VERSO IL CONGRESSO PD, di Antonio de Martini

VERSO IL CONGRESSO PD: AL LADRO,AL LADRO !

Per svagarmi da una angustia familiare divorante, ho voluto, per una volta, vedere, una trasmissione TV di quelle che facendo litigare i partecipanti, spiegano il mondo in un’ora e quattro intervalli pubblicitari.

Gente che credevo morta da tempo, come Ferruccio De Bortoli e Andrea Purgatori vengono utilizzati come gli orsi nelle fiere balcaniche.
Creano animazione e curiosità.

Si litiga tra politici nuovi e semi nuovi sui numeri e i decimali del PIL come se fossero veri.

Tutti indistintamente i protagonisti di questa serata – a un momento o un altro delle loro carrierette – si sono detti d’accordo sul fatto che l’evasione fiscale in Italia sia di oltre cento miliardi di euro all’anno.

Bene, se aggiungiamo questa cifra al nostro PIL ( calcolo a occhio data l’ora) il nostro rapporto debito/PIL si riduce al 90% ossia a posizioni migliori della Francia e comparabili alla Germania.

All’estero i conti li sanno fare e ne tengono conto anche se non lo dicono per ovvie ragioni speculative.

Sono meravigliato che tanti economisti di varia scuola non abbiano notato e usato questo argomento , magari solo come espediente polemico.

Nessuno ha nemmeno mai rimproverato alla Germania la promessa fatta al governatore Ciampi nel 92 di intervenire a difesa della lira attaccata da Soros ( solo da lui?) Qualora l’Italia non ce la avesse fatta.

Forte di questo impegno, ovviamente verbale, Ciampi spese 55.000 miliardi di valute pregiate a sostegno della nostra moneta in cinque giorni.
La Germania, naturalmente, il sesto giorno non intervenne e noi dovemmo svalutare di oltre il 30% diventando il malato d’Europa.

Anche di questa vicenda nessun economista fa cenno, eppure oggi
“ i mercati” dubitano di noi anche perché abbiamo perso inutilmente queste importanti riserve strategiche.

Sono comunque certo che ce la caveremo e mi spiego: nel mondo vi sono tre imperi: Cina, USA, Russia e un impero in formazione, l’Europa, che tutti vogliono resti unicamente una espressione geografica.

USA e Russia, per una volta concordi, appoggiano il nostro governo perché – comunque vada- impedisce all’Europa di diventare una potenza planetaria.

In bilico, siamo una pistola puntata alla tempia della Germania. Dentro o fuori siamo un peso.

I due grandi non ci faranno cadere e la Germania ( camuffata da Europa) non oserà attaccarci per non precipitare eventi temuti e giungere allo scontro diretto con gli USA.
Anche questo hanno paura di dirlo.

Tutti hanno interesse a tenerci a malapena a galla solo per questo, ma è sufficiente a consentirci di imparare a nuotare da soli, perché non sono i successi a fare gli uomini. Sono gli errori.
E qualcosa abbiamo appreso: ad agire da soli ( derivato del sovranismo..) e a non aspettare aiuti dal governo ( sfiducia nella sua competenza).

Il condono/pace fiscale renderà disponibili le imprese a rischiare nuovamente e il governo potrà spendere denaro fresco.

Intanto in TV Minniti – con Calenda in veste di Giovanni Battista- ruba a man salva la politica estera italiana dello scorso mezzo secolo annunciando, come fosse un suo successo, che il terrorismo internazionale ha colpito tutta Europa, ma non l’Italia.

Peccato che io l’abbia detto dal 2001 in almeno trenta articoli sul “corriere della collera” spiegando che l’unica continuità politica tra il fascismo e la Repubblica è stata la politica filo araba dell’Italia che renderebbe impopolari i terroristi, per la pubblica opinione cui tengono, attaccare proprio noi.

Proprio vero che c’è chi ruba i soldi e chi le idee.
Ognuno ruba quel che gli manca.

Ilva, la solitudine operaia _ a cura di Luigi Longo

Ilva, la solitudine operaia

a cura di Luigi Longo

 

 

Malarazza                                                               Cattiva razza

 

[…]                                                                            […]

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?                               Tu ti lamenti, ma che ti lamenti

Pigghja nu bastuni e tira fori li denti.                        Prendi un bastone e tira fuori i denti.

Un servo, tempu fa, dintra a na                                 Un servo, tempo fa, in una piazza,

piazza, prigava Cristu in cruci e ci ricia:                   pregava Cristo in croce e gli diceva:

«Cristu, lu me padruni mi trapazza,                          <<Cristo, il mio padrone mi strapazza,

mi tratta comu n’ cani pi la via.                                 Mi tratta come un cane per la via.

Si pigghja tuttu cu la sua manazza,                           Si prende tutto con la sua manaccia,

mancu la vita mia dici ch’è mia.                               Nemmeno la mia vita, dice che è mia.

Distruggila, Gesù, sta malarazza!                              Distruggila, Gesù, ‘sta cattiva razza!

Distruggila, Gesù, fallu pi mia! Fallu pi                   Distruggila, Gesù, fallo per me! Fallo

mia!»                                                                          per me!>>

[…]                                                                            […]

E Cristu m’arrispunni dalla cruci:                             E Cristo mi risponde dalla croce:

‹Picchì, si so spizzati li to vrazza?                            <<Perché, ti si sono spezzate le bracce?

Chi vuoli la giustizia, si la fazza.                              Chi vuole la giustizia, se la faccia.

Nisciuno ormai chiù la farà pi tia.                             Nessuno ormai la farà più per te.

