LA CINA NELL’INTERREGNO, di Hu Wei

Questo articolo, sia pure al momento in gran parte contraddetto dal prosieguo degli eventi, rappresenta plasticamente l’esistenza e la vivacità del dibattito presente tra i decisori cinesi riguardo alla collocazione geopolitica del paese e in particolare al rapporto da tenere nei confronti soprattutto degli Stati Uniti e quindi, in subordine, della Russia. Non è certamente il segno di un confronto politico esploso ora, in particolare con il conflitto militare in Ucraina.

Gli albori si sono potuti intravedere già a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, in una fase di piena ostilità della Cina nei confronti della Unione Sovietica e di virulento confronto interno. I termini della discussione di allora erano del tutto diversi e riguardavano, tra le altre cose, il ruolo della pianificazione centralizzata, il rapporto centro/periferia e città/campagna, quello tra grande industia centralizzata, sul modello sovietico e sistema industriale decentrato fondato sulle comuni agricole. A farne le spese fu Liu Shaoqi, ex presidente della Repubblica Popolare Cinese; a guadagnarne, all’ombra di Mao Tze Tung, fu in realtà Zhou enLai, il vero artefice cinese dell’accordo con Nixon e Kissinger. Fu una svolta prettamente politico-diplomatica con pochi riflessi sulle scelte politiche interne al paese, quasi del tutto indipendenti. Il vero mutamento radicale avvenne alla fine degli anni ’80 con l’avvento di una politica economica aperta agli investimenti esteri e al mercato mondiale e la concretizzazione in economia della scelta di rapporti privilegiati con gli Stati Uniti. Fu una modalità di apertura paragonabile più che a quella di tanti paesi africani, dell’America Latina e dell’Europa Orientale, che portò ad una sorta di colonizzazione di quei paesi, quanto a quella piuttosto di paesi del Sud-Est Asiatico contemporanei e, storicamente, a quella degli stessi Stati Uniti, della Germania e del Giappone a fine ‘800. In quel periodo si assistette ad una sorta di congelamento della disastrata grande industria cinese e alla creazione di zone economiche aperte sulla fascia costiera, la più importante a Shangai, ma molto selettive dal punto di vista del controllo e dell’acquisizione delle capacità tecnologiche e imprenditoriali occidentali e del controllo politico del processo di trasformazione. E’ in quelle aree che si è formata una classe dirigente e una élite politica strettamente legata, anche culturalmente, ai centri decisori statunitensi e molto attiva nella lotta politica interna, usualmente molto aspra e spesso sanguinosa. La fase di ristrutturazione, sviluppo e potenziamento tecnologico dei grandi colossi industriali, piuttosto che la loro liquidazione così come avvenuta nei paesi dell’Europa Orientale, fu l’indizio e il segnale di affermazione definitiva di una classe dirigente dalle ambizioni sempre più distinte e assertive, ormai conflittuali con i disegni strategici statunitensi. Merito senza dubbio dei centri decisori dominanti cinesi, ma anche della “dabbenaggine” e presunzione, in realtà espressione anch’essa di un acceso confronto interno, statunitense. Quando si parla di “affermazione definitiva”, ci si riferisce ad una fase e non si vuole eludere l’esistenza in Cina di centri decisori in conflitto e quindi di uno scontro politico dall’esito mutevole. E’ l’esistenza dello stesso articolo qui sotto in qualche maniera a certificarlo e a collocare sotto un’altra luce l’attuale politica statunitense, avventurista sì, ma non irrazionale. Le elezioni presidenziali nel 2024, forse anche quelle di medio termine nel prossimo novenbre negli Stati Uniti e il Congresso del Partito Comunista Cinese a fine anno ci potranno dire qualcosa di più chiaro in merito all’esito del confronto. Non solo negli Stati Uniti, ma anche nella Cina stessa. La posizione espressa dall’autore è di fatto minoritaria; avrebbe però il vantaggio della soluzione in termini di conservazione e semplificazione di alcuni attuali dilemmi geopolitici storici della Cina, soprattutto nei confronti di India, Pakistan e Sud-Est Asiatico. A quale prezzo rispetto all’autonomia politica dagli Stati Uniti, è tutto da vedere. E’ la riprova ancora una volta, ma poco evidenziato da gran parte degli analisti, che il confronto geopolitico tra stati passa attraverso un confronto tra centri decisori tra di loro ostili e interconnessi nell’agone internazionale. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

Le Grand Continent_Questo articolo, inviato dall’autore in lingua cinese al sito Usa-Cina Perception Monitor dove è stato pubblicato il 5 marzo e poi tradotto in inglese il 12 marzo, è da allora oggetto di acceso dibattito. Il suo autore, Hu Wei, è uno studioso cinese che occupa una posizione speciale nell’ecosistema delle relazioni internazionali a Shanghai. Viene presentato come vicepresidente del Centro di ricerca sulle politiche pubbliche dell’Ufficio del Consiglio di Stato, presidente dell’Associazione di Shanghai per la ricerca sulle politiche pubbliche e presidente del comitato accademico del Chahar Institute.

In questo breve testo, Hu Wei presenta possibili scenari per il resto della guerra, dieci giorni dopo l’inizio dell’offensiva russa. Per lui, il fatto che l’invasione dell’Ucraina distolga l’attenzione dagli Stati Uniti non deve essere preso troppo ottimisticamente: la Cina ha interesse a sostenere Putin se vincerà, ma Putin perderà sicuramente questa guerra e isolerà ulteriormente la Russia dal resto del Paese. il mondo. Per Hu la conseguenza sarebbe poi lineare: l’egemonia degli Stati Uniti si estenderà, parallelamente alla loro influenza sui loro alleati europei che potranno dire addio ai loro sogni di autonomia strategica; La Cina sarà isolata contro un Occidente di fronte unito; cadrà una “nuova cortina di ferro”, questa volta non più confinata in Europa ma separando le democrazie dai regimi autoritari su scala globale.

Non solo un tale risultato non distoglierebbe l’attenzione degli Stati Uniti dalla Cina nell’Indo-Pacifico, ma rafforzerebbe questo lavoro di “accerchiamento”, sia militare (NATO, Quad, AUKUS) che ideologico attraverso il sistema di valori occidentale. Drammatizzando questa sequenza come quella di una scelta storica, Hu identifica una finestra di opportunità “da una a due settimane” in cui la Cina dovrà fare una “scelta strategica” – in questo caso, smettere di sostenere Vladimir Putin.

Se non si deve dare troppa importanza all’autore negli ambienti decisionali di politica estera in Cina, il suo testo è stato censurato in questa lingua e non ha mancato di suscitare reazioni e risposte denunciando l'”eccessiva” attenzione riservata a questo articolo come un -op” guidato dall’occidente a dividere Russia e Cina… Tanti indizi che sono il segno che questo testo punta appunto ad una serie di elementi al centro del dilemma cinese che presiede gli arbitrati in questi giorni. Anche se è incerto se la Cina deciderà presto di abbandonare la sua neutralità o di smettere di alimentare la sua ambiguità strategica, come rivela la mappa delle reazioni globali all’invasione dell’Ucraina prodotto dal Geopolitical Studies Group – l’incontro di lunedì tra Jake Sullivan e Yang Jiechi potrebbe aiutare a districare alcune incognite, mentre la Russia ha chiesto aiuti economici e militari a Pechino.

Hu Wei_La guerra russo-ucraina è il conflitto geopolitico più grave dalla seconda guerra mondiale e avrà conseguenze globali di gran lunga maggiori rispetto agli attacchi dell’11 settembre . In questo momento critico, la Cina deve analizzare e valutare attentamente la direzione della guerra e il suo potenziale impatto sul panorama internazionale. Allo stesso tempo, per lottare per un ambiente esterno relativamente favorevole, la Cina dovrebbe reagire in modo flessibile e fare scelte strategiche in linea con i suoi interessi a lungo termine.

L’operazione “militare speciale” della Russia contro l’Ucraina ha suscitato aspre polemiche in Cina, con i suoi sostenitori e oppositori divisi in due campi implacabilmente opposti. Questo articolo non rappresenta nessuna delle parti ma intende fornire spunti di riflessione e costituire un punto di riferimento per il più alto livello decisionale in Cina. Presenta un’analisi obiettiva delle possibili conseguenze della guerra e delle opzioni di contromisura a nostra disposizione.

I. Prevedere il futuro della guerra russo-ucraina

1. Vladimir Putin potrebbe non essere in grado di raggiungere gli obiettivi che si è prefissato, che metterebbe la Russia in una situazione delicata. L’obiettivo dell’attacco di Putin era risolvere completamente la questione ucraina e distogliere l’attenzione dalla crisi interna della Russia sconfiggendo l’Ucraina in una guerra lampo, sostituendo i suoi leader e alimentando un governo filo-russo. Tuttavia, la guerra lampo è fallita e la Russia non è in grado di sostenere una guerra prolungata e gli alti costi che essa comporta. Lo scoppio di una guerra nucleare porrebbe la Russia in totale antagonismo con il resto del mondo e sarebbe quindi invincibile. Anche la situazione all’interno e all’esterno del Paese è sempre più sfavorevole. Anche se l’esercito russo è riuscito a occupare Kiev, la capitale dell’Ucraina, e a creare un governo fantoccio a caro prezzo, non significherebbe la vittoria finale. A questo punto, l’opzione migliore per Putin è quella di porre fine alla guerra in modo decente attraverso colloqui di pace, che richiedono all’Ucraina di fare concessioni sostanziali. Tuttavia, ciò che non è raggiungibile sul campo di battaglia è anche difficile da ottenere al tavolo delle trattative. In ogni caso, questa azione militare costituisce un errore irreversibile.

2. Il conflitto potrebbe intensificarsi ulteriormente e non si può escludere un possibile coinvolgimento occidentale nella guerra. L’escalation della guerra sarebbe certamente costosa, ma è molto probabile che Putin non si arrenderà facilmente dato il suo carattere e il suo potere. La guerra russo-ucraina potrebbe intensificarsi oltre l’Ucraina e potrebbe anche includere la possibilità di un attacco nucleare. Se ciò accadesse, gli Stati Uniti e l’Europa non potrebbero restare fuori dal conflitto, che scatenerebbe una guerra mondiale, anche nucleare. Il risultato sarebbe una catastrofe per l’umanità e una resa dei conti tra Stati Uniti e Russia. Questa resa dei conti finale, nella misura in cui la potenza militare russa non può competere con quella della NATO, sarebbe anche peggio per Putin.

3. Anche se la Russia riuscirà a conquistare l’Ucraina dopo una scommessa disperata, sarà comunque una “patata bollente” politica. La Russia avrebbe quindi portato un pesante fardello e sarebbe stata sopraffatta. In queste circostanze, indipendentemente dal fatto che Volodymyr Zelensky sia vivo o meno, molto probabilmente l’Ucraina istituirà un governo in esilio per affrontare la Russia a lungo termine. La Russia sarà soggetta sia alle sanzioni occidentali che a una ribellione sul territorio ucraino. Le linee del fronte si allungheranno. L’economia nazionale non sarà redditizia e alla fine sarà trascinata al ribasso. Questo periodo non supererà alcuni anni.

4. La situazione politica in Russia può cambiare o esplodere nelle mani dell’Occidente. Dopo il fallimento della guerra lampo di Putin, le speranze di una vittoria russa sono deboli e le sanzioni occidentali hanno raggiunto il massimo storico. Poiché i mezzi di sussistenza delle persone sono gravemente colpiti e le forze contro la guerra e contro Putin si uniscono, la possibilità di un ammutinamento politico su vasta scala in Russia non può essere esclusa. Con l’economia russa sull’orlo del collasso, sarebbe difficile per Putin sostenere una situazione così pericolosa, anche escludendo una sconfitta nella guerra russo-ucraina. Se Putin dovesse essere estromesso dal potere a causa di disordini civili, un colpo di stato o per qualsiasi altro motivo, la Russia sarebbe ancora meno propensa a confrontarsi con l’Occidente.

II. Analisi dell’impatto della guerra russo-ucraina sul panorama internazionale

1. Gli Stati Uniti riguadagnerebbero la leadership nel mondo occidentale e l’Occidente ne emergerebbe più unito. Attualmente l’opinione pubblica pensa che la guerra in Ucraina significhi il completo crollo dell’egemonia americana, ma la guerra riporterebbe infatti Francia e Germania, che entrambe volevano staccarsi dagli Stati Uniti, in un’architettura di difesa sotto l’egida della NATO , distruggendo il sogno dell’Europa di realizzare una diplomazia indipendente e un’autonomia strategica. La Germania aumenterebbe significativamente il suo budget militare; Svizzera, Svezia e altri paesi rinuncerebbero alla loro neutralità. Con il Nord Stream 2 sospeso a tempo indeterminato, la dipendenza dell’Europa dal gas naturale statunitense aumenterebbe inevitabilmente.

2. Una “cortina di ferro” cadrebbe di nuovo, non solo dal Mar Baltico al Mar Nero, ma più in generale in una resa dei conti finale tra il campo dominato dall’Occidente ei suoi concorrenti. L’Occidente tratterà il confine tra democrazie e stati autoritari, definendo il divario con la Russia come una lotta tra democrazia e dittatura. La nuova cortina di ferro non sarà più tracciata tra i due campi del socialismo e del capitalismo e non si limiterà alla Guerra Fredda. Sarà una battaglia all’ultimo sangue tra chi è a favore e chi è contro la democrazia occidentale. L’unità del mondo occidentale sotto la cortina di ferro avrà un effetto di travaso sugli altri paesi: si consoliderà la strategia indo-pacifica degli Stati Uniti,

3. La potenza occidentale crescerà in modo significativo, la NATO continuerà ad espandersi e l’influenza degli Stati Uniti nel mondo non occidentale aumenterà. Dopo la guerra russo-ucraina, per quanto la Russia realizzi la sua trasformazione politica, indebolirà notevolmente le forze anti-occidentali in tutto il mondo. La scena successiva agli sconvolgimenti sovietici e orientali del 1991 potrebbe ripetersi: le teorie sulla “fine dell’ideologia” potrebbero riapparire, la rinascita della terza ondata di democratizzazione perderebbe slancio e altri paesi del Terzo Mondo abbraccerebbero l’Occidente. L’Occidente otterrebbe più “egemonia”, sia in termini di potenza militare che in termini di valori e istituzioni. Il suo duro potere e il suoil soft power raggiungerà nuove vette.

4. In questo contesto, la Cina sarebbe più isolata. Per i motivi di cui sopra, se la Cina non adotta misure proattive per rispondere, dovrà affrontare un ulteriore contenimento da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente. Una volta caduto Putin, gli Stati Uniti non dovranno più confrontarsi con due concorrenti strategici, ma dovranno solo bloccare la Cina nel contenimento strategico. L’Europa si staccherà ancora di più dalla Cina, il Giappone diventerà l’avanguardia anti-cinese, la Corea del Sud cadrà ancora di più nelle mani degli Stati Uniti, Taiwan si unirà al concerto anti-cinese e il resto del mondo dovrà scegliendo da che parte stare seguendo una logica gregaria. La Cina non sarà solo circondata militarmente dagli Stati Uniti, dalla NATO, dal Quad e dall’AUKUS, ma sarà anche sfidato dai valori e dai sistemi occidentali.

[Dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con le nostre mappe, analisi e traduzioni annotate abbiamo aiutato più di 1,5 milioni di persone a comprendere le trasformazioni geopolitiche di questa sequenza. Se trovi utile il nostro lavoro e pensi che meriti supporto, puoi  iscriverti qui .]

III. La scelta strategica della Cina

1. La Cina non può essere legata a Putin e deve staccarsi da lui il prima possibile. Nel senso che un’escalation del conflitto tra Russia e Occidente aiuta a distogliere l’attenzione degli Stati Uniti dalla Cina, la Cina dovrebbe essere felice della situazione e persino sostenere Putin, ma solo se la Russia non cade. Essere sulla sua stessa barca avrà un impatto sulla Cina se perde il potere. A meno che Putin non riesca ad assicurarsi la vittoria con il sostegno della Cina, una scarsa prospettiva per ora, la Cina non ha il potere di sostenere la Russia. Una delle leggi della politica internazionale dice che non ci sono «né eterni alleati né perpetui nemici», ma che «i nostri interessi sono eterni e perpetui». Nelle attuali circostanze internazionali, La Cina può solo salvaguardare i propri interessi, scegliere il male minore e scaricare il peso della Russia il prima possibile. Al momento, si stima che ci sia una finestra di una o due settimane prima che la Cina perda il respiro. La Cina deve agire con decisione.

