Stellar Blade smuove il vespaio DEI, di SIMPLICIUS

Stellar Blade risveglia il vespaio DEI

Di solito non mi occupo di giochi, né li gioco da molto tempo, ma tengo d’occhio gli sviluppi e le tendenze recenti sono state estremamente rivelatrici di una striscia oscura che attraversa il settore. È particolarmente importante per il modo in cui si sovrappone ai movimenti di ingegneria culturale che stanno mettendo in crisi la società. Il motivo è ovvio: dietro a tutto questo ci sono sempre gli stessi attori. BlackRock e altri.

L’ultima controversia che ha coinvolto il mondo dei videogiochi riguarda un gioco per Playstation 5 chiamato Stellar Blade. La controversia ruota principalmente attorno al fatto che il personaggio giocabile, Eve, è reso in un modo presumibilmente maschilista e “misogino”, che si dice oggettivizzi le donne.

Per prima cosa, in modo che possiate farvi un’idea dell’argomento, permettetemi di presentarvi Eve:

Tutte le pubblicazioni del “regime”, come Kotaku, hanno iniziato a criticare il gioco per la sua rappresentazione eccessivamente realistica e, per così dire, “gigionesca” delle forme femminili. Un redattore senior della francese IGN, probabilmente la più grande testata “giornalistica” di videogiochi, ha dichiarato apertamente che il gioco potrebbe essere responsabile del suicidio delle donne, oltre che dei loro omicidi:

Ma il problema è che la moglie del regista del gioco, Kim Hyung-tae, è l’artista principale del progetto:

Questo per quanto riguarda quello sguardo maschile.

E il doppio smacco? Il movimento wok si è infuriato dicendo che il gioco sta promuovendo standard di bellezza “irrealistici” per i corpi femminili. Ma il personaggio principale è stato letteralmente scansionato in 3D da un modello coreano di nome Shin Jae-eun.

Eccola nello studio mentre viene scansionata:

I fan hanno preso in giro l’ipocrisia di aziende come Sony che perdonano apertamente altri titoli con scene di sesso o oscenità, mentre inspiegabilmente tirano le redini sul sex appeal relativamente pedonale di Stellar Blade :

La cosa più scioccante è che la stampa videoludica ha mostrato la propria palese ipocrisia durante questo episodio. Kotaku, un’altra importante rivista di videogiochi, ha apertamente sbandierato la sessualizzazione dei personaggi e delle trame della nuova serie Fallout di Netflix, mentre derideva la cosiddetta disumanizzazione delle donne in Stellar Blade:

L’ostile redattore senior di Kotaku, Radfem, è andato all’attacco:

Ma in un altro colpo di sfrenata ipocrisia, i principali punti vendita di gioco come Kotaku stanno spingendo pesantemente un altro nuovo gioco chiamato Hades II , che sessualizza ancora più apertamente i suoi personaggi, ma lo fa nella modalità accettata :

Noterete che l’articolo di Kotaku qui sopra è scritto dallo stesso “senior editor” caduto in disgrazia. Si noti anche la donna poco vestita e totalmente oggettivizzata sulla sinistra, che è stranamente accettabile.

Ma cos’è che rende questa voce così gradita alla plebaglia woke? La sua “diversità” e “rappresentanza”. Vedete, quella lì sulla sedia a rotelle è una persona di colore obesa, cioè con difficoltà motorie, non cisetta, probabilmente gender-fluid. Sì, ha tutte le carte in regola per combattere la buona battaglia contro l’abilismo e ogni altro -ismo e -fobia. Per non parlare del semidio dalla barba verde e bisessuale che non sarebbe fuori posto sul carro della Pride Parade locale.

In effetti, il redattore di Kotaku si schiera apertamente a favore dell'”inclusione” nel gioco di “twinks, orsi, mamme dominatrici, papà spaventosi…” e di qualsiasi altra degenerazione che possa stuzzicare la vostra fantasia:

E una redattrice di Gamespot di nome Jessica Cogswell è stranamente a favore dei lavoratori del sesso e dei diritti di liberazione totale delle donne, tranne quando si tratta di donne cisgender tradizionalmente belle, come in Stellar Blade:

Quando si è trattato di Stellar Blade, lo stesso editore ha avuto questa reazione insolita e totalmente fuori dal personaggio:

Vedete, si scopre che i media che includono contenuti sessuali volgari vanno benissimo finché giurano fedeltà agli dei DEI e i cui fan e creatori si sottomettono ai guardiani responsabili dei nostri mandati culturali.

Questo gioco di Ade è considerato accettabile perché promuove una ristretta finestra di Overton di prospettive razziali e sessuali accettabili, che includono personaggi il cui colore della pelle è – come sempre – rappresentato in un guazzabuglio grigio-marrone di ambiguità etnica e razziale:

L’oscuro segreto che quest’ultima controversia ha portato alla luce è che l’intero settore dei giochi è stato lentamente portato sotto la punta di lancia di aziende oscure come quella chiamata Sweet Baby Inc. , specializzata nella “consulenza” dei DEI a tutti i principali studi di giochi AAA. Un’intera scuderia di tali aziende si fa strada silenziosamente nel settore, rimodellando le trame stesse e i requisiti di razza/sesso dei titoli amati.

Il modo in cui lo fanno è complesso, ma l’ex sviluppatore di giochi Blizzard Mark Kern ha spiegato che queste società agiscono come mediatori tra interessi finanziari più grandi che spingono ESG, ovvero BlackRock e co. Come ci si può aspettare, questi fondi ESG sono accompagnati da “vincoli”:

Mark Kern spiega come il denaro ESG viene fornito con vincoli all’interno delle aziende e viene utilizzato per far sì che le aziende collaborino con società di consulenza DEI come Sweet Baby Inc:

“Tutti devono rendersi conto che non è che questi studi stiano finanziando i giochi di tasca propria; sarebbe molto costoso per loro. Il contante è fondamentale. Preferibilmente andranno a prendere denaro da altre fonti se abbastanza economiche da aiutare a diffondere il rischio di questi titoli enormi; quindi si verificano un sacco di quid pro quo. Posso dirti che gli sviluppatori si sono avvicinati a me per darmi informazioni dettagliate su ciò che sta accadendo, e ci sono accordi di finanziamento là fuori per gli studi – non posso essere troppo specifico; non voglio rivelare le fonti – che hanno determinati vincoli, come se un’azienda firmasse improvvisamente con uno sviluppatore e ora lo sviluppatore deve assumere un direttore del DEI e deve uscire e assumere società di consulenza per l’equilibrio di genere.” 

“Il loro personale esce specificatamente e assume aziende come SBI (Sweet Baby Inc) per consulenze sui loro scritti e per effettuare letture di sensibilità e modifiche per questo, e ciò che fa, tutto questo fa, aumenta il loro punteggio ESG. Permette loro di accedervi finanziamenti, quindi i criteri ESG non scompariranno del tutto.”

“[ESG] è diventato un marchio malvagio. Le persone si stanno rendendo conto di questo… Hai un rebranding in corso proprio adesso. Non lo chiamano ESG, ma è ancora là fuori.”

È qui che la saga prende una svolta oscura.

Ma prima riassumiamo: secondo Mark Kern e altri addetti ai lavori, i grandi titoli tripla AAA richiedono un sacco di soldi per essere realizzati nell’industria dei videogiochi, e questo denaro arriva per volere di speciali società intermediarie che offrono un servizio quid-pro-quo che essenzialmente dà agli sviluppatori di giochi un’opzione: introducete queste modifiche DEI nel vostro gioco, e noi possiamo mettervi in contatto con mega-investitori per sovvenzionare gli esorbitanti costi di sviluppo iniziali.

Ecco un altro esempio di un’altra società di “consulenza” chiamata GaymerX. Se non avevi indovinato, sono specializzati nella consulenza agli sviluppatori sull’inclusività in particolare sui contenuti LGBTQIA+:

E se vi state chiedendo come fanno queste società a convincere gli sviluppatori di videogiochi ad attuare questi cambiamenti spesso drastici di “inclusività”, la cofondatrice dell’ormai vituperata Sweet Baby Inc. ha reso apertamente omaggio ai suoi metodi:

Nel caso in cui fosse troppo estremo per crederci, puoi guardarlo tu stesso:

Quindi, come sempre, il metodo è la paura. Si basano sulla paura del contraccolpo dei soliti shibboleth culturali avvelenati: gli -ismi, gli -isti e simili. L’implicazione è che se non attuate i nostri diktat totalitari di riforma della cultura, sarete pubblicamente tacciati come razzisti, misogini, omofobi, transfobici, abili e così via.

E la cosa più grave è che quando questi metodi tirannici vengono messi in discussione o generano il contraccolpo previsto, i sinistri portatori reagiscono con un’ostilità immediata e sfrenata:

Ma se pensavate che il precedente fosse negativo, le cose si fanno molto più oscure.

Presumibilmente per volere di questi intermediari, gli sviluppatori di giochi vengono costretti ad apportare ai loro giochi modifiche che possono essere descritte solo come spaventose modifiche di ingegneria sociale. Nel caso di Stellar Blade, la situazione si è trasformata in una sottile battaglia ideologica. Ma nel caso di molte altre proprietà, l’intento è stato netto.

Prendiamo ad esempio l’ultimo aggiornamento di Pokemon Go. I fan sono in tumulto per l’improvvisa serie di cambiamenti radicali apportati ai loro personaggi. Ma bisogna vedere i cambiamenti per capire fino a che punto gli ingegneri sociali e culturali stiano spingendo le cose.

Ecco una serie di screenshot di giocatori indignati che mostrano i loro avatar ridisegnati in modo sgradito e indesiderato: guardate con attenzione e vedete se notate qualcosa:

Se avete notato che tutte le caratteristiche femminili sono state rimosse e trasformate in una strana androginia malata e detronizzante, avete ragione. Fianchi e curve appiattiti, vita ispessita, braccia allungate, postura mascolinizzata con una sorta di spavalderia ingobbita e con un braccio ad arco, per non parlare del fatto che il seducente e femminile busto unico è ridotto a un’ambigua sporgenza mascolina che ha lo strano e scomodo aspetto medicalizzato dell’anedonia indotta da SSRI.

In breve: tutti i personaggi sono stati realizzati per rappresentare, o meglio, promuovere un tipo di corpo trans.

Anche le mascelle non erano al sicuro:

Sono spariti i menti affilati femminili, per essere sostituiti da mascelle a forma di lanterna.

Nemmeno i maschi sono stati risparmiati, i loro fisici sono stati sostituiti da morbidezze estrogenate e volti lesbici:

Ricordate quando tempo fa il porno trans aveva improvvisamente iniziato a conquistare tutte le principali categorie di siti Hub in un modo che sembrava estremamente forzato e innaturale, come se stessero cercando di convertire i gusti degli spettatori? E di come questo coincidesse così convenientemente con tutte le altre offensive della guerra culturale “di sinistra” che cercavano disperatamente di colpevolizzare le persone etero-cisgender che non trovavano attraenti i trans, definendole transfobiche per aver rifiutato di uscire con i trans e grassofobiche per avere una preferenza innata per le persone magre?

E ricordate quando le persone che denunciavano questi sviluppi come inorganici e costruiti venivano chiamate teorici della cospirazione, nonostante le prove schiaccianti che un gruppo di ingegneri sociali transnazionalisti sta lavorando attivamente per rifare la società nella loro visione dell’utopia kalergiana?

E ricordate quando una nuova indagine con telecamere sotto copertura ha recentemente rivelato che i dipendenti di Pornhub hanno ammesso in un filmato di aver segretamente indirizzato a letterali preadolescenti il porno gay/transgender per la ragione dichiarata di “aprire i loro gusti”, dimostrando totalmente che i “teorici della cospirazione” avevano ragione?

Il dipendente Dillon Rice, sceneggiatore senior dell’azienda, sostiene che l’uso della pornografia potrebbe essere vantaggioso per i preadolescenti. “Diciamo che hai 12 anni, stai ancora cercando di capire la tua sessualità, forse anche il tuo genere, non sarebbe utile vedere non una celebrazione ma forse solo una… normalizzazione di qualcosa che pensi sia quello che vuoi?” ?” Si vede il riso dire. 

La Rice ha continuato facendo riferimento specificamente a un sito pornografico incentrato su individui transgender, sottolineando: “Diciamo che avevo 12 anni e ho visto TransAngels… mi aiuterebbe a capire cosa mi piace e cosa non mi piace”.

Michael Knowles ovviamente ha notato correttamente:

Knowles ha affermato che il tentativo di orientare i gusti sessuali degli spettatori va contro uno degli argomenti fondamentali emersi dalla rivoluzione sessuale. “La cosa più scioccante per me è che per tutta la mia vita ci è stato detto dalla sinistra, dai sostenitori della pornografia, dai rivoluzionari sessuali, che il desiderio sessuale è innato e immutabile”, dice Knowles. “Nessuno diventa gay o bisessuale”.

C’è qualche sorpresa allora?

Ecco l’amministratore delegato di un altro studio di videogiochi che esemplifica la diffusione virulenta dell’ideologia nel settore dei giochi:

Alla luce di quanto sopra, in quale altra luce potremmo leggere i recenti sforzi di gruppi oscuri per indirizzare l’industria dei videogiochi per adolescenti a rivedere completamente i propri standard di bellezza e identità e persino le preferenze di attrazione?

Ma non finisce qui:

Microsoft esorta gli sviluppatori a non creare personaggi femminili con “proporzioni corporee esagerate” sul loro sito ufficiale per supportare gli sviluppatori di giochi. Il sito, intitolato “Product Inclusion Action: Help Customers Feel Seen” comprende un elenco puntuale di considerazioni che gli sviluppatori sono invitati a fare quando lavorano ai loro prodotti. 

 Un utente di Twitter ha sottolineato che il linguaggio condanna espressamente alcuni personaggi femminili in quanto rafforzano gli “stereotipi di genere negativi”.

Ancora più illuminante è il fatto che il suddetto rapporto Microsoft sembra ancora una volta affidare il proprio incarico a un “istituto” specializzato nella traduzione dei mandati del DEI dall’“alto” fino al livello delle politiche degli sviluppatori. Una delle critiche di questa azienda prende di mira addirittura il classico “viaggio dell’eroe” in quanto dannosamente non inclusivo:

Ma in realtà ciò che questi recenti sviluppi hanno rivelato è un complotto sempre più nefasto per cambiare completamente la percezione della fascia demografica dei giocatori nei confronti della sessualità e dell’identità. I giocatori hanno notato che negli ultimi anni i titoli tripli AAA hanno imposto sostituzioni sempre più perverse dell’immagine fisica degli archetipi dei personaggi più comuni e attesi.

Ad esempio, proprio come il suddetto decreto di Microsoft implora gli sviluppatori di evitare personaggi eccessivamente femminili – ingenuamente espressi con l’ingannevole eufemismo “curvy” – così anche gli studi cinematografici sono costretti a eliminare completamente gli “standard di bellezza”, in particolare quando si tratta di donne. I personaggi principali femminili non possono più apparire femminili o “classicamente belli”.

L’esempio più offensivo è quello del prossimo sequel/reboot di Fable, un gioco della Microsoft XBox, che presenta un personaggio principale “femminile” che ha confuso e indignato i fan della serie:

Ovviamente androgina, se non proprio trans; verificare.

Razzialmente ambiguo; verificato.

Seno piatto e corporalmente de-femminilizzato; check.

I fan scontenti hanno utilizzato un software speciale per riportare il personaggio agli standard glamour precedentemente accettati:

Alcuni hanno addirittura scoperto che quando rimuovi digitalmente i “suoi” lunghi capelli, diventa più che ovvio che “lei” è davvero un “lui”:

Per la cronaca, il trailer del gioco è stato ampiamente riportato su YouTube:

Sì, è ancora possibile vedere le antipatie con una speciale estensione del browser.
In effetti, sono circolate immagini di compilation popolari che mostrano molte delle protagoniste femminili più iconiche dei giochi degli studi tripla AAA degli ultimi anni – notate una tendenza?

In effetti, alle donne è ora consentito occupare esclusivamente uno spazio nello spettro grottescamente poco attraente e poco femminile; questo è ciò che si ottiene con i soldi di ESG/DEI al giorno d’oggi.

La domanda è sempre la stessa: PERCHÉ?

Perché ne abbiamo bisogno? Chi si vuole tranquillizzare? Per coccolare la più piccola minoranza della società dobbiamo alienare totalmente la grande maggioranza, che include il pubblico pagante per il gioco vero e proprio? Non si suppone che “inclusivo” significhi includere tutti? Eppure si è trasformato nel coccolare la più piccola minoranza vocale escludendo tutti gli altri dalla conversazione. Non servono altre prove per dimostrare che l'”inclusività” non è altro che un cavallo di battaglia fraudolento per un’operazione di ingegneria sociale senza precedenti, coordinata dalle più alte cariche delle istituzioni finanziarie e politiche globali.

Il virus dell’ideologia si è ora diffuso in alcune delle più note e amate proprietà intellettuali del mondo del gioco. Nelle ultime settimane, le polemiche hanno investito l’industria e persino la serie Warhammer 40k ne è stata vittima:

È emerso che un famoso gruppo di truppe esclusivamente maschili, chiamato Adeptus Custodes, è stato improvvisamente ritrasformato in un gruppo di donne. Ma invece di ammettere semplicemente che si tratta di cambiamenti necessari per stare al passo con i tempi moderni, gli sviluppatori hanno offensivamente gassato il loro pubblico di riferimento – come sempre accade, a quanto pare – fingendo che le donne siano sempre state accettate e apportando persino modifiche silenziose alla storia originale, sperando che nessuno se ne accorga.