Si tu si n’omu e nun si testa pazza,                           Se tu sei un uomo e non sei una testa pazza

ascolta beni sta sintenzia mia,                                   ascolta bene questa mia sentenza,

ca iu ’nchiudatu in cruci nun saria                            chè io non sarei inchiodato in croce

s’avissi fattu ciò ca dicu a tia,                                   se avessi fatto ciò che dico a te,

ca iu ’nchiudatu in cruci nun saria.›                          chè io non sarei inchiodato in croce>>

Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?                               Tu ti lamenti, ma che ti lamenti?

Pigghja nu bastuni e tira fori li denti.                        Prendi un bastone e tira fuori i denti.

[…]                                                                            […]

Domenico Modugno*

 

 

Propongo la lettura dell’intervista dell’operaio Massimo Solito dell’Ilva di Taranto rilasciata a Lucia Portolano ed apparsa su la Repubblica del 12 ottobre scorso.

Io ho già scritto sull’Ilva e l’ho fatto andando oltre il rapporto capitale-lavoro, capitale-ambiente, capitale-salute, proponendo una lettura basata sul lagrassiano conflitto strategico (supportato dal sapere geopolitico) che mi ha fatto ipotizzare la chiusura dell’Ilva perché incompatibile con la base Nato e con le strategie mondiali degli Usa.

Tutto questo a prescindere sia dall’esito del conflitto interno tra gli agenti strategici statunitensi, sia dal ruolo di Arcelor Mittal.

Qui mi interessa sottolineare lo stato di degrado nazionale e di incapacità dei decisori nostrani (la svendita di una industria strategica come l’Ilva è indicatore della mancanza di una idea di sviluppo del Paese) di contrastare la perdita di sovranità, di autonomia, di autodeterminazione in tutti i campi del legame sociale della Nazione.

L’ideologia della globalizzazione (nell’accezione negativa del termine) ha condizionato le nazioni, subordinate alle strategie delle potenze mondiali storicamente determinate, costringendole a svendere le loro peculiari qualità sociali, economiche, territoriali e facendo rientrare nella normalità la perdita della storia di un popolo, di un territorio. In nome delle costruzioni di reti e nodi globali del capitale (qui inteso come cosa e come rapporto sociale) le potenze mondiali tessono le trame di potere e di dominio costruendo l’ideologia della fine delle nazioni (sic); così facendo viene occultata l’incidenza della squilibrante dinamica mondiale dello sviluppo capitalistico e delle relazioni tra potenze mondiali, potenze regionali e nazioni. Con questo non voglio negare la necessità di una ri-organizzazione spaziale delle nazioni per contare nel conflitto mondiale soprattutto nella fase multicentrica e, ahinoi, nella fase policentrica. Però un conto è costruire una nuova area, regione con un patto, un accordo, una unione tra nazioni, valorizzando la loro peculiare storia nel reciproco rispetto; altro è, invece, annullare la propria storia in nome di una ideologia basata solo sulla circolazione del capitale come se i capitali non avessero storia, nazioni, rapporti sociali (si veda l’esempio eclatante dell’Unione Europea come creazione del progetto Usa per l’egemonia mondiale a partire dalla seconda guerra mondiale).

L’intervista dell’operaio Massimo Solito oltre a denunciare la reale drammatica situazione dell’Ilva e della città di Taranto (basta saper leggere oltre le righe della denuncia), evidenzia la solitudine e lo sbandamento degli operai nonché la rinuncia dei decisori a pensare una strategia di sviluppo del Paese sacrificandola alle esigenze dei pre-dominanti Usa e sub-dominanti europei. Svendere una industria strategica del peso dell’Ilva ad una multinazionale come Arcelor Mittal significa rinunciare a rilanciare lo sviluppo del Paese e forse, considerato le modalità di esecuzione complessiva del passaggio di proprietà ancora non ultimato, significa una ulteriore fase di gestione della chiusura dell’Ilva: non è facile liquidare una massa di lavoratori e lavoratrici (oltre 24 mila tra diretti e indiretti) senza una idea di sviluppo dell’area che dovrà fare i conti sia con le strategie dei pre-dominanti Usa nella regione Puglia, sia con i programmi neoliberisti dei sub-dominanti europei [si può parlare della lucacciana solidarietà antitetico-polare, in opposizione e sostegno reciproco, tra il (neo) liberismo e il (neo) keynesismo che vengono usati nelle diverse fasi della storia mondiale del capitalismo: monocentrica, multicentrica e policentrica].

La solitudine e lo sbandamento operaio è il risultato storico della incapacità intermodale, cioè del passaggio-cambiamento dalla società a modo di produzione capitalistico alla società senza classi, della fu classe operaia (non marxianamente intesa).

E’ merito di Gianfranco La Grassa e di Costanzo Preve l’aver evidenziato questo limite storico.

I lavoratori e le lavoratrici, però (che non esprimono nessuna soggettività di classe), possono organizzarsi per la difesa legittima del posto di lavoro, della tutela della salute sui luoghi di lavoro, della salvaguardia dell’ambiente, della qualità della città e del territorio, cioè per un vivere dignitoso all’interno del sistema dato (una sorta di rivoluzione dentro il capitale), smettendo di lamentarsi, prendendo un bastone e tirando fuori i denti.

Può essere l’inizio di un percorso di cambiamento perché come ci ricorda Karl Marx << l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali >>.

