Italia e il mondo

Asia Centrale: concorrenza per l’influenza economica e strategica, di Alberto Cossu

Asia Centrale: concorrenza per l’influenza economica e strategica

Autore: Alberto Cossu

L’Asia Centrale, un crocevia storico tra Oriente e Occidente, si trova al centro di un rinnovato e intenso gioco geopolitico. Le cinque nazioni della regione – Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan – affrontano sfide significative, tra cui una notevole vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Nonostante queste difficoltà, la regione è diventata un’arena di crescente interesse per le potenze mondiali, attratte in gran parte dalle sue vaste risorse minerarie essenziali per le tecnologie energetiche pulite e dalla sua posizione strategica. In questo contesto, mentre Russia e Cina godono attualmente di un predominio economico, l’interesse e l’impegno di altre potenze come l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone e la Turchia stanno intensificando la competizione per l’influenza regionale.

Il predominio economico di Russia e Cina

La presenza economica di Russia e Cina in Asia Centrale è radicata e profonda, derivante da legami storici, geografici e strategici.

La crescente influenza economica della Cina

La Cina è emersa come il principale partner commerciale dell’Asia Centrale, con un’influenza che si estende attraverso la sua ambiziosa Belt and Road Initiative (BRI). Questa colossale iniziativa infrastrutturale, lanciata nel 2013, mira a rivitalizzare le antiche rotte commerciali della Via della Seta, collegando la Cina all’Europa attraverso l’Asia Centrale. La BRI ha portato investimenti massicci in infrastrutture di trasporto e connettività, con oltre 112 progetti finanziati in Asia Centrale. Ad esempio, il Kazakistan potrebbe beneficiare di miliardi di dollari in tasse di transito annuali grazie al passaggio di merci attraverso il suo territorio The Impact of China’s Belt and Road Initiative on Central Asia and the South Caucasus.

Gli investimenti cinesi si concentrano anche sull’estrazione di risorse naturali e sulla produzione, attratti dalle abbondanti riserve energetiche della regione. La Cina ha investito pesantemente in gasdotti come la pipeline Cina-Asia Centrale per importare gas naturale dalla regione, con il Turkmenistan che ha rappresentato circa il 70% delle importazioni di gas cinesi dall’Asia Centrale nel 2021. Inoltre, la Cina importa circa il 25% della produzione totale di petrolio del Kazakistan China’s BRI in Central Asia & Its Impact: An Appraisal of the 10 Years. – F1000Research. L’obiettivo di Pechino è promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso l’innovazione e la cooperazione nelle tecnologie energetiche, come dimostrato dalla firma dell’Alleanza Cina-Asia Centrale per l’Innovazione Energetica ed Elettrica. L’approccio cinese è spesso pragmatico e focalizzato sull’economia, evitando di legare gli aiuti a condizioni di governance o diritti umani, il che lo rende attraente per molti regimi della regione.

Il coinvolgimento energetico e storico della Russia

La Russia mantiene un’influenza di lunga data in Asia Centrale, dovuta ai legami storici ereditati dall’era sovietica e alla sua continua presenza attraverso organizzazioni come la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Mosca rimane un attore cruciale nel gioco dell’influenza regionale, in particolare nel settore energetico. Dopo il calo della domanda europea a seguito dell’inizio della guerra in Ucraina, la Russia ha intensificato le esportazioni di gas verso il Kazakistan e l’Uzbekistan nel 2023. L’Uzbekistan, pur avendo una propria industria del gas, importa gas russo per soddisfare la crescente domanda interna, consentendo a Tashkent di continuare a esportare gas in Cina The Time Is Now For Kazakhstan to Achieve Energy Independence From Russia.

L’influenza russa si manifesta anche attraverso la partecipazione al settore minerario e nucleare, con Mosca che controlla una quota significativa della produzione di uranio del Kazakistan e si propone come fornitore di tecnologia nucleare Playing both sides: Central Asia between Russia and the West | Chatham House. Sebbene la Russia stia cercando nuove rotte di esportazione del gas, inclusa la possibilità di un gasdotto verso la Cina attraverso il Kazakistan, ha incontrato ostacoli significativi, con la Cina che ha respinto l’idea a causa della capacità limitata e dei costi elevati China spikes Gazprom gas export plan in Central Asia – Eurasianet. Questo evidenzia la complessità delle dinamiche tra le due potenze dominanti.

La competizione in crescita da parte di altre potenze

Nonostante il vantaggio economico di Russia e Cina, un’ampia gamma di potenze sta dedicando maggiore attenzione all’Asia Centrale. Questa crescente attenzione è motivata dalla necessità di diversificare le catene di approvvigionamento, accedere a minerali critici e promuovere i propri valori e interessi strategici. La volontà delle leadership centroasiatiche di coinvolgere un ventaglio più ampio di attori è evidente nell’ottica di politica multivettoriale.

