Italia e il mondo

Le liturgie e i meccanismi della Unione Europea_con Francesca Donato

Le tre emergenze imposte in questi ultimi tre anni, l’emergenza ambientale e la conversione energetica, la crisi pandemica, la crisi bellica in Ucraina ha messo a nudo le peculiarità fondative di questa Unione Europea le quali, più che valorizzare, tendono ad inibire le pulsioni e le aspirazioni di autonomia politica e pregiudicare le potenzialità di sviluppo dei paesi della comunità. Le liturgie ed il lirismo che ammantano le iniziative più importanti delle istituzioni europee riescono ad imporre con sempre maggiore difficoltà la propria narrazione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vyczbb-liturgie-e-meccanismi-della-unione-europea-con-francesca-donato.html

Ucraina e il peggio dell’Europa_con Augusto Sinagra

Ancora una volta l’Unione Europea si sta rivelando un recinto in grado di impedire che le pecorelle possano acquisire una reale autonomia di azione e di scelta soprattutto riguardo alle relazioni da perseguire in primo luogo con i vicini di casa. Una pura appendice della NATO destinata ad esistere solo sino a quando il buon pastore la riterrà utile. Un fattore di freno, piuttosto che di sviluppo. Più la Unione Europea procederà ad allargarsi, più accentuerà tale debolezza e tale precarietà. Lo abbiamo visto con le emergenze ambientali-energetiche e con quella pandemica; l’ulteriore emergenza del conflitto russo-ucraino ne ha suggellato alla luce del sole la simbiosi ed il legame indissolubile. Classi dirigenti abituate ormai a liquidare ambizioni e dignità per un piatto di lenticchie ormai sempre più magro. Un ribaltamento della situazione potrà ormai arrivare solo da una crisi aperta e distruttiva interna al centro dell’impero della quale ormai da anni si possono osservare i prodromi. La passività e l’accondiscendenza si pagheranno a caro prezzo in un futuro sempre meno lontano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vy4ml5-ucraina-e-il-peggio-delleuropa-con-augusto-sinagra.html

 

Ucraina tra propaganda e realtà_con Max Bonelli

Impossibile farsi una idea attendibile della situazione del conflitto in Ucraina attingendo dai tradizionali mezzi di informazione. Una manipolazione talmente ottusa e univoca, al limite del grottesco, da far perdere la residua credibilità di un sistema informativo, già ampiamente compromessa con la campagna antipandemica. Non è comunque priva di effetti. La rappresentazione mediatica tra “buoni e cattivi” ancora una volta si riverbera nella società nella contrapposizione tra untori e moralisti. E’ una pratica politica ormai corrente e cosciente in vista della gestione delle crisi sociali e geopolitiche legate al drammatico dissesto che si va profilando nel mondo occidentale e in particolare in quello italico. Max Bonelli ci offre un affresco della situazione in Ucraina partendo da una base di conoscenza diretta e sul posto delle dinamiche presenti in Ucraina, ma che si riverbereranno pesantemente in Europa e rimescoleranno rapidamente le carte e gli schieramenti nel mondo intero, a partire dal Medio Oriente. Una narrazione del tutto antitetica rispetto a quanto ci viene offerto proditoriamente dal sistema mediatico. In Ucraina è avvenuto qualcosa di molto più preoccupante di quanto avviene normalmente in periodo di guerra; quando cioé il peso dei militari e delle formazioni paramilitari è destinato solitamente ma temporaneamente a crescere. In questa ottica la decisione dell’intervento russo assume tutt’altro significato. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vy15fb-ucraina-tra-propaganda-e-realt-con-max-bonelli.html

GUERRA IN UCRAINA. IL DATO CHE MANCA, di Roberto Buffagni

GUERRA IN UCRAINA. IL DATO CHE MANCA.

Contro le mie abitudini, ieri ho guardato la TV. Ho curiosato via internet, e ho seguito i vari programmi dedicati alla guerra in Ucraina trasmessi negli ultimi giorni, soffermandomi soprattutto sui pareri delle persone più competenti in materia strategica e militare.

Salvo errore, dal dibattito manca un dato essenziale per comprendere il contesto della guerra in Ucraina.

Vengono spesso proposte le seguenti affermazioni:

  1. I russi hanno sottovalutato la resistenza e la volontà di combattere ucraine. Per questo l’offensiva stenta a concludersi, ed è in ritardo sulla tabella di marcia, che prevedeva un rapido successo in seguito al collasso delle FFAA nemiche.
  2. È dunque decisivo sostenere le FFAA ucraine con l’invio di armi
  3. Se adeguatamente sostenuta dai paesi amici, l’Ucraina può vincere il conflitto con la Russia.

Davvero la direzione politica e militare russa ha sottovalutato la resistenza ucraina e ha mal concepito il piano di operazioni?

Un argomento a favore di questa tesi potrebbe essere il fatto che il corpo di spedizione russo è composto da circa 180.000 effettivi, mentre le FFAA ucraine ne contano circa 200.000[1]. I russi, dunque, sono in lieve inferiorità numerica. È ben noto – lo si trova in tutti i manuali tattici – che il rapporto di forze tra attaccante e difensore sufficiente a compensare il vantaggio della difesa è di almeno 3:1; meglio ancora, di 5:1.

L’inferiorità numerica russa, in effetti, ha esposto il corpo di spedizione attaccante a diverse piccole sconfitte tattiche e ne ha rallentato l’avanzata, perché ovunque si renda necessario attaccare posizioni ucraine ben difese, specie nelle città, le FFAA russe mai possono contare su un’immediata, netta superiorità numerica, e devono attendere che si consolidi la conquista di una porzione di territorio adiacente per spostare gli effettivi bastevoli al nuovo attacco. È una situazione che non solo rallenta l’avanzata russa, ma costa un più elevato numero di perdite agli attaccanti.

I russi, insomma, hanno conquistato rapidamente la superiorità operativa – interrotta la coesione delle unità ucraine, disarticolata la catena di comando e controllo, per così dire “imbastita” una complessa manovra di accerchiamento su molteplici direttive – ma non hanno conquistato la superiorità tattica in tutto il teatro di operazioni. Questo non compromette il risultato finale del conflitto, perché salvo imprevisti veramente grossi le FFAA ucraine non sono più in grado di coordinare una controffensiva generale, riprendendo l’iniziativa che è saldamente in mano russa fin dai primissimi giorni.

Conquistata la superiorità operativa, i russi avrebbero bisogno di una sola cosa, per conquistare anche la superiorità tattica in tutto il teatro di operazioni, e concludere rapidamente il conflitto senza travolgere i civili ucraini sotto una tempesta di fuoco: più uomini. Li hanno? Sì, li hanno.[2]

In Ucraina, i russi stanno impiegando circa il 15% del totale dei loro effettivi. Anche senza mobilitare i coscritti e le riserve, impegnando soltanto i militari di carriera, i russi potevano, e tuttora possono, impegnare in Ucraina altri 100-200.000 soldati.

Perché i russi non hanno impiegato più uomini per invadere l’Ucraina? Perché hanno sottovalutato la volontà di combattere del nemico? Perché lo SM russo ha sbagliato i piani? E se è così, perché la direzione militare russa non rimedia al suo errore inviando subito consistenti rinforzi? Sono ormai passati venti giorni dall’inizio delle ostilità, e l’Ucraina confina con la Russia, né vi sono ostacoli geografici all’afflusso di nuove truppe in un territorio tutto pianeggiante, percorso da strade comode e sicure.

La Russia ha impegnato in Ucraina soltanto il 15% dei suoi effettivi, e tuttora non li rinforza in misura rilevante, perché il restante 75% degli effettivi russi è stazionato nelle sue basi permanenti per essere dispiegato in caso di guerra contro la NATO.

 È questo il dato essenziale che, salvo errore, manca dal dibattito italiano. È un dato essenziale perché illustra i seguenti fatti:

  1. Non è vero che i russi abbiano sottovalutato la resistenza ucraina, o che il piano operativo sia mal concepito. Possono certo esservi stati, come sempre accade, errori e sottovalutazioni, ma sono marginali e correggibili. Questa è un’operazione condotta con il minimo delle forze necessarie perché i tre quarti delle forze russe devono restare disponibili per l’eventuale allargamento del conflitto alla NATO.
  2. Non è vero che l’Ucraina può vincere da sola se i paesi amici la sostengono con l’invio di armi. Già ora le FFAA ucraine sono in netto svantaggio sul campo. Possono aggiudicarsi vittorie tattiche, ma non riprendere l’iniziativa sferrando una controffensiva generale. Qualora miracolosamente vi riuscissero, i russi potrebbero rinforzare il corpo di spedizione con altri 100-200.000 uomini; e se ve ne fosse assoluta necessità, potrebbero riversare sull’Ucraina una tempesta di fuoco dal cielo e da terra. L’esito militare del conflitto in Ucraina, insomma, è predeterminato.