 

 

* Il brano è tratto da un sonetto di un poeta siciliano anonimo,  pubblicato nel 1857 dal poeta di Acireale Lionardo Vigo Calanna, nella prima edizione della sua Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, con il titolo Lamento di un servo ad un Santo crocifisso. Negli anni ’70 del Novecento la versione originale del Lamento fu riscoperta da Dario Fo che l’aveva inserita nello spettacolo Ci ragiono e canto del 1973. Domenico Modugno ne trasse la sua versione nel 1977. Dario Fo citò il cantautore per plagio presso il Tribunale di Milano per aver utilizzato nella canzone “Malarazza” il testo da lui precedentemente rielaborato. Riportato in www.wikipedia.org/wiki/Malarazza

 

 

“Meglio l’incentivo che rischiare la vita nell’acciaieria” di Lucia Portolano*

 

Sono circa 500 al momento i dipendenti che hanno deciso di andare via dall’Ilva di Taranto in cambio di un incentivo. In questi giorni sono state attivate le procedure per gli esodi agevolati e anticipati previsti nell’accordo firmato al Mise il 6 settembre scorso fra sindacati, Ilva in amministrazione straordinaria e ArcelorMittal. L’accordo prevede un incentivo di 100 mila euro lorde e il pagamento dello stipendio per due anni, per un ammontare di circa 1.200 euro per primi tre mesi e decurtazioni nei periodi successivi. Fra questi lavoratori c’è Massimo Solito, operaio tarantino di 45 anni, 17 dei quali trascorsi nell’acciaieria. È arrivato nel siderurgico nel 2001 e da allora fa il turnista.

 

Perché ha deciso di lasciare il suo lavoro a 45 anni?

 

«Dal 2012, l’anno del sequestro e degli arresti, la situazione all’Ilva è precipitata. Da quel momento in poi ho avuto un totale rifiuto ad andare al lavoro. Io ero a contatto diretto con i fumi giallastri, quelli che la gente vede nei servizi televisivi. Ogni mese c’era qualche collega che moriva. Ogni mese una colletta da fare per qualche amico o un giovane operaio che non ce l’aveva fatta. E ancora, tanti dipendenti giovanissimi che si ammalano di tumore. Tutto questo mi ha fatto trovare il coraggio per dire basta. Io non ce la faccio più a lavorare in queste condizioni: gli impianti sono allo sfascio e senza manutenzione da anni, ogni giorno si rischia la vita.

Come delegato sindacale Uilm ho cercato di fare qualcosa, ma le cose restano sempre uguali».

 

L’accordo è conveniente?

 

«Prima la cassa integrazione e poi il disastro del 2012: è dal 2009 che all’Ilva i lavoratori non trovano pace. Da allora lavoriamo a singhiozzo, a volte ci chiamano per due mesi e altre volte per 20 giorni. La mia decisione arriva dopo una lunga odissea. In questi ultimi anni c’è stata soltanto tanta precarietà. Con una parte dell’incentivo che prenderò dovrò prima pagare i debiti accumulati in questi anni per portare avanti la mia famiglia. Poi potrò realizzare qualcosa».

 

A parte pagare i debiti, cosa farà con questi soldi?

 

«Si parla di 100 mila euro lordi, netti saranno all’incirca 70 mila.

Vorrei aprire un’attività. Sto cercando un locale, ma è ancora tutto campato in aria. Questi soldi non mi basteranno, chiederò aiuto ai miei suoceri. Lunedì i rappresentanti aziendali incontreranno il primo gruppo di lavoratori che si è prenotato per accettare la proposta, martedì invece sarà il mio turno. Qualcuno dice che Ilva alzerà l’offerta per mandare casa più persone possibile, ma io non intendo tornare indietro. Ormai ho preso la mia decisione: non voglio più tornare lì».

 

Come immagina il suo futuro?

 

«Devo ricominciare da zero, ho una moglie e un figlio di 17 anni.

Vivo tra l’angoscia di cosa farò domani e la gioia di sapere che non entrerò più lì dentro. Sono tra due fuochi. Non faccio controlli medici da anni perché ho paura di scoprire qualcosa di brutto. È questa è la paura che soffoca chi lavora all’Ilva».

 

 

* Le domande evidenziate in corsivo e il neretto nel testo sono miei.

UN AVVOCATO FOLGORATO SULLA VIA DI DAMASCO, di Gianfranco Campa

Lo scontro politico, sia nel confronto interno agli stati e alle formazioni sociali che nello scacchiere geopolitico, si sta vieppiù imbarbarendo e brutalizzando. Sta assumendo sempre più l’aspetto di una guerra per bande dagli umori e dalle alleanze mutevoli corroborate da sodalizi trasversali. Non sono beninteso eventi straordinari. Gli “incidenti” sono sempre possibili, ma in periodi di quiete o di gerarchie e alleanze ben definite i colpi bassi avvengono sotto traccia, in maniera selettiva e sono coperti solitamente da una cortina di silenzio o di giustificazioni in caso di emersione. La realtà odierna dello scontro politico presenta invece aspetti crescenti di ferocia, brutalità e spregiudicatezza così ostentata da lasciare allibiti tanto è immensa la miseria, la grettezza e l’arroccamento di gran parte delle fazioni e delle classi dirigenti. Gianfranco Campa ci offre un altro schizzo del paesaggio e delle trame in azione all’interno degli Stati Uniti. Prossimamente allungheremo lo sguardo a migliaia di chilometri di chilometri, verso il Medio Oriente, al caso Khashoggi. Una vicenda impressionante nella sua brutalità; un episodio la cui dinamica apparentemente cristallina non deve ingannare. Il probabile intrico di interessi e di trame che lo hanno sacrificato lascia intendere la presenza di numerosi protagonisti. Vedremo come, tra le varie ipotesi, in un modo o nell’altro, l’assassinio del giornalista dalle molte professioni rischia di costringere Trump per la prima volta in un cul de sac. A meno che…_Giuseppe Germinario