2. Deve evitare di giocare contemporaneamente da entrambe le parti, rinunciare alla neutralità e scegliere la posizione dominante nel mondo. Al momento, la Cina ha cercato di non offendere nessuna delle due parti e ha preso una posizione intermedia nelle sue dichiarazioni e scelte internazionali, inclusa l’astensione dal voto in Consiglio di sicurezza e Assemblea generale delle Nazioni Unite. Tuttavia, questa posizione non soddisfa le esigenze della Russia e ha fatto infuriare l’Ucraina, i suoi sostenitori e simpatizzanti, mettendo la Cina dalla parte sbagliata di gran parte del mondo. In alcuni casi, l’apparente neutralità è una scelta saggia, ma non si applica a questa guerra, dove la Cina non ha nulla da guadagnare. Poiché la Cina ha sempre sostenuto il rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, può solo evitare un ulteriore isolamento schierandosi con la maggior parte dei paesi del mondo. Questa posizione è anche favorevole alla risoluzione della questione di Taiwan.

3. La Cina deve realizzare la più grande svolta strategica possibile e non essere ulteriormente isolata dall’Occidente. Tagliarsi fuori da Putin e rinunciare alla neutralità aiuterà a costruire l’immagine internazionale della Cina e ad alleggerire le sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Occidente. Sebbene sia difficile e richieda grande saggezza, è la migliore opzione possibile per il futuro. L’idea che un conflitto geopolitico in Europa innescato dalla guerra in Ucraina ritarderà in modo significativo il perno strategico statunitense dall’Europa alla regione indo-pacifica non può essere trattata con eccessivo ottimismo. Negli Stati Uniti si stanno già levando voci per dire che l’Europa è importante ma che la Cina lo è di più, e che l’obiettivo principale degli Stati Uniti è impedire alla Cina di diventare la potenza dominante nella regione indo-pacifica. In queste circostanze, la priorità assoluta della Cina è apportare di conseguenza gli adeguamenti strategici appropriati, cambiare gli atteggiamenti ostili degli americani nei suoi confronti e salvarsi dall’isolamento. La cosa principale è impedire agli Stati Uniti e all’Occidente di imporre sanzioni congiunte alla Cina.

4. La Cina dovrebbe prevenire lo scoppio di guerre mondiali e nucleari e dare un contributo insostituibile alla pace mondiale. Poiché Putin ha esplicitamente incaricato i deterrenti strategici della Russia di entrare in uno stato di speciale prontezza al combattimento, la guerra russo-ucraina potrebbe sfuggire al controllo. Una giusta causa attira molto sostegno, una causa ingiusta trova poco. Se la Russia è l’istigatore di una guerra mondiale o addirittura di una guerra nucleare, sicuramente metterà il mondo in subbuglio. Per dimostrare il suo ruolo di grande potenza responsabile, la Cina non solo non può schierarsi con Putin, ma deve anche adottare misure concrete per prevenire il suo possibile avventurismo. La Cina è l’unico paese al mondo con questa capacità e deve sfruttare appieno questo vantaggio unico. La fine del sostegno cinese a Putin molto probabilmente porrà fine alla guerra, o almeno gli impedirà di intensificarla. Di conseguenza, la Cina riceverà sicuramente molti elogi internazionali per il mantenimento della pace nel mondo, che potrebbe aiutarla a evitare l’isolamento, ma anche trovare un’opportunità per migliorare le sue relazioni con gli Stati Uniti e il mondo.

CREDITI
L’articolo originale è disponibile qui in inglese e francese: https://uscnpm.org/2022/03/12/hu-wei-russia-ukraine-war-china-choice/

Kissinger, l’Ucraina e l’Ordine del Mondo, di OLIVIER CHANTRIAUX

Proseguiamo con il dibattito seguito all’intervento di Henry Kissinger al WEF, del quale abbiamo già offerto la traduzione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il 23 maggio, parlando in videoconferenza al World Economic Forum, Henry Kissinger ha fatto sentire una voce discordante [1] . Il messaggio principale di Kissinger non è che l’Ucraina dovrebbe accettare concessioni territoriali. Le sue osservazioni mirano a sottolineare l’urgenza della diplomazia in un clima di superiorità.

Contrariamente a molti media, così inclini a leggere le notizie internazionali in termini manichei, Kissinger ha ricordato la necessità, per risolvere i conflitti in atto, di considerare con occhio razionale la permanenza della storia e di sostituire la logica dell’escalation delle esigenze strutturali di diplomazia.

In piena coerenza con quanto espresso nell’articolo da lui pubblicato nel 2014 durante la prima crisi ucraina, in cui sottolineava che l’Ucraina, “ponte” tra est e ovest, non doveva necessariamente scegliere tra l’una o l’altra di queste strategie strategiche polarità, Kissinger ha auspicato l’apertura di negoziati che permettano ai protagonisti di affermare i propri interessi e che la Russia riconquisti, a lungo termine, un posto o un ruolo in Europa. Ha inoltre incoraggiato i due maggiori attori della vita internazionale, Stati Uniti e Cina, a tornare sulla strada di un dialogo strutturato, disegnato con la costante preoccupazione di garantire l’equilibrio di un mondo ormai plurale.

Sottolineando la necessità di un ritorno alla storia e l’urgenza della diplomazia in un mondo afflitto da molteplici tensioni, Kissinger ha dato ancora una volta prova della costanza del suo pensiero, ha espresso le esigenze e la portata della sua lettura delle relazioni internazionali, irriducibili alle mode come nonché ad ogni facile appropriazione e che possiamo qualificare, per riassumere la formula, come realismo storico. Mostrandosi animato, all’alba del suo 99° compleanno, da un’irresistibile libertà intellettuale, ha, nel dialogo così instaurato con Klaus Schwab e con Graham Allison, criticando l’opinione più attuale, ha ricordato l’interesse universale a favorire, nella condotta delle relazioni internazionali e per garantire la pace globale, frutto di una razionalità concreta, forte del lungo tempo della storia.

Realismo storico

Agli occhi di Kissinger, innanzitutto, sembra innegabile che il popolo ucraino stia attualmente dimostrando eroismo. Ma l’ardore dispiegato nei combattimenti, da qualunque parte provenga, non basta certo a risolvere la crisi. Indica quindi che per quanto riguarda la storia e la geografia, che fanno della Russia un garante degli equilibri europei e dell’Ucraina una marcia, si dovrà trovare un compromesso diplomatico che permetta di ristabilire la pace. Facendo riferimento all’articolo da lui pubblicato nel 2014, Kissinger ritiene che “l’obiettivo ultimo” da privilegiare in vista della stabilità, anche se il contesto attuale è diverso, dovrebbe essere quello di erigere l’Ucraina in “una specie di Stato neutrale.Deplora, infatti, che invece questo Paese sia diventato o sia tornato, se si ricorda la sua storia, in prima linea tra raggruppamenti di Paesi in Europa.

Questa soluzione negoziata non va quindi ricercata, secondo lui, in una forma di escalation incontrollata, che avrebbe l’effetto di rigettare la Russia in seno alla Cina. Un simile sviluppo non mancherebbe ovviamente di apparire controintuitivo, in quanto si impadronirebbe del meccanismo del pendolo triangolare, che in precedenza aveva consentito agli Stati Uniti di controbilanciare le ambizioni di una di queste due potenze giocando un rapporto costruito con l’altra.

L’obiettivo così proposto da Kissinger, il negoziato ritorno allo status quo attraverso il riconoscimento di un’Ucraina neutrale, non va necessariamente contrapposto all’analisi che era stata quella di Zbigniew Brzeziński in The Grand Chessboard. Riprendendo, a sostegno della sua tesi, le categorie forgiate da Halford Mackinder, per il quale l’egemonia mondiale dipendeva dal predominio esercitato sul cuore della terra che è l’Eurasia, Brzeziński vedeva nello stato ucraino un importante “perno geopolitico”, la cui indipendenza poteva contenere le ambizioni imperiali russe. Conserviamo dalla sua analisi la famosa frase: “Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. »

La conseguenza che Brzeziński ne trae è che l’indipendenza dell’Ucraina dovrebbe essere garantita affinché la Polonia non diventi a sua volta un perno geopolitico sul confine orientale dell’Europa unita.

In effetti, la prospettiva aperta da Kissinger, che certamente segue un metodo di analisi diverso da quello di Brzeziński e non condivide la visione del mondo di quest’ultimo, non include alcuna messa in discussione dell’indipendenza dell’Ucraina: fa semplicemente della diplomazia la chiave per ristabilire un equilibrio. E se Brzeziński metteva in guardia gli Stati Uniti e l’Europa dagli appetiti russi, per evitare che un’ipotetica annessione dell’Ucraina avesse la conseguenza di trasformare a sua volta la Polonia in un “perno geopolitico”, Kissinger comprende che, al contrario, l’integrazione dell’Ucraina nelle alleanze occidentali sarebbe portare, del resto, a una situazione equivalente, in cui, concretamente, Russia e Occidente si troverebbero a diretto contatto. La paura di vedere presto la Russia,

Si può presumere che il presidente Biden, da sempre particolarmente preoccupato per l’Ucraina, veda nel conflitto armato di cui quest’ultima è teatro un’occasione imperdibile per indebolire la Russia. È per una tale ragione geopolitica che gli Stati Uniti ei loro alleati stanno consegnando un grande volume di armi all’Ucraina. L’Occidente sotto l’egemonia americana intende quindi porre fine alle ambizioni strategiche della Russia, sottoponendola alla prova di un duro logoramento.

Dai priorità alla diplomazia

Per Kissinger, l’attrito decisivo di una grande potenza in una regione instabile, a rischio di scatenare una guerra generalizzata e catastrofica, non può costituire di per sé un obiettivo. Lungi dal sopravvalutare la geografia di Mackinder, il realismo storico kissingeriano mira all’equilibrio e favorisce la conservazione dell’ordine mondiale. Pesa la posta: un’Ucraina dello status quo ante , indipendente ma neutrale, gli sembra preferibile a un’Ucraina totalmente integrata nei gruppi occidentali, che si ritroverebbero quindi vicina di una Russia umiliata in preda al risentimento.

Allontanandosi dalla tradizione di ostilità viscerale nei confronti della Russia condivisa da molti suoi connazionali, Henry Kissinger ha mostrato la sua preferenza per la razionalità dei diplomatici e ha ritenuto necessario che i protagonisti del conflitto ucraino si impegnassero in seri negoziati entro “due mesi”.

Di fronte a questo ritorno allo stato di guerra, Kissinger ha sostenuto la diplomazia, l’unico modo per ristabilire l’equilibrio. Perché Henry Kissinger attribuisce tanta importanza al concetto di equilibrio? Perché l’equilibrio si applicava alle relazioni internazionali, come ha insistito nella sua tesi sulla composizione diplomatica della situazione in Europa dopo la caduta di Napoleone, è sinonimo di pace globale in un mondo sempre più instabile, caratterizzato dal moltiplicarsi degli attori e sotto la minaccia nucleare. L’equilibrio non passa, però, per un’alienazione degli interessi di ciascuna potenza. L’interesse nazionale resta il concetto normativo che spiega il comportamento degli enti sovrani sulla scena mondiale, ma deve essere conciliato concretamente, attraverso la diplomazia, con le ambizioni concorrenti di altri poteri.

Così il concetto di interesse nazionale rimane significativamente diverso dalla volontà di potenza, la quale, decorrelata dalla realtà plurale del mondo, può tragicamente obbedire a una motivazione molto astratta. Come sottolinea Jeremi Suri nella sua analisi della diplomazia kissingeriana, l’interesse nazionale è al centro di una vera ed essenziale “strategia del limite “.

Distinto dalla pura volontà di potenza, l’interesse nazionale, come un diamante da lucidare, deve essere rigorosamente delimitato e adattato rispetto alle forze reali a nostra disposizione e alla configurazione di potere in cui l’azione pianificata deve inserirsi. Per sua definizione molto concreta, l’interesse nazionale si distingue necessariamente dalle rivendicazioni ideologiche, il cui oggetto è per natura illimitato e che spesso sono agitate per manipolare le masse.

In hollow quindi, la scommessa kissingeriana, che in questo caso si oppone all’overbidding dei media, porta a considerare che Vladimir Putin, la cui politica è violenta e condannabile, non sarebbe per niente animato da una pura volontà di potenza. giocherebbe ancora il gioco dell’interesse nazionale. Considerato indipendentemente dalla propaganda che sta attualmente diffondendo, lo scopo geopolitico del potere russo, così come formulato almeno dal conflitto georgiano dell’agosto 2008, consentirebbe comunque di attribuirle una presunzione di razionalità, anche se questa razionalità è contraria, è vero, a quello di altri poteri. In una parola, le pretese russe sarebbero limitate ed è proprio questa limitazione che permette a Kissinger di considerare la possibilità di una soluzione diplomatica a breve o medio termine.

Riferimento alla storia

Il riferimento alla storia, così tipico della cliopolitica kissingeriana 2] , che pone il consigliere di Richard Nixon in linea con l’ Historismus di Leopold von Ranke , sembra avvalorare questa analisi, in virtù della quale si deve considerare che la Russia fa parte dell’Europa, dove essa deve svolgere un ruolo speciale, anche se l’attuale conflitto sembra tracciare i contorni di un’altra geopolitica.

Questo ruolo storico consisterebbe nel consentire l’equilibrio europeo, nell’esserne catalizzatore, come accadde alla fine dell’epopea napoleonica e negli anni successivi, poi alla Germania prima del 1939, infine, nell’ultima fase della guerra mondiale II. La chiave di lettura della crisi attuale ci verrebbe così data dalla storia.

Attraverso le sue osservazioni, Henry Kissinger colloca il conflitto armato in corso, molto localizzato, nel contesto di una più ampia evoluzione geopolitica che si manifesterebbe e la cui posta in gioco sarebbe la configurazione dell’equilibrio mondiale. Osserva che la tentazione occidentale di intensificarsi, negando la diplomazia, avrebbe il probabile effetto di indurre la Russia ad allontanarsi definitivamente dall’Europa e ad avvicinarsi alla Cina, principale concorrente degli Stati Uniti. Per Kissinger, lasciare che la Russia si appoggi alla Cina e si allontani dall’Europa, in un contesto di forte conflitto, non sembra un risultato auspicabile. Un tale sviluppo non mancherebbe di mettere l’uno contro l’altro due campi, polarizzati rispettivamente da Washington e Pechino, e di minare l’ordine mondiale,

Il rapporto tra gli Stati Uniti da un lato e la Cina dall’altro rimane infatti strutturante per l’ordine mondiale. Dà la matrice dell’equilibrio internazionale. Come fa notare Henry Kissinger, la questione centrale del rapporto sino-americano nella fase a cui è giunta è l’instaurazione di una struttura di cooperazione in grado di garantire la stabilità del mondo. La questione taiwanese sorge certamente; e Kissinger ricorda che questo è un vecchio problema, che sarà sempre preso in considerazione. Allo stesso tempo, afferma che questo problema non dovrebbe cancellare la necessità di un modus vivenditra le due potenze rivali, che hanno la reciproca capacità di distruggersi a vicenda, né l’emergere di una nuova strutturazione del concerto internazionale, che faccia spazio a potenze in divenire, come India e Brasile, e da cui dipende, in definitiva, la stabilità dell’ordine mondiale.

Le questioni sollevate dalle attuali tensioni internazionali possono essere risolte, secondo Henry Kissinger, solo attraverso i canali diplomatici.

I negoziati tra le parti presenti permetterebbero probabilmente il ritorno a una forma di stabilità nell’Europa orientale, di cui la neutralità di un’Ucraina ancora indipendente potrebbe essere la condizione principale. Così l’analisi dell’ex Segretario di Stato americano si unisce a quella del pensatore realista John Mearsheimer [10] , il quale, in occasione della crisi ucraina del 2014, aveva evidenziato l’interesse, sia per l’Alleanza Atlantica che solo per la Russia, a rimanere territorialmente separati da uno spaccato di stati neutrali.

Il messaggio principale di Kissinger non è quindi, nonostante le interpretazioni più rapide che sono state date alle sue osservazioni, che l’Ucraina dovrebbe acconsentire a concessioni territoriali. Sul punto, si può sottolineare che l’Ucraina ha acconsentito già prima dell’offensiva russa. Le sue osservazioni mirano a sottolineare l’urgenza della diplomazia in un clima di superiorità, di fronte a un mondo attraversato da tensioni, e la necessità di collegare ogni soluzione diplomatica con la più ampia definizione di un nuovo equilibrio globale tra le principali potenze, dialogo la cui strutturazione dovrebbe prevenire qualsiasi pericolosa escalation.

