IL CONFLITTO PERMANENTE COME CULLA DEL NUOVO MONDO MULTIPOLARE, di Pierluigi Fagan

IL CONFLITTO PERMANENTE COME CULLA DEL NUOVO MONDO MULTIPOLARE.

Le scienze sociali che usano come unità metodologica lo stato, ovvero le Relazioni Internazionali e la Geopolitica, non potendo fare esperimenti di verificazione delle teorie, si accontentano di sostenere la loro “scientificità” verificando quanto una teoria si adatti ad eventi storici pregressi. La “Storia” è l’unico dato empirico di validazione delle interpretazioni, fatto già di per sé bizzarro visto che: a) la storia è sempre una narrazione stesa su eventi ben più complessi; b) l’interpretazione ovvero la teoria è, a sua volta, un riduzione della narrazione storica.

Oltre a queste due sospensive ce ne è una ancora più determinante. Se accettiamo come quadro di riferimento macro-storico, ovvero di lunga durata,  il fatto di trovarci in una transizione epocale che ci sta portando dall’epoca moderna ad un’altra che ancora non ha nome sebbene cominci a mostrare una sostanza chiaramente complessa, questo ricorso al passato rischia di basarsi sulle pericolose “false analogie”.  Il ricorso al conforto di come si sono comportati gli stati nel passato al presentarsi di schemi di ordine di tipo multipolare è naturale vanga fatto, ma da quei confronti dovremmo trarre indicazioni molto relative, deboli, indiziali, poco probanti. Non siamo nella linea di uno sviluppo continuo della stessa traiettoria, siamo nella frattura profonda di un modo con un altro e quindi siamo in terra incognita dove la passata esperienza ha valore marginale.

Il che ci porta a dover trattare daccapo il concetto di “multipolare”, prima  in astratto, poi in concreto e nel concreto distinguendo i casi in cui applicarlo al passato o allo stato presente/futuro. Il fine è quello di trarne una interpretazione contemporanea ed una luce che tenta di fendere le nebbiosità dell’immediato futuro.

In astratto, il concetto di “multipolare” dice che in un dato spazio-tempo, si presenta una configurazione d’ordine con più di due attori statali potenti (poli), legati  tra loro da molteplici relazioni di potenziale offesa-difesa o equilibrio, equilibrio che va inteso sempre in modo dinamico. Il concetto s’inscrive nelle premesse del tipico contesto realista ovvero un mondo ritenuto anarchico (non “disordinato”, ma privo di legge superiore ed entità in grado di applicarla, anche con la forza, a tutti), competizione a somma zero (se un polo assume più potenza, qualche altro la perde), gli stati si comportano in maniera razionale, le potenze tendono a massimizzare il loro potere (fino ad oggi non si son presentate potenze che s’accontentano), nessuno stato può esser certo delle intenzioni di un concorrente, la potenza -in ultima istanza- s’intende in senso militare ed infine, il fondo “tragico” cioè la constatazione che la guerra è un modo della politica ed è storicamente una costante.

La teoria realista in Relazioni Internazionali (la dottrina liberale non la pendiamo neanche in considerazione poiché a nostro giudizio infondata e con una componente eccessivamente ideologico-normativa) ha opinioni di giudizio diverse sul sistema multipolare astratto. Per Hans Morghentau (realismo della natura umana) i sistemi multipolari tendono ad auto-stabilizzarsi e sono l’ideale per raggiungere l’equilibrio di potenza. In più, la dinamica di compensazione per la quale se un polo tende ad emergere un po’ troppo o manifesta comportamenti non equilibrati tutti gli altri si alleano per compensarlo, renderebbe questo ordine complesso ma sostanzialmente stabile o forse stabile proprio perché complesso e dinamico. Questo bilanciamento è detto “equilibrio di potenza” e se manca, porta disordine in via automatica, cioè date le premesse realiste. Kenneth Waltz (realismo difensivo) contestava decisamente questa fiducia di Morghentau, sostenendo che l’unico ordine stabile e stabilizzante è il bipolare e quello multipolare è prima o poi soggetto a rottura di simmetria, quindi catastrofe. Infine, John Mearshemeir (realismo offensivo), concorda in pratica con Waltz e poi fa una classificazione con il bipolare più stabile del multipolare ma questo poi distinto in equilibrato che è migliore della peggiore configurazione possibile ovvero il multipolare con uno o più poli superiori a gli altri, il multipolare sbilanciato. L’intera classificazione andrebbe poi dinamicizzata tra ascendenti e discendenti perché se un ordine sembra multipolare in statica ma uno dei poli era l’egemone e uno degli sfidanti sta crescendo velocemente in potenza, le cose certo cambiano. Così cambiano se si dà un occhio alle future prospettive di medio periodo. L’ordine più stabile tipo “pace perpetua” è quello unipolare dove c’è un solo polo detto “egemone”, ma è del tutto teorico in quanto non si è mai presentato nella storia del mondo con tassi demografici inferiori, figuriamoci oggi o domani con 7,5 o 10 miliardi di individui e più di 200 stati con tendenza ad aumentare. L’impero-mondo è più un fantasma metafisico, cosa che la nostra mente può pensare ma che non per questo può essere davvero.

I dolori più intensi e seri per il concetto di multipolare, arrivano però quando si passa dall’analitico al sintetico, quando si va ad applicare la teoria alla realtà empirica. Tra i casi di multipolare rinvenuti più spesso nel registro storico, compaiono l’Italia rinascimentale del centro-nord e l’Europa del XIX secolo a 5 – 7 poli (Russia, Austro-Ungheria, Francia, Inghilterra, Impero ottomano e poi Prussia/Germania ed Italia) ma si sarebbe potuto anche considerare il periodo degli Stati combattenti nella Cina del V-III secolo a.C.  o la Grecia Antica da cui invece alcuni traggono il concetto bipolare della “trappola di Tucidide” per dar lustro con tono colto ai commenti sulla competizione odierna USA (potenza di acqua quindi Atene)  vs Cina (potenza di terra quindi Sparta). Il riferimento all’Antica Grecia è oltretutto doppiamente sbagliato perché per altri versi Atene e Sparta non erano sole e quindi non era un semplice ordine bipolare ma tanto quando si prende di così gran carriera la strada dell’analogia a tutti ci costi, i costi di semplificazione si pagano in imprecisione.

Cosa c’è di così scandalosamente impreciso in questo ricorso al registro storico? La mancanza delle variabili co-essenziali per ogni ricostruzione di fase storica, il contesto e la eterogeneità degli attori.

Quanto all’eterogeneità, l’ordine multipolare diventa una costruzione strutturalista nella scuola realista americana che (si tenga conto  che tutti i pensatori e le idee che animano la disciplina delle RI, sono sempre e solo americani), come dice Mearsheimer, tratta gli stati o potenze come palle da biliardo, al limite più o meno grosse a seconda della potenza. Mearsheimer e tutti i realisti hanno buone ragioni per far diventare gli stati scatole nere di cui c’importa solo l’imput e l’output, ed è il rifiuto di seguire i liberali nelle loro assurde perorazioni sul fatto che le forme di governo interne a gli stati (democrazie vs varie configurazioni di autoritarismo) farebbero la differenza. Ma se i liberali rendono un po’ assurde le considerazioni sulla struttura a grana fine che distingue gli stati tra loro (struttura che si dovrebbe invece dettagliare per: grandi o piccoli? di terra o di mare? con che tipo di demografia, economia, mentalità e tradizioni, collocazione geografica, tradizione filosofico-religiosa e scientifica? a quale punto del loro ciclo storico? etc.), nondimeno queste strutture a grana fine vanno analizzate per capire la natura degli attori prima di portarli dentro le analogie. Gli stati non sono gli atomi della fisica realista, sono entità intenzionali ed autocoscienti.

La mancanza decisiva è però il non considerare il contesto. Tanto per dire una sola, unica e principale, questione che differenzia l’ordine multipolare del mondo di oggi rispetto a qualsivoglia porzione del mondo di ieri, è che quelle di ieri erano appunto “porzioni”, quello di oggi è un “tutto” che non ha un fuori. Non c’è un altro mondo in cui far sfogare le contraddizioni dell’attuale mondo multipolare mentre l’Italia rinascimentale era solo un ritaglio di un frame più grande in cui c’erano la Francia, la Spagna, lo Stato Pontificio, il Sacro Romano Impero ed il Mediterraneo, mentre nell’Europa del XIX secolo c’era la corsa alle colonie ed a gli imperi fuori d’Europa. Entrambe erano situazioni occorse in ambiente omogeneo (italiano o europeo) mentre oggi abbiamo attori molto più eterogenei e distanti nello spazio (tra Cina ed USA c’è un oceano, ad esempio, nonché più di due millenni e mezzo di differente longevità). Entrambe le situazioni erano a bassa interdipendenza tra gli attori mentre oggi l’interdipendenza è alta. Entrambe le situazioni erano a bassa o media demografia mentre oggi il mondo è al sua massimo storico di densità, così l’economia che con la demografia fornisce le coordinate del potere potenziale ma non ancora effettivo, ha oggi peso e dinamiche non parametrabili a ieri. E sul potere effettivo, quello delle armi, che differenza fa un multipolare atomico che ha almeno due poli legati tra loro dalla fatidica Mutual Assured Distruction (MAD) ma con un generico “rischio atomico” anche più ampio e diffuso? O anche solo la potenza annichilente dell’armamento “convenzionale” attuale rispetto a gli esempi pregressi? O come agisce il fattore reputazionale in epoca di opinioni pubbliche che fan da spettatori, prima che attori, dei giochi politici inter-nazionali ma i cui giudizi condizionano l’azione dei governi?

Insomma, siamo come detto in terra incognita, lì dove il ricorso all’esperienza precedente non è vietata ma va usata con un molto ampio beneficio d’inventario perché nell’inventario ci sono variabili che rendono falsa l’analogia.

Dirigiamoci quindi con prudenza ad esaminare la nuova versione di sistema multipolare mondiale a cui stiamo tendendo. C’è un’unica super potenza, gli USA e due potenze asimmetriche, una militare -la Russia-, l’altra economica -la Cina-. Chi usa i meccanismi tipici delle tradizioni di pensiero di RI o GP, a questo punto prevede che i poteri potenziali della demografia e della economia cinese, questione di tempo, verranno presto trasformati in potenza militare. Ma c’è qualcosa che potrebbe ostacolare questa predizione, almeno nella sua forma lineare.

Primo, memore della lezioni data dalla guerra fredda, la Cina starà ben attenta a non farsi trascinare nell’over-spending militare a scapito del reinvestimento nello sviluppo e nella ridistribuzione. Solo un analista da think tank americano può sottovalutare il problema delle eccessive diseguaglianze in un sistema di 1,4 mld di persone, errore che nessun cinese che conosca la storia cinese, farà mai.

Secondariamente, la Cina starà ben attenta a non eccitare l’altrui “dilemma della sicurezza”, ovvero quella situazione di incertezza per la quale ogni stato sa che se eccede nella crescita delle dotazioni militari, fossero anche per difesa, non essendo escludibile in alcun modo che ciò che oggi si crea per difesa domani possa esser usato per offesa, altro non fa che sollecitare pari riarmo nei vicini. Oltretutto, la Cina ha bisogno a prescindere di pace ed armonia nel suo quadrante strategico perché la sua principale linea strategica è sviluppare  reti commerciali. Inoltre è suo fine specifico proporsi come “potenza amica” in modalità “cooperazione e reciprocità” ad esempio nei confronti dell’Africa, evitando rozze intenzioni coloniali, aggressive o eccessivamente egoiste. Preoccupazione che poi andrebbe anche allargata poiché la Cina tende ad attrarre “clienti” prima nella sfera occidentale e quindi deve dare qualcosa in più o di meglio. Le dichiarazioni pubbliche di come la Cina vede le interrelazioni estere sono oggi -più o meno-  le stesse dalla Conferenza di Bandung del 1955 e per molti versi sembrano credibili, non per superiorità etica ma per intelligenza strategica di cui i cinesi sono dotati da un paio di millenni prima di von Clausewitz.

Infine, stante che la Cina non è attaccabile via mare dagli USA (potere frenante del mare) e dal Giappone, ha stretto un sostanziale accordo di cooperazione a largo raggio con la Russia (nel passato l’unico vero nemico potenziale dal punto di vista geografico e qualche volta storico) e sembra intenzionata ad avere relazioni amicali-sospettose ma in sostanziale equilibrio con l’India, la sua dotazione di potenza effettiva può limitarsi a rinforzare la marina, la presenza nello spazio, l’elettronica ed il digitale, porre qualche avamposto discreto in giro per il mondo, senza mettersi a sfornare carri armati e missili a nastro. Si tenga poi conto che la Cina è molto grande e popolosa e credo che l’ultimo desiderio dei suoi governanti sia quello di annettere altri territori e popolazioni, ingigantendo un problema già difficile di gestione della sua propria massa. Se la terra manca, meglio comprarla come stanno facendo in Africa o favorire una discreta diaspora come in Siberia orientale.

Gli altri due attori in che traiettoria stanno? La Russia, potenza di mezzo dell’Eurasia, posizione al contempo comoda e  scomoda strategicamente, è da ormai settanta anni oggetto di pressione da parte USA per rimanere avviluppata nella escalation di potenza militare che per lei si trasforma in un “a scapito” del progresso economico. Salvata dalla dotazione di energie e molte materie prime e sovrana alimentarmente, la Russia segue questa escalation per via dell’ovvio riflesso di sicurezza. Ma anche per via dell’interesse ad approfittare degli eventuali cedimenti delle vicine ex repubbliche già interne all’URSS che ha interesse a riportare sotto la sua sfera di influenza, per via del far virtù della necessità di produrre armi poiché sono anche beni per l’export (export che poi lega a sé eventuali partner), per via dell’importanza che storicamente ha all’interno del suo sistema di potere la burocrazia militare ed infine, per via della necessità di supportare alla bisogna alleati periferici a loro volta messi sotto pressione dagli americani. Fintanto che gli europei rimangono dentro il sistema occidental-atlantico, la Russia difficilmente si svincolerà da questa traiettoria. In prospettiva, in Russia si libererà molta terra (per via del riscaldamento globale), il che, in un mondo sempre più denso ed affollato e stante che la Russia è uno dei paesi a più bassa densità abitativa del mondo (nonché in assoluto il più grande), non è una cattiva prospettiva fatti salvi gli ovvi problemi di gestione, logistica ed integrazione di eventuali migrazioni. Per la stessa ragione, la regione polare prospiciente la costa settentrionale, diventa nuovo quadrante “caldo”.

Gli USA sono in una posizione di potenza effettiva, cioè militare, molto lontana dal poter esser insidiata da alcuno. Di contro, la loro pur ragguardevole demografia, è ben superata sia dalla Cina che dall’India, ma in prospettiva, insidiata  anche dalle crescite dei più periferici ovvero l’Indonesia, il Brasile, la Nigeria. Una volta che questi paesi, come sta succedendo con Cina ed India, si metteranno a convertire demografia in crescita economica, anche questo secondo aspetto che l’ha vista a lungo leader senza competitor, diventerà relativo. Si tenga poi conto di alcune altre variabili.