Ad esempio, la Confraternita dei semidei è diventata silenziosamente l’Ordine dei semidei:

E come è ormai prassi, i guardiani e i monitori affiliati alla serie sono ricorsi a colpire e allontanare la loro base di giocatori con i soliti -ismi, -femmine, ecc. o, in questo caso, a diffamarli come bigotti:

La tempesta di fuoco ha rivelato una serie di dettagli scomodi sui possessori di Warhammer:

Fortunatamente, le pratiche offensive sembrano aver colpito i profitti del creatore di Warhammer:

Ma la sinistra epidemia si è diffusa in lungo e in largo anche ad altre amate IP come Battletech – casa della serie Mechwarrior – che sembra essere stata catturata da “gruppi di interesse speciale”, come li chiamerò caritatevolmente:

Nel frattempo, in Cina gli standard promossi sono leggermente diversi:

L’Occidente continua semplicemente a spingere questa indesiderata malattia DEI sulla società:

È chiaro che, come sempre, l’agenda è altamente coordinata e si sta diffondendo in modo pestilenziale in ogni angolo del nostro mondo. Gli ingegneri sociali non si fermeranno di fronte a nulla pur di ristrutturare il nostro mondo secondo la loro visione demenziale. Il tutto, ovviamente, è coordinato per un solo scopo: ottenere la frattura delle nostre identità radicate per trasformarci in schiavi tabula rasa riprogrammabili destinati a inaugurare il nuovo domani utopico del WEF. Per chi fosse interessato, ho raccontato le origini di questa crociata sbagliata dalle sue radici qui:

DISPACCI DA BEDLAM CENTRAL

Frattura dell’identità all’altare del transumanesimo

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7 APRILE 2023
Frattura dell’identità all’altare del transumanesimo
La vera era moderna, il bivio che ci ha portato all’attuale campo di distorsione della realtà in cui viviamo, è iniziato nel 2008. Quell’anno diversi eventi chiave hanno cambiato per sempre la traiettoria dell’umanità, a partire dal grande crollo finanziario del 2008, che ha provocato una distruzione sistemica di massa dei sistemi finanziari statunitensi e globali.
Leggi la storia completa

Come sempre, rimanete vigili e sfidate le loro sovversioni, poiché la pratica ha dimostrato che una resistenza fortemente vocale e coordinata può far indietreggiare i DEI-ghouls e farli ricredere sulle loro azioni. Nel caso di Stellar Blade, una campagna vocale da parte dei fan arrabbiati è già riuscita a strappare alcune concessioni allo sviluppatore, almeno per quanto riguarda alcuni abiti censurati imposti all’ultimo minuto al personaggio principale dal distributore della DEI-attivista, Sony.

Se siete interessati a questo argomento, seguite l’ex dirigente del gioco Mark Kern, che è diventato involontariamente il tedoforo e il parafulmine di una delle ultime controversie sulla DEI a causa della sua schietta leadership sull’argomento, respingendo regolarmente le minacce di morte e altri oltraggi da parte della rabbiosa folla Woke armata di forconi. Non solo continua ad aggiornare la situazione di Stellar Blade, ma rimane anche una risorsa e un compendio di prim’ordine sugli sviluppi dell’escalation della guerra culturale del settore videoludico.

Seguitelo qui: https://twitter.com/Grummz


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Il Piano Bezmenov: L’America si trova ora nell’ultima fase? _Di Scott S. Powell

Argomenti interessanti offuscati da ataviche ossessioni_Giuseppe Germinario

4 aprile 2024
Il Piano Bezmenov: L’America si trova ora nell’ultima fase?
Di Scott S. Powell

Il messaggio di benvenuto del presidente Joe Biden per la domenica di Pasqua, pubblicato su X, che recitava: “Oggi, nella Giornata della visibilità transgender, ho un semplice messaggio per tutti i trans americani: Vi vedo…” è stato scioccante. Molti non riuscivano a capire come il giudizio del Presidente potesse essere così distorto nel giorno più sacro per i cristiani.

Per quanto offensiva, questa frase fornisce una finestra attraverso la quale tutti possono vedere ciò che sta accadendo. Poiché il declino cognitivo di Biden è così evidente, ci sono pochi dubbi sul fatto che egli sia usato dai nemici interni ed esterni dell’America, intenzionati a far crollare la Repubblica costituzionale degli Stati Uniti senza sparare un colpo. E non è difficile riconoscere che il piano seguito è parallelo a quello rivelato quarant’anni fa dal disertore sovietico Yuri Bezmenov, che spiegava le quattro fasi della sovversione comunista: 1) demoralizzazione, 2) disorientamento, 3) crisi e 4) normalizzazione.

Gli Stati Uniti sono stati sottoposti a prolungati attacchi interni di demoralizzazione per diverse generazioni, attraverso il sistema educativo e la cultura che hanno trasmesso messaggi che denigrano gli Stati Uniti e deridono i valori tradizionali.

La seconda fase, nota come disorientamento, ha maggior successo dopo che un’ampia porzione della popolazione è stata demoralizzata. Covid-19 ha portato al disorientamento attraverso l’imposizione di maschere, l’allontanamento sociale, le quarantene, le chiusure e l’abbandono delle migliori pratiche mediche di trattamenti preventivi e terapeutici. Un’altra parte importante del disorientamento inflitto all’America in quel periodo è stato il razzismo generato dalla morte di George Floyd, che ha scatenato rivolte, saccheggi e distruzione di proprietà per diversi miliardi di dollari e l’abbattimento di statue e monumenti storici in molte città degli Stati Uniti.

Ad accrescere il disorientamento degli americani in quel periodo fu il fatto che per settimane nessuno sembrò in grado di fare qualcosa contro i disordini, l’illegalità e la distruzione in atto nelle grandi città americane. Ci furono pochi arresti, mentre circa 1.000 agenti di polizia furono feriti e 33 uccisi. Allo stesso tempo, le città con il maggior numero di illegalità, come Minneapolis, Seattle, New York, Los Angeles, Chicago, Philadelphia e Baltimora, hanno avviato iniziative per ridurre i fondi destinati alla polizia e alle forze dell’ordine.

Quando nulla ha senso, il messaggio subliminale è: “Questa non è l’America che conoscete, è un nuovo mondo in cui siete entrati”. Si tratta di uno stato di disorientamento di massa in un periodo di relativa pace che gli americani non hanno mai sperimentato.

La fase che segue il “disorientamento” è quella della “crisi”. La fase di crisi sarebbe arrivata nel novembre 2020 con i brogli elettorali. Il fattore paura del contagio di Covid è stato sfruttato dagli operatori democratici che hanno apportato modifiche alle regole elettorali degli swing state, ampliando notevolmente i voti per posta e le urne, che tutti sanno facilitare i brogli elettorali.

Contemporaneamente alle modifiche alle regole elettorali per facilitare il riempimento delle urne, è stata intrapresa una campagna di censura e cancellazione dei social media da parte dell’ONG Election Integrity Project (EIP), con sede all’Università di Stanford, in consultazione con la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA), un’unità del Dipartimento di Sicurezza Nazionale.

L’EIP ha esercitato un’influenza smodata sulle elezioni del 2020 convincendo le principali società di social media come Facebook, Instagram, Twitter, You Tube, Reddit e Pinterest a modificare i termini di servizio dei loro clienti per incorporare un linguaggio sulla “delegittimazione”. Una volta ottenuto questo risultato, secondo Mike Benz, ex responsabile delle politiche di comunicazione del Dipartimento di Stato americano ed esperto di propaganda, la porta sarebbe stata aperta alla censura di massa e alla cancellazione istantanea tramite algoritmi. L’EIP ha quindi esercitato pressioni su tutte le società di social media affinché aderissero alle loro politiche di assistenza clienti e censurassero, cancellassero o deplorassero qualsiasi contenuto che contenesse termini “delegittimati” come: “nuovi protocolli e processi elettorali”, “questioni ed esiti”, “voti per posta”, “voto anticipato”, “urne” e “Antifa”. E quando la storia del laptop di Hunter Biden è scoppiata a metà ottobre 2020, è stata immediatamente delegittimata e tolta da ogni sito di social media.

Alla fine, per ammissione dello stesso EIP, Twitter è stato costretto a cancellare 22 milioni di tweet che contenevano “disinformazione” associata a termini delegittimati che violavano i termini di servizio dell’azienda prima delle elezioni del novembre 2020. Dopo le elezioni, quando molti americani si sono sentiti privati del diritto di voto e hanno avuto molte domande sulle irregolarità percepite, hanno scoperto che i social media hanno efficacemente ostacolato la discussione sui brogli elettorali, ancora una volta facilitata dalla censura e dalla cancellazione di qualsiasi contenuto contenente nuovi termini delegittimati come “Stop the Steal”, “dead voter rolls”, “Sharpiegate”, “manufactured ballots”, “stolen election” e “Postal Service”, per citarne alcuni.

Mentre l’America è ancora nella fase di crisi, alcuni esperti di sovversione sostengono che il regime di censura e di cancellazione che esiste ora fa anche parte dell’ultima e definitiva fase della presa di potere comunista, nota come “normalizzazione”. Se agli americani viene negato l’accesso alle informazioni, si abituano a elezioni truccate, accettano limitazioni alla libertà di parola e acconsentono alla riscrittura della storia facilitata dalla cancellazione e dalla decostruzione del passato, la repubblica costituzionale che era l’America sarà scomparsa e il nuovo mondo del controllo delle élite governative sarà normalizzato. Come avvertì John Adams, il secondo presidente, “La libertà una volta persa è persa per sempre”.

Con le narrazioni informative provenienti da agenzie governative che hanno portali diretti sui social media, combinate con le informazioni e le voci che vengono bloccate, cancellate o deplorate sui social media da ONG come la Election Integrity Partnership, il risultato è un controllo del pensiero orwelliano.

La censura non è solo una violazione del Primo Emendamento e un attacco alla Costituzione. È un tradimento del governo del popolo, dal popolo e per il popolo. Il nostro intero stile di vita è protetto dal Primo Emendamento, che è il muro di protezione contro l’abuso di potere e la tirannia.

Scott Powell è membro del Committee on the Present Danger China e senior fellow del Discovery Institute. Il suo libro senza tempo, Rediscovering America, è stato al primo posto tra le novità di Amazon per otto settimane consecutive. Raggiungetelo all’indirizzo scottp@discovery.org

Immagine: Jakayla Toney

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Freund e Todd tra decadenza e disfatta di civiltà Con Roberto Buffagni Teodoro Klitsche de la Grange

Il tema della decadenza di una civiltà non è nuovo tra politologi e filosofi. Julien Freund ne è un acuto osservatore. La tesi assume contorni più nitidi e chiari a partire da metà ‘800. Al giorno d’oggi appare drammaticamente attuale anche se paradossalmente la percezione risulta più acuta tra le classi popolari e nel ménage quotidiano piuttosto che tra le élites e le classi dirigenti europee e statunitensi, non ostante tale processo stia assumendo le caratteristiche e le dimensioni di una vera e propria catastrofe. Emmanuel Todd lo ha sottolineato con certosina accuratezza. Due autori e due loro testi caduti sotto la lente di osservazione di Roberto Buffagni e Teodoro Klitsche de la Grange. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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https://rumble.com/v4lx43h-freund-e-todd-tra-decadenza-e-disfatta-di-civilt-con-roberto-buffagni-teodo.html

tutto a sinistra, di Michael Watson

È una domanda semplice: Come può essere “Queers for Palestine”, lo slogan sui cartelli di protesta dei manifestanti pro-Palestina (o anti-Hamas)? (L’omosessualità è stigmatizzata e criminalizzata nei territori palestinesi, mentre in Israele è legale e negli spazi laici non è stigmatizzata. In pratica, si preferisce essere gay a Tel Aviv piuttosto che a Khan Yunis).

Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare l’ideologia di funzionamento dell’attivismo di sinistra, che, in mancanza di un termine migliore, potrebbe essere chiamata “Tutto a sinistra”.

Un’ideologia e una struttura

Tutto il sinistrismo opera su due livelli, come ideologia e come struttura istituzionale. Come ideologia, è una corruzione o un derivato dell’intersezionalità. Così come l’intersezionalità considera tutte le identità oppresse come collegate in dimensioni composte, il Tutto-Sinistra considera tutti i problemi del centro-sinistra come collegati in dimensioni composte.

Per la Sinistra Tuttofare, quindi, tutte le questioni sono reciprocamente dipendenti. In quest’ottica, gli interessi delle persone 2SLGBTQI+ negli Stati Uniti dipendono dalla sovranità palestinese, che dipende dalla decarbonizzazione radicale dell’economia, che dipende dall’accesso diffuso all’aborto finanziato dai contribuenti, che dipende dall’apertura di fatto delle frontiere, che dipende da ogni altra questione del manuale progressista.

Come struttura istituzionale, Tutto il Sinistrismo rende operativa questa ideologia negli spazi filantropici e governativi. Le organizzazioni caritatevoli e i gruppi di difesa che cercano il sostegno della Grande Filantropia istituzionale di sinistra saranno spinti ad allinearsi con Tutto a Sinistra non solo su ogni singola questione, ma su tutte , o almeno a tacere sulle questioni su cui non sono allineati. Nel frattempo, dove e quando le amministrazioni allineate con la Grande Filantropia deterranno il potere, useranno la loro discrezionalità nella concessione di sovvenzioni governative, nelle politiche di regolamentazione e nelle decisioni giudiziarie per attuare i principi di Tutto a Sinistra. L’amministrazione Biden ha annunciato e messo in atto una serie di programmi di “governo integrale” legati a tutto il sinistrismo, in particolare per quanto riguarda la diversità, l’equità e l’inclusione (DEI) e il cambiamento climatico.

Tutto il sinistrismo in pratica

Tutto ciò che è di sinistra è molto più facile da vedere che da definire. I gruppi associati a cause di centro-sinistra a volte si limitano a “twittarlo”, con grafici nel tipico stile pastello corporativo-liberale che dimostrano come tutte le questioni siano reciprocamente dipendenti.

Considerate la seguente immagine della Drug Policy Alliance, un gruppo per la legalizzazione delle droghe legato a George Soros e finanziato da lui e da numerosi altri importanti finanziatori istituzionali liberali:

Credito: Drug Policy Alliance. Fonte: https://twitter.com/DrugPolicyNerds/status/1742991582075494542.

A volte gli elenchi di temi di gruppi che si suppone siano monotematici mostrano le profondità di tutto il sinistrismo. Il Sunrise Movement è apparentemente un gruppo di campagna per un taglio immediato e severo delle emissioni di carbonio per fermare la presunta “crisi climatica”. Ma la sua lista di “richieste” include “posti di lavoro sindacali per tutti”, “abolire la polizia” e “garantire che le comunità indigene abbiano risorse adeguate e siano sicure”. Il Sunrise Movement sostiene che queste posizioni di sinistra sono intrinseche alla sua missione ambientale, ma in realtà sono estranee.

Nello spazio sindacale, questo è il motivo per cui la United Auto Workers (UAW), spinta a scioperare in parte a causa delle conseguenze del passaggio alla produzione di veicoli elettrici guidato dalla guerra alle auto dei governi americani e internazionali, sostiene la “giusta transizione” dai carburanti convenzionali. I sindacati sono stati per molti versi i pionieri del “sindacalismo di giustizia sociale“. Dopo che John Sweeney, un membro dei Democratic Socialists of America (DSA) allineato con i sindacati dei lavoratori pubblici e con la sinistra radicale del sindacalismo, ha sostituito il regime di centro-sinistra Truman-LBJ di George Meany-Lane Kirkland all’AFL-CIO negli anni ’90, hanno trasformato le loro casse finanziate dalle quote sociali in salvadanai generici per i movimenti economici e sociali di sinistra.

In un certo senso, la politica intersezionale di tutta la sinistra del DSA ha sostituito la vecchia politica industriale di Meany, Kirkland e del loro predecessore di fine Novecento Samuel Gompers. Queste politiche di classe industriale possono essere state di sinistra – hanno dato all’America il Movimento Progressista, il New Deal e la Great Society, che avevano tutti molti problemi politico-economici. Ma erano anche patriottici e riconoscibilmente americani nel loro liberalismo, come dimostra la resistenza di Gompers ai socialismi europei del suo tempo e il lavoro del regime Meany-Kirkland contro il comunismo internazionale durante la Guerra Fredda. Ma nella nuova era post-Sweeney, il Big Labor si è unito agli Everything Leftists, sostenendo cause più a sinistra del liberalismo dell’amministrazione Biden, e così l’UAW chiede che Israele non sconfigga Hamas in battaglia.

Riflessioni conclusive

Una volta introdotto il concetto di “Everything Leftism”, è facile trovare degli esempi. Dare la colpa della scelta scolastica a “razzismo, omofobia e xenofobia“? Tutto a sinistra. Chiamare tutto “giustizia x” – “giustizia razziale”, “giustizia ambientale”, “giustizia economica”, “giustizia algoritmica“? Tutto ciò che è di sinistra. La California offre cambi di sesso finanziati dal governo agli immigrati clandestini? Tutto di sinistra.

La conoscenza dell’Everything Leftism, così come quella del sindacalismo della giustizia sociale ad esso collegato, dovrebbe insegnare che non c’è alcuna prospettiva di allineamento a lungo termine con la sinistra per una concessione moderata su una singola questione. Per un esempio reale, chiedete ai gruppi repubblicani e conservatori che si sono alleati con i liberali per un moderato allentamento delle politiche di giustizia penale se si aspettavano che i loro ex partner si buttassero a capofitto nel disboscamento della polizia e nella legalizzazione de facto della criminalità di massa in nome della “giustizia razziale”.

Ma la Rivoluzione Permanente è l’esigenza di tutta la sinistra, quindi la mossa di abolire la polizia era inevitabile. Questo era l’obiettivo finale di molti gruppi di sinistra, ed è stato pubblicato sul New York Times come tale.

Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, come può essere una cosa “Queers for Palestine”? Tutto ciò che è di sinistra ha visto l’opportunità di combinare due o più identità presumibilmente oppresse in un’inedita combinazione intersezionale e l’ha colta. Questo accade spesso e in tutte le questioni.

I conservatori che cercano di lavorare con (o peggio, di placare) una fazione di sinistra facciano attenzione.

Vincenzo Costa, “Categorie della politica. Dopo destra e sinistra”, a cura di Alessandro Visalli

Vincenzo Costa, “Categorie della politica. Dopo destra e sinistra”

 

 

 

Quando mi sono affacciato all’età adulta sentivo l’urgenza di definirmi rispetto al mondo. Una delle primissime cose che mi sembravano urgenti era di pensarmi nella collocazione del campo polare tra sinistra e destra. D’altra parte, si potrebbe ricordare a parziale giustificazione di questa riduzione, si era negli anni Settanta terminali. La mia famiglia non dava un’indicazione univoca, se pure esprimeva una tendenza. Ma percepivo la cosa in questo modo: la sinistra è quell’atteggiamento verso il mondo che ne critica le ingiustizie e la destra le difende. Messa così la cosa la scelta era già fatta.