Con innegabile costanza, Henry Kissinger riformula la preoccupazione espressa, nel 2015, in un libro dal titolo esplicito [11] e invita i suoi ascoltatori, per il successo della pace, a non rinunciare a consolidare L’Ordre du monde .

https://www.revueconflits.com/kissinger-lukraine-et-lordre-du-monde/

 

Terrorismo in Pakistan, un “imprevisto” per la Via della Seta di Pechino, di Giuseppe Gagliano

Un articolo che evidenzia opportunamente che la dinamica multipolare prosegue per vie incerte e problematiche non solo per la competizione tra i soggetti più importanti e potenzialmente egemoni, ma anche per le contraddizioni e le dinamiche politiche interne ai territori oggetto di penetrazione. L’articolo parla di Pakistan e accenna alle Filippine e all’Indonesia; ma anche in Africa emergono ormai situazioni simili. Sino ad ora la Cina, sulla base delle sue stesse radici culturali e di cultura politica e dell’assenza di un apparato militare e in parte diplomatico capace di proiezione esterna, ha privilegiato il rapporto diretto con le autorità locali sino a ritrarsi in situazioni di estrema precarietà politica ed istituzionale. Per il futuro, molto dipenderà dalla dinamica di competizione con gli Stati Uniti. Non a caso la diplomazia cinese è ancorata ad una visione delle relazioni internazionali ancora esente, almeno formalmente, da un sistema di alleanze stabili, così come propugnata dal mondo occidentale.

Del resto le fortune e il grande successo della Cina è dovuto, sino ad appena pochi anni fa, alla capacità della sua classe dirigente di sfruttare gli spazi offerti dalla globalizzazione così come disegnata dalle élites statunitensi. I problemi di competizione ostile esplicita si sono manifestati negli ultimi sette anni e disegneranno la conformazione multipolare con tratti inediti rispetto ad analoghe fasi nel passato, vista la profonda compenetrazione economica tra Cina e Stati Uniti, dalla quale sarà particolarmente problematico districarsi. Vero è che la compenetrazione economica non è necessariamente sinonimo di coesistenza geopolitica relativamente pacifica; certamente condizionerà gli aspetti conflittuali di essa, anche i più estremi. E’ altresì sempre più evidente che non solo conta l’azione e l’influenza esterna nelle dinamiche di un paese, ma che sono le classi dirigenti e i centri politici locali che sfruttano gli apporti esterni nei loro conflitti e rapporti cooperativi interni. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Per sviluppare il suo progetto della Nuova via della Seta, la Cina ha stretto un accordo col Pakistan che calpesta e impoverisce la regione del Belucistan

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Autobomba (LaPresse)

Davvero la sinergia tra la Cina e i Paesi dell’Asia meridionale non presenta difficoltà di alcun genere? Se è vero che la collaborazione tra Cina e Pakistan nel contesto del China-Pakistan Economic Corridor (Cpec) è un progetto di punta della Bri (Nuova Via della Seta) che collega la Cina al porto di Gwadar sull’Oceano Indiano, guardando con attenzione la cartina  geografica non dobbiamo dimenticare che Gwadar si trova nel Belucistan, la più grande provincia del Pakistan e sede di violente insurrezioni.

Ci sono un totale di 42 progetti in Cpec in più settori. Finora ne sono stati completati solo nove, tutti nel settore energetico. È vero certamente che le relazioni bilaterali sono positive, considerando che l’oligarchia militare pachistana controlla la politica estera del proprio Paese e quindi non ci possono essere mutamenti tali da inficiarne  l’autorevolezza e i privilegi. Ma è anche vero che a causa dell’inettitudine del regime di Imran Khan in Pakistan, del disaccordo sulla tabella di marcia tra i due Paesi e della fragilità politica, il Cpec ha dovuto affrontare rallentamenti significativi negli ultimi quattro anni.

Ma esiste anche un’altra minaccia forse ancora più significativa: il 26 aprile infatti sono stati uccisi tre docenti cinesi durante un attacco suicida vicino all’Istituto Confucio che si trova all’Università di Karachi. Questo attacco terroristico è stato rivendicato da un gruppo separatista e terrorista noto come Baloch Liberation Army. Un attacco sporadico? Al contrario. Infatti questo drammatico incidente non è altro che uno degli svariati attacchi contro i lavoratori cinesi da parte di questo gruppo di separatisti.

Non dobbiamo dimenticare che il Belucistan condivide un onere sproporzionato dei progetti Cpec, fornendo il 62% della terra, compresa la costa di Gwadar, ma riceve i minori benefici dall’impresa. Dei progetti da 62 miliardi di dollari, il Belucistan ottiene solo il 4,5% del budget. Al contrario, il confine orientale del Paese, relativamente sviluppato, le province del Sindh e del Punjab, ottengono le autostrade e i progetti più redditizi attraverso il Cpec.

Cosa ha a che fare tutto ciò con i separatisti? L’esistenza di una iniqua distribuzione dei benefici non sta facendo altro che alimentare disordini sociali proprio tra la popolazione del Belucistan. Questo infatti ha posto in essere una vera e propria campagna di protesta contro le politiche di sfruttamento da parte del  governo federale. Accuse infondate? Per nulla. Sui 21 miliardi di dollari di “progetti energetici prioritari”, c’è solo un progetto in Khyber Pakhtunkhwa del valore di 1,8 miliardi di dollari e due in Belucistan (del valore di 1,3 miliardi di dollari). I partiti politici del Belucistan e del Khyber-Pakhtunkhwa affermano che mentre le loro risorse vengono utilizzate, i benefici maturati vanno principalmente alle altre due province.

Nel 2018 l’Assemblea del Belucistan ha approvato una risoluzione in cui esortava il governo federale a costituire una commissione nazionale per definire “l’ingiusta distribuzione di progetti e fondi nell’ambito del Cpec”. Tuttavia questo non è servito a cambiare le  scelte del  governo federale. Ma esistono altri problemi: quando la Cina ha affittato il porto di Gwadar a una società statale cinese per 40 anni, aveva promesso che questa città portuale sarebbe diventata un’altra Singapore, cioè una Singapore del Pakistan, ma in realtà la popolazione del Belucistan accusa i cinesi di scarsità di cibo, di acqua, elettricità e questo ha indotto migliaia di persone a organizzare proteste. Ma queste proteste sono anche legate alla presenza di pescherecci illegali cinesi nelle acque vicine, che vengono visti dalle popolazioni come una minaccia per la sussistenza locale.

I problemi non sono certamente finiti: noi sappiamo che gli investimenti cinesi sono secretati e che le operazioni finanziarie cinesi sono nella maggior parte dei casi opache, escludendo di fatto i funzionari  provinciali del Belucistan dal processo decisionale. Cosa hanno fatto le autorità federali per risolvere queste problematiche? Hanno attuato una dura repressione non facendo altro che esasperare l’etnia baloch del Belucistan. A questo riguardo non sorprendono le denunce fatte da Amnesty International sul fatto che il governo federale pachistano abbia non solo represso i legittimi dissensi sociali, ma abbia addirittura attuato sparizioni forzate nei confronti di studenti, attivisti e giornalisti e più in generale difensori dei diritti umani.

Insomma  i gruppi ribelli beluci vedono il Cpec come un’impresa imperialista, vogliono cacciare gli investitori cinesi e proprio per questo i gruppi terroristici stanno aumentando gli attacchi ai lavoratori cinesi per spingerli a lasciare il Belucistan.

Queste problematiche non sono localizzate solo in Pakistan. Lo dimostra ad esempio il progetto Chico River Pump Irrigation Project (Crpip) della Bri, che si trova nella provincia di Kalinga nelle Filippine e presenta gli stessi problemi.

Un altro caso è l’Indonesia Morowali Industrial Park (Imip) che ha sfruttato le divisioni etniche tra la forza lavoro indonesiana. Insomma la Bri ha esacerbato le divisioni etniche esistenti nei Paesi ospitanti, grazie alla preferenza della Cina a trattare esclusivamente con coloro che detengono posizioni di potere. Quando si prende in considerazione la Bri bisogna  allora considerare attentamente l’impatto che questo progetto ha sull’aspetto etnico e in generale sulla società civile.

https://www.ilsussidiario.net/news/scenari-terrorismo-in-pakistan-un-imprevisto-per-la-via-della-seta-di-pechino/2352287/?fbclid=IwAR0bwYzgIWHnglzmQx4mJNGmUUcIUx4iLGjsfBaJcZspHpLutwYJYvsg0ww

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo_di Ekaterina Zolotova

Oggi presentiamo due articoli, rispettivamente di oneworld.press nel testo precedente e di geopoliticalfutures, qui sotto, incentrati praticamente sulla stessa area geografica. Uno spazio strategico a suo tempo pienamente integrato nella ex Unione Sovietica ed ora rimasto sotto la sfera di influenza russa, non più però in maniera univoca. Il Kazakistan fa parte di questa area in una posizione privilegiata; è un immenso paese, poco popolato, strategicamente importante come crocevia nelle comunicazioni, come detentore di importanti materie prime, come punto di incontro delle dinamiche geopolitiche della Russia, della Cina, dell’area turcomanna, quindi della Turchia. Dispone di una classe dirigente in grado di districarsi con una certa autonomia all’interno di queste dinamiche. Koribko parla di una “grande strategia” della Russia tesa alla creazione di un ordine internazionale genuino basato sul rispetto della Carta dell’ONU. La realtà è invece più modesta e circoscritta, tesa a recuperare almeno in parte il sistema di relazioni vigente ai tempi dell’URSS. Le novità sono piuttosto altre: è un progetto che si interseca con altri a carattere sia economico che politico-militare in una sorta di cerchi concentrici ed intersecantisi; gli attori protagonisti sono almeno tre (Russia, Turchia e Cina) con il quarto (Stati Uniti) appena defilato; si può parlare di sistema di relazioni ancora relativamente instabili, tipiche di una fase multipolare ancora in divenire; le dinamiche geoeconomiche assumono un ruolo peculiare e ancora relativamente autonomo rispetto a quelle geopolitiche. Il testo di Geopolitical Futures mantiene certamente un tono più prudente e attendista. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

Il Kazakistan mantiene le sue opzioni aperte, ma non troppo

Mosca non è poi così preoccupata per un fondamentale riorientamento politico rispetto al suo vicino.

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L’invasione russa dell’Ucraina ha mostrato al mondo fino a che punto Mosca si sarebbe spinta per proteggere i suoi interessi. E mentre la guerra infuria, molti si chiedono se altri punti importanti lungo la periferia della Russia, tra cui Georgia, Bielorussia o il Caucaso meridionale, potrebbero essere i prossimi. Forse nessun luogo è più preoccupante dell’Asia centrale, che separa la Russia dalla Cina e dall’Iran e la isola dall’instabilità proveniente dall’Afghanistan. Questi paesi sono inondati di risorse naturali che la Russia può sfruttare, si trovano lungo importanti rotte commerciali verso il Medio Oriente e l’Europa e sono una fonte affidabile di lavoro per i posti di lavoro russi.

Il Kazakistan è il paese più importante dell’Asia centrale. Vanta l’economia più sviluppata e più grande della regione, già strettamente integrata con quella russa attraverso la Comunità degli Stati Indipendenti e l’Unione Economica Eurasiatica. Ha un unico spazio doganale con la Russia, è membro dell’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva e in generale dipende più dalla Russia come partner commerciale e di investimento rispetto ad altri paesi. Il Kazakistan condivide il confine terrestre più lungo con la Russia e ospita quindi un’ampia minoranza di etnia russa, che costituisce quasi il 20% della popolazione.

Per questi motivi, il Kazakistan è stato storicamente considerato un partner russo affidabile. Ma ultimamente non è stato così. Il governo di Nur-Sultan si è espresso nella migliore delle ipotesi in modo ambiguo su questioni su cui il Cremlino si aspettava una sorta di sostegno se non addirittura unità. Ad esempio, il Kazakistan ha dichiarato la sua neutralità sulla guerra in Ucraina e ha consentito proteste a sostegno dell’Ucraina. Ha iniziato a considerare la rotta di trasporto transcaspica, che aggira la Russia, per le merci dalla Cina all’Europa. Funzionari del governo stanno tenendo colloqui economici con i rappresentanti occidentali e stanno dialogando con le forze statunitensi che promettono protezione dalle sanzioni anti-russe (anche se il Kazakistan ha affermato che non aiuterebbe Mosca a bypassare quelle stesse sanzioni per paura di scontrarsi con loro).

Ciò solleva una domanda importante: questa è solo un’assicurazione a breve termine o il Kazakistan si sta allontanando dalla Russia?

Mezzo pivot

In particolare, il perno dalla Russia è iniziato molto prima dell’invasione dell’Ucraina. Il Kazakistan ha privilegiato la neutralità e una politica estera multiforme sin da quando ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica, anche se, come tutti gli ex satelliti sovietici, aveva legami economici, politici e culturali esistenti che non poteva permettersi di tagliare. Ma negli ultimi decenni, il Kazakistan ha compiuto progressi significativi nella ricostruzione della sua economia, nell’accelerazione della crescita del prodotto interno lordo e nella diversificazione dei legami commerciali ed economici con partner in tutto il mondo, anche aderendo a organizzazioni come l’Organizzazione mondiale del commercio. Si sta anche allontanando dalla cultura politica del suo fondatore: Nursultan Nazarbayev, che fino a poco tempo fa era l’unico presidente che il paese avesse mai avuto, era in gran parte un prodotto del sistema sovietico ed esercitava il controllo dall’alto dello stato – in un certo senso che promuove l’indipendenza e sottolinea l’identità nazionale.

L’economia del Kazakistan è ancora strettamente integrata con quella russa, ovviamente, quindi Mosca la vede ancora come un’entità instabile e dipendente. Ma pochi altri condividono questo punto di vista. La maggior parte dei paesi vede il Kazakistan come un attore indipendente e partecipante al commercio internazionale, un paese in via di sviluppo dinamico con notevoli risorse naturali che tuttavia rimane nella sfera di influenza della Russia. Ma con l’economia russa allo sbando, i paesi ora vedono il Kazakistan come qualcosa che potrebbe essere strappato dalle grinfie della Russia.

I migliori partner commerciali del Kazakistan | 2021
(clicca per ingrandire)

Le sanzioni russe aiutano anche il Kazakistan in questo senso. La pandemia di COVID-19 ha contratto l’economia kazaka, che è alla ricerca di modi per mantenere la stabilità, favorire la crescita economica e limitare la sua esposizione alla Russia. A tal fine, le società kazake che in precedenza spedivano merci in Europa attraverso la Russia stanno cercando corridoi alternativi come la suddetta rotta commerciale transcaspica. E l’attenzione al Kazakistan prestata da altri paesi , in particolare quelli occidentali abbastanza ricchi da aiutare il Kazakistan a diversificare, sta mettendo pressione anche sulla Russia.

Opzioni di pesatura

Se è vero che l’invasione russa dell’Ucraina ha reso il Kazakistan particolarmente nervoso, data la sua numerosa popolazione russa e i rischi punitivi degli scambi commerciali con la Russia, ci sono molte ragioni per cui Nur-Sultan vuole tenere Mosca vicina, almeno a breve termine .

Per quanto riguarda la sicurezza, ha ancora bisogno di buoni legami con il suo vicino molto più forte. Nonostante il relativo successo economico, il Kazakistan è stato a lungo un paese politicamente instabile. I disordini di gennaio , ad esempio, sono stati tenuti a bada in gran parte grazie alla CSTO filorussa. Inoltre, condivide un confine con paesi molto più instabili la cui volatilità potrebbe diffondersi in Kazakistan e condivide un enorme confine con la Russia. A differenza dell’Ucraina, la NATO non ha una presenza reale nelle vicinanze e sarebbe più difficile sostenere il Kazakistan e reagire ai problemi lì.

Opinioni kazake sul conflitto ucraino
(clicca per ingrandire)

Economicamente, il Kazakistan è molto più dipendente dal commercio e dagli investimenti russi di quanto non lo sia l’Ucraina e fa affidamento su di esso per beni come il grano a buon mercato. Questo grazie alla sua vicinanza geografica e alla sua appartenenza all’Unione economica eurasiatica, dalla quale non ha fretta di andarsene. E sebbene il Kazakistan stia cercando di ridurre la sua dipendenza dal commercio russo, non è particolarmente interessato ad andare all-in con un paese come la Cina che potrebbe essere il suo principale acquirente di materie prime e potrebbe quindi dettare i prezzi. I paesi più lontani sono semplicemente una scommessa più sicura.

Tuttavia, la geografia e la distanza sono in alcuni casi ostacoli da superare, esacerbati dall’incapacità del Kazakistan di gestire i processi di trasporto. Qui è dove la Russia ha il vantaggio. Non solo la Russia confina con il Kazakistan, ma l’EAEU è la via principale per l’esportazione di merci kazake, in particolare petrolio, attraverso ferrovie e oleodotti in territorio russo che collegano il Kazakistan con il Mar Nero e l’Unione Europea. La diversificazione non è solo una questione di denaro; il conflitto tra Armenia e Azerbaigian e il fatto che Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan utilizzino tutti i propri standard, rendono difficile lo svolgimento del commercio in Asia centrale.