Una è la “rendita di cittadinanza” ovvero il contributo del più ampio sistema di cui si è polo, del sistema occidentale complessivo nella storia pregressa, del sistema asiatico e del sistema africano oggi ed in prospettiva. Il “centro del mondo” si sta già velocemente spostando verso oriente e questo tenderà a limitare le condizioni di possibilità per gli USA, a prescindere da quanto questi saranno in grado di puntellare i loro punti di forza e minimizzare quelli di debolezza.

Un’altra variabile da tener d’occhio sono  le soglie critiche, invisibili punti nei quali i sistemi che si stanno espandendo o contraendo, subiscono una accelerazione non lineare del moto tendenziale. Gli USA possono senz’altro assorbire una riduzione del loro peso di Pil sul totale mondiale ma ci sono appunto soglie oltre le quali gli effetti di contrazione non sono lineari, si pensi, ad esempio, al ruolo mondiale del dollaro ed a gli effetti a cascata che avrebbe anche solo una sua relativa limitazione.  Su questa resilienza nella contrazione, agisce poi in forma problematica, la strana configurazione della scala sociale statunitense che ha una élite assolutamente fuori norma e quindi idiosincratica ad ogni decrescita.

Poi c’è il disordine in cui chi è abituato a competere entro quadri legali e normativi, di norme visibili o invisibili ed in ambienti che per quanto anarchici hanno comunque infrastrutture ed istituzioni multilaterali, potrebbe faticare ad orizzontarsi in un ambiente molto meno regolato e supportato. Poiché -in macro- stiamo transitando da un mondo relativamente più semplice ad uno relativamente più complesso, la complessità diventa essa stessa un problema per chi intende garantirsi un potere così sproporzionato come quello a cui sono abituati gli americani. Di contro, si può anche ipotizzare un interesse ad accompagnare ed anzi, alimentare un certo disordine globale per alzare la domanda di “protezione”. Ma in questo caso, è molto dubbio il poter riuscire a prevedere e quindi governare tutte le dinamiche disordinanti che intenzionalmente si vorrebbero promuovere.

Infine, la vera palla al piede della potenza americana ovvero l’Europa, una Europa testardamente frazionata, bizantina, anziana,  viziata, sospesa in una bolla che riflette la sua eccezionale storia specifica ma la isola da un mondo del tutto nuovo che gli europei sembrano non comprendere realisticamente del tutto. A partire dall’ovvia constatazione che in un ordine multipolare così dinamico, l’Europa non è una potenza e non è neanche un soggetto in termini di politica estera oltreché essere economicamente e demograficamente frazionata, non esser cioè un “totale più della somma delle parti”. Condizione quest’ultima a cui si ritiene di poter far fronte con il vuoto slogan degli “Stati Uniti d’Europa” che non ha la minima condizione di possibilità di veder mai luce e sopratutto funzionare. Questo far fronte al grande problema adattivo di questa parte di mondo usando slogan che non vanno da nessuna parte, rinforza la diagnosi di disadattamento degli europei ai tempi che vengono.

Il mondo multipolare che si sta affermando, ha anche molte medie potenze, potenze regionali e qualche significativa piccola potenza locale in grado di ostacolare giochi che una volta i geografi imperiali britannici progettavano al calduccio dei protetti salotti londinesi sorseggiando il loro tè rituale. Per segnare le cartine del mondo, oggi servono cose un po’ più complesse che non le matite. Più in generale, questo mondo tende alla convergenza degli indici economici (veniamo dalla grande divergenza ma andiamo verso la grande convergenza tra grandi aree), crea reti regionali più dense delle reti genericamente globali, tende al pluralismo dei grandi enti internazionali (banche, investimenti, culture, tradizioni, ambiti di cooperazione, piazze finanziarie, forum diplomatici), offre alternative a quello che prima era un monopolio, pone le economie che si emancipano da posizioni primitive in grande vantaggio dinamico rispetto alle economie mature, oltre a tutte le varie e preoccupanti articolazioni del problema ambientale, semplice da citare ma molto complesso da descrivere. Infine, le grandi cornici ideologiche che legavano élite e popoli nazionali intenti nell’opera di “civilizzazione” del colonialismo e dell’ imperialismo europei, l’afflato repubblicano dei napoleonici, il fascismo, il nazismo, il comunismo ed il liberalismo con i loro antagonisti simmetrici che animarono il ‘900, sono assai depotenziate e non si vede chi altro potrebbe prenderne il posto a parte qualche gruppo di islamisti suicidi finanziati dall’Arabia Saudita. Si può come senz’altro si sta facendo con la Russia, nazificare il nemico dirigendo le fila del concerto mediatico, ma da qui a poterci far perno per convincere le opinioni pubbliche dell’inevitabilità di una guerra diretta ce ne corre.

A quale tipo di ordine multipolare ci avviamo, quindi? E come si comporterà, almeno all’inizio, il sistema multipolare in un mondo denso ed intrecciato, un sistema che per la prima volta è multi-atomico e quindi soggetto a più vincoli di “reciproca, distruzione assicurata” (sempre che si voglia continuare a sottostimare il potenziale bellico convenzionale che per molti aspetti non gli è secondo)? Il quadro prima disegnato ha sintesi nella definizione di “multipolare sbilanciato” in cui la superpotenza americana non può certo sperare di aumentare raggio ed intensità del proprio potere, non può accontentarsi di uno status quo perché comunque trascinata in basso dalla dinamica tra le parti del sistema mondiale e deve quindi resistere il più possibile nel mantenere i propri ancora significativi vantaggi, nel mentre tenta di rallentare l’ascesa degli sfidanti. Deve farlo nel quadro problematico dello stato del mondo prima accennato e con una gran proliferare di attori medi e piccoli che seguono ognuno una propria traiettoria. Ancora con una leadership solida nel potere effettivo (militare), il problema americano risiede nel potere potenziale, nel rapporto tra il suo essere meno del 5% della popolazione mondiale con un potere economico che ancora domina il 25% dell’economia mondiale anche sulla scorta di un ancor più ampio potere finanziario.

Il vincolo della reciproca distruzione assicurata, per gli USA, vale non solo verso i russi ma anche i cinesi poiché è chiaro che questi due, al di là della loro reciproca competizione per altri versi naturale essendo vicini, avendo punti di forza complementari, hanno ben chiaro il comune interesse, loro e di molti altri, a che si stabilisca un vero quadro multipolare bilanciato. La crescita della loro attuale cooperazione è di fatto un’alleanza difensiva non detta. Cina, India, Sud Est asiatico, Pakistan, le due Coree, l’Africa e il Sud America hanno tutti interesse a non imbracciare le armi nel mentre crescono economicamente e socialmente. Anche la Russia, se potesse,  avrebbe urgenza di dedicarsi di più al suo sviluppo piuttosto che dissanguarsi nella rincorsa di potenza col gigante americano. Da questo corso, non sarebbero in teoria distanti, se fossero liberi da condizionamenti di altro tipo, neanche i giapponesi e gli europei. Gli unici che davvero hanno interesse a far pesare nel quadro la super potenza di cui sono ancora proprietari sono gli Stati Uniti d’America e qualche potenza locale in Medio Oriente.  Si potrebbe leggere l’intero quadro come un film della transizione tra un assetto sbilanciato ad uno più bilanciato e quindi segnato dalla sfida economica degli ascendenti verso il discendente americano che resisterà in tutti modi. Ma come, se in ultima istanza il conflitto diretto è sconsigliato dal vincolo atomico?

Quello nel quale siamo già immersi è un sistema multipolare sbilanciato con conflitto permanente. Potremmo dar nome a questa interpretazione come nuovo “realismo complesso”, un realismo che reinterpreta le costanti storiche all’attualità del mondo di oggi profondamente diverso da quello di ieri. “Conflitto” prende qui un nuovo significato che include varie forme di confronto armato ma non è riducibile solo a quello, prende il posto della guerra tradizionale dilatando però il fronte ed il tempo della tenzone. Oggi le potenze si muovono in uno scenario multidimensionale.

Il fattore demografico, la stazza, la massa di un attore, fattore sempre importante, oggi può diventare decisivo e non solo più per alimentare la propria potenza effettiva cioè armata, ma anche per il corrispettivo di crescita economica. Diventa anche un’arma nel caso di procurate migrazioni da paesi terzi verso coloro che si vogliono mettere in difficoltà. Queste migrazioni indotte si creano facilmente con le guerre per procura che oltretutto sono un vivace mercato per la sovrapproduzione dell’industria militare di cui è dotata ogni potenza. Ogni produzione ha un mercato e se la prima è maggiore del secondo, il secondo va sollecitato ad ampliarsi e/o intensificarsi. Questo gioco periferico che non riguarda il confronto diretto tra potenze, ha poi il vantaggio di tenere occupato il nemico dietro gli alleati che combattono i nostri amici in quel specifico teatro e quindi rinforza i legami di amicizia e dipendenza interni al polo. Il mondo è pieno di minoranze, popoli senza stati, confini precari disegnati dai francesi o dagli inglesi nel periodo coloniale, il catalogo delle occasioni di conflitto potenziale è molto ampio. I popoli sono molti di più degli stati e quindi il gioco delle nazioni in cerca di sovranità è facile da attivare.  L’ideologia islamista è un potente alleato di questa strategia per chi ha lo stomaco di usarla mentre sbraita nel simularne il contenimento. Incidenti in acqua o in aria possono sempre accendere l’attenzione su qualche quadrante di mondo e mandare messaggi che sfruttano la naturale paranoia da sicurezza di qualsiasi stato, specie se potenza emergente o alleato debole del polo nemico. Gli incidenti procurati possono essere ottime scuse per elevare sdegno morale propedeutico a più prosaiche sanzioni, dazi commerciali, blocchi navali, interdizioni dello spazio aereo. Molto conflitto non è pubblico ma si avvale delle consuete reti spionistiche e contro-spionistiche ed oggi c’è tutto un campo nuovo in cui giocare a rubarsi segreti e dati, la rete di tutte le reti. C’è poi lo spazio, nuova frontiera per novelli capitani Kirk, satelliti che scrutano, lanciano raggi accecanti o distruttori, coordinano l’ingegneria e l’elettronica dei nuovi sistemi militari soprattutto missilistici e navali. Conflitto è anche mostrare nuove armi che solleticano i generali della parte avversa che chiedono fondi ulteriori per pareggiare i conti disegnando sciagure e tragedie certe ed altrimenti inevitabili, anche perché potranno far leva politica sull’opinione pubblica in stato perenne di sovreccitata paura. Anche solo nell’accezione puramente armata del “conflitto”, evitando il confronto diretto, ci sono molte occasioni in modalità indiretta. Se la linea strategica obbligata è frenare il ribilanciamento tra potenze, cosa meglio di un attrito distribuito ovunque?

Poiché però il conflitto è “multidimensionale” ecco anche la sua versione  economica e produttiva ma anche politica e di opinione. I tentativi di monopolio energetico o di materie prime tutte essenziali, anche e soprattutto quelle per lo sviluppo del digitale che ha il fronte commerciale ma anche quello militare ed aerospaziale. Seppellita la globalizzazione semplice 1.0, si va ad una rete di contrattazioni, aperture-chiusure, formazione di blocchi in un sistema dotato di vari sottosistemi, quindi più complesso. Poi c’è il conflitto finanziario, società di rating, grandi fondi in grado di scuotere il mercato a bacchetta, l’altalena dei cambi valutari, i ricatti su i debiti sovrani.

Poi c’è l’egemonia culturale, mostrarsi i migliori, i più attraenti, i più benevoli quindi far di tutto per mostrare che il nemico è tra i peggiori, fa moralmente ribrezzo, è repellente e malevolo, infingardo, non ha legittimità. Ci sono i boicottaggi, il rinserrare le fila delle proprie istituzioni multilateriali,  i propri fondi monetari, le banche per lo sviluppo, i progetti di cooperazione da cui ostracizzare il nemico ed i suoi amici. Poi c’è da far uscire scandali a ripetizione, fondi neri, paradisi fiscali improvvisamente sotto i riflettori per una settimana, uso di armi proibite, leader nemici dai dubbi gusti sessuali, storie di droghe, perversioni, bugie dette, inaffidabilità degli altrui standard, sgarbi diplomatici, fake news per avvelenare la credibilità generale di tutti indistintamente in modo da paralizzare il discorso pubblico. C’è il controllo digitale e il ricatto (quello pubblico ma molti altri di cui neanche abbiamo notizia), il divide et impera, il bait and bleed (falli scannare tra loro), il dissanguamento economico del nemico stressato in decine di micro-conflitti, il più composto bilanciamento di potenza e lo scaricabarile in cui si lascia la nemico l’ònere e l’onore di districare matasse che si sono ben aggrovigliate con le proprie mani e che si disordinano mentre l’altro tenta di metterle in ordine. Poi c’è l’arte di mettere zizzania dentro gli equilibri del nemico, militari contro politici, imprenditori contro militari, società civile contro élite, varie élite contro altre élite, eccitare i nazionalismi dormienti e poi far chiasso per ogni ingiusta repressione delle minoranze, far confliggere le diverse osservanze religiose. Sovreccitare i vicini del nemico, mettere in dubbio i legami di alleanza dentro un polo, isolarlo, stringergli le condizioni di possibilità, acuirne le contraddizioni.

Infine, per palati forti,  c’è l’angolo si dice ma non ci si crede del Dark Word, innesti uomo-macchina, psicobiologia, manipolazione del clima, agenti tossici selettivi, avvelenamenti alimentari ed epidemie progettate in laboratorio, piani segreti, oscure congreghe, centri di interesse invaginati in centri di interesse, bio-chimica aggressiva e molto molto altro che noi, pur mediamente informati, neanche immaginiamo. Prima di dubitare a priori all’entrata di questo Dark World come se il mondo fosse proprio quello proiettato sullo schermo del cinematografo che scambiamo per realtà,  collegatevi a quella vostra porzione di cervello che è inorridita a leggere il sadismo medioevale o la scientifica atrocità dei nazisti o dei khmer cambogiani, i vari stermini dei nativi, storie di schiavi, stupri, impalamenti, sqartamenti, profanazioni, eccidi, massacri, olocausti e tutta la scienza e tecnica che si è spremuta per giungere a quel risultato. L’uomo è sublime e malvagio da sempre, non c’è motivo di escludere a priori l’esistenza di una costante preparazione al conflitto anche nei dungeon del mondo degli inferi. Oltretutto, questa ricerca silenziosa del primato che darebbe qualche vantaggio non calcolato dal nemico, dà poi una cascata di benefici secondi di invenzioni sfruttabili civilmente.

lnsomma il conflitto è da intendere in forma multidimensionale e diventa permanente poiché non si apre-chiude con una guerra tradizionale, diventa la cifra stessa di un sistema multipolare che alcuni vorranno riportare a bipolare o quantomeno mantenere sbilanciato mentre altri vorranno portarlo a bilanciato per poi farsi venire l’appetito di esser loro la nuova super-potenza che lo sbilancia dandosi un vantaggio di potenza. Il vincolo atomico non porta la pace perpetua ma il conflitto permanente e diffuso a medio-alta intensità. Questa è la condizione di un pianeta a prossimi 10 miliardi di abitanti in lotta, chi per la sopravvivenza e chi per il primato gerarchico, chi per l’essere e chi per l’avere.