Ma orientarsi significa, nella sua essenza, classificare da un dato momento in poi (da quando si decide, perché questa è stata, almeno per me, una decisione) ogni fatto della vita come “di destra” o “di sinistra”. Quindi identificare uno dei due come parte del nemico.

Cosa si acquista in tal modo? E cosa si perde?

 

Sinossi

Il libro di Vincenzo Costa[1] cerca una risposta. Ovviamente la cerca oggi, perché non esistono domande esterne al tempo ed al luogo, e questa è, in modo molto profondo, una domanda del tempo presente. Una domanda sulla quale mi sono anche io spesso interrogato e alla quale, nei diversi tempi della mia vita e contingenze avrei certamente dato risposte diverse.

L’autore scrive che lo scopo del libro è “sgombrare il campo [del discorso politico] da un ordine concettuale”. E il motivo di questa operazione di sgombero di macerie è che questo ordine, “invece di orientarci” (l’esigenza dei miei anni giovanili), “ci disorienta nella comprensione di ciò che sta accadendo”. Questo termine della metafisica implicita del nostro linguaggio, dis-orienta, è quindi uno di quelli da interrogare. In che senso ci dis-orienterebbe? E in quale renderebbe impossibile la com-prensione di ciò che sta, di fatto, accadendo oggi? Ma, quindi, cosa sta accadendo oggi?

Questa è la chiave di interpretazione che, di nuovo, lo stesso autore propone, e sul quale chiede di essere giudicato: “se [la proposta] descrive un movimento e un dinamismo del reale o se lo fraintende[2]. Per tale ragione nei primi capitoli il testo descrive in modo sintetico, ma perspicace, il tono del discorso politico pubblico e delle sue categorie degli ultimi cinquanta anni, a partire dalla storica frattura manifestatasi tra gli anni Settanta finali e Ottanta medi. Ciò con riferimento alle sinistre e destre politiche storiche e, nel secondo capitolo, anche alle sinistre radicali. Successivamente, individua quelle influenti rappresentazioni della diade destra/sinistra che hanno accompagnato e segnato la trasformazione delle culture politiche del primo Novecento in quelle che oggi troviamo ad occupare la scena.

Sarà dal quarto capitolo in avanti che i semi di questa interpretazione orientata cominciano a germogliare, e nel quale viene mostrato come l’opposizione Destra/Sinistra possa, in un diverso contesto, sviluppare una funzione egemonica che Gramsci avrebbe chiamato di ‘rivoluzione passiva’, ovvero di neutralizzazione delle forze effettivamente in campo (o potenzialmente in campo) imponendo variazioni meramente formali. Il neoliberismo, attraverso la falsa opposizione polare D/S (da ora, Destra/Sinistra), vince la sua battaglia neutralizzando qualsiasi alternativa effettiva. Questa interpretazione è messa alla prova descrivendo le sfide che la situazione attuale pone, ed il fabbisogno di interpretazione della sua articolazione concreta. È qui che, soprattutto, vale la sfida dell’autore. Qui si vede se la descrizione fraintende.

L’ipotesi finale, chiaramente un abbozzo che attende maggiore sviluppo, è di passare da una rappresentazione binaria, che forza ogni fatto della vita ad essere giudicato per la semplice vicinanza o lontananza da un ideale, ad un modello topologico fondato su coppie orientative (Differenze/indifferenziato; Identità/differenza; Occidente/Oriente; Tradizione/emancipazione; Inclusione/esclusione; Amico/nemico; Ospitalità/Ostilità).

 

La polarità morale

C’è un ordine sottostante a questo discorso, una precondizione di natura direi morale: è la differenza, fatta anche di alterità organica direi, tra ‘classi dominanti’ e ‘popolo’ (se pure negata come alternativa all’avvio). La ripresa cioè, nel cuore del dispositivo, di qualcosa di profondamente Novecentesco (peraltro con esplicito richiamo alle posizioni di don Sturzo, da una parte, e Antonio Gramsci, dall’altra). Per comprendere la tesi per la quale la diade D/S, rappresenterebbe ormai niente di più di un’articolazione interna alle ‘classi dominanti’ bisogna dare uno sguardo a questo punto.

Un livello di superficie è quello per il quale ogni élite forza il mondo reale, quello dell’esperienza comune e ‘della vita’, entro categorie e strutture poste a priori e possedute in esclusiva. Un dover-essere che si riconduce alla fine ad una violenza. A che cosa in sostanza? Direi alla persona inserita sempre originariamente e organicamente in una comunità. Connessa e legata a beni che Charles Taylor chiama sociali e non riducibili[3], come la cultura, la lingua, o le solidarietà. Beni che sono costitutivamente sociali; non sono riducibili a pura strumentalità e funzionano sempre in contesti di reciprocità. Quando ci si riferisce a tali beni bisogna comprendere il tessuto connettivo dei significati implicati, i quali rimandano sempre a collettività e ad una totalità di rimandi.

Cosa si intenda per ‘popolo’ è il punto per me centrale del testo. E si tratta chiaramente di un tema di tremenda difficoltà. Mettere insieme Sturzo e Gramsci non è sufficiente. Perché si tratta della questione, in entrambi, della trascendenza. Percepisco in Costa una sorta di tensione tra l’idea del radicamento nella terrosità di una tradizione, vista come intrinsecamente popolare con tutti gli avvertimenti del caso, e la difesa dell’universalismo di una ragione in ultima analisi riaffermata. Una ragione, peraltro, indispensabile per l’esercizio della techné della filosofia.

Esiste nel testo una critica frontale al marxismo, condotta con ragioni piuttosto buone, dirette contro il suo nucleo archeo-teleologico (che condivide, peraltro, con tutta la traiettoria della cultura ‘borghese’ Occidentale) e la riserva per le élite (nuove); ovvero per lo sforzo razionalista di mettere in forma qualcosa che, di per sé non lo ha, portandolo dall’esterno. Accusa più appropriata per il leninismo che per il lavoro specifico di Marx[4]. Perché in effetti delle due occorre scegliere una: o si determina uno scorrere immanente del movimento storico che contiene il proprio avvenire, secondo una tradizione che affonda le sue radici nell’escatologia Occidentale e perviene alla fine ad Hegel, per cui è nel ‘popolo’ che questa coscienza esiste, se pure da suscitare. Oppure, la coscienza non esiste e va portata nel progetto (determinando una rottura costruttivista, di fatto incompatibile). Queste diverse impostazioni attraversano diagonalmente ed interamente la storia del marxismo, ma anche di ogni movimento critico.

È pur vero che, come ritiene il nostro, il kairos è stato perso alla critica marxista. Tuttavia, qui rivive la profonda questione delle diverse possibili interpretazioni del progressismo come ‘furia del dileguare’ verso il tradizionalismo come interpretazione recuperante (e non come essenzialismo illusorio). Nel mio “Classe e partito[5], si cerca di far valere le intuizioni di Benjamin in questa direzione, come anche la critica interna di un autore troppo poco studiato come Antonio Labriola. Come scriveva il nostro, per attivare il potenziale della formazione e della trasformazione della società servono condizioni, ma serve anche la forza di intenderle come mutabili. Non basta, occorre capire come. Il soggetto del cambiamento non è nel modo di produzione capitalista in quanto tale, ma neppure dentro la tradizione. Compare al punto di congiunzione, scrivevo, della volontà e della necessità, del progetto e delle condizioni[6]. Quindi occorre rifuggire dalle impostazioni provvidenzialistiche (che si possono nascondere molto bene anche nella sfocata nozione di ‘popolo’, come nella famosa ‘socializzazione delle forze produttive’[7]), ma per questo compare in primo piano la questione del rapporto tra intellettuali e masse, tra partito e classe, tra le culture. O tra evento e condizioni.

 

Aiuta la diade D/S ad orientarsi in queste questioni? O quella, appunto élite/popolo?

 

Linee di faglia

La proposta centrale di Costa è di organizzare il discorso politico piuttosto intorno ad una pluralità di linee di faglia sensibili alla situazione, linee che debbano essere considerate contestualmente. Per cui è possibile che un dato attore esprima, in uno specifico contesto, una tendenza alla valorizzazione della differenza, e all’identità culturale occidentale, ma senza far passare l’emancipazione per la distruzione della tradizione e articolando un’inclusione non totalitaria, sapendo essere ospiti. È di Destra o di Sinistra? Probabilmente attraversa diagonalmente i ‘cataloghi’ (se intesi astrattamente).

Ma si allontana certamente da quella versione della ‘sinistra’ che la Wagenknecht[8] descrive come fatta da ‘moralisti senza empatia’, per i quali è più importante distinguersi, mostrando un comportamento moralmente irreprensibile che cambiare le cose (perché, in fondo, vanno bene così). Una ‘sinistra alla moda’ che vuole solo trovare conferma di sé e della propria superiorità[9]. Una ‘sinistra’ compiutamente liberale (ma nel senso assunto dal termine negli anni Ottanta e Novanta) che riduce le classi subalterne, ovvero l’insieme del ‘popolo’ essendosene loro sdegnosamente estraniati, a “mera particolarità”, a fronte dei valori “universali” difesi dai ‘ceti medi riflessivi’. È qui concepita come ‘particolarità’, in effetti, ogni e qualsiasi forma di radicamento o attaccamento, siano esse ad un territorio specifico o a tradizioni e culture locali. Ma anche ogni solidarietà concreta (a fronte delle forme di solidarietà astratta e normativa, sbandierate con grande trasporto in ogni occasione pubblica). Come è concepita quale risposta da condannare, in quanto opposta alle forze del progresso necessario ed allo sviluppo, ogni protezione dalla concorrenza e relativi stili di vita. Tutto quello che non collima con questa visione irenica di una vita avventurosa e ricca di energia, aperta al sempre nuovo e ad ogni rischio (per il quale aiuta avere adeguati capitali relazionali e materiali) è dalla ‘sinistra’ individuata come ‘reazione’. Quindi scompare sullo sfondo sia il conflitto capitale/lavoro (che, semmai, è riletto con opposta polarità) sia il ruolo delle classi subalterne. Emancipazione è sostituita da crescita.

 

Neocontrattualismo e nuova forma della politica

In uno dei più interessanti snodi del testo è illustrata la funzione che, nel dibattito filosofico e politico degli anni Ottanta ebbe la proposta neocontrattualista di John Rawls[10], con la sua enfasi neokantiana sulla ‘giustizia’ ed i ‘diritti individuali’ che, a parere di Costa, nascondeva il mascheramento dell’interesse particolare delle classi colte e abbienti come generale. Tutto il complesso meccanismo di Rawls, in polemica con l’utilitarismo[11], si riassume, secondo il suo critico forse principale, Michael Sandel, nel seguente enunciato:

 

“la società, essendo composta da una pluralità di persone, ciascuna con i propri fini, interessi e concezioni del bene, è meglio ordinata quando è governata da principi che di per sé non presuppongono alcuna particolare concezione del bene; ciò che giustifica soprattutto questi principi normativi non è il fatto che essi massimizzano il benessere sociale o promuovono altrimenti il bene, quanto piuttosto che siano conformi al concetto di diritto, una categoria morale data che precede il bene ed è indipendente da esso”[12]

 

Sandel obietta che i limiti di questa concezione, e dunque del genere di liberalismo proposto, sono meramente concettuali, vuoti, e riguardano lo stesso ideale. O, in altre parole, che l’idea di giustizia è imperfetta e incompleta sin nella sua aspirazione[13]. Infatti, come afferma lo stesso Rawls “i diritti assicurati dalla giustizia non sono soggetti al calcolo degli interessi sociali”, ma funzionano “come briscole nelle mani degli individui”. Si tratta di una neutralità fattualmente e materialmente impossibile in società ineguali, e trascura la natura sociale dell’uomo stesso. Anzi, in sostanza, neutralizza i valori di altruismo e benevolenza, risultando una sorta di giustizia del tutto astratta e disincarnata.

 

Quel che si impone in questo discorso, malgrado alcune voci contrarie[14], anche di parte anarcolibertaria[15], è uno sguardo da nessun luogo che di fatto elimina le differenze e tutta la dialettica sociale. Per come viene percepita dalla cultura politica della ‘sinistra’ allora tutte le differenze (comunità, tradizioni, identità collettive, appartenenze di classe) diventano in linea di principio di ‘destra’.

 

Per come la mette Costa:

 

“Il neocontrattualismo vive del miraggio di un punto di vista sottratto alla storia, ma lo fa proprio perché la sua funzione è proprio quella di presentare uno specifico sguardo, radicato in una determinata concretezza e che propone una precisa prospettiva (quella delle classi dominanti), come se fosse lo sguardo da nessun luogo, imparziale, che ha messo da parte cultura e interessi”[16].

Viene sistematicamente occultato attraverso la ricerca del “moral point of view”, il fatto ineludibile che ogni giudizio dipende dal contesto interpretativo e dalla posizione. Neutralizzandoli in effetti si delegittima il conflitto tra le posizioni e si articola quella che si manifesterà nel tempo come una postura chiaramente antidemocratica. Una sorta di bullismo verso le classi subalterne che devia sistematicamente l’attenzione su individui e singole diversità (purché non di classe).

 

Il socialismo

È questo il contesto nel quale alla fine Costa chiama in causa la tradizione socialista, presa in blocco ed alquanto da lontano (per evidenti ragioni di spazio), “da Owen a Marx, fino a Lenin”, come viziata dalla medesima frattura. Quella tra le avanguardie e le masse popolari. “Alla fine si ha la sensazione che debbano essere le classi dominate ad accettare di divenire organiche agli intellettuali”[17]. E se non lo fanno ricevono lo stigma di essere ‘piccolo-borghesi’ (immagino da parte di Lenin). In questo modo, però, vengono schiacciate tra di loro cose molto diverse: la teologia negativa[18] di Marx e la comprensione costruttivista dell’impossibilità della parusia di Lenin. L’idea che la classe sociale subalterna, alla quale si estorce il valore che si distribuisce alle classi dominanti nella loro articolazione (tramite profitto, interesse e rendita), possa mutarsi direttamente in classe universale che ha il compito necessario ed inscritto nella storia stessa (dei modi di produzione) di disalienare integralmente il mondo sociale di Marx, da una parte, e la radicale relativizzazione ed estensione del conflitto all’insieme dei popoli oppressi dall’imperialismo in Lenin, dall’altra. Le applicazioni del ‘marxismo’ alle lotte di liberazione concrete (e alle lotte per la difesa delle tradizioni popolari).

 

La sinistra aristocratica

Nella sua critica alla sinistra ‘antagonista’, se possibile ancora più aspra, si vede ancora meglio questa trasformazione che cessa di individuare il soggetto da emancipare nelle classi lavoratrici e lascia svanire con esse l’intera questione dell’eguaglianza. Quel che guadagna il centro della scena, mentre la stessa composizione sociale muta, è il “desiderio dissidente”.

Qui avviene un radicale rovesciamento: le classi popolari e la ‘gente comune’ divengono “il potere” dal quale emanciparsi. Nel senso che si tratterebbe di coloro che opprimono le diverse forme di diversità e desiderio con la loro normatività. Le tradizioni culturali sono identificate direttamente con l’oppressione sull’individuo, perdendo la circostanza che queste, nella loro umana imperfezione, sono di fatto il radicamento stesso e l’essere stesso delle classi popolari.

 

“Le tradizioni sono forme di legame, e le lotte del movimento operaio furono sempre lotte per resistere alla dissoluzione del legame: è questo il nucleo di cui si nutrono le rivendicazioni di giustizia sociale e le lotte per porre un limite al dominio del capitale, poiché il capitale non conosce limiti alla sua volontà di valorizzazione, mentre le classi popolari rivendicano il loro diritto al legame”[19].

 

Il punto è che la classe non esiste in sé (come affermo anche nel mio Classe e Partito), né sono definite solo dal loro complesso rapporto con i mezzi di produzione, né esistono solo nella lotta, ma esistono, per Costa, “come un’articolazione di relazione umane, come una struttura di legami”. La produzione eventuale e non necessaria, di un “noi”, è un effetto che non è determinato dalla posizione comune rispetto ai mezzi di produzione o da comuni interessi economici. Aspettarselo ha condotto ad un’inutile attesa e deviato le forze (ma qui la lezione del Labriola, ripresa da Gramsci, aiuterebbe). Inoltre, ha condotto in un cono di ombra il fatto che le strutture di legami, di socializzazione, le culture e la tradizione sono distrutte dal capitalismo (che non ha alcuna componente socializzante intrinseca, come vorrebbe sul punto Marx, che intendeva sfuggire al volontarismo della tradizione messianico-comunistica storica ed alle forme di rimestaggio nelle bettole del futuro dei socialisti utopisti[20]).

 

Terzo passaggio, il post-moderno. La nuova macchina interpretativa si fonda sulle categorie di “dispositivo disciplinare”. In questo modo:

 

“il potere non sta nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, non consiste in un’ingiusta ripartizione del prodotto sociale che crea rapporti di subordinazione e in un modo di produzione che crea ineguaglianza e dominio. Il potere consiste invece nei dispositivi disciplinari, uno dei cui nuclei è che ‘nel sistema disciplinare non si è, secondo le circostanze, a disposizione di qualcuno, ma si è perpetuamente esposti allo sguardo di qualcuno e, in ogni caso, nella condizione di poter essere costantemente osservati’”[21].

 

Si tratta, quindi, di un dispositivo anonimo e pervasivo che fa perdere ogni possibilità di distinguere tra emancipazione ed assoggettamento, portando l’attenzione verso un impossibile (e controfattuale) liberarsi di ogni legame. In questo modo, si potrebbe dire secondo un eterno prolungarsi della adolescenza, la genealogia si tramuta in una farsa. Si tratta, ancora per Costa, di una “idea eccessiva”, radicata in una cultura che non può chiamarsi se non aristocratica e individualista. Questa idea diviene il concetto guida di una sinistra “antisistema” che si incontra di fatto con la destra aristocratica e l’anarchismo individualista di Nozick (che ho conosciuto personalmente e posso confermare come gentilissima ed aristocratica persona).