 

A VOLTE PURTROPPO RITORNANO

Qualcuno di voi ricorderà il nome di Michael Cohen. E’ uno dei protagonisti dei nostri ultimi podcasts sul Pornogate e Russiagate, apparso più volte nelle note delle agenzie di stampa tradizionali. Michael Cohen è stato l’avvocato di Donald Trump fino a quando, una mattina deI 9 aprile 2018, l’FBI fece irruzione nel suo ufficio legale con un mandato di perquisizione federale. Mandato ottenuto per conto dell’ufficio del procuratore federale del distretto meridionale di New York. L’irruzione negli uffici di Cohen portò al sequestro di migliaia di documenti legati alle attività di Trump e delle registrazioni private fra il legale e il futuro Presidente.  Se avete seguito i nostri precedenti podcasts, saprete allora che l’indagine del distretto federale di New York seguiva il filone dell’inchiesta del pornogate a sua volta figlia illegittima dell’indagine del procuratore speciale sul Russiagate Robert Mueller.

Dopo il patteggiamento con il giudice e il conseguente voltafaccia nei confronti di Trump, l’avvocato Cohen sembrava uscito virtualmente di scena. Improvvisamente tre giorni fa il professionista di fiducia è rientrato in scena; Cohen, folgorato sulla via di Damasco, durante un’intervista alla CNN ha supplicato gli elettori americani di recarsi alle urne per le elezioni di Medio termine e votare contro il presidente Trump e il partito repubblicano, implorando loro di farlo per evitare la iattura di altri due o sei anni di Donald Trump.

Nell’intervista Cohen dice: “…la mia raccomandazione! Prendi la tua famiglia, prendi i tuoi amici, afferra i tuoi vicini e vai ai seggi, perché altrimenti, avremmo altri due o sei anni di questa follia” Sempre nell’intervista Cohen ha dichiarato di essere stato da sempre un Democratico, iscritto poi al partito Repubblicano su richiesta del vertice del partito Repubblicano stesso, quando Trump si presentò da candidato alle elezioni.

L’intervista a Cohen suona come un brutto presagio per Trump. Sottolinea l’importanza di queste elezioni di Medio Termine e risalta allo stesso tempo la potente macchina organizzativa responsabile dell’assedio alla presidenza di Trump. Macchina che è riuscita tramite la magistratura a trasformare Michael Cohen da protettore degli interessi di Trump ad ennesimo nemico arruolato alla causa anti-trumpiana. Mancano quattordici giorni alle elezioni di medio termine, se ne stanno vedendo di tutti i colori. Tutto è possibile, senza nessuna esclusione di colpi.

https://www.youtube.com/watch?v=gz4aet3AYkI&t=395s

 

PASTICCIO COSMICO-STORICO, di Teodoro Klitsche de la Grange

PASTICCIO COSMICO-STORICO

Se accadrà, come Di Maio e Salvini prevedono, che alle prossime elezioni europee gli equilibri politici saranno ribaltati, soprattutto per la prevedibile, drastica riduzione dei socialisti e per l’aumento – altrettanto notevole – dei populisti il contributo decisivo a tale risultato sarà dato dagli italiani. E ciò non solo perché i partiti sovran-popul-identitari, si attestano ormai, a seguire i sondaggi post 4 marzo, a circa due terzi dell’elettorato complessivo, nè perché il nostro è l’unico paese euroccidentale ad aver un governo populista “puro”, ma perché la crescita di tali partiti sovran-popul-identitari è stata (inconsuetamente) veloce e tumultuosa.

Al contrario di altri paesi (come la Francia e l’Austria) dove l’incremento fino alle ragguardevoli – ma non maggioritarie – percentuali elettorali si è “spalmato” in un ventennio (e anche qualche anno in più), il nostro si è realizzato in pochi anni; ad essere più precisi dai sette (al minimo) ai 10 (al massimo).

In effetti, come ci è già capitato di notare, nel 2008 i 5 Stelle, e la Lega “sovranista” (cioè salviniana) non erano presenti in Parlamento; lo era la Lega bossiano-secessionista, peraltro in percentuali ridotte.

C’è da interrogarsi quindi sulle cause di un incremento così rapido e travolgente, e su quello che sia successo in quei 7-10 anni per convincere gli italiani a un rapido cambio di regime politico – o più modestamente – di sistema partitico, con il “pensionamento” della vecchia coppia centrosinistra-centrodestra.

Non è sufficiente al riguardo dare la risposta che mi è capitata di sostenere più volte: che la vecchia scriminante del politico, ossia borghese/proletario è finita da quasi trent’anni (col crollo del comunismo) e ne è in corso la sostituzione con la nuova, cioè identità/globalizzazione, perché questo non da conto della differenza italiana, essendo comune a tutti i popoli dell’ “occidente”.

Neppure l’obiezione più calzante, ossia che dal 2008 è iniziata la crisi, spiega la differenza italiana per la stessa ragione: la crisi è comune a tutta la parte più sviluppata del pianeta (che include l’occidente). Anche se in Italia ha morso (forse) più che altrove.

La spiegazione (principale) della differenza è un’altra, o meglio altre. La prima è che l’Italia stagna da venticinque anni – esattamente la durata della seconda repubblica: è l’ultima per tasso di crescita sia nell’area euro che nell’area UE. Non è solo la crisi ad averci ridotto così, ma quel che l’ha preceduta.