= 0 =

Questo è il mondo multipolare a cui dovremmo adattarci, in cui ci piaccia o meno, tutte le nostre preoccupazioni ed interessi, personali e collettivi, politici ed economici, ideali e pragmatici, i nostri sogni e le paure, le speranze e le delusioni, saranno tutte per vie che molti non vedono con chiarezza e molti non vedono per niente, determinate da questo che è il gioco di tutti i giochi. Noi tutti, dentro i nostri stati, siamo le pedine. Siamo più in modalità, lunga e continua sofferenza e crescente disordine dall’esito imperscrutabile, che morte rapida e violenta da “terza guerra mondiale”. Questo è il conflitto permanente che segnerà il gioco di tutti i giochi di questa prima fase del nuovo mondo multipolare e con questo dovremmo fare realisticamente i conti scegliendo il nostro modo di stare al mondo prima che sia il mondo strattonato dai giochi di potenza, a deciderlo per noi.

Bibliografia minima:

H. Morghentau, Politica tra le nazioni, Il Mulino 1997 (introvabile)

K. Waltz, Teoria della politica internazionale, il Mulino 1987

J. Mearsheimer, La logica di potenza, UBE 2003-8

B. Milanovic, Ingiustizia globale, Luiss 2017

G. Arrighi, Caos e governo del mondo, Bruno Mondadori 2006

C. Kupchan, Nessuno controlla il mondo, il Saggiatore 2013

H. Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori 2015

Il mito di un mondo basato su regole Pensieri dentro e intorno alla geopolitica, di George Friedman

Il mito di un mondo basato su regole

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

Due concetti sono stati costantemente utilizzati negli ultimi tempi nelle discussioni sulle relazioni internazionali. Uno è un ordine internazionale liberale e il secondo è un sistema basato su regole. Nel primo, il termine “liberale” non ha molto a che fare con quello che gli americani chiamano liberalismo. Piuttosto, descrive un sistema internazionale impegnato a favore dei diritti umani, del libero scambio e dei principi correlati. Il secondo è l’idea che esista un sistema di regole concordato che governa le relazioni tra le nazioni. Insieme, si pensa che queste nozioni creino prevedibilità e decenza nel modo in cui le nazioni interagiscono tra loro.

La questione è emersa durante l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump, accusato di minare questi principi, ad esempio, imponendo tariffe alla Cina e mettendo in discussione il valore della NATO. La questione si ripresenta perché l’amministrazione Biden, arrivata al potere criticando le politiche del suo predecessore, ha chiarito che intende tornare a questi principi.

La domanda più importante è se sia mai esistito un ordine internazionale basato su regole o se fosse un’illusione. C’è stata a lungo una visione che il rapporto tra le nazioni non dovrebbe essere una guerra di tutti gli uni contro gli altri, ma piuttosto una cooperazione armoniosa tra gli stati. Filosofi e teologi hanno sognato di dare vita a questa visione e in varie occasioni sono stati fatti tentativi per istituzionalizzarla.

Nel 20 ° secolo, sono stati fatti due tentativi per creare un sistema di governo internazionale basato su regole e liberale. La prima è stata la Società delle Nazioni, fondata dopo la prima guerra mondiale e defunta ben prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale. Aveva delle regole, ma non c’era modo di farle rispettare, sia perché le stesse nazioni che violavano le sue regole erano membri sia, cosa più importante, perché non c’erano mezzi per farle rispettare. Adolf Hitler non è stato creato dall’ordine liberale e basato su regole, ma non ne è stato in alcun modo infastidito.

Il secondo tentativo sono state le Nazioni Unite, che sono state create per essere una Società delle Nazioni più forte. Le maggiori potenze che hanno vinto la seconda guerra mondiale sono state riconosciute come una classe speciale di nazioni e hanno ricevuto poteri speciali nel Consiglio di sicurezza. Il problema con il Consiglio di sicurezza era che sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica erano membri permanenti, e l’Unione Sovietica chiedeva che ai membri permanenti fosse permesso di porre il veto alle azioni a cui si opponevano. Poiché il mondo era allora diviso tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, opposti l’uno all’altro in ogni modo possibile, il risultato era che nulla poteva essere fatto. Le Nazioni Unite non sono state in grado di far rispettare le regole e sono sprofondate in una complessa burocrazia di azioni umanitarie volte a mitigare il dolore causato dal mancato adempimento della propria missione. Tale mitigazione non era banale, ma non costituiva un sistema basato su regole.

La Guerra Fredda è stata una miscela caotica di sovversione, guerre civili, interventi e minacce di scambio nucleare. Il mondo non era affatto liberale, con l’Europa dell’Est, l’Unione Sovietica e la Cina che vivevano sotto le regole comuniste, e il Terzo Mondo, che si era liberato dall’imperialismo europeo, era intrappolato tra la manipolazione degli Stati Uniti e quella sovietica.

È difficile capire a quale sistema liberale basato su regole ci si aspetta di tornare. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ci fu un momentaneo brivido di vedere l’era dell’Acquario salire. Ma era la stessa illusione che seguì le guerre napoleoniche, la prima e la seconda guerra mondiale. Il Congresso di Vienna, la Società delle Nazioni e le Nazioni Unite avevano tutte delle regole, ma poche furono seguite. Il Trattato di Maastricht fu firmato quando l’Unione Sovietica crollò e portò lo stato di diritto in quello che era stato uno dei luoghi più illegali del mondo: l’Europa. Ma lo stato di diritto era per l’Europa, e le regole non sono mai state così chiare come lo era il puro potere di alcuni dei suoi membri, vale a dire la Germania. È liberale ma non abbastanza liberale da comprendere l’intera esperienza europea. L’Unione europea ha regole in abbondanza e un po ‘di liberalismo per l’avvio, ma l’Europa è solo un frammento idiosincratico di un sistema globale che una volta governava.

L’era del dopo Guerra Fredda ha dato origine al radicalismo islamico, alle infinite guerre americane e all’ascesa della Cina, che aveva seguito a lungo le proprie regole, solo alcune delle quali potevano essere considerate liberali. Ad accompagnare questa epoca c’era la sensazione che ciò che contava fossero gli interessi dello stato-nazione. Ciò di cui uno Stato aveva bisogno era la sua considerazione primaria, come ottenerlo la sua ossessione. Ogni nazione determinava quanto liberalismo tollerava e, quando istruiti da estranei su come dovevano vivere, spesso rispondevano con insurrezioni.

Non può esserci stato di diritto, come disse il filosofo Thomas Hobbes, senza un Leviatano, un potere travolgente che lo imponga e lo amministri. Per un po ‘di tempo dopo il crollo sovietico, c’era la speranza che gli Stati Uniti avrebbero guidato un ordine multilaterale piuttosto che diventare il Leviatano. Gli Stati Uniti non avevano né l’interesse né la capacità di governare il mondo, ma giusto o sbagliato, non potevano sempre sfuggire ai tentativi: le potenze dominanti tendono ad agire in un certo modo se vogliono continuare a essere potenze dominanti.

E senza lo Stato di diritto, il liberalismo è sempre stato impossibile. Sono stati seguiti accordi internazionali nella misura in cui ne hanno beneficiato le nazioni e c’erano alcune organizzazioni internazionali di cui è stato utile farne parte. Ma lo stato di diritto veniva invocato quando la legge sosteneva la posizione di una nazione e il liberalismo non poteva governare un mondo che era un vasto miscuglio di credenze, tutte abbracciate appassionatamente come l’unica verità. L’ordine internazionale liberale, in altre parole, esisteva quando era conveniente. In alcuni luoghi, non è mai esistito.

L’idea che dobbiamo tornare a un’epoca gloriosa in cui le nazioni erano governate da leggi e liberalismo è una fantasia, una fantasia che ci permette di credere che possiamo tornare ad essa. È una nostalgia per cose che non sono mai state. La condizione umana lega gli esseri umani a comunità grandi e piccole che si considerano libere. Non si sottomettono a regole che non hanno stabilito, né a principi politici che non hanno creato. I greci non accettavano le regole dei persiani o il loro ordine politico. Così era allora, e così è adesso. Il mondo non cambia molto e l’unico posto in cui possiamo tornare siamo noi stessi.

https://geopoliticalfutures.com/the-myth-of-a-rules-based-world/?tpa=MmEwODRhZTM2OWNmNjNjMTE2OGY1ZDE2MTg2NzM4NDFlZTliYTg&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https%3A%2F%2Fgeopoliticalfutures.com%2Fthe-myth-of-a-rules-based-world%2F%3Ftpa%3DMmEwODRhZTM2OWNmNjNjMTE2OGY1ZDE2MTg2NzM4NDFlZTliYTg&utm_content&utm_campaign=PAID+-+Everything+as+it%27s+published

NOTTE FONDA, MA SOLO IN OCCIDENTE_di FF

NOTTE FONDA, MA SOLO IN OCCIDENTE
Come sempre in tempi di insicurezza politica e sociale e di grave crisi economica si diffondono le peggiori forme di irrazionalismo, che, lasciando spazio a ciarlatani e demagoghi di ogni risma, sembrano offrire non solo una “immagine del mondo” che non richiede particolare “ingegno” o cultura per essere compresa dai “semplici”, ma pure un facile rimedio ai mali che affliggono le “moltitudini”.
Capacità di organizzazione, lucidità di pensiero e ordine mentale non vengono così neppure presi in considerazione, quasi che bastasse una folla inferocita per “cambiare il mondo”. Eppure è noto che se nei secoli passati le “moltitudini” potevano uccidere qualche nobile o incendiare qualche castello, poi tutto tornava come prima. Bastava cioè una “decisa” carica di cavalleria e mozzare qualche “testa calda” per calmare i bollenti spiriti delle “moltitudini”.
In politica centomila teste, sempre pronte ad azzuffarsi tra di loro perché ciascuna vuole difendere solo il proprio “bene” anche a scapito di quello degli altri, valgono assai meno di mille teste che vedono il bosco oltre agli alberi, ossia hanno uno scopo comune e soprattutto sanno come perseguirlo, senza anteporre il proprio interesse a quello del gruppo cui appartengono.
D’altronde, miseria, rabbia e disperazione hanno sempre contraddistinto la vita delle “moltitudini” nei secoli passati, ma non hanno mai abbattuto i muri della prigione in cui le “moltitudini” erano rinchiuse, tranne quando, nel cosiddetto “secolo breve”, le “moltitudini” sono diventate dei veri eserciti, guidati da “rivoluzionari di professione” o comunque era il “moderno principe” a guidarle. Anche il “secolo breve” però è finito, perlomeno in Occidente in cui le “moltitudini” sembrano tornate ad essere quel che sono state nel corso dei millenni.
E con i “nuovi tempi”, non più diversi da quelli “vecchi”, i “signori” sono tornati a comandare e le “moltitudini” ad ubbidire anche se ancora pronte a seguire l’arruffapopolo di turno, sia che si tratti di qualche “signore” che vuole fare le scarpe ad altri “signori” carpendo la fiducia delle “moltitudini”, sia che si tratti del solito cieco che vuol guidare degli altri ciechi, scambiando la propria immagine fasulla del mondo per la realtà. Sotto questo aspetto, conta relativamente poco pure che oggi sia la destra a pretendere o a far finta di rappresentare gli interessi delle “moltitudini” mentre la sinistra difende a spada tratta quelli dei nuovi “signori”, giacché quel che conta davvero è che le “moltitudini” pensino e si comportino come vogliono i “signori”, e che gli “eunuchi”, di destra o di sinistra che siano, facciano bene il loro mestiere.
Dunque, tutto come prima o perfino peggio di prima?
No. E non solo perché i nuovi “signori” non sono dei “signori” ma in buona misura sono solo “plebaglia” arricchita e volgare, ovverosia non tanto perché considerino dei maestri di pensiero e di morale saltimbanchi, pagliacci e ballerine, o perché siano privi di quel senso estetico che una volta caratterizzava il mondo indubbiamente “feroce” dei “signori” ma che ha lasciato opere che “impreziosiscono” tuttora la vita delle stesse “moltitudini”, quanto piuttosto perché pensano di potere governare il mondo grazie all’aiuto (certo non disinteressato) degli “eunuchi” e di quella sorta di “liberti” che sono i cosiddetti “tecnici”, mentre è solo il “loro mondo” che governano.
Nuove “moltitudini”, infatti, sono comparse sul palcoscenico della storia, anch’esse guidate se non da “rivoluzionari di professione” da capi capaci e soprattutto decisi a non servire più coloro che ancora credono di essere i “padroni del mondo”. Sicché, chi pensa che ormai sia possibile soltanto una continua “variazione” o “ricapitolazione” di quel che in Occidente già esiste, ignora che i confini dell’Occidente non sono (ancora?) i confini del mondo. Vale a dire che ignora che non esiste solo la storia dell’Occidente e che pertanto pure la storia dell’Occidente, comunque la si pensi, è ben lungi dall’essere terminata.

 

L’OCCASIONE E IL CONFLITTO SECONDO MACHIAVELLI, di Teodoro Klitsche de la Grange

L’OCCASIONE E IL CONFLITTO SECONDO MACHIAVELLI

A seguito delle manifestazioni contro le chiusure del Covid, per la sopravvivenza delle imprese e dei lavoratori autonomi, siamo tornati a intervistare il nostro Machiavelli che ci ha ricevuto con la consueta gentilezza.

Caro Segretario, che ne pensa delle manifestazioni contro le restrizioni?

Che è poco crederle dovute (solo) alla pandemia e che nuocciano alla libertà: gli è che i tumulti fanno bene alle repubbliche, almeno a quelle ben ordinate, come era Roma, sicché ho scritto “coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma, e che considerino più a’ romori ed alle grida di tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti che quelli partorivano”.

Ma i manifestanti hanno fatto dei danni, rimosso le transenne, resistito alla polizia.

E con ciò? A Roma facevano anche di peggio ed hanno comunque conquistato il mondo, mantenendo la loro libertà: “i desiderii de’ popoli liberi rade volte sono perniziosi alla libertà, perché e’ nascono o da essere oppressi, o da suspizione di avere ad essere oppressi”.

Ma li accusano di essere degli incompetenti e di far politica con la pancia e non con il cuore. Di essere fuorviati da demagoghi e da fake news.

E per tutelare la verità, vogliono impedirne la diffusione! Come dicono a Vinegia “pezo el tacon del buso” E quando queste opinioni fossero false e’ vi è il rimedio delle concioni, che surga qualche uomo da bene che orando dimostri loro come ci s’ingannano. Gli è che non essendo i vostri vecchi governanti degni di fede, non potendo convincerle con le loro parole cercano d’impedire agli altri di parlare. Sanno bene che il popolo non chiede loro neppure l’ora, perché s’aspetta che cerchino anche in ciò di truffarlo.

E come biasimare il popolo: negli ultimi trent’anni è stato il più impoverito d’Europa e forse del pianeta. Dove stavano i vostri governanti? Su Marte o al potere?

Ma i governanti avevano fatto i piani per la ricostruzione, per la next-generation, per una nuova ripartenza.