In sostanza l’esclusione (che sarebbe all’origine della stessa società) sostituisce lo sfruttamento, creando una nuova teologia negativa di grande potenza. Foucault (il cui orientamento è noto), per Costa, propone la propria specifica prospettiva come emancipazione.

Anche per questa via si afferma l’idea che la lotta per migliorare le proprie materiali condizioni di vita è di fatto ignobile e l’unica lotta degna è quella per il ‘rango’. Con questa ripresa di motivi espressamente aristocratici e premoderni (molto presenti in George Bataille) la stessa lotta di classe diventa ignobile, se non per la distruzione materiale che può provocare. Si tratta di un anarchismo estetizzante del tutto estraneo alle classi popolari. Il popolo diventa anzi chiaramente il nemico, ad esempio in Deleuze, e solo la cultura alta è chiamata ad opporsi al potere del ‘normale’. Si forma una sorta di “tribù di intellettuali-ribelli, salda nella convinzione di essere illuminata, sovversiva, eversiva e unica, di essere la comunità dei desti, contrapposta alla massa dei dormienti”[22].

 

Lotta alla tradizione

Nella prospettiva della sinistra progressista, come in quella della radicale, dunque, la nozione di eguaglianza si lega ormai a quella di lotta alla tradizione e per i diritti individuali. Realizzare l’eguaglianza è, in definitiva, abbandonare la tradizione. Si tratta di contestare il mondo da un punto di vista universale, del tutto disincarnato e da nessun luogo, rimuovendo la storia. È in questo senso che la diade D/S si traduce in un’operazione egemonica che svolge la funzione di impedire l’affermazione di altre opposizioni. Sono possibili altre linee di frattura che si presentano diagonalmente alla D/S, per come oggi si presenta, come capitalismo/anticapitalismo, alto/basso, popolo/élite, tradizione/innovazione, natura/cultura, …

Oltre a quella socialista, tradizione che non è di sinistra[23], anche quella di Sturzo è una vicenda politica e culturale che non si conforma allo schema D/S, perché si muove in un orizzonte di significato del tutto diverso. Ad esempio, gerarchia e uguaglianza non sono in opposizione reciproca, tradizione ed emancipazione sono parti di un solo movimento e la mobilità sociale non è competizione, ma resta connessa al concetto e la pratica di ‘servizio’. Lo scopo generale dell’azione politica, in linea con l’evoluzione storica, è di inserire le classi popolari nella storia nazionale[24]. Il medesimo obiettivo lo pone Gramsci[25].

 

Il populismo

Né il cosiddetto ‘populismo’, che abbiamo attraversato in versioni ‘di destra’ (dominanti) e ‘di sinistra’ negli ultimi anni, è la soluzione. Anche esso è un’articolazione entro il movimento delle élite, in quanto produce formazioni verticistiche, che raccolgono consenso volatile e meramente negativo, sconnesse con il popolo. Rappresenta al più il “nomadismo” di una massa di arrabbiati che si lasciano accumulare in “banche dell’ira”. “Banche”, inoltre create dai social media, i quali sono ben lungi dal rappresentare un reale. Essi, letteralmente, lo “fanno accadere”. In sostanza essi, seguendo una dinamica autoconsistente, disfano continuamente e creano aggregazioni effimere intorno a singoli temi. Ma qui c’è un punto da leggere con attenzione: non si tratta di parvenza, lontana dal mondo della vita. In effetti le esperienze significative, almeno alcune, sono ormai fatte nel mondo dei social. Questi creano un “mondo della vita mediatizzato”, che contaminano in modo crescente esistenze e identità politiche prima separate, nel contesto di una sorta di “epidemia di idee”. Con tutti i suoi limiti si tratta di un nuovo modo di “essere insieme nel mondo”, nel quale ad essere scambiate sono soprattutto emozioni.

 

L’Altro dall’Occidente.

Un altro grande tema affrontato nel testo, che può essere letto anche come un catalogo delle questioni di senso poste dal presente, è il rapporto da intrattenere con l’altro dall’Occidente. La tendenza dell’Occidente ad egemonia anglosassone (ovvero l’Occidente realmente esistente) è di sostituire il legame sociale, determinato da tradizioni e ragione, con il consumo. Contrariamente a quanto ritenuto da Marx (il quale, però, aveva davanti alla sua esperienza la transizione dal mondo protoindustriale dell’epoca illuminista alla prima industrializzazione, mentre noi abbiamo il passaggio dalla terza alla quarta rivoluzione industriale), la produzione di merce, la sua distribuzione ed i fenomeni di consumo non socializzano, ma isolano. La promessa di socializzazione del capitalismo maturo è fondata essenzialmente sulla disponibilità di tempo e ricchezza per ciascuno, ovvero sulla libertà di accedere a percorsi di vita scelti individualmente, avendone le risorse. Chiaramente tale promessa di salvezza[26], idolatra in senso tecnico, è costantemente tradita dal sistema sociale. Ma, nel contesto di un indebolimento progressivo (o parziale) delle forme tradizionale di legame sociale, la promessa di salvezza secolare raggiunge – anche per effetto dell’estendersi delle relazioni di scambio e di penetrazione del capitale finanziario – strati ‘borghesi’ in ogni paese, creando le condizioni di crescenti conflitti interni. Molto spesso è proprio la religione ad assumere il ruolo, non solo in questi paesi, di resistenza.

Sulla base dello schema interpretativo e categoriale prima descritto, a questo punto la sinistra antagonista e quella istituzionale, concordi, si impegnano a condannare le resistenze come arretratezza e ‘fascismo’, e la mondializzazione come soluzione dei problemi dell’umanità. Ovvero come destino di salvezza. In primo luogo, è l’impero americano che viene identificato come l’alfiere di questa trasformazione che porterà all’avvenire di pienezza. La differenza è che le letture post-operaiste o trotskiste individuano questo movimento tendenziale come la via per la rivoluzione mondiale sincronizzata, mentre le letture della sinistra istituzionale direttamente come la strada che senza scossoni porta alla pienezza della libertà e della prosperità.

 

Tuttavia non sta andando così. Piuttosto si assiste nell’ultimo decennio ad un arretramento della mondializzazione e all’emergere, nei conflitti anche militari, di un mondo multipolare. In questo contesto l’altro diventa in mostruoso e l’Occidente ancora di più la spada della verità. Acciaio della spada è l’universalismo astratto che nega in radice il pluralismo delle culture. La posizione di Costa in questo difficile incastro è di liberarsi di questa autorappresentazione celebrativa ed etnocentrica. Ma lo fa in un modo particolare, impostato in un libro precedente, L’assoluto e la storia[27], sul quale ho fatto un recente post di lettura[28]. La tesi è che “la sinistra progressista non difende l’Occidente: difende l’universalismo, davanti al quale si deve cancellare, in quanto particolare, la stessa cultura occidentale”[29], ovvero la cultura occidentale storicamente tramandata (che è fatta risalire all’apertura greca). Tecnicamente la cultura della sinistra progressista esclude, in altre parole, che l’universalità sia un rapporto con la particolarità e la immagina in senso astratto come un confluire di tutto su un modello in sé perfetto e dato. Il neocontrattualismo ne è stato un esempio.

Contrapposto a questa idea di ‘universalismo astratto’, orientato ad un modello posto, Costa propone un movimento di ‘contaminazione’ (termine che assorbe da Derrida[30]), ovviamente tra differenti. Una sorta di “universalismo storico” che presuppone la capacità di decentrarsi.

 

“A questo serve la capacità di decentrarsi, senza la quale l’Occidente perde la sua vocazione all’universalismo storico e diventa soltanto una cultura tra le altre, solo con la pretesa – esorbitante e boriosa – di dovere abolire tutte le altre”[31].

 

Sinceramente qui mi pare di rintracciare nelle parole adoperate un residuo dello spirito di maestro che parte della cultura stessa dell’Occidente, proprio dall’apertura greca, contiene. Gli occidenti sono una cultura tra le altre, alla fine, e da questo non si può scappare. Uno degli effetti del tempo, o, se vogliamo, uno degli spiriti emergenti del mondo che si cerca di far tornare nella bottiglia a furia di bombe, è che i paesi ‘non bianchi’ emerge alla consapevolezza che la pluralità di civiltà e culture esistenti ha pieno diritto di considerarsi pari con quella occidentale. La quale, ha pienamente ragione Costa, è a sua volta pluralità. Le civiltà cinese, indiane e islamica, alcune storiche radici delle culture russa[32] e sudamericana (il ‘buen vivir’), per dire solo alcune mentre andrebbero ricordate anche le civiltà africane e quelle del pacifico orientale, rifiutano crescentemente la visione gerarchica lungo il maggiore o minore ‘avanzamento’, o ‘modernità’. Ciò non significa rovesciarla, presumendosi più ‘avanzati’, o più ‘civili’.

 

Diramazione

Il concetto è stato espresso da Xi Jimping nel 2019 con queste parole: “le civiltà comunicano attraverso la diversità, imparano l’una dall’altra attraverso gli scambi e si sviluppano attraverso l’apprendimento reciproco[33] e, in un discorso del 2014, richiamando il concetto di ‘armonia senza conformità[34] che riconosce il mutuo apprendimento, senza gerarchia o maestri, come la forza motrice del progresso dell’umanità. Più profondamente qui ‘razionale’ e ‘vero’ sono concepiti come prodotti del ‘vivente’ (Dao) che è immerso in una totalità di relazioni, anziché come in occidente, come attributi oggettivati dell’essere (interpretati da un potere).

Apprendimento che implica tre principi:

–        le civiltà sono varie e rappresentano, ciascuna, la memoria collettiva dei diversi paesi, tutte sono frutto del progresso dell’umanità.

–        Le civiltà sono eguali nel valore e ciascuna ha punti di forza e debolezza, “non esiste al mondo una civiltà perfetta, né una priva di merito. Le civiltà non si dividono in superiori e inferiori, buone o cattive”[35].

–        Solo l’inclusione rende grandi, se ogni civiltà è unica la cieca imitazione è estremamente dannosa, “tutti i traguardi delle diverse civiltà meritano rispetto, tutti devono essere tenuti in gran conto”.

Quindi bisogna concluderne che i popoli di tutto il mondo sono interdipendenti, “io sono in te, tu sei in me” e formano un “destino comune”. Il pensiero strategico cinese è pieno di questa concettualizzazione; invece di agire per dominare (e uniformare il mondo) punta a che tutto, secondo la sua propensione, si trasformi (hua). Cerca di restare “sotto il cielo” per individuare “dove va la luce”, accompagnando la situazione al suo massimo potenziale ed effetto. Nel concetto di tianxia (spesso tradotto in “la via del cielo”) è incluso questo particolare universalismo concreto, che implica una dialettica dell’inclusione, e concepisce la razionalità come prorompere da una situazione collettiva accettata senza coercizione (anziché essere radicata nel cogito individuale), e la verità come prodotto dell’armonia. È in questo senso che il mondo è di tutti, 大道之行也天下為公, “quando prevarrà la Grande Via, l’Universo apparterrà a tutti”, un verso del testo confuciano “I riti”, ripreso da Qing Kang Youwei e dal Sun Yat-sen nell’espressione “Tian xia wei gong”.

 

La reciproca fecondazione delle culture può essere illustrata attraverso un episodio della storia delle idee: nel 1953 Martin Heidegger in “La questione della tecnica[36] dichiarò che l’essenza della tecnologia moderna non è a sua volta tecnologica, ma filosofica, nel senso che consiste nell’imporre una trasformazione della relazione tra uomo e mondo per la quale ogni essere è ricondotto ad essere ‘fondo’ o ‘riserva’, ovvero è ridotto ad oggetto che può essere misurato, calcolato e sfruttato. Questa linea di riflessione, che può essere compresa come riferita alla tecnica nella modernità (in quanto la tecnologia è antica come l’uomo, ma questi ha vissuto per quasi tutto il suo tempo in un mondo ‘incantato’ al quale sarebbe temerario proiettare le nostre categorie e comprensioni[37]) è stata pensata come propria dell’Occidente. In questo modo il passaggio dalla techné come poiesis, che porta alla luce delle relazioni, alla tecnologia come gestell che appresta in una sorta di telaio è letta come conseguenza necessaria della metafisica occidentale. Si tratta di un destino inscritto nell’origine. Questa critica, pur nei suoi limiti, fu accolta da diversi pensatori orientali, in particolare nella Scuola di Tokyo e nella critica daoista della razionalità tecnica. In quest’ultima il gelassenheit (serenità, tranquillità, opposta alla volontà di potenza[38]) heideggeriano viene riletto come wu wei (non-azione).

La trascrizione di questo pensiero deriva, in entrambi i paesi, dallo sconcerto per gli effetti destabilizzanti e distruttivi della tecnica (in occidente guerra, industrializzazione di massa ed estensione degli effetti anomici del consumo, in oriente le rapide trasformazioni industriali ed il loro effetto sulla cultura tradizionale e popolare).

 

Del wu wei, Stanza 47 del Dao[39].

  1. Non serve varcare la porta di casa
  2. per comprendere ciò che sta sotto il Cielo;
  3. né dalla finestra scrutare
  4. per comprendere il dao del Cielo.
  5. Più esci e più t’allontani,
  6. meno comprendi.
  7. Il Saggio, pertanto, comprende [le cose] senza muoversi [verso di loro],
  8. [le cose] nomina, senza bisogno di averle prima scorte.
  9. [Agli esseri] assicura piena realizzazione, senza farne oggetto delle proprie mire.

 

Il termine zhi, che ricorre più volte in questo brano (conoscere, sapere, agire nel mondo) indica un esperire integralmente, dislocando la vera conoscenza (che passa anche per il linguaggio) attorno e non dentro il soggetto, perché nel Laozi a questo, al soggetto, non è riconosciuto il privilegio di detenere un sapere in senso esclusivo. Più che comprendere oggetti, secondo la tradizione Occidentale, qui si tratta dell’insieme delle relazioni che rendono gli oggetti tali, in un circolo che comprende il soggetto. Il Dao (il mondo nella sua totalità di destini che interagiscono) è esperibile solo perdendosi ed abbandonandosi. Il riferimento al “senza muoversi”, indica una forma di comprensione che non dipende né da esperienze cognitive precedenti o da dati empirici; una comprensione che deriva dall’essere connessi al Dao.

Per questo il ‘Saggio’ si può dedicare al governo del mondo secondo una caratteristica linea di non-ingerenza, la quale, proprio per questa profonda immersione (ma originaria) assicura la piena realizzazione delle predisposizioni delle cose stesse. L’immobilismo produce contemporaneamente il massimo di armonia. E’ così che il saggio può ‘nominare’ (v. 8) le cose.

 

Il punto è che tutte le polarizzazioni proprie della razionalità occidentale-greca, come uomo/dio, invisibile/visibile, eterno/mortale, certo/incerto, permanente/mutevole, potente/impotente, puro/misto, certo/incerto non sono presenti in Cina[40], e la tecnica corrisponde a relazioni diverse con gli dei, gli umani ed il cosmo. Agisce una sorta di ‘risonanza’ (ganying) che genera un sentimento in relazione ad un’obbligazione morale (sia in senso sociale che politico), effetto della unità tra l’umano ed il cielo. Ovvero dell’umanizzazione del divino avvenuta in Cina (mentre in occidente avviene il movimento opposto di separazione). Ganying implica un’omogeneità tra tutti gli esseri e un’organicità delle relazioni tra parte e parte e parte/tutto. Nel contesto della tecnica questa unificazione agisce tenendo insieme Qi (strumenti) e Dao. Si tratta di una diversa focalizzazione, come propone di considerare Mou Zongsan, tra noumeno e fenomeno[41].

 

 

L’Occidente stesso, d’altra parte, ha formato sé stesso e la sua propria autocomprensione nella scoperta dell’altro, durante il 500, proprio quando, anche per effetto di questo subitaneo e potente allargamento di visione e drenaggio di enorme ricchezza (precondizione della stessa ‘rivoluzione industriale’) si accorse della propria differenza[42]. Sfortunatamente lo ha fatto nel contesto di una stagione di violenza e sopraffazione, proiettando quale giustificazione della violenza praticata[43] la propria superiorità e l’autoattribuito destino di civilizzazione. Prima delle fabbriche della prima ‘rivoluzione industriale’ vi fu l’economia di piantagione, innervata da scambi commerciali a lungo raggio che interessavano le materie prime e le merci umane (schiavi neri per lo più) a rendere ricca l’Europa.

Nel mettere a fuoco questa autocomprensione ha progressivamente oscurato (in parte in anni proprio recenti) le origini plurime e cooperative, ed i prestiti, della impresa tecnico-scientifica moderna, e, d’altra parte, tutte le tradizioni razionaliste presenti nelle altre culture (in quella araba, intanto, e poi anche in quella indiana[44]). In Orizzonti, libro recente di James Poskett[45], viene raccontato il contributo della medicina azteca, della scienza islamica, del rinascimento ottomano, dell’astronomia africana o cinese, ed indiana, dei navigatori del pacifico, delle relazioni di Newton con gli scienziati russi, dei naturalisti occidentali con quelli Tokugawa, del dawinismo Meiji o Qing, della ingegneria ottomana e della fisica giapponese, dei viaggi di Einstein in Cina e delle genetiche indiane, russe. La scienza moderna segue il mito di essere stata inventata da poche menti e tutte europee, tra il 1500 ed il 1700. Copernico riprende procedimenti matematici che individua in testi arabi e persiani, mentre astronomi ottomani percorrevano l’Europa per scambiare visioni e teorie.

D’altra parte, la scienza occidentale è anche debitrice della tradizione ellenistica, III secolo a.C., cosiddetta “Alessandrina”, dove lavorarono Euclide, Ctesibio, Erofilo di Calcedonia, contemporanei del fondatore della teoria eliocentrica, Aristarco di Samo. Ad Alessandria studiò anche Archimede, Eratostene. Crisippo invece ad Atene, mentre bisogna ricordare anche Filone di Bisanzio, Apollonio di Perga e Ipparco di Nicea del secolo successivo[46]. Tutto questo fervore terminò con la conquista romana[47], anche se tracce si registrarono fino al tardo impero ed alla vittoria del cristianesimo. Questa scienza non riguarda oggetti concreti ma enti teorici specifici, ha struttura rigorosamente deduttiva, si applica con regole di corrispondenza. Questa struttura non è presente nella tradizione filosofica classica (Platone ed Aristotele), ma si addensa a partire dalla conquista macedone della Persia e dell’Egitto. Questa è la tesi di Russo, in quanto al momento della conquista la superiorità tecnica delle ben più antiche civiltà mesopotamica ed egiziana era notevole. Le civiltà più antiche erano state in costante contatto con la civilizzazione greca, Talete e Pitagora hanno debiti riconosciuti con l’Egitto (il secondo anche con il più lontano oriente), ma quando i macedoni dovettero gestire economie e tecnologie enormemente più complesse, con metodi gestionali e di analisi razionale in parte propri, compare una nuova capacità di connessione tra il livello astratto delle teorie e l’azione concreta.