L’Impegno dell’uEropa e l’iniziativa Global Gateway

L’interesse dell’Europa per l’Asia Centrale si è intensificato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, spinta dalla necessità di diversificare le catene di approvvigionamento globali, in particolare per le transizioni verde e digitale. L’Unione Europea ha ospitato il suo primo vertice con l’Asia Centrale, durante il quale ha presentato la sua agenda incentrata su quattro aree chiave del programma Global Gateway. Questa iniziativa, con un’erogazione di circa 300 miliardi di euro a livello globale fino al 2027, mira a investire in energia sostenibile, materie prime essenziali, connettività digitale e trasporti  Global Gateway: Commissioner Síkela reinforces EU-Central Asia partnership to boost prosperity – European Commission.

Nell’ambito del Global Gateway, l’UE ha promosso la trasformazione digitale del Kirghizistan e il rafforzamento economico del Turkmenistan, sostenendone l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un impegno chiave è la promozione di una Rotta Internazionale di Trasporto Transcaspica (Corridoio Centrale) via terra e via mare, che attraversa l’Asia Centrale, il Mar Caspio, il Caucaso meridionale e la Turchia. L’UE ha destinato 10 miliardi di euro (10,8 miliardi di dollari) per rafforzare questo corridoio, mirando a renderlo un’alternativa vitale alla tradizionale Rotta Settentrionale che attraversa la Russia  EU Aims To Elevate Ties With Central Asia At Landmark Samarkand Summit. Il pacchetto di investimenti dell’UE per l’Asia Centrale ammonta a 13,2 miliardi di dollari, con priorità su connettività, clima, energia e acqua EU Launches US$13.2 Billion Package for Central Asia at Historic Samarkand Summit.

L’approccio degli Stati Uniti

L’engagement degli Stati Uniti con l’Asia Centrale è in fase di ricalibrazione, con un crescente focus sulla sovranità, l’investimento e l’interconnettività regionale. Tradizionalmente, la politica statunitense si è concentrata sulla promozione della democrazia, ma vi è un riconoscimento crescente della necessità di un approccio più pragmatico che dia priorità a partenariati economici e di sicurezza. La regione è vista come strategica per la competizione geopolitica e l’accesso a risorse critiche come uranio, terre rare e litio  Special Report: An American Strategy for Greater Central Asia.

Gli Stati Uniti mirano a creare un ambiente stabile e a garantire l’accesso aperto nella Grande Asia Centrale, favorendo gli investimenti americani attraverso partnership tecnologiche e lo sviluppo delle risorse. Sono state proposte iniziative per creare un Consiglio Commerciale USA-Grande Asia Centrale non governativo per assistere nell’integrazione economica regionale e stabilire un Quadro di Sicurezza Regionale incentrato sulla condivisione di intelligence e la cooperazione antiterrorismo. L’incontro storico tra i presidenti dell’Asia Centrale e il Presidente degli Stati Uniti nel settembre 2023, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha segnato un passo importante nell’intensificazione del dialogo  Special Report: An American Strategy for Greater Central Asia.

Il dialogo “Asia Centrale più Giappone”

Il Giappone ha un’influenza positiva di lunga data nella regione, essendo stato un importante donatore di aiuti per gran parte del periodo successivo alla Guerra Fredda. Tokyo sta rafforzando i suoi legami attraverso il dialogo “Asia Centrale Più Giappone”, un quadro per promuovere la cooperazione tra il Giappone e i cinque paesi dell’Asia Centrale.

Questo dialogo include riunioni a livello di ministri degli Esteri e “Tokyo Dialogue” con la partecipazione di esperti e professionisti  “Central Asia plus Japan” Dialogue.

Il Giappone si concentra su temi come la connettività, in particolare per le nazioni senza sbocco sul mare dell’Asia Centrale, e promuove lo sviluppo sostenibile e la stabilità. Attraverso questo dialogo, il Giappone cerca di rafforzare la cooperazione in vari settori, inclusi gli aspetti tecnici e la condivisione di conoscenze sulle applicazioni digitali. L’approccio giapponese è spesso percepito come meno “aggressivo” rispetto a quello di altre potenze, concentrandosi sulla partnership e lo sviluppo a lungo termine  Twelfth Tokyo Dialogue of “Central Asia plus Japan” Dialogue on “Connectivity with Central Asia and the Caucasus”. | Ministry of Foreign Affairs of Japan.