E sono gli stessi – o i loro, meno degni, successori – che hanno lasciato quello che si fa per quello che si dovrebbe fare; sono andati dietro all’immaginazione della realtà, piuttosto che alla verità effettuale. Parlo dei comunisti. Volevano cambiare la natura umana ma gli uomini sono sempre gli stessi: per questo nei miei scritti ho ragionato sulle cose d’Italia prendendo a criterio le azioni degli antiqui. E non ho errato: i Romani che non s’illudevano sugli uomini e avevano tanta virtù, hanno costruito  un impero durato in occidente cinque secoli, e in oriente assai di più. I vostri post – o neo-comunisti sono arrivati – al massimo – a governare settant’anni, e il loro  impero è crollato da solo. Bel risultato! Invece della fine della storia, ne hanno realizzato un caso unico. Un misero esito per un vasto programma. Onde quanto sostengono, deve tener conto della loro credibilità – modestissima.

Ma almeno certe illusioni servono a temperare la crisi, a  evitare sconvolgimenti dolorosi.

Come se le crisi non facciano parte della storia, la quale è, come diceva un mio allievo mezzo francioso, il cimitero delle élite. Le vostre, pensano alla crisi come il loro cimitero. E dato che hanno di mira il loro particolare, ne sono terrorizzati. Ma la crisi non significa solo fine: ma anche nuovo inizio, come scrivevo nei Discorsi. Se un ordinatore di repubblica fonda uno Stato, lo fonda per poco tempo perché nessun rimedio può farci a fare che non sdruccioli nel suo contrario. Credere d’ordinarla in eterno è opera non umana, ma divina. Ma il Padreterno non ha voluto mai realizzarla. Rassegnatevi: come scrisse un filosofo, le costituzioni nascono dal sangue e dalla lotta. Cercate di evitare se possibile il sangue. Ma non lo è schivare la lotta. Chi sostiene ciò vuole evitare la lotta, quella dei suoi nemici. E lui vuol fare la guerra, ma spuntando le armi dell’avversario.

Bisogna quindi “ritornar al principio”?

Anche, ma soprattutto, più la fortuna batte, più occorre virtù, più uomini che ne sono dotati hanno l’occasione per emergere.

La crisi è l’opportunità per domare la fortuna; e gli uomini e le comunità virtuose non la possono tralasciare. A trascurarla si prolunga solo la decadenza e se ne ampliano gli effetti. Voi è almeno da trent’anni che decadete. E tutti i Paternostri recitati dai vostri governanti servivano solo ad occultarla; col solo risultato di prolungarla. Ma per batterla occorre tanta virtù: più in basso siete caduti più ne occorre per rialzarsi. Ma la troverete? Ai miei tempi no, Spero che i vostri siano più fausti.

Teodoro Klitsche de la Grange

MONTESQUIEU A PECHINO, di Pierluigi Fagan

MONTESQUIEU A PECHINO. La notizia è la firma del Comprehensive Strategic Partnership con scadenza a 25 anni tra Iran e Cina, infrastrutture vs energia, un classico. A breve termine, l’Iran che sta sulla faglia Occidente – Oriente come Russia, Turchia, Siria, impedito di volgersi ad Ovest, si volta ad Est, la Cina ottiene alimentazione per il suo sviluppo. Ma le cose più interessanti si intravedono a medio-lungo termine.
Pechino ottiene una importante casella nella sua strategia di infrastruttura commerciale nota come Belt and Road Initiative. Come da cartina, l’Iran è cerniera fondamentale del progetto (infatti l’accordo giunge dopo cinque anni di trattative, qui non s’improvvisa nulla), vediamo perché:
1) La partnership con l’Iran permette alla via che dalla Cina passa nelle repubbliche centroasiatiche (tramite la Cina occidentale ovvero lo Xinjiang, da cui i problemi con gli Uiguri) di darsi una alternativa. Andare a nord verso la Russia o andare a Sud, appunto in Iran.
2) Un’altra via passa il confine col Pakistan. Arrivati in Pakistan potrete andare a sud e sfruttare i porti di costa come alternativa mista terra-mare per bypassare gli eventuali blocchi di Malacca o potrete andare ad ovest ed entrare, appunto, in Iran per proseguire la rotta est-ovest dove pure, come vedremo nel punto 5, si presentano nuove alternative portuali.
3) La strategia dei porti diretti sull’Oceano Indiano, dopo Malesia, Thailandia e soprattutto Myanmar (Sri Lanka, Maldive?), tutti per bypassare gli eventuali blocchi di Malacca o turbolenze nel mar della Cina, si dota di altre alternative con Pakistan ed Iran.
4) Il tutto ha effetti sulle contradditorie relazioni Cina-India. I due sono geo-storicamente condannati a convivere, ma l’India è due passi indietro la Cina quanto a sviluppo di tutti i fattori, quindi un po’ collabora ed un po’ vorrebbe competere. Su questa forbice si inseriscono gli Stati Uniti. La strategia di alternative accerchianti l’India, toglie potere negoziale all’India. Ma il CSP con l’Iran crea anche un problema in più perché l’India è in un altrettanto strategico accordo di collaborazione strategica con Russia e lo stesso Iran, una sorta di mini-via-del-cotone a cui gli indiani tengono molto. In più l’India importa energia dall’Iran.
5) Il grosso dei giochi ovviamente è in Iran. In Iran, nel sud-est, potrete avere un altro porto di sbocco. Potreste fare accordi ragionevoli che coinvolgono l’India per sfruttare il loro trilaterale con Russia ed Iran. Potreste sostituirvi all’India nel trilaterale se gli indiani vi fanno uno sgarbo indigeribile. Dal confine ovest dell’Iran, potrete andarvene in Iraq (6) e ricostruirlo, da qui in Siria (7) che significa Mediterraneo, mettere pressione alla Turchia (9) per spingerla ad entrare nel “piatto ricco mi ci ficco” ingoiando il rospo uiguro (gli Uiguri sono popoli turchici e sappiate che le ultime irriducibili bande armate jihadiste nel nord della Siria, sono uiguri sponsorizzati da Ankara), andare via Giordania in Israele (8), amico dei cinesi come i palestinesi. Tenete conto che sulla costa israeliana già c’è un porto amico che si raggiunge dal Golfo di Aqaba, alternativa se si blocca Suez.
10) Ma considerate che Voi avete anche ottime relazioni con gli arabi sunniti, tutti indistintamente (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Kuwait etc.). Però è sempre meglio avere alternative e quindi se avete i sunniti dovete avere anche gli sciti, così vi bilanciate. Magari vi mettete a fare il termine medio della complessa relazione, tanto per voi pari sono, in più siete “atei”.
Ottenete quindi la prima e più importante cosa utile in un mondo multipolare: amici. Amici non perché vi siete simpatici ovviamente, ma perché avete interessi in comune, interessi economici e commerciali, la più antica valuta delle relazioni internazionali. Il vantaggio geopolitico (armi, porti, basi militari da evitare ma un domani non si sa mai) consegue.
Il progetto BRI offre diversi vantaggi: A) crea un tessuto di accordi bilaterali strategici cioè multidimensionali; B) fatta su base prioritaria commerciale ed economica intona pacificamente le relazioni; C) è ridondante offre cioè alternative ad alternative, il che la rende “resiliente”; D) siccome ogni bilaterale non è essenziale avendo alternative parziali, le trattative future su nodi che si presenteranno da sé o perché spinti da avversari (USA) vi vede in posizione di relativa forza, voi le alternative le avete, il partner no; E) il che porta i partner in concorrenza potenziale tra loro, abbassandone le aspettative; F) infine, manda un messaggio a gli europei del tipo: se fosse stati liberi di sviluppare una vostra strategia geopolitica, oltre che coi Paesi Medio Orientali avremo dovuto trattare con voi visto che questa area avrebbe avuto la vostra influenza, ma siccome siete schiavi degli americani, noi riempiamo il vuoto creato dalla vostra inazione ed insipienza. Pensateci …
Quanto al partitone Cina vs USA, scrivevo ormai anni fa sul libro che ho pubblicato che alla fine la faccenda è molto semplice: i cinesi hanno i soldi, gli americani le armi. Un po’ il contrario della Guerra fredda vinta perché soldi batte armi, sempre. Ma giocare coi sovietici non è come giocare coi cinesi. Quindi a medio lungo tempo non c’è partita, i cinesi i soldi (tecnologie, prodotti, infrastrutture, know how, mercati di sbocco etc.) ne avranno sempre di più e nei paesi contesi, le armi non si mangiano, non rendono amati i leader locali, non danno stabilità, potere e sviluppo. Il pragmatismo cinese, inoltre, essendo appunto pragmatico e realista e non su basi valoriali “idealistiche”, mette tutti d’accordo, sciti e sunniti, indiani e pakistani, turchi e forse anche curdi. Ci sono curdi anche nel nord Iran dove si va per il confine coi turchi. Come ben sanno in Medio Oriente dove la tradizione mercantile è storia profonda (come in Cina), il migliore affare è quello in cui tutti ci guadagnano o quasi. Gli americani allora possono solo contenere, mettere attrito, rallentare, che è quello che giustamente faranno. (Il primo che cita la “Trappola di Tucidide” viene bannato 🙂 scherzo …)
Filosoficamente, nella “filosofia delle relazioni tra popoli sul pianeta Terra”, la strategia cinese allude al vecchio “doux commerce” di Montesquieu. Traducendo “doux” con “gentile”: “… è regola pressoché generale che dovunque vi siano costumi gentili, vi è commercio; e che dovunque vi sia commercio, vi siano costumi gentili” (Esprit des Lois) con finale contrapposizione tra “nazioni ingentilite” e nazioni “rozze e barbare”. In realtà pare che il concetto risalga a Montaigne ed abbia poi deliziato Voltaire, Smith, Hume, Kant. Se ne trova una, come sempre acuta, analisi in termini di storia delle idee in A. O. Hirschman – Le passioni e gli interessi – Feltrinelli (p. 47). Dove per altro si riportano anche considerazioni di dileggio da parte di Marx ed Engels.
Quindi abbiamo nazioni che si dichiarano quantomeno socialiste (Cina) che agiscono in base a principi criticati da Marx ma promossi dai liberali europei i cui eredi contemporanei (USA, UK) però sono d’accordo con Marx. Ehhh, che ci volete fare, l’era complessa è complicata.
Quello che posso dirvi è: fate attenzione. Quello che oggi nello spirito partigiano che vi faceva tifare per gli indiani contro i cowboy nei film americani anni Settanta, vi fa tifare per Davide contro Golia, domani quando Davide sarà Golia vi creerà una contraddizione. La Cina, da sola, è quasi un quinto dell’umanità. Pensateci …

THATS’ ALL FOLKS?, di Massimo Morigi

 

THATS’ ALL FOLKS? IL PAGANESIMO, IL CRISTIANESIMO, L’ILLUMINISMO, IL COMUNISMO, IL LIBERALISMO, IL CORONAVIRUS, LA DIALETTICA STORICA,  L’EPIFANIA STRATEGICA,  IL VIL COYOTE, IL BEEP BEEP, L’ACME CORPORATION E PIONEERS! O PIONEERS!  DI  WALT WHITMAN. TERZA DIVAGAZIONE TEORICA (E MAI DEFINITIVA) PARTENDO DA PER QUALCHE MIGLIAIO IN PIÙ DI TEODORO KLITSCHE DE LA GRANGE PIÙ UN CONSIGLIO ALLA LETTURA  DI  VERSO  LA  GUERRA  CIVILE  DI  GIANFRANCO  CAMPA http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/

 

Come my tan-faced children,

Follow well in order, get your weapons ready,

Have you your pistols? have you your sharp-edged axes?

Pioneers! O Pioneers

[…]

Till with sound of trumpet,

Far, far off the daybreak call–hark! how loud and clear I hear it wind,

Swift! to the head of the army!–swift! spring to your places,

Pioneers! O Pioneers!

 

Walt Whitman, Pioneers! O Pioneers!

 

 

 

           In questo mio ennesimo intervento, il terzo, su Per qualche migliaio in più di Teodoro Klitsche de la Grange (URL dell’ “Italia e il Mondo” per il succitato articolo: http://italiaeilmondo.com/2021/03/23/per-qualche-migliaio-in-piu-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210323122750/http://italiaeilmondo.com/2021/03/23/per-qualche-migliaio-in-piu-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/)   mi preme innanzitutto compiere un atto che avevo omesso negli altri due miei interventi al riguardo: fare espressamente i complimenti all’autore che, come sempre del resto, nulla concede agli idola della mentalità politica corrente. E facendo così la cronistoria di questi miei due primi interventi, dove al primo commento affermavo: «In Inghilterra hanno capito non solo che vaccinare è questione strategica ma che è il primo problema da affrontare e risolvere per salvaguardare la sicurezza nazionale. In Europa no, hanno delegato ai burocrati, dott.ssa Gallina e stop vaccino AstraZeneca docent, mentre in Italia si è cominciato a ragionare all’inglese col governo Draghi. That’s all folks! mm –  23 marzo 2021», al secondo esplicitavo ancor meglio il concetto: «1) Una cosa che avrebbe dovuto insegnare questa pandemia è che non esiste una scienza pura (il ritenerlo non è altro che superstizione) ma solo un approccio strategico alle varie situazioni e/o sfide che devono affrontare le comunità umane (e, ovviamente, anche quelle non umane) 2) Non esiste una strategia astratta che cala dall’alto dei cieli ma, parafrasando un certo Vladimir Il’ič Ul’janov, si tratta di svolgere un’azione concreta su una situazione concreta e la situazione concreta è che l’uomo emerso dall’Illuminismo è terrorizzato dalla morte e quindi per combattere la pandemia non ci si può affidare ad una narrazione che contempli anche la morte ma ad una narrazione che esclude per quanto è umanamente possibile (e quindi filosoficamente del tutto irragionevolmente) la morte 3) Ergo la posizione del Prof. Garavelli, non vaccinare perché a suo giudizio non si vaccina in corso di pandemia perché questo facilita le mutazioni del virus, per quanto il linea di principio tecnicamente possa avere un senso, dal punto di vista strategico, viste le caratteristiche psico-filosofiche delle popolazioni impregnate della tradizione e Weltanschauung culturale illuminista, è assolutamente impraticabile e quindi antistrategica. Il primo approccio del governo Johnson in Inghilterra ne è la dimostrazione: probabilmente in linea di principio era l’approccio più saggio ma, come si dice, vallo a dire agli inglesi quando hanno cominciato a morire al di là di quello che una mentalità moderna di derivazione illuminista riteneva sopportabile ed accettabile. E… That’s all folks! mm – 23 marzo 2021», rispondere, infine alla stimolante  all’osservazione del lettore, il quale  in merito al mio ultimo intervento sull’articolo di la Grange scrive: «Fondamentalmente condivido. Mi rimane solo una perplessità… gli uomini con “mentalità moderna di derivazione illuminista” hanno saputo morire in passato “senza battere ciglio”, nel secolo breve delle “guerre e rivoluzioni” ed anche in quelli precedenti delle grandi rivoluzioni borghesi… forse è in corso un mutamento politico-antropologico (metafisico per dirla alla Houellebecq), che “incubava” da tempo senza che ce ne accorgessimo pienamente e che non so fino a che punto è un derivato della “mentalità illuminista” o di una sua “rottura” (e che, come tutte le rotture, presenta “affinità e divergenze”, punti di continuità ed altri di completa novità).»