La ripresa della prospettiva scientifica, in un nuovo e più potente contesto e sotto motivazioni molto più forti (siamo negli anni in cui l’Europa si allarga al mondo, ed ha bisogno di mettere a frutto il dominio che si presenta e via via consolida) avviene nei ‘rinascimenti’ anche come riscoperta, spesso tramite manoscritti arabi, dell’ottica, delle maree e gravitazioni, delle cosmologie, etc. ellenistiche[48].

La cultura è trasmissione e contaminazione. Negarlo è uno specifico dispositivo di potere, che si affaccia ogni volta si viene sfidati.

 

L’apertura ed il punto di vista dell’altro

Torniamo al punto, se, dunque, per Costa “non siamo più in Occidente, e il compito primario politico è tornare ad abitarlo”, è necessario decentrarsi ed assumere il punto di vista dell’altro. E continua:

 

“il che non significa rinunciare all’universalismo che caratterizza la cultura europea, né accettare un realismo geopolitico spicciolo che riduce tutto a rapporti di forza. Tra le forze della storia vi sono anche i processi di incremento di riflessività e analisi razionale. Si tratta solo di lasciarsi alle spalle la versione astratta e astorica dell’universalismo, declinandolo storicamente”.

 

In questa formulazione fa problema, dal mio punto, il termine “incremento”, che sembra alludere ad una prospettiva ancorata o ad un naturalismo o ad una filosofia della storia sottostante. È chiaro che si tratta di formule sintetiche le quali non vanno prese in parola. L’autore è più che attrezzato per non scivolarvi[49] e la formula va compresa nel contesto delle attuali discussioni nel ‘mondo della vita’ frequentato.

La questione cui mira l’autore è di filosofia politica, non certo di ontologia culturale. Non esistono solo i diritti delle persone, come vorrebbe una influente tradizione che va da Hobbes in avanti, ma anche i diritti delle tradizioni e delle collettività.[50]

 

In questa prospettiva lo scontro si dà tra chi è radicato in una storia, e cerca di rinnovarla, e chi ha perso ogni memoria e quindi ha in odio ogni cultura ed ogni differenza. La ragione è che ogni contenuto non proprio è percepito come una catena. Invece, “per colui che le vive come contenuti interiori sono vincoli che legano insieme la sua anima, sé con gli altri, dunque la polis, e la città come luogo in cui una particolarità si apre a tutti gli altri”[51]. Se manca questo da una parte cresce la necessità del normativismo, dall’altra le sensazioni sono l’unico metro e svanisce la storia come responsabilità.

In Identità/differenza si tratta di aprirsi alle altre tradizioni, al loro pluralismo, e quindi sapere che ciò significa restare disponibili ad una ricerca in comune di una verità che si sottrae. Per cui la tensione all’intesa va compresa piuttosto come disponibilità al reciproco mostrarsi aperti alla verità (sapendola inafferrabile) ed alla contaminazione reciproca. Ad un confronto trasformante.

Nella coppia Occidente/Oriente, bisogna riconoscere che non si tratta di pensarsi come verità, quanto di rapportarsi ad essa come cammino e distanza. Restando aperto all’altro e disponibile a lasciarsi interrogare dalle credenze. Se l’Occidente, al suo meglio, è interrogazione, allora non può essere riassorbito dall’universalismo astratto, che è possesso (della verità).

Se si guarda alla coppia Tradizione/emancipazione si deve riconoscere che una tradizione è sempre il modo in cui una comunità storicamente data si apre al problema dell’Assoluto. Perché non c’è apertura alla verità se non a partire dall’essere situato. In altre parole, l’avvenire si nutre del passato (come voleva Benjamin[52]).

In Inclusione/esclusione si torna al tema della contaminazione, ha luogo quando le identità si formano e trasformano nell’incontro. Allo stesso modo in Amico/nemico è questione di riconoscere che l’amicizia è sempre relazione tra diversi, e in Ospitalità/ostilità è questione di riconoscere di avere da ricevere per essere ospitali. Il problema dell’Occidente è che non pensa di avere da ricevere nulla, ma di essere il maestro (a volte severo) di tutti.

 

Note conclusive

Nel post precedente sul testo di Costa, L’assoluto e la storia, avevamo concluso ricordando che se il proprio di ogni cultura è quello di non essere identica a sé stessa (perché la sua stessa nozione è il risultato di una lotta provvisoriamente vinta, di una egemonia e delle sue necessarie astrazioni), allora questa non si può dare senza l’altro da sé; senza specchiarsi in esso. Questa apertura all’altro da sé è, d’altra parte possibile perché il sé proprio, e quello con cui ci si specchia, sono entrambi rimandi di riflessi di ‘altro’.

 

La ricerca vana di una mai presente purezza è, a fronte di ciò, solo un situarsi che nasconde una hybris.

 

Riesce il testo nel suo compito di sgombrare il terreno dalle macerie della diade D/S? E farlo senza terminare nel relativismo apolitico, per cui tutto va bene e resta solo il potere nudo, rintracciando un movimento di ricerca insieme al suo oggetto impossibile (la tradizione, o l’identità)? A me pare che si muova sul crinale di alta montagna, nel quale l’aria leggera, pura ma rarefatta, fa da contraltare al rischio costante di mettere il piede su una malferma pietra. Tuttavia, il passo va affrontato.

La tradizione, come l’identità, non è identificabile quale campo di conflitti a partire dalla diade D/S, ma solo nel confronto con l’altro da sé. A condizione, però, che questo confronto non sia già risolto nello schema di ruolo maestro/allievo. In esso, tentazione costante del non-dialogo polare tra D e S, ogni identità (inclusa quella del mitico Occidente) è infatti congelata in astrazione. Non ritengo che ciò significhi, nel testo di Costa, che le tradizioni politiche critiche, sulla linea che emana dalle grandi rivoluzioni (plurali al loro interno e nella loro essenza contingenti[53]), ovvero quella socialista e democratico-radicale, siano da oltrepassare insieme alla diade criticata. Non è difficile rintracciare nella discussione sulle coppie di orientamento (e nella loro stessa scelta) proposta dall’autore una loro chiara presenza.

Quello di Costa è un richiamo, piuttosto, a tornare al popolo. Dove ciò significa allontanarsi con decisione da quei ‘moralisti senza empatia’ e ‘aristocratici senza popolo’ che sono divenuti nel tempo le sinistre (sia istituzionali sia radicali). A tale scopo è mobilitato un apparato di notevole interesse ed estensione, ricostruiti i passaggi storici ai quali abbiamo assistiti negli ultimi quaranta anni, e criticato anche l’essenzialismo incorporato nella tradizione critica marxista. I due punti sui quali ho concentrato la discussione in questo non brevissimo testo sono questa critica, corretta ed ingenerosa al tempo, e la questione del nostro tempo: il riposizionamento della cultura occidentale di fronte alla sfida del mondo multipolare. L’attacco portato all’universalismo astratto mi trova pienamente in accordo, e questo è tanta parte della presa di distanza dall’astratta diade D/S per come si presenta concretamente oggi in campo.

Nel produrre un pensiero politico, ovvero rivolto all’azione, si propone di sostituirlo con un movimento storico e reciproco di contaminazione. Che Costa chiama “universalismo storico”. Il termine “storico”, nella mente occidentale influenzata inevitabilmente dalla freccia del tempo, riletta nella tradizione escatologica ebraica e cristiana come cammino della salvezza e del compimento, fa però problema. Varrebbe lasciarlo, insieme a quello ‘universalismo’. Non esistono valori, principi e culture universali, se non per effetto di una decisione, di una imposizione. In primo luogo interna, volta a ridurre la pluralità e la storia dei conflitti che sono stati dati. A far tacere il suono dei morti.

 

E’ proprio per questo, per dimenticare l’universalismo ma non la tensione all’apertura, che si possono usare le coppie proposte, per riattivare la loro voce e riprendere la lotta.

[1] – Costa, V., Categorie della politica. Dopo destra e sinistra, Rogas Edizioni, Roma 2023.

[2] – Tutti questi riferimenti da un post dell’autore su Facebook, 20 novembre 2023.

[3] – Taylor, C., Philosophical arguments, Harvard University Press, Cambridge, 1995, cap.7.

[4] – Marx non è un autore compiutamente coerentizzato. Nella sua opera convivono strettamente, in ogni momento, l’apertura di un filosofo di scuola hegeliana, di uno scienziato al senso dell’Ottocento ipnotizzato dalla purezza delle leggi newtoniane, e della fascinazione empirista, e di un politico che vuole trasformare il mondo (e non solo capirlo). Tuttavia, la liberazione diventa possibile, per Marx, solo perché è immanente nella situazione concreta (ovvero in quel che chiama “modo di produzione” capitalistico). Si tratta di una teleologia, e quindi di una impostazione archeo-teleologica, che conduce alla socializzazione delle forze produttive verso un esito nel quale si avrà una società interamente individualizzata nella quale ognuno troverà spontaneamente il proprio posto.

[5] – Visalli, A., Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del collettivo, Meltemi, Milano 2023.

[6] – Visalli, cit., p. 288

[7] – Termine che indica l’aumento progressivo e necessario, implicato nella stessa crescita del contenuto tecnico-scientifico del produrre e del lavoro, del controllo cosciente dei lavoratori sulle modalità meramente sociali e tecniche della produzione stessa. Per questa ragione, molto profonda, il comunismo è l’esito immanente e terminale del processo di socializzazione capitalistico. Per questa ragione ciò che rallenta lo sviluppo delle forze produttive allontana il momento in cui l’avvenire si manifesterà.

[8] – Wagenknecht, S., Contro la sinistra neoliberale, Fazi Editore, Roma 2022, p.43.

[9] – Si veda anche l’eccellente Friedman, J., Politicamente corretto. Il conformismo morale come regime, Meltemi, Milano 2018.

[10] – Si veda almeno John Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1981 (ed. or. 1971), e John Rawls, Liberalismo politico, Edizioni di Comunità, Milano 1994 (ed.or. 1993).

[11] –  Ovvero alla presunzione che in fondo una politica sia da considerare giusta quando, semplicemente, produce la maggiore felicità per il maggior numero di membri della società. Una formulazione così semplice è giudicata da alcuni ovvia (Hare, 1994) mentre da altri completamente difettosa (Williams, 1985). L’utilitarismo è infatti una teoria parsimoniosa, apparentemente semplice e naturale che si può riassumere in una frase: ogni azione è giudicabile solo per le sue conseguenze e queste lo sono per la somma dei benefici in termini di utilità.

[12] – Sandel, M., Il liberalismo e i limiti della giustizia, Feltrinelli Milano 1994 (ed. or. 1982), p. 11.

[13] – Per questa ricostruzione si veda “Michael Sandel, il liberalismo ed i limiti della giustizia”, Tempofertile, giugno 2019.

[14] – Sono quelle dei cosiddetti “comunitari”, ovvero tra i più rilevanti: Alasdair MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Feltrinelli Milano 1988 (ed. or. 1981), e Michael Walzer, Sfere di giustizia, Feltrinelli Milano, 1987 (ed. or. 1983).

[15] – Nozick, R., Anarchia, stato e utopia. Quanto stato serve?, Il Saggiatore Milano 2000 (ed. or. 1974).

[16] – Costa, V., cit., p. 25

[17] – Costa, V., cit., p. 39

[18] – Si veda, oltre a Visalli, A., Classe e partito, op.cit., Dussel, E., Le metafore teologiche di Marx, Inschibboleth, Roma 2018 (ed.or. 1993).

[19] – Costa, V., p. 63

[20] – Si può vedere su questo punto, su tanti, l’interpretazione di Costanzo Prece o quella di Gregory Clayes. Preve, C., Storia e critica del marxismo, La città del sole, Napoli 2007. Clayes, G., Marx e il marxismo, Einaudi, Torino 2020 (ed. or. 2018).

[21] – Costa, V., p. 67. Cit. Foucault, M., Follia e psichiatria. Detti e scritti, 1957-84, Cortina Milano 2006, p. 55.

[22] – Costa, V., p. 85

[23] – Su questo si veda il lavoro di Jean-Claude Michéa. Ad esempio, Michéa, J-C., I misteri della sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto, Neri Pozza, Vicenza 2013 (ed.or. 2013); Michéa, J-C., Il nostro comune nemico. Considerazioni sulla fine dei giorni tranquilli, Neri Pozza, Vicenza, 2018 (ed. or. 2017); Michéa, J-C., L’impero del male minore. Saggio sulla civiltà liberale, Scheiwiller, 24 Ore Motta cultura, Milano 2008 (ed. or. 2007).

[24] – Il grande fatto della politica dell’avvio secolo è l’irruzione delle masse nella vita sociale e politica, per effetto dell’estensione del suffragio, dell’urbanizzazione, della mobilitazione determinata dalla guerra.

[25] – Si veda Paolo Desogus, “La questione meridionale di Gramsci dall’economico-corporativo all’etico-politico”, in AAVV, A partire da Gramsci. Aspetti e problemi della questione meridionale oggi, Consecutio Rerum, Anno VII, n. 14, 2/2022-2023.

[26] – Su questo punto capitale si veda la ricostruzione della critica posta dalla teologia della liberazione in Visalli, A. Classe e partito, op.cit., cap. 3, p. 118 e seg. Oppure Assmann, H., Hinkelammert, F., Idolatria del mercato. Saggio su economia e teologia, Castelvecchi 2020 (ed. or. 1989); Dussel, E., Filosofia della liberazione, Queriniana, Brescia 1992 (ed or 1972); Gutiérrez, G., Teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1972 (ed. or. 1971).

[27] – Costa, V., L’assoluto e la storia. L’Europa a venire, a partire da Husserl, Morcelliana, Brescia 2023.

[28] – Visalli, A., “Vincenzo Costa, L’assoluto e la storia. L’Europa a venire, a partire da Husserl, Tempofertile, dicembre 2023.

[29] – Costa, V, Categorie della politica, op.cit., p. 150

[30] – Derrida, J. “Margini della filosofia”, Einaudi, Torino, 1997 (ed.or. 1972).

[31] – Costa, V., Categorie della politica, op.cit., p. 150

[32] – Si veda, per avvicinarsi alla complessità e pluralità intrinseca della cultura russa, Kappeler, A., La Russia. Storia di un impero multietnico, Edizioni Lavoro, Roma 2006 (ed. or. 2001).

[33] – Xi Jimping, “Gli scambi ed il mutuo apprendimento rendono le civiltà più ricche e variopinte”, discorso al quartier generale dell’Unesco, 27 marzo 2014, in Xi Jimping, “Governare la Cina”, Giunti Editore 2016.

[34] – Dialoghi di Confucio, “Zilu”. Si veda anche Lunyu 13,24, “he er bu tong”, dove “he” indica la corrispondenza tra i suoni, nella quale ognuno esprime pienamente la propria potenzialità articolandosi in perfetta sintonia con gli altri, questa parola implica consenso (gongshi) che tiene tutti in gioco. Esclusione e conflitto sono l’opposto del concetto di ‘armonia’ (una traduzione possibile di “he”) che implica l’impegno di mediazione tra tutte le parti in gioco allo scopo di realizzare una società che incontri il massimo consenso di tutti, dando ascolto anche ad istanze diverse e contraddittorie, senza indulgere né nell’autoritarismo di sceglierne una né nel libertarismo di lasciarle senza armonia. La tensione tra ordine (zhi) e disordine (luan), sia a livello sociale sia individuale e spirituale, è alla radice del perseguimento dell’armonia nella ricerca costante del miglior punto di equilibrio tra le forze in gioco.

[35] – Xi Jimping, cit., p. 324

[36] – Heidegger, M., Saggi e discorsi, Mursia 1991, “La questione delle tecnica”.

[37] – Su questo si veda, ad esempio Taylor, C., L’età secolare, Feltrinelli, Milano 2007 (ed. or. 2007).

[38] – Heidegger, M., L’abbandono, Il melangolo, Genova, 1983

[39] – Laozi, Daodejing. Il canone della Via e della Virtù, Einaudi, Torino, 2018, p. 127 e seg.

[40] – Hou, Y., Cosmotecnica, Nero 2021 (ed.or. 2016), p. 27

[41] – Hou, op.cit., p. 43

[42] – Si veda Greengrass, M., La cristianità in frantumi. Europa 1517-1648, Laterza, Bari-Roma 2014 (ed.or 2014).

[43] – Tra tanti si veda, ad esempio, Gosh, A., La maledizione della noce moscata. Parabole per un pianeta in crisi, Neri Pozza, Vicenza 2022 (ed. or. 2021); Dalrymple, W., Anarchia, Adelphi, 2022 (ed. or. 2019); Todorov, T., La conquista dell’America. Il problema dell’altro, Einaudi, Torino 1984 (ed. or. 1982); Galeano, E., Le vene aperte dell’America Latina, Sperling & Kupfer, 2015 (ed.or., 1997); Reinhard, W., Storia del colonialismo, Einaudi, Torino 2002 (ed. or. 1966); Hochschild, A., Gli spettri del Congo. Storia di un genocidio dimenticato, Garzanti, Milano 2022 (ed. or. 2020); Green, T., Per un pugno di conchiglie. L’Africa occidentale dall’inizio della tratta degli schiavi all’Età delle rivoluzioni, Einaudi, Torino 2021 (ed. or. 2019); Lowell, J., La guerra dell’oppio e la nascita della Cina moderna, Einaudi, Torino 2022 (ed. or. 2011); French, H., L’Africa e la nascita del mondo moderno, Rizzoli, 2023 (ed. or. 2021).