La seconda è l’inconsistenza e la modestia del governo Monti, non riparata ma, in larga parte condivisa da quelli che gli sono succeduti, peraltro con un centrodestra che, anche quando collocato all’opposizione, non riusciva a distinguersi adeguatamente dai governi. Anche nei tempi il grande balzo dei 5 Stelle (dallo 0 al 25%) coincide con le elezioni del 2013 il cui risultato consisteva essenzialmente in un giudizio negativo sul governo “tecnico” e su chi l’aveva sostenuto (in Parlamento) e propiziato (anche da fuori).

A tale proposito sul “golpe” del 2011 c’è ormai una vasta letteratura; anche se discordante sul punto di chi fossero i mandanti della detronizzazione di Berlusconi  e dell’intronizzazione del governo tecnico.

Chi, al riguardo sostiene l’insieme Francia-Germania-Ue, altri i poteri forti – finanziari soprattutto – non solo europei e così via. Probabilmente tutte le spiegazioni hanno qualcosa di vero (nel senso di essere concause); interessa a questo punto vedere se, almeno per la classe dirigente europea e nazionale il tutto non si risolva e si risolverà in un caso esemplare di eterogenesi dei fini.

Con tale espressione è stato chiamato il fatto che molto spesso gli effetti delle azioni degli individui e delle comunità umane non sono quelli che gli agenti si propongono, ma altri, diversi e spesso opposti. Osservazione già contenuta in S. Agostino e ripetuta, modificata, integrata e secolarizzata da tanti, da Vico a Wundt, da Hegel a Max Weber e Freund. In particolare Hegel scriveva che «dalle azioni degli uomini risulti qualcosa d’altro, in generale, da ciò che essi si propongono e … immediatamente sanno e vogliono …(essi) recano in atto quel che a loro interessa, , ma da ciò vien portato alla luce anche altro, che vi è pure implicito, ma che non è nella loro coscienza e intenzione». A seguire tale concezione  – e quella, prossima, dell’ “astuzia della ragione” – causa, non esclusiva, ma principale della débacle annunciata potrebbe essere il golpe del 2011 con la catena di eventi che ha provocato.

La considerazione su esposta induce ad una riflessione “post-hegeliana”. Scrive Hegel che gli individui cosmico-storici sono coloro che eseguono nella storia il “piano” dello spirito del mondo (Weltgeist).

In questo caso ai vari complottisti del 2011 andrebbe conferita la medaglia al merito del Weltgeist, per aver favorito l’emergere della nuova fase storico-politica, anche se (speriamo) a spese delle loro fortune personali.

Ho però seri dubbi che quanto scrive il filosofo sia da condividere sic et simpliciter. A mio avviso i governanti vanno più utilmente divisi in due categorie: quelli che hanno la capacità di vedere a lungo termine (di pre-vedere) e coloro che riescono a percepire solo nei tempi brevi. I primi costruiscono gli Stati e le loro principali istituzioni; i secondi le coalizioni di potere (partiti compresi) destinate a durare qualche anno. Nella classe dirigente italiana ed europea vedo tanti che appartengono alla seconda, nessuno alla prima. Al contrario De Gaulle e Deng-Tsiao-Ping facevano parte, e la Costituzione della V Repubblica è sopravvissuta mezzo secolo al suo fondatore, come il nuovo corso del PC cinese voluto da Deng ha salvaguardato l’unità della Cina e ne ha promosso la potenza.

Sarà, ma ho la netta impressione che le élite nazionali ed europee, in lista di sbarco, potranno essere ricordate nella storia come quelle che affossarono inconsapevolmente la costruzione dei vecchi europeisti, da Adenauer a Martino.

In questo, ma solo in questo esecutori di un disegno (forse) superiore. Magra consolazione.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

27°-2 podcast_elezioni di medio termine, di Gianfranco Campa

Il 27° podcast di Gianfranco Campa è una autentica gemma; un pezzo di grande giornalismo degno di essere ospitato nelle più autorevoli riviste di analisi politica. Offre informazioni ed analisi introvabili nell’editoria più affermata. La grande stampa, però, è ormai schiava della peggiore e più ottusa partigianeria, condita da un livello di approssimazione sconcertante; offre rarissimi spazi ad analisi obbiettive ed approfondite. questo blog ha sottolineato più volte la crucialità della scadenza delle elezioni americane di medio termine sia per quella nazione che per le dinamiche geopolitiche. Sino ad ora si è soffermato soprattutto sulle vicende della Presidenza Trump, sul suo rapporto conflittuale, aspro con il Partito Repubblicano e con i settori maggioritari e più potenti dello Stato. A prezzo di pesanti cedimenti e compromessi del Presidente, ha tuttavia rivelato sì la forza di questi settori, ma anche la loro mancanza di una strategia coerente e di una prospettiva convincente tale da consentire il controllo accettabile della situazione e un recupero di credibilità. Una situazione che ha consentito l’acquisizione di un controllo accettabile del Partito Repubblicano da parte di Trump a costo però di una fronda disposta a tutto pur di affossarlo e ridurlo in minoranza rispetto ai democratici. La scadenza elettorale sta rivelando un accenno di strategia coerente del fronte di opposizione a Trump. Una strategia tesa a paralizzare il Presidente, presumibilmente, sino alla fine del suo mandato ma anche a controllare le possibili fratture che minacciano la tenuta anche del Partito Democratico americano. Si deve ricordare che la Clinton, in cambio del sostegno tiepido di Sanders, successivo alla vittoria fraudolenta alle primarie, ha dovuto cedere il controllo di ampi settori del partito in cambio della rinuncia all’astensione e ad una probabile scissione dei settori radicali di quel partito. La strada scelta è del tutto inedita e sorprendente; inquietante soprattutto. Si assiste, ormai, all’ingresso esplicito e massiccio nella scena politica di esponenti dello stato profondo. Una dimostrazione di forza e di debolezza allo stesso tempo. Per questo l’ascolto del podcast merita grande attenzione. La situazione in Italia e in Europa, del resto, dipende in gran parte dall’evolversi di questa situazione.