 

           Innanzitutto, ringrazio, ancor prima che per gli apprezzamenti, per questo ulteriore contributo che mi permette di mettere ulteriormente a fuoco l’argomento. Quando parliamo della civiltà nata dall’Illuminismo stiamo operando una grandissima approssimazione perché quello che accomuna, per essere chiari, l’ idealtipo dell’homo oeconomicus di smithiana memoria con quello del rivoluzionario sovietico similleniniano è il rifiuto della trascendenza cristiana extramondana e se questi due idealtipi sono quindi accomunati da una Weltanschauung totalmente immanentista è di tutta evidenza che per l’idealtipo smithiano la salvezza è totalmente connotata dall’individualismo metodologico dove quello che conta è solo l’individuo che ha reciso tutti i legami sociali per mantenere solo quelli che gli procurano un diretto tornaconto economico mentre per l’idealtipo rivoluzionario similleniano siamo di fronte ad un’immanenza dove la salvezza è sempre e solamente la salvezza della comunità di riferimento comunisticamente connotata nella quale l’individuo trova il suo paradiso terrestre.

          E se è chiaro che questo secondo tipo ideale dal Cristianesimo ha ereditato il concetto di paradiso che da celeste come nel cristianesimo diventa ora terrestre, anzi molto terrestre  per non dire terreno, e se deve risultare altrettanto evidente che il primo tipo ideale, quello smithiano dell’homo oeconomicus,  ha anch’esso la sua parte di lascito derivatogli dal Cristianesimo, e cioè il concetto di salvezza individuale, solo che nel Cristianesimo questa salvezza individuale e ultraterrena viene ottenuta attraverso la comunità terrena dei credenti (i quali, però, si noti bene, vengono assunti in cielo singolarmente e non come comunità di credenti) mentre nell’homo oeconomicus la salvezza pur rimanendo individuale viene completamente immanentizzata e sfruttando economicamente la società (mantenendo, fra l’altro, da questo punto di vista, una profonda analogia con l’impostazione cristiana dove la salvezza spirituale si ottiene, escludendo i fenomeni cenobitici e/o eremitici, attraverso la vita nella più vasta comunità dei credenti ma sfruttando questa comunità, perché questa, a differenza della mentalità religiosa antica politeista, non ha di per sé alcun valore spirituale intrinseco, essendo solo il mezzo più pratico per conoscere la parola e l’esempio del Salvatore), dovrebbe essere, infine,  altrettanto evidente che il rivoluzionario homo sovieticus condivide molti tratti della vecchia religiosità pagana precristiana greco-romana dove era sempre la salvezza della comunità quella che doveva prevalere sull’individuo.

              Ma se fino ad adesso abbiamo parlato di tipi ideali adottando quindi una metodologia weberiana,  alla stessa stregua di Weber bisogna a questo punto sottolineare che il tipo ideale è solo uno stratagemma descrittivista e che nella realtà esso non esiste. Tutto ciò ricondotto al nostro discorso significa che nella realtà storica nata dall’Illuminismo gli uomini non sono mediamente mai totalmente rivoluzionari similleniani né spietati Uncle Scrooge o Gordon Gekko  (o, ancor peggio, ché la realtà ha sempre più fantasia dei personaggi letterari,  imperialisti versione predatoria delle risorse africane alla Cecil Rhodes – lettura consigliata: The Man Who Would Be King di Joseph Rudyard Kipling, consigliata pure la visione dell’omonimo film con uno strepitoso Sean Connery nei panni del soldataccio inglese David Dravot che per un brevissimo tempo riesce a farsi proclamare re del Kafiristan –, teste coronate alla Leopoldo II del Belgio, imperialista e diretto genocidario sterminatore di milioni di africani – lettura consigliata: Heart of Darkness di Joseph Conrad –, finanzieri filantropi e finanziatori della tratta di esseri umani nonché di movimenti sovversivi negli USA e in giro per il mondo, ma movimenti, ça va sans dire, sempre a favore della democrazia, antifascisti e contro le dittature  alla George Soros – e, per quanto riguarda l’Italia, protagonista di primo piano  nell’aver mandato a fondo la nostra liretta, quando questa esisteva, mettendo  pure in questo illustre mazzo di miliardari filantropi un certo Michael Bloomberg, che per contrastare il mostro Donald Trump durante l’ultima campagna elettorale ha sborsato di tasca sua 16 milioni di dollari  per pagare la cauzione  a 32 mila criminali consentendogli  così di votare in Florida per le elezioni presidenziali statunitensi del 2020. Vedi all’URL   https://www.washingtonpost.com/politics/mike-bloomberg-raises-16-million-to-allow-former-felons-to-vote-in-florida/2020/09/21/6dda787e-fc5a-11ea-8d05-9beaaa91c71f_story.html, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210202172903/https://www.washingtonpost.com/politics/mike-bloomberg-raises-16-million-to-allow-former-felons-to-vote-in-florida/2020/09/21/6dda787e-fc5a-11ea-8d05-9beaaa91c71f_story.html, cosa non si farebbe per far trionfare la democrazia e la libertà e, soprattutto, combattere il fascismo… –  o premi Nobel per la pace alla bombardiere ed indiretto ma micidiale  sterminatore di intere etnie mediorientali Barack Obama: guerra civile in Siria con relativo finanziamento USA delle “democratiche” e tagliagolesche forze anti-Assad e conseguente quasi totale annientamento dei cristiani  docent – annientamento che sarebbe stato totale se ad un certo punto non fossero intervenuti in quel disgraziato paese i russi per decisione di Putin, quello che oggi gli americani definiscono, senti, senti, assassino: quanto il bue dà del cornuto all’asino…), né rivoluzionari alla Lenin o alla Rosa Luxemburg (e, diciamolo chiaramente, alla Iosif Stalin, alla  Benito Mussolini e Adolph Hitler: rivoluzionari di sinistra e di destra accomunati tutti dal fatto che la salvezza è sempre e solo comunitaria) ma un misto variamente graduato a seconda dell’individuo e delle circostanze storiche di questi due tipi ideali, e quindi avere mostrata nelle sue reali dinamiche storico-dialettiche l’apparente contraddizione segnalata  dell’amico dove sottolineava l’apparente antinomia comportamentale  di  uomini informati ad una mentalità illuminista e/o postilluminista che  hanno saputo (e sanno)  morire qualora le circostanze lo avessero richiesto. (Importante nota metodologica: non a caso ho usato il termine ‘mostrare’ anziché ‘dimostrare’, ché le dimostrazioni vanno forse bene in geometria e matematica ma mai per le scienze storico-dialettiche – ma sottolineando ulteriormente: anche la matematica, la geometria e le c.d. scienze dure sono, in ultima istanza, scienze storico-dialettiche: la dimostrazione è operazione euristicamente valida – ma mai gnoseologicamente fondata,  – solo per i rapporti strategici ormai del tutto consolidati e ossificati da una lunghissima regolarità storica, e allora questi rapporti prendono il nome di leggi di natura, mentre si dovrebbe parlare di regolarità relativamente valide in un determinato perimetro spazio-temporale. Insomma, anche le c.d. leggi di natura, in ultima analisi, hanno una loro evoluzione e mutazione storico-dialettica, solo che per l’esperienza umana intesa in senso individuale e anche nella sua dimensione plurimillenaria di homo sapiens questo mutamento risulta quasi inavvertibile, e quella che nel mio primo  intervento sull’articolo di la Grange ho definito superstizione scientifica che nasconde la natura storico-dialettica della realtà tutta non deriva altro che dalla lentezza della mutazione delle c.d. eterne leggi di natura, lentezza che confonde la debole mente razionale dell’uomo e forma le credenze delle comunità in cui vive, entrambe non aduse – se non per confusi e per lo più inconsci sprazzi e fugaci ombre di questa mente razionale del singolo e della condivisa coscienza collettiva – ad una consapevole visione dialettica storico-strategica – ad una inconsapevole certamente entrambe intrise, diversamente l’uomo si sarebbe estinto – e quindi informata al paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale che forma (ed esplica) non solo l’esperienza storica ma la realtà tutta, quella fisica e biologica comprese. Cfr. a questo proposito Massimo Morigi,  Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis,  su Donna Haraway e materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della  prassi olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale    del    Repubblicanesimo    Geopolitico, pubblicato recentemente prima a puntate sull “Italia e il Mondo” e poi nel suo testo riunito all’URL http://italiaeilmondo.com/2021/03/03/epigenetica-e-fantasmagorie-transumaniste-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210304224738/http://italiaeilmondo.com/2021/03/03/epigenetica-e-fantasmagorie-transumaniste-di-massimo-morigi/ (ora anche  su Internet Archive  agli URL  https://archive.org/details/epigenetica-teoria-endosimbiotica-sintesi-evoluzionista-moderna-sintesi-evoluzio/mode/2up  e https://ia801506.us.archive.org/17/items/epigenetica-teoria-endosimbiotica-sintesi-evoluzionista-moderna-sintesi-evoluzio/Epigenetica%2C%20Teoria%20endosimbiotica%2C%20Sintesi%20evoluzionista%20moderna%2C%20Sintesi%20evoluzionistica%20estesa%20e%20fantasmagorie%20transumaniste%2C%20Massimo%20Morigi.pdf) ma anche Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il Mulino, 2000, saggio che è da considerarsi come il frutto più maturo dello storicismo idealistico italiano di Gentile, Croce e Gramsci e che è stato decisivo – assieme al Principe e ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Niccolò Machiavelli, al  Vom Kriege di Carl von Clausewitz, alla Filosofia di Marx di Giovanni Gentile, a Storia e coscienza di classe di György Lukács, a Marxismo e filosofia di Karl Korsch e ai Quaderni del carcere di Antonio Gramsci – nella definitiva formulazione  della filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico e che, infine, ha  profondamente influenzato il succitato mio saggio sulla dialetticità e storicità di tutte le scienze: au diable Popper e tutti i suoi nipotini filosofici e politici, ergo sempre au diable la superstizione scientifica e, conseguentemente,  il c.d. ‘politicamente corretto’).

              

         Ultima osservazione in merito alla capacità di mettere a repentaglio la propria vita: qualsiasi sia la mentalità di partenza, si consideri che sempre le classi dirigenti hanno il precipuo compito (e specializzazione) di indirizzare i sottoposti soprattutto contro i propri reali interessi, siano questi interessi individualistici o interessi di gruppo. Vedi il caso della presente pandemia dove, a parte i provvedimenti palesemente irrazionali da parte dell’autorità dove l’obbedienza è stata ottenuta con la semplice minaccia di sanzioni amministrative, vale a dire multe salate per chi usciva di casa in periodo di c.d. lockdown, si è cercato di porre rimedio alla totale mancanza di un senso comunitario, tipico della nostra società liberaldemocratica a democrazia rappresentativa in fase di involuzione terminale, attraverso la retorica dell’eroe, eroi gli infermieri, eroi i membri della forze dell’ordine, eroi, infine, quelli che erano costretti a vivere chiusi in casa, ma certo non per loro libera scelta eroica ma per paura sì del contagio ma anche delle già menzionate salate multe  in caso di trasgressione del lockdown: si confronti a tal proposito la Teoria della distruzione del valore (all’URL dell’ “Italia e il Mondo” http://italiaeilmondo.com/2017/02/04/teoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210120191822/http://italiaeilmondo.com/2017/02/04/teoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi/, di Internet Archive: https://archive.org/details/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore e https://ia800501.us.archive.org/20/items/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore.pdf), nella quale viene rilevata la dialettica fra agenti alfa-strategici e agenti omega-strategici e, più nello specifico, riguardo alla paura dell’uomo nato dall’Illuminismo di affrontare la morte,  il nostro  Massimo Morigi, Intervista di Giuseppe Germinario a Max Bonelli sul coronavirus ovvero Cthulhu morbus come teleologia del (e) fallimento della moderna secolarizzazione. Epifania Strategica e genesi e significato dell’ironico simbolo della morte della trascendenza dei moderni, che, vista la sua importanza, è stata anche autonomamente caricata su Internet Archive ed è quindi visionabile, oltre che sull’URL de “L’Italia e il Mondo” https://italiaeilmondo.com/2020/06/20/intervista-di-giuseppe-germinario-a-max-bonelli-sul-coronavirus-epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della-trascendenza-dei-moderni-di-massimo-m/, Wayback Machine:  http://web.archive.org/web/20210123160202/https://italiaeilmondo.com/2020/06/20/intervista-di-giuseppe-germinario-a-max-bonelli-sul-coronavirus-epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della-trascendenza-dei-moderni-di-massimo-m/,    anche  agli URL di Internet Archive https://archive.org/details/epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della/mode/2up  e https://ia801804.us.archive.org/34/items/epifania-strategica-e-genesi-e-significato-dellironico-simbolo-della-morte-della/Epifania%20Strategica%20e%20genesi%20e%20significato%20dell%27ironico%20simbolo%20della%20morte%20della%20trascendenza%20dei%20moderni%2C%20Massimo%20Morigi%2C%20Repubblicanesimo%20Geopolitico%2C%20Neo-marxismo%2C%20Neo-marxism.pdf, ed anche il nostro recente Id., Concordando con Davide Gionco, la morte, i bonobo, il dittatore Salazar, lOrdine del Drago e il Moderno Principe, allURL dell’ “Italia e il Mondo” http://italiaeilmondo.com/2021/03/09/concordando-con-davide-gionco-la-morte-i-bonobo-il-dittatore-salazar-l-ordine-del-drago-e-il-moderno-principe-di-massimo-morigi/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210310065549/http://italiaeilmondo.com/2021/03/09/concordando-con-davide-gionco-la-morte-i-bonobo-il-dittatore-salazar-l-ordine-del-drago-e-il-moderno-principe-di-massimo-morigi/, mentre sul versante dei rimedi strategicamente validi ma, purtroppo, efficaci solo per quanto riguarda il mettere una pezza politica alla odierna paura del Coronavirus ma non certo a livello di mentalità di massa, cfr. sempre il nostri   recenti Id., Da “il costruttore”  di Giuseppe Germinario: fra corsi e ricorsi (salazaristi), governo Draghi, povertà del sovranismo e nuove prospettive, all’URL dell’ “Italia e il Mondo” http://italiaeilmondo.com/2021/02/22/da-il-costruttore-di-massimo-morigi/, Wayback Machine:

http://web.archive.org/web/20210223065757/http://italiaeilmondo.com/2021/02/22/da-il-costruttore-di-massimo-morigi/ e Id., Governo Draghi e  lotta alla pandemia fra  sprazzi di  strategia, nuovo Erostrato, vecchie (e deleterie) fedeltà e sottomissioni  e povertà dell’attuale sovranismo, all’URL dell’ “Italia e il Mondo” https://italiaeilmondo.com/2021/03/03/fra-sprazzi-di-strategia-nuovo-erostrato-vecchie-e-deleterie-fedelta-di-massimo-morigi/,  Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210303201325/https://italiaeilmondo.com/2021/03/03/fra-sprazzi-di-strategia-nuovo-erostrato-vecchie-e-deleterie-fedelta-di-massimo-morigi/.

