La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Benjamin Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, Liberilibri, Macerata 2020, pp. XLI + 66, € 8,00.

È opportuna e tempestiva l’iniziativa di una nuova edizione di questi saggi di Constant (la prima è del 2001) con introduzione di Luca Arnaudo.

Questo perché in tempi di cambiamenti radicali, di democrazie liberali e illiberali, i saggi inclusi nel volume, soprattutto il primo, famoso, danno un contributo decisivo, tanto alla risposta a cosa sia la libertà politica e, in certa misura, anche la democrazia.

Com’è noto Constant distingue la concezione della libertà degli antichi da quella dei moderni, distinzione poco o punto chiara a molti teorici e politici del XVIII secolo e della rivoluzione francese. Quella degli antichi “consisteva nell’esercizio, in maniera collettiva ma diretta, di molteplici funzioni della sovranità presa nella sua interezza, funzioni quali la deliberazione sulla pubblica piazza della guerra e della pace… ma se tutto ciò gli antichi chiamavano libertà, al tempo stesso ammettevano come compatibile con questa libertà collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme… In tal modo, presso gli antichi, l’individuo, praticamente sovrano negli affari pubblici, è schiavo all’interno dei rapporti privati”. Al contrario “tra i moderni, al contrario l’individuo, indipendente nella vita privata, anche negli Stati più democratici non è sovrano che in apparenza”; “Scopo degli antichi era la divisione del potere sociale tra tutti i cittadini di una medesima patria; questo essi consideravano la libertà. Scopo dei moderni è la sicurezza nelle gioie private, ed essi chiamano libertà la garanzie accordate da parte delle istituzioni a tali gioie”.

Il crollo delle istituzioni rivoluzionarie, che nella concezione della libertà degli antichi trovano il pilastro, è stato causato proprio dalla diversità dalla libertà come condivisa dai moderni.

La distinzione tra diritti-libertà di partecipazione al potere politico, e diritti-libertà dal potere politico è stata tra le più fortunate. Riecheggia in tanti teorici successivi del diritto pubblico e della politica: ricordiamo, tra i tanti, quella di M. Hauriou tra Droit statutaire e Droit commun; di I. Berlin tra libertà di e libertà da, di C. Schmitt tra principi di forma politica, (democrazia) e principi dello Stato borghese (uno dei quali è quello di separazione tra Stato e società civile).

Su come coniugare la libertà degli antichi a quella dei moderni Constant propone la soluzione, debitrice di quella esposta da Sieyés nel discorso all’Assemblea costituente sul “veto reale”. Alla libertà dei moderni conviene “un’altra organizzazione rispetto a quella che poteva andar bene alla libertà antica…all’interno del tipo di libertà di cui noi siamo gelosi, più l’esercizio dei nostri diritti politici ci lascerà tempo per dedicarci ai nostri interessi privati, più la libertà ci diverrà preziosa. Da ciò deriva, Signori, la necessità del sistema rappresentativo. Il sistema rappresentativo altro non è che un’organizzazione per mezzo della quale una nazione scarica su alcuni individui ciò che non può e non vuole fare da sé”. L’acume di Constant vede anche il pericolo di tale organizzazione del potere “il rischio della libertà moderna è che, assorbiti dal piacere della nostra indipendenza privata e dall’inseguimento dei nostri interessi particolari, noi rinunciamo troppo facilmente al nostro diritto di partecipare al potere politico”; trascurare questo può compromettere quello.

Non è vero che i cittadini non sanno decidere sulle questioni politiche “Guardate i nostri concittadini, di tutte le classi e professioni, che staccandosi dalla sfera dei loro lavori abituali e delle loro faccende private si trovano improvvisamente a occuparsi delle importanti funzioni che la Costituzione demanda loro: decidono con discernimento, resistono con energia, sconcertano l’astuzia, sfidano il pericolo, resistono nobilmente alla seduzione”. Per cui Constant conclude “Ben lungi, Signori, dal rinunciare ad alcuna delle due specie di libertà di cui vi ho parlato, occorre piuttosto, come ho dimostrato, imparare a combinarle tra loro…Occorre che le istituzioni si occupino dell’educazione morale dei cittadini. Nel rispetto dei loro diritti, avendo riguardo della loro indipendenza, senza ostacolare le loro occupazioni, esse devono comunque consacrare l’influenza di cui dispongono alla cosa pubblica, chiamare i cittadini a concorrere con le loro decisioni e i loro suffragi all’esercizio del potere; esse devono garantire loro un diritto di controllo e di sorveglianza con la manifestazione delle loro opinioni, e formandoli in tal modo, per mezzo della pratica, a queste elevate funzioni, donar loro al contempo il desiderio e la possibilità di adempierle”. Altro che tecnocrazia e “ce lo chiede l’Europa”. Il secondo saggio (Note sulla sovranità del popolo e i suoi limiti) verte su un argomento quanto mai difficile dato che, come scriveva (tra i molti) V. E. Orlando la sovranità è per sua essenza assoluta; a farla relativa la si distrugge. E per risolvere tale antinomia Constant sostiene che garante ne è l’opinione pubblica (che intendeva come il common sense di T. Paine): “La limitazione della sovranità è dunque esatta, ed è possibile: essa sarà garantita inizialmente dalla forza che garantisce tutte le verità riconosciute dall’opinione, in seguito lo sarà in maniera più precisa dalla distribuzione e dal bilancio dei poteri”. Il che significa che il limite, prima che giuridico, è politico e meta-giuridico. Cosa ancora non compresa da tanti.