Qui sotto sono forniti i link ai quali fa riferimento Campa nel suo intervento e la lista parziale ma significativa dei candidati direttamente legati ai servizi di intelligence. Sono circa la metà del totale delle candidature alla Camera, al Senato e ai Governatorati. Se volete avete tutta la possibilità di approfondire e verificare l’attendibilità delle informazioni. 

Buon ascolto_Giuseppe Germinario

CONSIGLIO AI ROSICONI, di Teodoro Klitsche de la Grange

CONSIGLIO AI ROSICONI

Prima del 4 marzo l’establishment politico e culturale di sinistra stigmatizzava l’ “incultura, l’inesperienza e la rozzezza” dei populisti, in specie dei grillini.

Il tormentone è aumentato a dismisura con la vittoria elettorale e il varo del governo pentaleghista; anche la carriera accademica di un mite premier come Conte è stata passata al setaccio e così sono stati svelati alcuni peccatucci (veniali), ricorrenti in ogni percorso accademico. Allo stesso è stata poi addebitata l’inesperienza, considerato che, praticamente era rimasto sempre fuori dai giri che contano; e probabilmente questa è stata la principale ragione che ha indotto a nominarlo. Una compromissione plurilustre col potere, che è a giudizio dell’establishment capalbino, un titolo comporta, cosa di cui i suddetti non si rendono conto, anche quella con lo sfascio della seconda repubblica: pessima presentazione per l’elettorato pentaleghista. Tant’è. I rosiconi hanno forse rimosso, ma più probabilmente rimpiangono, i bei tempi in cui trovavano comode e confortevoli nicchie nei bilanci pubblici. E per gente che spesso ha fatto dell’interesse individuale (proprio) la regola dell’agire universale, il venir meno di queste, ovviamente addolora.

Così il movimento cinque stelle appare, nell’immaginario di Capalbio – ed in parte lo è – come un’armata Brancaleone: un insieme disordinato di emarginati dal potere e dalla cultura, rozzi, ignoranti (e opportunisti), guidati da un comico.Inadatti a governare, come a discutere e brillare nei salotti.

Come detto qualcosa di vero c’è, ma occorre non trascurare come, in primo luogo, il livello della classe dirigente negli ultimi trent’anni ha avuto uno scadimento geometrico (nel senso della radice quadrata): un Di Maio steward, è stato preceduto da una Fedeli, ministro dell’istruzione, la quale in comune con Benedetto Croce, aveva di non essere laureata. Purtroppo per lei, i connotati comuni col filosofo si riducevano a quello. Quanto poi abbia contribuito al declino di qualità dei parlamentari, il tentativo ricorrente (e “vincente”) delle diverse leggi elettorali, di farli nominare dai vertici dei partiti più che scegliere dalla base elettorale è sicuramente influente e da valutare nel senso che non sempre è il popolo a sbagliare.

Ma quel che più importa è notare come sia in politica che in quel mezzo della politica che è la guerra, è la qualità del nemico a determinare quella del combattente.

Facciamo un esempio.

Pareto ironizzava su Napoleone III°, perché incerto e (addirittura) ingenuo, tuttavia all’immagine dell’Imperatore (per i postumi) ha contribuito d’esser stato sconfitto – ed aver perso il trono – da un genio della politica come Bismarck e da una perfetta macchina da guerra come l’esercito prussiano. Che giudizio avrebbero formulato i posteri se a sconfiggerlo e detronizzarlo fosse stato un politico di mezza tacca alla guida dell’esercito del Lussemburgo? Anche a Francesco Giuseppe che perse quasi tutti i domini italiani dell’Impero in pochi anni, contribuì non poco di aver avuto come avversario un altro genio come Cavour: e morì circondato dall’affetto e dalla considerazione dei sudditi. Lo stesso avviene per la guerra: il nome di Scipione è noto a tutti perché sconfisse Annibale – il più grande condottiero dell’antichità – a Zama; nessun ricorda il nome dei consoli (Salinatore e Nerone) che qualche anno prima avevano vinto Asdrubale (il fratello meno dotato di Annibale) al Metauro, battaglia non meno decisiva di Zama. Sconosciuti come i consoli suddetti sono i nomi di quei generali delle potenze europee che nel XIX secolo conquistarono tutta l’Africa, debellando le orde tribali autoctone.

Pertanto la spocchia della sinistra conferma, non volendo, due circostanze.

La prima che se l’armata Brancaleone dei grillini  (oltretutto poco “aiutata” e dotata di mezzi) ha vinto la “gioiosa macchina da guerra”, ciò significa che gli italiani ne avevano così piene le scatole di questa da preferire un insieme di ….sfigati a tanto brillante accademia. Chi è ridotto male spera nei salvatori meno probabili, che preferisce a coloro in gran parte responsabili di averlo rovinato.

La seconda che se tale armata Brancaleone, povera di mezzi e appoggi, li ha ridotti così a mal partito vuol dire che non erano poi così bravi, intelligenti ed efficienti. Non sono Bismarck né Scipioni, ma dei Dumford o Baratieri (sconfitti il primo dagli Zulu, il secondo dagli abissini). E per la loro immagine sarebbe bene ne tenessero conto.