            In mezzo a tutto questo bailamme di tipi ideali, di epoche e momenti storici, di variegate e pluristratificate psicologie, ci sta infine quella che io ho definito  ‘Epifania Strategica’. Sulla quale ho più volte detto ma nella presente comunicazione aggirandomi finora sempre intorno al suo perimetro senza mai però direttamente evocarla all’interno del discorso, vorrei, in conclusione,     mostrarla in luoghi che personalmente non mi appartengono. Intendo riferirmi a Verso la guerra civile. Il tramonto dell’impero USA di Gianfranco Campa, pubblicato sul nostro blog prima a puntate e poi nella sua interezza all’URL http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210201075858/http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/   e http://web.archive.org/web/20210117223905/http://web.archive.org/screenshot/http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/. Oltre alle scontro politico in atto oggi negli USA, scontro politico che per Verso la guerra civile ha le potenzialità di sfociare anche in una vera e propria guerra civile (e l’assalto al Campidoglio dà piena ragione a Campa: a questo proposito si consigliano caldamente anche le numerose videointerviste di  Giuseppe Germinario a Gianfranco Campa che  senza troppe difficoltose ricerche possono essere ascoltate sul canale YouTube de “L’Italia e il Mondo” all’URL https://www.youtube.com/channel/UC0N4F1BmvB1wsb-L8R7dNTg/videos?view=0&sort=dd&shelf_id=0, e comunque visto il loro indiscutibile valore storico-politico –  esse mostrano anche, al di là di ogni ragionevole dubbio, i pesantissimi e decisivi brogli avvenuti nell’elezione dell’ avatar presidente USA Joe Biden, sulle cui degradate facoltà mentali cfr. anche il nostro pure ultimo  Massimo Morigi, Lettera all’avatar Presidente U.S. Joseph Robinette Biden Jr. ( detto Joe Biden) di più di trenta membri democratici del Congresso degli Stati Uniti per limitare il suo potere monocratico di scatenare una guerra nucleare ovvero sul degrado delle classi dirigenti politiche nei regimi a  c.d.   democrazia    rappresentativa. Prima   nota   sull’argomento del theatrum electoralis-fraus electoralis   delle     nostre     post-democrazie     rappresentative, all’URL de “L’Italia e il Mondo”  http://italiaeilmondo.com/2021/03/24/lettera-allavatar-presidente-u-s-_di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210325065717/https://italiaeilmondo.com/2021/03/24/lettera-allavatar-presidente-u-s-_di-massimo-morigi/, siamo quindi sempre dalle parti, in ragione delle deboli facoltà mentali del neoeletto presidente USA, di una latente guerra civile pronta ad esplodere al minimo innesco –   le stiamo salvando anche su Internet Archive), Verso la guerra civile ci immerge totalmente nel romanticismo delle pioneristiche Stimmung e Weltanschauung  del Pioneers! O Pioneers! di Walt Whitman. È di tutta evidenza, e così smentendo le conclusioni dei miei due precedenti brevi commenti sul bellissimo articolo di Per qualche migliaio in più di Teodoro Klitsche de la Grange, che per l’Epifania Strategica non vale mai l’espressione che chiudeva i frenetici cartoni animati della Warner Bros. ‘Thats’ All Folks!’  (Cartoni animati fenomenali metafore del Novecento e anche del nostro secolo: il sublime e magnifica rappresentazione della superstizione scientifica: Wile E. Coyote che cerca di intrappolare il velocissimo  Road Runner attraverso i cervellotici e fallimentari prodotti della ACME Corporation. Uno dei significati più accreditati dell’acronimo: ‘American Company Making Everything’, od altri molto simili, e come  per l’ACME Corporation – che, vera e propria metafora dell’anti Epifania Strategica, in teoria tutto fa ma nella realtà nulla fa se non causare immani disastri, nonostante in innumeri e inutili occasioni evocata da Willy il Coyote per catturare l’imprendibile e bisbetico Beep Beep; altro nome italiano del personaggio del  maldestro ed ingenuo canide selvatico, sempre votato alla sconfitta perché,  macchiato dai mali della nostra civiltà occidentale postilluminista, sempre ridicolmente speranzoso nella soluzione tecnico-tecnologica calata dall’alto: il Vil Coyote… –, anche per la superstizione scientifica, come ben si è visto nel corso della vicenda del Coronavirus, mai è valso – e mai varrà –  l’allegro motto dei Looney Tunes ‘Thats’ All Folks!’…).

Massimo Morigi – 1° aprile 2021

 

DISTRUZIONE E PROTEZIONE, di Teodoro Klitsche de la Grange

DISTRUZIONE E PROTEZIONE

Si sente sempre più spesso ripetere quanto sosteneva (tra gli altri) Schumpeter che il capitalismo induce un processo di distruzione creatrice selezionando gli imprenditori più efficienti ed espellendo gli altri. L’occasione per incentivare questa selezione – un aspetto di darwinismo sociale – sarebbe la pandemia: le imprese che riescono a superare la crisi sono le più efficienti, mentre quelle che non sopravvivono, meritano di essere chiuse.

Anche se il ragionamento ha una sua validità e in Italia spesso si è fatto il contrario – con risultati deludenti – invocarlo in relazione alla pandemia è errato per due motivi, che poco hanno a che fare con l’efficienza economica.

Il primo è che l’uomo non è solo homo aeconomicus ma, tra l’altro – Aristotele docet – zoon politikon: e per l’appunto tale caratteristica lo porta a costituire gruppi politici il cui fondamento è, come scriveva Hobbes, lo scambio tra protezione e obbedienza: si deve obbedire a chi da protezione e, in cambio, si ha il dovere di proteggere chi obbedisce. Se però tale rapporto diviene impossibile, viene meno sia il dovere d’obbedienza che quello di protezione, come scriveva il filosofo di Malmesbury. Ne consegue che ciò che economicamente è condivisibile può essere politicamente da evitare (e viceversa). Anzi tante politiche di sostegno a imprese, e ancor più, a settori economici poco efficienti sono state motivate con argomentazioni di carattere politico, nel senso suddetto.

Ad esempio la politica europea di sostegno all’agricoltura (a cominciare dal MEC), molto costosa, era volta al sostegno della produzione, tesa anche (e probabilmente soprattutto) ad evitare che la carenza alimentare fosse utilizzata da altre potenze per motivi ostili. Come capitato agli Imperi centrali nella prima guerra mondiale.

Ed è meno evidente, ma d’importanza considerevole che politiche economicamente valide, specie nel breve periodo, in una visione più ampia e di lungo periodo, siano controproducenti sul piano politico. Così la distruzione di piccole aziende, tenuto conto che i piccoli imprenditori, e, in genere i ceti medi, sono il sostegno sociale decisivo, oggi, delle democrazie liberali.

E, a tale proposito, non è detto che la “distruzione creatrice” di tante piccole imprese, vada a favore di un migliore “funzionamento” del mercato. La concentrazione del capitale in poche grosse aziende, rende assai più facile gestire il mercato in funzione non della libera concorrenza e del favor consumatoris, ma di accordi oligopolistici tendenti a limitarlo o eluderlo.

Il secondo: per quale ragione qualche milione di piccoli imprenditori dovrebbe essere a favore di politiche che non garantiscono protezione? Al punto che coloro che le sostengono tendono a vagheggiare l’opportunità della loro distruzione?

Se Hobbes si era sforzato di dimostrare la razionalità del potere (e dell’associazione) politica proprio per lo scambio protezione-obbedienza, per quale ragione l’individuo razionale del filosofo inglese dovrebb’essere diventato un Tafazzi, tutto contento di soffrire e insieme mantenere e votare governanti intenzionati – e giulivi nel manifestarlo – a farlo morire socialmente ed economicamente (e talvolta, complice la pandemia, anche fisicamente)?

In realtà la tesi criticata è frutto di due postulati: che ciò che è economicamente valido esaurisce il “bene” (sociale e individuale). Come se l’uomo fosse solo un essere economico. E non anche economico. La storia prova che non è così: vi sono state nazioni non disponibili a barattare il benessere economico con l’indipendenza politica.

Anche perché nel lungo periodo, è questa a garantire quello, più che l’inverso.

De Bonald scriveva che durante la Rivoluzione e le guerre napoleoniche gli svizzeri, un popolo (all’epoca) di “pastori e frati” avevano difeso la propria indipendenza assai meglio dei Paesi Bassi che “contavano i più ricchi uomini d’affari del mondo” (forse è anche per quello che gli svizzeri sono diventati assai più ricchi dei pur benestanti olandesi).

In secondo luogo c’è il (consueto) modo di ragionare consistente nel confrontare una “legge” generale e soprattutto astratta (anche tendenzialmente valida), applicandola a una situazione specifica e concreta, senza adeguarla. Con il risultato che l’abito confezionato da pensatori (talvolta neppure da talk-show) vesta male chi l’indossa, magari non per colpa del sarto, ma perché l’abbigliando ha la gobba. E l’abilità del politico, come diceva Giolitti, è quella del bravo sarto che confeziona il vestito adatto a chi lo deve portare. Chi pensa il contrario è, come donna Prassede, troppo affezionato alle proprie idee (con la conseguenza di non cambiarle e spesso neppure di adattarle): è un puro “ragionare” ideologico.

E non può quindi pretendere che venga condiviso, perfino con entusiasmo, da coloro che ne pagano il conto.

Avv. Teodoro Klitsche de la Grange

 

LA PUGLIA DALLA CALIFORNIA DEL FUTURO AL TERRITORIO CONTROLLATO DALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, a cura di Luigi Longo

LA PUGLIA DALLA CALIFORNIA DEL FUTURO AL TERRITORIO CONTROLLATO DALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

a cura di Luigi Longo

Sul sito www.editorialedomani.it è stato pubblicato, in data 24 marzo 2021, uno stimolante articolo del giovane scrittore Andrea Donaera su La Puglia e il suo negativo, lo storytelling che non viene raccontato. Lo propongo come lettura. A me interessa evidenziare due questioni che si intrecciano: 1) la costruzione ideologica di un territorio, finalizzata, tramite l’arte di raccontare storie, allo sviluppo del settore turistico, che è ritenuto importante per l’economia della Puglia, a prescindere dalla distruzione delle piccole e medie imprese messa in atto strategicamente tramite il covid-19; questa strategia permetterà grandi ristrutturazioni, in un paesaggio complesso e straordinario, a favore delle grandi imprese (soprattutto estere) che produrranno una diversa organizzazione del territorio e un diverso godimento del paesaggio sempre meno accessibile ai più (d’altronde l’Italia non è il giardino dei dominanti statunitensi, russi e cinesi?); 2) il denaro accumulato nelle diverse sfere sociali diventa il mezzo sia del potere sia della fusione del potere legale e del potere illegale (già l’imperatore Vespasiano sosteneva che il denaro non ha riconoscibilità) e diventa difficile distinguere (tranne quando diventa mezzo di conflitto tra gruppi di potere) tra quelli che delinquono legalmente e quelli che delinquono illegalmente perché il sistema sociale, così come è strutturato nelle relazioni di potere e di comando, è una simbiosi di legalità e illegalità sia a livello micro sia a livello macro.

La Puglia non è diventata la futura California italiana, così come ipotizzava Franco Tatò, ma è diventata territorio controllato dalla criminalità organizzata con le sue peculiarità territoriali (Sacra corona unita, quarta mafia, eccetera) e i suoi intrecci nazionali (mafia, camorra e n’drangheta) e mondiali (mafia statunitense, russa e cinese).

Nella provincia di Foggia, la terza provincia più estesa d’Italia con una popolazione di 602 mila abitanti, sono stati sciolti, per infiltrazione della criminalità organizzata, comuni come Cerignola (55 mila abitanti) e Manfredonia (55 mila abitanti), nodi importanti dell’economia e dello sviluppo della Provincia; Monte Sant’Angelo e Mattinata comuni del Gargano dove fino a poco tempo fa la criminalità organizzata veniva interpretata come faida della pastorizia!; la città di Foggia (con una popolazione di quasi 150 mila abitanti) è sotto i riflettori della Commissione del Ministero dell’Interno per la verifica (sic) di infiltrazioni della criminalità organizzata.

Fonte: Direzione Investigativa Antimafia, 2020

 

Manca una conoscenza della penetrazione della criminalità organizzata nelle diverse sfere sociali (economica, finanziaria, politica, istituzionale, culturale e sociale). Si è fermi, nel contrasto alla criminalità organizzata, alla sua sfera militare, che è un aspetto importante dell’accumulazione del denaro, ma non è sufficiente per capire le strategie e gli intrecci tra potere legale e potere illegale (pochi e marginali sono le ricerche in questa direzione).

Siamo in guerra, dichiara il nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio, riferendosi alla pandemia (mai dichiarata) da covid-19. E’ il classico lapsus freudiano. Siamo in guerra perché è una guerra batteriologica tra le potenze mondiali per la spartizione del mondo che comporta un riassestamento di nuovi equilibri, di nuove alleanze, di nuovi squilibri sociali e territoriali, di nuovi modelli sociali che avanzano nell’attuale fase di multicentrismo, accelerata dallo strumento covid-19. A livello italiano è una guerra per la spartizione di risorse di gruppi di potere servili che nulla hanno a che fare con un progetto etico-politico che porti all’autodeterminazione nazionale.

Sullo sfondo vi sono le trasformazioni del territorio pugliese che assume un ruolo sempre più importante per le strategie statunitensi nel mediterraneo (territori e città Nato-Usa, approntamento di infrastrutture che collegano i nodi strategici come Foggia e Taranto, eccetera).

La criminalità ha un ruolo consistente nelle fasi multicentrica e policentrica, la storia questo insegna; ricordo il ruolo che la criminalità organizzata ha avuto in Italia nel secondo conflitto mondiale.

Relegare alla Magistratura, che fa parte dei gruppi di potere (altro che separazione dei poteri che lo stesso Montesquieu non ha mai pensato) è il segno dei tempi.

A me basterebbe una rivoluzione dentro il Capitale (inteso come rapporto sociale) con un nuovo principe capace di un moderno progetto etico-politico che desse dignità e autodeterminazione alla povera Italia e che sostituisse questa classe politica di subdominanti servili. Ai miei nipotini lascerei la speranza di un nuovo principe sessuato capace di una rivoluzione fuori dal Capitale.