Demograficamente, i russi etnici in Kazakistan di solito non si considerano kazaki. E con più russi che fuggono dalla Russia, è probabile che le enclavi di espatriati russi crescano. In effetti, gli ex satelliti sovietici sono considerati buoni posti in cui vivere per molti russi a causa delle loro somiglianze linguistiche e culturali, con il Kazakistan che sta diventando una delle destinazioni più popolari per coloro che lavorano con aziende straniere. I russi portano con sé competenze e servizi e, cosa importante, la domanda di beni e servizi locali kazaki.

Dal punto di vista di Mosca, il recente comportamento del Kazakistan non è la minaccia dell’Ucraina semplicemente perché la diversificazione economica non significa necessariamente che si stia avvicinando all’Occidente. Tutti gli incontri nel mondo non cambiano il fatto che le opportunità di finanziamento e di investimento da USA e UE sono limitate; ci sono altri candidati redditizi, e nessuno dei due è troppo desideroso di ripristinare le infrastrutture di trasporto in un luogo in cui la Russia è ancora attiva e influente. Invece, il Kazakistan è ansioso di stabilire legami più stretti con Cina, Turchia e Iran e di espandersi ulteriormente nel mercato asiatico, il che potrebbe effettivamente avvantaggiare Mosca se il Kazakistan fosse un hub di transito neutrale con buone relazioni con la maggior parte delle potenze mondiali. Anche così, la Russia comprende che ha bisogno di mantenere l’economia kazaka in fermento in modo che non abbia un governo instabile al suo confine.

I funzionari in Kazakistan stanno valutando le loro opzioni, ma alla fine si rendono conto che non possono rimproverare del tutto la Russia. Il suo comportamento recente è semplicemente una tattica a breve termine intesa a mantenere l’economia sul punto. Il Kazakistan continuerà a cercare di essere amico di chiunque potrà, per quanto con cautela.

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L’Europa sta precipitando nel medioevo, di Alexey Osinsky

L’Europa sta precipitando nel medioevo
12 APRILE 2022

L'Europa sta precipitando nel medioevo

Poiché in Europa non ci sono quasi risorse naturali significative, in termini di volumi, cadrà molto al di sotto del XIX secolo, cioè nel Medioevo, quando praticamente non c’erano industrie su scala industriale. L’Europa non sfuggirà ad altri problemi connessi: le guerre eterne dei paesi europei tra di loro.

L’entità delle sanzioni anti-russe adottate dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti colpisce non solo l’economia della Russia stessa, ma anche il mercato globale, compresi gli autori dell’idea stessa. Prima dell’inizio della globalizzazione economica, era ancora possibile tentare di isolare alcuni paesi. Ma anche questo esperimento non avrebbe portato gli iniziatori delle sanzioni ai risultati sperati, per non parlare del fatto che l’isolamento è impossibile in linea di principio, se parliamo della Russia.

Il presidente degli Stati Uniti Biden ha affermato che l’economia russa sarebbe stata riportata al “XIX secolo”. Allo stesso tempo, il capo della Casa Bianca ha dimenticato di menzionare in quale secolo di storia mondiale l’Unione Europea apparirà automaticamente come principale partner e alleato di Washington. La risposta a questa domanda è semplice. Poiché in Europa non ci sono quasi risorse naturali significative, in termini di volumi, cadrà molto al di sotto del XIX secolo, cioè nel Medioevo, quando praticamente non c’erano industrie su scala industriale. L’Europa non sfuggirà ad altri problemi connessi: le guerre eterne dei paesi europei tra di loro.

L’indebolimento della stabilità europea avviato dall’Occidente è senza precedenti. Il pacchetto di sanzioni anti-russe comprende molti settori dell’economia, a cominciare dalle materie prime e dal settore bancario per finire con la logistica, le catene di trasporto che si sono formate per decenni tra la Federazione Russa e l’UE, dall’Unione Sovietica. Una delle aree è la fornitura di petrolio e gas russo all’Europa. L’Europa è stata costretta a farlo ai tempi dell’URSS e al culmine della Guerra Fredda, non per una bella vita, ma perché semplicemente non c’erano altre alternative. Allo stesso tempo, non si è mai parlato del fatto che la Mosca sovietica avrebbe “ricattato” qualcuno legandolo deliberatamente ai suoi gasdotti. L’Occidente stesso ha chiesto la posa di tali tubi,

Al momento, tutti questi paesi sono rimasti al loro posto, mentre la domanda energetica dell’Europa è aumentata molte volte. Ne consegue che l’Europa scende volontariamente nel periodo del Medioevo, quando al suo interno non c’erano particolari richieste di materie prime. In altre parole, l’Europa non sarà in grado di risolvere il compito di sostituire gli idrocarburi russi. Anche il gas stoccato negli impianti di stoccaggio europei non sarà una salvezza, poiché è completamente selezionato. Non si può nemmeno menzionare l’aumento dei prezzi del gas nell’UE, questo parametro è entrato in modalità disastro.

Per quanto riguarda l’argomento bancario, è importante ricordare che dal 2014 la Russia pratica il proprio analogo di SWIFT, si tratta di un sistema di trasmissione di messaggi finanziari (SPFS), che è abbastanza in grado di soddisfare le richieste di queste istituzioni.

Interessanti anche altri ambiti delle sanzioni anti-russe. Se l’Occidente è pronto a sottrarre ai partner russi una parte significativa della flotta aerea di aerei civili che sono stati noleggiati, in questo caso, la stessa Europa non avrà bisogno di questi aerei. Senza collegamenti aerei con la Russia, in condizioni di forte riduzione di voli, rotte, flussi di passeggeri e carburante per aerei, gli europei non avranno presto nessun posto e nessun motivo per volare. E all’interno della stessa Europa, tenendo presente il suo territorio relativamente piccolo, sarà del tutto possibile viaggiare in bicicletta, con un trasporto ecologico. Nel Medioevo non c’erano biciclette e aerei senza carburante e al minimo, e questa sarà l’unica differenza rispetto a circa 1400.

La stessa Federazione Russa subirà molto meno un duro colpo per l’industria aeronautica, poiché la piccola Europa, situata sul bordo occidentale, in linea di principio non limita l’ampio raggio di tutte le altre compagnie aeree. Soprattutto se si considera che i russi preferiscono rilassarsi vicino ai mari caldi, in cui l’Europa è relativamente povera. In una situazione del genere, la Russia rafforzerà automaticamente i legami con un certo numero di paesi in Asia, America Latina e Africa, il che più che bloccherà la direzione europea, che si suggellerà.

Secondo le leggi fondamentali dell’economia, le sanzioni imposte da Bruxelles nei confronti della Federazione Russa colpiranno la stessa Europa, che non potrà tornare al suo stato abituale, che le ha permesso di posizionarsi come uno dei centri del moderno, mondo high-tech non molto tempo fa. Per definizione, il mondo moderno ha assunto il massimo grado di partenariato e cooperazione, che gli ha permesso di far avanzare il sistema economico globale.

L’Europa, ovviamente, sarà in grado di cuocere separatamente il pane e fare il vino dall’uva, ma è improbabile che questo formato affronti le sfide del XXI secolo. Una tale tendenza parlerà della sua immersione nel passato ora per sempre. Soprattutto se ricordiamo che nel medioevo in Europa non c’era nemmeno acqua potabile pulita e fresca, il che provocava la necessità di bere vino regolarmente. Se gli europei considerano tale intossicazione, illusioni come la migliore via d’uscita dalla situazione, resta da augurare loro un interessante viaggio nella propria antichità.

Nello stesso periodo, in Russia appariranno sicuramente nuovi Sikorsky, Zworykin e Tchaikovsky, che attireranno nuovamente l’attenzione di tutto il mondo. Per quanto riguarda l’economia, negli ultimi otto anni, la Russia ha dimostrato che le restrizioni occidentali non hanno avuto molto effetto su di essa. Ciò significa che non verranno forniti in futuro. C’è solo una cosa che si può dire con certezza: i principali processi mondiali stanno affluendo rapidamente dai paesi occidentali all’Asia, anche con l’aiuto dell’Occidente stesso. Non sarà possibile invertire questo processo.

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Rahul Gandhi contro Subrahmanyam Jaishankar: uno scontro di visioni del mondo_di Andrew Korybko

Un subcontinente conteso ed indispensabile. La sua postura non è più quella di un oggetto del contendere, ma sempre più quella di un protagonista_Giuseppe Germinario
Rahul Gandhi contro Subrahmanyam Jaishankar: uno scontro di visioni del mondo
21 MAGGIO 2022

Rahul Gandhi contro Subrahmanyam Jaishankar: uno scontro di visioni del mondo

Lo scontro tra la visione del mondo unipolare liberal-globalista (ULG) di Gandhi e quella multipolare conservatrice-sovranista (MCS) di Jaishankar la dice lunga sulla posizione dell’India nella transizione sistemica globale.

Il leader dell’opposizione indiana Rahul Gandhi e il ministro degli Affari esteri Subrahmanyam Jaishankar stanno litigando pubblicamente tra loro in uno scambio che rappresenta uno scontro tra le loro visioni del mondo diametralmente opposte. Gandhi ha detto a un’udienza a Londra durante la conferenza Ideas for India che “Stavo parlando con alcuni burocrati dall’Europa e dicevano che il servizio estero indiano è completamente cambiato. Non ascoltano niente; sono arroganti. Ora, ci stanno solo dicendo quali ordini stanno ricevendo. Non c’è conversazione. Non puoi, non puoi farlo”.

Ciò ha spinto Jaishankar a ribattere su Twitter che “Sì, il servizio estero indiano è cambiato. Sì, seguono gli ordini del governo. Sì, contrastano le argomentazioni degli altri. No, non si chiama Arroganza. Si chiama Fiducia. E si chiama difendere l’interesse nazionale”. Gli osservatori interni si sono affrettati a schierarsi sulla base di prevedibili posizioni partigiane, con l’opposizione che ha sostenuto Gandhi mentre i filo-governativi hanno sostenuto Jaishankar. Ciò che nessuna delle due fazioni sembra rendersi conto, tuttavia, è che la loro faida è molto più importante di queste due figure.

Rappresenta uno scontro tra la visione del mondo unipolare liberal-globalista (ULG) di Gandhi e quella multipolare conservatrice-sovranista (MCS) di Jaishankar che la dice lunga sulla posizione dell’India nella transizione sistemica globale . La sua politica di neutralità di principio nei confronti dell’operazione militare speciale in corso della Russia in Ucraina ha preservato l’autonomia strategica di entrambi i paesi nell’attuale fase intermedia bipolare di questa transizione che si sta svolgendo attivamente e ha stabilito l’India come leader del Sud del mondo. L’Occidente guidato dagli Stati Uniti, tuttavia, è fortemente in disaccordo con questa posizione e ha esercitato pressioni aggressive sull’India affinché la invertisse.

Questo spiega perché quei burocrati europei si siano lamentati dei diplomatici indiani con Gandhi. Si aspettavano con arroganza di poter parlare con i rappresentanti di questa nascente Grande Potenza come se fossero ancora servitori che languivano sotto il Raj britannico. L’Occidente guidato dagli Stati Uniti non è abituato ai paesi del Sud del mondo che sfidano le sue richieste, che definisce erroneamente “arroganti” anche se sono sempre i loro stessi diplomatici a mostrare questo atteggiamento verso gli altri. Difendere con sicurezza gli interessi nazionali è qualcosa che non avrebbero mai pensato che l’India avrebbe fatto.

Ciò dimostra solo che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti non ha mai veramente capito l’India, esattamente come ha spiegato Meenakshi Ahamed nel suo articolo dettagliato per The Atlantic. Gli strateghi di questa civiltà formulano la politica basata sulla loro visione del mondo ULG che presume falsamente il loro “eccezionalismo” e la superiorità associata sugli altri. Nella loro mente, il sistema socio-politico dell’Occidente è il migliore che l’umanità abbia mai creato e deve quindi essere esportato in tutto il mondo, specialmente in quei paesi che attualmente gli stanno resistendo poiché questi strateghi si sono convinti di conoscere meglio ciò che è nei loro interessi.

L’India, tuttavia, ha formulato le sue politiche secondo la visione del mondo MCS del BJP al potere dal 2014 ai giorni nostri. Questa prospettiva riconosce la diversità dei sistemi socio-politici nel mondo e considera tutti uguali gli uni agli altri. Rispetta anche il diritto di ogni paese di autogovernarsi, comunque lo ritenga il migliore in termini di esperienze socio-culturali e storiche uniche. Sono ferocemente contrari all’ingerenza straniera negli affari interni di chiunque e insistono nel salvaguardare l’autonomia strategica e la sovranità nazionale a tutti i costi.

Dopo aver spiegato le differenze tra queste visioni del mondo, è chiaro perché Gandhi può essere descritto come un ULG mentre Jaishankar è ovviamente un MCS. Il primo menzionato simpatizza con i suoi omologhi europei che sono scioccati dalla difesa fiduciosa dell’India dei suoi interessi nazionali oggettivi e probabilmente avrebbero unilateralmente concesso loro se fosse stato il suo partito a formulare la politica estera. Il secondo, tuttavia, è direttamente responsabile della promulgazione della grande strategia spiccatamente MCS del Primo Ministro Modi e quindi non cederebbe mai agli interessi nazionali del suo stato di civiltà.

La Nuova Guerra Fredda all’interno della quale si sta svolgendo la transizione sistemica globale può quindi essere semplificata come una lotta tra queste visioni del mondo in competizione. L’Occidente guidato dagli Stati Uniti sta conducendo una guerra per procura alla Russia attraverso l’Ucraina e si prepara a replicare questo modello contro la Cina attraverso Taiwan, nel tentativo di ritardare la sua egemonia unipolare in declino di fronte ai processi multipolari irreversibili che sono attivamente in corso. L’India subisce una pressione senza precedenti da parte loro perché la sua politica di neutralità di principio sta accelerando la transizione sistemica globale alla multipolarità guidata da Russia e Cina.

Tutti i paesi ei partiti politici all’interno di quelli che praticano la democrazia elettorale (anche se è la loro stessa forma nazionale e non un copia e incolla del modello occidentale) possono essere descritti come ascrivibili a una di queste due visioni del mondo. Nel contesto indiano, il BJP formula una politica basata su quella dell’MCS mentre il Congresso si aggrappa alla visione del mondo dell’ULG. Gli elettori sembrano essersi resi conto di questo, come dimostra la frana del partito al governo durante le ultime elezioni nazionali. Questo rende ancora più curioso il fatto che Gandhi si rifiuti di accettare che il popolo indiano non voglia fare il secondo violino dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti.

L’unica spiegazione convincente è che è davvero un vero sostenitore della visione del mondo ULG, tanto da renderlo cieco dalla realtà che è ovvia per qualsiasi osservatore obiettivo in patria o all’estero. Gandhi sembra più a suo agio nel lamentarsi del suo paese con burocrati stranieri dall’altra parte dell’Eurasia piuttosto che riconoscere che la sua immaginata subordinazione dell’India all’Occidente in declino guidato dagli Stati Uniti è profondamente impopolare tra la sua stessa gente. Ciò continuerà a costare al Congresso alle urne, che praticamente non ha alcuna possibilità di tornare al potere su una piattaforma per trasformare l’India nel servitore a contratto dell’Occidente.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=2898

Korybko: corridoio transcaucasico, un polo geoeconomico indipendente all’interno dell’Eurasia

Le dinamiche geopolitiche stanno assumendo caratteristiche sempre più convulse e meno controllabili. Ad ogni azione, ad esempio le sanzioni americane ed occidentali contro la Russia, corrisponde una reazione non solo dell’oggetto delle azioni, ma anche degli spettatori sempre più partecipi del gioco, spesso riesumando vecchie ambizioni sopite nella fase bipolare. Il mondo è ancora troppo grande per realizzare il sogno per alcuni e l’incubo per i più di un dominio unipolare. Rimane per i primi la consolazione della ricerca di una nuova condizione bipolare in grado di consentire una spartizione concordata e di dirottare la competizione e il conflitto endemico nelle terre di nessuno che inevitabilmente resisteranno. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Korybko: corridoio transcaucasico, un polo geoeconomico indipendente all’interno dell’Eurasia

Teheran (Bazaar): il proposto polo geoeconomico del corridoio commerciale Georgia-Ucraina-Azerbaigian-Moldavia (GUAM) diventerà più importante in Eurasia nei prossimi anni, aggiungendo i paesi del Caucaso e quelli al di là di esso nell’Asia occidentale e nell’Asia centrale saranno incoraggiati ad espandere le loro relazioni commerciali con esso, il che contribuirà alla formazione di nuovi corridoi commerciali, ha detto Andrew Korybko a Bazaar in un’intervista esclusiva.