Teodoro Klitsche de la Grange

Trump, Biden_Due discorsi a confronto, di Giuseppe Germinario

Il buio e la luce, il male e il bene. Al netto della retorica e dei convenevoli in stile americano i discorsi di investitura dei due candidati sono esemplari. Hanno poco a che fare con il chiacchiericcio da cicisbei ormai imperante e impotente in Italia. Quello di Biden dal sapore millenaristico, quello di Trump molto più pragmatico ed incisivo, rivelano entrambi l’anima che muove le due opzioni e di fatto i contenuti della loro piattaforma. In quello di Trump non mancano certo alcuni “svarioni” fuori dal tempo; in primo luogo il richiamo dozzinale all’anticomunismo e l’assimilazione al comunismo del bacino democratico, in particolare quello più radicale. Non si sa se sia prevalentemente un calcolo elettorale teso ad acquisire il consenso della componente più conservatrice ed integralista e di quella avversa ad un ruolo più impositivo dello Stato o uno scivolamento verso una versione particolare dello “scontro di civiltà”. La storia e le caratteristiche del personaggio Trump indurrebbero alla prima ipotesi, la dinamica e l’inerzia dello scontro politico, il ritorno di personaggi come Bannon dall’altra, figura per altro, è bene sottolinearlo qui in Italia, esterna alla cerchia del presidente spingerebbero verso la seconda ipotesi. Di certo è una forzatura che mette in ombra il fatto che il messianismo e l’integralismo che pervade l’area del Partito Democratico è costitutiva ormai del liberalismo e del radicalismo progressista. E non è un caso che ad essi si è naturalmente affiancata la componente neocon del Partito Repubblicano. Questo impedisce a Trump di affondare con più decisione il cuneo sulla contraddizione insolubile tra il globalismo e il multipolarismo che informa l’azione politica dei suoi avversari e la loro intenzione dichiarata di tutelare i diritti sociali, l’occupazione, lo sviluppo economico e la coesione sociale. Lo fa sorvolare sul fatto che la componente più navigata di quell’area progressista, impersonata da Sanders, nei fatti è un supporto ed è colpevolmente silente se non allineata alle scelte interventiste di politica estera portate avanti dai Clinton e dagli Obama. Non è un caso che l’unica rappresentante coerente di quell’area, Tulsi Gabbard, sia stata così pesantemente avversata e discriminata dai suoi compagni. Nel discorso di Trump non mancano certo accenni felici ed anche gustosi sui limiti e sul vicolo cieco verso il quale porta la linea politica degli avversari. Sull’ambientalismo, quando stuzzica Biden sulla sua incapacità di garantire “la luce” in California a causa dei black-out legati al prematuro sovrautilizzo delle energie intermittenti; sul multilateralismo ormai improponibile in una fase multipolaristica; sull’antirazzismo e l’antidisciminazionismo che si stanno rivelando in realtà una nuova forma di razzismo e di discriminazione di gruppi sociali e razziali tra di essi ostili. Con una novità dirompente: un partito istituzionale e di governo, quale quello democratico, che si sta rivelando in realtà a-istituzionale e pronto a giustificare e glissare sulle pesanti degenerazioni e strumentalizzazioni interne a quei movimenti. Il vuoto programmatico nascosto dietro la “compassione” che pervade il discorso di Biden ne è la diretta conseguenza. Il segno che Biden è in realtà e ormai una controfigura dal peso soggettivo inconsistente. In questa dinamica Trump ha gioco facile nel presentarsi come difensore dell’ordine e paladino delle istituzioni; nell’evidenziare il pragmatismo della sua geopolitica economica tesa a riequilibrare l’economia americana e ripristinare un minimo di coesione sociale e della geografia interna. Un gioco che potrebbe però farlo scivolare verso posizioni di conservatorismo classico. Conciliare del resto la retorica de “America First” con la delimitazione di una area di influenza più ridotta ma più coesa è una impresa ardua tanto più che nelle dinamiche internazionali gli Stati Uniti detengono sempre meno il pallino esclusivo delle scelte di fondo, anche se per la verità devono ancora emergere con tutta evidenza le debolezze, piuttosto che la forza crescente, dei suoi avversari geopolitici. Soprattutto non è ancora chiara la dimensione e la natura dei compromessi che lo zoccolo duro di sostegno a Trump ha dovuto e dovrà porre in atto in questi anni per sopravvivere e in futuro, se vittorioso, per perseguire le proprie scelte. La debolezza dei centri di potere e decisionali vicini al Presidente, sia pure ormai radicati negli apparati in questi quattro anni, lascia presagire ancora quattro anni di resa dei conti ancora più feroce piuttosto che una accettazione della linea prevalente da parte degli avversari sconfitti. Una polarizzazione viscerale e faziosa, ormai corrispondente sempre più ad una polarizzazione sociale e geografica che rischia di spingere quel paese ancor di più verso un punto di non ritorno più volte da tempo adombrato nei nostri articoli.
Punto di non ritorno verso il quale con perseveranza ci sta portando di riflesso la nostra classe dirigente in perenne attesa del sostegno e di indicazioni di amici che non ci sono, se mai sono esistiti. Buona lettura_Giuseppe Germinario
IL DISCORSO DI JOE BIDEN.
“Buona sera.
Ella Baker, un gigante del movimento dei diritti civili, ci ha lasciato questa perla di saggezza: fornisci luce alla gente e loro troveranno la strada.
Fornire luce alla gente.
Queste sono le parole del nostro tempo.
L’attuale presidente ha ammantato l’America nell’oscurità per troppo tempo. Troppa rabbia. Troppa paura. Troppa divisione.
Qui ed ora, io vi darò la mia parola: se vi fidate di me e mi eleggerete presidente, io mi affiderò a ciò che di meglio c’è in noi, non a ciò che vi è di peggio. Io sarà un alleato della luce, non dell’oscurità.
E’ arrivato il momento per noi, per “We the People”, di unirci.
Non facciamo errori. Uniti possiamo, e di sicuro lo faremo, superare questa stagione di oscurità in America. Scegliere la speranza sulla paura, i fatti sulla finzione, l’equità sul privilegio.
Io sono un fiero esponente democratico e sarò onorato di portare avanti la bandiera del nostro Partito nelle elezioni generali. Quindi, è con grande onore ed umiltà che accetto la nomination a presidente degli Stati Uniti d’America.
Ma visto che io sarò il candidato democratico, devo iniziare a pensare che tipo di presidente potrei essere. Intendo lavorare duramente per coloro che non mi supportano, allo stesso modo di coloro che lo fanno.
Questo è il ruolo di un presidente. Rappresentare tutti, non solo la nostra base elettorale o il nostro partito. Questo non è il momento di essere di parte. E’ il momento di essere americani.
E’ il momento in cui vi è bisogno di speranza, luce ed amore. Speranza per il nostro futuro, luce per andare avanti, ed amore per il prossimo. L’America non è solo una collezione di interessi che si scontrano tra loro o di Stati blu democratici e rosso repubblicani.
Siamo più grandi di tutto questo. Siamo più grandi di tutto questo.
Quasi un secolo fa, Franklin Roosevelt ha forgiato un New Deal in un momento di alta disoccupazione, incertezza e paura.
Colpito da una malattia, devastato da un virus, FDR ha insistito sul fatto che lui si sarebbe ripreso ed avrebbe prevalso, e credeva che anche l’America avrebbe potuto farcela.
E lui ce l’ha fatta.
E così possiamo farcela anche noi.
Questa campagna non riguarda solo ottenere voti.
Riguarda vincere il cuore, e si, anche l’anima dell’America.
Vincere per i più generosi tra di noi, non gli egoisti. Vincere per i lavoratori che mandano avanti questo Paese, non per i pochi privilegiati che sono al comando. Vincere per quelle comunità che hanno conosciuto ingiustizie come il “ginocchio sul collo”. Per tutti quei giovani che hanno conosciuto solo un’America di crescente ineguaglianza e di sempre minori opportunità.
Loro meritano di conoscere l’America a pieno.
Nessuna generazione conoscerà in anticipo quello che la storia le chiede. Tutto quello che sappiamo è che dobbiamo essere pronti quando arriverà il nostro momento.
Ed ora la storia ci ha messo dinanzi al momento più difficile che l’America ha mai dovuto affrontare.
Quattro crisi storiche. Tutte alle stesso tempo. Una tempesta perfetta.
La peggior pandemia da 100 anni a questa parte. La peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. La più forte richiesta di giustizia razziale dagli Anni Sessanta. E l’innegabile realtà e le minacce sempre più forti provenienti dal cambiamento climatico.
Quindi la questione per noi è semplice: siamo pronti ad affrontare tutto questo?
Io credo di si.
Dobbiamo esserlo.
Tutte le elezioni sono importanti. Ma sappiamo dentro di noi che questa avrà delle conseguenze enormi.
L’America è ad un momento chiave della sua storia. Un momento di grande pericolo, ma allo stesso tempo di straordinarie possibilità.
Possiamo scegliere la strada di diventare più arrabbiati, perdere la speranza, ed essere sempre più divisi.
Una strada di ombre e sospetti.
O possiamo scegliere una strada differente, e tutti assieme, approfittare di questa chance per curare la nostra nazione, rinascere ed unirci. Una strada fatta di speranza e di luce.
Questa è una elezione che cambierà la nostra vita e determinerà il futuro dell’America per un periodo molto lungo.
Il carattere stesso dell’America è sulla scheda elettorale. La compassione è sulla scheda elettorale. La decenza, la scienza, la democrazia.
E’ tutto sulla scheda elettorale.
E la scelta non potrebbe essere più chiara di questa.
Non vi è bisogno di retorica.
Basta giudicare questo presidente sui fatti.
5 milioni di americani contagiati dal COVID-19.
Più di 170 mila deceduti.
Di gran lunga il dato peggiore tra tutte le nazioni sulla Terra.
Più di 50 milioni di americani hanno fatto richiesta di sussidio di disoccupazione in questo anno.
Più di 10 milioni di persone rischiano di perdere la propria assicurazione sanitaria in questo anno.
Quasi 1 piccola azienda su 6 ha chiuso in questo anno.
Se questo presidente sarà rieletto, sappiamo tutti quello che succederà.
I casi di contagio ed i decessi rimarranno troppo elevati.
Sempre più aziende chiuderanno in via definitiva.
Le famiglie dei lavoratori americani avranno difficoltà ad andare avanti, e nonostante questo, l’1% più ricco continuerà a guadagnare decine di miliardi di dollari grazie a nuovi tagli alle tasse.
E l’assalto contro l’Affordable Care Act [ObamaCare, ndt] continuerà fino alla sua distruzione, togliendo l’assicurazione sanitaria a più di 20 milioni di persone — inclusi più di 15 milioni coperti da Medicaid — e fino a porre fine alle protezioni che io ed il presidente Obama abbiamo approvato per coloro che soffrivano di condizioni mediche pre-esistenti.
E parlando del presidente Obama, un uomo che sono stato onorato di servire per 8 anni come vicepresidente, permettetemi di usare questo momento per affermare qualcosa che non abbiamo detto abbastanza volte.
Grazie, presidente. Sei stato un grande presidente. Un presidente a cui i nostri figli dovrebbero — e lo hanno fatto — guardare come un esempio.
Nessuno può dire queste cose dell’attuale occupante della Casa Bianca.
Quello che sappiamo di questo presidente è che se otterrà altri quattro anni, continuerà la politica già vista negli ultimi quattro anni.
Un presidente che non intende assumersi alcuna responsabilità, rifiuta di guidare questa nazione, attacca gli altri, fa comunella con i dittatori e soffia sulle fiamme dell’odio e della divisione.
Lui si sveglia ogni giorno pensando che l’unica cosa che conta è se stesso, non gli altri. Non tu.
E’ questa l’America che vuoi, che vuole la tua famiglia e che vogliono i tuoi figli?
Io vedo una America differente.
Una generosa e forte.
Una altruista e umile.
Si tratta di una America che possiamo ricostruire assieme.
Come presidente, il primo passo che intraprenderò è quello di mettere sotto controllo il virus che ha rovinato così tante vite.
Perché io ho compreso qualcosa che questo presidente non ha compreso.
Non rimetteremo mai in piedi la nostra economia, non rimanderemo mai i nostri figli in sicurezza a scuola e non riavremo mai indietro le nostre vite, finché non batteremo questo virus.
La nostra tragedia attuale è che non avremmo dovuto arrivare a questo.
Basta guardarci attorno.
La situazione non è così drammatica in Canada, in Europa, in Giappone. O praticamente da qualsiasi altra parte del mondo.
Il presidente continua a dirci che il virus scomparirà nel nulla. Continua a sperare in un miracolo. Beh, io ho una notizia da dargli, non sta arrivando nessun miracolo.
Siamo al primo posto nel mondo per casi confermati di contagio e per decessi.
La nostra economia è a pezzi, con le comunità nere, latino americane, asiatico americane e nativo americane che soffrono più di qualunque altra.
E dopo tutto questo tempo, il presidente ancora non ha un piano per rispondere a questa situazione.
Beh, io si.
Se io sarò eletto presidente, a partire dal primo giorno implementerò la strategia nazionale che ho esposto a partire da marzo.
Farò sviluppare e metterò a disposizione test rapidi per tutti con risultati immediati.
Farò in modo di avere le medicine ed i DPI di cui il nostro Paese ha bisogno, facendoli produrre qui in America, Per non essere più alla mercé della Cina o di qualsiasi altro Paese straniero nel momento in cui c’è bisogno di proteggere i nostri cittadini.
Faremo in modo che le nostre scuole abbiano le risorse di cui hanno bisogno per essere aperte, in maniera sicura ed efficace.
Metteremo da parte la politica e prenderemo ispirazione dai nostri esperti in modo tale che l’opinione pubblica abbia tutte le informazioni di cui ha bisogno e che merita di avere. La verità, onesta e senza veli. Siamo in grado di accettarla.
Ci sarà l’obbligo nazionale di indossare le mascherine non come un imposizione, ma per proteggerci gli uni con gli altri.
E’ un dovere patriottico.
In sintesi, faremo ciò che avrebbe dovuto essere fatto sin dall’inizio.
Il nostro attuale presidente ha fallito nel suo dovere più elementare di fronte a questa nazione.
Non è stato in grado di proteggerci.
Non è stato in grado di proteggere l’America.
E, miei cari americani, questo è imperdonabile.
Come presidente, vi farò questa promessa: proteggerò l’America. La proteggerò da qualsiasi attacco. Visibile, invisibile. Sempre e comunque. Senza eccezioni. In qualsiasi momento.
Guardate, comprendo che sia difficile avere speranza in questo momento.
In questa notte d’estate, lasciatemi prendere un momento per parlare a coloro di voi che hanno perso ciò che hanno di più caro.
Io so bene cosa significa perdere qualcuno che amate. Conosco quel profondo buco nero che si apre nel vostro petto. Quella sensazione di essere risucchiati al suo interno. Io so quanto possa essere cattiva e crudele la vita alle volte.
Ma io ho imparato due grandi insegnamenti.
Prima di tutto, i tuoi cari possono aver lasciato questa Terra ma non lasceranno mai il tuo cuore. Saranno sempre con te.
E secondo, io ho trovato che il modo migliore di superare il dolore e la perdita sia quello di trovare uno scopo.
E come figli di Dio, tutti noi abbiamo uno scopo nelle nostre vite.
Ed abbiamo un grande scopo anche come nazione: quello di aprire le porte dell’opportunità a tutti gli americani. Salvare la nostra democrazia. Tornare ad essere un faro di luce per tutto il mondo.
Quello di rispettare e rendere vere le parole scritte nei documenti sacri che hanno fondato questa nazione, ovvero che tutti gli uomini e le donne sono creati uguali. Ed hanno ottenuto dal proprio Creatore alcuni diritti fondamentali. Tra questi, il diritto alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità.
Lo sapete, mio padre è stato un uomo onorevole e decente.
La vita lo ha colpito alcune volte in maniera forte, ma lui si è sempre rimesso in piedi.
Ha lavorato in maniera dura ed costruito una grande vita da classe media per la nostra famiglia.
Ricordo che mi ha detto, “Joey, io non speravo che il governo fosse in grado di risolvere i miei problemi, ma almeno che fosse in grado di comprenderli”.
E poi ha continuato: “Joey, un lavoro è più di un salario. E’ dignità, rispetto. E’ il tuo posto all’interno della comunità. E’ la capacità di guardare i tuoi figli negli occhi e dirgli, caro, andrà tutto bene”.
Non ho mai dimenticato queste lezioni.
E questo è il motivo per cui il mio piano economico parla di lavoro, dignità, rispetto e comunità. Assieme possiamo, e lo faremo, ricostruire la nostra economia. E quando lo faremo, non solo la ricostruiremo, ma ne costruiremo una migliore.
Con strade, ponti, autostrade moderne, banda larga e nuovi aeroporti come fondazione di una nuova crescita economica. Con tubi che trasportano acqua pulita a tutte le comunità americane. Con 5 milioni di nuovi posti di lavoro nei settori manifatturieri e tecnologici in modo da creare il futuro qui in America.
Con un sistema sanitario con premi assicurativi e prezzi dei farmaci più bassi costruito a partire dall’Affordable Care Act, che questo presidente sta cercando in tutti i modi di distruggere.
Con un sistema educativo che addestra le nostre persone a trovare i migliori lavori del ventunesimo secolo, dove i costi non vietano ai giovani di andare al college ed il debito degli studenti non distrugge la loro vita una volta laureati.
Dove sarà possibile per i genitori andare al lavoro senza preoccupazione per la salute dei propri figli e per gli anziani restare a casa con dignità.
Con un sistema dell’immigrazione che da potere alla nostra economia e riflette i nostri valori. Con sindacati che assumeranno un ruolo sempre maggiore. Con salari uguali per le donne.
Con salari in aumento con cui sarà possibile crescere una famiglia. Si, faremo di più che suonare le lodi per i nostri essenziali lavoratori. Intendiamo iniziare sul serio a pagarli di più.
Noi possiamo, e lo faremo, rispondere al cambiamento climatico. Non è solo una crisi, è una enorme opportunità. Una opportunità per l’America di guidare il mondo nella battaglia per l’energia pulita e creare milioni di nuovi posti di lavoro ben pagati in questo processo.
E possiamo pagare per tutto questo, ponendo fine alle scappatoie fiscali ed ai 1,3 mila miliardi di regali fiscali che questo presidente ha dato all’1% più ricco ed alle corporation più grandi e ricche, molte delle quali ad oggi non pagano proprio tasse.
Perché non abbiamo bisogno di un sistema fiscale che premia di più coloro che sono ricchi, di coloro che lavorano. Io non intendo punire nessuno. Lungi da me. Ma è passato da tempo il momento in cui i più ricchi e le grandi corporation debbono tornare a pagare il giusto.
Per i nostri anziani, la Social Security [il sistema pensionistico, ndt] è un obbligo sacro, una sacra promessa. L’attuale presidente sta minacciando la sua sopravvivenza.
Sta proponendo di eliminare la tassa che finanzia quasi metà delle spese della Social Security senza però allo stesso tempo trovare altre entrate.
Io non permetterò che questo accada. Se io sarò il vostro presidente, intendo difendere Social Security e Medicare. Avete la mia parola.
Una delle voci più forti che sentiamo oggi nel nostro Paese è quella dei giovani. Loro parlano dell’ineguaglianza e dell’ingiustizia che sono tornati a crescere in America. Ingiustizia economica, razziale, ambientale.
Io sento la loro voce, e se ascoltate bene, potete sentirla anche voi. E che si tratti della minaccia esistenziale posta dal cambiamento climatico, dalla paura giornaliera di essere uccisi dalle armi da fuoco in una scuola, o dell’incapacità di trovare il primo lavoro – deve essere compito del prossimo presidente quello di restaurare per tutti le promesse dell’America.
Io non dovrò farlo da solo. Perché avrò un grande vicepresidente al mio fianco. La senatrice Kamala Harris. Lei è una voce potente per questa nazione. La sua storia è la storia americana. Lei conosce tutti gli ostacoli che questo Paese può mettere davanti a troppe persone. Donne, donne di colore, americani di colore, americani di origine sud-asiatica, migranti, tutti coloro che sono lasciati ai margini.
Ma lei ha superato qualsiasi ostacolo che ha avuto di fronte. Nessuno più di lei è stato duro con le grandi banche o la lobby delle armi. Nessuno più di lei è stato duro nell’attaccare l’estremismo di questa Amministrazione, la sua incapacità di seguire la legge o anche solo di dire la verità.
Sia Kamala che io, raccogliamo la nostra forza dalle nostre famiglie. Per Kamala, si tratta di Doug e delle rispettive famiglie.
Per me, è Jill e la nostra.
Nessun uomo merita un così grande amore nella sua vita. Ma io ne ho conosciuto due. Dopo aver perso la mia prima moglie in un incidente automobilistico, Jill è entrata nella mia vita ed ha unito di nuovo la nostra famiglia.
Lei è una insegnante. Una madre. Una madre militare. E non si ferma mai. Se lei ha deciso di fare qualcosa, la ottiene sempre. Perché è una donna che si da sempre da fare. E’ stata una grande Second Lady e sono sicuro che sarà una grande First Lady per questa nazione, che lei ama così tanto.
Ed io avrò il coraggio di cui ho bisogno grazie alla mia famiglia. Hunter, Ashley, e tutti i nostri nipoti, sorelle e fratelli. Tutti mi hanno dato coraggio e mi hanno tirato su quando ne ho avuto bisogno.
Ed anche se non è più con noi, Beau continua ad ispirarmi ogni giorno.
Beau ha servito la nostra nazione in uniforme da soldato. Era un veterano decorato della guerra in Iraq.
Quindi io prenderò in maniera molto personale la responsabilità di servire come Comandante in Capo.
Sarò un presidente che difenderà i nostri alleati ed amici e renderà chiaro ai nostri avversari che il giorno delle comunelle con i dittatori di tutto il mondo è finito.
Con Biden come presidente, l’America non farà finta di nulla di fronte alle taglie russe sulle teste dei soldati americani. E neppure farà finta di nulla di fronte all’interferenza straniera nel momento dell’esercizio più sacro della nostra democrazia — il voto.
Io sarò sempre dalla parte dei nostri valori, quelli dei diritti umani e della dignità. E lavorerò per raggiungere lo scopo comune di un un mondo più sicuro, pacifico e prospero.
La storia ci ha assegnato un obiettivo ancora più urgente. Saremo in grado di essere la generazione che finalmente cancellerà la vergogna del razzismo dal nostro carattere nazionale?
Io credo che saremo grado.
Io credo che siamo pronti.
Solo una settimana fa, era il terzo anniversario degli eventi di Charlottesville.
Ricordate quei neo nazisti e bianchi suprematisti che camminavano per le strade con le torce illuminate? Con le vene pulsanti? Urlando la stessa bile antisemita che circolava in Europa negli Anni Trenta?
Ricordate gli scontri violenti che sono seguiti tra coloro che predicavano l’odio e coloro che avevano avuto il coraggio di ribellarsi contro di esso?
Ricordate le parole del nostro presidente?
C’erano, cito testualmente, “brave persone da entrambi i lati”.
In quel momento è suonato l’allarme per noi come Paese.
E per me, è arrivato il momento di scendere in campo. In quel momento, ho deciso di correre per la presidenza. Mio padre mi aveva insegnato che essere silenti significava essere complici. Ed io non potevo essere in silenzio o complice di tutto questo.
In quel momento, ho detto che eravamo in una battaglia per l’anima di questa nazione.
E lo siamo ancora.
Una delle conversazioni più importanti che ho avuto nel corso di questa intera campagna elettorale è stata con qualcuno che è troppo giovane per votare.
Mi sono incontrato con Gianna Floyd, una bambina di sei anni, il giorno prima che suo padre George Floyd venisse seppellito.
E’ stata incredibilmente coraggiosa. Non lo dimenticherò mai.
Quando mi sono avvicinato a lei parlare, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto, “papà ha cambiato il mondo”.
Le sue parole mi sono entrate nel cuore.
Forse l’assassinio di George Floyd è stato il punto di rottura di questa nazione.
Forse la morte di John Lewis è stata l’ispirazione.
Qualsiasi cosa accada, l’America ora è pronta, come affermava John, a porre fine “una volta e per tutte al grande fardello dell’odio” ed al razzismo sistemico.
La storia americana ci insegna che è stato nei momenti più difficili che abbiamo fatto i nostri più grandi progressi. Abbiamo trovato la luce. Ed in questo momento oscuro, io credo che siamo pronti di nuovo a fare grandi passi avanti. Che siamo in grado di trovare di nuovo la luce.
Io ho sempre creduto che si possa definire l’America con una sola parola: possibilità.
Che in America, chiunque, e dico davvero chiunque, dovrebbe avere la possibilità di inseguire i propri sogni fino a dove le abilità fornite da Dio siano in grado di portarci.
Non possiamo mai perdere questo carattere. In tempi così difficili come questi, io credo che ci sia una sola strada da seguire. Una America unita. Unita nel cercare una Unione sempre più perfetta. Unita nei nostri sogni per un futuro migliore per noi ed i nostri figli. Unita nella nostra determinazione di rendere migliori gli anni a venire.
Siamo pronti?
Io credo che lo siamo.
Questa è una grande nazione.
E noi siamo un popolo buono e decente.
Questi sono gli Stati Uniti d’America.
E non c’è mai stato nulla che non siamo stati in grado di ottenere quando siamo stati uniti.
Il poeta irlandese Seamus Heaney in passato ha scritto:
“La storia afferma,
Non c’è speranza su questo lato della tomba,
Ma allora, una volta nel corso della vita,
L’onda lunga che si attendeva da tempo
Della Giustizia si è mossa,
E la speranza e la storia si sono uniti in una rima”.
Questo è il nostro momento di fare in modo che la speranza e la storia si uniscano assieme.
Con passione e giusti propositi, iniziamo — tu ed io, assieme, come una unica nazione, guidata da Dio — ad unirci nel nostro amore per l’America e nel nostro amore per il prossimo.
Perché l’amore è più forte dell’odio.
Perché la speranza è più forte della paura.
Perché la luce è più forte dell’oscurità.
Questo è il nostro momento.
Questa è la nostra missione.
Possa la storia affermare in futuro che la fine di questo capitolo oscuro della storia americana è iniziata oggi, mentre l’amore, la speranza e la luce si sono uniti assieme in questa battaglia per l’anima della nostra nazione.
E che questa sia una battaglia che tutti noi, assieme, vinceremo.
Ve lo prometto.
Grazie a tutti.
E che Dio vi protegga.
E che Dio possa proteggere le nostre truppe”.
il discorso di DONALD TRUMP
“Amici, delegati e ospiti illustri: stasera sono davanti a voi onorato dal vostro sostegno; orgoglioso degli straordinari progressi che abbiamo fatto insieme negli ultimi quattro anni e pieno di fiducia per il brillante futuro che costruiremo per l’America nei prossimi quattro anni!
All’inizio di questa sera, i nostri pensieri sono con le meravigliose persone che sono appena uscite dall’ira dell’uragano Laura. Stiamo lavorando a stretto contatto con funzionari statali e locali in Texas, Louisiana, Arkansas e Mississippi, senza risparmiare nulla pur di per salvare vite umane. Nonostante l’uragano abbia colpito duramente, uno dei più forti degli ultimi 150 anni, le vittime e i danni sono stati molto inferiori a quanto si poteva pensare solo 24 ore fa. Ciò è dovuto al grande lavoro della FEMA, delle forze dell’ordine e dei singoli Stati. Andrò lì questo fine settimana. Siamo un’unica famiglia nazionale e ci proteggeremo, ci ameremo e ci prenderemo sempre cura l’uno dell’altro.
Qui stasera ci sono le persone che hanno reso possibile il mio viaggio e hanno riempito la mia vita di tanta gioia.
Per il suo incredibile servizio alla nostra nazione e ai suoi figli, voglio ringraziare la nostra magnifica First Lady. Voglio anche ringraziare la mia fantastica figlia Ivanka per la sua presentazione e tutti i miei figli e nipoti: vi amo più di quanto le parole possano esprimere. So che mio fratello Robert ci sta guardando dall’alto in basso in questo momento dal Cielo. Era un grande fratello ed era molto orgoglioso del lavoro che stiamo facendo. Dedichiamo anche un momento per mostrare il nostro profondo apprezzamento per un uomo che ha sempre combattuto al nostro fianco e ha difeso i nostri valori – un uomo di profonda fede e ferma convinzione: il vicepresidente Mike Pence. Mike è stato raggiunto dalla sua amata moglie, insegnante e madre militare, Karen Pence.
Miei concittadini americani, questa sera, con il cuore pieno di gratitudine e di sconfinato ottimismo, accetto con orgoglio la nomination a Presidente degli Stati Uniti.
Il Partito Repubblicano, il partito di Abraham Lincoln, va avanti unito, determinato e pronto ad accogliere milioni di Democratici, Indipendenti e chiunque creda nella grandezza dell’America e nel cuore retto del popolo americano.
Nel secondo mandato presidenziale, costruiremo di nuovo la più grande economia della storia, tornando rapidamente alla piena occupazione, ai redditi in aumento e alla prosperità record! Difenderemo l’America da tutte le minacce e proteggeremo l’America da tutti i pericoli. Guideremo l’America verso nuove frontiere di ambizione e scoperta e raggiungeremo nuove vette nazionali. Riaccenderemo la fede nei nostri valori, un nuovo orgoglio per la nostra storia e un nuovo spirito di unità che può essere realizzato solo attraverso l’amore per il nostro paese. Poiché comprendiamo che l’America non è una terra avvolta dall’oscurità, ma invece l’America è la torcia che illumina il mondo intero.
Riuniti qui nella nostra bella e maestosa Casa Bianca – conosciuta in tutto il mondo come la Casa del Popolo – non possiamo fare a meno di meravigliarci di fronte al miracolo che è la nostra grande storia americana. Questa è stata la casa di personaggi straordinari come Teddy Roosevelt ed Andrew Jackson, che hanno condotto gli americani verso visioni audaci di un futuro più grande e luminoso. Tra queste mura vivevano generali tenaci come i presidenti Grant ed Eisenhower, che hanno guidato i nostri soldati nella causa della libertà. Da questi terreni, Thomas Jefferson ha inviato Lewis e Clark in un’audace spedizione per attraversare un continente selvaggio e inesplorato. Nelle profondità di una sanguinosa guerra civile, il presidente Abraham Lincoln guardò da queste stesse finestre un monumento a Washington mezzo completato e chiese a Dio, nella sua Provvidenza, di salvare la nostra unione. Due settimane dopo Pearl Harbor, Franklin Delano Roosevelt ha dato il benvenuto a Winston Churchill e, subito dopo, hanno dato il via a quella alleanza che ci ha fatto vincere la Seconda Guerra Mondiale.
Negli ultimi mesi, la nostra nazione, e l’intero pianeta, è stata colpita da un nuovo e potente nemico invisibile. Come quei coraggiosi americani prima di noi, stiamo affrontando questa sfida. Stiamo fornendo terapie salvavita e produrremo un vaccino entro la fine dell’anno, o forse anche prima! Sconfiggeremo il virus, porremo fine alla pandemia e ne usciremo più forti che mai.
Ciò che ha unito le generazioni passate è stata una fiducia incrollabile nel destino dell’America e una fede incrollabile nel popolo americano. Sapevano che il nostro paese è benedetto da Dio e ha uno scopo speciale in questo mondo. È questa convinzione che ha ispirato la formazione della nostra unione, la nostra espansione verso ovest, l’abolizione della schiavitù, il passaggio dei diritti civili, il programma spaziale e il rovesciamento del fascismo, della tirannia e del comunismo.
Questo spirito americano ha prevalso su ogni sfida e ci ha portati al vertice dello sforzo umano.
Eppure, nonostante tutta la nostra grandezza come nazione, tutto ciò che abbiamo ottenuto è ora in pericolo. Questa è l’elezione più importante nella storia del nostro Paese. Mai prima d’ora gli elettori hanno affrontato una scelta più chiara tra due partiti, due visioni, due filosofie o due ordini del giorno.
Queste elezioni decideranno se salvare il sogno americano o se piuttosto permetteremo ad un’agenda socialista di demolire il nostro amato destino. Decideranno se creare rapidamente milioni di posti di lavoro ben retribuiti o se distruggere le nostre industrie e trasferire milioni di questi posti di lavoro all’estero, come è stato stupidamente fatto per molti decenni.
Il vostro voto deciderà se proteggere gli americani rispettosi della legge o se dare libero sfogo a violenti anarchici, agitatori e criminali che minacciano i nostri cittadini.
E queste elezioni decideranno se difenderemo lo stile di vita americano o se permetteremo a un movimento radicale di smantellarlo e distruggerlo completamente.
