenzione di Pechino di stabilire un collegamento regolare di trasporto artico tra Cina e Russia, riducendo il tempo necessario per il transito delle merci attraverso il Canale di Suez.

Pechino e Mosca hanno anche formalizzato la loro cooperazione sullo sviluppo della NSR. Nel marzo 2023, durante la visita del presidente Vladimir Putin a Pechino, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si impegnavano a “lavorare insieme per sviluppare la rotta marittima settentrionale” e hanno persino istituito un comitato congiunto per il coordinamento della NSR. Nell’agosto 2024, questo comitato si è evoluto in una sottocommissione dedicata alla cooperazione NSR, nell’ambito della quale è stato approvato un piano d’azione per aumentare le spedizioni nell’Artico.

La decisione di Washington di nominare un ambasciatore straordinario per la regione indica che gli Stati Uniti stanno prendendo sul serio questo sviluppo. Nonostante la riconfigurazione delle rotte commerciali internazionali, la cooperazione russo-cinese nell’Artico solleva anche seri interrogativi in merito alla governance. L’intera NSR si trova all’interno della zona economica esclusiva della Russia, ma c’è una caratteristica interessante per quanto riguarda il modo in cui sono mappati i cieli sopra la NSR. Il corridoio di ingresso occidentale della NSR, in particolare intorno al Kara Gate e alla parte orientale del Mare di Barents, corre vicino allo spazio aereo “terra di nessuno” tra la regione di informazione di volo norvegese di Bodo e quella russa di Murmansk.

Le regioni di informazione di volo sono zone dello spazio aereo in cui uno Stato è responsabile della fornitura di servizi di traffico aereo nell’ambito dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile. I confini delle FIR sono stabiliti per garantire la sicurezza e l’efficienza dell’aviazione, non per delimitare il territorio sovrano. Una FIR può estendersi sulle acque internazionali o nelle zone marittime di un altro Stato perché, in sostanza, è una zona di responsabilità delegata per la regolamentazione dell’aviazione civile, non un’espressione di controllo territoriale. Al contrario, una zona economica esclusiva è una zona marittima che si estende fino a 200 miglia nautiche (370 chilometri) dalle coste di una nazione. È definita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che Russia e Cina hanno ratificato ma interpretano in base ai propri interessi. Pechino interpreta le ZEE attraverso la lente dei “diritti storici”, in particolare nel Mar Cinese Meridionale, mentre Mosca vuole una piattaforma continentale estesa nell’Artico, rivendicando aree come la dorsale di Lomonosov come estensioni del proprio margine continentale. All’interno della propria ZEE, uno Stato ha diritti sovrani di sfruttamento delle risorse marine (pesce, petrolio, gas, ecc.), ma non possiede la sovranità sulle acque o sullo spazio aereo oltre le 12 miglia nautiche dell’area territoriale. Infatti, l’UNCLOS sottolinea esplicitamente che la ZEE “non ha conseguenze legali per l’aviazione”. In altre parole, lo spazio aereo sopra una ZEE è uno spazio aereo aperto che chiunque può utilizzare.

A causa di questi regimi giuridici diversi, i confini delle FIR e quelli delle ZEE non sempre coincidono. Di solito, ciò non rappresenta un grosso problema diplomatico. Tuttavia, nelle regioni strategicamente sensibili, in particolare dove gli Stati contendono la sovranità o le risorse, una discrepanza tra chi controlla la ZEE e chi gestisce i cieli può causare complicazioni.

L’Artico è un esempio lampante di queste complicazioni. Per oltre 40 anni durante la Guerra Fredda (e anche dopo), Oslo e Mosca hanno litigato per 175.000 chilometri quadrati di area marittima, una zona contesa ricca di pesce e potenzialmente vaste riserve di petrolio e gas (il giacimento di gas di Shtokman). Hanno messo fine alla disputa nel 2010 quando hanno firmato un trattato che delimita i confini della ZEE. Ma il trattato non ha chiarito le responsabilità delle FIR. Una vasta area dello spazio aereo internazionale sopra il Mare di Barents, dal 70° parallelo nord al Polo Nord, non era storicamente assegnata ad alcuna FIR. Ciò ha lasciato una striscia di spazio aereo irrisolta tra le FIR norvegese e russa, all’incirca sopra le acque un tempo contese. I voli che attraversano l’Artico devono coordinarsi con le autorità norvegesi e russe e ottenere autorizzazioni ad hoc per transitare nella zona.