Ma soprattutto, questo dato essenziale illustra che i russi non bluffano. I russi sono già pronti a un conflitto diretto con la NATO.

Sono pronti al conflitto convenzionale, e siccome nessuno può escludere che un conflitto diretto Russia – NATO degeneri in un conflitto nucleare, sono senz’altro pronti anche a questa eventualità.

Le massime autorità russe, d’altronde, hanno chiaramente e ufficialmente detto sin dall’inizio delle ostilità, di essere pronti a tutte le eventualità.

Ma qui, a quanto pare – nel dibattito italiano, ma anche purtroppo nel dibattito europeo e americano – molto pochi o quasi nessuno presta ascolto ai russi, che parlano chiaro ma parlano al muro.

Mi sembra decisamente il caso di cominciare ad ascoltarli.

 

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Armed_Forces_of_Ukraine

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Armed_Forces_of_Ukraine

 

La Russia e il multipolarismo in Europa_con Gianfranco La Grassa

Il multipolarismo sta sbarcando in Europa. I paesi europei più che parteciparvi, lo stanno subendo. La narrazione dominante addita la Russia come artefice della minaccia. In realtà sono i centri decisori al momento prevalenti negli Stati Uniti a cercare di stringere il giogo al collo. Le sue pressioni sono enormi ed assillanti. Un atto di forza che potrebbe trasformarsi in una manifestazione di fragilità. Tanto dipenderà dall’esito del conflitto in Ucraina. L’intervento russo assume ancora, proprio per il carattere estremo dell’iniziativa, una postura difensiva. Riuscire ad arrestare comunque il processo di allargamento della NATO ad est rappresenterebbe una prima significativa vittoria ed una ripresa dell’iniziativa già manifestatasi nei suoi prodromi in Libia, in Siria e in Africa. L’intesa con la Cina ne rappresenterebbe il suggello. I circoli dirigenti europei hanno ancora una volta scelto di appiattirsi totalmente sulla linea avventurista americana, definendo così l’Europa, il proprio continente, come il terreno di contesa e di battaglia di interessi altrui. Lo stanno facendo in nome della pace e dell’unità europea. Avrebbero avuto la possibilità di giocare sulle contraddizioni e sul conflitto che sta imperversando nei centri politici statunitensi; stanno al contrario alimentando le condizioni per una polverizzazione della realtà politica continentale foriera di lotte intestine ben manipolate e rinfocolate dall’esterno. E’ una classe dirigente che deve la propria esistenza sulla delega e sulla dipendenza ormai settantennale dalle scelte di oltreatlantico, condannando così l’Europa, in primis l’Italia, ad una condizione prossima di pauroso dissesto e degrado. Qualche segnale di reazione comunque appare all’orizzonte; più strutturato in Francia, con la candidatura di Zemmour all’Eliseo, più sottotraccia in Germania, in Ungheria. In Italia i sussulti di un paio di anni fa si sono rivelati un fuoco fatuo; forse ancora meno. Acrobazie parodistiche di saltimbanchi improvvisati, incapaci di destare un qualche timore nei centri che contano. L’epilogo lo abbiamo visto con l’allineamento tempestivo ed esibito, ammantato di anelito patriottico, di quelli che avrebbero aspirato a rappresentare una opposizione seria a questo sfacelo e a questa postura così meschina ed autolesionista. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vxuk3p-la-russia-e-il-multipolarismo-in-europa-con-gianfranco-la-grassa.html

UCRAINA AXIS MUNDI, di Pierluigi Fagan

UCRAINA AXIS MUNDI.

Nel suo discorso alla nazione in cui spiegava le ragioni del ritiro dopo venti anni dalla guerra in Afghanistan, Biden condensò la ragione dicendo che gli Stati Uniti non dovevano più esaurirsi nel gestire i problemi del 2001 (11 settembre), perché dovevano concentrarsi su quelli del 2021. Diede solo un sintetico ragguaglio su questo nuovo scenario: Russia e Cina.

La Russia è il principale competitor militare degli USA sebbene tra i due ci sia una certa distanza in termini di complessiva forza militare, la supposta “parità atomica” funge da deterrente a scalare i pioli di un possibile conflitto diretto. Abbiamo detto “supposta” parità atomica perché se in termini di testate è certa, in termini di capacità di lancio ed intercetto nessuno può sapere davvero come stanno le cose. Non foss’altro perché i sistemi d’arma spaziali (satelliti) sfuggono ad ogni reale rilevazione da parte degli analisti che si occupano di queste cose. L’aggiornamento dell’arsenale nucleare è stato, con qualche zigzag, praticamente costante negli ultimi settanta anni. La ricerca della preminenza ipotetica che sarebbe la facoltà di un “first strike” annichilente o la ricerca sul come annichilire la risposta avversaria, sono fini in sé. Lo sono per alimentare in continuità il sistema “ricerca e produzione” in un campo che altrimenti non consuma mai il suo prodotto. Lo sono per il fall out tecnologico che questa ricerca produce, fall out che può riversarsi non solo sul campo militare. Lo sono perché obbliga lo e gli avversari a sfinirsi in una continua distrazione di ricchezza su investimenti militari e non civili. Sebbene sia sbagliato dare a questa ultima dinamica ruoli eccessivi, nelle analisi sui perché del crollo sovietico, c’è stata anche una sottolineatura di come questa continua riconcorsa abbia fiaccato -nel tempo- l’economia sovietica, in molte analisi dei principali studiosi in materia. Questa strategia di “costo di potenza”, per ragioni di potenza economica complessiva, ma anche per ragioni di aspirazione di capitali da tutto il mondo tramite il sistema titoli di Stato – dollaro, pone gli USA in una posizione di vantaggio ancora incolmabile. E’ come giocare a poker contro un miliardario, perderete sempre perché lui dà un valore al denaro diverso dal vostro avendone incomparabilmente di più. Quello che non ha glielo presta il resto del mondo perché il Treasury Bond è il bene rifugio principale.

La Cina è il principale competitor, anzi l’unico, sul piano economico. Stimata precedentemente al 2028 la raggiunta parità di Pil tra i due giganti, quando oggi la Cina fa ancora solo tre quarti del Pil americano, le incertezze strategiche economiche americane unite ai due anni di pandemia, hanno fatto temere un pareggio anche più anticipato. Tale pareggio è solo una cifra, è la rete delle conseguenze complesse il problema.

Si consideri l’effetto sistemico di queste competizioni. La Russia ha contrastato l’operazione Siria dietro a cui c’era l’interesse strategico anglo-americano (ed una complessa faccenda di condutture di gas verso l’Europa). E’ entrata nel teatro libico sostenendo la parte avversaria quella promossa da Washington, sta penetrando il Sahel ed è variamente presente in Africa, esporta armamenti a piene mani in India, dà talvolta sponda all’Iran. Quindi al di là del confronto diretto tra le due potenze atomiche, c’è anche questo più ampio scenario mondo. Fiaccare la Russia non è solo l’obiettivo della competizione diretta è anche e soprattutto il poter aver mani libere nell’utilizzo della variabile militare sul tavolo-Mondo. Fiaccare la Russia ma sperabilmente anche promuovere un regime change in favore di un regime più liberale ovvero conforme il gioco dominato dagli USA.

La Cina poi, ha evidente strategia-Mondo nel suo sviluppo infrastrutturale delle varie Vie della Seta. Tale ragnatela, si arborizza da tempo in Asia, Africa e financo Sud America, ha una attenzione particolare al Medio Oriente anche per via della fame energetica cinese, mentre da tempo cerca di penetrare il boccone prelibato ovvero l’Europa. In questo campo di gioco gli Stati Uniti hanno una certa difficoltà strategica. La unità e potenza d’azione dello stato cinese è molto più efficiente della potenza d’azione indiretta americana tramite vari domini di mercato ed istituzioni finanziarie come World Bank e Fondo Monetario Internazionale. I cinesi premettono al loro andare in giro per il mondo a fare affari, il totale agnosticismo rispetto a come il partner si organizza politicamente o economicamente al suo interno, lo trattano da “pari a pari” sebbene solo dal punto di vista politico e culturale. Gli americani invece, oltre ad avere meno potenza finanziaria diretta da investire nel comprare amicizia geopolitica tramite la geoeconomia, vincolano i partner ad affiliarsi a forme di “democrazie di mercato”, nonché vari obblighi a formare l’attività economica secondo vari principi della loro teoria di mercato. L’espressione “democrazia di mercato” dice che poiché gli USA dominano il mercato, son così in grado di gestire la politica di un Paese (almeno ciò che a loro interessa) che, come involucro, rimane formalmente una “democrazia”.