Alla Convenzione Nazionale Democratica, Joe Biden e il suo partito hanno ripetutamente presentato l’America come una terra di ingiustizie razziali, economiche e sociali. Quindi stasera, vi faccio una domanda molto semplice: come può il Partito Democratico chiedere di guidare il nostro paese quando passa così tanto tempo a demolirlo?
Nella visione del passato della sinistra, non vedono l’America come la nazione più libera, giusta ed eccezionale della terra. Invece, la vedono una nazione malvagia che deve essere punita per i suoi peccati.
I nostri avversari dicono che la redenzione può venire solo se loro hanno il potere. Questo è la solita cosa detta da ogni movimento repressivo nel corso della storia.
Ma in questo Paese non guardiamo ai politici in carriera per la salvezza. In America, non ci rivolgiamo al governo per restaurare le nostre anime, ma riponiamo invece la nostra fede solo in Dio Onnipotente.
Joe Biden non è il salvatore dell’anima dell’America: è il distruttore dell’America. Il lavoro di Biden, se gli verrà data la possibilità, sarà quello di essere il distruttore della grandezza americana.
Per 47 anni, Joe Biden ha preso le donazioni dei colletti blu, gli ha dato abbracci e persino baci e gli ha detto che sentiva il loro dolore – e poi è tornato a Washington e ha votato per traferire i loro lavori in Cina e in molti altri paesi lontani. Joe Biden ha trascorso tutta la sua carriera esternalizzando i sogni dei lavoratori americani, trasferendo all’estero i loro posti di lavoro, aprendo i confini e inviando i loro figli e le loro figlie a combattere in infinite guerre in Paesi stranieri.
Quattro anni fa mi sono candidato alla presidenza perché non potevo più assistere a questo tradimento del nostro Paese. Non potevo stare a guardare mentre politici in carriera lasciavano che altri Paesi si approfittassero di noi sul commercio, sui confini, sulla politica estera e sulla difesa nazionale. I nostri partner della NATO, ad esempio, erano molto indietro nei pagamenti per la difesa. Ma dietro una mia forte sollecitazione hanno deciso di pagare 130 miliardi di dollari in più all’anno. Questa cifra alla fine salirà a $400 miliardi. Il Segretario Generale Stoltenberg, a capo della NATO, è rimasto sbalordito e ha affermato che il presidente Trump ha fatto ciò che nessun altro era in grado di fare.
Dal momento in cui mi sono lasciato la mia vita precedente alle spalle, ed è stata una bella vita, non ho fatto altro che combattere per voi.
Ho fatto ciò che il nostro sistema politico non si sarebbe mai aspettato e non avrebbe mai potuto perdonare, infrangendo l’idea cardinale della politica di Washington. Ho mantenuto le mie promesse.
Insieme, abbiamo posto fine al dominio della precedente classe politica fallimentare e loro vogliono riavere il potere con ogni mezzo necessario. Sono arrabbiati con me perché invece di metterli al primo posto, metto l’America al primo posto.
Alcuni giorni dopo l’insediamento, abbiamo messo sotto shock l’establishment di Washington e ci siamo ritirati dall’accordo commerciale del trans-Pacifico dell’ultima Amministrazione. Ho quindi approvato i gasdotti Keystone XL e Dakota Access, ho posto fine all’ingiusto e costoso accordo sul clima di Parigi e mi sono assicurato, per la prima volta, di raggiungere l’indipendenza energetica americana. Abbiamo approvato tagli da record alle tasse ed alle regolamentazioni, a un ritmo che nessuno aveva mai visto prima. In tre brevi anni abbiamo costruito l’economia più forte nella storia del mondo.
Gli addetti ai lavori di Washington mi hanno chiesto di non oppormi alla Cina – mi hanno implorato di lasciare che la Cina continuasse a rubare i nostri posti di lavoro, a derubarci e a defraudare il nostro paese. Ma ho mantenuto la parola data al popolo americano. Abbiamo intrapreso l’azione più dura, più audace, più forte e più importante contro la Cina nella storia americana.
Dissero che sarebbe stato impossibile porre fine e sostituire il NAFTA, ma ancora una volta si sbagliavano. All’inizio di quest’anno, ho posto fine all’incubo del NAFTA e ho firmato il nuovissimo U.S. Mexico Canada Agreement trasformandolo in legge. Ora le aziende automobilistiche e altri stanno costruendo i loro stabilimenti e fabbriche in America, senza licenziare i loro dipendenti ed abbandonarci.
Forse in nessun settore gli interessi speciali di Washington si sono sforzati di fermarci di più che nella mia politica di immigrazione filoamericana. Ma mi sono rifiutato di fare marcia indietro – e oggi i confini dell’America sono più sicuri di MAI. Abbiamo messo fine alla politica del ‘catch and release’, fermato le frodi in materia di asilo, fermato i trafficanti di esseri umani che depredavano donne e bambini e abbiamo rimpatriato 20.000 membri delle gang e 500.000 criminali stranieri. Abbiamo già costruito 300 miglia del muro al confine e aggiungiamo 10 nuove miglia ogni settimana. Il muro sarà presto completato e sta funzionando oltre le nostre più rosee aspettative.
Questa sera siamo stati raggiunti dai membri del sindacato della Border Patrol, che rappresentano i coraggiosi agenti di frontiera del nostro paese. Grazie a tutti.
Quando ho saputo che la Tennessee Valley Authority ha licenziato centinaia di lavoratori americani e li ha costretti a formare i loro sostituti stranieri meno pagati, ho prontamente rimosso il presidente del consiglio. E ora, quei talentuosi lavoratori americani sono stati riassunti e sono tornati a fornire energia a Georgia, Alabama, Tennessee, Kentucky, Mississippi, North Carolina e Virginia. Hanno riavuto i loro vecchi lavori e alcuni sono qui con noi questa sera. Per favore alzatevi.
Il mese scorso, ho sfidato Big Pharma e ho firmato degli ordini esecutivi che ridurranno enormemente il costo dei farmaci da prescrizione e che daranno ai pazienti in condizioni critiche l’accesso a cure salvavita. Abbiamo anche approvato due programmi per l’assistenza sanitaria ai veterani, chiamati VA Accountability e VA Choice.
Entro la fine del mio primo mandato, avremo approvato le nomine di più di 300 giudici federali, inclusi due nuovi grandi giudici della Corte Suprema. Per portare prosperità alle nostre città interne dimenticate, abbiamo lavorato duramente per approvare la storica riforma della giustizia penale, la riforma carceraria, le zone di opportunità, il finanziamento a lungo termine di college e università storicamente neri e, prima dell’arrivo del China Virus, abbiamo portato alla migliore disoccupazione mai registrati tra gli afroamericani, latino-americani ed asiatico-americani. Ho fatto di più per la comunità afroamericana di qualsiasi presidente da Abraham Lincoln in poi, il nostro primo presidente Repubblicano. Ho fatto di più in tre anni per la comunità nera di quanto non abbia fatto Joe Biden in 47 anni, e quando sarò rieletto, il meglio dovrà ancora venire!
Quando sono entrato in carica, il Medio Oriente era nel caos totale. L’ISIS imperversava, l’influenza dell’Iran era in crescita e non si vedeva la fine della guerra in Afghanistan. Sono uscito dal terribile accordo unilaterale sul nucleare iraniano. A differenza di molti presidenti prima di me, ho mantenuto la mia promessa, ho riconosciuto la vera capitale di Israele e ho trasferito la nostra ambasciata a Gerusalemme. Non solo ne abbiamo parlato come un sito futuro, ma l’abbiamo fatta davvero costruire. Piuttosto che spendere $1 miliardo per un nuovo edificio come previsto, abbiamo preso un edificio esistente già di nostra proprietà in una posizione migliore e lo abbiamo aperto a un costo inferiore a $500.000. Abbiamo anche riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan e questo mese abbiamo raggiunto il primo accordo di pace in Medio Oriente in 25 anni. Inoltre, abbiamo eliminato il 100% del califfato dell’ISIS e ucciso il suo fondatore e leader Abu Bakr al-Baghdadi. Quindi, in un’operazione separata, abbiamo eliminato anche il terrorista n. 1 al mondo, il generale iraniano Qasem Soleimani.
A differenza delle precedenti Amministrazioni, ho tenuto l’America fuori da nuove guerre e le nostre truppe stanno tornando a casa. Abbiamo speso quasi 2,5 mila miliardi di dollari per ricostruire completamente il nostro esercito, che era molto improverito quando sono entrato in carica. Ciò ha incluso tre aumenti di stipendio per i nostri soldati. Abbiamo anche lanciato la Space Force, il primo nuovo ramo dell’esercito degli Stati Uniti da quando l’Air Force è stata creata quasi 75 anni fa.
Abbiamo trascorso gli ultimi quattro anni a rimediare ai danni inflitti da Joe Biden negli ultimi 47 anni.
Il passato di Biden è un vergognoso ricordo dei tradimenti e degli errori più catastrofici della nostra vita. Ha trascorso tutta la sua carriera dalla parte sbagliata della storia. Biden ha votato per il disastro del NAFTA, il peggior accordo commerciale mai concluso, ha sostenuto l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, uno dei più grandi disastri economici di tutti i tempi. Dopo quelle calamità di Biden, gli Stati Uniti hanno perso un posto di lavoro nel settore manifatturiero su quattro. I lavoratori licenziati in Michigan, Ohio, New Hampshire, Pennsylvania e molti altri Stati non vogliono le vuote parole di empatia di Joe Biden, vogliono riavere il loro posto di lavoro!
In qualità di Vicepresidente, ha sostenuto la Trans-Pacific Partnership, che sarebbe stata una condanna a morte per l’industria automobilistica statunitense, ha appoggiato l’orrendo accordo commerciale con la Corea del Sud, che ha portato via molti posti di lavoro dal nostro Paese. Ha ripetutamente sostenuto l’amnistia di massa per gli immigrati illegali. Ha votato per la guerra in Iraq, si è opposto alla missione per eliminare Osama bin Laden, si opponeva all’uccisione di Soleimani, ha guardato senza fare nulla l’ascesa dell’ISIS e ha sostenuto il rafforzamento della Cina come “uno sviluppo positivo” per l’America e il mondo. Ecco perché la Cina sostiene Joe Biden e vuole disperatamente che vinca.
La Cina diventerebbe proprietaria del nostro Paese se Joe Biden fosse eletto presidente. A differenza di Biden, li riterrò pienamente responsabili della tragedia che hanno causato.
Negli ultimi mesi, la nostra nazione, ed il resto del mondo, sono stati colpiti da una pandemia che accade una sola volta in un secolo e che la Cina ha permesso che si diffondesse in tutto il mondo. Sono grato che questa sera siano presenti molti dei nostri incredibili infermieri e primi soccorritori – per favore alzatevi e accettate i nostri profondi ringraziamenti. Molti americani hanno tristemente perso amici e cari a causa di questa orribile malattia. Come una sola nazione, piangiamo, soffriamo e conserviamo per sempre nei nostri cuori i ricordi di tutte quelle vite così tragicamente prese. In loro onore, ci uniremo. Nella loro memoria, andremo avanti.
Quando il virus cinese ci ha colpito, abbiamo lanciato la più grande mobilitazione nazionale dalla Seconda Guerra Mondiale. Invocando il Defence Production Act, abbiamo prodotto la più grande fornitura mondiale di ventilatori polmonari. A nessun americano che abbia avuto bisogno di un ventilatore ne è stato negato uno. Abbiamo spedito centinaia di milioni di mascherine, guanti e camici ai nostri operatori sanitari in prima linea. Per proteggere gli anziani della nostra nazione, abbiamo spedito forniture, kit di test e personale alle case di cura e alle strutture di assistenza a lungo termine. Il Corpo degli Ingegneri dell’Esercito ha costruito ospedali da campo e la Marina ha schierato le nostre grandi navi ospedaliere.
Abbiamo sviluppato, da zero, il più grande e avanzato sistema di test al mondo. L’America ha effettuato tamponi più di ogni paese d’Europa messo insieme e più di ogni nazione dell’emisfero occidentale messi assieme. Abbiamo condotto 40 milioni di tamponi in più rispetto alla seconda nazione con il maggior numero di tamponi, ovvero l’India.
Abbiamo sviluppato una vasta gamma di trattamenti efficaci, incluso un potente trattamento anticorpale noto come plasma convalescente che salverà migliaia di vite. Grazie ai progressi di cui siamo stati pionieri, il tasso di letalità è stato ridotto dell’80% da aprile ad oggi.
Gli Stati Uniti hanno tassi di letalità tra i più bassi di tutti i principali paesi del mondo. Il tasso di letalità dei casi dell’Unione Europea è quasi tre volte superiore al nostro. Complessivamente, le nazioni europee hanno registrato un aumento del 30% maggiore della mortalità in eccesso rispetto agli Stati Uniti.
Abbiamo promulgato il più grande pacchetto di aiuti finanziari nella storia americana. Grazie al nostro Paycheck Protection Program, abbiamo salvato o sostenuto più di 50 milioni di posti di lavoro americani. Di conseguenza, abbiamo assistito alla più piccola contrazione economica di qualsiasi grande nazione occidentale ed ora ci stiamo riprendendo molto più velocemente. Negli ultimi tre mesi abbiamo creato oltre 9 milioni di posti di lavoro, un nuovo record.
Sfortunatamente, sin dall’inizio, i nostri rivali si sono dimostrati incapaci di fare altro che criticare in maniera assolutamente di parte. Quando ho preso azioni coraggiose per stabilire un divieto di viaggio da e verso la Cina, Joe Biden lo ha definito un atto isterico e xenofobo. Se avessimo ascoltato Joe, centinaia di migliaia di altri americani sarebbero morti.
Invece di seguire la scienza, Joe Biden vuole infliggere un lockdown doloroso all’intero Paese. Il suo lockdown infliggerebbe danni impensabili ai bambini, famiglie, e cittadini di tutto il Paese.
Il costo del lockdown di Biden sarebbe misurato in aumenti delle overdosi da droga, depressioni, dipendenze da alcool, suicidi, attacchi di cuore, devastazione economica e molto altro. Il piano di Joe Biden non è una soluzione per il virus, ma piuttosto una resa.
La mia Amministrazione ha preso un approccio differente. Per salvare più vite possibili, ci stiamo focalizzando sulla scienza, i fatti ed i dati. Stiamo difendendo coloro che sono a maggior rischio – in particolare gli anziani – permettendo allo stesso tempo agli americani a minor rischio di tornare al lavoro ed a scuola in sicurezza.
Ancora più importante, stiamo chiedendo al genio scientifico americano di unirsi per produrre un vaccino in tempo record. Grazie all’Operazione Warp Speed, abbiamo ora già tre vaccini nella fase finale di test, anni prima di quanto mai raggiunto in precedenza. Li stiamo producendo in anticipo in modo tale che centinaia di milioni di dosi siano velocemente disponibili.
Avremo un vaccino sicuro ed efficace già quest’anno, ed assieme sconfiggeremo il virus.
Alla Convention Democratica, avete sentito ben poco parlare della loro agenda politica. Ma questo non perché non ne hanno una. Ma perché la loro agenda è la più estrema mai portata avanti da un candidato di grandi partiti politici. Joe Biden può affermare di essere un ‘alleato della luce’, ma quando si tratta della sua agenda, Biden vuole tenervi completamente all’oscuro.
Ha promesso di aumentare le tasse di 4 mila miliardi di dollari sulle famiglie americane, cosa che farà collassare una volta e per tutte la nostra economia in ripresa e la nostra Borsa tornata a livelli record. Dall’altra parte, come ho fatto nel mio primo mandato, invece io intendo tagliare ancora di più le tasse per le nostre madri ed i padri lavoratori, non aumentarle. Inoltre, intendo fornire crediti fiscali per riportare a casa i posti di lavoro dalla Cina – ed imporre dazi su qualsiasi compagnia che intende trasferire all’estero posti di lavoro americani. Faremo in modo che le nostre compagnie ed i nostri posti di lavoro restino nel nostro Paese, come ho già fatto sinora. L’agenda di Joe Biden è ‘Made in China’. La mia è ‘Made in USA’.
Biden ha promesso di abolire la produzione di petrolio, carbone, gas naturale americano – mettendo a rischio le economie di Pennsylvania, Ohio, Texas, North Dakota, Oklahoma, Colorado, e New Mexico. In questo modo milioni di posti di lavoro saranno persi, ed i prezzi dell’energia aumenteranno. Le stesse politiche hanno condotto solo la settimana scorsa a diversi blackout in California. Come può Joe Biden definirsi un “alleato della luce” quando il suo partito non è neppure in grado di tenere la luce accesa letteralmente parlando?
La campagna di Joe Biden ha anche pubblicato una piattaforma politica di 110 pagine scritta assieme al senatore di estrema sinistra, Crazy Bernie Sanders. Il manifesto Biden-Bernie chiede di sospendere tutte le deportazioni di immigrati irregolari, implementare regole nazionali di ‘catch and release’ e fornire l’assistenza di legali pagati dai soldi dei contribuenti agli immigrati irregolari. Joe Biden ha di recente alzato la sua mano durante un dibattito presidenziale e promesso di fornire assistenza sanitaria pagata dai vostri soldi agli immigrati irregolari. Lui supporta anche le Città Santuario che proteggono gli immigrati criminali. Ha promesso di porre fine al travel ban per i Paesi jihadisti e di aumentare l’ammissione dei rifugiati del 700%. Il piano Biden finirà insomma per abolire i confini americani nel mezzo di una pandemia.
Biden ha anche promesso di opporsi alla scelta tra scuola privata e pubblica e chiudere le Charter Schools, togliendo così ai bambini neri ed ispanici una ulteriore possibilità di salire nella scala sociale.
Nel corso del mio secondo mandato, intendo espandere le charter schools e fornire la libertà di scelta tra scuole pubbliche e private a tutte le famiglie americane. E tratteremo i nostri insegnanti sempre con il rispetto che meritano.
Joe Biden afferma di mostrare empatia nei confronti dei più vulnerabili – ma il Partito che guida supporta le leggi più estreme per l’aborto a fine gravidanza di bambini senza difese fino al momento stesso della nascita. I leader democratici parlano di decenza morale, ma non hanno alcun problema a porre fine al battito di un bambino nel nono mese di gravidanza.
I politici democratici non intendono difendere la vita innocente, ma allo stesso tempo ci vogliono dare lezioni sulla moralità e su come salvare l’anima dell’America? Oggi, assieme dichiariamo con forza che tuti i bambini, nati ed ancora non nati, hanno il diritto alla vita concesso da Dio.
Nel corso della Convention Democratica, le parole ‘Under God’ sono state rimosse dalla Pledge of Allegiance – non una, ma due volte. Il fatto è che proprio Dio è la loro fonte.
Se la sinistra assumerà il potere, demoliranno i sobborghi, confischeranno le vostre armi, e nomineranno giudici che cancelleranno il vostro Secondo Emendamento e le vostre libertà costituzionali.
Biden è un cavallo di Troia per il socialismo. Se Joe Biden non ha avuto il coraggio di opporsi a marxisti come Bernie Sanders ed i suoi seguaci radicali, come potrà difendere i vostri diritti?
L’aspetto più pericoloso della piattaforma di Biden è l’attacco alla sicurezza pubblica. Il manifesto Biden-Bernie chiede l’abolizione delle cauzioni a pagamento, e questo significherebbe rilasciare immediatamente 400 mila criminali nelle vostre strade e nei vostri quartieri.
Alla domanda su se fosse d’accordo a tagliare i finanziamenti alla polizia, Joe Biden ha risposto, “Si assolutamente”. Quando la deputata Ilhan Omar ha definito il Dipartimento di Polizia un tumore “corrotto alla radice”, Biden non ha rinunciato al suo supporto o rigettato il suo endorsement – invece lo mostra ancora oggi fieramente sul suo sito web.
Non facciamoci sbagli, se si darà il potere a Joe Biden, la sinistra radicale potrà togliere i finanziamenti a tutti i Dipartimenti di Polizia americani. Passeranno leggi federali per ridurre le forze dell’ordine. Renderanno tutti gli Stati Uniti come la città di Portland, in Oregon, da loro guidata. Nessuno sarà più sicuro nell’America di Biden.
La mia Amministrazione sarà sempre dalla parte degli uomini e delle donne in divisa. Ogni giorno, ufficiali di polizia rischiano la loro vita per tenerci al sicuro, ed ogni anno, molti di loro perdono la vita, mentre fanno il proprio dovere.
Uno di questi americani incredibili era il detective Miosotis Familia. Lei era parte di un gruppo di eroi americani definito New York Police Department, o il meglio di New York. Tre anni fa, nel corso del fine settimana del 4 luglio, il detective Familia si trovava al lavoro nella sua auto quando è stata attaccata ed uccisa da un mostro che la odiava solo per la divisa che indossava.
Il detective Familia era una madre single – lei di recente aveva chiesto di essere spostata al turno notturno per stare più tempo con i suoi figli. Due anni fa, io sono stato di fronte al Campidoglio americano assieme ai suoi figli ed ho tenuto la mano della loro nonna che soffriva fortemente per questa terribile perdita, e tutti assieme abbiamo onorato la straordinaria vita del detective Familia.
I tre figli del detective Familia sono qui con noi oggi. Genesis, Peter, e Delilah, siamo onorati di avervi qui con noi oggi. VI prometto che porteremo sempre vostra madre nelle nostre memorie.
Dobbiamo ricordare che la stragrande maggioranza di ufficiali di polizia del nostro Paese sono nobili, coraggiosi ed onorevoli. Dobbiamo ridare alle nostre forze dell’ordine, alla nostra polizia, il suo potere. Hanno paura di agire ora. Hanno paura di perdere la loro pensione, i loro posti di lavoro e di non essere in grado di svolgere i propri compiti. E coloro che soffrono di più sono le grandi persone che hanno disperatamente bisogno di essere protette.
Quando un poliziotto sbaglia, il sistema penale deve agire contro i colpevoli in maniera completa e piena, ed è quello che farà. Ma non possiamo mai avere in America – e non lo permetteremo mai – il controllo da parte dei delinquenti. Nel modo più forte possibile, il Partito Repubblicano condanna le rivolte, i saccheggi, gli incendi e le violenze viste in città guidate dai democratici come Kenosha, Minneapolis, Portland, Chicago, e New York.
C’è troppa violenza e pericolo per le strade di molte città guidate dai democratici in America. Questo problema può essere facilmente corretto se solo lo volessimo. Dobbiamo sempre perseguire legge ed ordine. Tutti i crimini federali saranno investigati, perseguiti e puniti fino alla fine rispettando la legge.
Quando gli anarchici hanno iniziato a distruggere le nostre statue e monumenti, io ho firmato un ordine esecutivo, dieci anni di carcere, e tutto si è fermato.
Durante la loro Convention, Joe Biden ed i suoi supporter non hanno detto nulla contro i violenti e criminali che stanno distruggendo le città guidate dai democratici. Di fronte all’anarchia di estrema sinistra e le devastazioni a Minneapolis, Chicago, ed in altre città, la campagna di Joe Biden non le ha condannate – invece ha donato loro dei soldi. Almeno 13 membri dello staff elettorale di Joe Biden hanno donato soldi ad un fondo per concedere la libertà su cauzione a vandali, piromani, saccheggiatori e violenti.
Qui questa notte c’è la famiglia in lutto dell’ex capitano di polizia David Dorn, un 38enne veterano del Dipartimento di Polizia di St. Louis. A giugno, il capitano Dorn è stato colpito ed ucciso mentre tentava di proteggere un negozio dai saccheggiatori e violenti. Siamo onorati di essere qui assieme a sua moglie ed ai membri della sua amata famiglia: Brian e Kielen. A tutti voi prometto: non dimenticheremo mai l’eredità eroica del capitano David Dorn.
Fino a quando sarò presidente, difenderò l’assoluto diritto di ogni cittadino americano di vivere in sicurezza, dignità e pace.
Se il Partito Democratico vuole stare dalla parte degli anarchici, degli agitatori, violenti, saccheggiatori e bruciatori della bandiera americana, è una loro scelta, ma io, come vostro presidente, non sarò parte di tutto questo. Il Partito Repubblicano resterà la voce degli eroi patriottici che vogliono mantenere sicura l’America.
Lo scorso anno più di 1.000 afroamericani sono stati uccisi come risultato del crimine violento in sole 4 città guidate dai democratici. Le 10 principali città più pericolose degli Stati Uniti sono guidate dai democratici e lo sono state da decenni. Migliaia di altri afroamericani sono vittime di reati violenti in queste comunità che Joe Biden ed il resto della sinistra ignorano. Io non lo farò mai.
Se la sinistra radicale prenderà il potere, loro applicheranno queste politiche disastrose a tutte le città, cittadine e sobborghi americani.
Immaginate cosa accadrebbe se i cosiddetti manifestanti pacifici nelle strade fossero al comando a qualsiasi livello del governo americano.
I politici liberal affermano di essere preoccupati della forza delle istituzioni americane. Ma chi, esattamente, le sta attaccando? Chi sta assumendo professori, giudici e pubblici ministeri radicali? Chi sta tentando di abolire le forze dell’ordine al confine e stabilire regole per impedire il dissenso? In tutti i casi, gli attacchi contro le istituzioni americane provengono dall’estrema sinistra.
Ricordate sempre: loro attaccano me perché io combatto per voi.
Dobbiamo reclamare la nostra indipendenza dai mandati repressivi della sinistra. Gli americani sono esausti di dover rispettare l’ultima lista di parole e frasi approvate e decreti sempre più restrittivi delle libertà politiche. Molte cose oggi hanno un nome diverso, e le regole cambiano sempre. L’obiettivo della ‘cancel culture’ è quello di fare in modo che gli americani vivano in terrore di essere licenziati, espulsi, svergognati, umiliati e cacciati dalla società che conosciamo. L’estrema sinistra vuole obbligarvi a dire quello che sapete essere falso e farvi terrorizzare dal dire ciò che è vero.
Ma il 3 novembre, possiamo mandare loro un forte messaggio che non dimenticheranno mai!
Joe Biden è debole. Prende ordini da ipocriti liberal che stanno facendo sprofondare le loro città mentre scappano lontano dalla scena del naufragio. Questi stessi liberal vogliono eliminare la possibilità di scegliere tra scuola pubblica e privata, mentre iscrivono i loro figli nelle migliori scuole private del paese. Vogliono aprire i nostri confini mentre vivono in complessi e comunità recintate. Vogliono distruggere la polizia mentre hanno guardie armate per difendere loro stessi.
Questo novembre, dobbiamo voltare pagina per sempre contro questa classe politica fallimentare. Il fatto è che io sono qui e loro non ci sono – e questo grazie a voi. Insieme, scriveremo il prossimo capitolo della grande storia americana.
Nei prossimi quattro anni, renderemo l’America la superpotenza produttiva del mondo. Espanderemo le zone di opportunità, porteremo a casa le catene di approvvigionamento medico e porremo fine alla nostra dipendenza dalla Cina una volta per tutte.
Continueremo a ridurre le tasse e le regolamentazioni a livelli mai visti prima.
Creeremo 10 milioni di posti di lavoro nei prossimi 10 mesi.
Assumeremo più poliziotti, aumenteremo le sanzioni per chi aggredisce le forze dell’ordine e sposteremo i pubblici ministeri federali in comunità ad alto tasso di criminalità.
Vieteremo le mortali ‘città santuario’ e assicureremo che l’assistenza sanitaria federale sia garantita per i cittadini americani, non per gli immigrati irregolari.
Avremo confini solidi, abbatteremo i terroristi che minacciano il nostro popolo e terremo l’America fuori da infinite e costose guerre straniere.
Nomineremo pubblici ministeri, giudici e giudici che credono nell’applicazione della legge, non nella loro agenda politica.
Garantiremo uguale giustizia per i cittadini di ogni razza, religione, colore e credo religioso.
Sosterremo la libertà religiosa e difenderemo il diritto garantito dal Secondo Emendamento di tenere e portare armi.
Proteggeremo Medicare e la Social Security.
Proteggeremo sempre, e con forza, i pazienti con condizioni preesistenti, e questo è un impegno dell’intero Partito Repubblicano.
Porremo fine alle fatture mediche a sorpresa, richiederemo trasparenza nei prezzi e ridurremo ulteriormente il costo dei farmaci da prescrizione e dei premi dell’assicurazione sanitaria.
Amplieremo notevolmente lo sviluppo energetico, continuando a essere i numeri uno al mondo e manterremo l’America energeticamente indipendente.
Vinceremo la corsa al 5G e costruiremo la migliore difesa informatica e missilistica del mondo.
Ridaremo totalmente vita all’educazione patriottica nelle nostre scuole e proteggeremo sempre la libertà di parola nei campus universitari.
Lanceremo una nuova era dell’ambizione americana nello spazio. L’America farà atterrare la prima donna sulla Luna e gli Stati Uniti saranno la prima nazione a piantare la propria bandiera su Marte.
Questa è l’agenda nazionale che porterà il nostro paese ad essere nuovamente unito.
Quindi stasera lo ripeto a tutti gli americani: questa è l’elezione più importante nella storia del nostro Paese. Non c’è mai stata una tale differenza tra due partiti, o due individui, in ideologia, filosofia o visione politica, di quanta ce ne sia oggi.
I nostri avversari credono che l’America sia una nazione depravata.
Noi vogliamo invece che i nostri figli e le nostre figlie conoscano la verità: l’America è la nazione più grande ed eccezionale nella storia del mondo!
Il nostro Paese non è stato costruito cancellando la cultura, i vocaboli o sulla conformità che schiaccia l’anima. Non siamo una nazione di spiriti timidi. Siamo una nazione di patrioti americani fieri, orgogliosi e indipendenti.
Siamo una nazione di pellegrini, pionieri, avventurieri, esploratori che hanno rifiutato di essere legati, trattenuti o tenuti a freno. Gli americani hanno l’acciaio nelle loro spine dorsali, la grinta nelle loro anime e il fuoco nei loro cuori. Non c’è nessuno come noi sulla Terra.
Voglio che ogni bambino in America sappia che faccia parte dell’avventura più emozionante e incredibile della storia umana. Non importa da dove viene la tua famiglia, non importa il tuo retroterra, in America, chiunque può aver successo. Con il duro lavoro, la devozione e l’impulso, è possibile raggiungere qualsiasi obiettivo ed ogni ambizione.
I nostri antenati hanno navigato attraverso il pericoloso Oceano per costruirsi una nuova vita in un nuovo continente. Hanno sfidato inverni gelidi, attraversato fiumi impetuosi, scalato picchi rocciosi, camminato in foreste pericolose e lavorato dall’alba al tramonto. Questi pionieri non avevano soldi, non avevano fama, ma potevano contare gli uni sugli altri. Amavano le loro famiglie, amavano il loro Paese e amavano il loro Dio!
Quando se ne è presentata l’opportunità, hanno raccolto la Bibbia, impacchettato le loro cose, sono saliti su carri coperti e partiti verso Ovest per la prossima avventura. Allevatori e minatori, cowboy e sceriffi, agricoltori e coloni – hanno proseguito oltre il Mississippi per andare nella Wild Frontier.
Sono nate così delle leggende: Wyatt Earp, Annie Oakley, Davy Crockett e Buffalo Bill.
Gli americani hanno costruito le loro belle fattorie sull’Open Range. Ben presto ebbero chiese e comunità, poi città e, con il tempo, grandi centri industriali e commerciali. Ecco chi erano. Gli americani costruiscono il futuro, non abbattono il passato!
Siamo la nazione che ha vinto una Rivoluzione, ha rovesciato la tirannia e il fascismo ed ha liberato milioni di persone. Abbiamo costruito le ferrovie e le grandi navi, innalzato i grattacieli, rivoluzionato l’industria e avviato una nuova era di scoperte scientifiche. Abbiamo stabilito le tendenze nell’arte e nella musica, nella radio e nel cinema, nello sport e nella letteratura, e abbiamo fatto tutto con stile, sicurezza e talento. Perché questo è ciò che siamo.
Ogni volta che il nostro modo di vivere è stato minacciato, i nostri eroi hanno sempre risposto alla chiamata al dovere.
Da Yorktown a Gettysburg, dalla Normandia a Iwo Jima, i patrioti americani hanno corso sotto i colpi di cannone, proiettili e baionette per salvare la libertà americana.
Ma l’America non si è fermata qui. Abbiamo guardato verso il cielo e continuiamo ad andare avanti. Abbiamo costruito un razzo da sei milioni di libbre e lo abbiamo lanciato a migliaia di miglia nello spazio. Lo abbiamo fatto in modo che due coraggiosi patrioti potessero alzarsi in piedi e fare il saluto alla nostra meravigliosa bandiera americana piantata sulla Luna.
Per l’America, niente è impossibile.
Nei prossimi quattro anni ci dimostreremo degni di questa magnifica eredità. Raggiungeremo incredibili nuove vette. E mostreremo al mondo che, per l’America, nessun sogno è al di là della nostra portata.
Insieme, siamo inarrestabili. Insieme, siamo imbattibili. Perché insieme siamo orgogliosi cittadini degli Stati Uniti d’America. E il 3 novembre renderemo l’America più sicura, renderemo l’America più forte, renderemo l’America più orgogliosa e renderemo l’America più grande che mai! Grazie, Dio ti benedica. Che Dio benedica l’America, buonanotte!”.