Teodoro Klitsche de la Grange

IL PRINCIPIO DI AUTO-ORGANIZZAZIONE IN POLITICA, di Pierluigi Fagan

Nei sistemi complessi, sostanzialmente i sistemi dinamico-vitali che si trovano tra il caos aereo e la rigidità minerale, tra cielo e terra, vige una regola di auto-organizzazione, tendono cioè a trovare una qualche forma di ordine da soli. Nel trasferire questa conoscenza al mondo umano occorre in primis osservare lo scalino dell’analogia. Lo scalino dell’analogia è l’avvertimento -quasi mai osservato- del fatto che per trasferire schemi mentali desunti dal reale da un livello all’altro, occorre prima verificare l’omogeneità dei livelli che si comparano. Ad esempio, alcuni scienziati e molti lettori o studiosi della meccanica quantistica, tendono a proiettare gli schemi osservati al livello sub atomico sul livello sovra-atomico. Sebbene ci siano alcuni fisici che sostengono l’esistenza di comportamenti quantistici anche a livello molecolare, al momento è prudente considerare quello che vediamo e sappiamo della mq, confinato al suo livello. Così, il principio di auto-organizzazione dei sistemi complessi va valutato a seconda del tipo di sistema ovvero del tipo di varietà che lo compongono. Particelle sono una cosa, atomi e molecole un’altra, cellule un’altra ancora, individui come celenterati cose a sé, diverse dagli scimpanzé a loro volta parenti di rango inferiore (in termini di complessità) dell’umano. Politica attiene all’umano e quindi ci si domanda quale sia la possibile applicazione del principio di auto-organizzazione all’umano.
Il principio di auto-organizzazione si basa in genere sul fatto che le unità componenti il sistema hanno un range limitato di opzioni di relazione verso le altre. Poiché tutte fanno parte di un unico sistema a sua volta doppiamente condizionato dalla sua struttura e storia interna e dal dovere di trovare accordo con ciò che gli è intorno (ambiente o contesto), le opzioni, che sono limitate, vengono a loro volta chiuse dal comportamento sincronico delle singole parti, tutti si adattano tra loro nel tutto comune che è il sistema che si adatta al contesto. Una applicazione “stagionale” del principio di auto-organizzazione è lo stormo di uccelli. In pratica, ogni singolo uccello ha le semplici disposizioni di tenere la distanza “x” da quello a destra, da quello a sinistra e da quello davanti. Nel complesso, basta un piccolo scarto (il lucreziano “clinamen”) nel comportamento collettivo per riorganizzare l’intero comportamento del sistema, da cui gli affascinanti disegni ad onde degli stormi migratori.
Nel livello umano, c’è una applicazione del principio di auto-organizzazione ed è proprio l’ordinatore delle nostre forme di vita associata: il mercato. E’ la famosa mezza paginetta di poco meno di mille-e-cento della sua più famosa opera, in cui Adam Smith citava la “mano invisibile”, la “mano” come metafora di ciò che mette ordine, “invisibile” perché in effetti non c’è alcuna mano. Smith diceva che il fatto che noi sia abbia tutte le mattine la bottiglia di latte nel bar sotto casa e non si debba prendere il calesse per andare in campagna a mungere una mucca, derivava dalla semplice applicazione della singola disposizione individuale a cercare il profitto. L’allevatore allora munge per noi (e per sé) la mucca e vende il latte al distributore che lo vende al negoziante che lo vende a noi, l’effetto ordine è dato da segmenti di piccole transazioni di profitto mosse dall’interesse individuale, come negli uccelli dello stormo o le formiche eusociali, sebbene noi non si sia propriamente dei tordi o degli imenotteri, potenza dell’analogia.
La cosa venne espressa dal genio di Smith nel 1776 e tra l’altro è discusso se l’espressione “mano invisibile” sia sua (improbabile che un illuminista scozzese usasse questa metafora semi-deista che fa parte più della cultura inglese) poiché se ne potrebbe rinvenire traccia nell’opera molto influente di un certo Bernard de Mandeville che nel 1705 pubblicò una deliziosa favoletta dal titolo “La favola delle api” (analogia dell’imenottero) che tanti studiosi e critici del c.d. “capitalismo” farebbero bene a leggersi per capire meglio di cosa parlano. Tra XIX e XX secolo, la faccenda del mercato come sistema auto-organizzato ed auto-regolato affascinò anche R. Wathely e L. von Mises ed infine F. von Hayek (ma anche Walras, Pareto e molti altri) che vi centrò sopra praticamente l’intera sua opera di pensiero.
Ma il punto poco a fuoco della faccenda è che tutto ciò è pertinente se e soltanto se operiamo a monte una decisione che però rimane indiscussa spesso: se questo è il modo migliore (e pare lo sia) di far funzionare il mercato, chi-dove-come-quando-e-perché ha deciso che l’intera società umana debba ruotare intorno al mercato? Tale decisione venne presa nel mondo reale ma poi anche teorizzata nell’ambito di un altro segmento di pensiero che non è molto illuminato né nello studio politico, né in quello economico che nel frattempo di sono separati. Viene preso nell’ambito dell’utilitarismo inglese (Stuart Mill – Bentham – Sidgwick e -vari- seguenti), esso si potrebbe dire la colonna centrale della riflessione etica di origine inglese, quindi anglosassone: la ricerca della felicità per il maggior numero (più o meno). Stante che gli inglesi sono la genetica del sistema anglo-sassone e questo dell’Occidente (il concetto di “sistema occidentale” è molto tardo ed è di origine anglosassone), questo tipo di etica è diventato l’etica occidentale propriamente detta.
Torniamo allora al problema dei livelli. Se volessimo discutere questa decisione di gerarchia per la quale l’economico è l’ordine della società, economico a sua volta ordinato dal principio di auto-organizzazione detto “mano invisibile”, dovremmo proporre la sudditanza dell’ordine economico all’ordine politico e quindi tornare la nostra domanda iniziale: quale sarebbe l’applicazione del principio di auto-organizzazione al politico?
Qui incontriamo lo scalino dell’analogia. Gli esseri umani non sono né imenotteri, né uccelli, né lupi, né celenterati, e nemmeno atomi o particelle sub-atomiche. Una cosa distingue (o almeno dovrebbe) l’umano dagli ordini inferiori (ci si passi questa geometria piramidale verticale della complessità): l’intenzionalità auto-cosciente. Formiche ed uccelli non decidono il loro comportamento, lo hanno prescritto geneticamente, gli atomi si compongono seguendo la poco nota ma fondamentale “regola dell’ottetto” e la particelle seguono i dettami delle forze (tre-quattro) che agiscono al loro livello.
L’ordine auto-organizzato dei sistemi umani di vita associata (le nostre società) dovrebbe venire da un difficile forma di decisione partecipata delle sue singole componenti che al contempo agiscono in parte per interesse personale, in parte per interesse collettivo, sistemico. Questo presuppone tre cose: 1) l’ordine politico domina l’ordine economico; 2) l’ordine democratico ordina l’ordine politico; 3) le singole parti del sistema (gli individui) debbono avere una doppia visione sia dell’interesse personale, sia dell’interesse collettivo.
Il problema è che praticamente nessuno si preoccupa di coltivare presso gli individui la capacità di assumere conoscenza di cosa sia (non quale sia, quello lo decideranno i singoli individui) l’interesse collettivo. Molti pensano implicitamente esso debba “emergere” dall’incontro-scontro tra i vari interessi personali ma questa idea è viziata dalla falsa analogia. L’ordine del sistema dovrebbe esser pensato dai singoli individui né più (collettivismo), né meno (individualismo) di quello personale. Quindi continuiamo ad essere imenotteri sballottati dalla mano invisibile del formicaio chiamato “società ordinata dal mercato” che però passiamo la vita a criticare inutilmente sperando si dissolva da sé o grazie ad un classe di individui coscienti di esserlo o per catastrofe o per merito di qualche semi-dio illuminato che ci salvi dalla prigionia della nostra impotenza, recludendoci in un’altra.