[44] – Si veda Sen, A., L’altra India. La tradizione razionalista e scettica alle radici della cultura indiana, Mondadori, Milano 2005, (ed. or. 2005)

[45] – Poskett, J., Orizzonti. Una storia globale della scienza, Einaudi, Torino 2022 (ed. or. 2022).

[46] – Russo, L., La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli, Milano 1996.

[47] – Russo, L., Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146 -145 a.C.), Carocci, 2022.

[48] – Russo, L., La rivoluzione dimenticata, op.cit., p. 401 e seg. Si veda anche, Russo, L., Santoni E., Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia, Feltrinelli, Milano 2010.

[49] – Tra i testi che mi pare possano individuare, se non altro per rendere più complessa da costituzione di questo enunciato c’è la “Introduzione” a Husserl, E., Fenomenologia dello spazio e della geometria, Morcelliana, Brescia 2021 (a cura di Vincenzo Costa); Costa, V., Esperienza e realtà. La prospettiva fenomenologica, Morcelliana, Brescia, 2021; Costa, V., Husserl, Carocci, Roma 2009; Costa, V., Il movimento fenomenologico, Morcelliana, Brescia, 2014; Costa, V., Distanti da sé. Verso una fenomenologia della volontà, Jaca Book, Milano 2011; Costa, V., Fenomenologia dell’intersoggettività. Empatia, socialità, cultura, Carocci, Roma 2010.

[50] – Costa, V., Categorie della politica, op.cit., p. 151

[51] – Costa, V., cit., p. 153

[52] – Cfr. Visalli, A., Classe e partito, op.cit., cap. 1, p. 39 e seg.

[53] – Cfr. Visalli, A., Classe e partito, op.cit., cap 2.

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Cosa è la Sinistra… E cosa resta?_di Aurelien

Cosa è la Sinistra… E cosa resta?
Un tentativo (probabilmente fallito) di fare un po’ di chiarezza.
AURELIEN
13 DICEMBRE

Questi saggi saranno sempre gratuiti, e potete sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando, e soprattutto passando i saggi ad altri, e ad altri siti che frequentate.

Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Grazie anche a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni in italiano.

Il saggio della scorsa settimana ha suscitato (non per la prima volta) una grande discussione sulla “sinistra”, sul fatto che certi partiti e certe idee possano essere considerati “di sinistra” e sul fatto che abbia importanza. Alcune persone sono state così gentili da suggerirmi di esprimere alcune riflessioni sull’argomento, e così, ecco qui.

Come tutti questi saggi, anche questo è principalmente un tentativo di spiegazione. Non sono interessato a polemizzare sul perché la mia definizione di sinistra sia migliore della vostra, né ad assegnare un voto su dieci a partiti o ideologie per quanto sono di sinistra. Tra l’altro, non sono uno storico né (fortunatamente) un politologo. Ma penso che ci siano alcune cose utili e pragmatiche da dire su questa questione che potrebbero aiutare a dissipare un po’ la confusione. Strutturerò questo saggio stabilendo i punti su cui credo che la maggioranza delle persone sia d’accordo, per poi esaminarne le conseguenze pratiche.

In primo luogo, possiamo concordare sul fatto che negli ultimi due secoli è esistita una tendenza politica chiamata sinistra. Le origini del termine sono interessanti, perché ci danno un indizio sulla natura della sinistra stessa. Come tutti sanno, è apparso all’epoca della Rivoluzione francese, quando i membri dell’Assemblea nazionale che sostenevano la continuazione della monarchia e dello status quo sedevano generalmente alla destra del Presidente, mentre quelli che sostenevano la Rivoluzione, nel senso più ampio del termine, sedevano a sinistra. La stessa distinzione di massima fu utilizzata negli anni confusi e conflittuali che seguirono, anche se i confini precisi si spostarono un po’.

Questo ci ricorda che la distinzione originaria tra Sinistra e Destra emerse da una lotta sulla futura forma di governo del Paese e sulla conseguente distribuzione del potere. A destra, i puristi ritenevano che la distribuzione del potere dell’Ancien régime (essenzialmente una monarchia assolutista con alcuni poteri regionali e locali di contrasto) fosse perfetta e non dovesse mai essere cambiata, perché ordinata da Dio. Col passare del tempo, i membri più pragmatici della Destra erano ancora desiderosi di mantenere il sistema, ma erano disposti a fare qualche modesto accomodamento, per condividere il potere in modo un po’ più equo. La sinistra si estendeva da coloro che erano favorevoli a una monarchia costituzionale sul modello britannico, a coloro che volevano una Repubblica con il potere nelle mani delle classi medie, fino a coloro che volevano mettere tutto il potere nelle mani della gente comune. Con la rapida evoluzione del sistema politico, emerse una nuova classe di “moderati” o “centristi”, che ritenevano che la Rivoluzione si fosse spinta abbastanza in là, o anche un po’ troppo in là, e che le cose dovessero ora fermarsi al punto in cui erano. Queste distinzioni pragmatiche, in gran parte indipendenti dalla teoria, avrebbero plasmato la natura della politica per più di un secolo. La questione fondamentale della politica collettiva era allora (e lo è ancora, direi): chi ha il potere? A seconda di dove fosse il potere, quindi, etichette come Sinistra, Destra e Centro erano sempre relative e potevano spostarsi parecchio.

In secondo luogo, è stato solo nel corso del tempo che questi modelli ideologici hanno effettivamente prodotto partiti politici formati. (In ogni caso, i partiti politici formati in assenza di elezioni sono un po’ superflui). Le lotte politiche precedenti erano state contese tra diverse forme di organizzazione politica: la famosa trilogia di tirannia, oligarchia e democrazia in Grecia, la lotta tra le grandi famiglie e i repubblicani a Firenze, e così via. Anche in Grecia e a Roma, dove esistevano istituzioni politiche rappresentative, il concetto di partito, o addirittura di carriera politica professionale, non era ben sviluppato. In Gran Bretagna, dove le cose sono successe prima e dove il Parlamento è sempre stato un centro di potere indipendente, già nel XVIII secolo esisteva qualcosa di simile ai partiti politici organizzati, ma essi rappresentavano costellazioni di interessi più che idee politiche astratte. Paradossalmente, è stato solo con l’avvento di un ragionevole livello di democrazia, nonché con lo sviluppo della tecnologia e quindi di una classe operaia industriale urbana, che i partiti di massa organizzati della sinistra sono diventati effettivamente realizzabili, spesso, anche se non sempre, con “socialista” o “comunista” come parte del loro nome.

In terzo luogo, la distinzione originaria tra sinistra e destra non riguardava solo chi avrebbe avuto il potere, ma anche chi avrebbe dovuto averlo (cioè l’ideologia) e questo vale ancora oggi. Ecco perché le lotte della Rivoluzione francese, e delle altre che l’hanno seguita, riguardavano essenzialmente il miglior sistema di governo. Per molti francesi comuni nelle campagne, dove viveva la stragrande maggioranza, il sistema in vigore era quello ordinato da Dio e basta. Si sollevarono quindi in difesa di un sistema divinamente ordinato e contro coloro che consideravano poco meno che atei. I loro eserciti improvvisati combatterono con lo slogan “Per Dio e per il Re”, sottolineando che stavano difendendo una particolare posizione ideologica. A sua volta, il governo rivoluzionario inviò le truppe per reprimere sanguinosamente le rivolte, in nome della propria ideologia, con conseguenze che si sono protratte fino ai giorni nostri.

Ciò contribuisce a spiegare il paradosso (apparente) delle persone che sostengono un partito politico quando i loro interessi economici suggerirebbero di sostenerne un altro. Le opinioni profonde sul tipo di società che si desidera sono spesso più potenti della promessa di benefici economici immediati. Molto spesso, inoltre, le persone sostenevano i partiti di destra perché temevano il cambiamento: il presente poteva non essere perfetto, ma il futuro, se la sinistra avesse preso il potere, avrebbe potuto essere peggiore. Dopotutto, non c’è nessuno più reazionario dell’individuo che è riuscito a salire un po’ di livello sociale e ora guarda con disprezzo i suoi ex-uguali. La paura di perdere il piccolo vantaggio acquisito, o il timore di non essere più in grado di distinguersi facilmente dalla classe operaia, sono potenti incentivi a votare per la destra, poiché ciò preserva la situazione, e quindi il proprio piccolo vantaggio.

Quindi le ragioni per cui le persone hanno storicamente votato per la sinistra o per la destra (a prescindere dalle etichette transitorie dei partiti) non sono necessariamente finanziarie, e in effetti il potere finanziario e quello politico non sono sempre andati di pari passo. È stato così finché la ricchezza era legata più o meno esclusivamente alle rendite derivanti dalla proprietà della terra, ma lo sviluppo di una classe media urbana e l’avvento della rivoluzione industriale hanno fatto sì che in molti Paesi il potere dell’aristocrazia (spesso relativamente povera) fosse sempre più contestato, a volte in modo violento. È inoltre riconosciuta la tendenza dei proprietari di immobili in qualsiasi Paese a votare in modo sproporzionato per la destra, perché si identificano psicologicamente con le tradizionali strutture di potere basate sulla proprietà. (È interessante notare come la qualificazione della proprietà sia stata uno dei passi intermedi verso la piena democrazia in alcuni Paesi).

In quarto luogo, come sarà ormai evidente, la sinistra è necessariamente una festa mobile, e in qualsiasi momento esisterà in forme diverse con opinioni diverse su come esattamente il potere dovrebbe essere distribuito e chi dovrebbe avere cosa. Inoltre, poiché la sinistra è stata storicamente una forza insurrezionale che cercava di sconvolgere lo status quo, c’era molto spazio per le discussioni sul modo migliore per promuovere una più ampia distribuzione del potere. In linea di massima, questo si risolse in un conflitto tra i gradualisti, che credevano in riforme frammentarie e nel vincere lentamente la battaglia delle menti e delle idee, e i rivoluzionari che credevano che il sistema nel suo complesso non potesse essere riformato e dovesse essere rovesciato. Per un certo periodo, e soprattutto dopo il 1945, sembrava che i gradualisti avessero la meglio, anche se oggi questo sembra meno chiaro.

Era ovvio che entrambe le politiche non potevano essere perseguite allo stesso tempo, e che anzi erano in contrasto l’una con l’altra. Soprattutto dopo la Rivoluzione russa e la fondazione dell’Internazionale comunista, le due tendenze si scannarono a vicenda. Ciò ebbe conseguenze disastrose: L’insistenza di Stalin sul fatto che la sinistra non comunista (“socialfascisti” era uno dei termini più gentili) fosse di fatto uguale alla destra, impedì qualsiasi cooperazione tra partiti comunisti e socialisti. Questo fu un problema soprattutto in Germania, dove i comunisti si rifiutarono di sostenere la Repubblica di Weimar, accelerando così la sua caduta e tutto ciò che ne seguì. Quando Stalin cambiò idea nel 1936, era già troppo tardi e in ogni caso, dove era importante, come in Spagna, i comunisti passarono gran parte del loro tempo a spazzare via la concorrenza di sinistra.

Pertanto, la sinistra sarà intrinsecamente divisa sia sugli obiettivi strategici che sulle tattiche, poiché non esiste una formula matematica concordata per calcolare la distribuzione ideale del potere, né un modo sicuro per raggiungerla. Storicamente, i partiti di sinistra hanno quindi spaziato da quelli che cercano un cambiamento politico ed economico radicale, senza escludere la violenza, a quelli che credono che il sistema attuale possa essere catturato e fatto funzionare meglio. Si va da coloro che aborriscono qualsiasi forma di potere centralizzato e favoriscono la democrazia diretta, a coloro che credono che se le persone giuste controllano il sistema esistente, questo può essere fatto funzionare nell’interesse generale. Storicamente, ciò che univa la sinistra era la convinzione che il potere fosse concentrato nelle mani sbagliate, e a volte questo era tutto ciò che la univa. Oggi la situazione è più complicata, come vedremo tra poco.

In quinto luogo, una volta che i partiti di massa della sinistra si sono organizzati, sono stati inevitabilmente guidati e gestiti in modo sproporzionato da socialisti di formazione borghese. Sebbene ci fossero molti leader della classe operaia di spicco, gran parte del lavoro passava inevitabilmente nelle mani di coloro che avevano il tempo libero, l’istruzione, le capacità organizzative e professionali e che potevano operare efficacemente in parlamento e con i media. Questo aspetto fu notato molto presto da Robert Michels, un funzionario del Partito Socialista Tedesco, che scrisse di quella che chiamò “Legge di ferro dell’oligarchia”, secondo la quale in qualsiasi organizzazione poche persone finiscono per dominare. In effetti, negli anni Cinquanta, la maggior parte dei partiti di sinistra era in pratica guidata a livello nazionale da leader della classe media con formazione universitaria, mentre a livello locale la maggior parte del potere era ancora detenuta dai membri dei sindacati, il cui sostegno era essenziale per mantenere una base politica di massa.

Questo non era necessariamente un problema, perché la maggior parte dei dirigenti della classe media condivideva un impegno genuino per rendere il mondo un posto migliore: Hugh Gaitskell, probabilmente il miglior Primo Ministro che la Gran Bretagna abbia mai avuto, era figlio di un produttore benestante, ma si era convertito al socialismo dopo aver visto le condizioni miserevoli della classe operaia intorno a lui. Il problema si è aggravato con la massiccia espansione dell’istruzione universitaria a partire dagli anni Sessanta, che ha prodotto una nuova classe di membri del partito con una laurea, che svolge un lavoro da “colletti bianchi”, spesso nel campo dell’istruzione, dei media o in ambiti simili, e che è fisicamente e intellettualmente molto lontana dalla base tradizionale del partito. Con il passare del tempo e la progressiva deindustrializzazione dei Paesi occidentali, queste persone hanno iniziato a dominare. Erano meno preoccupati degli obiettivi tradizionali della sinistra – dopo tutto, negli anni Sessanta la società era diventata molto più equa, il potere era molto più diffuso e la povertà e la disoccupazione erano cose del passato – e molto più preoccupati delle questioni etiche e dei problemi del mondo. Nella maggior parte dei Paesi si sono fatti strada con la guerra del Vietnam, dopodiché hanno iniziato a fare campagne su temi come l’ambiente, l’apartheid in Sudafrica e la povertà nel mondo: cause che, pur con tutte le loro virtù intrinseche, non erano le principali preoccupazioni della loro base elettorale. Inoltre, tendevano ad avere opinioni socialmente molto più liberali di quelle della base operaia naturalmente conservatrice del partito.

A sua volta, il potere nei partiti politici, rispetto all’apparato di governo, era spesso ancora detenuto dai tradizionali leader sindacali. Ciò è avvenuto soprattutto in Gran Bretagna, dove la conferenza annuale del Partito Laburista era dominata dai sindacati e la politica del partito era, almeno in teoria, dominata dal voto di blocco di milioni di iscritti esercitato dai leader sindacali. Questo ha prodotto un’enorme instabilità e divisioni all’interno del Partito Laburista: James Callaghan, l’ultimo Primo Ministro laburista prima di Blair, paragonò le riunioni settimanali del Comitato esecutivo nazionale del partito a un “calvario”. I leader dei sindacati si resero impopolari, anche presso i loro stessi iscritti, con i loro interventi spesso maldestri in politica, e la loro cattiva immagine pubblica tendeva a minare il Partito Laburista e a oscurare gran parte del buon lavoro che i sindacati effettivamente svolgevano. I tentativi del governo di Harold Wilson negli anni Sessanta di porre le relazioni industriali su una base giuridica adeguata furono sconfitti dall’opposizione dei sindacati: la prima tappa del suicidio della sinistra britannica. Con il precipitoso declino del potere dei sindacati a partire dagli anni ’80 e la scomparsa della base di massa del partito, la presa dei colletti bianchi su tutti gli aspetti del partito è necessariamente aumentata.

Lo stesso è accaduto nella maggior parte dei Paesi occidentali, soprattutto con il declino dei partiti comunisti precedentemente potenti e ben organizzati dopo la Guerra Fredda. La natura naturalmente frammentaria dei partiti di sinistra, unita alle tensioni economiche degli anni Settanta, aveva già iniziato a spaccarli. L’esempio più catastrofico si ebbe, ancora una volta, in Gran Bretagna, dove gran parte dell’élite borghese del Partito Laburista, stanca dei sindacati e stufa delle frange trotzkiste e delle loro tattiche di ingresso, se ne andò in fretta e furia per fondare il Partito Socialdemocratico, che non fu mai in grado di ottenere una grande rappresentanza in Parlamento, ma riuscì a distruggere le possibilità del Partito Laburista di formare esso stesso un governo per tutti gli anni Ottanta e la maggior parte degli anni Novanta, finché alla fine si disintegrò a sua volta.

Mi soffermo un attimo su questo esempio, perché la vittoria dei conservatori alle elezioni del 1979 viene spesso considerata come l’inizio di uno spostamento a destra a livello mondiale e di un rifiuto del consenso economico del dopoguerra. Le politiche del governo conservatore della Thatcher, così come erano, furono rapidamente riprese altrove, con il sostegno entusiasta dei ricchi, di gran parte dei media occidentali e dei sistemi bancari e finanziari, in quanto promettevano ricchi guadagni dalla privatizzazione dei beni pubblici e dalla progressiva distruzione del settore pubblico. Ad esempio, quando François Mitterrand fu eletto primo Presidente socialista della Quinta Repubblica nel 1981, le sue politiche sensate e impeccabili di consenso postbellico si scontrarono con il muro di mattoni che si stava frettolosamente costruendo sulla base della vittoria della Thatcher e, più che altro, sul senso di disperazione e di sconfitta che si era rapidamente impadronito dei partiti di sinistra di tutto il mondo negli anni Ottanta.

Ma tutto questo non era necessario. Nel 1979, la Thatcher ottenne una vittoria casuale, essenzialmente grazie a un voto di protesta. Un lungo e rigido inverno, costellato da vertenze industriali e scioperi, e un governo incerto e con una maggioranza risicata si combinarono per produrre un’elezione imprevista e una risicata maggioranza conservatrice. Ma un’elezione nell’ottobre 1978, che James Callaghan era stato fortemente consigliato di tenere, avrebbe probabilmente portato a un Parlamento senza maggioranza complessiva, o con una maggioranza risicata per la Thatcher. La decisione di non indire le elezioni fu probabilmente il più grande errore della politica britannica del XX secolo. Tuttavia, la catastrofe economica provocata dalle politiche economiche dei conservatori avrebbe dovuto portare alla vittoria dei laburisti nel 1983, e lo avrebbe fatto, se non fosse stato per la scissione appena descritta, che in pratica equivaleva al taglio della gola da parte della sinistra britannica.