 

Eisenhower e il maccartismo, di George Friedman

A proposito di guerre intestine americane_Giuseppe Germinario

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Cosa stiamo leggendo: Eisenhower e il maccartismo

La vera pace non arriverà in Medio Oriente finché i pacificatori trascureranno questo problema.

Di: George Friedman

Ike: un eroe americano
Di Michael Korda

Il libro di Michael Korda è un eccellente studio di Dwight D. Eisenhower, sia come persona che come comandante supremo alleato della guerra contro la Germania, nonché del processo attraverso il quale divenne presidente. Avendo letto molto su Eisenhower, normalmente avrei poche novità da dire. Ma qualcosa mi ha veramente colpito in questo libro: l’affermazione che questo particolare eroe di guerra e forza politica fosse un devoto comunista.

L’accusa proveniva dalla fazione maccartista dei repubblicani che ha sostenuto Robert Taft per la nomina del loro partito. Volevano distruggere la reputazione di Ike. Nel 1952, Joseph McCarthy era una figura significativa nella politica e nella società americana. Ha terrorizzato tutte le aree della vita americana, distruggendo le vite dei cittadini e dei nemici politici allo stesso modo per migliorare la posizione politica della sua fazione. Era guidato dalla creazione di un sistema in base al quale chiunque poteva essere identificato come comunista. La paura di McCarthy significava la disponibilità a sottomettersi alla sua fazione.