L’ambizione della Turchia e l’Organizzazione degli Stati Turcici

Anche la Turchia è una potenza in lizza per una posizione più influente in Asia Centrale, condividendo una tradizione culturale e linguistica comune con la regione. L’Organizzazione degli Stati Turcici, che include Turchia, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan, serve come piattaforma per rafforzare i legami e la cooperazione.

Una delle iniziative più recenti della Turchia nella regione è un nuovo accordo sul gas naturale che prevede che il Turkmenistan spedisca gas naturale attraverso l’Iran verso la Turchia. Le forniture di gas sono iniziate il 1° marzo 2025. Questo accordo strategico, pur con volumi iniziali relativamente piccoli, segna un passo importante per la Turchia nella diversificazione delle sue fonti di approvvigionamento energetico e per il Turkmenistan nell’espansione dei suoi mercati di esportazione Turkey Secures a New Gas Agreement with Turkmenistan – energynews.

La Turchia mira a rafforzare la sua posizione come hub energetico regionale, e questo accordo si allinea con le sue ambizioni geopolitiche più ampie all’interno dell’Organizzazione degli Stati Turcici, fungendo da contrappeso al dominio russo e cinese nel panorama energetico dell’Asia Centrale  Strategic Cooperation Between Turkey and Turkmenistan Gains Momentum.

Conclusione

In sintesi, mentre Russia e Cina detengono un chiara posizione di vantaggio nell’Asia Centrale, la competizione per l’influenza nella regione è destinata a intensificarsi. Le nazioni dell’Asia Centrale, con le loro vaste riserve di minerali critici e la loro posizione strategica, sono sempre più consapevoli dell’importanza di coinvolgere una gamma diversificata di potenze. L’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone e la Turchia stanno raddoppiando i loro sforzi diplomatici ed economici, portando avanti agende che spaziano dalla promozione della democrazia all’integrazione economica regionale, dallo sviluppo delle infrastrutture energetiche alla diversificazione delle rotte commerciali. Questo “nuovo grande gioco” non solo rimodellerà il panorama geopolitico dell’Asia Centrale, ma avrà anche implicazioni significative per le catene di approvvigionamento globali e la transizione energetica mondiale. La volontà delle nazioni centroasiatiche di mantenere una politica estera multipolare suggerisce che la regione rimarrà un epicentro di complesse dinamiche di potere per gli anni a venire. In questo contesto è importante la presenza dell’Italia che ha programmato un viaggio del Presidente del consiglio in Asia Centrale, ma rinviato, finalizzato ad accrescere il ruolo del nostro paese che già sperimenta una formula diplomatica innovativa di coordinamento denominata C5+1.  

Perché l’espansione della NATO ha alimentato il conflitto con la Russia, di Post-Liberal Dispatch

Perché l’espansione della NATO ha alimentato il conflitto con la Russia

Scopri la realpolitik dietro la crescita della NATO, la reazione russa e gli errori strategici che hanno rimodellato l’equilibrio di potere in Europa (e innescato la guerra).

27 maggio
 LEGGI NELL’APP 
Panoramic digital painting of a symbolic military standoff between NATO and Russia. On the left, a NATO soldier stands resolute with the NATO flag billowing behind him, facing a Russian soldier on the right, set against the Russian flag. Between them, a ravaged city burns in an inferno, its skyline consumed by fire and smoke. The visual embodies geopolitical tension, evoking the escalation of conflict linked to NATO’s eastward expansion.

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Sintesi

  • L’espansione della NATO dopo la Guerra Fredda fu una scommessa strategica (non una vittoria morale) presa senza fare i conti con la logica duratura della politica di equilibrio di potere.
  • La risposta della Russia all’avanzata della NATO verso est non è stata aberrante, bensì prevedibile: una classica reazione delle grandi potenze alla riduzione delle zone cuscinetto e all’erosione della loro influenza.
  • Gesti superficiali di inclusione mascheravano un’esclusione più profonda: a Mosca non è mai stato offerto un posto di vero potere all’interno dell’architettura di sicurezza occidentale.
  • La tragedia geopolitica dell’Ucraina non risiede nelle sue scelte ma nella sua geografia: è fatalmente stretta tra blocchi di sicurezza rivali con imperativi incompatibili.
  • I politici occidentali hanno scambiato il predominio temporaneo per ordine permanente, ignorando i vincoli geopolitici in favore dell’ambizione ideologica.
  • Il ritorno del conflitto in Europa sottolinea la verità fondamentale del realismo: la pace non si preserva con la virtù, ma con l’equilibrio, la moderazione e la chiarezza strategica.