Quindi l’apparente trionfo della destra e l’apparente sconfitta della sinistra, in Gran Bretagna e altrove, è stata in gran parte contingente e persino in parte un’illusione ottica. L’opinione pubblica della maggior parte dei Paesi occidentali si è in realtà spostata a sinistra negli anni ’80, se intendiamo il termine “sinistra” nel senso tradizionale qui utilizzato di ricerca di una più equa distribuzione del potere e della ricchezza. Sondaggio dopo sondaggio è emerso che, quando si chiedeva ai cittadini occidentali non quale partito sostenessero o quale etichetta gradissero, ma quali politiche favorissero, le politiche tradizionali della sinistra rimanevano popolari presso la maggioranza dell’elettorato.

È proprio a questo punto, però, che la sinistra tradizionale si è arresa ed è diventato sempre più difficile trovare partiti che sostenessero effettivamente una società migliore e più giusta. Alla fine, la sinistra non ha opposto una vera e propria resistenza, né tantomeno ha reagito. Coloro che hanno controllato sempre più la sinistra dagli anni ’80 in poi hanno commesso due errori. Hanno scambiato un momento politico transitorio per un grande cambiamento strutturale nel pensiero dell’elettorato, si sono arresi completamente e si sono sdraiati nel fango davanti al rullo compressore aspettando rassegnati di essere schiacciati. (Qui, ovviamente, vediamo il tradizionale masochismo della sinistra e il suo amore per le sconfitte). All’epoca c’era un mercato considerevole in vari Paesi per i libri che sostenevano che la sinistra era finita, che non avrebbe mai più avuto il potere e che il meglio che poteva fare era emulare la destra, ma con un volto un po’ meno disumano. Questa generazione di sinistra era molto più influenzata dall’opinione dell’élite, dai media e dalle persone che conoscevano socialmente che non dal comune gregge di elettori, che continuava ostinatamente a sostenere le idee tradizionalmente associate alla sinistra. Ricordo una figura tipica dell’epoca che riteneva che la sinistra dovesse cambiare in questo modo: Martin Jacques, esponente del partito comunista e redattore di Marxism Today con un dottorato in economia, che per tutti gli anni Ottanta scrisse una serie di articoli autolesivi sulla fine della sinistra in Gran Bretagna, prima di cambiare idea dopo la vittoria laburista del 1997.

Il secondo errore fu di immaginazione. All’inizio del suo regno, la Thatcher era una figura talmente divisiva e per molti versi ridicola (era soprannominata “Attila la gallina” a Whitehall per i suoi scatti d’ira) che sembrava impossibile che potesse durare a lungo. E in effetti, se non fosse stato per una grande dose di fortuna e per l’assoluta incompetenza dell’opposizione, non ce l’avrebbe fatta. Quando i suoi nemici politici si sono resi conto che lei e la sua cricca facevano sul serio, la macchina era ormai sciolta e si stava scatenando nel Paese, distruggendo tutto e invadendo altri Paesi.

In sesto luogo, le idee della sinistra non sono la stessa cosa delle idee del liberalismo, e non lo sono mai state. In passato, questa distinzione non avrebbe sorpreso né la sinistra né i liberali, che spesso erano acerrimi nemici. La differenza fondamentale è che la sinistra si è sempre interessata al bene della società nel suo complesso, mentre il liberalismo si concentra sugli interessi del singolo. Il liberalismo è sorto prima dell’era della democrazia di massa – anzi, è antipatico ad essa – e l’argomentazione di alcuni liberali secondo cui la somma dei diritti individuali può sommarsi a un diritto collettivo è chiaramente errata. La maggior parte dei “diritti” sono in realtà rivendicazioni sul tempo e sul denaro di altre persone, e inevitabilmente coloro che hanno più successo nel far valere queste rivendicazioni saranno quelli che hanno il potere e il denaro. Filosofi come John Rawls, che hanno tentato di costruire società liberali ideali – ad esempio basandosi sulla sua ipotesi del velo di ignoranza – stanno in realtà scrivendo fantascienza, piuttosto che teoria politica.

Il liberalismo è nato, dopo tutto, come risposta della classe media al potere della monarchia in vari Paesi. Non è stato concepito come un movimento politico di massa e non ha mai avuto l’intenzione di svilupparsi. (Un movimento politico di massa di individualisti in competizione è comunque un concetto curioso). Era contro la concentrazione del potere in troppe poche mani e contro l’idea di un governo forte e capace, ma molto favorevole all’idea di ottenere più potere per sé. In effetti, possiamo definire la differenza tra le idee della sinistra e quelle del liberalismo in senso lato come la differenza tra democrazia e oligarchia. Montesquieu lo notò nel suo famoso inno alle virtù del sistema politico britannico. Il potere in Gran Bretagna, sosteneva, era condiviso tra le diverse parti dell’establishment, in modo che nessuna parte diventasse troppo potente, come era diventata la Corona in Francia. Ma è proprio nella differenza tra separazione dei poteri e diffusione del potere che si trova il contrasto tra questi due sistemi di pensiero.

Per fare una semplice analogia, consideriamo una società gestita dai liberali come una famiglia di classe medio-alta che discute su cosa fare della casa dei genitori, che comincia ad avere bisogno di manutenzione e potrebbe essere venduta. Un figlio, forse, è un politico, un altro un banchiere, un altro lavora nei media, un quarto è un avvocato, un quinto è un medico. Quindi potrebbero commissionare uno studio a un architetto o a un costruttore per aiutarli a decidere, ma non si sognerebbero mai di chiedere il parere del giardiniere o della donna delle pulizie. Pertanto, i principali partiti liberali della storia hanno sempre avuto un problema strutturale nell’attrarre un elettorato di massa. Non era ovvio perché la classe operaia dovesse votare per partiti che diffidavano dell’azione e della spesa del governo (tranne che per la polizia e i tribunali) e predicavano le virtù della libertà economica, che ovviamente avvantaggiava i più forti. (Come ha osservato il grande socialista britannico RH Tawney, “la libertà per il luccio è la morte per il pesce piccolo”). Inoltre, quando le due tendenze entrarono in collisione, i liberali, in quanto movimento fondamentalmente elitario, si schierarono con la destra. È il caso più noto della Francia del 1871, quando il governo repubblicano di Adolphe Thiers, appena insediato, inviò l’esercito a massacrare i comunardi che avevano preso il controllo di Parigi e tentato di instaurare una vera democrazia.

In una certa misura, questo conflitto fu celato da un grado di interesse comune con la sinistra che non è del tutto morto. Per esempio, i partiti liberali in Europa tendevano a opporsi a un ruolo politico della religione organizzata (anche se era pragmaticamente utile per tenere i poveri al loro posto), tendevano a essere favorevoli a un certo grado di istruzione, perché avevano bisogno di una forza lavoro istruita per le fabbriche e gli uffici, tendevano a essere contrari alle guerre e al militarismo, in quanto spreco di risorse pubbliche, e in generale erano felici di aumentare la percentuale di popolazione che poteva votare, almeno fino a un certo punto. Sostenevano una tassazione più elevata per i ricchi, perché non erano essi stessi molto ricchi. Col tempo si sono convertiti a un ruolo più ampio dello Stato (ad esempio in settori come la sanità e l’istruzione) perché hanno potuto constatare che ciò contribuiva a rendere i loro Paesi più competitivi dal punto di vista economico. Inoltre, data la vacuità ideologica del liberalismo stesso, i liberali tendevano spesso ad assumere la colorazione politica dell’epoca. Nel XIX secolo, in alcuni Paesi i liberali furono fortemente influenzati dalla religione evangelica, con il suo impegno per il benessere sociale, e in Francia adottarono le idee repubblicane, compresa l’uguaglianza. Per gran parte del XX secolo hanno seguito le concezioni socialdemocratiche prevalenti, tanto più che temevano le attrattive elettorali dei partiti comunisti. Inoltre, molti liberali appartenevano a quella comoda classe media che si considerava moralmente superiore ad altre parti della società, e molti frequentavano la chiesa o si impegnavano in attività benefiche. Nella mia giovinezza, essere un politico liberale era quasi un sinonimo di “simpatico”, anche se in definitiva inefficace, e dalla stessa parte, in definitiva, dei partiti di sinistra. È solo nell’ultima generazione o giù di lì, quando tali accomodamenti non sembrano più necessari, che i guanti sono stati tolti.

Inoltre, i liberali avevano, e in gran parte conservano, il grande vantaggio politico della custodia della parola “libertà”. Dopo tutto, chi non vorrebbe essere “libero”? Chi potrebbe ragionevolmente votare per un partito che promette di rendervi meno liberi? Ma come Tawney aveva notato, e come George Orwell sottolineava spesso, “libertà” è un concetto molto scivoloso. (È un utile esercizio retorico sostituire “incontrollato” o “non regolamentato” con “libero” in un discorso liberale e osservare i risultati). La sinistra, d’altra parte, ha sempre sottolineato che la “libertà” normativa o dichiarativa non ha alcun valore se non vengono messe in atto misure specifiche per garantire che la libertà teorica diventi effettiva e che non venga poi abusata dai ricchi e dai potenti. Perciò qualcosa come gli accordi di Schengen, parte della “libera circolazione dei popoli” tanto amata dall’UE, è una classica misura liberale. In teoria tutti sono liberi di viaggiare ovunque, anche se in pratica la maggior parte degli europei va all’estero meno di una volta all’anno, e solo per le vacanze. Molti non lasciano mai il proprio Paese di nascita. D’altra parte, Schengen facilita il trasferimento dei lavoratori, non da ultimo degli immigrati non qualificati, da un Paese all’altro verso il luogo in cui i datori di lavoro hanno bisogno di loro: non è tanto la libera circolazione dei popoli quanto la libertà di spostare i popoli. Ma nulla di tutto ciò è davvero sorprendente: come aveva acutamente osservato Anatole France qualche tempo prima, in una società liberale “la legge proibisce a ricchi e poveri di dormire sotto i ponti, di chiedere l’elemosina per strada e di rubare pagnotte”.

Tuttavia, l’assenza di una vera e propria filosofia liberale che non sia la ricerca della gratificazione dell’ego produce un curioso paradosso: un’ideologia che si presume sia incentrata sulla libertà personale consiste, in pratica, in infinite regole e norme come modo per riempire il vuoto esistenziale. Al posto della religione organizzata – o delle opere di Marx, se preferite – abbiamo organismi di diritto contrattuale. Un esempio di ciò è stata l’effettiva criminalizzazione della vita quotidiana: la sostituzione dell’abitudine, della tradizione, delle buone maniere e del buon senso con norme infinitamente dettagliate e complesse per regolare il comportamento personale (si veda una qualsiasi università occidentale). Per contro, la maggior parte delle varianti del pensiero di sinistra enfatizza la necessità e i vantaggi del fatto che le persone elaborino e applichino le proprie regole, come hanno fatto storicamente i sindacati e i club di lavoratori.

Un’ultima, ma sostanziale, differenza è che la sinistra ha generalmente ripreso e attuato la parte dell'”uguaglianza” della rubrica della Rivoluzione francese, che non significa tanto che le persone debbano essere uguali (un’impossibilità effettiva), ma piuttosto che devono essere trattate in modo uguale, e quindi che le regole, le leggi e i diritti devono essere universali. Il liberalismo, invece, cerca di universalizzare il proprio insieme di assunti in gran parte aprioristici sulla libertà personale incontrollata, non solo a livello nazionale ma ovunque abbia il potere di farlo, e di cercare di contenere il caos che ne deriva attraverso regole e leggi sempre più dettagliate e coercitive. In altre parole, il liberalismo è bloccato nella contraddizione senza speranza di promuovere la libertà teorica di ognuno di essere diverso, mentre in pratica costringe tutti a essere gli stessi attori economici robotizzati che massimizzano i valori, tutti con lo stesso insieme limitato di opinioni accettabili. A differenza della tradizione della sinistra, che vede i diritti come universali, il concetto liberale di “diritti”, la cosa più vicina a una religione per il liberalismo, porta inevitabilmente al conflitto tra gruppi identitari autodefiniti che chiedono un trattamento speciale, di solito sulla base del fatto che non sono stati “uguali” in passato.

Riassumendo, e parlando della “sinistra” in generale, piuttosto che di gruppi, tendenze o ideologie specifiche, possiamo dire che la sinistra cerca una società in cui il potere e la ricchezza siano ampiamente distribuiti e in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile alla gente comune, nell’interesse della società nel suo complesso, e non di qualche gruppo contraddistinto da ricchezza, posizione o identità. Queste idee non sono nate nel vuoto e sono state collegate a concetti di come sarebbe stata una società migliore (anche se non necessariamente ideale) e i movimenti politici sono stati fondati per contribuire alla realizzazione di tale società. Ma poiché la sinistra si occupava essenzialmente della direzione che la società avrebbe dovuto prendere, piuttosto che dei dettagli del percorso e della destinazione, ci furono molte discussioni su dove andare esattamente e sulle tattiche migliori per arrivarci, che ebbero l’effetto di indebolire la sinistra nel suo complesso. Inoltre, le tensioni interne si sono sviluppate man mano che i partiti della sinistra perdevano la loro base operaia e la loro leadership originaria, per essere sempre più controllati da professionisti con una formazione universitaria e altre priorità. Questo processo tendeva a oscurare le profonde e importanti differenze tra il pensiero di sinistra e il liberalismo, nonostante alcune coincidenze di interesse: un problema che esiste ancora più fortemente oggi.

Per questo motivo, oggi viviamo in una società che ha poco a che fare con le aspirazioni e i valori tradizionali della sinistra e, soprattutto, in cui nessuno dei principali partiti politici occidentali abbraccia veramente l’idea di una politica redistributiva, né di una società e di un’economia gestite a beneficio di tutti. Piuttosto, il governo è diventato più distante, meno capace ma più potente, e nuovi attori non eletti come l’Unione Europea e vari tribunali nazionali e internazionali si sono inseriti in ciò che rimane dei processi democratici. Sebbene la ricchezza non conferisca automaticamente potere, abbiamo comunque assistito a un aumento senza precedenti delle disparità di ricchezza nella maggior parte delle società occidentali. Inoltre, gran parte di questa ricchezza è concentrata nelle mani di attori commerciali che svolgono un lavoro che un tempo era svolto dallo Stato e quindi, in pratica, nessuno è effettivamente responsabile nei confronti dell’elettorato per la corretta fornitura della maggior parte dei servizi che rendono possibile la nostra vita. Il concetto di diritti universali è stato disaggregato in una serie di “diritti” asseriti per qualsiasi gruppo che si autodefinisca tale. (Non esistono “diritti degli omosessuali”, per esempio: esiste il diritto universale degli omosessuali di essere trattati in modo uguale agli altri e quindi di non essere discriminati). Infine, “libertà” e “tolleranza” sono state reinterpretate per significare coercizione e intolleranza, nel caso in cui lobby politicamente potenti trovino qualcosa di cui lamentarsi.

Obiettivamente, nulla di quanto descritto corrisponde alle preoccupazioni e agli obiettivi tradizionali della sinistra: non si tratta di un giudizio di valore, poiché è evidente che molte persone e molti partiti politici sono di fatto soddisfatti di tutto ciò, e sosterrebbero che è giusto e necessario, ma semplicemente di un fatto pragmatico. Nella misura in cui esistono ancora partiti politici che sostengono l’idea tradizionale che le decisioni debbano essere prese il più vicino possibile al cittadino comune e il più possibile nell’interesse generale, essi si trovano per lo più in quella che viene definita la destra, se non l’estrema destra. Tuttavia, probabilmente non è una buona idea entusiasmarsi troppo per questo, o cercare di erigere teorie ambiziose sulla base di esso. Dopotutto, i partiti tradizionali della sinistra, ora gestiti da politici manageriali di comodo, di formazione universitaria e benpensanti, quasi del tutto separati dalle preoccupazioni del mondo reale ma fortemente influenzati dalla teoria, si comportano semplicemente come ci si aspetterebbe da loro, un po’ come i gestori di fondi speculativi che hanno rilevato un’azienda di famiglia. In effetti, è utile pensare ai partiti tradizionali della sinistra come a famose aziende (forse la Disney?) rilevate e rovinate da estranei che ne traggono solo vantaggi. In effetti, la lunga lotta tra la sinistra e il liberalismo è stata ormai vinta, con il secondo che si è infiltrato nel primo come un parassita, mantenendo però alcuni dei punti di riferimento e dei discorsi esterni. Non ha senso, quindi, dire che “la sinistra controlla le università”. Tutto ciò che si può forse dire è che lo fanno gruppi spesso identificati con partiti che un tempo erano di sinistra ma ora non lo sono più. Questi sono i partiti che ho sempre descritto come la Sinistra fittizia.

Temo molto che la vera sinistra possa rivelarsi una fase irripetibile nell’evoluzione delle società politiche. Si basava su ingiustizie chiare ed evidenti che dovevano essere affrontate, su obiettivi politici ed economici chiari ed evidenti che dovevano essere attaccati, su una base operaia di massa, su comunità organizzate intorno al posto di lavoro, su un discorso di solidarietà di classe e di giustizia economica, su sostenitori della classe media e su politici vicini alle preoccupazioni della gente comune. Tutto questo oggi non esiste.

Il che non significa che il liberismo senza palle di oggi abbia “vinto” in un senso importante. Anzi, la sua intrinseca incoerenza e la sua inevitabile guerra interna fanno sì che venga messo da parte dalla prima forza organizzata che lo affronterà. È abbastanza chiaro che questa forza sarà un tipo di populismo radicale, forse nozionalmente identificato con la destra, semplicemente perché la sinistra fittizia si rifiuterà di avere a che fare con essa. Ma coloro che rendono impossibile la vittoria della sinistra, renderanno inevitabile la vittoria della destra. Spero che saranno contenti del risultato.