Essere comunista nel 1952 era problematico, ovviamente. Un membro del Partito Comunista per definizione ha sostenuto il movimento comunista internazionale guidato dall’Unione Sovietica. Il capo dell’Unione Sovietica era un assassino di massa. Proprio come qualcuno guarderebbe un nazista americano con disgusto, guarderebbe un comunista allo stesso modo.

Ma McCarthy e i suoi seguaci non si sono concentrati sui membri dei partiti comunisti. Si sono concentrati sui comunisti chiaramente troppo intelligenti per essere membri. Eisenhower stava correndo contro Taft, e McCarthy non lo voleva. Credeva che dimostrare che Eisenhower era comunista lo avrebbe fermato. La prova, ovviamente, era sempre indiretta. In questo caso, era un’immagine di Ike che stringeva la mano al maresciallo sovietico Georgy Zhukov in una riunione tenuta poco dopo la resa tedesca. La cordiale stretta di mano indicava chiaramente amicizia. E poiché George Marshall, capo di stato maggiore dell’esercito, ha autorizzato l’incontro, chiaramente era lui stesso un comunista, ed entrambi erano conniventi per consegnare Berlino a Stalin.

Non ha funzionato contro Ike, ma ha funzionato contro tanti altri, ponendo fine alle carriere di persone così varie come gli scienziati e l’élite di Hollywood. (Oggi li chiameremmo “cancellati”.) C’erano, in effetti, agenti comunisti negli Stati Uniti, ma l’equipaggio di McCarthy non se ne preoccupava. McCarthy si preoccupava di spaventare i deboli e i potenti con la capacità di accusare, e quindi di condannare i cittadini per una parola pronunciata in un modo che fosse in sintonia con il comunismo. Sono stati accusati di qualcosa di cui pochi erano colpevoli e l’accusa è stata sufficiente per distruggerli. Ci è voluto un idiota per credere che Eisenhower fosse un comunista, ma ci sono voluti leader spietati e spietati per usare quegli idioti.

C’è una tradizione di evitamento che fa parte della storia americana. Diverse sette religiose evitavano o punivano coloro che avevano violato le loro regole. Nathaniel Hawthorne ne ha scritto magnificamente. È un passatempo americano, condiviso da tutte le convinzioni politiche e religiose, praticato anche da chi scenderà dal palco.

Sui rischi sociali della pandemia da Covid-19, di Andrea Zhok

Mentre continua la battaglia senza esclusione di colpi tra titolisti in cerca di scoop, nella stasi agostana e complottisti in cerca di congiure, per dare un po’ di pepe al vuoto pneumatico di idee, è opportuno cercare di fare chiarezza su alcuni punti relativi alla crisi da Covid-19.

Al netto degli argomenti capziosi e raffazzonati, il problema di fondo dell’estesa area ‘complottista’ che si è manifestata in questo periodo sta nel fatto di prodursi in un (doveroso) esercizio del dubbio omettendo però comodamente qualsivoglia articolata tesi positiva. In sostanza legioni di persone che si esprimono con saccenza e irrisione verso “le verità ufficiali”, concedono a sé stessi un supersconto quando si tratta di proporre “verità alternative”.

Tutto quello che si riesce ad ottenere sono gesti, suggestioni oracolari o insinuazioni che vorrebbero lasciar a intendere chissà quale chiarezza di visione, ma dietro a cui non c’è nient’altro che un sentimento a metà strada tra il disagio personale e la cultura del sospetto. Finché qualcuno non si farà carico di spiegare quale sarebbe (per lui) la “verità alternativa” alle screditate “verità ufficiali” siamo al livello zero della ragione. Questa è la comodissima posizione di chi saltabecca tra contraddizioni e discordanze (vere o immaginarie), senza mai proporre apertis verbis un modo migliore di unire i puntini.

Ora, detto questo, proviamo per un momento a fare un abbozzo del lavoro che i ‘complottisti’, troppo occupati ad applaudirsi a vicenda, si rifiutano di fare, cioè andare a vedere quali sono i rischi effettivi di manipolazione, impliciti nella presente crisi pandemica.

L’opzione più popolare e meno sostenibile la citiamo qui all’inizio, solo per lasciarcela rapidamente alle spalle: l’idea di un complotto mondiale che avrebbe utilizzato un virus prodotto in laboratorio per produrre effetti specifici pro domo sua. Premesso che, per quel che ne sappiamo, può ben darsi che un genio del male abbia creato e diffuso un virus per ragioni sue, è insostenibile che questa operazione possa coinvolgere una pluralità globale di interessi politici ed economici in contraddizione. Stati potenti e settori economici enormi sono stati messi in grave difficoltà dal Covid, che ha messo in moto processi fuori controllo. Che, nonostante la divergenza degli interessi, vi sia una discreta concordia globale nelle modalità di riconoscere e affrontare la pandemia toglie di mezzo ogni teoria del complotto ‘ex ante’, come progetto a tavolino.

Se ci rivolgiamo invece alle tendenze che si possono sviluppare in forma non pianificata, ma opportunistica, data l’occorrenza casuale del Covid, qui troviamo questioni molto più interessanti e plausibili.

1) Una prima possibilità è data dalla tentazione degli stati di usare il Covid e l’emergenza sanitaria come occasione di tipo securitario e repressivo, come modo per stabilizzare il potere e tacitare le proteste.

Non c’è nessun dubbio che i ceti politici di molti paesi possono di volta in volta giocare la carta della sicurezza pubblica per far passare strategie di controllo. In Italia ne abbiamo buona memoria con la “strategia della tensione”. Interventi come il lockdown di due settimane imposto dal governo libanese in questi giorni è, abbastanza trasparentemente, un tentativo di quietare le folle in tumulto, evitando pericolose proteste. E’ parimenti evidente che la crisi sanitaria francese ha messo momentaneamente fine alle proteste dei gilet jaunes, e questo è sicuramente di conforto per Macron, che ne può trarre vantaggio.

Il rischio di questi utilizzi opportunistici da parte del potere politico c’è senza dubbio, tuttavia bisogna collocarlo nella dimensione che gli compete. Le stesse operazioni che congelano le proteste congelano anche l’economia, e nessun paese può permettersi di esagerare con il rallentamento economico, perché è ovvio che ad un certo punto il rischio sanitario diviene per troppa gente secondario rispetto al rischio economico personale, e dunque anche il rispetto per norme securitarie giustificate dal Covid finirebbe per dissolversi, creando una situazione sociale esplosiva.

Dunque, quanto a questo primo punto, un rischio c’è, ma nessuno stato può abusarne e dunque si tratta di un rischio moderato e temporaneo.

2) Un secondo orizzonte di possibilità realistiche è dato dalla tentazione di accelerare processi economici favorevoli al grande capitale. Questo orizzonte può essere scomposto in almeno tre sottocasi, di plausibilità (e gravità) crescente.

2.1) Esistono da tempo (in verità dalle origini della civiltà industriale) tendenze alla sostituzione della forza lavoro con forza meccanica. I processi di sostituzione sono in corso sin dalla ‘spinning Jenny’ e dai ludditi, ma hanno subito una potente accelerazione negli ultimi trent’anni. Ben prima del Covid questo problema era pressante, e naturalmente, visto che gli uomini si ammalano e le macchine no, il Covid potrebbe fungere da ulteriore accelerante.

E tuttavia anche questa opzione va collocata nello spazio di possibilità storiche che le compete. Se fosse possibile per i singoli produttori procedere senz’altro nella direzione desiderata, l’automazione sarebbe molto più avanzata di quanto già non sia. A frenare questo processo tuttavia, oggi come in passato, c’è un problema di fondo: le macchine sono pessimi acquirenti. Anche se per la singola azienda poter sostituire forza lavoro con macchine può rappresentare un vantaggio competitivo, tuttavia questo processo deve avvenire con un passo che consenta alla produzione complessiva di essere acquistata e consumata. E per quanto la produzione di Yacht e haute couture possa contare su fasce stabili di acquirenti facoltosi, la stragrande parte dell’economia non produce per questi soggetti.

Questo significa che tale tendenza non ha nessun bisogno per imporsi di un’occasione come il Covid. E’ già una tendenza dominante, ed è rallentata solo dalla catastrofica disfunzionalità (per il capitale) di una società dove le masse sono sottratte al loro ruolo di consumatori.

2.2) Un discorso parzialmente diverso può essere fatto per i meccanismi di ‘digitalizzazione’. Anche qui ci troviamo davanti a processi che si stanno dispiegando da lungo tempo. Dalla ‘dematerializzazione’ delle pratiche burocratiche alla scomparsa degli uffici fisici, delle filiali bancarie, allo smart working, ecc. questo processo si sta imponendo ovunque e non da oggi. Il Covid (o una qualunque altra pandemia) rappresenta una significativa pressione alla digitalizzazione, perché riduce la necessità di contatti fisici.

Ma qual è il problema rappresentato dalla digitalizzazione?

Qui la questione è più sfumata. Da un lato un sistema con livelli di digitalizzazione efficiente presenta alcuni vantaggi generalizzati. Poter ricevere una ricetta medica a domicilio, o poter consultare un catalogo bibliotecario in remoto, o poter svolgere attività burocratiche che riducano gli spostamenti fisici sono tutte opzioni che presentano indubbi vantaggi collettivi. D’altro canto non tutte le attività possono svolgersi con pari qualità in forma digitale, e la tentazione di ridurre le sedi fisiche per comprimere i costi è un’evidente tentazione, sia per l’impresa privata che per l’erario pubblico. Mentre poter consultare un catalogo bibliotecario online (e magari ricevere un volume a domicilio) possono contare senz’altro come progressi, svolgere lezioni online rappresenta una (a seconda delle età, più o meno grande) perdita rispetto a svolgere lezioni in presenza. Mentre svolgere pratiche burocratiche online può essere un bel vantaggio rispetto a fare la fila in un ufficio, svolgere attività lavorativa domiciliare senza una chiara regolamentazione può essere una fonte di grande sfruttamento.

Anche qui, dobbiamo renderci conto che la tendenza è presente da tempo e che finora ha visto scarsissima resistenza, dunque non è ben chiaro in che senso la pandemia possa essere considerata un momento decisivo: in Italia (e non solo) abbiamo accreditato università online dieci anni fa, nel silenzio generale, e interi settori, dalle filiali bancarie ai call center sono stati smantellati e/o delocalizzati. Abbiamo mugugnato davanti a un sistema in cui non avevamo più nessun referente fisico con cui interagire, abbiamo mugugnato davanti al call-center pakistano o albanese che aveva imparato quattro risposte meccaniche in un italiano claudicante, lasciandoci con gli stessi dubbi di prima. Abbiamo mugugnato, ma abbiamo lasciato fare.

Ecco, forse oggi, lungi dal pensare che è stata la pandemia a crearli, potremmo cogliere l’occasione della pandemia per porre davvero una buona volta questi problemi, presenti e taciuti da tempo. Una discussione su ciò che viene perduto in questi processi di digitalizzazione, su come sia folle che essi non siano attentamente regolamentati considerando le tecnologie disponibili (la normativa italiana a proposito è del 1973), su come essi si incardinino nella consueta tendenza a ridurre i costi di produzione e aumentare lo sfruttamento.

2.3) Un terzo orizzonte di rischio è quello che personalmente vedo come il più immediatamente insidioso. Per comprendere bene di cosa si tratta, bisogna partire da una considerazione di fondo: la presente pandemia ha posto rilevanti ostacoli a due sole delle tre matrici della globalizzazione economica. I movimenti di persone e quelli di merci ne sono usciti ridotti e affaticati. Ma assolutamente nulla è accaduto ai movimenti di capitale, che sono già compiutamente digitalizzati e possono spaziare senza ostacoli sull’intero pianeta.

Ciò significa che la pandemia 2019-2020 si configura come un’impennata nella divergenza di potere tra ‘economia reale’ ed ‘economia finanziaria’. Sappiamo tutti che da tempo il potere contrattuale dell’economia finanziaria, proprio grazie alla sua perfetta mobilità internazionale, è aumentato rispetto al potere della produzione reale e dei suoi protagonisti (imprenditori e, a maggior ragione, lavoratori). Lo slittamento verso una ‘finanziarizzazione dell’economia’ è già in corso da tempo e ha già prodotto danni gravissimi (a partire dalla crisi del 2007-2008). Ma ora siamo di fronte ad una divergenza travolgente: il potere del capitale finanziario non è mai stato più grande nella storia, neanche alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Siccome la forza economica è sempre una questione relazionale, ciò che va ben inteso è che la potenza del capitale finanziario è proporzionale all’indebolimento delle sue controparti, ovvero agli indebitamenti privati e pubblici in crescita.

Sentivo proprio l’altro giorno, tra le pubblicità radiofoniche, una pubblicità da parte di un fondo privato che invitava alla vendita di ‘nude proprietà’. La prospettiva è chiarissima: fondi finanziari con capitali infiniti non hanno bisogno di realizzare rapidamente, né tanto meno di ‘abitare’. In una situazione in cui moltissime famiglie, soprattutto in Italia, hanno come unico vero e proprio asset la casa di proprietà, l’ultimo orizzonte di dispossessamento è quello di ‘mangiarsi la casa da vivi’, non lasciando più nulla alle generazioni successive. Non c’è dubbio che per molti questa finirà per essere una inesorabile necessità, in assenza di interventi statali.

Più in generale, a fronte di un sistema di debiti pubblici e privati cresciuti enormemente, il gioco del grande capitale privato diviene sempre più scoperto: si tratta di una grande occasione per acquistare a prezzi di saldo immobili, terreni e strutture produttive.

È un momento decisivo da questo punto di vista. Se di fronte a un sistema di capitali privati che ha ogni libertà, ogni tutela, e accesso ad ogni livello di potere, non si staglia con decisione un sistema di capitalizzazione pubblica, fondato sul controllo della moneta e con un’agenda propria, assisteremo al più grande saccheggio della storia, rispetto a cui la spoliazione degli asset pubblici alla caduta dell’URSS sarà un pallido precedente.

Questa è, a mio avviso, la battaglia decisiva che si giocherà nei prossimi mesi e anni. Gli stati che difenderanno la logica della remunerazione del capitale privato, cioè la logica che concepisce come unica fonte pienamente legittima di capitale il capitale privato prestato a interesse, quegli stati prepareranno il collasso del sistema pubblico e dunque la definitiva subordinazione civile della popolazione non facoltosa.

In questa cornice, va detto, poter contare su una Banca Centrale dotata della potenza di fuoco della BCE potrebbe essere risolutivo. Potrebbe, tecnicamente, esserlo perché il sistema produttivo europeo che sta dietro alla BCE è ancora il più solido al mondo e i margini di movimento di una BCE ispirata da un iorientamento keynesiano sarebbero enormi.

Ma è inutile dire che questo ‘potrebbe’ è una possibilità teorica contro cui rema l’intero apparato dei trattati europei, oltre alle intenzioni politiche esplicite dei maggiori azionisti. Dunque, sarebbe davvero bello poter contare su questa prospettiva (che peraltro verrebbe incontro a tutto quanto gli europeisti hanno gabellato come ovvio per decenni). Sarebbe bello, e per questo mi sentivo in obbligo di menzionarlo, ma qui l’ottimismo della volontà ha esaurito le riserve da tempo.

tratto da http://antropologiafilosofica.altervista.org/sui-rischi-sociali-della-pandemia-di-covid-19/

GIOCHI AGOSTANI

La dinamica di questo periodo tra media e social è spassosissima.

Ciò cui si sta assistendo è una guerra d’opinione tra soggetti che negano la gravità, o addirittura la realtà, del virus (chiamiamoli ‘minimizzatori’, perché ‘negazionisti’ è una reductio ad hitlerum) e soggetti che amplificano gli allarmi per la potenziale gravità e pericolosità del virus (chiamiamoli ‘allarmisti’).

Come criceti in corsa frenetica su ruote parallele, minimizzatori e allarmisti danno il meglio di sé in una competizione senza esclusione di colpi. Senza vedere minimamente la gabbia in cui si affaticano.

I ‘minimizzatori’ temono le conseguenze economiche (spesso per ottime ragioni personali) e tirano la coperta da una parte, cogliendo ogni occasione, ogni frase, filmato, battuta, o titolo di giornale per dire che ‘è tutta una finta’, un costrutto, una bufala, una rappresentazione drammatica strumentale.

Gli ‘allarmisti’ temono che i minimizzatori abbiano la meglio nell’opinione pubblica, incentivando comportamenti irresponsabili, e perciò enfatizzano gli elementi d’allarme per tenere alta la guardia.

Davanti all’accresciuto allarmismo i ‘minimizzatori’ vedono una conferma della loro idea che si tratti di una finzione, e perciò insistono, rincarando la dose ed attaccandosi ad ogni tassello fuori posto, ad ogni contraddizione vera o presunta.

Ciò naturalmente innesca una reazione accresciuta degli allarmisti, che vedono nei minimizzatori un’avanguardia di untori prossimi venturi.

E così avanti sulle loro ruote, in un crescendo esponenziale di incomunicabilità e disprezzo.

E’ un gioco divertentissimo con cui riempire l’usuale carenza di eventi del mese di agosto.

E in autunno, quando i nodi (economici, politici, forse anche sanitari) verranno al pettine, avremo una cittadinanza spappolata e convinta che la colpa di ‘tutto’ sia della controparte, dunque assai maldisposta a fare qualsivoglia sacrificio per ‘gli altri’, visto che tra gli ‘altri’ ci sono i responsabili del male che ci sta capitando.

In attesa della prossima versione dell’esercito di Carlo V con i suoi lanzichenecchi, invocati come liberatori.

Davvero, un gioco bellissimo.