Questo è il motivo per cui lo spazio aereo non regolamentato sopra la NSR rappresenta una sfida sia per la Russia che per la Cina. Finora, la cooperazione bilaterale è stata relativamente priva di attriti. Tuttavia, Pechino e Mosca comprendono che con l’aumento del traffico sulla NSR aumenterà anche il numero di voli di supporto per la navigazione, la logistica e la sorveglianza. Se continueranno a operare congiuntamente, il controllo dello spazio aereo per il monitoraggio delle rotte e il supporto operativo sarà probabilmente oggetto di contesa, in particolare se aeromobili di terzi transiteranno nello stesso corridoio.

La mappatura delle FIR e delle ZEE è più di un semplice lavoro burocratico: determinerà chi controlla, monitora e protegge i domini critici. In momenti di crisi o conflitto, queste linee invisibili possono definire i rischi di escalation, influenzare la libertà di movimento e plasmare le posizioni strategiche. Il mancato rigido definizione, ad esempio, della FIR sul Mare di Barents era intrinsecamente politico: nessuna delle due parti voleva cedere la gestione dello spazio aereo in una zona cruciale per l’esplorazione di idrocarburi e, se fosse stato necessario, per i bombardieri nucleari. La stessa logica si applica alla recente iniziativa degli Stati Uniti di formalizzare la figura dell’ambasciatore straordinario per gli affari artici. Anche se in tempo di pace può sembrare una carica simbolica, la tempistica della nomina rivela la consapevolezza di Washington che l’Artico non è più una zona periferica. Segnala il riconoscimento che la cooperazione sempre più profonda tra Russia e Cina nello sviluppo dell’Artico ha implicazioni strategiche che vanno ben oltre il commercio.

George risponde alle vostre domande: i vasti confini della Russia, l’intelligence statunitense sul traffico di droga

Di

 George Friedman

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15 novembre 2025Apri come PDF

Le questioni russe al di là dell’Ucraina
11 novembre 2025

Domanda: Perché concludi affermando che la Russia non ha né la capacità né l’interesse ad agire contemporaneamente su entrambi i confini? Capisco perché potrebbe non avere la capacità, ma sicuramente deve avere un interesse, anche se le mancano le risorse o la larghezza di banda?

Risposta: I confini sono molto lunghi e molto distanti tra loro. Negli attacchi di Napoleone e Hitler, i russi li sconfissero ritirandosi molto indietro, scambiando spazio con tempo, mentre creavano una forza massiccia per bloccare e contrattaccare. Sono sopravvissuti perché tutte le forze disponibili sono state concentrate su un unico fronte. Se la Russia fosse attaccata contemporaneamente su fronti molto distanti tra loro – Europa, Caucaso, Asia centrale, Cina – sarebbe impossibile creare forze imponenti su tutti i fronti mentre si arretra, si riorganizza e si contrattacca, in termini di reclutamento delle forze, dispiegamento e supporto logistico. Naturalmente, le possibilità che questi confini vengano attaccati contemporaneamente sono praticamente nulle. Allo stesso tempo, la Russia, date le sue dimensioni, avrebbe dovuto radunare forze per scoraggiare qualsiasi aggressione militare su tutti questi fronti, nel caso in cui uno qualsiasi di essi fosse diventato attivo. Sebbene un’aggressione simultanea contro la Russia sia estremamente improbabile, tutti i fronti dovrebbero essere presidiati per contenere un attacco su un solo fronte.

Certamente, operazioni offensive su tutti i fronti sarebbero impossibili da condurre simultaneamente. Quindi l’esercito russo permanente, che ha avuto il lusso di concentrarsi principalmente sul fronte occidentale europeo, dovrebbe essere notevolmente ampliato per poter operare su più fronti. In altre parole, la Russia è sempre stata un paese vasto con minacce significative provenienti da una sola direzione. Avere minacce su quattro lunghi confini sarebbe difficile. Al momento ci sono ostilità solo sul fronte occidentale e la probabilità di un attacco su uno qualsiasi degli altri fronti è bassa a causa della mancanza di interesse o capacità di attacco da parte degli altri paesi. Ma ciò che oggi è inconcepibile a volte diventa ovvio in futuro. La frammentazione dell’Unione Sovietica pone profonde sfide teoriche a lungo termine su molti fronti.


Domanda: Probabilmente non intendi dire che Sebastopoli si trova nella Russia orientale. Si trova in Crimea. Intendevi forse Vladivostok, che storicamente faceva parte della Mongolia Esterna fino alla seconda metà del XIX secolo, quando fu conquistata dalla Russia?