Dice anche che Molto più importante è il ruolo crescente della Polonia, l’economia più forte dell’Europa centrale, che mira ad espandere la sua influenza sulla regione attraverso la “Three Seas Initiative” (3SI) per l’integrazione dei paesi tra l’Adriatico, il Baltico, e Mar Nero.

Bazar: gli sviluppi geopolitici e geoeconomici nella regione del Caucaso hanno portato l’Iran a prestare particolare attenzione ai corridoi commerciali di transito. In effetti, Teheran ha cercato di offrire nuove iniziative, diverse rotte commerciali e nazionali nella regione. In che misura il corridoio Iran-Azerbaigian-Georgia-Mar Nero-Europa contribuisce ad aumentare la posizione dell’Iran nella regione?

La sua posizione geostrategica gli consente di fungere da fulcro per facilitare il commercio nord-sud ed est-ovest. Il primo è promosso attraverso il corridoio di trasporto nord-sud (NSTC) con se stesso, l’Azerbaigian, la Russia e l’India, mentre il secondo può essere avanzato attraverso la connettività transcaucasica con la regione del Mar Nero. Questi progetti sono complementari e migliorano collettivamente la posizione geoeconomica della Repubblica islamica in Eurasia.

Bazaar: Quali sono gli importanti vantaggi del lancio di questo corridoio che collega il Golfo Persico al Mar Nero per questi paesi, in particolare l’Iran?

Il commercio transcontinentale attraverso la Russia non è possibile a causa del regime di sanzioni senza precedenti e pianificato contro l’Occidente guidato dagli Stati Uniti, ma rimane importante garantire che il commercio tra l’Eurasia occidentale (Europa) e l’Eurasia orientale (Cina) continui. Il corridoio transcaucasico può fungere da scorciatoia tra questi due. Può anche diventare un polo geoeconomico indipendente all’interno dell’Eurasia per migliorare tutti i loro potenziali di sviluppo e connettersi con altri corridoi.

Bazaar: l’istituzione di questo corridoio aumenterà l’importanza di transito della Repubblica dell’Azerbaigian e della Georgia, nonché l’espansione delle relazioni commerciali dell’Iran con il Caucaso e l’Europa orientale. Cosa ne pensi di questo?

È un risultato reciprocamente vantaggioso, in cui si spera possano essere coinvolte anche l’Armenia e le società russe attive nel Caucaso meridionale. Tutti i paesi circostanti possono avvicinarsi combinando il loro potenziale geoeconomico e trasformando questa regione in una piattaforma per il coordinamento del commercio nord-sud ed est-ovest attraverso l’Eurasia. Ciò potrebbe aiutare a garantire stabilità e creare nuove possibilità di sviluppo nel tempo.

Bazaar: Quali effetti ha avuto la guerra ucraina nella regione del Mar Nero su Turchia e Russia in termini di energia, commercio, sicurezza e molti altri aspetti?

Nonostante abbia votato contro la Russia all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Turchia ha rifiutato di soddisfare le richieste degli Stati Uniti di sanzionarla. Ciò dimostra che i legami tra i due rimangono forti nonostante la loro rivalità transregionale in tutta l’Afro-Eurasia che i loro leader sono riusciti a regolare responsabilmente nel corso degli anni. I suoi interessi nazionali oggettivi sono serviti mantenendo la cooperazione economica strategica con la Russia e non diventando eccessivamente affidabili nei confronti dei suoi partner occidentali.

Bazar: nuovi ed emergenti collegamenti di trasporto tra il Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Caspio creeranno un’architettura di comunicazione diversa e nuova che offrirà opportunità a tutti i paesi lungo le rotte, incluso il corridoio di trasporto GUAM, che diventa parte integrante di questa nuova architettura. La componente più importante per l’attuazione del Corridoio GUAM è l’instaurazione della pace nelle due regioni del Mar Nero e del Caucaso meridionale, anche se queste due regioni hanno molte tensioni. Quanto è lontana l’attuazione di questo corridoio nel Mar Nero?

Il proposto corridoio commerciale Georgia-Ucraina-Azerbaigian-Moldavia (GUAM) è stato discusso a lungo ed è già in qualche modo in vigore, sebbene non sia un importante asse geoeconomico ed è per questo che non ha ricevuto molta attenzione. Molto più importante è il ruolo crescente della Polonia, l’economia più forte dell’Europa centrale, che mira ad espandere la sua influenza sulla regione attraverso la “Three Seas Initiative” (3SI) per l’integrazione dei paesi tra Adriatico, Mar Baltico e Mar Nero.

Ci sono già progetti di connettività in costruzione per aprire la strada a un nuovo corridoio nord-sud tra l’Artico scandinavo e il Mediterraneo greco attraverso questi paesi. Questo polo geoeconomico sempre più influente diventerà più importante in Eurasia nei prossimi anni. I paesi del Caucaso e quelli al di là dell’Asia occidentale e centrale saranno incoraggiati ad espandere le loro relazioni commerciali con esso, il che contribuirà alla formazione di nuovi corridoi commerciali.

Questo immenso non sapere, di Pierluigi Fagan

78° GIORNO DEL MONDO NUOVO. Chi frequenta questa pagina sa del mio allarme, sin dai primi giorni, per l’enormità che ad alcuni apparve subito come ombra del conflitto in primo piano. Si mostrava una enormità nell’ambizione del piano americano, una enormità di portata “epocale”. Questo dopo due anni di Covid, con maggioranza del partito di Biden alla Camera, ma pareggio al Senato, in un paese spaccato ormai da qualche anno. Ci si domandava quindi i prezzi di una strategia così ambiziosa, rispetto alle condizioni di contesto ed all’effettiva forza dell’Amministrazione.
Ieri ho controllato gli indici di borsa. Negli ultimi sei mesi, il capitale ha perso intorno al 15% tra Milano, Shanghai, Francoforte e poco meno Parigi. Intorno al 10% New York, Tokyo e Londra. Clamorosa la distruzione di capitale nei tecnologici: Nasdaq -30%. Le Monde dice che Standard&Poor 500 ha realizzato la peggiore performance di inizio anno dal ’32. L’inflazione negli Stati Uniti è all’8,5%, la più alta da quaranta anni, quindi FED dovrà alzare i tassi, quindi i titoli perderanno ancora. I tech hanno perso mille miliardi US$ nei tre giorni successivi il recente rialzo dei tassi del FED. Reuters/Ipsos dà Biden al 42% di approvazione ed al 50%, di disapprovazione. Sempre lo stesso tracking dà al 6% l’interesse degli americani per i temi del conflitto, il 29% preoccupati invece dall’economia. Ed a novembre si vota.
Di contorno, le strozzature nelle catene logistiche post Covid ma anche Covid in Cina, le idee di sostenere il re-shoring proprio dalla Cina (di cui anche il tonfo del Nasdaq) trovando paesi amici chissà dove a meno di non tornare dalla famiglia Marcos nelle Filippine. Tempi? Costi? In tutto questo continuano a prender impegni negli investimenti di conversione green o detta tale, mentre uno strano virus di americani stanchi di lavorare sottrae manodopera alla ripresa. Più la caterva di miliardi all’Ucraina e l’aumento della spesa militare.
Minacciano isolette del Pacifico, sdoganano Maduro, si impiastricciano in Medio Oriente, fanno brutta figura con l’idea di boicottare il G20 in Indonesia, dopo aver tentato golpe all’ONU rimediando dal poco al nulla. Più la tempesta alimentare e delle materie prime a livello globale i cui effetti ci delizieranno i prossimi mesi. Secondo il Wall Street Journal, nel primo trimestre i fondi pensione pubblici statunitensi hanno perso il 4,1% del loro valore e si prevede un suicidio di start up e vari tipi di contrazioni dei redditi.
Gli europei hanno mandato Mario l’Amerikano e dirgli che qui si hanno altri punti di vista. Gli europei sono sotto quadruplice minaccia: inflazione, energia, profughi e prossimi migranti afro-arabi in fuga dalla grande fame. Con un rischio maggiore ipotetico sull’allargamento del conflitto in cui verrebbero spazzati via dai missili ipersonici russi. In più, debbono aumentare la spesa militare, trovare la soluzione per assorbire l’Ucraina nel giro e metterci gran parte dei soldi che serviranno a ricostruire l’Ucraina, almeno 600 mld di US$ secondo i primi calcoli degli ucraini. La telefonata di ieri tra Macron e Xi è anche la preoccupazione per le mutazioni di quadro nelle relazioni commerciali che Washington vorrebbe imporre sul piano globale. Così gli americani per mostrare qualche vago segno di buona volontà sulla cui valutazione di serietà rimandiamo ai prossimi giorni, ieri hanno spedito l’ambasciatore a Mosca al Ministero degli Esteri russo a far due chiacchiere, su cosa vedremo.
Sul NYT si fanno sforzi per riconsiderare l’intera questione. In fondo si è finalmente ottenuto il riarmo europeo che porta doppi benefici di bilancio e di business essendo l’industria militare americana fornitore del mondo. La Svezia e la Finlandia entreranno probabilmente nella NATO e questo è strategico anche per il prossimo conflitto dell’Artico. La Russia al momento ha indubbiamente un profilo ammaccato quanto a grande potenza, gli ucraini avranno nuovi sistemi d’arma sempre più efficaci che porteranno al “conflitto congelato”, le sanzioni lavoreranno nei tempi medio-lunghi. Sembra la declinazione di un bilancio di cui ci si potrebbe anche accontentare, al momento. Dopo aver fatto uscire l’imbarazzante spiffero sul coinvolgimento USA nella sistematica eliminazione degli alti gradi militari russi, nell’incertezza di cosa è veramente capitato a Gerasimov, NYT sembra dare voce all’ala frenante delle élite di Washington dopo gli eccessi dei falchi.
Dopo poco meno di tre mesi di conflitto abbiamo capito alcune cose. Che sia una guerra civile pare evidente se si ascoltano i diversi corrispondenti al di qua ed al di là della linea d’ingaggio. Che ci sia stata una invasione illegittima altrettanto. Che l’attore di Kiev sia lo speaker di sceneggiatori occulti, palese. Che in Ucraina gli USA covassero uova da tempo, anche. Che gli europei se ne siano fregati come se la cosa non li riguardasse e non portasse conseguenze, altrettanto. La dichiarazione di Lloyd Austin e molto altro hanno fatto capire l’interesse strategico americano versione hardcore: regredire la Russia a minima potenza, dopo aver pubblicizzato il sogno inconfessabile addirittura del “regime change”, cosa che non si dovrebbe dire in mondovisione. E molti continuano a non citare la vera madre del conflitto evocata ieri da Lavrov: la fine del mondo unipolare in cui i russi si sarebbero presi la briga di far da levatrici a quello multipolare.
Nell’ultimo Limes, F. Luk’jnov, Consiglio per la politica estera e difesa russo, ha ridotto in essenza il nuovo regolamento del mondo auspicato da Mosca: pluralismo dei valori al posto dell’universalismo occidentale, equilibrio delle forze come base nei rapporti internazionali, ricorso alle armi quando le dialettiche egoiste non riescono a trovare un punto di mediazione accettabile.
In questi quasi tre mesi, chi ha tentato di mettere i fili in connessione, ipotizzando schemi di comprensione, è stato tacciato di “complessismo”, come fosse un insulto. Consiglieri molti che hanno dato vasta dimostrazione di quanto poco hanno capito di ciò che stava accadendo, ma pensavano invece di averlo ben chiaro, di prendersi una pausa di riflessione. Darsi una revisionata al sistema pensante non sarebbe male invece che costringere la propria percezione del mondo ad entrare a forza, stile Letto di Procuste, nelle nostre “infallibili categorie” che usiamo per comprendere gli eventi. Anzi, più che comprendere, giudicare, c’è una vasta ansia da giudizio anche se non si è capito bene cosa dover giudicare e si è solo in cerca di a chi dar la colpa, senza aver chiaro neanche di cosa. Lo spettacolo dei tanti che s’erano convinti che la struttura del mondo fosse economica, ora come fanciulli smarriti nell’inquietante mondo delle relazioni internazionali, delle strategie, della diplomazia che si sottrae alle luci della ribalta e va intuita, della geopolitica, dovrebbe suggerirci qualcosa? Gli eventi esondano, sarebbe saggio prenderne atto poiché non è uno spettacolo del mondo di cui siamo spettatori, ne va dei nostri futuri. Ed il futuro dovrebbe preoccuparci, cioè invitarci ad occuparcene prima che accada.
Ma se non capiamo cosa sta accadendo, il cambiamento del mondo accadrà comunque, ma senza di noi, vocianti e persi nel nostro immenso non sapere, non capire, quindi non sapere come agire.
E L’EUROPA?
Fotografia a più livelli della condizione europea. Macron, che ha ancora la presidenza europea fino a giugno, si è liberato del silenzio elettorale ed ha presentato diverse novità nel discorso di ieri sul futuro dell’Europa.
Poco tempo fa, segnalai l’uscita di Letta in favore di un allargamento delle convenzioni europee a paesi come la Georgia, l’Ucraina e la Moldova ed i balcanici occidentali, progetto già presentato da Michel poco tempo prima. Attualmente, l’adesione dell’Ucraina all’UE, superata la marmellata idealista buona per le conferenze stampa, dovrebbe fare i conti con procedure che semplicemente durano decenni. Altresì, pur essendoci la volontà espansiva di coinvolgere queste periferie per lo più orientali, non è affatto detto, anzi è certo il contrario, che questi candidati abbiamo semplicemente i requisiti minimi per equipararsi al plotone dei 27. Che fare? Ecco allora l’idea di associarli con uno statuto limitato, meno integrante in senso ampio e profondo, ma idoneo per condividere alcuni interessi.
Uno di questi interessi potrebbe anche essere il dotarsi di territori “friend-shoring”, per usare il nuovo concetto lanciato dalla ex presidente della FED ora Segretario al Tesoro, Janet Yellen. Il re-shoring è il reimportare produzioni ad attività economiche delocalizzate dove condizioni legali e costo del lavoro era più favorevole al tempo della globalizzazione ormai archiviata, per lo più Asia ed in specie Cina. Il nuovo ordine di Washington che vuole ri-bipolarizzare il mondo (democrazie vs autocrazie) chiama ora a separare queste catene del valore visto che gli amici di ieri diventano i nemici di oggi e soprattutto domani. I friend-shoring allora, sono paesi dove permane il vantaggio giuridico, fiscale e normativo (ad esempio le Filippine per gli USA dove stanno per eleggere il figlio di Marcos), ma che rimangono amici ovvero di area contigua il sistema occidentale. Quale miglior occasione allora di andare incontro alla volontà di associazione di queste periferie europee orientali associandole in sistema che dà qualche chiave ma non tutte quelle del mazzo? Tra l’altro, poiché sarebbe cosa da fare ex-novo, salterebbe i complicati processi di tipica burocrazia bruxellese.
Se questa volontà sembra chiara in direzione di quantità del sistema europeo, si nota un altro movimento che si pone il problema della qualità. S’è capito che l’UE è una costruzione tipica da periodo congiunturale scambiato per “fine della storia” quando s’era pensato definitivo ed eterno il dominio della filosofia del mercato come ordinatore. Qualche vincolo, qualche regola, il resto lo avrebbe fatto il mercato, questa è l’essenza del progetto unionista. S’è però scoperto col tempo che: a) la storia non era finita; b) c’erano masse migratorie ai bordi meridionali del sub-continente da trattare in qualche modo; c) il mercato di per sé non aveva affatto assorbito ed aiutato a superare i postumi della crisi del 2008-9, anzi li aveva resi endemici; d) arrivava una cosa sconosciuta come la “pandemia” a cui il sistema europeo semplicemente non ha risposto se non facendo pasticci contrattuali nell’acquisto dei vaccini e senza null’altro in termini di politica sanitaria; e) si sono firmati comuni impegni di grande onore in termini di politiche climatiche, ma poi nulla è conseguito come sempre accade quando una unione di principio economico deve trattare problemi di altra natura; f) infine, è poi arrivata addirittura la guerra imponendo logica geopolitica che non è quella economica.
La guerra ha posto molteplici domande come la consistenza militare europea, la sua stessa assurda disorganizzazione in termini di presunta “unione”, la condizione di totale subordinazione a gli USA, le varie asimmetrie di politica energetica (nonché la totale assurdità di egoismi nazionali tipo norvegesi ed olandesi sul price cap sulle materie prime fossili il cui prezzo è fuori logica e controllo e tra l’altro ben prima della guerra che sull’argomento c’entra poco o nulla), la varietà di interessi da una parte e repulsioni nei confronti della Russia dall’altra. Insomma, l’Unione ad una dimensione è un soggetto cieco, sordo, muto e sostanzialmente paralizzato quando la complessità del mondo pone domande non previste dal copione della misera filosofia del mercato. Che fare, anche qui?
Ecco allora che Draghi lancia l’idea di rivedere i trattati, trenta anni dopo Maastricht ci starebbe pure come logica. L’idea è quella di rivedere la regola dell’unanimità di voto. Si ricordi che Maastricht venne convenuto tra soli 12 paesi di cui uno, il Regno Unito, s’è poi dissociato. Con la logica “più siamo più ci divertiamo” tipica di chi vuole fare commerci ed affari, da 12 siamo passati a 28, poi 27 anche sotto dettato americano che voleva si riassorbissero gli ex Patto di Varsavia (e conseguente allargamento NATO). Così ieri Marcon, liberato dalla sospensione elettorale, ha fatto sentire la sua voce: dobbiamo snellire i processi decisionali rompendo il vincolo di unanimità in favore di quello di maggioranza. Maggioranza semplice o qualificata? Con obbligo di sottomettersi da parte dei perdenti e come semplice ratifica di chi ci sta e chi non ci sta a fare x o y, secondo logica di equilibri e maggioranze variabili per progetti ad hoc? Che ne vien fuori e cosa ne facciamo allora del concetto di “unione” che diventerebbe spazio comune di possibilità per diverse unioni? Non si sa ancora, ovvio, se ne discuterà.
In chiusura, segnalo che sempre Macron ha espresso una più chiara volontà o forse solo una convinta speranza, di portare la faccenda ucraina ad una chiusura a breve. Da più parti in Europa si comincia a manifestare una opinione di élite (qui da noi De Benedetti, Delrio, lo stesso Letta sembra essersi tolto l’elmetto, oggi Nelli Feroci) sul fatto che gli interessi europei ed americani non coincidono del tutto, soprattutto sui tempi. Chissà se va in questa direzione il discorso dimesso, contenuto ed altrettanto diplomatico di Putin alla parata del 9 maggio in cui gli anglosassoni avevano ardentemente sperato di sentirgli pronunciare la dichiarazione di guerra. Putin ha continuato invece a circoscrivere il conflitto. Oggi Draghi va da Biden e chissà se tra un sorrisone ed una pacca sulla spalla, non porterà avanti la linea sicuramente concordata con Macron e forse Scholz per cui prima o poi si dovrà pur far la pace. “Onorevole per tutti” ha specificato Macron il quale, come notato ieri da Caracciolo, pare faccia lunghe telefonate quotidiane con Putin alla ricerca di una exit strategy.
A questo punto, abbiamo scandinavi ed europei dell’est allineati agli USA che vorrebbero chiudere la partita bellica il più tardi possibile (e non a caso Svezia, Finlandia, Danimarca, i tre baltici, Polonia, Cechia, Romania, Bulgaria, Croazia e Slovenia, Malta, si sono già dichiarate fortemente contrarie anche all’ipotesi di cambio dei trattati e delle regole di voto), ed europei dell’ovest che vorrebbero chiudere la partita ucraina il prima possibile, come forse Putin stesso. Zelensky sa che le armi per raggiungere le migliori posizioni negoziali vengono dagli USA ed UK, ma sa anche che i soldi per la ricostruzione (su cui insiste molto, di recente) e la stessa apertura al club UE dipendono dagli europei dell’ovest.
Da notare la profonda crisi ontologica tedesca. Perde il North Stream, armi sì armi no, sfiora l’incidente diplomatico con Kiev, divergenze di coalizione, reinventarsi un futuro visto che la nazione disarmata dedita alla globalizzazione non è più sostenibile (e del business con la Cina che si fa?), per ruolo al fianco della Francia ma con tutta la sua rete storica di contatto dall’altra parte (scandinavi ed europei dell’est), impossibilitata a rinunciare al gas russo (dopo aver perso enormi porzioni di business), tonfo SPD alle recenti elezioni Schleswig-Holstein, Scholz pare abbia perso 12 punti di consenso da quando è stato eletto, i tedeschi stessi paiono tripartiti in fette simili tra chi pensa che rispetto alla crisi Ucraina va bene cosa è stato fatto, bisognava fare di più, bisognava fare di meno ed tener più conto degli interessi verso la Russia (sondaggio Ard), il futuro economico prima certezza assoluta e perno della religione tedesca è diventato improvvisamente nuvoloso.
Germania spaccata, Europa spaccata, Occidente divergente (e qualche segnale di perplessità anche negli USA che quanto a “spaccature” non è secondo a nessuno, con la soffiata del NYT probabilmente voluta), Zelensky ne approfitta per giocare su due tavoli ma stando attento a non perdere su entrambi e spaccato anche lui tra oltranzisti e trattativisti, Putin forse spera si rompa il monoblocco occidentale ma chissà in quali tempi, tutto molto aggrovigliato, ma anche dinamico.