Ieri Lavrov, il ministro degli esteri russo, ha detto a chiare lettere che il problema della pace con l’Ucraina non passa solo dalle relazioni e competizioni tra russi e ucraini, ma tra russi ed americani, via ucraini. Per questo, al di là dei nostri sospiri speranzosi sui passi in avanti delle trattative, toccherà rassegnarsi a tempi medio-lunghi. In realtà gli americani non hanno alcuna fretta a chiudere la partita, anzi. Hanno già ottenuto vari punti segnati dal comportamento stesso dei russi che “non avevano alternative” come recita Putin, ma si può ancora ottenere di più. Incluso portare lo scontro a livelli tali da obbligare la Cina a dover scegliere da che parte stare. Costo alto per i cinesi che se da vari punti di sistema delle alleanze e condivisione degli obiettivi strategici generali quali la promozione di un nuovo ordine multipolare sono alleati di fatto dei russi, dall’altra temono di esser trascinati nell’angolo degli ostracizzati in cui gli americani sono riusciti a ficcare i russi che da questo punto di vista, la partita l’hanno già in buona parte persa.

Altro risultato già ottenuto dagli americani è stato il riaccorpamento integrale dei coriandoli europei al proprio dominio geopolitico, la rottura -irreversibile per lungo tempo futuro- di importanti relazioni commerciali tra Europa e Russia oltre a quelle tra Europa e Cina che verranno curate in seguito. Hanno inoltre ottenuto la, già richiesta invano da Trump, maggior contribuzione alle spese militari della comune alleanza nonché i proventi della vendita delle armi americane all’Europa a seguito di questi spesa militare incrementata. Ma tutto ciò verrà più chiaramente saldato in un molto probabile nuovo trattato commerciale sulle basi dell’ex TTIP poi abbandonato, che farà dall’Occidente a guida USA un sistema omogeneo macro-regionale che sarà la forma della nuova globalizzazione multipolare. Tramite questo nuovo sistema che racchiuderà in sé più del 50% del Pil mondiale (assieme a UK, oceanici e Canada), gli Stati Uniti potranno giocare la competizione con la Cina da rinnovata posizione di forza al di là del Pil specifico. Intorno al Nuovo Sistema Occidentale, andranno poi a collocarsi i partner privilegiati come il Giappone, la Corea del Sud, il Messico e Centro America, nonché tutti quelli che ambiguamente flirtano coi cinesi o coi russi come l’India o gli undici paesi ASEAN a cui verrà progressivamente richiesto da che parte stanno.

Tutto questo che non ha nulla di strano se non per chi è digiuno di questo tavolo del gioco di tutti i giochi a cui in questi giorni accede come spettatore con la testa piena di valori impalpabili senza rendersi conto di come la grammatica di questo gioco sia tremendamente seria, concreta e basata su valori palpabili e tremendamente materiali nonché del tutto amorali. Tutto ciò spiega molte cose del “film di guerra” trasmesso h24 dalle emittenti del racconto del mondo.

Ecco perché sono 3 miliardi i dollari in armamenti e formazione militare investiti fino al 2021 dagli USA in favore dell’Ucraina, ecco perché -anche solo prendendo le recenti notizie del Washington Post- l’impegno americano in Ucraina già dallo scorso dicembre (sono svariati anni in realtà) nel mentre Mosca provava inutilmente a chiedere un tavolo di trattiva di sicurezza con gli USA-NATO, ecco perché gli USA hanno stanziato l’altro ieri 13,6 miliardi di dollari per l’Ucraina con un in più di un altro miliardo d’armi pesanti (con sovralimentazione del proprio ipertrofico complesso militar-industriale) nella sola ultima settimana. Ed ecco perché l’urto catastrofico dei profughi per loro non è un problema mentre lo sarà per gli europei ed ecco anche perché a gli USA, il terremoto planetario i cui effetti molti fanno ancora fatica a scorgere, per loro sarà uno splendido affare.

Gli USA sono potenzialmente l’unica potenza semi-autarchica. Per più di un terzo fanno import-export limitrofo (Canada e Messico), poi c’è l’Europa, poi tutti gli altri in ordine sparso. Con la Cina possono giocare da rinnovate posizioni di forza e se pure dovranno fare qualche sacrificio in termini di import, ne beneficerà la bilancia commerciale, oltretutto spingendo la ripresa industriale interna. Ma lì dove gli USA sono più imperturbabili sono le materie prime. Praticamente autonomi per energia, grano, olii, fertilizzanti ed in parte dei minerali, possono lasciare il resto del mondo precipitare nel buco nero della già paventata “carestia” un concetto medioevale di cui non sentivamo parlare da secoli e che è oggi ben paventato da ONU e FMI. Carestia porta disordine sociale e politico, il temuto Grande Caos in cui il mondo complesso rischia di precipitare in una ragnatela di effetti farfalla con feedback non lineari che è ininfluente per chi sta su una isola (continentale) protetta da due oceani e con l’essenziale stipato in cantina.

Per tutto questo Biden non ha nessuna intenzione di alzare il telefono per invitare Putin al “diamoci una calmata”. La strategia è del tipo “tanto peggio, tanto meglio”. Si valuterà nei prossimi tempi anche le onde telluriche che investiranno le organizzazioni multilaterali, tra cui l’ONU ed il Consiglio di sicurezza.

Alcuni si sono irritati e sorpresi dai miei recenti toni con cui ho trattato Zelensky. Chiunque abbia avuto esperienze di marketing e pubblicità non potrà non notare come tutta la narrazione Zelensky ricalchi in tutta evidenza una chiara strategia. Forse questa affermazione risulterà infondata ai più, ma io ho lavorato in quel campo per due decenni e passa, diciamo ad alti livelli prima di lasciare tutto e convertirmi allo studio, con una specializzazione professionale specifica proprio in strategie di marketing e comunicazione. Non c’è alcuna possibilità di sostenere il contrario, credetemi, la mia non è una convinzione politica è meramente una constatazione tecnica. Zelensky è il testimonial (bravissimo) di una strategia di comunicazione (abilissima e molto professionale) che presuppone un abilissimo team che ne cura immagine e testi, team ovviamente non ucraino. Ma è anche un PR con un altro team che gli apre porte di parlamenti, interventi nelle piazze pacifiste, interviste, servizi copertina e da ultimo anche merchandising e tutto il noto sistema che accompagna il format “rivoluzioni colorate”. E chi lo dirige gestisce anche le sue relazioni internazionali, l’amicizia con i Trimarium in funzione anti-UE, gli attacchi a Germania e qualche volta Israele, l’ambiguo rapporto con la Turchia che sta nella NATO tanto quanto si bilancia con la Russia e molto altro. O mi volete dire che un comico ucraino in politica da tre anni con un Paese al 133° posto per Pil, è in grado di far tutto questo da solo o con un gruppo di amici?

Ogni giorno concede qualcosa facendo respirare gli animi pacifisti e ragionevoli, un minuto dopo fa marcia indietro. Ogni giorno alza la posta paranoica contro l’inumanità russa (che è per molti versi obiettiva), poi chiede più armi, più soldi, più riconoscimento e più odio per il nemico. Ogni giorno noi non abbiamo alcuna informazione terza sui teatri di guerra, ma abbiamo cori di esperti che fanno sperare: “i russi sono impantanati”, “i russi cedono psicologicamente”, “i russi stanno preparando attacchi biochimici ed atomici (quando queste sono pari accuse fatte dai russi nei loro confronti). Non vediamo i militari russi, non vediamo i militari ucraini, vediamo solo immagini ucraine e sentiamo solo comunicati ucraini. Se c’è speranza c’è in invio d’armi e tutto il circuito si rilancia. Ogni giorno gli europei vanno incontro a questo tsunami emotivo terrorizzante spinti da dirette h24 gestite da professionisti della comunicazione che non hanno mai un dubbio, un’alzata di sopracciglio, un possibile ricordo del necessario bilanciamento quando si stratta di comunicazione di guerra. Così i popoli, così i loro intellettuali principali, così i partiti annichiliti. Questa strategia è basica, si chiama “push&pull”. Granelli di sabbia in questa abbondante vasellina che osano finire le frasi col punto interrogativo, sono subito coperti di ignominia ed ostracizzati.

Qui abbiamo ricordato a sommi capi solo dati ufficiali, noti, non discutibili. Così per discorsi fatti negli ultimi anni da tutti gli osservatori geopolitici e di relazioni internazionali che sono le discipline che trattano il campo. A molti risulteranno strani, ma ciò è dovuto all’ignoranza di questo livello del gioco del mondo. Qui non c’è alcun complotto come molti pensano o pensano di quelli che dicono queste cose. A questo livello si chiamano semplicemente strategie e sono la norma per i giocatori di questo gioco. Non c’è nulla di strano, l’unica cosa strana è domandarvi perché non vi avete mai prestato attenzione. Forse credevate che l’agenda del mondo fosse Salvini, o le teorie economiche, o le baruffe culturali. Ma quelli sono solo i giochi, questo è il gioco di tutti i giochi.