Risposta: Ovviamente ho commesso un errore e me ne scuso. Ricordo che in realtà avevo intenzione di scrivere Vladivostok mentre scrivevo Sebastopoli. Quando hanno iniziato ad arrivare i commenti, ho fatto un passo importante: cercare di capire chi altro incolpare. Purtroppo non c’era nessuno. Mi scuso.


George risponde alle vostre domande: la legalità delle collisioni con imbarcazioni
8 novembre 2025

Domanda: Alcuni hanno affermato che non c’erano prove che si trattasse di imbarcazioni provenienti dal Venezuela che trasportavano droga, ma il motivo per cui non hanno visto le prove è perché non possono essere considerati affidabili. Queste imbarcazioni e queste persone sono state monitorate per mesi, attraverso molte fonti. “Sapevano” che trasportavano droga. L’intelligence consiste nel seguire le tracce. E se la comunità dell’intelligence americana vuole sapere qualcosa, non credi che la scoprirà?

Risposta: Dove c’è intelligence, c’è anche controspionaggio. Dai criminali locali alle nazioni, c’è sempre la possibilità di eludere o inserire false informazioni nel sistema. Date le notevoli risorse finanziarie dei cartelli e il grande valore in gioco, è improbabile che non siano in grado di reclutare da vari paesi sia esperti di controspionaggio che tecnici in grado di fuorviare l’intelligence tecnica. Quindi, sebbene l’intelligence statunitense sia estremamente capace, le risorse finanziarie dei cartelli potrebbero dare loro la capacità di accecare l’intelligence o, peggio ancora, di inserire false informazioni nel sistema per indurre gli Stati Uniti a intraprendere attività pericolose e sconsiderate. Si deve presumere che i cartelli, operando sul proprio territorio, potrebbero provocare gravi errori. Penso sempre al Nicaragua e al modo in cui si sono evolute le cose come esempio. A questo possiamo aggiungere che ci sono alcuni grandi paesi nel mondo con eccellenti capacità di intelligence e controspionaggio che sarebbero lieti di indurre gli Stati Uniti ad azioni che in qualche modo danneggerebbero gli Stati Uniti. Quindi, pur non avendo alcun dubbio sulle nostre capacità di intelligence, non ho nemmeno alcun dubbio che i cartelli, operando sul proprio territorio, dispongano delle risorse per mettere in atto operazioni di controspionaggio. Né dubito che ci siano grandi potenze che accoglierebbero con favore un passo falso disastroso o almeno imbarazzante da parte degli Stati Uniti in Venezuela. Non si tratta di una previsione, ma semplicemente di ricordare i precedenti.


Risposte ad altre domande

Domanda: Quali sono le ragioni dichiarate e non dichiarate di Israele per opporsi alla partecipazione delle truppe turche alla forza internazionale di stabilizzazione che si sta costituendo a Gaza?

Risposta: La Turchia è un Paese prevalentemente musulmano con un notevole potere militare. Israele ha avuto rapporti contrastanti con essa e talvolta l’ha accusata di intrattenere relazioni con organizzazioni ostili a Israele e di sostenerle, rappresentando così una minaccia. Data questa visione, Israele non considera la Turchia una forza neutrale, ma una potenza che non controlla le forze ostili. Aggiungerei che la Palestina era sotto l’Impero Ottomano, che si basava sul potere turco. La Turchia è una potenza in evoluzione, dove alcuni guardano al periodo ottomano come in qualche modo al futuro della Turchia, e quindi potrebbe sviluppare un interesse per una Palestina che potrebbe dominare. Questo secondo elemento è molto meno importante per il calcolo israeliano rispetto al primo, ma è presente nella mente degli israeliani. In sostanza, non vedono la Turchia come una forza neutrale a Gaza.