Michael Brenner, “American dissent on Ukraine is dying in darkness”, ovvero “tempi da canaglia”_a cura di Roberto Buffagni e Alessandro Visalli

Nell’intervista a Brenner emerge con chiarezza lo stupore, lo sconforto, la preoccupazione e lo sbalordimento della vecchia generazione dei Cold Warriors di fronte a questa nuova specie umana che si è impadronita del timone. È un sentimento largamente diffuso in quella generazione, ricordo che in un colloquio organizzato dall’American Committee for US-Russia Accord, ne parlò con toni di accorata preoccupazione e stupore addirittura la figlia del presidente Eisenhower.

Tutte queste persone, tutti questi insiders che a vari livelli hanno foggiato la politica estera americana per decenni, tutti evocano il termine “follia” e i suoi immediati parenti, “irrazionalità”, “arroganza”, “cecità”, etc.

Insomma: per queste persone, esperte, navigate, interne ai meccanismi e alle ragioni dello Stato americano, al quale per tutta la vita sono state leali, gli Stati Uniti di oggi sono affetti da una grave e pericolosa malattia psichica.

E in effetti pare sia proprio così. La scelta strategica americana di affrontare insieme Russia e Cina costringendole a saldarsi, in un momento in cui l’impero USA è overextended e ha serissimi problemi interni, con un paese aspramente diviso e impoverito, polarizzato culturalmente e politicamente, un’infrastruttura in rovina, è una follia, un errore epocale al quale personalmente non trovo precedenti storici. Eppure, l’errore è stato compiuto. Forse è ancora reversibile (non con questa Amministrazione) ma è stato compiuto.

A spiegazione dei due dati che evoca Brenner, l’arroganza e la realtà parallela indotte dall’eccezionalismo americano, dalla intima persuasione di essere “the city on the hill”, il paese destinato a giudicare il mondo e redimerlo dal male, credo sia molto utile la lettura di Eric Voegelin in “The New Science of Politics” e in “Order and History”, dove parla degli gnosticismi politici moderni, ossia delle formazioni ideologico-politiche che cortocircuitano escatologia e tempo storico.

Per Voegelin, la malattia gnostica non è della psiche, ma dello spirito: non è “follia”, “psicopatologia”, ma “pneumopatologia”, ossia una malattia derivante da una scelta spirituale errata, da un rifiuto radicale e pregiudiziale della realtà del mondo, che poi contagia la psiche, e finisce per condurre chi ne sia affetto a un urto rovinoso con le strutture stesse del reale.

Il primo degli gnosticismi politici moderni individuato da Voegelin è appunto il puritanesimo inglese seicentesco, dal quale provengono i fondatori delle colonie americane. Gli altri – ai quali Voegelin, per ragioni di urgenza storica, rivolge maggiore attenzione – sono il comunismo e il nazionalsocialismo.

In un articolo di recente pubblicato su italiaeilmondo.com ho tracciato, con la massima sintesi, la genesi dell’impazzimento del liberalismo americano: https://italiaeilmondo.com/2022/03/28/realta-parallela-e-realta-della-guerra-ii-parte-di-roberto-buffagni/

Ma lasciamo la parola all’amico Alessandro Visalli e al suo ampio, ragionato resoconto dell’intervista al professor Brenner.

 

https://tempofertile.blogspot.com/2022/05/michael-brenner-american-dissent-on.html?fbclid=IwAR2v4xL1g-O6agTEXA6ExLuP-YiRc3351OVLpZbvEN2xk708tYOSknQz0SE

https://scheerpost.com/2022/04/15/michael-brenner-american-dissent-on-ukraine-is-dying-in-darkness/

 

Michael Brenner: il dissenso americano sull’Ucraina sta morendo nell’oscurità

Quando si è trattato del conflitto in Ucraina, il professor Michael J. Brenner ha fatto quello che ha fatto per tutta la vita: mettere in discussione la politica estera americana. Questa volta il contraccolpo è stato al vetriolo.
Professor Michael J. Brenner. [Foto per gentile concessione dell’ospite]

Poiché il bilancio delle vittime dell’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia continua ad aumentare, solo una manciata di occidentali ha messo in dubbio pubblicamente la NATO e il ruolo dell’Occidente nel conflitto. Queste voci stanno diventando sempre meno numerose mentre un’ondata di contraccolpi febbrili inghiotte qualsiasi dissenso sull’argomento. Una di queste voci appartiene al  professor Michael J. Brenner, accademico per tutta la vita, professore emerito di affari internazionali presso l’Università di Pittsburgh e membro del Center for Transatlantic Relations presso SAIS/Johns Hopkins, nonché ex direttore del programma di relazioni internazionali e studi globali presso l’Università del Texas. Le credenziali di Brenner includono anche aver lavorato presso il Foreign Service Institute, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse e aver scritto diversi libri sulla politica estera americana. Dal punto di vista privilegiato di decenni di esperienza e studi, l’intellettuale condivideva regolarmente i suoi pensieri su argomenti di interesse attraverso una mailing list inviata a migliaia di lettori, fino a quando la risposta alla sua analisi sull’Ucraina non gli fece chiedere perché si preoccupasse in primo luogo .

In un’e-mail con oggetto “Quittin’ Time”, Brenner ha recentemente dichiarato che, oltre ad aver già detto il suo pezzo sull’Ucraina, uno dei motivi principali che vede per rinunciare a esprimere le sue opinioni sull’argomento è che “è è evidente che la nostra società non è in grado di condurre un discorso onesto, logico e ragionevolmente informato su questioni di importanza. Invece, sperimentiamo fantasia, fabbricazione, fatuità e fulminazione”. Continua a denigrare i commenti allarmanti del presidente Joe Biden in Polonia quando ha quasi rivelato che gli Stati Uniti sono, e forse sono sempre stati, interessati a un cambio di regime russo.

In “Scheer Intelligence” di questa settimana, Brenner racconta al conduttore Robert Scheer come i recenti attacchi che ha ricevuto, molti di natura personale e ad hominem, sono stati tra i più al vetriolo che abbia mai sperimentato. I due discutono di quante narrazioni dei media tralasciano completamente che l’espansione verso est della NATO, tra le altre aggressioni occidentali contro la Russia, ha svolto un ruolo importante nell’alimentare l’attuale crisi umanitaria. La rappresentazione “da cartone animato” del presidente russo Vladimir Putin da parte dei media corporativi, aggiunge Brenner, non è solo fuorviante, ma pericolosa, data la crisi nucleare che ne è derivata. Ascolta la discussione completa tra Brenner e Scheer mentre continuano a dissentire nonostante vivano in un’America apparentemente sempre più ostile a qualsiasi opinione che si allontani dalla linea ufficiale.

Crediti

Presentatore: Robert Scheer

Produttore: Joshua Scheer

Trascrizione: Lucy Berbeo

TRASCRIZIONE COMPLETA

RS: Ciao, sono Robert Scheer con un’altra edizione di Scheer Intelligence, dove l’intelligence viene dai miei ospiti. In questo caso si tratta di Michael Brenner, professore emerito di affari internazionali all’Università di Pittsburgh, ricercatore presso il Center for Transatlantic Relations del SAIS Johns Hopkins; ha scritto importanti studi, libri, articoli accademici; ha insegnato in ogni luogo, da Stanford ad Harvard, al MIT e tu.

Ma il motivo per cui volevo parlare con il professor Brenner è che è stato catturato nel mirino del tentativo di avere un dibattito su cosa sta succedendo in Ucraina, e la risposta della NATO, l’invasione russa e quello che hai. E nella mia mente leggevo, leggevo il suo blog; L’ho trovato molto interessante. E poi improvvisamente ha detto, mi sto arrendendo; non puoi avere una discussione intelligente. E la sua descrizione di quello che sta succedendo mi ha ricordato la famosa descrizione di Lillian Hellman del periodo McCarthy come “tempi da mascalzone”, che era il titolo del suo libro.

Allora, professor Brenner, ci dica in quale motoscafo si è imbattuto quando ha osato mettere in discussione, per quanto posso vedere, ha osato fare quello che ha fatto per tutta la sua vita accademica: ha sollevato dei seri interrogativi su una questione di politica estera. E poi, non so cosa, sei stato colpito in testa un sacco di volte. Quindi potresti descriverlo?

MB: Sì, è stato solo in parte una sorpresa. Ho scritto questi commenti e li ho distribuiti a un elenco personale di circa 5.000 per più di un decennio. Alcune di queste persone sono all’estero, la maggior parte negli Stati Uniti; sono tutte persone istruite che sono state coinvolte in un modo o nell’altro con gli affari internazionali, incluso un buon numero di persone che hanno avuto esperienza all’interno e intorno al governo, al giornalismo o al mondo dell’informazioni.

Quello che è successo in questa occasione è che avevo espresso opinioni molto scettiche su quella che ritengo sia la trama di fantasia e il resoconto di ciò che è accaduto in Ucraina, nell’ultimo anno e soprattutto riguardo all’acuta crisi che è sorta con il Invasione russa e attacco all’Ucraina. Non solo ho ricevuto un numero insolitamente elevato di risposte critiche, ma è stata la loro natura ad essere profondamente sgomenta.

Uno, molti, la maggior parte provenivano da persone che conoscevo, che conoscevo come menti equilibrate, sobrie, impegnate e ben informate sulle questioni di politica estera e sulle questioni internazionali in generale. In secondo luogo, erano altamente personalizzati e raramente ero stato oggetto di quel tipo di critica o attacco, specie di osservazioni ad hominem che mettevano in dubbio il mio patriottismo; se fossi stato pagato, sai, da Putin; le mie motivazioni, la mia sanità mentale, eccetera, eccetera.

Il terzo era l’estremità del contenuto di questi messaggi ostili. E l’ultima caratteristica, che mi ha davvero sbalordito, è stata che queste persone hanno accettato – gancio, lenza e zavorra – ogni aspetto del tipo di storia di fantasia che è stata propagata dall’amministrazione, accettata e inghiottita per intero dai media e dalla nostra politica. classe intellettuale, che comprende molti accademici e l’intera galassia dei think tank di Washington.

E questa è un’impressione rafforzata che andava crescendo da tempo, che questo non era solo—che essere un critico e uno scettico non significava solo impegnarsi in un dialogo [non chiaro], ma mettere le proprie opinioni e i propri pensieri e inviarli nel vuoto, in effetti. Un vuoto, perché il discorso così come si è cristallizzato non solo è uniforme in un certo senso, ma è per tanti aspetti insensato, privo di ogni tipo di logica interiore, che si condividano o meno le premesse e gli obiettivi formalmente dichiarati.

In effetti, questo era un nichilismo intellettuale e politico. E non si può dare alcun contributo per tentare di correggerlo semplicemente con mezzi convenzionali. Quindi ho sentito per la prima volta di non far parte di questo mondo, e ovviamente questo è anche un riflesso di tendenze e atteggiamenti che sono diventati piuttosto pervasivi nel paese in generale, un po’ nel tempo. E così, al di là della semplice sorta di disaccordo con ciò che è il consenso, ero diventato totalmente alienato [non chiaro] e ho deciso che non aveva senso continuare a distribuire queste cose, anche se continuo a seguire gli eventi, a pensarci e inviare alcuni commenti più brevi agli amici intimi. Questo è essenzialmente tutto, Robert.

RS: OK, ma lasciami solo dire, prima di tutto, voglio ringraziarti per quello che hai fatto. Perché mi ha portato a un modo completamente diverso di guardare a ciò che è successo all’Ucraina: la storia, che ci ricorda ciò che era accaduto nel decennio precedente, non solo l’espansione della NATO, ma l’intera questione del cambio di governo che gli Stati Uniti è stato coinvolto in precedenza. E l’insieme, sai, il rapporto dei due poteri.

E l’ironia qui è che in realtà siamo tornati ai momenti peggiori della Guerra Fredda, ma almeno durante la Guerra Fredda eravamo disposti a negoziare con persone che erano molto serie, almeno ideologiche, o nemiche, e avevano una certa coerenza a questo riguardo. E sai, Nixon ha avuto il suo dibattito in cucina con Krusciov, e noi avevamo il controllo degli armamenti con la vecchia Unione Sovietica; Lo stesso Nixon andò in Cina e negoziò con Mao Zedong; non c’era alcuna illusione che queste fossero persone meravigliose, ma erano persone con cui dovevi fare affari. Improvvisamente Putin è ora messo in una categoria hitleriana anche peggiore di Stalin o Mao, e non puoi parlare.