E tenete conto che se ad alcuni farà ribrezzo e se ad alcuni altri non piacerà tutto questo, ad altri invece non fa alcun ribrezzo e piace perché convinti della giustezza di questa strategia. Infatti, essa va solo giudicata secondo il “cosa ci converrebbe fare dal punto di vista del nostro interesse”, su cui si possono avere legittime opinioni avversarie, per quanto non sia poi così ben visto un liberale dibattito in merito. Vi spingono a forza a pensare del Bene e del Male, ma da quando mondo è mondo in questi giochi vige solo il “mi conviene – non mi conviene”. Ed in certi casi come l’Italia, non c’è neanche il dubbio, semplicemente non c’è alternativa.

La guerra in Ucraina è l’asse intorno al quale gli Stati Uniti d’America intendono giocarsi una rischiosa ma ben pensata ed obiettivamente molto promettente partita per contrastare l’avvento dell’ordine multipolare che farebbe delle potenze isolane, tutte anglosassoni, dei potenzialmente se non isolati, decisamente ridimensionati. Forse non sarà l’ultima partita, ma è senz’altro un ottimo “buying time”. Ad occhio e croce, penso valga almeno dieci anni di tempo comprato. Sempre che continui ad andare secondo i piani. Complimenti a chi l’ha pensata, chapeau. A tutti gli altri: in bocca al lupo!

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/17/ucraina-axis-mundi/

ETHNOS E STATO (2 di 2), di Daniele Lanza

Proseguiamo con l’interessante analisi di Daniele Lanza sulle radici del nazionalismo in Europa Orientale. Il testo offre anche un pretesto per riproporre un tema già affrontato anni fa riguardante le ripercussioni dell’ingresso repentino dei paesi dell’Europa Orientale nell’Unione Europea a partire dagli anni ’90. A suo tempo pubblicammo due studi depositati nei polverosi archivi della UE, a nome dello storico Francziseck Draus, nei quali si esponevano tutti i limiti e i problemi che sarebbero scaturiti con l’ingresso di paesi tutt’altro che pervasi dallo spirito europeista che ha caratterizzato l’adesione dei dodici paesi originari in opposizione all’ideologia e ai regimi del blocco sovietico. Le richieste di adesione erano determinate soprattutto dalle aspettative economiche generate e dal desiderio di una parte della classe dirigente di quei paesi, alla fine risultata vincitrice grazie al determinante sostegno occidentale, di adesione soprattutto alla NATO e in particolare direttamente all’apporto militare degli Stati Uniti. Quel tipo particolare di nazionalismo è stato quindi il veicolo, ben alimentato ed incoraggiato, per orientare progressivamente in maniera sempre più aperta contro la Russia le ragioni dell’Alleanza Atlantica. Buona lettura, Giuseppe Germinario
ETHNOS E STATO (2 di 2)
(Termina qui, ma è la premessa per un capitolo sull’etnonazionalismo ucraino più contemporaneo)
(alle radici degli etnonazionalismi d’Europa orientale, con attenzione al caso ucraino)
[formulare è stato complicato : LEGGERE con pazienza ]
——–
Abbiamo descritto in linea di massima e con una certa libertà interpretativa la divergente genesi del nazionalismo per quadranti d’Europa (EST-OVEST), cercando di spiegare come e perché gli etnonazionalismi tendono a manifestarsi maggiormente verso est (…).
Si è concluso ricordando come anche il caso ucraino rientri in questa fattispecie, con l’unica differenza delle dimensioni territoriali e demografiche : vediamo ora di approfondire e andare al cuore del problema…
In molti altri interventi si è cercato di fare quasi l’impossibile ovvero tracciare un quadro chiaro di cosa sia l’identità ucraina : questa – al pari di quella bielorussa – nasce dal medesimo brodo primordiale di TUTTI gli slavi orientali….I RUTENI. La popolazione nativa della RUS medievale, il cui disfacimento nel XIII secolo determina faglie di divisione tra quello che un tempo era un unico grande popolo : da quel momento i differenti tronconi della popolazione rutena sarà sottoposta a differenti processi di acculturazione che vedono ad oriente trasformarsi pian piano in “russi” sotto lo scettro dello ZARATO di Mosca (venivano infatti chiamati moscoviti, identificandoli col potere centrale del proprio stato). Lo zarato, come sappiamo, appena raggiunta la propria unità pan-russa, si lancia alla conquista delle aree geografiche circostanti in tutti punti cardinali incassando una serie di successi nel corso del tempo che ampliano enormemente la propria superficie geografica rispetto a massima parte degli stati coevi : questo si rivela in un certo qual modo più fattibile verso oriente, data la scarsa densità demografica e lo stato d’arretratezza dell’opponente (potentati tatari di varia entità) che non ad occidente, dove si afferma un protagonista di forza allora equivalente, come il regno di Polonia/Lituania.
Il problema – già descritto – è dunque questo : sebbene lo zarato di Mosca (di Russia dal 1547) si presenti, sia considerato, come più legittimo successore dell’antica RUS, tale successione è in realtà asimmetrica. Lo zarato riunisce solo una parte della Rus ossia tutti i territori ex tributari dei khan tatari i quali poi ne saranno fatalmente rovesciati (da Kazan ad Astrakhan) : in parole altre la RUS “rinasce” sì, ma indefinibilmente trasfigurata concettualmente rispetto a prima sul piano della collocazione su un asse OCCIDENTE-ORIENTE. Lo stato di IVAN IV è una creatura il cui baricentro è più spostato ad oriente rispetto alla Rus di svariati secoli prima : la fase di dominazione tatara costituisce un tassello di portata non calcolabile in questa trasformazione culturale che porta all’emergere dei “russi” che si affacciano alla prima età moderna. Lo stesso non avviene in quella fascia di territorio RUS rimasta illesa dalle incursioni mongole, ma al contrario sottoposta a una lenta colonizzazione culturale di parte polacca.
Il punto è semplice nella sua complessità : mentre i ruteni d’oriente diventano “russi” nella loro lunga riconquista medievale contro il nemico tataro, quelli d’occidente non si evolvono in tale direzione essendo sottoposti a un differente genere di ombrello culturale. Una massa autoctona che – sotto dominazione feudale polacca – continua portare l’antico appellativo di RUTENI (si potrebbe mettere nel seguente modo : mentre ad oriente i ruteni vivono un esteso processo sociopolitico di crescita ed affermazione – in opposizione alla grande orda – intriso di tragedia e gloria, tale da determinare una metamorfosi anche sul piano terminologico (“russi”) i propri analoghi ad ovest non passando traverso il medesimo crogiolo – quanto sotto il più blando e stabile feudalesimo europeo di matrice polacca – risulta in un certo senso sospeso temporalmente alla beata calma della defunta RUS, conservando addirittura inalterato l’etnonimo ruteno di centinaia di anni prima (…).
In definitiva i RUSSI sono ruteni la cui identità si è evoluta in funzione delle circostanze storiche che li vede lottare contro l’avversario tataro sotto i vessilli della Moscovia ; la moltitudine di ruteni che popolava i territori corrispondenti alle attuali Bielorussia e Ucraina altro non era che LO STESSO popolo (cui si sottrae la drammatica esperienza storica del primo).
Occorre attendere il 17° secolo per vedere una scintilla che alteri la staticità del quadro : si parla della sollevazione capitanata da Khlemintskij (1654), ma notiamo che anche in questo caso non la si descrive col nome “rivolta ucraina”, quanto di “rivolta cosacca” (i cosacchi non rappresentano che una frazione di tutta la popolazione rutena esistente all’epoca e deteneva un’identità/status distinto), per quanto a posteriori, retroattivamente, le si attribuirà un carattere nazionale ucraino.
La frattura del dominio polacco lungo le rive del Dnpr è efficacemente sfruttata – come la storia ci insegna – dallo zarato di Mosca (dinastia Romanov all’opera) che sfruttano a proprio vantaggio l’evento per erodere dalle fondamenta l’areale d’influenza dei monarchi di Polonia, creando un temporaneo stato cosacco che sarà quindi inglobato nello zarato (fin qui ci siamo già, penso). Occorre aspettare un altro secolo perché anche la zona ad ovest del Dnpr venga inglobata dall’impero russo al tempo della spartizione della Polonia (1772).
Il quadro – su un piano identitario – è quantomai ambiguo a questo punto : tanto i russi quanto i ruteni (futuri bielorussi/ucraini) sono lo stesso popolo, abbiamo detto, benchè evolutosi secondo percorsi diversi. Ora, entro la tarda età moderna (16/17° sec.) i ruteni rientrano sotto l’egida politica di Mosca, prima zarato e poi impero : non è la soluzione ideale ? Popoli di comune ceppo che si ritrovano anche sotto lo stesso scettro ? Per una volta ETHNOS e STATO coincidono……e possono crescere assieme.
Eppure, anche così non è così semplice. Malgrado il comune ceppo etnico, malgrado un potere politico unico, non si cancellano 4/500 anni di divisione così densi di avvenimenti : quello che prende vita non è una perfetta omogenizzazione, ma piuttosto un’unità nella differenza. Prestare attenzione : l’ultima espressione può essere fuorviante, nel senso che può essere utilizzata per descrivere un unico ombrello politico per popoli assai diversi tra loro (tedeschi-italiani oppure anglosassoni-afroamericani), ma in questo caso si tratta di una diversità di grado minore, quella che intercorre tra civilizzazioni gemelle. Occorrerebbe implementare l’espressione facendola suonare “Unità in ARMONICA diversità”….perchè di diversità armonica, compatibile che si sta parlando.
Storicamente lo stato russo NON riesce a russificare in modo totale questi suoi ruteni, malgrado parrebbe cosa facile considerato l’alto grado di somiglianza culturale : li integra pienamente di certo, ma non fino allo stadio di far loro dimenticare che sono stati qualcosa di diverso rispetto alla Russia di Mosca un tempo (gli strati della psiche collettiva e i suoi insondabili labirinti sono la vera chiave qui). Essi sono sudditi dell’impero e slavi come i russi, sono quasi russi (quasi) : qualcosa però li fa sentire più ad ovest che il russo standard. Da questo sentire inizierà il risveglio del secolo XIX analogo a tanti altri popoli del continente europeo. Viene il tempo di Taras Shevchenko (uno dei padri spirituali della nazione ucraina) e il termine “Ucraina” – già esistente da tempo – inizia ad assumere un significato assai più forte che in passato : inizia a indicare una precisa identità nazionale in opposizione alle altre circostanti (il “sé” si definisce sempre in opposizione a ciò che non è “sé”).
Anche questo percorso tuttavia NON è semplice ! Sì, perché definire il “sé” in opposizione a cosa non lo sia è più lineare quando i popoli che ti circondano sono decisamente differenti da noi : nel caso ucraino/russo(e bielorusso) il popolo che vuole distinguersi dai suoi vicini, ha a che fare con vicini che sono assai simili a sé ! Costruire una linea di divisione può essere complesso quando lo straniero è quasi come te….come e dove porre il confine ? (territoriale, ma soprattutto psicologico). Tra tutti i popoli di cui era composto l’impero zarista, il comparto Bielorussia/Ucraina è quello che da meno problemi (comparativamente a casi come la Finlandia o Polonia o Caucaso) : occorre aspettare l’onda sismica del 1917 per vedere emergere una realtà nuova…..e assieme ad essa il germe che vediamo ancora oggi (siamo all’etnonazionalismo cui ho fatto cenno).
Cogliere la vera natura del caso russo/ucraino è quindi complicato e si sbaglia nel valutarlo cadendo in opposti estremismi. Due sono i soggetti che sbagliano….
1- sbaglia l’oltranzismo zarista (chiamiamo così l’atteggiamento più reazionario del nazionalismo russo) che nega con ingenuità ed arroganza l’esistenza di un’identità a parte per questa parte di slavi orientali un tempo “ruteni” e oggi ucraini e bielorussi. Non si vuole capacitare che mezzo millennio di divisione – malgrado la profonda comunanza – abbiano lasciato dei segni delle conseguenze nel più totale processo di etnogenesi.
2- Sbaglia l’”oltranzismo della giustizia” oggi capitanato dal mondo occidentale che interpreta in modo riduttivo l’insorgenza ucraina alla stregua di un qualsiasi conflitto coloniale (dei tanti) che vede contrapposti un dominatore e una vittima, sorvolando completamente (e follemente) il grado di parentela che in questo caso intercorre tra le due entità….fattore questo che nulla può cancellare.
In conclusione (nella prospettiva del sottoscritto) : non si può – a onore di coscienza – affermare che le forze russe facciano una passeggiata di diritto nel proprio giardino, ma al tempo medesimo non si può neppure paragonare il tutto ad un residuo di imperialismo da parte russa. La verità, se si riesce ad intrepretare la storia col metro del lunghissimo termine, è che il processo in corso sotto gli occhi di tutti, ha le sembianze di una grande GUERRA CIVILE non in seno ad un singolo stato, ma entro la cornice di un cosmo culturale -quello slavo orientale – approdato al secolo XXI nuovamente frastagliato. Una guerra civile che non riguarda una singola nazione (come l’espressione pretenderebbe), ma più di una : una “guerra civile sovranazionale”. Labirinti della semantica.
(Termina qui, ma è la premessa per un capitolo sull’etnonazionalismo ucraino più contemporaneo)