27°-1 podcast_elezioni di medio termine, di Gianfranco Campa

Raramente, nei settant’anni di vita politica della Repubblica Italiana, le incertezze del conflitto politico negli Stati Uniti si sono riflesse in maniera così diretta nel nostro contesto nazionale come oggi. Gran parte delle fortune presenti e future del Governo Conte, pur tra tanti errori e difetti di impostazioni spesso grossolani, dipendono dalla sopravvivenza se non dall’affermazione dell’attuale leadership americana. Le elezioni di medio termine della Camera e del Senato statunitensi segneranno probabilmente un punto di svolta in un senso o nell’altro. Solitamente rappresentano una scadenza enfatizzata mediaticamente, ma dalle conseguenze poco rilevanti nella concretezza del confronto politico. Questa volta è diverso. Non a caso l’avvicinarsi dell’appuntamento è accompagnato da una serie di atti intimidatori di estrema gravità nei confronti di singoli esponenti politici della compagine conservatrice prossima al Presidente apparsi nella stampa nazionale americana e del tutto ignorati in quella europea. L’atteggiamento tattico adottato dalla compagine democratica e neocon teso a sopire lo spirito di militanza dello schieramento avverso non deve trarre in inganno. Di questo il blog renderà conto prossimamente. Sta di fatto che, per tornare a casa nostra, tutte le vecchie classi dirigenti europee sembrano in attesa di un evento salvifico che consenta loro di tornare rapidamente in sella. Gianfranco Campa, da par suo, nel frattempo ci illustra le varie possibilità che si potranno verificare in base all’esito di queste votazioni e, soprattutto, nella seconda parte ci svelerà alcuni risvolti inquietanti delle scelte di parte democratica riguardanti le candidature. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-27-1

uguale tra gli uguali, di Antonio de Martini

Una delle mancanze che venivano rimproverate alle alte gerarchie militari dell’Esercito Italiano, durante la seconda guerra mondiale e non solo, era la distanza e la separazione di ceto e di casta dalla truppa, anche nei momenti cruciali del confronto bellico. Una tara che provocò l’esplicito disprezzo verso i primi e la stima verso i secondi del generale Rommel durante la campagna d’Africa. Le più alte autorità stanno evidentemente cercando di cancellare quel retaggio vergognoso. Una volontà di riscatto apprezzabile, ma con la giusta misura.

Se non ci fosse, Antonio de Martini bisognerebbe inventarlo_Giuseppe Germinario

COME GESTIRE IL MONDO MILITARE. L’UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO.

Servono ufficiali preparati, vivaci di corpo e di spirito e…democratici.

Il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Graziano è senz’altro un democratico a 24 carati e saluta tutti con una virile stretta di mano.
Eccolo, nella foto, tentare di stringere la mano a un manichino che scambia per un soldato.
Democrazia dieci e lode. Per il resto fidiamo nei buoni rapporti tra San Gennaro e Di Maio.

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