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PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA, di Teodoro Klitsche de la Grange

PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA

C’è un “nocciolo duro” che collega il processo di decadenza della classe dirigente della “Seconda repubblica” e in particolare il PD, confermato dalle ultimi elezioni regionali, tutte perse dall’opposizione e l’ultima rovinosamente  (Fedriga ha riportato più del doppio dei voti del candidato PD-M5S ed altri): è la perdita di legittimità delle élite in disfacimento.

L’ironia della Storia ha fatto sì che, con le ultime elezioni politiche il primo partito e la Presidente del Consiglio della “Repubblica nata dalla resistenza” siano gli eredi di coloro che la resistenza l’avevano combattuta e dall’ “arco costituzionale” erano esclusi. Così che attualmente, contrariamente alle litanie ripetute da decenni, la volontà popolare ha rifiutato l’armamentario propagandato – fino a qualche anno fa confortato dal consenso – dal 1945. In un certo senso ha disconosciuto la paternità.

Questo, indipendentemente dal fatto che la “tavola dei valori” che  ispira la nostra costituzione, da non identificare con quella propagandata per decenni dalla sinistra (e non solo) che ne costituisce una versione parziale e ad “usum delphini”, non abbia ancora una sua legittimità, nel senso di una diffusa condivisione.

Gli è che, come scriveva Thomas Hobbes, l’essenza del rapporto politico e quindi del comando-obbedienza, è che chi pretende il comando deve dare protezione (effettiva). Con la conseguenza che se quella protezione non viene data cessa anche l’obbligo di obbedire. Questo è asserito dal filosofo di Malmesbury proprio nell’ultima pagina del Leviathan: di aver scritto il trattato “senza altro scopo che di porre davanti agli occhi degli uomini la mutua relazione tra protezione ed obbedienza; alle quali la condizione della natura umana e le leggi divine – tanto naturali che positive – richiedono un’osservanza inviolabile”.

E nelle pagine precedenti del Leviathan ci dà un saggio di ciò che non da protezione e quindi non serve a pretendere obbedienza. “Casistica” che ha più che qualche carattere di somiglianza con quanto praticato (anche) dalle élite decadenti, e ancor più con i cattivi risultati della loro azione di governo. Ad esempio quando Hobbes paragona la Chiesa cattolica al regno delle fate (e gli ecclesiastici alle fate) anche perché “Quale specie di moneta abbia corso nel regno delle fate non è detto nella storia; ma gli ecclesiastici  invece accettano nelle loro riscossioni la moneta, che noi coniamo, benché, quando debbano fare qualche pagamento, li facciano consistere in canonizzazioni, indulgenze e messe” e così i chierici non lavorano, ma come le fate, vivono approfittando del lavoro degli altri, banchettando con la crema del latte munto dai fedeli (o – per il potere temporale – dai sudditi).

C’è più di un’analogia con i trasferimenti di ricchezza, da tax-payers a tax-consommers operati dai governi delle élite, o ancor più con la predazione diretta (e indiretta) connessa; senza trascurare che ad ogni salasso si accompagna una enunciazione di buone intenzioni, e ancor più lo “scambio” di beni con chiacchiere.

Oppure quando Hobbes mette in guardia dall’insistere nel giustificare l’esercizio del potere col richiamo al titolo giuridico (successione, conquista, consuetudine), invece che all’effettività e risultati ottenuti. O, in senso contrario, col giustificare il proprio potere condannando le malefatte del regime precedente (invece dei risultati propri).

Il potere pubblico, assai più che ai tempi di Hobbes, ha giustificato dallo scorcio del XIX secolo il proprio intervento e così la pubblicizzazione di attività private (soprattutto nell’economia) con gli effetti in termini di sicurezza del futuro. Ma i risultati italiani nell’ultimo trentennio, quando l’influenza del PD (e predecessori) è stata determinante, sono i peggiori dell’area UE (ed euro). Onde i risultati di un’azione di governo esteso all’economia sono pessimi, e pertanto non c’è legittimità “di scambio” (protezione/obbedienza) che possa confortarla. Non resta che rivolgersi ad una legittimità fondata sulle intenzioni conformi a certi valori. Ciò ha un doppio limite: che quei valori debbano essere condivisi dalla maggioranza e, di conseguenza – e a lato – debbano essere ragionevoli.

Tuttavia condivisione ce n’è poca (v. risultati elettorali) e ragionevolezza (nel senso di obiettivi effettivamente alla portata di un’azione di governo) non di più.

Non si capisce infatti come insistere nel primario obiettivo di tutela dei c.d. “diritti umani” di esigue minoranze posponendo loro i “diritti sociali” conseguiti nel XX secolo sia produttivo di consenso, soprattutto maggioritario. Significa scambiare (con gioia?) parte dello stipendio e della pensione per promuovere le unioni tra omosessuali, l’utero in affitto, ecc. ecc. Che ci guadagna la stragrande maggioranza?

Quanto alla ragionevolezza va tenuto conto che il marxismo ha provato il carattere totalmente immaginario del proprio  esito ultimo: la società comunista, cioè il paese dei balocchi. Ma il vizio non è stato perso.

Alla natura umana e all’ordine politico sono connaturali due caratteri: la paura della morte e la preoccupazione per il futuro.

Ambedue strumenti di governo (e di accettazione – consenso) del potere politico. Quanto al primo c’è stato il tentativo di sfruttare come instrumentum regni il Covid, e poi la guerra russo-ucraina. Quest’ultima, contraddittoriamente (per la sinistra) quale lesione alla libertà e sovranità di popolo.

Ma quale beneficio ne abbia tratto il PD (e soci) non si vede.

Quanto all’ansia per il futuro: ossia (anche) della sicurezza economica (propria e di tutti): ma non si capisce quanta tranquillità agli italiani impoveriti possa venire (sia dai risultati che) dalle intenzioni dichiarate di un partito preoccupato di tutt’altro (LGTB et similia).

Hobbes scriveva che concepire il futuro presuppone l’esperienza del passato “Un concetto del futuro è solo una supposizione circa il medesimo derivante dal ricordo di ciò che è passato; e noi, in tanto concepiamo che qualcosa avverrà di qui in avanti, in quanto sappiamo che c’è qualcosa al presente che ha il potere di produrla. E che qualche cosa abbia al presente il potere di produrre in avvenire un’altra cosa, non possiamo concepirlo, se non grazie al ricordo che esso abbia prodotto la stessa cosa già altra volta”. Ricordo che non è dei migliori.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Stati Uniti, un regime senza più maschere_con Gianfranco Campa

Ci sono due modi di apprezzare le conversazioni con Gianfranco Campa. Uno non esclude l’altro. Uno è quello di soffermarsi sulla superficie della cronaca. Una sequenza intrigante di fatti ed aneddoti utili a caratterizzare lo stato di una nazione e lo spessore dei personaggi che lo governano. L’altro richiede un approccio più riflessivo e distaccato. Si possono osservare in tal modo, o per lo meno intuire le modalità di formazione e messa in atto delle decisioni, le dinamiche di esercizio del potere, l’importanza della visione e della maturità di una classe dirigente a cui è legato il destino di una nazione. Si scoprirà che gli apparati, le istituzioni per funzionare sono mossi da centri decisori che agiscono in strutture ed istituzioni, ma si formano nel tempo attraverso una rete informale di relazioni interna ed esterna ad esse. Un solido e saldo esercizio del potere richiede un equilibrio dinamico tra relazioni informali e funzioni istituzionali difficile da conservare nel tempo. Accanto e all’interno della forza di inerzia e della logica di funzionamento degli apparati agiscono la visione e le scelte dei soggetti, in cooperazione e conflitto tra di loro. Negli Stati Uniti questo equilibrio da tempo si sta dissolvendo e sembra ormai sul punto di precipitare. Da qui le forzature e i colpi di mano che spesso riescono a ferire ed annichilire l’avversario, divenuto ormai il nemico, ma che contestualmente erodono pericolosamente ed inesorabilmente la maschera di imparzialità e di legittimità del potere istituzionale. L’attuale classe dirigente statunitense vive ormai in questo stato, prigioniera di una catena di decisioni ed errori dalla quale sarà sempre più difficile liberarsi e la cui stretta spinge a decisioni sempre più distruttive e catastrofiche. L’immagine di un ex presidente, papabile di ridiventarlo, sotto le forche caudine di una giustizia arbitraria, privo del suo inseparabile stemma a stelle e strisce sul bavero della giacca può sembrare banale. E’ il segno inquietante, invece, di una parte significativa di popolo e di un suo rappresentante che non si riconoscono più in una istituzione. Mala tempora currunt. Buon ascolto. Pur con qualche difetto tecnico di trasmissione, ascoltate attentamente. Giuseppe Germinario

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Un’americana di sinistra eletta in Italia, di Carlo Lancellotti

https://www.ncregister.com/commentaries/an-american-leftist-gets-elected-in-italy

 

Un’americana di sinistra eletta in Italia

COMMENTO: Cosa dice l’ascesa di Elly Schlein sul nostro attuale momento politico.

di Carlo Lancellotti[1]

La stampa americana mainstream non presta generalmente molta attenzione alla politica italiana, se non, forse, per ridicolizzare le buffonate dell’ex premier Silvio Berlusconi o per temere il ritorno del “fascismo”. Per questo, qualche settimana fa, ero curioso di vedere come avrebbero trattato l’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico, la principale formazione politica italiana di sinistra. Dopo tutto, Schlein è la prima americana a guidare un importante partito politico italiano e ad essere un possibile futuro primo ministro.

 

Anche questo non è bastato ad attirare l’interesse dei media statunitensi, ma mi è sembrato significativo.

 

Quando descrivo la Schlein come “americana”, non mi riferisco solo al fatto che è cittadina statunitense e che suo padre è di New York (è un politologo che ha sposato un’italiana e ha cresciuto la sua famiglia in Svizzera). Intendo anche dire che la sua politica è americana: Ha imparato a fare politica come attivista nelle campagne presidenziali di Obama e le sue idee corrispondono perfettamente agli standard della sinistra sociale americana di oggi.

 

Le cause “sacre”, quelle che non possono essere messe in discussione e che segnano la divisione definitiva tra amici e nemici, sono quelle che riguardano i “diritti” individuali. Poi ci sono il riscaldamento globale e altre questioni ambientali e la condizione degli immigrati. Infine, vuole istituire un salario minimo e regolamentare la “gig economy” italiana.

 

Tuttavia, anche gli assi economici della sua piattaforma non sembrano pensati per proteggere la “vecchia” classe operaia, il tradizionale bacino di utenza della sinistra. Piuttosto, sono stati pensati per soddisfare le esigenze di quella che definirei la “classe professionale aspirante”, ovvero le persone più giovani, tipicamente urbane e ben istruite come lei, che non riescono a trovare un numero sufficiente di posti di lavoro a tempo pieno nel settore dei servizi.

 

Anche il personaggio di Schlein sarà familiare ai lettori americani. È una donna relativamente giovane (37 anni), una stereotipata “millennial”. Appartiene alla classe media professionale benestante (entrambi i genitori sono professori universitari), ha frequentato buone scuole, ha vissuto in più Paesi (possiede tre passaporti), è aconfessionale e bisessuale (attualmente vive con un’altra donna). Schlein si descrive come una progressista-femminista-ambientalista “intersezionale”. Sembra vivere in un mondo di assoluta chiarezza morale, in cui è dalla parte degli angeli e lotta per la “giustizia sociale e ambientale”.

In breve, appartiene a un “tipo” che si trova in tutto il mondo occidentale, ma che ha raggiunto la sua “perfezione platonica” negli Stati Uniti. Si potrebbe quindi dire che la sua ascesa conclude l'”americanizzazione” della sinistra italiana, un processo che probabilmente è iniziato negli anni Settanta, quando il Partito Comunista Italiano ha rinunciato alla rivoluzione marxista e ha accettato di far parte dell'”Occidente” – intendendo la nuova politica laica e neocapitalista che si era sviluppata in Nord America e in Europa durante la Guerra Fredda.

 

L’elezione di Schlein ha spinto molti editorialisti italiani a citare il defunto pensatore cattolico Augusto Del Noce, il quale aveva notoriamente previsto che la sinistra post-comunista sarebbe diventata un “partito radicale di massa”, cioè un partito liberale di stampo americano investito nei diritti individuali e nella politica culturale. Del Noce, ovviamente, non poteva prevedere che un giorno il leader stesso della “nuova” sinistra italiana sarebbe stato di origine americana, ma certamente lo avrebbe trovato simbolico.

 

Se dovessi scegliere una parola per descrivere Schlein e la cultura che rappresenta (che è, essenzialmente, la cultura “liberale” dominante dell’Occidente), sceglierei borghese. Decenni fa, quando il mondo di oggi stava prendendo forma, pensatori come Jacques Ellul e lo stesso Del Noce usavano questa parola per indicare una visione dell’umanità incentrata su un’idea individualistica e mondana di felicità. Il borghese è l’uomo (o la donna) che acquista e utilizza sistematicamente beni materiali, ma anche esperienze e relazioni, per raggiungere il “benessere”. Per lui/lei l'”altro” deve essere in definitiva uno strumento, perché la sua identità è per così dire autosufficiente. Può “aver amato molti uomini e donne” (come ha detto Elly Schlein di se stessa in un’intervista), ma in definitiva c’è una distanza tra le persone che non può essere colmata perché ognuno è un “cercatore di felicità” atomico.

 

Questa visione del mondo dovrebbe essere contrapposta a quella cristiana, in cui gli esseri umani portano un’immagine della Trinità e, quindi, la felicità è intrinsecamente relazionale: Siamo letteralmente costituiti dalle nostre relazioni con altre persone (ad esempio, i nostri genitori) e raggiungiamo la nostra realizzazione finale nella relazione con Dio. Questa è l’idea di beatitudine, che è in un certo senso l’opposto dell’idea borghese di felicità. Come dice Del Noce nel suo libro L’età della secolarizzazione, “se l’uomo non partecipa affatto a qualche forma di ragione o di valore assoluto, se non si trova unito agli altri uomini da un legame ideale, allora non può vedere nella natura o negli altri uomini altro che ostacoli o strumenti per la propria realizzazione”. Basta ricordare l’antica idea che l’amore umano è infinito e non può essere saziato da alcun bene finito”.

Del Noce aggiunge:

 

“Ora, l’idea di benessere […] non è altro che la trasposizione della beatitudine agostiniana dalla dimensione verticale al piano orizzontale. L’ascesa a Dio è sostituita dall’idea della conquista del mondo, del diritto del singolo soggetto a [possedere] il mondo. Questo diritto non ha limiti perché, essendo stato chiamato nel mondo senza la sua volontà, il soggetto sente di avere diritto a una soddisfazione infinita nel mondo stesso, quasi come una compensazione per questa chiamata. Ma, naturalmente, un singolo uomo non può realizzare interamente questa conquista. Può fare degli altri i suoi strumenti, ma facendosi a sua volta strumento; e questa strumentalizzazione reciproca, questa collaborazione senza fini ideali, è ciò che oggi si chiama “socialità”. […] L’uomo del benessere sperimenta un surrogato di libertà, non più nella liberazione dai bisogni e dagli interessi inferiori e percepibili, ma nella reciprocità del processo erotico”.

 

La differenza tra le due visioni può essere facilmente individuata in ambito politico.

 

Schlein, ad esempio, è favorevole al monopolio pubblico dell’istruzione, perché è chiaro che lo Stato dovrebbe “proteggere” i bambini (in quanto individui borghesi in erba non ancora pienamente in grado di scegliere la propria religione, il proprio sesso e così via) dall’invasione della propria famiglia. L’esempio più emblematico, naturalmente, è l’aborto, su cui Schlein ha posizioni estreme e “americane”. La mente borghese non può letteralmente elaborare una situazione in cui due vite umane sono così radicalmente intrecciate che una dipende interamente dall’altra. Subisce quindi una sorta di “cortocircuito” e per affermare il diritto alla felicità di un individuo è costretta a negare il diritto stesso all’esistenza dell’altro.

 

Schlein è, a mio avviso, un esempio perfetto di un fenomeno cruciale della politica contemporanea: Negli ultimi decenni, lo spirito borghese ha trovato la sua casa politica a sinistra più che a destra. Ha persino cooptato il tradizionale linguaggio marxista della liberazione rivoluzionaria, salvo usarlo prevalentemente per combattere “guerre culturali” e difendere gli interessi di gruppi non economici (definiti da razza, sessualità, identità di genere, ecc.). Anche se in Italia persone come la signora Schlein hanno spesso nonni comunisti e hanno ereditato da loro molte idee marxiste, non sono marxisti in senso classico. La loro utopia è strettamente individualista e borghese.

 

In conclusione, resta da vedere se Schlein sarà in grado di risollevare le sorti elettorali della sinistra e di formare un governo qualche anno dopo. Analogamente a quanto accade negli Stati Uniti, i cattolici italiani hanno risposto alla sua elezione dividendosi lungo linee ideologiche, esprimendo opposizione o cercando di trovare un terreno comune, scegliendo le “questioni” che sostengono la loro preferenza.

 

A prescindere da chi abbia ragione (personalmente penso che sarebbe un pessimo primo ministro), vorrei che tutti fossero più consapevoli della visione del mondo che rappresenta, perché tale consapevolezza è il presupposto per un’opposizione intelligente e per qualsiasi tipo di dialogo.

[1] Carlo Lancellotti è professore di matematica presso il College of Staten Island e membro del programma di fisica del CUNY Graduate Center. Oltre alla sua attività di studioso di fisica, ha tradotto in inglese e pubblicato tre volumi di opere del defunto filosofo italiano Augusto Del Noce. Lancellotti ha scritto anche saggi su Del Noce e su altri argomenti, apparsi su Communio, Public Discourse e Church Life Journal. V. anche http://delnoceinenglish.org .

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Cutro e la carica degli indignati, con Augusto Sinagra

La strage di migranti sulla spiaggia di Cutro ha vellicato gli impulsi peggiori e più strumentali di reazione e denuncia di un fatto e di una realtà di per sè così drammatica. Tutto per nascondere ed eludere l’incapacità politica e la postura acriticamente remissiva di un ceto politico e di una classe dirigente ampiamente responsabile dell’attuale condizione pietosa ed irrilevante di un paese e di una nazione nell’attuale contesto geopolitico. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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