GUERRA IN UCRAINA. QUAL È LA POSTA IN GIOCO CULTURALE?_di Roberto Buffagni

GUERRA IN UCRAINA. QUAL È LA POSTA IN GIOCO CULTURALE?

  1. Qual è la posta in gioco culturale (spirituale, ideale, ideologica) del conflitto in Ucraina? Semplificando al massimo, cerco di rispondere alla domanda.
  2. Se la Russia vince – se la Russia ottiene gli obiettivi politici limitati per conseguire i quali sta conducendo, con mezzi limitati, una guerra limitata, “vestfaliana” – segna l’inizio della fine dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA.
  3. L’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA s’è inaugurato con la disgregazione dell’URSS. Trent’anni fa, sconfitta l’URSS, gli USA restano l’unica grande potenza al mondo: non hanno più nemici che possano minacciarne la sicurezza.
  4. Esso è un ordine internazionale che ha un contenuto ideologico, il liberal-progressismo. È un contenuto ideologico obbligatorio perché sconfitti i suoi avversari storico-ideali (ancien régime, fascismi, comunismo) il liberalismo si conforma al suo concetto, e si manifesta come universalismo politico.
  5. Il liberalismo è universalista perché si fonda sui “diritti inalienabili dell’individuo”. Postula dunque che l’intera umanità è composta da individui, tutti eguali in quanto dotati dei medesimi “diritti inalienabili”. La relazione di interdipendenza tra l’individuo e gli altri individui, tra l’individuo e la comunità politica, tra l’individuo e la dimensione trascendente (Dio) viene omessa o, nel linguaggio lacaniano, forclusa: anche perché famiglia, comunità politica, Dio sono le ragioni e le bandiere del primo avversario storico del liberalismo classico, l’alleanza Trono-Altare ossia la Cristianità europea.
  6. Questa omissione o forclusione conforma il liberalismo alla logica capitalistica, nella quale esistono solo individui: individui produttori e individui consumatori, che si legano astrattamente tra loro mediante lo scambio di merci, compresa la merce-lavoro.
  7. Esempio uno: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità” (Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, 1776).
  8. Esempio due: “I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo.” (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1789).
  9. Privo di avversari ideologico-politici che possano limitarne la manifestazione nell’effettualità storica, l’universalismo politico liberale, contenuto ideologico dell’ordine internazionale unipolare a guida USA, procede ad ampliarsi secondo la sua logica, e a estendersi all’universale umanità.
  10. Esso tende ad estendersi all’universale umanità, intesa come collezione di individui, mediante la logica capitalistica (globalismo economico) e mediante la politica estera statunitense (globalismo politico). Il centro direttivo USA ritiene che politica estera statunitense e logica capitalistica siano perfettamente compatibili e operino a conseguire lo stesso scopo strategico finale.
  11. La logica strategica dell’ordine internazionale unipolare a guida USA è la graduale creazione, prima de facto, poi de jure, di un governo mondiale. Esso controllerà un insieme di Stati, che gradualmente adotteranno sia la logica capitalistica, sia il regime sociale liberal-democratico dei quali gli Stati Uniti rappresentano il metro campione. Gli Stati Uniti d’America sono il “benign hegemon” mondiale.
  12. La stessa logica strategica sarebbe stata adottata anche dall’URSS, qualora essa avesse vinto la Guerra Fredda e si fossero disgregati gli USA: perché anche il comunismo, come il liberalismo, è un universalismo politico. Ovviamente, il contenuto ideologico di un ordine internazionale unipolare a guida URSS sarebbe stato il comunismo, e non il liberalismo: la somiglianza che qui rilevo è puramente formale, logica.
  13. Il postulato ideologico dell’ordine unipolare liberal-progressista a guida USA è che tutti gli individui componenti l’intera umanità non possono non desiderare che siano affermati nell’effettualità i “diritti inalienabili” di cui sono virtualmente titolari, anche se, magari, ancora non ne sono consapevoli.
  14. Perché questi “diritti inalienabili dell’individuo” si realizzino nell’effettualità storica può essere sufficiente l’adesione alla logica capitalistica del loro sistema economico. Il premio che essa riserba a chi vi aderisca è il benessere, la ricchezza, la modernizzazione scientifica e tecnologica, e il conseguente “empowerment” degli individui, che nel settore politico conduce all’instaurazione di una liberal-democrazia, il regime storicamente e logicamente più conforme alla logica capitalistica.
  15. Le liberal-democrazie sono per definizione pacifiche. Tra liberal-democrazie non si danno guerre. La competizione tra liberal-democrazie si limita alla competizione economica, un importante fattore di sviluppo i cui effetti collaterali indesiderati si possono ridurre con opportuni interventi politico-amministrativi.
  16. Da questi postulati ideologici discende la scelta statunitense di una politica di “engagement” con la Cina.
  17. Secondo logica capitalistica (teoria dei costi comparati di Ricardo) è perfettamente razionale integrare l’economia cinese con l’economia americana. Lo sviluppo economico cinese è poi destinato a trasformare anche la Cina in una liberal-democrazia, dunque in un pacifico partner della liberal-democrazia USA.
  18. Secondo la logica di potenza, invece, con la disgregazione dell’URSS cessa ogni interesse USA all’alleanza con la Cina, che il presidente Nixon stipulò negli anni Settanta in funzione antisovietica. La scelta di favorire lo sviluppo economico della Cina è una scelta autolesionista, un errore strategico di prima grandezza perché la potenza economica è “potenza latente” destinata a trasformarsi in “potenza manifesta” ossia potenza militare.
  19. Gli eventi storici dimostrano che la logica di potenza sconfigge la logica capitalistica. La Cina, già demograficamente fortissima, si sviluppa economicamente, inizia a sviluppare potenza militare, diviene una grande potenza nucleare, non si trasforma in una liberal-democrazia, e si profila come concorrente alla pari degli Stati Uniti, che dal 2017 in poi la designano come avversario principale. Essa può infatti divenire, in un futuro prossimo, egemone regionale dell’Asia Settentrionale.
  20. Risalita dallo sfacelo impostole dalla sconfitta dell’URSS e dal susseguente “periodo di torbidi” provocato dalla introduzione della logica capitalistica nella sua forma più violenta e predatoria, la Russia si ritrova, si dà una direzione politica coesa ed efficace, si stabilizza come grande potenza. La sua “potenza latente” economica è insufficiente, la demografia manchevole, ma la sua “potenza manifesta” militare, convenzionale e nucleare, basta a garantirne l’autonomia politica rispetto all’egemone mondiale statunitense. Essa però, ad oggi, non è in grado di divenire egemone regionale, né lo sarà in futuro a meno che non riesca ad invertire la sua curva demografica e a sviluppare a ritmi cinesi la sua “potenza latente”.
  21. Questa è la situazione odierna: con il sorgere di due grandi potenze politicamente capaci di autonomia, l’ordine internazionale unipolare liberal-democratico a guida USA è oggettivamente finito.
  22. Nei decenni precedenti, e specialmente a partire dagli anni Duemila, gli Stati Uniti procedono ad attuare il loro progetto di uniformazione del mondo (globalizzazione o mondializzazione economico-politica). Vi impiegano tanto la persuasione (“soft power”) quanto la forza militare (“hard power”), combinandole.
  23. L’episodio paradigmatico della combinazione tra soft e hard power nel perseguimento del progetto di uniformazione del mondo è la seconda invasione dell’Irak (2003). Essa si propone l’obiettivo di sconfiggere con le armi lo Stato irakeno, definito una “dittatura”, e di “esportarvi la democrazia”. L’operazione “Desert Storm” è intesa come primo passo di un progetto più ambizioso, che deve estendersi mediante la stessa combinazione di soft e hard power all’Iran e alla Siria, ridisegnando l’intero Medio Oriente.
  24. Il testo che meglio illustra la ratio del progetto è “Shock and Awe: Achieving Rapid Dominance”, di Harlan K. Ullman and James P. Wade1, 1996.
  25. In estrema sintesi, il progetto Shock and Awe combina una dottrina militare operativa con una dottrina psicologico-culturale. “Shock” significa “trauma”, “Awe” significa “timore reverenziale”, una parola che designa l’emozione travolgente che si prova di fronte alla manifestazione del sublime naturale (tifoni, terremoti, eruzioni vulcaniche) o del divino (apparizioni miracolose della potenza divina). Una buona benché libera traduzione potrebbe essere “Sidera e converti”.