 

L’INTERMEZZO DI CAPAREZZA

Vieni a ballare in Puglia

I delfini vanno a ballare sulle spiagge
Gli elefanti vanno a ballare in cimiteri sconosciuti
Le nuvole vanno a ballare all’orizzonte
I treni vanno a ballare nei musei a pagamento
E tu dove vai a ballare?
Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Tremulo come una foglia, foglia, foglia
Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru
Perché può capitare che si stacchi e venga giù
Ehi turista so che tu resti in questo posto italico
Attento tu passi il valico ma questa terra ti manda al manico-mio
Mare Adriatico e Ionio, vuoi respirare lo iodio
Ma qui nel golfo c’è puzza di zolfo, che sta arrivando il Demonio
Abbronzatura da paura con la diossina dell’ILVA
Qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla Pimpa
Nella zona spacciano la morìa più buona
C’è chi ha fumato i veleni dell’ENI, chi ha lavorato ed è andato in coma
Fuma persino il Gargano, con tutte quelle foreste accese
Turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo paese
Dove quei furbi che fanno le imprese, no, non badano a spese
Pensano che il protocollo di Kyoto sia un film erotico giapponese
Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Dove la notte è buia, buia, buia
Tanto che chiudi le palpebre e non le riapri più
Vieni a ballare e grattati le palle pure tu che devi ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Tremulo come una foglia, foglia, foglia
Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru
Perché può capitare che si stacchi e venga giù
È vero, qui si fa festa, ma la gente è depressa e scarica
Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica
Tra un palo che cade ed un tubo che scoppia in quella bolgia s’accoppa chi sgobba
E chi non sgobba si compra la roba e si sfonda finché non ingombra la tomba
Vieni a ballare compare nei campi di pomodori
Dove la mafia schiavizza i lavoratori e se ti ribelli vai fuori
Rumeni ammassati nei bugigattoli come pelati in barattoli
Costretti a subire i ricatti di uomini grandi ma come coriandoli
Turista tu resta coi sandali, non fare scandali se siamo ingrati e ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati
Mortificati, non ti rovineremo la gita
Su, passa dalla Puglia, passa a miglior vita
Vieni a ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Dove la notte è buia, buia, buia
Tanto che chiudi le palpebre e non le riapri più
Vieni a ballare e grattati le palle pure tu che devi ballare in Puglia, Puglia, Puglia
Dove ti aspetta il boia, boia, boia
Agli angoli delle strade spade più di re Artù
Si apre la voragine e vai dritto a Belzebù
Oh Puglia, Puglia mia, tu Puglia mia
Ti porto sempre nel cuore quando vado via
E subito penso che potrei morire senza te
E subito penso che potrei morire anche con te
Silenzio!
Silenzio in aula!
Il signor Rezza Capa è accusato di vilipendio al turismo di massa e di infamia verso il fronte
L’imputato ha qualcosa da rettificare?

 

LA PUGLIA E IL SUO NEGATIVO, LO STORYTELLING CHE NON VIENE RACCONTATO

di Andrea Donaera

 

Esiste un risvolto torbido, in questa regione. Un negativo, un nero che non viene mai illuminato, perché scientemente nascosto sotto il tappeto di una formula comunicativa che si abbranca disperatamente al valore dell’economia turistica e che promette balli, orecchiette e aperitivi sotto il sole.

Non si potrebbe mai ipotizzare una narrazione del tipo “Gomorra pugliese”, perché oggi la Scu [Sacra Corona Unita, mia precisazione] è il territorio, e non ha (più) bisogno di lotte tra bande.

Una pulsione verso il ridimensionamento, un istinto al camuffamento della realtà. Un amore per il luogo natale che è anche un riflesso incondizionato.

Da qualche tempo, complici fiction tv di grande successo e operazioni editoriali adeguatamente confezionate, si è generato una sorta di nuovo desiderio di Puglia. Il tacco d’Italia si configura sempre più come un eden dove la vita semplice e “come una volta” è accompagnata da gastronomie d’eccellenza, il tutto circondato da un panorama sempre meraviglioso a prova di riprese tramite drone. Una sorta di California del bel paese dove al posto delle start-up della Silicon Valley ci sono agriturismi e stabilimenti balneari che promettono estati indimenticabili.

Bene. Eppure, da pugliese, non riesco a non chiedermi: «Ok, ma… tutto il resto? Com’è possibile che l’altra natura di questi luoghi non venga minimamente comunicata? Com’è possibile direzionare in modo così efficace la percezione di un intero territorio?».

 

L’altra superficie

 

Anni fa, quando ancora vivevo a Gallipoli, mi ritrovai (per una serie di eventi assurdi) a cenare con uno dei più potenti boss della Sacra corona unita. Durante la serata, stimolato dal consueto Primitivo con gradazione di 15 gradi, l’uomo mi disse (parafraso, traducendo dal suo dialetto aspro e stretto): «Il mio lavoro non avviene in superficie. Io sono la superficie». Una frase che non potrò mai dimenticare. Perché esatta, verissima, spietata.

La Scu, attualmente, è diventata una forma di criminalità organizzata che rigetta l’estetica delle mafie televisive o la messa in scena di azioni efferate. Non si potrebbe mai ipotizzare una narrazione del tipo “Gomorra pugliese”, perché oggi la Scu è il territorio, e non ha (più) bisogno di lotte tra bande. La Scu è come le spiagge, è come gli ulivi, è come le piazze abbacinanti nel sole estivo. Una criminalità organizzata di questo genere non ha alcuna epica, e non presta il fianco ad alcun riflettore mediatico. Esiste una rete di individui che illegalmente gestisce le operazioni economiche e sociali, ma si prova in ogni modo a esporre della regione solo la faccia più attraente, semplice, innocua: in Puglia ci si diverte, si sta bene, e basta così. Da questa gestione ci guadagnano un po’ tutti. E il silenzio è garantito.

La nota canzone di Caparezza Vieni a ballare in Puglia fu un caso clamoroso di come la narrazione di questa terra sia ormai intossicata da una posa perennemente da showreel: una musichetta allegra e a tratti becera, sotto la quale le parole al vetriolo del rapper venivano soffocate. La gente, durante quella estate in cui il brano era un tormentone, era letteralmente venuta in Puglia solo per ballare: mentre almeno due mostruose fabbriche producevano – e producono – quotidianamente morte e danni ecologici con il ricatto del lavoro a tempo indeterminato (l’arcinota ex-Ilva e la meno famosa centrale elettrica di Cerano); mentre un teatro comunale veniva reso inagibile perché occupato – con uno strano sistema di usufrutti – dalla madre del boss gallipolino di cui sopra, la quale si accasò nei camerini, per viverci fino a oggi.

In Puglia esiste lo splendore della Bari di Lolita Lobosco, ed è giusto che venga narrato attraverso la penna asciutta ed elegiaca di Gabriella Genisi. Esiste anche la Polignano raccontata da Luca Bianchini, con quella umanità tutta novecentesca e con le mani sempre sporche di farina o di terra coltivata.

Esiste però pure la Puglia dove nelle campagne di Lucera i braccianti si suicidano, in zone che rappresentano un disastro umano e nelle quali sembra operare soltanto il coraggioso sindacalista Aboubakar Soumahoro. Un Salento dove nel giro di pochi anni due omicidi vengono compiuti da giovani con il movente dell’invidia – sintomo eclatante, ma mai davvero esposto, di un’intera generazione avvelenata nel profondo, bloccata in un sistema sociale asfissiante dove si è lontani da tutto. Esiste, insomma, un risvolto torbido, in questa regione. Un negativo, un nero che non viene mai illuminato, perché scientemente nascosto sotto il tappeto di una formula comunicativa che si abbranca disperatamente al valore dell’economia turistica e che promette balli, orecchiette e aperitivi sotto il sole.

Per un pugliese tutto questo è doloroso. Mistificare il proprio luogo d’origine, rifiutando di esporre la realtà palpitante e vera, significa allestire una realtà aumentata. Le mie estati pugliesi assomigliano sempre più a un lungo episodio di Black Mirror in salsa mediterranea, dove tutti i cittadini devono recitare in uno show turistico – uno show che, se non risulta convincente, causerà il vero grande male della nostra epoca: l’assenza di profitto.

 

Camuffare d’istinto

 

Conosco molte persone – quasi tutte millennial, quasi tutte laureate – che vivono in Puglia e per lavoro svolgono la mansione di storyteller: il loro compito consiste nel comunicare il territorio pugliese per renderlo, agli occhi di potenziali turisti, una distesa di luoghi incantati da scoprire. Impacchettano l’idea affascinante di vivere in un posto impermeabile alle mutazioni sociali e ai processi che rendono problematiche le altre aree del sud. In sostanza, il loro lavoro consiste nel mentire sapendo di mentire [corsivo mio]. Consiste nel vendere i tramonti, i ristoranti di pesce, le ricette delle nonne, le notti tarantate, facendo di tutto per non far percepire la superficie, l’altra superficie, di cui parlava il boss della Scu.

Questo storytelling, però, non è compito soltanto di chi lo fa in cambio di un compenso. È come se ogni pugliese fosse, a suo modo, uno storyteller, un narratore che difende lo splendore della propria terra. Si tratta di un processo forse intrapsichico, che prende vita senza possibilità di razionalizzazione. Io ne sono un esempio. Quando, durante degli eventi pubblici, racconto la cena con il boss sopracitata, finisco sempre per smorzare il racconto con una qualche battuta («Comunque i gamberi di Gallipoli sono buonissimi anche se li dividi con un capomafia»). Una pulsione verso il ridimensionamento, un istinto al camuffamento della realtà. Un amore per il luogo natale che è anche un riflesso incondizionato.

Un fenomeno inquietante, da questo punto di vista, avvenne alcuni mesi fa quando lo scrittore salentino Omar Di Monopoli pubblicò un articolo, sulle pagine di un quotidiano nazionale, nel quale provava a problematizzare l’omicidio commesso a Lecce dal giovane Antonio De Marco ai danni di una coppia di amici. Di Monopoli connetteva l’odio sistematizzato di De Marco verso la felicità altrui (questo il movente confessato dal ragazzo agli inquirenti) con un “male” che aleggerebbe in quella periferia d’Italia rappresentata dal Salento. Il risultato fu una clamorosa shitstorm di pugliesi che, sui social, ringhiarono frasi come: «Tu non sai niente di questi luoghi», «Sciacquati la bocca prima di parlare del Salento».

Censurare, dunque. Ecco cosa resta a chi prova a narrare la Puglia. Oppure camuffare. Allestire un personaggio piacevole e nazionalpopolare come il vicequestore Lobosco per poter esternare, almeno parzialmente, un qualche risvolto criminale tipico di certo sud. Nascondersi dietro il dito della comicità, come fece Carlo D’Amicis nello splendido romanzo La guerra dei cafoni, per poter delineare la drammatica guerra di classe e generazionale, ancora in corso in molte aree pugliesi, tra benestanti e non. Insomma, usare artifici, ecco cosa resta: ma con la consapevolezza che, probabilmente, il messaggio che il grande pubblico vorrà continuare a ricevere sarà quello della Puglia come location dell’idillio – lo stesso messaggio che la maggior parte dei pugliesi vuole o deve promulgare.

Oltre cinquant’anni fa, il poeta leccese Vittorio Bodini teorizzava l’architettura barocca del Salento come la risposta estetica a una sorta di horror vacui che fa parte naturalmente delle anime di chi vive in quel luogo. Oggi quell’horror vacui c’è ancora, sempre più forte. E al posto del barocco c’è lo storytelling, ci sono i Baci da Polignano, ci sono le fiction. Forse è giusto così. Ma per chi?

 

 

EMERGENZA E VIRTÚ, di Teodoro Klitsche de la Grange

EMERGENZA E VIRTÚ

Ho già scritto (Per qualche migliaio in più) che l’emergenza pandemica è stata l’occasione perché le élite decadenti cambiassero, in parte, le loro litanie abituali, aggiungendovi la strofa sull’inefficienza delle pubbliche amministrazioni, alla quale peraltro avevano concorso – e non poco – attraverso nomine e norme. Aggiungevo che più che salmodiare litanie avrebbero dovuto agire in modo conseguente in primo luogo nominando per affrontare la pandemia, funzionari efficienti e nuovi, (perché dalle vecchie pecore esce sempre lo stesso latte) e in secondo luogo – cosa in parte fatta – promulgando normative d’emergenza. Ma quanto al primo, più importante aspetto, abbiamo dovuto attendere il governo Draghi: ad affrontare l’emergenza pandemica sono stati i soliti. Quando è stato nominato un commissario come il dr. Arcuri, si è scelto un “boiardo di Stato” da quasi quindici anni alla guida di Invitalia, ente, pardon Agenzia, o meglio Agency che dovrebbe promuovere lo sviluppo d’impresa, e che, purtroppo per noi italiani risulta dai dati statistici che non vi riesce granché

Ma non vogliamo insistere su colpe, professionalità, responsabilità concrete, perché preme valutare se l’emergenza richiede, per essere affrontata, dati e attitudini diverse a quanto richiesto in una situazione normale.

E per far ciò è utile – come sempre per gli affari politici – vedere che ne pensa Machiavelli.

Secondo il segretario fiorentino l’azione del governante dev’essere adatta ad affrontare la situazione; sono le caratteristiche di quest’ultima a determinare la condotta ed il soggetto stesso designato a governarla. Il fatto che l’emergenza sia punto (o poco) prevedibile, si presenti la prima volta o no, che ne siano ignote le cause (se naturali) che la creano od oscura ed irragionevole la volontà umana che l’ha generata (ove ne sia la causa), fa si che fronteggiarla sia difficile e richieda (tanta) virtù.

Che cosa sia secondo Machiavelli la virtù è argomento assai frequentato dagli studiosi, con esiti molto diversi, tenuto conto che il segretario fiorentino non la definisce mai (come, d’altra parte, gli altri concetti fondamentali del suo pensiero).

Per lo più la si ritiene la capacità politica di affrontare le situazioni, ossia la fortuna, con successo.

A cercare qualche ulteriore specificazione è connotabile più che in se, in relazione al suo antagonista, cioè la fortuna. La quale va governata e anche sfruttata, usando le occasioni che crea sia per l’interesse della comunità che per quello del Principe, evitandone gli effetti deleteri[1].

Anche se la virtù è necessaria al governante (ed ai popoli) in ogni situazione, nel pensiero di Machiavelli lo è particolarmente nelle situazioni di emergenza, fino a quelle che inducono cambiamenti epocali[2].

E non è detto che sia sufficiente, d’altra parte, a battere la fortuna, anche per gli uomini che il Segretario fiorentino reputava più virtuosi, come Cesare Borgia. Il quale aveva preparato tutto per assicurarsi il potere alla morte del padre, ma non aveva previsto d’essere gravemente malato in quel momento, il che ne provocò la caduta[3].

Proprio l’imprevedibilità, la novità, l’inconoscibilità delle situazioni d’emergenza rende necessario per affrontarle, delle doti che in frangenti normali non avrebbero alcuna rilevanza, e di converso, rende incongrue le altre, utili in quelli.

Compito di chi governa l’emergenza è di raggiungere un risultato concreto: vincere il nemico, ricostruire una città distrutta dal terremoto, superare un’epidemia.

A tal fine osservare delle norme generali può essere d’impedimento (e spesso lo è). Anche nella tranquilla prima Repubblica italiana i commissari nominati per il sisma campano-lucano del 1980 avevano il potere di porre in essere ordinanze anche contra legem, col limite dell’osservanza dei principi generali dell’ordinamento giuridico[4] allo scopo di soccorrere le popolazioni terremotate. In una situazione normale un simile potere, peraltro conferito ad un organo amministrativo straordinario, sarebbe considerato – ed è – incostituzionale,  essendo l’Italia uno Stato legislativo-parlamentare.