George Friedman

https://geopoliticalfutures.com/author/gfriedman/

George Friedman è un analista geopolitico e stratega di fama internazionale specializzato in affari internazionali, nonché fondatore e presidente di Geopolitical Futures. Il dottor Friedman è anche autore di best seller del New York Times. Il suo libro più recente, THE STORM BEFORE THE CALM: America’s Discord, the Coming Crisis of the 2020s, and the Triumph Beyond, pubblicato il 25 febbraio 2020, descrive come “gli Stati Uniti raggiungano periodicamente un punto di crisi in cui sembrano essere in guerra con se stessi, ma dopo un lungo periodo si reinventano, in una forma fedele alla loro fondazione e radicalmente diversa da quella che erano stati in precedenza”. Il decennio 2020-2030 è uno di questi periodi, che porterà a sconvolgimenti drammatici e a una riorganizzazione del governo, della politica estera, dell’economia e della cultura americani. Il suo libro più popolare, The Next 100 Years, è ancora attuale grazie alla lungimiranza delle sue previsioni. Altri libri di successo includono Flashpoints: The Emerging Crisis in Europe, The Next Decade, America’s Secret War, The Future of War e The Intelligence Edge. I suoi libri sono stati tradotti in più di 20 lingue. Il dottor Friedman ha tenuto briefing per numerose organizzazioni militari e governative negli Stati Uniti e all’estero e appare regolarmente come esperto di affari internazionali, politica estera e intelligence sui principali media. Per quasi 20 anni prima di dimettersi nel maggio 2015, il dottor Friedman è stato amministratore delegato e poi presidente di Stratfor, una società da lui fondata nel 1996. Friedman ha conseguito la laurea presso il City College della City University di New York e ha conseguito un dottorato in scienze politiche presso la Cornell University.


Antonia Colibasanu

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Antonia Colibasanu è analista geopolitica senior presso Geopolitical Futures e ricercatrice senior per il programma Eurasia presso il Foreign Policy Research Institute. Ha pubblicato diversi lavori sulla geopolitica e la geoeconomia, tra cui “Geopolitics, Geoeconomics and Borderlands: A Study of a Changing Eurasia and Its Implications for Europe” e “Contemporary Geopolitics and Geoeconomics”. È anche professore associato di geopolitica e geoeconomia nelle relazioni internazionali presso l’Università Nazionale Rumena di Studi Politici e Pubblica Amministrazione. È esperta senior associata del think tank Romanian New Strategy Center e membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto Real Elcano. Prima di entrare a far parte di Geopolitical Futures, la dottoressa Colibasanu ha lavorato per oltre 10 anni presso Stratfor ricoprendo varie posizioni, tra cui quella di partner per l’Europa e vicepresidente per il marketing internazionale. Prima di entrare a far parte di Stratfor nel 2006, la dottoressa Colibasanu ha ricoperto diversi ruoli presso la World Trade Center Association di Bucarest. La dottoressa Colibasanu ha conseguito un master in Gestione di progetti internazionali ed è alumna dell’International Institute on Politics and Economics della Georgetown University. Ha conseguito il dottorato in Economia e commercio internazionale presso l’Accademia di studi economici di Bucarest e la sua tesi verteva sull’analisi dei rischi a livello nazionale e sui processi decisionali di investimento delle società transnazionali.

Le Frontiere Corrotte dell’Ucraina: La Guerra come Copertura per il Boom del Traffico di Droga_di Eugenio Fratellini

Le Frontiere Corrotte dell’Ucraina: La Guerra come Copertura per il Boom del Traffico di Droga

Mentre le sirene antiaeree echeggiano nei bunker ucraini, un’ombra più subdola si allunga sulle frontiere occidentali del Paese: quella della corruzione sistemica tra le guardie di frontiera. Il Servizio di Guardia di Frontiera Statale dell’Ucraina (DPSU), incaricato di vigilare sui confini con l’Unione Europea, è diventato il fulcro di reti criminali che facilitano il transito di tonnellate di stupefacenti e merci di contrabbando verso Polonia, Ungheria, Romania e, più a sud, l’Italia. Non si tratta di episodi isolati, ma di schemi consolidati, alimentati dal caos della guerra russo-ucraina, che i funzionari corrotti sfruttano come scudo impunibile.

Secondo un rapporto del Global Initiative Against Transnational Organized Crime (GI-TOC) pubblicato ad aprile 2025, la regione della Transcarpazia – il “corridoio” ucraino verso i quattro Paesi UE confinanti – è un hub di “corporazioni del contrabbando” dove le guardie di frontiera incassano tangenti da 100 a 500 dollari per carico, permettendo il passaggio di eroina, cocaina e droghe sintetiche nascoste in veicoli agricoli o container di merci legittime.

Il documento denuncia “vertici di corruzione” interni al DPSU: ex capi come Serhiy Deineko, arrestato per schemi su sigarette, alcol e droga, hanno orchestrato reti che fruttano miliardi di euro annui. Un caso emblematico: a ottobre 2025, guardie a Leopoli hanno sequestrato 27 kg di stupefacenti per un valore di 42 milioni di UAH (circa 1 milione di euro), ma solo dopo aver “scoperto” un canale che loro stessi avevano facilitato per mesi.