  26. Nel testo di Ullman e Wade infatti si argomenta che l’effetto psicologico sulla volontà del nemico di una tempesta di fuoco che lo soverchi e travolga come un’eruzione vulcanica o una manifestazione del Dio degli eserciti sortisca un effetto di vera e propria “siderazione”. La siderazione traumatica induce “awe”, timore reverenziale, e consente di convertire il nemico: convertirlo al modello di uomo e società portato da chi sa dispiegare tanta inarrivabile potenza (ovviamente la potenza è un attributo divino). Un modello – la liberal-democrazia – che d’altronde, garantendo i “diritti inalienabili dell’individuo”, è conforme a ciò che tutti gli uomini non possono non desiderare per sé, non appena siano liberati dai modelli oscurantisti cristallizzati negli Stati “dittatoriali”, non liberal-democratici. Nel testo si fa espresso riferimento all’esperienza del Giappone, convertito alla liberal-democrazia dopo una campagna di bombardamenti a tappeto terrificante, e suggellata dal lancio di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
  27. Il progetto del ridisegno del Medio Oriente si risolve in una catastrofe politica, o ovviamente in una catastrofe umana per l’Irak. L’Irak sconfitta sul campo precipita nel caos e nella guerra civile, ed entra nella zona di influenza iraniana.
  28. Un ulteriore progetto di esportazione della democrazia mediante la combinazione di soft e hard power, l’invasione e occupazione dell’Afghanistan, dopo vent’anni finisce anch’esso in una catastrofe politica per gli Stati Uniti, umana per l’Afghanistan.
  29. Il progetto di esportazione della democrazia in Siria si arresta a metà dell’opera per l’intervento russo che sostiene il governo di Bashar El – Assad, e termina con una sconfitta politica degli Stati Uniti, una catastrofe umana per la Siria.
  30. L’unico progetto di esportazione della democrazia che si concluda con un successo politico americano è la frammentazione della Jugoslavia, con la creazione dello Stato del Kosovo, e l’integrazione nella NATO di Slovenia, Croazia e Montenegro. La catastrofe umana provocata dalla guerra civile jugoslava è terribile.
  31. Tranne (forse, è discutibile) il caso jugoslavo, gli altri interventi di esportazione della democrazia USA non rispondono a interessi strategici americani. Secondo logica di potenza, gli Stati Uniti non avevano alcuna ragione di occupare l’Irak, sino ad allora cliente degli USA, o l’Afghanistan, che non poteva minacciare l’India o il Pakistan, o la Siria, che non poteva minacciare Israele e apparteneva invece, storicamente, alla sfera d’influenza russa. Si tratta di guerre puramente ideologiche, decise in quanto conformi a un progetto globale di riconfigurazione economica, politica, culturale dell’intero mondo. (Poi ovviamente nella dinamica della decisione pesano anche gli interessi economici e istituzionali di tutti i centri coinvolti).
  32. Il fallimento catastrofico del progetto di riconfigurazione globale del mondo in un insieme di pacifiche liberal-democrazie capitalistiche guidate dal metro campione di tutte le liberal-democrazie capitalistiche, gli Stati Uniti d’America, e il sorgere delle due grandi potenze cinese e russa, impone una battuta d’arresto finale all’ordine internazionale unipolare liberal-democratico americano, e ne segna la fine nell’effettualità storica.
  33. Inizia a sorgere l’ordine internazionale multipolare.
  34. La guerra in Ucraina, che vede la vittoria militare della Russia e la sconfitta politica degli Stati Uniti, è la prima doglia del parto dell’ordine internazionale multipolare.
  35. La guerra ucraina è tutta – dalle cause lontane, alla conduzione delle operazioni militari, all’esito politico – conforme alla pura logica di potenza. La Russia scende in campo per difendere un interesse vitale: negare a un’alleanza militare straniera la creazione di un bastione alle proprie frontiere. Essa conduce una guerra limitata per obiettivi politici limitati, una guerra “vestfaliana” che non si prefigge di convertire o uniformare a sé il nemico ma semplicemente di impedirgli di nuocere alla propria sicurezza. La Russia cerca la trattativa col nemico in parallelo alla conduzione delle operazioni militari, come da Westfalia al Vietnam si è sempre fatto.
  36. La causa lontana della guerra in Ucraina è l’espansione a Est della NATO. Secondo logica di potenza, essa non è conforme all’interesse strategico degli Stati Uniti, perché provoca inutilmente la Russia, una potenza che non è in grado di diventare egemone regionale sul continente europeo; e perché getta la Russia nelle braccia della Cina, della quale sarebbe rivale naturale (4250 km di frontiera in comune). Nonostante i ripetuti, chiari moniti russi, gli americani perseguono l’espansione NATO sino all’Ucraina, integrandovela de facto se non de jure, e provocano le attuali ostilità.
  37. Quest’ultima forzatura statunitense è anche l’ultima manifestazione della logica dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico.
  38. L’Ucraina è un interesse vitale russo, ma non è un interesse vitale degli USA. Infatti, gli USA si guardano bene (e razionalmente) dall’intervenire militarmente a sostegno dell’Ucraina.
  39. Però, la reazione statunitense all’invasione russa è, su tutti i piani tranne quello che conterebbe davvero ossia il piano militare, violentissima. Contro la Russia, USA e UE scagliano un vero e proprio anatema, quando sarebbe nell’interesse americano (per tacere dell’interesse europeo) limitare i danni provocati dal proprio errore strategico e, in vista del conflitto con la Cina, non alienarsi radicalmente la Russia.
  40. Perché l’anatema? Qual è la posta in gioco, per gli USA?
  41. Per gli USA, la posta in gioco è il prestigio della loro posizione di guida dell’ordine internazionale unipolare. Dico “il prestigio”, perché nei fatti, con il sorgere di due grandi potenze come Russia e Cina, l’ordine internazionale unipolare è già finito.
  42. Quel che non è finito è “il prestigio” di guida di quell’ordine, che gli USA ancora detengono e vogliono conservare.
  43. È infatti questo prestigio che consente agli USA di presentarsi nel mondo come Stato eccezionale, che non conosce né superiori né eguali, e che dunque può pretendere di presentarsi come “giudice terzo” nelle controversie internazionali. Da questo scranno inarrivabile gli USA possono decidere che cosa è giusto, che cosa sbagliato, che cosa bene e che cosa male; quale regime sociale sia accettabile (la democrazia liberal-progressista) e quale inaccettabile (tutti gli altri); possono chiamare le loro guerre “instaurazione dei diritti e della democrazia”, e se le perdono, “sfortunati errori”: mentre le guerre altrui, vinte o perse, sono sempre “crimini”; possono insomma, come Dio nella teologia islamica, decidere a piacer loro se il fuoco debba esser caldo o freddo.
  44. Con la sconfitta politica che conseguirà alla guerra ucraina, questo prestigio degli Stati Uniti, o se si vuole la loro “investitura” di eccezionalità e superiorità, comincerà a logorarsi.
  45. Non può essere “giudice terzo” nelle controversie internazionali uno Stato incapace di eseguire le proprie sentenze.
  46. Non può essere “eccezionale” uno Stato che promette protezione a un suo cliente, lo spinge a confrontarsi con un’altra grande potenza minacciandone un interesse vitale, e poi lo abbandona al suo destino.
  47. Non può realizzare universalmente nell’effettualità i “diritti inalienabili dell’individuo” se rifugge dal confronto militare con una “dittatura” come la Russia, che agisce in conformità alla pura logica di potenza, la quale è sempre particolare, mai universale: perché la ratio della logica di potenza è l’anarchia del sistema-mondo, nel quale ciascuna potenza è costretta a garantire da sé la propria sicurezza, nel conflitto permanente con le altre.
  48. Il prestigio o investitura degli Stati Uniti come guida dell’ordine internazionale unipolare liberal-democratico è il garante, o se si vuole, nel linguaggio della finanza, “il sottostante”, di tutto il pensiero dominante occidentale: “diritti inalienabili dell’individuo”, liberal-democrazia, primazia dell’economico, cosmopolitismo, universalismo politico.
  49. Logoratosi e poi spentosi questo prestigio, deposta questa investitura, il pensiero dominante occidentale smetterà di essere dominante. I luoghi comuni, i riflessi condizionati, le certezze che oggi il pensiero dominante dà per scontate non saranno più scontate. Chi pensa nel mondo occidentale, ossia tutti gli occidentali, pensatori o no che siano, dovranno di nuovo interrogarsi su che cosa è uomo, che cosa è mondo, che cosa è giusto, che cosa è sbagliato, che cosa male e che cosa bene: e dovranno chiedersi “da che punto di vista pensiamo e parliamo”: un punto di vista che non sarà mai più l’unico vero punto di vista da cui guardare il mondo e l’uomo.
  50. Come diceva un orientale,” Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente.”