E voglio dissentire su una cosa che hai fatto: il tuo ritiro da questo. Hai solo circa 80 anni; sei un bambino rispetto a me Ma ricordo quando Bertrand Russell, uno dei grandi intellettuali che abbiamo avuto nella nostra storia, o nella storia occidentale, osò criticare gli Stati Uniti sul Vietnam. Lui e Jean Paul Sartre, e in realtà hanno sollevato la prospettiva che avessimo commesso crimini di guerra in Vietnam.

E il New York Times ha denunciato Bertrand Russell, e in realtà ha detto che sarebbe diventato senile. Sono andato fino in Galles mentre stavo redigendo la rivista Ramparts per intervistare Bertrand Russell, cosa che ho fatto, e ho trascorso dei bei momenti con lui. Certamente era fragile all’età di 94 anni, ma era incredibilmente coerente nella difesa della sua posizione; era stato un forte anticomunista per tutta la sua vita, e ora stava dicendo, aspetta un minuto, stiamo sbagliando questa guerra.

Quindi non accetterò che tu abbia il diritto di andare in pensione; Adesso ti spingo. Quindi, per favore, dì agli ascoltatori a cosa ti opponi nella narrativa attuale e su quali basi?

MB: Beh, voglio dire, sono i fondamentali. Uno, ha a che fare con la natura del regime russo, il carattere di Putin; quali sono gli obiettivi sovietici, la politica estera e le preoccupazioni per la sicurezza nazionale. Voglio dire, quello che stiamo ottenendo non è solo una caricatura di cartoni animati, ma un ritratto del paese e della sua leadership e, a proposito, Putin non è un dittatore. Non è onnipotente. Il governo sovietico è molto più complesso nei suoi processi decisionali.

RS: Beh, hai appena detto il governo sovietico. Intendi il governo russo.

MB: governo russo. [voci sovrapposte] Vedete, ho captato per osmosi questa fusione di russo e sovietico. Voglio dire, è molto più complesso [non chiaro]. Ed è, Putin stesso, un pensatore straordinariamente sofisticato. Ma le persone non si preoccupano di leggere ciò che scrive, o di ascoltare ciò che dice.

Non conosco, infatti, nessun leader nazionale che abbia esposto nei dettagli, nella precisione e nella raffinatezza la sua visione del mondo, il ruolo della Russia in esso, il carattere delle relazioni interstatali, con il candore e l’acutezza che possiede. Non si tratta di ritenere che quella rappresentazione che offre sia del tutto corretta, o la conclusione che ne trae, per quanto riguarda la politica. Ma si tratta di una persona e di un regime che per aspetti vitali è l’antitesi di quello caricaturale e quasi universalmente accettato, non solo nell’amministrazione Biden ma nella comunità di politica estera e nella classe politica, e in generale.

E questo solleva alcune domande davvero basilari su di noi, piuttosto che sulla Russia o su Putin. Come hai detto, la domanda era: di cosa abbiamo paura? Perché gli americani si sentono così minacciati, così ansiosi? Voglio dire, al contrario, nella Guerra Fredda, voglio dire, c’era un potente nemico, ideologico, militare in un certo senso, con tutte le qualifiche e le sfumature [non chiare]. Ma quella era la realtà allora; quella era una realtà che era, uno, il punto focale per i leader nazionali che erano persone serie e responsabili. In secondo luogo, ciò potrebbe essere utilizzato per giustificare azioni altamente dubbie, ma almeno potrebbe essere utilizzato per giustificare, come i nostri interventi in tutto il cosiddetto Terzo Mondo, e persino la grande e tragica follia del Vietnam.

Cosa c’è oggi che ci minaccia davvero? All’orizzonte, ovviamente, c’è la Cina, non la Russia; sebbene ora, grazie al nostro inconsapevole incoraggiamento, abbiano formato insieme un formidabile blocco. Ma voglio dire, anche la sfida cinese riguarda la nostra supremazia e la nostra egemonia, non direttamente il paese [non chiaro]. Quindi la seconda domanda è, cosa c’è di così avvincente nel mantenimento e nella difesa di una concezione della provvidenziale ammissione alla nascita degli Stati Uniti d’America nel mondo che ci obbliga a considerare persone come Putin come diaboliche e come una grave minaccia in America come Stalin e Hitler, i cui nomi affiorano costantemente, oltre a frasi ridicole come genocidio e così via.

Quindi voglio dire, ancora una volta, penso che dobbiamo guardarci allo specchio e dire, beh, abbiamo visto—[non chiara] la fonte della nostra inquietudine, ed è dentro di noi; non è là fuori e sta portando a grosse distorsioni del modo in cui vediamo, rappresentiamo e interpretiamo il mondo, su tutta la linea. Con ciò intendo geograficamente e in termini di sorta di arene e dimensioni differenti delle relazioni internazionali. E, naturalmente, continuare lungo questo corso può avere solo un punto finale, e questo è un disastro in una forma o nell’altra.

RS: Beh, sai, ci sono due punti che devono essere affrontati. Uno è che questo non è paragonabile ad andare in Afghanistan o in Vietnam o in Iraq o altrove. Stai affrontando l’altra enorme potenza nucleare. E abbiamo dimenticato in questo dibattito il rischio di una guerra nucleare, una guerra nucleare accidentale, una guerra nucleare pilota automatica, per non parlare dell’uso intenzionale di armi nucleari. C’è una vertigine in ciò che penso aggiunga un—sai, questa non è solo una cosa surrogata.

L’altro è che, sai, per cercare di capire e per vedere se c’è spazio per la trattativa – sì, ok, chiami il tuo avversario Hitler, dici che deve essere rimosso. Ma il fatto è che abbiamo negoziato con Mao. Nixon lo fece. E il mondo è stato un posto molto più sicuro e prospero perché Nixon è andato e ha visto Mao Zedong, che è stato descritto come il dittatore più sanguinario del suo tempo. La stessa cosa è successa con il controllo degli armamenti con la Russia e, tra l’altro, con la capacità di Ronald Reagan di parlare con Mikhail Gorbaciov, e addirittura di considerare di sbarazzarsi delle armi nucleari.

Ora abbiamo dimenticato: sai, parliamo di riscaldamento globale, abbiamo dimenticato cosa farebbero le armi nucleari. Mi capita di essere uno – sai, sono andato a Chernobyl un anno dopo il disastro; quella era una pianta pacifica e, mio ​​dio, la paura che prevaleva in Ucraina, e non potevo dire chi fossero i russi e chi gli ucraini, facevano ancora parte dello stesso paese.

Ma comunque, c’è una vertigine ora. E quello che mi ha sorpreso del tuo discorso d’addio, stavi parlando di persone intelligenti con cui tu ed io ci siamo incontrati alle conferenze sul controllo degli armamenti; abbiamo preso sul serio le loro argomentazioni. Questa non è solo una frangia di neoconservatori che sembrano essersi accampati ora nel Partito Democratico, mentre prima erano nel Partito Repubblicano, lo stesso tipo di falchi estremisti della Guerra Fredda. Stiamo parlando di persone, si sa, che hanno denunciato i loro ex colleghi anche nel movimento pacifista per aver osato mettere in discussione questa narrativa. Cosa sta succedendo?

MB: Beh, Robert, hai assolutamente ragione. E questa domanda è quella che dovrebbe preoccuparci. Perché taglia davvero in profondità, sai, l’America contemporanea. È ciò che è l’America contemporanea. E penso che gli strumenti intellettuali da utilizzare per cercare di interpretarlo debbano provenire dall’antropologia e dalla psicologia almeno quanto, se non di più, dalle scienze politiche o dalla sociologia o dall’economia. Credo davvero che stiamo parlando di psicopatologia collettiva. E, naturalmente, la psicopatologia collettiva è ciò che si ottiene in una società nichilista in cui tutti i tipi di punti di riferimento standard e convenzionali cessano di fungere da indicatori e punti guida su come si comportano gli individui.

E un’espressione di ciò è nella cancellazione della storia. Viviamo nell’esistenziale – penso che in questo caso la parola possa essere usata correttamente – momento, o settimana, o mese, o anno o altro. Quindi dimentichiamo totalmente, quasi totalmente la realtà delle armi nucleari. Voglio dire, come hai detto, e hai assolutamente ragione, in passato ogni leader nazionale e ogni governo nazionale che aveva la custodia di armi nucleari è giunto alla conclusione e ha assorbito la verità fondamentale che non svolgevano alcuna funzione utilitaristica. E che l’imperativo, l’imperativo, era evitare le situazioni non solo in cui sono stati utilizzati come parte di una strategia militare calcolata, ma per evitare situazioni in cui potrebbero svilupparsi circostanze in cui, come hai detto, li avrebbero usati a causa di incidenti, errori di valutazione , o qualcosa del genere.

Ora, non possiamo più presumerlo. Credo, stranamente, in un certo senso abbastanza stranamente, che le persone in posizioni ufficiali che devono rimanere più acutamente consapevoli di questo siano il Pentagono. Perché sono quelli che ne hanno la custodia diretta, e perché lo studiano e lo leggono nell’accademia di servizio come un’intera storia della Guerra Fredda, e la storia delle armi, eccetera.

Non sto suggerendo che Joe Biden abbia in qualche modo sublimato tutto questo. Ma sembra essere in uno stato, difficile da descrivere, in cui certamente [non chiaro] potrebbe permettere quel tipo di incontro con i russi che tutti i suoi predecessori evitavano. Che, a sua volta, è il tipo di incontro in cui è concepibile, e certamente non del tutto inconcepibile, in cui si potrebbe in qualche modo ricorrere alle armi nucleari in qualche modo non calcolabile.

E lo vedi, tra l’altro, in articoli pubblicati in posti come Foreign Affairs e altri giornali rispettabili, da intellettuali della difesa, se vuoi scusare l’espressione. Ogni volta che sento la parola “difesa intellettuale”, ovviamente la mia reazione è di correre e nascondermi, ma ci sono persone di qualche nota che scrivono e parlano in questo modo, e alcune di loro sono neoconservatori di rilievo, come Robert Kagan, Victoria Nuland, una specie di marito e complice, e altri del genere. E quindi, sì, questo è patologico, e quindi ci conduce davvero in un territorio in cui non credo siamo mai stati o sperimentati prima.

RS: Quindi andiamo alla base, quella che senti è la distorsione di questa situazione. Voglio dire, sapete, chiaramente l’azione della Russia nell’invasione dell’Ucraina dovrebbe essere condannata, almeno dal mio punto di vista; per questo mi considero un sostenitore della pace. E chiaramente, questo è quello che ha autorizzato i falchi a spingere per misure più estreme, e siamo in questa situazione spaventosa.

Ma accompagnaci attraverso questa storia, e cosa ci siamo persi? Perché, sai, se lo leggi ora, sul New York Times, sul Washington Post, ovunque, si tratta solo di portare ancora più materiale militare in Ucraina. Sembra che ci sia quasi un piacere nell’ampliare questa guerra, dimenticare i negoziati; non c’è una vera cautela qui. Come siamo arrivati ​​in questo posto? Il tempo sta per scadere, ma puoi darmi la narrativa, come la vedi, che manca ai media?

MB: Robert, cercherò di farlo in modo staccato. Uno, questa crisi, che ha portato all’invasione russa, ha poco a che fare con l’Ucraina di per sé. Certamente non per Washington; per Mosca è diversamente. Ha avuto a che fare con la Russia fin dall’inizio. L’obiettivo della politica estera americana da almeno un decennio è quello di rendere la Russia debole e incapace di affermarsi in alcun modo negli affari europei. Lo vogliamo emarginato, vogliamo sterilizzarlo, come potenza in Europa. E la capacità di Putin di ricostituire una Russia stabile, che avesse anche un proprio senso di interesse nazionale e una visione del mondo diversa dalla nostra, è stata profondamente frustrante per le élite politiche e le élite di politica estera di Washington.

Secondo, Putin e la Russia non sono interessati alla conquista o all’espansione. Tre, l’Ucraina è per loro preminente, non solo per ragioni storiche e culturali, eccetera, ma perché è legata all’espansione della NATO e all’evidente tentativo, come è diventato tangibile all’epoca del colpo di stato di Maidan [non chiaro], che essi desiderava trasformare l’Ucraina in una base avanzata per la NATO. E sullo sfondo della storia russa, questo è semplicemente intollerabile.

Penso che un punto da tenere a mente sia che – e questo si collega a quanto ho detto poco fa sul processo decisionale a Mosca – che se si dovessero collocare gli atteggiamenti e le opinioni dei leader russi su un continuum dal falco alla colomba, Putin è sempre stato bene verso la fine del continuum da colomba. In altre parole, la maggior parte delle forze più potenti a Mosca – e non sono solo i militari, non sono solo gli oligarchi, sono tutti i tipi – la locusta del sentimento è stata che la Russia viene sfruttata, sfruttata; che la cooperazione diventi parte di un sistema europeo in cui la Russia sia accettata come un attore legittimo è illusorio.

Quindi dobbiamo capirlo, e io… OK, in particolare siamo passati alla crisi attuale. Il Donbass, e questa non è solo di lingua russa, ma è una regione russa altamente concentrata dell’Ucraina orientale, che ha cercato di separarsi dopo il colpo di stato di Maidan e, a proposito, i russofoni nel paese nel suo insieme rappresentano il 40% della popolazione . Sai, i russi, a parte i matrimoni misti e la fusione culturale, i russi non sono una piccola minoranza marginale in Ucraina.

OK, passiamo velocemente ora al presente. Credo che ci siano prove crescenti e ora totalmente convincenti che quando il popolo Biden è entrato in carica, ha preso la decisione di creare una crisi sul Donbass per provocare una reazione militare russa e di usarla come base per consolidare l’Occidente, unificare il Ovest, in un programma il cui fulcro erano le massicce sanzioni economiche, con l’obiettivo di assaltare l’economia russa e, possibilmente e si spera, portare a una ribellione degli oligarchi che avrebbe rovesciato Putin.

Ora, nessuna persona che conosce veramente la Russia crede che sia mai stata plausibile. Ma questa era un’idea molto importante nei circoli di politica estera a Washington, e certamente nell’amministrazione Biden, e persone come Blinken, Sullivan e Nuland ci credono. E così hanno iniziato a rafforzare ulteriormente l’esercito ucraino, cosa che abbiamo fatto per otto anni: l’esercito ucraino, grazie ai nostri sforzi, armamenti, consiglieri di addestramento.

E a proposito, ora sta diventando evidente che potremmo, molto probabilmente, abbiamo fisicamente, in Ucraina ora, forze speciali americane, comprese le forze speciali britanniche e alcune forze speciali francesi. Non solo persone che si sono impegnate in missioni di addestramento, ma stanno effettivamente fornendo indicazioni, informazioni, ecc. Vedremo se questo verrà mai fuori. Ed è per questo [non chiaro] Macron, eccetera, sono così disperati nel portare fuori dalla città le brigate e altri elementi speciali intrappolati a Mariupol, che non stanno cedendo.

Quindi l’idea è stata creata da te e ora sta diventando evidente che in effetti era stato pianificato un assalto al Donbass. E che è stato a novembre che è stata presa la decisione finale di andare avanti, e l’ora fissata per febbraio. Ed è per questo che Joe Biden e altri membri dell’amministrazione potrebbero iniziare a dire, con piena fiducia, a gennaio che i russi avrebbero invaso l’Ucraina. Perché sapevano e si sono impegnati in un grande, importante attacco militare al Donbass, e sapevano che i russi avrebbero risposto. Non sapevano quanto sarebbe stata ampia una risposta, quanto sarebbe stata aggressiva, ma sapevano che ci sarebbe stata una risposta.

Tu e gli ascoltatori potreste ricordare che Biden ha detto a febbraio, la seconda settimana di febbraio, che quando arriverà l’invasione russa, se sarà piccola, andremo comunque avanti con le sanzioni, ma potremmo combattere all’interno della NATO sull’opportunità di andare intero maiale. Se è grande, non ci saranno problemi, tutti saranno d’accordo sull’uccisione del Nord Stream II e sull’adozione di questi passi senza precedenti contro la Banca centrale russa, ecc. E lo disse perché sapeva cosa era stato pianificato. E i russi sono giunti alla conclusione più o meno nello stesso periodo. Bene, hanno sicuramente capito qual era il piano di gioco generale.