 

Predatori, sciacalli e saltimbanchi. Tre ritratti di famiglia, di Giuseppe Germinario

L’incalzante accelerazione delle dinamiche politiche sta scompaginando gli equilibri esterni tra le formazioni statuali e la coesione e il dinamismo stessi delle formazioni sociali; a prescindere dal loro esito metterà sempre più a nudo profilo e peculiarità delle classi dirigenti e delle élites. Viste le diverse loro dinamiche quelli positivi si potranno apprezzare ed individuare soprattutto nel tempo. I negativi, specie i più spregevoli, non richiedono l’attesa paziente; emergono in tempo reale, spontaneamente. Bolle d’aria tanto leggere ed effimere nell’aspetto, tanto leste a spargere la flatulenza a contatto con l’atmosfera. Nel presente immediato e fuggevole del nostro paese tornano in auge le figure delle iene ovvero, nello scalino inferiore della gerarchia, dello sciacallo e quella del funambolo. Tra i primi si vedono al momento primeggiare addirittura due famiglie storiche del paesaggio politico-economico della nazione, anche se il gruppo sarà sciaguratamente destinato ad infoltirsi appena emergerà la spessa coltre di polvere nascosta sotto i tappeti dei vari comitati di esperti e d’emergenza da covid. Dei primi si fatica, purtroppo, ad individuare la pressoché unica loro funzione positiva nel ciclo vitale: la detersione dell’ambiente dalle carogne e dai resti putrefatti. Del secondo si resta abbagliati dalla capacità di sopravvivenza alle giravolte le più disinvolte ed improbabili; circonvoluzioni la cui abilità risulta tanto difficile da valutare vista la nostra scarsa conoscenza dei suoi effettivi strumenti di lavoro e del suo ambiente operativo, non si sa se dotato quest’ultimo di forza di gravità naturalmente significativa o di vuoto cosmico, quanto indispensabile da soppesare per qualificare il nostro un funambolo o un saltimbanco.

Si sta parlando, pare ovvio, delle famiglie Agnelli e Benetton da una parte e di Giuseppi Conte dall’altra.

Ora una breve disamina delle due tipologie:

PREDATORI PARASSITI

la similarità della funzione attualmente svolta dalle due famiglie imprenditoriali non deve indurre ad una eccessiva omologazione di giudizio.

Intanto rimane la diversità di lignaggio. Degli Agnelli il retaggio delle generazioni non si perde certo nei millenni, ma ha raggiunto comunque una consistenza secolare sufficiente a far appannare il ricordo e le tracce del peccato originale dal quale spesso e volentieri nascono le fortune degli aristocratici. Quello dei Benetton risale appena agli anni ‘60.

I primi, ormai alla quarta generazione, grazie a sapienti combinazioni matrimoniali, riescono ad intravedere l’olimpo della finanza internazionale e ad occupare qualche posticino d’ascolto nei salotti buoni europei e newyorchesi; i secondi hanno gestito le proprie senza allargare significativamente gli orizzonti e i connubi se non per gustare il piacere un po’ grezzo del possidente nei grandi spazi della Pampa in particolare.

I primi hanno coltivato le proprie virtù imprenditoriali nella meccanica, un settore maturo ma di tutto rispetto, pur con qualche addentellato, per lo più con licenza per conto terzi, in alcuni settori strategici; cosa che ha loro consentito, grazie alla fedeltà atlantica in tempi non sospetti, qualche impertinenza come la produzione dei G91 con motori inglesi, non ostante la contrarietà americana e qualche balzo oltre la cortina di ferro.

I secondi hanno fondato la propria fortuna sul tessile, un settore non proprio di punta nel XX secolo.

I primi, grazie anche alle discrete benemerenze acquisite durante l’ultima guerra, hanno saputo mettere bene a frutto le connessioni d’oltreoceano e coltivare l’arte delle connivenze e delle influenze nei più diversi apparati dello Stato, compresi quelli militari e dell’ordine pubblico; i secondi hanno coltivato la stessa ambizione, ma a quanto pare non sono riusciti ad andare molto oltre le collusioni con i settori amministrativi e di controllo strettamente inerenti le loro attività.

Gli Agnelli_Elkann hanno mantenuto con pervicacia il loro core-businness manifatturiero e ormai prevalentemente finanziario, a partire dalla scellerata gestione Romiti, relativamente autonomo dalle concessioni pubbliche. Si sono altresì rivelati diabolicamente abili nel calibrare quantità e qualità delle ricorrenti richieste di interventi pubblici: con gli attori politici di prima grandezza, nella fattispecie lo stato federale statunitente, hanno venduto la propria sopravvivenza con un ingente prestito pubblico restituito perfettamente nei tempi previsti in cambio della fusione con la Chrysler, un azienda ancora più agonizzante della FIAT, al prezzo della generosa cessione della propria tecnologia motoristica e di automazione industriale a quell’epoca ancora valide e del pagamento di lauti interessi sulle relative obbligazioni, talmente alti da compromettere le future possibilità di investimento in ricerca del gruppo. Il prezzo, evidentemente, per poter essere accolti anche formalmente al di là dell’Atlantico. Con gli attori politici di terza fila, in particolare lo Stato della natìa Italia, hanno saputo sfruttare la cieca prodigalità dei contribuenti e la benevolenza delle politiche infrastrutturali e normative, si badi bene, non per sviluppare l’Azienda e mantenerne il cuore e il cervello in Italia, ma per dilazionare tra gli osanna i tempi del drammatico ridimensionamento produttivo. Un miracolo di prestidigitazione assecondato dalla arrendevole suggestionabilità degli astanti. Una cecità cronica ed inguaribile di questi ultimi che ha impedito di cogliere i numerosi segnali legati al trasferimento dei centri decisionali e delle tecnologie, alla cessione, in esatta concomitanza delle mirabilie sul futuro dell’auto a trazione elettrica, della Magneti Marelli e probabilmente di COMAU sino al capolavoro odierno della concessione della garanzia pubblica sui prestiti appena una settimana prima della cancellazione di tutti gli ordini di componentistica dalle aziende italiane. Il segnale che l’accordo con il gruppo PSA non è altro che la cessione di un fardello in cambio del salvataggio della componentistica francese ai danni di quella italiana, attualmente più sviluppata ma meno tutelata politicamente. Almeno nel settore auto la famiglia pare destinata, a meno di sussulti, ad assumere il ruolo di controfigura buona ad introitare i finanziamenti a scatola chiusa degli stati più “distratti”. È la loro particolare visione e funzione della difesa degli interessi nazionali.

I Benetton non dispongono di una visuale così ampia e articolata. Nel giro di pochi mesi si sono visti offrire, senza competitori reali, la gestione della rete autostradale approfittando del disastro gestionale dell’ANAS, delle condizioni capestro a carico del cedente del contratto di concessione e dello smantellamento e della colpevole inefficienza dell’apparato di controllo per succhiare rendite da capogiro da ripartire tra alleati potenti a spese della corretta gestione e della sicurezza della rete. Il tessile e abbigliamento, a queste condizioni passano in secondo piano e con essi gran parte della rete di produttori e lavoratori nazionali sui quali avevano costruito credito, rispetto e prestigio in terra veneta.

Anche nel campo politico-culturale le due lasciano una impronta diversa, anche se ormai sempre più sbiadita. I primi hanno saputo promuovere ed alimentare alla bisogna gli orientamenti più diversi ed antitetici, spaziando da destra a sinistra. Hanno saputo accattivarsi e pugnalare i sindacati; hanno alimentato e fruito delle ideologie e delle correnti culturali più libertarie, come di quelle conservatrici e di quelle più retrive. Ne hanno curato in maniera certosina anche i risvolti editoriali. I Benetton no, sono rimasti molto più legati ad un particolare canovaccio fatto di un cosmopolitismo multicolore di una varietà pari a quella delle tonalità dei loro tessuti, ma tanto inconsistente culturalmente, quanto protervo nei fatti e nelle persone portatrici del loro messaggio; esaurito il quale non possono che mostrare nuda e cruda la loro protervia ed insensibilità. Lo si è visto anche nella mancata minimale di accortezza, quando hanno dovuto affidarsi a nuovi consulenti specializzati per riuscire a porre decentemente, anche se con colpevole ritardo, le opportune ed appropriate condoglianze alle vittime del crollo del ponte di Genova. Hanno dimenticato l’umanità dell’antica civiltà contadina, ma ne hanno conservato la rozzezza e la grettezza.

Le “sardine” potrebbero essere considerate il loro prodotto culturale conclusivo, sempre che riescano a durare più di un loro manifesto pubblicitario.

In un aspetto cruciale i primi si sono rivelati meno adeguati e più disarmati dei secondi: nella regolazione riservata delle proprie controversie familiari e in almeno un caso delle proprie tragedie personali. Segno dell’allentamento inesorabile del legame patriarcale.

Due famiglie che hanno avuto una iniziale funzione propulsiva, pur se accuratamente incanalata, ma che hanno inibito e poi apertamente contrastato il salto necessario al paese a partire dagli anni ‘70. La crescita delle dimensioni aziendali assimila sempre più l’attività imprenditoriale ad un gioco di strategia politica. La loro mutazione è stato lo specchio dell’involuzione del nostro paese.

Non sono gli unici responsabili di questa situazione e, probabilmente, nemmeno ormai i più determinanti. Fanno parte però a pieno e diverso titolo di quella classe dirigente e di quei centri di potere.

IL FUNAMBOLO

Occorre a questo punto qualche chiarimento su questa insolita associazione tra predatori_parassiti e giocolieri. L’evoluzione subita dalle due famiglie imprenditoriali rappresenta il classico esempio di come l’impoverimento progressivo e traumatico di una classe dirigente e di un ceto politico sufficientemente ambizioso, capace e sagace riesca a trasformare la natura e l’indole degli attori geoeconomici e politici. Le condizioni oggettive sono state certamente sfavorevoli, a cominciare dalla disastrosa gestione delle partecipazioni statali e dal contesto geopolitico sconvolto dall’implosione del blocco sovietico. A questo purtroppo ha corrisposto un ceto politico tanto furbo, quanto malaccorto e inadeguato da cadere senza resistenza ai richiami delle magnifiche sorti e progressive del globalismo senza stati e da darsi prontamente una giustificazione morale sufficiente ad accogliere i benefici personali connessi a quelle modalità di apertura.

Giuseppe Conte è un epigono di questa progenie con alcune peculiarità destinate a garantirgli probabilmente una sopravvivenza, non necessariamente sullo stesso scranno, più longeva rispetto alle tante meteore che si sono avvicendate negli ultimissimi anni.

Ha rivelato doti di furbizia e circospezione inediti tra le fila degli ultimi arrivati sul proscenio politico, merito senza dubbio delle sue frequentazioni curiali d’oltretevere; uno dei pochissimi ad evitare l’ostensione compiaciuta dei suoi pellegrinaggi negli Stati Uniti. Sarà per le mancate risposte che deve ancora sulle complicità italiane nella costruzione del Russiagate; sarà per l’incertezza sull’esito di uno scontro politico così cruento in quel di Washington; sarà soprattutto perché in quanto pupillo della Segreteria Vaticana, piuttosto che dei Boyscouts, non sente il bisogno e la necessità di investiture pubbliche, sta di fatto che è riuscito a costruirsi una immagine propria.

Ha rivelato doti di equilibrio e di adattamento miracolose. Più che di Giuseppe, tanti Giuseppi capaci ognuno di cogliere l’attimo per apparire e proferire secondo l’esigenza del momento, glissando sulle posizioni dei Giuseppi precedenti; tutti concordi però sullo speranzoso “andrà tutto bene”. Ha certo potuto contare sulla smemoratezza e accondiscendenza del sistema mediatico; ha potuto fondare la propria autonomia apparente e la propria funzione di contrappeso sul precario equilibrio di partiti ancora poco predisposti ad una alleanza e a schieramenti più definiti. Ha messo a frutto la posizione di commis di seconda fila; il serbatoio da cui di solito attingono forze politiche emergenti prive di personale all’altezza degli incarichi da occupare. Riesce a rosicchiare brillantemente e ricorrentemente nuovo tempo contrabbandando l’opportunità e l’utilità immediata di scelte strategiche disastrose per l’Italia. Non ha ancora superato due limiti comportamentali che gli impediscono di raggiungere definitivamente la postura se non la sostanza dell’uomo di stato; manchevolezze che potrebbero farlo scivolare sulla classica buccia di banana: la sua insopprimibile indole levantina e curiale a confortare ostentatamente con una pacca sulle spalle la vittima designata e ad affettare eccessivamente le proprie giustificazioni e coerenze di comportamento. L’antitesi di un ex-emergente ormai in ombra:Matteo Renzi.

Occorre scavare un po’ più a fondo per cogliere qualche tratto più netto della condotta di Giuseppe Conte e intravedere un possibile punto di arrivo. Una cartina di tornasole potrebbero essere i suoi legami con Angela Merkel e soprattutto Emmanuel Macron.

http://italiaeilmondo.com/2020/06/02/attenti-a-quei-due-di-giuseppe-germinario/

https://italiaeilmondo.com/2017/01/22/203/

Sulla Unione Europea Conte può giocarsi probabilmente le carte migliori. Le risorse del MES e soprattutto del Recovery Fund sono per il paese una trappola a medio termine in cambio di ossigeno nell’immediato, sempre che queste siano disponibili in tempi e nella consistenza ragionevoli. Sono una trappola perché condizioneranno e costringeranno il paese in una logica di degrado, squilibrio e dipendenza irreversibile per tre ordini di motivi: per la logica interna alle modalità di utilizzo dei fondi strutturali, per la dipendenza dai circuiti finanziari interni e l’isolamento politico dell’Italia in Europa, per la mancanza di risorse finanziarie aggiuntive, di una classe dirigente sufficientemente ambiziosa e di un apparato tecnico-amministrativo in grado di contrastare queste dinamiche in ambito comunitario e di condurre una politica di potenza e di forte coesione interna in senso lato in grado di ribaltare gli equilibri almeno europei. È probabile che quest’ultimo fattore spinga per inerzia il Governo nel tradizionale utilizzo delle risorse scivolando in una logica consolidata di spesa assistenziale e di investimenti dispersivi e casuali incapaci di modificare positivamente la struttura socio-economica del paese; renderebbero così superfluo e libererebbero dalla seccatura di una imposizione esplicita di un intervento autoritativo dei paesi egemoni per il tramite della UE. Le prime indicazioni confermano questa dinamica consolidata fatta di interventi neutri sulle infrastrutture, di incentivi generici alle aziende e di investimenti sulla ricerca sganciati dal consolidamento e dalla creazione di piattaforme industriali autoctone. La retorica sulla istruzione e sulla ricerca come volano autoreferenziale, sulla messa in sicurezza di un territorio in realtà ingestibile a costi ragionevoli se non ripopolato di gente e di attività, sull’economia verde e sulla stessa digitalizzazione priva del controllo dei dati e dei processi di comando diventano così il cappello ideologico e la cortina fumogena di un declino assolutamente infelice e malinconico che consentiranno comunque la sopravvivenza di una élite così miserabile. Nel Mediterraneo la posizione dell’Italia rischia invece di precipitare in tempi drammaticamente ravvicinati. La politica elusiva di Conte soprattutto in Libia ha rafforzato altri interlocutori ben più determinati a cogliere gli spazi offerti dal multipolarismo e dalla rinuncia e dalla delega offerta dagli Stati Uniti di Trump. L’Italia ha già perso con l’affossamento del South-Stream, grazie anche all’atlantismo peloso della Germania la quale in nome delle sanzioni contro la Russia e della fedeltà alle direttive americane sta rischiando di acquisire il controllo della rete dei metanodotti europei. L’estromissione dal TAP e dai giacimenti del Mediterraneo rischiano di stringere definitivamente il cerchio e con questo compromettere l’esistenza stessa dell’ENI e un minimo di autonomia delle forniture energetiche e di presenza geopolitica nel Mediterraneo. Nella stessa logistica interna, legata all’intermodalità dei porti e della rete stradale e ferroviaria, tutta la retorica progressista dell’Italia come hub europeo rischia di liquefarsi di fronte all’asse tedesco e sino-turco teso ad occupare i nodi nevralgici della rete italiana. La combinazione dell’eventuale assenza delle risorse europee e della precipitazione della crisi nel Mediterraneo sono i fattori che rischiano di far naufragare la proficua tattica dilatoria di Conte & Company fondata sull’emergenza sanitaria e sulla fratellanza europea. Un emergenzialismo sfruttato più per garantire la sopravvivenza di una élite e di un ceto arroccato che a perseguire un disegno totalitario ed autoritario fuori dalla portata di questi centri di potere. Nel qual caso Giuseppi da funambolo si rivelerebbe saltimbanco ed andrebbe ad infoltire la ormai fitta schiera di leader politici italiani improvvisati emersi e naufragati nel breve volger di un mattino. Già la gestione del cosiddetto “esproprio” dei soddisfatti Benetton ha offuscato, anche se non irrimediabilmente, la sua abilità di giocoliere. Le dinamiche politico-economiche di questi ultimi anni hanno messo in chiaro come l’assenza di strategie politiche autonome abbiano pregiudicato l’esistenza e la funzione della grande industria strategica; adesso sta arrivando il momento della piccola e media industria della componentistica. Quando arriverà il momento della media industria più intraprendente, le cosiddette multinazionali tascabili, allora forse sarà chiaro a tutto il paese e alla opposizione sovranista-liberista, un vero ossimoro politico e fors’anche al ceto politico e alla classe dirigente in pernne dipendenza dalla benevolenza europea il motivo dello scivolamento drammatico di questo paese e delle sue cause. Sarà troppo tardi e molto più doloroso un eventuale recupero.

Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Intervista a Thomas Gomart – Russia, Cina, Stati Uniti: chi è di troppo?

Direttore IFRI, il principale centro studi francese per le relazioni internazionali fondato da Thierry de Montbrial, Thomas Gomart riceve Hadrien Desuin di Conflits nel suo ufficio per discutere della Russia e delle sue relazioni con gli Stati Uniti e la Cina. Thomas Gomart ha appena pubblicato The Return of Geopolitical Risk, The Strategic Triangle Russia, China, United States , Paris, Institut de l’Entreprise, 2016, 56 p., Prefazione di Patrick Pouyanné.

Conflitti: vedete che la globalizzazione del commercio si scontra con il ritorno della geopolitica.

Il “commercio gentile” di Montesquieu è ormai vissuto. Il commercio ha iniziato a ristagnare nel 2009-2010 mentre lo scambio di informazioni continua a crescere in modo esponenziale. La globalizzazione sta accelerando in termini tecnologici ma si sta restringendo in termini politici e istituzionali. È un ritorno alla logica del potere. La comunità imprenditoriale ha visto mercati emergenti, non potenze emergenti, una sfortunata assenza.