 

 

 

 

1 National Defense University, Institute for Strategic Studies, 1996. Gratuitamente reperibile in rete.

A proposito di “GUERRA ALLA COMPLESSITA’ “, di Roberto Buffagni

Leggendo il post di stamani di Pierluigi Fagan, “GUERRA ALLA COMPLESSITA'”, https://italiaeilmondo.com/2022/03/17/guerra-alla-complessita-di-pierluigi-fagan/ vengo a sapere che secondo Massimo Gramellini “Sull’Ucraina chi vi dice ‘ma è più complesso’ è complice di Putin”.
Pierluigi dice la sua da par suo, e vi invito a leggerlo. Già che ci siamo dico anche la mia.
Questo poi sarebbe un caso semplicissimo: la Russia attacca l’Ucraina per difendersi dalla NATO.
Quel che è non so se “complesso” ma certamente complicato è il polverone disinformativo che alzano i media occidentali.
La disinformazione vuole comunicare 2 cose:
1) che l’Ucraina può vincere da sola contro la Russia
2) che la pressione occidentale (sanzioni, guerra psicologica) può destabilizzare il governo russo e sostituire Putin con una personcina ammodo di gradimento per l’Occidente.
La cosa 1 è totalmente falsa, impossibile come che domattina sorga il sole a Ovest, se uno non si fida di quel che trapela dai report dal terreno basta verificare i rapporti di forza militare tra Ucraina e Russia e si capisce che non c’è partita.
La cosa 2 è altamente improbabile, non c’è la minima prova indiziaria che si possa verificare. Lo scopo della disinformazione è
a) nascondere il fatto oggettivo che l’Occidente non ha carte vere in mano. L’unico modo per rovesciare le sorti del conflitto militare in Ucraina sarebbe un coinvolgimento diretto della NATO (comprese FFAA USA); e l’esito del conflitto convenzionale su territorio europeo tra NATO e Russia non è predeterminato come l’esito del conflitto Russia/Ucraina. Ovviamente chi ha conservato un barlume di razionalità tra i dirigenti NATO e USA non vuole uno scontro diretto con la Russia, perché da un canto esso potrebbe avere conseguenze incalcolabili ( = guerra nucleare) e dall’altro l’Ucraina non è un interesse vitale USA, mentre lo è per la Russia.
b) Nascondere il fatto oggettivo che USA, UE, dirigenti ucraini dal 2014 in poi hanno condotto l’Ucraina sul “primrose path” che porta all’ “everlasting bonfire” (Shakespeare, Macbeth), il sentiero delle primule che conduce al fuoco eterno: ossia le hanno promesso protezione (NATO) e prosperità (UE) pur sapendo benissimo che l’ingresso dell’Ucraina nella NATO era categoricamente inaccettabile per la Russia. Poi al momento buono, al momento di venire sul serio in soccorso dell’Ucraina, essi se ne restano a casa e l’unico soccorso che le prestano sono chiacchiere e video ben confezionati.
c) prolungare il più possibile il conflitto in Ucraina nella vaga speranza che succeda qualcosa di favorevole all’Occidente, per esempio che Putin muoia di morte naturale o violenta, che il popolo russo si sollevi contro il suo governo, ma soprattutto che si trovi il modo di imprimere uno spin alla narrazione occidentale che consenta ai responsabili di questa tragedia di cavarsela politicamente, scaricando tutta la colpa sui russi malvagi e zaristi e facendo credere che “abbiamo fatto tutto il possibile per aiutare l’eroica Ucraina ma di fronte a tanta crudele barbarie asiatica russa altro non potevamo fare se non scatenare la Terza Guerra Mondiale: e siccome amiamo l’umanità ce ne siamo, a malincuore, trattenuti.”
Poi ci sono anche gli irrazionali secondo i quali i russi stanno bluffando, che dunque un coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto – a mezzo no -fly zone o false flag con armi chimiche – sarebbe una buona idea perché comunque la Russia non risponderebbe simmetricamente, così dimostrando di essere tutta chiacchiere e distintivo, il che destabilizzerebbe il governo russo con effetti graditi all’Occidente, qualcosa di vendibile come vittoria.
Costoro, che esistono e purtroppo esistono all’interno dello Stato amministrativo USA che teleguida li rapporti politici Ucraina/Russia, sono irrazionali per due motivi:
1) non c’è la minima prova indiziaria che i russi stiano bluffando, e anzi, siccome stanno combattendo per difendere un loro interesse vitale, tutto lascia pensare che facciano mortalmente sul serio
2) anche qualora i russi bluffassero e non rispondessero simmetricamente a una provocazione NATO, nulla lascia pensare che la destabilizzazione del governo russo che ne conseguirebbe darebbe luogo all’insediamento di una dirigenza favorevole all’Occidente. È invece assai più verisimile il contrario, ossia che una manifestazione di debolezza di prim’ordine come questa, che si risolverebbe in una clamorosa sconfitta militare e politica per la Russia, con l’aggravante che i soldati russi caduti in Ucraina sarebbero morti invano, provocherebbe l’insediamento di una dirigenza molto, molto più radicale nella sua opposizione all’Occidente (che in Russia c’è, Putin non è affatto un estremista).
Dopo di che, l’unico che potrebbe calcolare le conseguenze è il senno di poi o Dio, a piacere.