Consegue da ciò che, in qualche misura il funzionario (inteso lato sensu) incaricato di superare l’emergenza oltre che a non essere più vincolato alla norma, e così un mero esecutore della norma (perché ne può – almeno in parte – farne a meno e porne di nuove), ha minore bisogno anche delle doti professionali relative. Scrive Max Weber che “il tipico detentore del potere legale… mentre dispone e insieme comanda, da parte sua obbedisce all’ordinamento impersonale in base al quale prende le sue prescrizioni…”[5] e prosegue “le categorie fondamentali del potere razionale sono pertanto: a) un esercizio continuativo, vincolato a regole di funzioni d’ufficio…”. “Le regole secondo le quali si procede possono essere regole tecniche oppure norme”[6]. Invece, nell’emergenza, l’importanza delle regole e della loro osservanza passa in secondo piano, al punto di poter rivelarsi d’impaccio al raggiungimento dello scopo. E così consigliare il conferimento di un generale potere di deroga (v. anche art. 25 D.lgs. 1/2018). L’antico detto di Publilio Siro divenuto una massima giuridica (da Graziano a Santi Romano): necessitas non habet legem sed ipsa sibi facit legem, è ancora diritto vivente ed applicato. La necessità è come la guerra secondo Clausewitz: dove sono i nemici ad imporsi mutualmente legge. Così è la necessità a determinare le misure opportune a contrastarla.

Se quindi è di nessuna utilità (nel migliore dei casi) l’applicazione della legge, l’essere doctor in utroquo jure (diverso – in parte – è per le regole di altro genere) quali sono le doti più adatte a fronteggiarla? Coraggio, propensione al rischio, audacia hanno indubbiamente un ruolo accresciuto. E la virtù machiavellica?

Machiavelli tiene la virtù in grande considerazione, al punto da attribuirle il potere di piegare la fortuna (batterla); in particolare nelle situazioni di crisi, quando le cose peggiorano “Scrive Machiavelli nei capitoli VI e XXVI del Principe che occorreva che gli Ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell’Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perchè potesse rifulgere la “virtù” di grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro”[7]. Alla virtù è connotato essenziale (anche) la capacità di prevedere, oltre quella di decidere e comandare. Come scrive Fusaro “Si fronteggiano così, nel pensiero di Machiavelli, due forze gigantesche, la fortuna incostante , volubile , e la virtù umana , che è in grado di contrastarla, imbrigliarla, impedirle di far danno, piegarla ai propri fini. La “virtù” di cui parla Machiavelli è quindi un complesso di varie qualità: in primo luogo la perfetta conoscenza delle leggi generali dell’agire politico… in secondo luogo dalla capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo in base ad esse i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni, il mutare dei rapporti di forza, l’incidenza degli interessi dei singoli ; infine la decisione, l’energia, il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è disegnato: la “virtù” del politico è quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche , che conferma che nel pensiero machiavelliano teoria e prassi non vadano mai disgiunte”. A metà del secolo scorso un acuto giurista tedesco, Ernst Forsthoff scrisse un breve saggio su “Lo Stato moderno e la virtù”, facendo il punto sull’importanza (o meno) della virtù nello Stato costituzionale del XX secolo. Notava Forsthoff (che non considera il pensiero di Machiavelli e il di esso concetto di virtù, ma prende in esame quello di Platone ed Aristotele) che nel pensiero classico (cioè fino al XVIII secolo) era considerata la virtù (v. Montesquieu) nella dottrina dello Stato “Solo nel periodo più recente, certo come chiara ripercussione della rivoluzione francese, la dottrina dello Stato ha preso una via che l’allontanò dalle qualità umane e per conseguenza anche dalla virtù… Come dottrina del sistema istituzionale e funzionale dello stato, la moderna dottrina dello stato non considera più l’uomo… Essa è divenuta una dottrina dello stato senza virtù”. Dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, l’attitudine è cambiata ma “Per quanto sia importante collegare di nuovo la concezione dello stato alle qualità umane, ed in particolare alla virtù… è impossibile ignorare o cancellare con un colpo di penna due secoli di continua evoluzione”[8] (coincidenti con il XIX e, in parte, il XX secolo). Lo Stato di diritto del positivismo giuridico classico sarebbe stato impossibile senza l’alto livello di virtù specifiche della burocrazia professionale tedesca, la quale era il “vero legislatore” del Reich bismarckiano. Ovviamente tra virtù del Segretario fiorentino e quella che Forsthoff vede nella burocrazia del Secondo Reich c’è poco in comune. Quest’ultima è assai prossima a quella individuata da Max Weber nell’etica del funzionario.

Ma è altrettanto sicuro che anche lo Stato moderno non può fare a meno della virtù, come scrive Forsthoff: “il vero problema dello stato di diritto di fronte all’attuale sfacelo etico e morale, e così la nostra riflessione sbocca nella problematica attuale della teoria dello Stato moderno… uno stato le cui funzioni devono inevitabilmente aumentare in misura notevolissima, può evitare a lungo andare la intensificazione della coazione solo rafforzando la virtù – sia la sua che quella dei suoi cittadini. Solo uno stato moderno sostenuto dalla virtù può essere uno stato liberale”.

E tanto meno può prescinderne nelle situazioni d’emergenza e da una virtù che va coniugata più alla concezione machiavellica che a quella “classica”. E ne serve tanta. Per cui pensare che uno Stato sgangherato come la Repubblica italiana, governato nell’ultimo trentennio da élite decadenti possa farne a meno è del tutto incredibile. Ancor più se gli apparati sono sempre gli stessi. Come scriveva Machiavelli dei principi italiani suoi contemporanei non avendo previsto né avuto sentore degli impeti della fortuna, non dovevano accusare questa, ma la loro ignavia[9].

[1] Due passi – tra i tanti delle opere di Machiavelli – descrivono gli  aspetti ricordati. Il primo è quello notissimo del cap. XXV del Principe col paragone della fortuna al “fiume rovinoso” e della virtù ai “ripari ed argini” che lo possono evitare o limitare i danni; l’altro nel cap. XX quando discorre della grandezza dei governanti “Senza dubio e principi diventano grandi quando superano le difficultà e le opposizioni che sono fatte loro; e però la fortuna, maxime quando vuole fare grande uno principe nuovo, il quale ha maggiore necessità di acquistare reputazione che un ereditario, gli fa nasce de’ nemici e fagli fare delle imprese contro, acciò che quello abbi cagione di superarle e, su per quella scala che gli hanno porta li inimici suoi, salire più alto”; onde la fortuna può diventare un’occasione favorevole.

[2] Come scrive nel XXVI capitolo del Principe “B”; è più vero che l’antitesi fortuna/virtù non è solo vista in funzione dell’azione di singoli individui ma anche dei popoli (v. Discorso, II, 1).

[3] V. Il Principe cap. VII.

[4] V. art. 1 D.L. 26/11/1980 n. 776.

[5] Economia e società, Milano 1980, p. 212.

[6] Op. cit., p. 213.

[7] V. D. Fusaro Nicolò Machiavelli in rete.

[8] E prosegue “Il superamento di una dottrina dello stato, impantanata nel formalismo e nel funzionalismo, è possibile solo sulla base di un’analisi di questa evoluzione e della situazione creatasi con essa… La constatazione che la dottrina dello stato ha perduto, nel secolo XIX, il contatto con le qualità umane, ed in particolare con la virtù, non implica naturalmente che anche la virtù sia assente dagli ordinamenti degli stati… Essa è impensabile senza una certa dose di virtù. Lo stesso vale per il diritto – inteso nel suo vero significato etico. L’emancipazione del positivismo giuridico dal diritto (inteso in questo senso) e l’emancipazione della dottrina dello stato dalla virtù sono strettamente connesse fra loro”.

[9] V. “Pertanto questi nostri principi, e quali erano stati molti anni nel loro principato, per averlo dipoi perso non accusino la fortuna, ma la ignavia loro: perché, non avendo mai ne’ tempo quieti pensato ch’e’ possino mutarsi – il che è comune difetto degli uomini, non fare conto nella bonaccia della tempesta” (v. Principe, cap. XXIV).

La Francia tra l’Edipo algerino e quella dei decoloniali, di Bernard Lugan

 

Quando l’ingustizia e la sopraffazione diventano un alibi per giustificare la propria esistenza e protrarre la propria agonia_Giuseppe Germinario

Il “sistema” algerino e i “decoloniali” accusano la Francia di essere responsabile dei loro problemi. Un atteggiamento edipico già ben descritto a suo tempo da Agrippa d’Aubigné quando scrisse che:

“Il cadavere della Francia si sta decomponendo sotto gli occhi di due bambini: il primo è un criminale e il secondo un parassita. Uno è rivolto alla morte e l’altro alla devastazione. ”

Nel gennaio 2021, un giornalista algerino, rilanciato compiacentemente dai media francesi, ha persino chiesto un risarcimento alla Francia per il “saccheggio” del ferro “algerino” che, secondo lui, sarebbe stato utilizzato per realizzare la Torre Eiffel !!!

Tuttavia, come ha mostrato Paul Sugy, i pezzi che compongono il monumento emblematico sono stati fusi in Lorena, nelle acciaierie di Pompeo, dal minerale di ferro estratto dalla miniera di Lurdres, anch’essa situata a Meurthe-et-Moselle …

L’affermazione tanto esorbitante quanto surrealista di questa borsa di studio del “Sistema” algerino non è la follia di un miniato. Al contrario, fa parte di una strategia di richieste eccessive intese a ottenere scuse, quindi riparazioni “dure e veloci” dalla Francia.

Tuttavia, bisogna vedere che, fino all’arrivo al potere di François Hollande, la posizione algerina era stata relativamente “mantenuta”. Né Georges Pompidou, né Valéry Giscard d’Estaing, né François Mitterrand, né Jacques Chirac né Nicolas Sarkozy avrebbero accettato tali richieste di scuse. Tuttavia, tutto è cambiato con le dichiarazioni irresponsabili di François Hollande seguite da quelle di Emmanuel Macron sul tema della colonizzazione. Da lì, essendosi autoumiliata la Francia, l’Algeria si è trovata quindi in una posizione di forza per pretenderne sempre di più. Tanto più che messo alle strette dalla strada, pur essendo in gioco la sua sopravvivenza, il “Sistema” algerino ha solo due mezzi per cercare di deviare la marea della protesta popolare che minaccia di prevalere:

1) Attacco al Marocco, come nel 1963, quando la “Guerra delle Sabbie” gli permise di mettere da parte la rivolta Kabyle. Ma, con il Marocco, che si strofina contro di esso …

2) Niente del genere con il cappone francese i cui attuali leader non osano ricordare ai loro omologhi algerini che nel 1962, la Francia “madre generosa”, lasciò in eredità alla sua “cara Algeria” secondo l’espressione del compianto Daniel Lefeuvre, un’eredità composta da 54.000 chilometri di strade e binari (80.000 con binari sahariani), 31 strade nazionali di cui quasi 9.000 km asfaltate, 4.300 km di ferrovie, 4 porti attrezzati a standard internazionali, 23 porti sviluppati (di cui 10 accessibili a grandi cargo e di cui 5 che potrebbero essere serviti da navi di linea), 34 fari marittimi, una dozzina di aeroporti principali, centinaia di strutture ingegneristiche (ponti, gallerie, viadotti, dighe, ecc.), migliaia di edifici amministrativi, caserme, edifici ufficiali, 31 idroelettrici o centrali termiche, un centinaio di importanti industrie nell’edilizia, metallurgia, cemento, ecc. dic scuole, istituti di formazione, scuole superiori, università con 800.000 bambini iscritti a 17.000 classi (cioè altrettanti insegnanti, due terzi dei quali francesi), un ospedale universitario da 2.000 posti letto ad Algeri, tre grandi ospedali della capitale ad Algeri, Orano e Costantino , 14 ospedali specializzati e 112 ospedali polivalenti, l’eccezionale cifra di un letto ogni 300 abitanti. Per non parlare del petrolio scoperto e messo in funzione dagli ingegneri francesi. Nemmeno un’agricoltura fiorente è rimasta incolta dopo l’indipendenza, a tal punto che oggi l’Algeria deve importare anche concentrato di pomodoro, ceci e persino semola di cuscus …

Tutto ciò che esisteva in Algeria nel 1962 era stato pagato con le tasse francesi. Nel 1959, l’Algeria ha così assorbito il 20% del bilancio statale francese, vale a dire più dei bilanci combinati di istruzione nazionale, lavori pubblici, trasporti, ricostruzione e alloggi, industria e commercio! E tutto ciò che la Francia ha lasciato in eredità all’Algeria era stato costruito dal nulla, in un paese che non era mai esistito da quando era passato direttamente dalla colonizzazione turca alla colonizzazione francese. Anche il suo nome gli era stato dato dalla Francia …

L’atteggiamento dei “decoloniali”, da parte sua, nasce da un complesso edipoesistenziale accoppiato con una dose di schizofrenia.

Secondo loro, la Francia, che li accoglie, li nutre, li veste, li accudisce, li ospita e li educa, è una nazione “geneticamente schiava, razzista e colonizzatrice”, in cui i discendenti dei colonizzati sono in una situazione ”, cioè di” dominato “. Da qui la loro cosiddetta “emarginazione”. A questa affermazione di vittimismo si aggiunge un sentimento vendicativo e conquistatore, ben riassunto da Houria Bouteldja, una delle figure di spicco di questa corrente:

“La nostra semplice esistenza, unita a un peso demografico relativo (da 1 a 6) africanizza, arabizza, berberizza, creolizza, islamizza, i neri, la figlia maggiore della Chiesa, una volta bianca e immacolata, come sicuramente lucidano il sacco e le onde del surf e ripulire i blocchi di granito con pretese di eternità (…) ”.

Autenticamente francofobici, odiando la Francia, i “decoloniali” rifiutano quindi tutto ciò che è connesso ad essa. Hafsa Askar, vicepresidente del sindacato studentesco UNEF, ha scritto il 15 aprile 2019, il giorno del suo incendio:

“Non mi interessa Notre-Dame de Paris, perché non mi interessa la storia della Francia … Wallah … non ce ne frega niente (traduzione: combattiamo la c …), oggettivamente, è il tuo delirio di piccoli bianchi.

Tuttavia, esprimendo il loro risentimento e il loro odio per la Francia nella lingua dell’odiato “colono”, e affermandosi intellettualmente attraverso i suoi riferimenti filosofico-politici, i “decoloniali” hanno un atteggiamento schizofrenico …

Tuttavia, non c’è il minimo paradosso di questi adulatori il cui “pensiero” è germogliato sul suolo filosofico della rivoluzione del 1789. Attaccando frontalmente, e in modo edipico, i dogmi dei loro genitori – “valori della Repubblica” , “diritti umani”, “convivenza” e “secolarismo” – i “decoloniali” hanno infatti polverizzato il quadro dottrinale e morale di questa sinistra universalista che, per decenni, è stata il vettore della decadenza francese. Poiché non sopravviverà alla morte della sua ideologia e dei suoi “valori fondanti”, qui lascia gradualmente la storia, aprendo così la strada a un cambio di paradigma.

Spetta ai portatori di forze creative cogliere questa storica opportunità!

– Per la critica alla storia ufficiale dell’Algeria scritta dall’FLN e da Benjamin Stora, faremo riferimento al mio libro Algeria, la storia sottosopra .

– Per l’analisi e la confutazione dell’ideologia “decoloniale” si consulti il ​​mio libro Responding to the decolonials, the islamo-leftists and the terrorists of pentance .

1 120 121 122 123 124 176