 

Conflitti: il triangolo tra Russia, Cina e Stati Uniti ha continuato a strutturare il mondo dal 1971, ma oggi non è di troppo la Russia in questo trio? 

Il 1971 vede il viaggio di Nixon in Cina. Il segmento debole del triangolo è quindi la Cina. E Nixon ci va proprio per indebolire l’URSS. 45 anni dopo, il segmento debole è la Russia, che sta lottando per rimanere nel trio. Tuttavia, la Cina continuerà a crescere, gli Stati Uniti sono in un declino molto relativo e la Russia continua a ripiegare. Cina e Stati Uniti: 35% della ricchezza mondiale, Russia meno del 3%. Nel 1991, le economie cinese e sovietica erano comparabili. Oggi l’economia russa rappresenta il 20% dell’economia cinese. La Russia sta cercando di tenere il passo con Washington e Pechino con risorse paragonabili a quelle di Francia e Regno Unito. “Povero potere”, è in una fortissima distorsione tra le sue ambizioni e i suoi mezzi.

 

Da leggere anche:  Cina, Stati Uniti, UE: chi vincerà la guerra?

Conflitti: la Russia aveva annunciato un perno per l’Asia che le sanzioni europee potrebbero accelerare.

Gli occidentali non sono riusciti ad ancorare la Russia nella loro struttura euro-atlantica alla fine della guerra fredda. Grazie a legami storici, culturali e umani di ogni tipo, l’Unione Europea è il principale partner commerciale della Russia con il 50% del suo commercio estero. Fondamentalmente è la porta della Russia verso la globalizzazione. Le sanzioni chiudono questa porta, ma le élite russe ragionano molto di più delle nostre in termini geopolitici. Per loro, la Russia è anche una potenza del Pacifico che deve partecipare al perno mondiale verso l’Asia.

 

Dopo l’annessione della Crimea, la Russia vuole dimostrare di essere una grande nazione che sta costruendo una partnership con la Cina, in particolare nel campo energetico. Ma l’asimmetria tra i due paesi è enorme! Inoltre, l’ultimo conflitto militare russo-cinese risale al 1969, è ancora nella memoria. Il perno della Russia verso il Pacifico deve quindi essere qualificato e inteso anche come una narrazione o “discorso” geopolitico.

Conflitti: c’è lo stesso una complementarità energetica russo-asiatica che pesa molto …

Certamente con la Cina ma anche con il Giappone e la Corea. Putin ritiene che il principale successo della sua politica estera sia il trattato sul confine sino-russo del 2005. Presso l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, russi e cinesi cooperano per la stabilizzazione dell’Asia centrale, fino al Iran. Ma l’80% della popolazione russa vive in territorio europeo e continua a guardare ad ovest anche se cerca alternative. Ci riuscirà? Non ne sono sicuro.

 

Conflitti: ”  Ho preso la Russia come il generale de Gaulle ha preso la Francia  ” ha dichiarato una volta Vladimir Poutine. In che misura la sovranità di Putin è una versione russa del gollismo? 

Non siamo riusciti ad andare oltre la visione di un Putin gollista o cechista. Per i circoli diplomatici e intellettuali, Putin è un cechista che non riuscirà a uscire dalla sua matrice. Per gli ambienti economici e militari, è un gollista che ha restaurato la grandezza del suo paese. Non puoi confrontare. Fondamentalmente, la Russia non ha alleanze, cosa che la Francia gollista non aveva.

Leggi anche:  Nient’altro che la Terra: la geopolitica gaulliana prima di de Gaulle

 

In effetti, abbiamo un problema geopolitico con la Russia e la Russia ha un problema geoeconomico con noi. La gestione della crisi ucraina è stata delegata alla Commissione Europea, quando l’Unione Europea non è un attore geopolitico. Inoltre, Bruxelles ha incoraggiato l’integrazione regionale in tutto il mondo, ad eccezione dello spazio post-sovietico.

Queste sono due contraddizioni molto forti che hanno reso improbabile una partnership con la Russia. Inoltre, l’Europa è molto a disagio con potenze come Russia e Turchia.

Quanto a Putin, prova una grande condiscendenza nei confronti del progetto europeo in cui non crede. La Brexit non può che ancorarlo a questa convinzione.

Conflitti: anche i paesi dell’Europa centrale hanno spinto per il confronto …

Abbiamo un’Europa composita, tutti usano l’Unione europea per promuovere i propri interessi. Questi piccoli paesi hanno un peso che non avrebbero mai potuto avere al di fuori dell’Unione. Il partenariato orientale è influenzato, ad esempio, dall’influenza polacco-svedese. Questa questione del vicinato europeo ha forti risonanze storiche con due parole non dette: Turchia e Russia.

Conflitti: energia, militare e digitale sono tre grandi potenze che strutturano il mondo secondo te, perché hai scelto il digitale? Stiamo parlando di una “bomba digitale”, non stiamo fantasticando sulla guerra digitale?

Sul digitale, gli Stati Uniti dispongono dei principali attori. Per parafrasare John Connally e la sua formula del dollaro , potresti dire ”  Internet è il nostro sistema, ma è un tuo problema  “. Internet è il centro nevralgico del sistema mondiale. Chi domina Internet domina il centro nevralgico e quindi domina il mondo. Internet è anche il mezzo principale per mantenere il controllo sui suoi principali alleati giapponesi ed europei.

https://www.revueconflits.com/entretien-russie-chine-etats-unis-qui-est-de-trop-hadrien-desuin/

Memo quotidiano: poteri medi e persone prive di potere, di George Friedman

Qui sotto un breve resoconto delle inquietudini che attraversano il mondo. Una breve considerazione: checché ne pensino il Senatore Fiano e il Partito Democratico tutto l’Europa non è più un’isola felice esente da conflitti militari già dagli anni ’90; il fattore di pace interna piuttosto che l’Unione Europea è stata comunque la NATO, con tutti i vincoli di dipendenza e sottomissione connessi. Una pace interna che comunque non ha evitato sanguinosi conflitti interni agli stati, in particolare quelli più sensibili all’influenza russa. Nelle more, pare che in Bielorussia alcuni cecchini stiano sparando alla folla dagli edifici circostanti. Un canovaccio già sperimentato in Ucraina e in Siria, prodromo di un colpo di mano imminente. La Russia si farà cogliere questa volta di sorpresa? Quanto influirà la crisi di entrate da gas e petrolio sulle sue modalità di risposta? Intanto la Francia ha posizionato in Grecia, di fronte alla Turchia altri due Rafale e una fregata, a tutela della libertà di navigazione nel mar Egeo. Pare meno disposta dell’Italia a farsi mandar via da quelle acque. La fregata LIMNOS (classe ELLI) della Marina Nazionale greca ′′ è stata colpita ′′ da una nave della Marina turca. Il PD continua a chiamare tutto questo pace_Giuseppe Germinario

Memo quotidiano: poteri medi e persone prive di potere

Recensioni settimanali di ciò che è sui nostri archivi.

A cura di: Geopolitical Futures

Potenze medie nell’Indo-Pacifico . Martedì, il Giappone ha accettato di prestare al Vietnam circa 345 milioni di dollari per acquistare sei navi da pattugliamento marittimo giapponesi . Il Giappone ha distribuito navi della guardia costiera usate nel sud-est asiatico negli ultimi anni, ma quelle nuove sono considerate un sostanziale miglioramento per il Vietnam in un momento in cui le sue acque costiere sono soggette a una maggiore pressione cinese. Come abbiamo spiegato , la maggior parte della competizione per il controllo nel Mar Cinese Meridionale si svolge nella cosiddetta zona grigia. E questa è un’area in cui il Giappone è forse anche meglio attrezzato degli Stati Uniti per aiutare gli Stati richiedenti del Mar Cinese Meridionale. Nel frattempo, l’India ha incoraggiato la Russia a essere maggiormente coinvolta negli affari indo-pacifici, proponendo, ad esempio, un meccanismo di consultazione trilaterale che coinvolge il Giappone .

Questi tipi di giocatori di medio livello nella regione sono tutti limitati in quello che possono fare per bilanciare l’azione della Cina, e interessi fortemente contrastanti renderanno difficile formare qualsiasi tipo di fronte unito contro Pechino . Ma per paesi come il Vietnam e l’India che temono di essere coinvolti nel fuoco incrociato di un grande conflitto di potere a somma zero tra Cina e Stati Uniti, più siamo, meglio è.

Disordini bielorussi, continua . Continuano le proteste in Bielorussia contro i risultati delle elezioni presidenziali . Le forze di sicurezza hanno usato granate stordenti e hanno sparato proiettili di gomma per disperdere i manifestanti. Il ministero degli Interni ha confermato che le autorità hanno ucciso un uomo che avrebbe tentato di lanciare un ordigno esplosivo. Ha anche annunciato che più di 2.000 persone sono state detenute in varie città del paese.

L’opposizione si sta comportando come previsto. Gli ex candidati alla presidenza Andrei Dmitriyev e Sergei Cherechen intendono presentare un reclamo alla Commissione elettorale centrale contestando i risultati delle elezioni. Nel frattempo, Svetlana Tikhanovskaya, la candidata dell’opposizione più popolare, ha lasciato la Bielorussia per la Lituania, dove ha ringraziato i cittadini bielorussi per la partecipazione alle elezioni, sottolineando che “il popolo bielorusso ha fatto la sua scelta”, invitando i suoi sostenitori a rispettare la legge piuttosto che affrontare la polizia .

I governi occidentali, compreso Washington, hanno espresso preoccupazione per la situazione. Alcuni hanno condannato il presidente Alexander Lukashenko per aver utilizzato violenza politicamente motivata, mentre altri hanno chiesto il dialogo per risolvere la questione.

Intelligenza aggiuntiva

39° Podcast_Scheletri negli armadi_di Gianfranco Campa

Avvincente! Ad un ascolto distratto il 39° podcast di Gianfranco Campa potrebbe sembrare solo un utile riepilogo e un riordino, sia pure arricchito di qualche interessante particolare, delle principali informazioni e congetture distribuite in quattro anni di impegno giornalistico. E’ molto di più. Ci offre un filo logico che consente una lettura coerente delle dinamiche accese di politica interna americana. Ci fa toccare con mano, soprattutto, la cruda realtà di dinamiche geopolitiche e di politica interna degli stati e delle formazioni sociali altrimenti presentati in maniera accademica e deterministica. Cristallizzazioni di centri di potere, di interessi, cinismi e passioni di uomini intrappolati in sistemi di relazioni in grado di rivoltare le situazioni come di perpetuare le inerzie consolidate da decenni di detenzione del potere decisionale. Centri di potere appesantiti da armadi pieni di scheletri. Flynn, negli States ne ha posseduto le chiavi. Inerzie che però in contesti diversi portano a risultati diversi ed opposti rispetto anche alle aspettative dei decisori. Una sorta di eterogenesi dei fini. Da voci sempre più ricorrenti Biden, in realtà chi per lui, sembra voglia riesumare tutta la vecchia classe dirigente legata a Bush, Clinton e soprattutto Obama; come pure l’annesso vecchio armamentario del multilateralismo e del globalismo, condito di ambientalismo catastrofista e dirittoumanitarismo. L’intenzione dichiarata sarebbe quella, se non di eliminarlo, quantomeno di ridurre e regolare il conflitto tra gli stati; quella reale si riduce a trasformare sempre più il conflitto tra stati in una sorta di guerra civile planetaria ed endemica dal carattere sovversivo e millenaristico. In un contesto radicalmente diverso da quello di appena quindici anni fa porterebbe ad agevolare ulteriormente l’emersione di nuovi centri polari, ma in maniera surrettizia, ancora più disordinata e caotica. Gianfranco Campa ci ricorda che la politica è spietata, fatta da uomini e richiede il sacrificio di uomini; il più delle volte dalla parte sbagliata. Il dopo elezioni americane si preannuncia incandescente. Il tweet di Trump che segue pare esserne un presagio oscuro: https://twitter.com/Rominu22/status/1291517793016324097?s=20&fbclid=IwAR1VH7uzf8PTnewX1qZ3h8sdw15TVeiUNIqUX6F9wZ1wMnRzBF3IiVP0wxc  . Del resto gli appunti di Peter Strzok chiariscono la diretta implicazione e responsabilità di Obama, Biden, Rice, ect. Raramente il potere è apparso così nudo; guai a concedergli tempi e modi per rivestirsi dei simboli della regalità.

Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-39

NON CAPIRE QUELLO CHE STA ACCADENDO, di Pierluigi Fagan

NON CAPIRE QUELLO CHE STA ACCADENDO. Più o meno a metà di settembre, gli Stati Uniti dovrebbero registrare lo stesso numero di morti SARS per milione di abitanti dell’Italia. Ai primi di novembre, quando si andrà a votare per il rinnovo della carica presidenziale, gli Stati Uniti dovrebbero esser su una media morti per milione di abitanti pari a quella della Gran Bretagna che, subito dopo quella del Belgio, è la peggiore d’Europa ed una delle peggiori del mondo. Ma molto diverso è il modo con cui questi paesi sono arrivati o arriveranno a quei tristi risultati. Quando l’Italia ha terminato il suo lockdown, il 4 maggio quindi tre mesi fa e circa due/tre mesi anche dall’inizio dell’epidemia, i morti per milione di abitanti erano più del doppio di quelli americani, erano quindi per lo più concentrati nel primo trimestre. Gli Stati Uniti invece, hanno continuato a registrare decessi in forma continuata. Così oggi sono a circa l’80% del risultato italiano che pareggeranno a metà settembre e da allora supereranno progressivamente.

Discutere dei risultati sanitari dell’epidemia-pandemia è molto delicato, a partire dal fatto che ancora dopo mesi molti non hanno ancora capito che il problema principale non sono tanto i morti ma la gestione sanitaria dei contagiati. Da una parte abbiamo visto come la composizione dei dati sia molto difforme, dall’altra per giungere ad un dato ci sono talmente tante variabili che indicare correlazioni semplici (a due variabili) risulta per lo più improprio. Sopra a ciò si aggiunge una doppia distorsione ideologica. La prima è quella politica tipo coloro per i quali Trump è bravissimo o coloro per i quali è un disastro, ma vale anche per il governo italiano. La seconda è sociologica poiché molti si sono fatti modelli in testa su cosa l’epidemia-pandemia è o non è, alcuni anche molto fantasiosi ed eterodossi. Ci sono quindi molti motivi per piegare il dato ad una certa interpretazione.

Tutto ciò premesso avanziamo comunque il dato comparato perché a grana grossa, tutte le eccezioni si piegano al ferro da stiro del dato all’ingrosso. I morti da epidemia sappiamo esser contati secondo diversi modi ma sono anche il dato più al riparo da troppe variabili differenzianti. I morti per milione di abitanti sono l’unico dato comparabile davvero tra paesi diversi se si dà credito alla realtà del dato che, per Stati Uniti ed Italia, è abbastanza solido.

P. Krugman prima e il corrispondente dall’Europa del Sud per New York Times, hanno di recente fatto presente come il caso Italia che all’inizio si riteneva esser il più disastroso in accordo all’immagine tipo di un paese tanto bello quanto disorganizzato e poco razionale, si stia rivelando nel medio tempo addirittura migliore di quello americano. Come molti hanno notato, il sospetto che NYT nella sue due firme “usi” l’Italia per render ancorpiù evidente il disastro della gestione Trump dell’epidemia, è quasi certezza. Ma il dato però è inconfutabile. E cosa ci dice questo dato? Tre cose.

La prima è che le epidemie vanno soffocate sul nascere. Come tutti i fenomeni esponenziali, se non intervieni quando l’esponente è basso, dopo non le riacchiappi più. Puoi intervenire in maniera mirata ed articolata come hanno fatto alcuni paesi dell’Estremo Oriente o la Germania se ne hai facoltà (una struttura sanitaria “preparata” e particolarmente efficiente) o brutale (Cina ed in parte Italia), ma tagliare presto i fili della rete di contagio è l’unica strada percorribile. Il caso Svezia, che comunque ha registrato una media morti per milione di abitanti simile all’Italia, fa poca letteratura in quanto troppe variabili sono difformi (l’età media svedese è la più bassa in Europa dopo Islanda,Cipro ed Irlanda, quella italiana è la più alta assieme alla tedesca. Dati Eurostat).

La seconda è che, soprattutto all’inizio, abbiamo fatto furiose discussioni ed in alcuni casi vere e proprie litigate a suon di dati contingenti, quando gli effetti di una epidemia si valutano sul medio-lungo tempo. Molte volte, anche qui, abbiamo terminato una discussione con un “vedremo …” che rimandava al poi, il giusto tempo per valutare gli effetti di ciò che stava succedendo. Non è ancora arrivato questo “poi”, occorrerà aspettare almeno fine anno. Una cosa però sembra potersi confermare tra quelle in discussione. Nel dibattito pubblico ha avuto molto successo il tema “libertà-salute” (con gran mischione di libertari, libertariani e liberali vs “creduloni” scientizzanti e totalitari), ma il vero e decisivo bivio era quello tra salute ed economia e molte delle diverse decisioni che sono state prese, hanno valutato diversamente questo rischio. Tali differenze non vanno lette come diversi atteggiamenti di valore tra stati col primato sanitario e stati col primato economico. Essendo salute e ricchezza due prerogative della popolazione, le due istanze non possono esser in contrapposizione, va trovato l’equilibrio. Il concetto di “equilibrio” è il segreto della gestione di fenomeni complessi, ma il concetto di “equilibrio” per le nostre immagini di mondo è poco appassionante. Appassiona molto di più la singola verità, la singola variabile, la singola soluzione che magicamente trasforma l’andamento dell’intero sistema in discussione. Ci piacciono le cose semplici, anche quando il mondo reale ci presenta fenomeni che semplici non sono.

La terza considerazione è che gli Stati Uniti d’America ovvero il loro attuale presidente, hanno registrato un fallimento adattivo di proporzioni clamorose. Hanno cioè sbagliato strategia il che, per un paese viziato da condizioni di possibilità lungo gli ultimi due secoli per lo più eccezionali ed al di là dei meriti intrinseci di quel popolo, non sorprende. Gli americani che pure hanno molte qualità, in genere, non si conoscono come fini strateghi. Pur avendo diversi primati scientifici, pur avendo enormi e sofisticate capacità di calcolo, risorse più di ogni altro, non hanno avuto l’intelligenza di capire i due punti prima espressi: hanno scelto di non intervenire drasticamente ed hanno valutato il rischio economico non collegandolo a quello sanitario.