La guerra, entrata nel quarto anno, amplifica questo degrado. L’UNODC, nell’ambito del World Drug Report 2025, spiega come il conflitto abbia “trasformato il paesaggio criminale ucraino”, spostando rotte di trafficking verso i Balcani e l’UE: la produzione locale di sintetiche come metadone e catinoni è esplosa, con i confini porosi – sorvegliati da personale demotivato e sottofinanziato – come valvola di sfogo.

Funzionari corrotti, protetti dall’emergenza bellica, giustificano negligenze con “priorità militari”, mentre incassano da cartelli sudamericani e gruppi balcanici. L’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA) nel suo report 2025 conferma: il 40% delle eroina sequestrate in Europa orientale proviene da rotte ucraine, con un calo del 30% nel trafficking diretto ma un boom del 150% nelle sintetiche.

L’impatto è devastante sui vicini dell’Ucraina. In Polonia, dove il confine di 535 km è saturo di rifugiati e aiuti umanitari, il traffico di anfetamine e MDMA ha causato un +25% di overdosi nel 2025, colpendo soprattutto giovani nelle periferie di Varsavia e Cracovia. Famiglie distrutte, comunità frammentate: un report UNODC evidenzia come queste droghe, “low-cost” grazie al contrabbando ucraino, alimentino dipendenze croniche e criminalità minore.

In Ungheria e Romania, la Transcarpazia funge da “porta d’ingresso”: a Budapest, il sequestro record di 5 tonnellate di eroina nel giugno 2025 è stato rintracciato a reti ucraine, con effetti sociali catastrofici – aumento della prostituzione forzata e del degrado urbano nei sobborghi. In Romania, migliaia di rifugiati ucraini sono vulnerabili al reclutamento da parte di trafficanti, esacerbando il trafficking umano-droga e sovraccaricando servizi sanitari già al collasso.

L’Italia non è immune: come endpoint meridionale delle rotte balcaniche, riceve flussi deviati dalla guerra. L’EMCDDA stima che il 15% della cocaina e eroina intercettata nei porti di Genova e Napoli nel 2025 provenga da hub ucraini, con un incremento del 20% nelle importazioni sintetiche via camion attraverso Slovenia e Croazia.

Questo non solo gonfia il mercato nero – con prezzi calati del 10% per l’abbondanza – ma erode la sicurezza: bande miste ucraine-albanesi controllano piazze di spaccio a Milano e Roma, alimentando violenza e dipendenze tra adolescenti. L’economia sommersa drena risorse: stime UE parlano di 2 miliardi di euro annui persi in evasione fiscale e cure sanitarie.

Mentre l’UE eroga miliardi in aiuti anti-corruzione al DPSU – come il programma del maggio 2025 per “analisi rischi smuggling” – i risultati sono modesti. È tempo che Bruxelles condizioni i fondi alla depurazione radicale delle frontiere ucraine. Altrimenti, la “coalizione dei volenterosi” contro la Russia rischia di annegare nel marcio del crimine transnazionale. La guerra non è solo un dramma geopolitico: è il brodo di coltura per mostri che avvelenano l’Europa intera.

Fonti consultate:

UNODC, “War transforming Ukraine’s criminal landscape” (18 luglio 2025): https://www.unodc.org/unodc/press/releases/2025/July/unodc_-war-transforming-ukraines-criminal-landscape–causing-economic-and-social-damage.html

GI-TOC, “Smuggling, Inc.” (1 aprile 2025): https://globalinitiative.net/wp-content/uploads/2025/04/Smuggling-inc.-Illicit-trade-between-Ukraines-Transcarpathia-and-the-EU-GI-TOC-April-2025.pdf

UNN, “Border guards in Lviv region uncovered a drug supply channel” (28 ottobre 2025): https://unn.ua/en/news/border-guards-in-lviv-region-uncovered-a-drug-supply-channel-over-27-kg-worth-uah-42-million-seized

EMCDDA, “European Drug Report 2025”: https://www.euda.europa.eu/publications/european-drug-report/2025/drug-supply-production-and-precursors_en

UNODC, “World Drug Report 2025”: https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/WDR_2025/WDR25_B1_Key_findings.pdf

GI-TOC, “Impact of the Ukraine war on drug markets in South Eastern Europe” (17 luglio 2023, aggiornato 2025): https://globalinitiative.net/analysis/ukraine-war-impact-drug-markets-south-eastern-europe/

U.S. Department of State, “2025 Trafficking in Persons Report: Romania” (30 settembre 2025): https://ro.usembassy.gov/2025-trafficking-in-persons-report-romania/

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