GUERRA ALLA COMPLESSITA’, di pierluigi fagan

GUERRA ALLA COMPLESSITA’.

Si è formalizzato ieri, su alcuni giornali italiani, il fronte di guerra alla complessità. Non che ieri sia nato, non è mai “nato”, c’è sempre stato, noi viviamo in un universo mentale semplificato, da sempre. Né ieri si è manifestata la sua discesa in campo per la conquista dei cuori e delle menti relativamente all’orientamento delle pubbliche opinioni rispetto alla guerra in Ucraina. Sono ventuno giorni che domina indisturbato. Ieri ha solo attaccato coloro che avanzano riserve su questo dominio del semplificato.

Di sua prima base, il complesso deriva dal suo etimo: intrecciato assieme. Tante e diverse variabili tra loro interrelate (relate a due vie) fanno sistemi complessi. Poche variabili, poche interrelazioni, poco complesso. Tante variabili, tante interrelazioni, molto complesso. In mezzo varie gradazioni. Nel complesso si osserva un oggetto o un fenomeno assieme al contesto. Infine, si cerca di risalire alla matassa intrecciate di cause che l’hanno preceduto. Questo di prima base poi c’è molto altro.

Semplificando, invece, si possono ridurre le variabili e le interrelazioni a proprio piacimento. Si può ridurre il problema del potere in Russia il cui studio impegna una manciata di studiosi da anni ad un singolo pazzo, ex-KGB, omofobo e violento. La Russia non è una potenza con 6000 ordigni nucleari assisa al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è solo uno stato canaglia a capo dell’Impero del Male. O elevare un comico finanziato chissà da chi in uno Stato-Mafia a Churchill. Infine, potrete isolare un fatto nel mentre si compie ignorando ciò che magari anche voi stessi avete fatto, consapevolmente o meno, per generarlo.

I semplificatori operano una distrazione logica. Presuppongono che l’oggetto del discorso sia la condanna dell’invasione russa, ma non si capisce contro chi facciano questa guerra. Chi giustifica o non condanna ciò che è successo secondo l’ovvio ed universale principio dell’inviolabilità dei confini di uno Stato da parte di un altro, armato? A parte Luttwak e qualche Stranamore americano che in questi decenni hanno spinto a varie guerre umanitarie, democratiche e liberanti, Saddam che invadeva il Kuwait e poco altro, non mi pare di vedere queste masse di teorici della guerra giusta. E comunque non li ho visti nel caso ucraino. Li ho visti invece nel campo dei semplificatori, soprattutto americani, negli ultimi decenni semmai. Allora con chi ce l’hanno?

Ce l’hanno con coloro che cercano di mettere nel ragionamento tutte le variabili e tutte le interrelazioni, di valutare il contesto, di includere i processi di causazione di lunga e media durata. Questi perplessi lo fanno per sovvertire il giudizio sul principio di inviolabilità dei confini sovrani da parte di un nemico armato? No di certo. Cercano solo di capire come siamo finiti in un dato fatto, perché e come si è prodotto, per capire come comportarsi e soprattutto come se ne esce. Ed in genere, è capendo come ci sei entrato che trovi il modo di uscirne.

I semplificatori vogliono solo inchiodarti alla condanna del fatto, i complessificatori non hanno alcun problema a condannare il fatto, si pongono tutt’altro problema: capire e risolvere.

Un padre che ha un figlio drogato certo non sta facendo una crociata per giustificare eroina libera per tutti quando cerca di capire come è arrivato lì e soprattutto come può aiutarlo ad uscirne, no? Una intera disciplina, la sociologia, analizza i fatti sociali più disturbanti non certo per giustificarli ma al contrario per conoscerne le cause di modo da contenerli se non evitarli. Se diciamo che povertà e disagio sono condizioni di possibilità per la delinquenza per questo stiamo dicendo di non fare i processi ai delinquenti? Così la psicologia. Ma a ben vedere anche la biologia. Se curiamo i cirrosi epatici è per incentivarli a tracannare all’infinito?

Quando Hanna Arendt seguiva il processo Eichmann per il New Yorker cercando di capire la natura dal Male e giungendo infine alla convinzione che l’origine di quel Male era in sostanza l’inconsapevolezza delle proprie singole azioni poste in processi più ampi di cui non si aveva o voleva avere consapevolezza, stava con ciò giustificando l’Olocausto? Nel rilevare la stupidità del Male o forse il come la stupidità porta al Male, stava giustificando il Male? Stava dando il destro all’assolvimento degli stupratori perché provocati dalla portatrice di minigonna come secondo un certo Gramellini fanno coloro che cercano di capire cause ed antefatti della guerra attuale? Forse Arendt chiese di assolvere Eichmann? O di giustificare lo sterminio nazista nei confronti della sua stessa origine ebraica?

Viene allora il dubbio che questi crociati contro la complessità dei fatti, vogliano loro giustificare qualcosa. Ma cosa? Sembra che vogliano partecipare alla costruzione di un unico e forte sentimento di condanna senza altre distrazioni per forzare ad una unica reazione attiva. Praticamente lo stimolo-risposta di Skinner. E lo fanno infrangendo la Legge di Hume per il quale da un com’è non consegue per forza il come dovrebbe essere, da una descrizione non consegue una prescrizione. Invece dall’ovvia, lampante ed indubitabile osservazione che qui c’è un aggressore ed un aggredito, conseguono in logica prescrizione vari assunti. Perché non mandiamo più armi in Ucraina? Perché non andiamo lì ad impicciarci della contesa che c’è da anni anche se ci siamo svegliati tre settimane fa e ne sappiamo dal nulla al niente? Perché non ignoriamo le conseguenze immediate e quelle future di quello che sta accadendo? Perché non proteggiamo a qualunque costo l’aggredito dall’aggressore a costo di iniziare una escalation che potrebbe portare a cose che neanche vogliamo nominare? Perché è il non averlo fatto per tempo ottanta anni fa che portò ad Eichmann, dicono.

I semplificatori forse hanno similarità con Eichmann sebbene vaneggino di un nuovo Hitler, neo-zarista ed intrinsecamente sovietico abusando delle scorciatoie logiche dell’analogia per cui le pere sono la stessa cosa delle mele dal momento che entrambe sono “frutta”. Anche lì, il colpevole diceva che lui era teso solo ad occuparsi col il massimo di perizia ingegneristica ad un problema logistico. A lui arrivavano solo input e la sua etica del lavoro gli imponeva di occuparsi solo dell’output. Ignorava cause e conseguenze, contesti, processi causativi più ampi del suo singolo specifico. L’essere il Male derivava da questa sua ostinata semplificazione. La Banalità del Male è appunto la banale semplificazione.

Così la banalità del Male, pensando di fare il Bene, attacca coloro che cercano di evitare si compia ancora più male. Lupi travestiti da agnelli scrivono su i fogli degli Agnelli, dicendo che gli agnelli sono i lupi. Ma che cosa pretendi nello scrivere queste cose, che chi usa la stupidità a fin di Male capisca che l’essenza del Male è assenza di comprensione complessa? Ma se lo capissero non sarebbero così stupidi no? Tagliamo le ali al pensiero così istituiremo la no-fly-zone per l’intelligenza e l’onestà intellettuale. Non ci distraiamo, siamo in guerra e come si dice in questi frangenti: à la guerre comme à la guerre…

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/16/guerra-alla-complessita/

1 126 127 128 129 130 137