E poi hanno chiarito che questo sarebbe successo presto, e il colpo finale è arrivato quando gli ucraini hanno iniziato massicci sbarramenti di artiglieria sulle città del Donbass. Ora, negli ultimi otto anni c’erano sempre stati degli scambi. Il 18 febbraio, c’è stato un aumento di 30 volte del numero di proiettili di artiglieria, cinque dagli ucraini nel Donbass, a cui le milizie del Donbass non hanno reagito in natura. Ha raggiunto il picco il 21 e ha continuato fino al 24. E questa a quanto pare era l’ultima conferma che l’assalto sarebbe arrivato presto, e ha costretto la mano di Putin a anticipare attivando piani che senza dubbio avrebbero dovuto invadere da tempo. Penso che sia diventato chiaro.

Ora, questo è ovviamente il diametralmente opposto della storia di fantasia che pervade tutto il discorso pubblico. E puoi dire “tutti” e contare solo sulle dita delle mani e dei piedi il numero dei dissenzienti, giusto, quello prevale. Ora, lasciamo aperta la questione se difendi le azioni di Putin. Io, come te, trovo molto difficile difendere, giustificare, qualsiasi azione militare importante che abbia le conseguenze che ciò comporta. Tranne in assoluta, sai, autodifesa.

Ma sai, ecco dove siamo. E se ci fosse stato l’assalto ucraino che era stato pianificato al Donbass, Putin e la Russia sarebbero stati in guai seri, se si fossero limitati a rifornire le milizie del Donbass. Perché dato il modo in cui avevamo armato e addestrato gli ucraini, non potevano davvero resistergli. Quindi quella sarebbe stata la fine della subordinazione [non chiara] della popolazione russa e la soppressione della lingua russa, tutti passi che il governo ucraino è andato avanti e ha nel lavoro.

RS: Sai, il fulcro di tutto questo è davvero la negazione del nazionalismo di chiunque altro. È stato un po’ il tema della postura degli Stati Uniti del secondo dopoguerra. Ci identifichiamo con i valori universali di libertà, giustizia, libertà e qualunque cosa facciamo, a volte si ammette che è stato un errore; Ho visto il film la scorsa notte Nebbia di guerra, con Robert McNamara, che era sconosciuto a tutti i miei studenti. Tuttavia, questo meraviglioso film che ha vinto l’Oscar, dove ammette i crimini di guerra e dice che tre milioni e mezzo di persone sono morte in una guerra che non puoi difendere. In realtà, il numero è molto più vicino a sei milioni o cinque milioni, forse da qualche parte lassù, ma più alto.

Ma che abbiamo negato il nazionalismo dei vietnamiti, e quando McNamara è andato ad Hanoi, i vietnamiti gli hanno detto, non sapevi che siamo nazionalisti? Che abbiamo combattuto per mille anni con i cinesi e tutti gli altri? Perché ci hai messo in questo? Hai negato i nostri sentimenti nazionali e ciò che Ho Chi Minh rappresentava.

E sai, ricordo di essere stato a Mosca a coprire, davvero, Gorbaciov per il LA Times; Io ero una delle persone che c’era laggiù. Ho anche dato alcuni documenti lì. E a quel tempo Gorbaciov, a molte persone con cui ho parlato, sembrava che fosse ingenuo riguardo alla volontà degli Stati Uniti di accettare una Russia indipendente. E Gorbaciov in realtà è diventato… ora, Reagan per un momento ha guardato Gorbaciov negli occhi e ha detto che possiamo fare affari, allo stesso modo, immagino, George W. Bush ha guardato Putin negli occhi. Ma questi falchi fuori dalla sala riunioni e tutto è sceso su di lui. E Gorbaciov divenne molto impopolare, molto impopolare.

E quindi c’è una sorta di presupposto, non-sai, personalmente non mi piace il nazionalismo e penso che sia una sorta di grande malizia e malvagità nel mondo. Tuttavia, non puoi affrontare il mondo se non capisci il nazionalismo. Quando Nixon è andato in Cina, ha effettivamente ammesso che Mao era un rappresentante del nazionalismo cinese e doveva essere ascoltato. La stessa cosa era vera nel controllo degli armamenti con la Russia. Ciò è perso ora e l’idea che potrebbero esserci aspirazioni e preoccupazioni russe è stata messa da parte.

L’ironia è che gli Stati Uniti ora sono: non so se sei d’accordo con questo, ma sarebbe una buona cosa da considerare per concludere questo. Gli Stati Uniti hanno realizzato qualcosa che l’ideologia comunista non è stata in grado di realizzare. Perché i comunisti cinesi ei comunisti russi erano in guerra anche prima che la rivoluzione comunista cinese avesse successo. Si definivano seguaci del leninismo marxista, ma in realtà la disputa sino-sovietica potrebbe essere fatta risalire addirittura agli anni ’20, e certamente riconoscono quando Mao andò a Mosca, e si riflette nelle memorie di Krusciov.

E così la disputa sino-sovietica divenne questa grande forza, questa opposizione, nonostante il leninismo marxista. Ora, hai ancora la Cina comunista che si unisce alla Russia anticomunista Putin, perché? A causa di una paura comune di un’egemonia statunitense. Non è davvero la grande storia qui che viene ignorata?

MB: Sì, Robert, hai assolutamente ragione in tutto quello che dici. Naturalmente il sistema mondiale viene trasformato dalla formazione di questo blocco sino-russo, che sta incorporando sempre più altri paesi. Sai, l’Iran ne fa già parte. E sai, noteremo che ci sono solo due paesi al di fuori del mondo occidentale – di cui parlo politicamente e socialmente, non geograficamente – che hanno sostenuto le sanzioni: Corea del Sud e Giappone. Tutta l’Asia, il sud-ovest asiatico, l’Africa e l’America Latina non li osserva, non li ha aderiti. Alcuni stanno esercitando l’autocontrollo e rallentando le consegne di alcune cose, per pura prudenza e paura di ritorsioni americane. Ma non abbiamo ricevuto alcun supporto da loro. Quindi, sì, la grossolana sottovalutazione di questo, Bob.

Ora, in quella che passa per grande strategia tra la comunità della politica estera americana, non solo il popolo Biden, hanno ancora una doppia speranza: la prima, che potrebbero creare un cuneo tra Russia e Cina, un’idea che nutrono solo perché non sanno nulla o hanno dimenticato tutto ciò che avrebbero potuto sapere su ciascuno di quei paesi. O, in secondo luogo, neutralizzare in effetti la Russia con ciò di cui abbiamo parlato: rompere l’economia russa, magari ottenere un cambio di regime, in modo che contribuissero in modo trascurabile, se non del tutto, all’alleanza con i cinesi. E ovviamente abbiamo fallito completamente, perché tutte quelle premesse sbagliate erano sbagliate.

E questa arroganza assolutamente senza precedenti, ovviamente, è tipicamente americana. Voglio dire, dal primo giorno abbiamo sempre avuto la fede di essere nati in una condizione di virtù originaria, e siamo nati con una sorta di missione provvidenziale per condurre il mondo a una condizione migliore e più illuminata. Che fossimo quindi la nazione eccezionale e singolare, e che ci dava la libertà e la libertà di giudicare tutti gli altri. Ora, questo è—e abbiamo fatto molte cose buone in parte a causa di quelle cose [non chiare] dubbie.

Ma ora è diventato così perverso. E come hai detto, incoraggia o giustifica gli Stati Uniti che li mettono a giudicare ciò che è legittimo e ciò che non lo è, quale governo è legittimo e cosa non lo è, quali politiche sono legittime e quali no. Quali interessi nazionali autodefiniti da altri governi possiamo accettare e quali non accetteremo. Naturalmente, questo è assurdo nella sua arroganza; allo stesso tempo sfida anche la logica [non chiara]: Nixon e Kissinger hanno davvero operato e sono stati in grado di mettere da parte o in qualche modo, sai, superare questa fede ideologica, filosofica e autocelebrativa nell’abilità e legittimità uniche americane, basata rigorosamente su motivi pratici.

E attualmente, però, non esercitiamo restrizioni basate né su una certa umiltà politico-ideologica, né su basi di realismo. Ed è per questo che dico che viviamo in un mondo di fantasia, una fantasia che soddisfa chiaramente alcuni bisogni psicologici vitali del paese americano, e specialmente delle sue élite politiche. Perché sono le persone che dovrebbero assumersi la responsabilità di custodia del benessere del Paese e della sua gente, e ciò richiede il mantenimento di una certa prospettiva e distanza su chi siamo, su ciò che possiamo e non possiamo fare, dalla verifica della realtà anche la più elementare e fondamentale delle premesse americane. E ora non facciamo niente di tutto questo.

E in questo senso, credo sia giusto dire che siamo stati traditi dalle nostre élite politiche, e uso quel termine, sai, in modo abbastanza ampio. La suscettibilità alla propaganda, la suscettibilità a consentire alla mentalità popolare di essere impostata nel modo in cui sta andando ora, nel cedere all’impulso isterico, significa che sì, c’è qualcosa di sbagliato nella società e nella cultura nel suo insieme. Ma anche dirlo spetta ai tuoi leader politici e alle élite proteggerti da ciò, proteggere la popolazione da ciò e proteggersi dal cadere preda di fantasie e irrazionalità simili, e invece vediamo esattamente l’opposto.

RS: Sai, un ultimo punto, e sei stato molto generoso con il tuo tempo. Ciò che viene veramente messo in discussione qui è una nozione di globalizzazione. Di un mondo basato sulla produttività economica, sul commercio, sul vantaggio di una regione o dell’altra per fornire cose diverse. E siamo tornati, non so cosa, al nazionalismo e ai confini prima della prima guerra mondiale e così via.

E ciò che fa veramente paura è il punto che hai fatto sulla Cina. Dopotutto, ironia della sorte, la Cina è stata additata come questa grande minaccia militare rivoluzionaria; lo sarebbero stati, il comunista era intrinsecamente espansionista, il modello sovietico aveva in qualche modo alzato le vele o era stato intimidito, ma i cinesi erano davvero radicali. Poi, in qualche modo, è stata fatta la pace con la Cina; si sono rivelati dei capitalisti migliori, ci hanno portato attraverso tutta questa pandemia; e poi perché sono una minaccia economica, e possono produrre cose e così via, ora sono il vero bersaglio, credo, delle persone che chiamavamo neoconservatori. Perché se ne parlavano quando erano repubblicani, prima che tornassero ad essere l’establishment democratico. La Cina era davvero il nemico.

E l’ironia qui è che la Cina, l’espansione cinese, non è più necessaria se hanno effettivamente un’alleanza e sono costretti a schemi commerciali con questo enorme settore immobiliare chiamato Russia che rimane, con tutta la sua sottopopolazione, risorse incredibili, non solo petrolio , che ovviamente manca alla Cina. Devi davvero chiederti se non stiamo parlando di un’America come una Roma in decadenza, di un’idea che in qualche modo puoi controllare tutto a tuo vantaggio e renderlo appetibile al mondo, e reggerà.

Perché questo è davvero ciò di cui stiamo parlando qui, è un’idea di equiparare l’egemonia degli Stati Uniti con l’illuminazione, la civiltà, la democrazia, la libertà e chiunque altro la sfidi – cosa che chiaramente la Cina sta facendo, e la Russia, certamente – che diventa il nemico di civiltà. Questo è il messaggio spaventoso qui. È una specie di impero romano impazzito.

MB: Hai perfettamente ragione, Robert. Ed è la Cina che guardiamo alle nostre spalle. E voglio dire, potresti discutere sotto diversi aspetti: se guardi alla storia cinese, non sono mai stati terribilmente interessati a conquistare altre società, né a governare popoli alieni. La loro espansione, tale che fosse, era a ovest ea nord, ed era un’estensione delle loro guerre millenarie con le tribù predoni dell’Asia centrale e che affrontavano quella costante minaccia. E sai, quei barbari dell’Asia centrale sono riusciti quattro volte a sfondare e a conferire loro un’autorità centrale in Asia.

Quindi non sono mai stati nel business della conquista. Due, sì, quindi è abbastanza facile e conveniente confondere le crescenti capacità militari della Cina con la sua abilità economica e il fatto che il suo intero sistema, sotto ogni aspetto, come lo si voglia chiamare – capitalismo di stato, sovrapposizione ideologica, qualunque cosa – e qualunque cosa si riveli, per cristallizzarsi, sarà diverso da quello che abbiamo visto prima. E questo è molto minaccioso. Perché mette in discussione la nostra autodefinizione come in effetti il ​​naturale punto culminante del progresso e dello sviluppo umano. E all’improvviso non lo siamo; e in secondo luogo, il ragazzo che ha intrapreso un’altra strada potrebbe benissimo essere in grado di sfidare il nostro dominio politicamente, in termini di filosofia sociale, economicamente e, secondariamente, militarmente.

E semplicemente c’è – sai, non censureremo – semplicemente non c’è posto nella concezione americana di ciò che è reale e naturale per gli Stati Uniti che non sono il numero uno. E penso che questo sia in definitiva ciò che guida questa ansia e paranoia sulla Cina, ed è per questo che non abbiamo preso seriamente in considerazione l’alternativa. Cioè, sviluppi un dialogo con i cinesi che durerà anni, che sarà continuo, in cui cerchi di elaborare i termini di una relazione, su un mondo che sarà diverso da quello in cui ci troviamo ora, ma soddisferà sicuramente i nostri interessi e le nostre preoccupazioni di base così come quelli della Cina. Concordare le regole della strada, ritagliarsi anche aree di convergenza. Sai, un dialogo di civiltà.

Questo è il genere di cose che Chas Freeman, uno dei più illustri diplomatici, interpretò da giovane Nixon quando andò a Pechino. E scrive e dice questo da quando è andato in pensione 10, 12 anni fa, e l’uomo è ostracizzato, evitato, non è invitato quasi da nessuna parte, nessuno gli chiede di scrivere un editoriale. Per quanto riguarda il New York Times, il Washington Post ei media mainstream, lui non esiste.

RS: A chi ti riferisci?

MB: Charles Freeman. E scrive ancora, e incredibilmente intelligente, acuto, sofisticato, voglio dire, di ordini di grandezza superiori ai tipi di pagliacci che stanno facendo la nostra politica cinese oggi. E di recente ha pubblicato un lungo saggio mozzafiato sulla natura e il carattere della diplomazia. Quindi è il tipo di persona che potrebbe, sai, essere coinvolta e aiutare a plasmare il tipo di dialogo di cui sto parlando. Ma queste persone sembrano non esistere. Quelli che hanno un potenziale del genere sono emarginati, giusto.

E invece abbiamo preso questo tipo di percorso semplicistico per dire che l’altro ragazzo è il nemico, è il cattivo, e lo affronteremo su tutta la linea. E penso che questo porterà, prima o poi, al confronto e alla crisi, probabilmente su Taiwan, che sarà l’equivalente della crisi dei missili cubani, e spero che sopravviviamo, perché perderemo un convenzionale guerra se scegliamo di difendere Taiwan. E tutti quelli che conoscono la Cina dicono che la leadership cinese sta osservando da vicino l’affare ucraino e pensando a se stessi, ah, forse la Russia ci ha dato un’idea di quale potrebbe essere la dinamica se andiamo avanti e invadiamo Taiwan.

RS: Sì. Bene, questa è ovviamente anche la posizione dei falchi: mostriamo loro che non possono, e lasciamoci coinvolgere da quello. Ma a parte questo, concluderemo questo. Voglio dire che è la tua voce, chiaramente chiunque la ascolti, spero che continui a bloggare e torni nella mischia, perché la tua voce è necessaria. Voglio ringraziare il professor Michael Brenner per averlo fatto. Voglio ringraziare Christopher Ho di KCRW e il resto dello staff per aver pubblicato questi podcast. Joshua Scheer, il nostro produttore esecutivo. Natasha Hakimi Zapata, che fa le presentazioni e la panoramica. Lucy Berbeo, che fa la trascrizione. E voglio ringraziare la Fondazione JKW e TM Scruggs, separatamente, per averci dato un supporto finanziario per poter continuare questo lavoro. Ci vediamo la prossima settimana con un’altra edizione di Scheer Intelligence.

 

 

 

 

Guerra ibrida ed eserciti in campo 1a parte_con Alessandro Visalli

Lo scontro militare in Ucraina sta sempre più assumendo le caratteristiche di un confronto a tutto campo tra Russia e Stati Uniti. Le apparenze dettate dalla propaganda e dall’enorme impegno del sistema mediatico narrano di una Russia isolata, impacciata nella sua autorevolezza e capacità di argomentazione, in stallo militarmente, completamente esposta alle sanzioni economiche e alla onnipotenza del sistema finanziario.L’Occidente in realtà rischia di rimanere vittima della propria propaganda. Nella realtà, gli spazi e le opportunità offerte da un mondo ormai multipolare offrono margini crescenti di azioni e di contromisure alle forze di fatto antagoniste sino a ritorcere e ad erodere l’efficacia degli strumenti più in voga del dominio statunitense; tra di essi quello finanziario. E’ una novità, ma non è una condizione inedita nella storia. Alessandro Visalli ci offre numerosi spunti in proposito. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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