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L’altro giorno leggevo un bell’articolo di Adam Tooze su FP che ripescava una concetto di Ulrich Beck condensato nel suo famoso “La società del rischio” del 1986, l’anno di Cernobyl. Sulla faccenda della pandemia, il primo e generalizzato fallimento, è stato quello di non aver previsto il rischio per altro noto. Non noto a coloro che cascati dal pero della loro sostanziale ignoranza (uso “ignoranza” come giudizio oggettivo, senza rimprovero, nel senso di “inconsapevolezza” o “incompetenza”), hanno cominciato a cercare spiegazioni fantasiose per eventi clamorosi. L’altro giorno, ad esempio, Elon Musk ha fatto capire di ritenere le piramidi egiziane opera di alieni il che ci sta se non sai nulla di archeologia e storia del tempo profondo. E’ normale che un tizio di un paese che ha trecento anni convinto della meccanica nozione di “progresso”, non si dia spiegazione di come abbiano fatto gli umani di quattromilacinquecento anni fa a fare quelle cose imponenti, se non ipotizzando interventi di mani invisibili esterne. Per millenni siamo ricorsi a dei, spiriti, fate e folletti per spiegarci quello che non altrimenti sapevamo spiegarci.

Chi quindi non sapeva nulla di virus, coronavirus e SARS da coronavirus, si è sbellicato dalle risate sulla faccenda dei pipistrelli e pangolini, è normale. Però qualcuno sapeva di virus, coronavirus e SARS da coronavirus, da decenni visto i documenti pubblicati da WHO sin nei primi anni duemila assieme a tutta la letteratura scientifica correlata. Così per i rischi Three Mile Island-Cernobyl-Fukushima, piuttosto che quelli climatico-ambientali, quelli tecnologici, piuttosto che quelli della bomba demografia africana che genera migrazioni ovviamente, non da sola), piuttosto che quelli correlati all’epidemia di debito mondiale o quelli legati alla transizione dei poteri sullo scacchiere geopolitico . Ho pubblicato diverse volte qui i Global Risk Report che le élite mondiali discutono a Davos ogni anno, con almeno una quindicina di rischi caldi dal prevedibile devastante impatto globale.

Ma questi temi non sono per le popolazioni, le popolazioni debbono pensare di vivere nel migliore dei mondi possibili, altrimenti sale l’ansia e tutto si disordina, cambiano le priorità, saltano le logiche. Poi se succede qualcosa si interviene con le distrazioni di massa, dagli alieni al virus geneticamente modificato da qualche Spectre. Si fa poco riflessione sul fatto che un concetto largamente usato in certi ambienti alternativi come “Matrix” (e molti altri modelli distopici), usi il concetto di un prodotto di Hollywood ovvero la prima industria dell’immaginario con cui la prima potenza mondiale colonizza le nostre menti. C’è una sorta di “critica omeopatica” che usa i modelli mentali del nemico (quasi tutti “cinematografici”) pensando con questi di contrastarlo. La cosa farebbe più ridere della faccenda dei pipistrelli e pangolini ma non è così che va il mondo.

Fallita quindi la previsione del rischio, dovremo poi riflettere su i diversi tipi di gestione perché una cosa è certa: nel mondo complesso i rischi aumenteranno geometricamente. E se non si capisce cosa sta accadendo, si andrà di disastro in disastro, il che non è per niente adattativo, comunque la pensiate.

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10221866322222801?notif_id=1596635544700052&notif_t=close_friend_comment

ITALEXIT, di Andrea Zhok

ITALEXIT

In questo periodo nell’area politica che frequento maggiormente c’è grande fermento, volano stracci e qualche coltellata.
Il grande tema è dato dalla comparsa sul terreno di un’aspirante forza politica, guidata dall’ex direttore della Padania e vicedirettore di Libero, sen. Gianluigi Paragone.

Il manifesto politico è scritto da mani capaci, e, per quanto semplicistico, tocca tutti i punti giusti nell’area di riferimento. Tuttavia più del manifesto, il cuore della proposta sta in ciò che viene comunicato dalla scelta stessa del nome: ITALEXIT, l’uscita dell’Italia dall’UE.

La fibrillazione nell’area politica di riferimento (oscillante tra ‘sinistra euroscettica’ e ‘destra sociale’) è manifesta. Il senso politico dell’operazione è piuttosto chiaro: esiste una fascia di elettorato rimasto politicamente orfano dopo che nella Lega l’europeismo di Giorgetti ha messo all’angolo l’area Borghi-Bagnai, e dopo che l’esperienza di governo ha mitigato l’euroscetticismo del M5S.
Il progetto di ITALEXIT sta nel chiamare a raccolta quest’area di malcontento in uscita da Lega e M5S, con numeri sufficienti da superare le soglie di sbarramento alle prossime elezioni politiche, portando qualcuno (a partire dal sen. Paragone) in Parlamento.

L’operazione è politicamente legittima e può avere successo.
Intorno a questa operazione, al suo retroterra e ai suoi concreti sbocchi si è acceso un rovente dibattito. Conformemente al modo di porsi del nuovo partito, la discussione si è immediatamente fatta incandescente intorno al tema dell’Italexit, con un ritorno in grande stile delle accuse di “altroeuropeismo”.

Per chi non sia addentro al linguaggio iniziatico di quest’area, per “altroeuropeismo” si intende l’atteggiamento, frequente soprattutto nella sinistra radicale, in cui da un lato si ammettono i difetti dell’Unione Europea, ma dall’altro si professa illimitata fiducia nella capacità dell’UE di autocorreggersi. “Altroeuropeismo” è un termine stigmatizzante in quanto l’Altroeuropeista finge di non vedere le colossali difficoltà, tecniche e politiche, che si frappongono ad una riforma radicale (ad esempio in senso keynesiano) dell’impianto normativo dell’UE, distintamente neoliberale.

L’Altroeuropeista esemplare è un parlamentare europeo che da decenni si atteggia a furente critico dell’Europa, salvo però rimanere attaccato al suo scranno e promettendo che le cose andranno meglio in seguito. L’Altroeuropeista non spende mai una parola che non sia generica intorno a ‘come’ le cose dovrebbero cambiare, salta a piedi pari la realtà dei rapporti di forza e dei vincoli, e si limita a ‘gettare il cuore oltre l’ostacolo’, proclamando la propria fede (e ciò magari gli fa guadagnare una cadrega).

Ora, mentre l’accusa di ‘Altroeuropeismo’ ha un’identità semantica ben chiara, per chi si appella all’Italexit, forse può essere interessante mettere alla prova un rovesciamento delle posizioni, per vedere se l’identità semantica del fautore dell’Italexit è parimenti chiara.

Qualcuno infatti potrebbe notare curiose quanto paradossali affinità formali tra i due estremi.

Dopo tutto chi pone l’Italexit come punto centrale e primario, proprio come l’Altroeuropeista, finge di non vedere le colossali difficoltà, tecniche e politiche presenti (qui rispetto all’uscita unilaterale dell’Italia dai trattati europei), come l’Altroeuropeista non spende mai una parola che non sia generica intorno a ‘come’ l’uscita dovrebbe avvenire, e come l’Altroeuropeista salta a piedi pari la realtà dei rapporti di forza e dei vincoli, limitandosi a ‘gettare il cuore oltre l’ostacolo’ e a proclamare la propria fiducia. (E chissà che così facendo non riesca pure lui a guadagnare una cadrega.)

A difesa di questa affinità formale si potrebbe dire che, dopo tutto, in entrambi i casi si tratta di posizioni critiche dello status quo, che per necessità devono appellarsi all’ottimismo della volontà, perché se aspettano il conforto della ragione potrebbero aspettare a lungo.

Questa è una possibilità, e se nel dibattito corrente non si fossero alzati i toni in maniera indecente, con accuse di tradimento come se piovesse, non mi sentirei di aggiungere altro.

Ma le accuse di ‘tradimento’ nei confronti di chi ha esaminato e denunciato reiteratamente il carattere neoliberale dell’UE, sono state davvero uno spettacolo po’ eccessivo anche per persone tolleranti.

Dunque, di fronte a questa chiamata alle armi nel nome dell’Italexit (e di ITALEXIT) forse qualche pacato ragionamento è doveroso.

Sulla cattiva coscienza degli Altroeuropeisti mi sono soffermato spesso, spendiamo dunque oggi un paio di parole sull’immaginario da Italexit.

Nell’agitare la parola d’ordine dell’Italexit ci sono, a mio avviso, tre livelli motivazionali possibili.

1) Il primo è il più semplice e diretto, ed evoca l’idea di qualcosa come strappare un cerotto: tieni il fiato, un momento di dolore, e poi stai bene. Qui stanno quelli che “mettiamo in moto la zecca di stato il venerdì sera, a borse chiuse, e zac, lunedì siamo di nuovo in possesso del nostro destino.”
Ora, è doloroso ricordarlo, perché sembra sporcare la bellezza della fede con la volgarità della realtà, però l’appartenenza dell’Italia all’UE consta di un intrico di scambi, contratti e leggi sedimentati in mezzo secolo, rispetto a cui è pia illusione pensare che l’unico problema da risolvere sia poter stampare moneta con valore legale. Che questo sia un punto strategico è certo, ma è solo un tassello in un ampio quadro complessivo. È ovvio che tutti i nostri rapporti reali, finanziari, di import-export, tutti i patti di collaborazione, la normativa sulla sicurezza transfrontaliera, gli accordi industriali, tutta la normativa sulle forme di scambio, sulla concorrenza, ecc. ecc. rimangono in vigore finché non vengono sostituite, una ad una.

Si tratta di un cambiamento storico che richiede non solo il supporto massivo delle forze politiche parlamentari, ma risorse tecnocratiche e la collaborazione di gran parte dei ceti dirigenti. Si tratta di un atto che avrebbe bisogno di un’unità d’intenti a livello nazionale come nella storia d’Italia non si è mai vista. Una volta ottenuta tale unità d’intenti saremmo di fronte ad un processo di medio periodo, in cui tutti gli accordi nuovi che vengono stipulati verranno stipulati sulla base dei reali rapporti di forza tra i contraenti, e saranno questi rapporti di forza a definirli come più o meno vantaggiosi rispetto agli accordi vigenti.
Più che strappare un cerotto, direi che siamo piuttosto dalle parti di tre anni di chemioterapia.

2) Il secondo tipo di argomento è di carattere tattico, ed agita l’Italexit più che come prospettiva rivoluzionaria come fattore di trattativa. In effetti un paese che ha tra le sue opzioni quella di abbandonare il tavolo ha un’arma in più nelle trattative, e in questo senso prendere in considerazione l’Italexit può rappresentare un modo per aumentare il proprio potere contrattuale in Europa.
Per molto tempo, quando in Italia era in vigore un irriflesso unanimismo sui ‘grandi ideali europei’, questa prospettiva tattica ha avuto grandi meriti, e anche ora, quando l’euroscetticismo è oramai sdoganato, rimane un buon argomento. Impostare il discorso in questi termini ha permesso di togliere molti veli e di vedere finalmente i rapporti intraeuropei per quello che sono: accordi tra stati nell’interesse degli stati.

I limiti di questa posizione sono, naturalmente, che una minaccia per conferire reale forza contrattuale dev’essere credibile. E aver maturato la consapevolezza che l’Europa non è il Paese dei Balocchi e che dobbiamo fare, come tutti, i nostri interessi, aumenta solo un po’ la nostra credibilità nel minacciare di andarsene. Il resto della plausibilità dipende da calcoli costi-benefici che hanno a disposizione anche gli interlocutori con cui si tratta e su cui non si può bluffare.

3) Il terzo tipo di argomento è quello del collasso endogeno. In questo caso parlare di Italexit può essere improprio, giacché la prospettiva effettiva è che venga meno per cedimento strutturale interno la casa da cui vorremmo uscire. Dunque non ce ne andremmo sbattendo la porta, perché non ci sarebbero più né la porta né le mura. Questa è l’opzione concretamente più probabile, ma è anche quella rispetto a cui le iniziative italiane giocano un ruolo irrisorio. Possiamo ‘prepararci mentalmente’. Possiamo preparare ‘piani B’. Ma in definitiva il boccino in mano ce l’hanno i paesi che l’UE la guidano, ed in particolare la Germania. Se la Germania decide che l’UE non è più un proprio interesse primario, si mette in moto un processo di disgregazione dei trattati in vigore, e di ridefinizione di altri trattati. Qui l’unico partito efficace per l’Italexit dovrebbe farsi eleggere al Bundestag.

Rispetto sia alle prospettive (3) che (2) qualunque rimodulazione tedesca delle regole europee (come quelle avvenute con il ruolo di supporto ascritto alla BCE, e anche con il Recovery Fund) modifica le carte in tavole e le opzioni disponibili. Condizioni più gravose rendono la minaccia di Italexit più plausibile e il collasso endogeno del sistema più probabile. Al contrario, condizioni di allentamento dei vincoli e di mutualità riducono la plausibilità sia di (2) che di (3).

Visto in quest’ottica, il quadro appare come alquanto meno rigidamente ideologico di quanto ci si potrebbe aspettare, e alquanto più pragmatico. E in effetti non c’è molto da stupirsi, perché, caso mai ce ne fossimo scordati, l’Italexit non è un fine ma un mezzo. Ed essendo un mezzo e non un fine, le sue forme, la sua plausibilità e l’intensità delle sue pretese possono variare a seconda di come varia il contesto storico e politico.

Dunque, se l’Italexit è un mezzo e non un fine, la vera domanda da porsi è: un mezzo per cosa?

La mia risposta è di ispirazione socialista ed è semplice: l’Italexit, se un senso ce l’ha, ce l’ha in quanto mezzo per riacquisire una sovranità democratica capace di porre in essere politiche nell’interesse del lavoro e di ridurre il potere di ricatto del capitale. Sovranità democratica e centralità del lavoro sono inscritte nel primo articolo della nostra Costituzione, e sono il lascito di un’epoca socialmente più avanzata di quella attuale.

La costruzione dei trattati europei, in particolare dal Trattato di Maastricht, ha imposto una svolta in senso dichiaratamente neoliberale, con la concorrenza posta come ideale normativo e la tutela della stabilità della moneta anteposta all’occupazione e ai salari. Dunque la catena logica va dalla tutela del lavoro, alla sovranità democratica, al rigetto della normativa europea.

Quest’ordine logico ha alcune implicazioni fondamentali. Non ogni modo di respingere le normative europee vale uguale.

Brandire l’Italexit per consegnare i lavoratori italiani a un settore industriale sussidiato dallo Stato non sarebbe un passo avanti, ma due indietro. Che la normativa europea vieti aiuti di stato all’industria privata (sia pure con svariate eccezioni) potrebbe rendere un rigetto della normativa europea accettabile per diversi settori industriali, ma di per sé potrebbe essere una condizione peggiorativa per il lavoro.

Brandire l’Italexit per svincolare le industrie italiane dai vincoli ambientali imposti a livello europeo può suonare liberatorio per molta piccola e media industria (e talvolta, visti gli inghippi burocratici, lo è senz’altro), ma non garantisce affatto un futuro migliore per il paese.

Brandire l’Italexit per ricollocarsi con più forza di prima sotto l’ombrello americano e atlantico non è, di nuovo, il viatico ad un paese migliore per i lavoratori italiani. Incidentalmente, l’Italia ha sofferto di pesanti limitazioni della sovranità almeno dal 1945, e ha perso di peso e ruolo industriale in quegli anni sotto la pressione USA (Mattei, Olivetti). Di fatto per parecchi anni la prospettiva europea è stata vissuta, sia a destra che a sinistra, come un modo per sottrarsi al giogo americano. Che per sfuggire al giogo americano si sia commesso l’errore di infilarsi nella trappola ordoliberale tedesca non significa che sfuggire oggi alla trappola ordoliberale tedesca per rifluire in quella neoliberista austro-americana sia un colpo di genio.

Ora, in conclusione, mi pare ci siano solo tre prospettive di massima sul tema Italexit.

La prima è pragmatica, e guarda all’appello all’Italexit come ad uno strumento politico accanto ad altri, uno strumento che sotto certe condizioni può essere utile coltivare, ma che non ha nessun valore intrinseco: esso conta se e quando è una carta giocabile per ottenere un miglioramento diffuso delle condizioni di vita nazionali. Ma non è un fine, non è un punto d’arrivo, non è una meta agognata, non è niente cui si deve giurare fedeltà. Date certe condizioni contingenti può essere uno scopo intermedio parziale.

La seconda prospettiva è ideologica e, appunto, pone il mezzo come fine: si pone l’Italexit come se fosse un ideale a sé stante, e dopo aver redatto un libro (o pamphlet) dei sogni si spiega al pubblico plaudente che ‘prima si deve riacquisire la sovranità’ e solo poi si potrà agire nel tessuto del paese secondo i precetti del libro.
Questa prospettiva, naturalmente, si garantisce a priori di non dover mai arrivare alla prova dei fatti; figuriamoci infatti se un’impresa letteralmente rivoluzionaria – e potenzialmente cruenta – come l’Italexit può essere affidata dal popolo a qualcuno sulla fiducia, solo perché ha redatto due buoni propositi sul web o ha ‘bucato il video’ con un meme. Si tratta ovviamente di un bellicoso pour parler destinato ad essere inconseguente rispetto alle promesse.

La terza prospettiva è opportunistica e personalistica. Essa non crede neanche per un minuto che la parola d’ordine dell’Italexit indichi una qualche sostanza politica percorribile. La sua funzione effettiva è di intercettare l’attenzione pubblica intorno a qualche slogan impetuoso e tranchant, in modo da ottenere una massa elettorale bastevole a portare qualcuno in parlamento. Questa prospettiva è possibile, ma al netto del gioco di specchi per i gonzi, la sua legittimità sta tutta nella credibilità personale di chi viene mandato in parlamento. Il voto viene in effetti chiesto sulla fiducia, e qui tutto dipende da questa fiducia.

Se da chi ti chiede il voto non compreresti un motorino usato, puoi impiegare gli atti di fede in direzioni più proficue.

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