La narrazione dell’espansione della NATO dopo la Guerra Fredda, spesso celebrata come un trionfo dei valori democratici liberali e il costante progresso di un ordine internazionale basato su regole, deve essere reinterpretata con un’analisi più acuta. Non fu il culmine naturale di un arco morale che si snodava verso la pace universale, ma una calcolata manovra strategica intrapresa nel mezzo di una profonda errata interpretazione della realtà sistemica. Non fu una storia di integrazione benevola ostacolata dall’intransigenza russa, né una progressione lineare verso un futuro cooperativo interrotta da una ricaduta autoritaria. Piuttosto, fu un momento in cui gli Stati Uniti, in quanto egemone incontrastato dell’ordine post-Guerra Fredda, scambiarono una fugace finestra di vantaggio unipolare per un riallineamento permanente della politica mondiale. Confusero opportunità con inevitabilità e, così facendo, confusero le proprie preferenze ideologiche con necessità strategiche. Il risultato non fu un superamento della politica di potenza, ma la sua mutazione e il suo ritorno in forme più volatili. L’espansione della NATO non fu un fallimento morale; Si è trattato di un’azione strategica intrapresa senza la dovuta considerazione del fondamentale principio realista dell’equilibrio, che governa il comportamento in un sistema internazionale anarchico. Aggirando questa logica, l’espansione ha gettato le basi per lo stesso scontro geopolitico che intendeva prevenire.

Nel quadro del realismo politico, il potere non è un bene discrezionale, ma la moneta di scambio essenziale per la sopravvivenza. Il sistema internazionale è definito dall’assenza di un’autorità centrale in grado di far rispettare le regole in modo imparziale: anarchia in senso strutturale. Questa condizione obbliga tutti gli Stati, indipendentemente dal tipo di regime, a dare priorità all’interesse nazionale, all’integrità territoriale e alla sicurezza rispetto all’allineamento ideologico. Gli Stati devono considerare gli altri non attraverso la lente dei valori condivisi, ma come potenziali minacce alla propria autonomia. In queste condizioni, la sicurezza non può essere data; deve essere assicurata, spesso a spese di attori rivali. L’avanzata della NATO nell’Europa centrale e orientale, vista da questa prospettiva, non è stata un atto benigno di allargamento dell’alleanza, ma un riposizionamento strategico che ha ristrutturato il panorama della sicurezza europea in modi che hanno inevitabilmente minato la profondità strategica russa. Ogni nuovo Stato membro ha avvicinato progressivamente l’infrastruttura militare della NATO ai confini russi, riducendo la zona cuscinetto geografica su cui Mosca aveva storicamente fatto affidamento per la difesa e la deterrenza. Nella logica della competizione tra grandi potenze, la prossimità geografica alle capacità di proiezione di forza rivali non è una preoccupazione astratta; è una vulnerabilità tangibile.

Le interpretazioni internazionaliste liberali che puntano a gesti di inclusione, come il Partenariato per la Pace o i forum consultivi con la Russia, non riescono a cogliere gli imperativi strutturali della politica di potenza. Queste iniziative erano diplomaticamente simboliche ma strategicamente superficiali. Da una prospettiva realista, la partecipazione al dialogo senza una corrispondente influenza nelle strutture decisionali fondamentali non costituisce un’integrazione significativa. La Russia, come ogni grande potenza storicamente significativa, ha capito che la vera sicurezza e il vero status derivano non da gesti retorici, ma da un’influenza tangibile, in particolare da un posto al tavolo delle trattative e da un diritto di veto sulle decisioni che riguardano interessi vitali. L’idea che la Russia potesse essere integrata nella NATO era più un artificio retorico che un piano strategico serio, fondamentalmente in contrasto con la logica istituzionale dell’alleanza. La coesione della NATO dipende da un confine chiaramente definito tra i membri (a cui è garantita la difesa reciproca) e i non membri (a cui non è garantita). Incorporare un ex rivale delle dimensioni della Russia avrebbe eroso proprio questo confine e compromesso la coerenza operativa della NATO. Pertanto, escludere la Russia era funzionalmente inevitabile. Tuttavia, agire in questo modo senza fornire un ruolo strategico compensativo avrebbe garantito un’eventuale opposizione.

Map of Europe showing when various Nato members joined the organisation, with the 12 founder members in dark red, countries that joined between 1950 and 1996 in a lighter red, those joining from 1997 to 2022 in dark pink and Sweden and Finland which have joined since 2022 in pale pink. Ukraine is one of three countries in the process of applying to join shown in yellow. Russia and other non members are in white.


Attribuire l’assertività geopolitica della Russia esclusivamente alla sua traiettoria autoritaria interna significa confondere la forma politica di uno Stato con il suo comportamento strategico. L’autoritarismo può influenzare il modo in cui uno Stato conduce la sua politica estera (la sua tolleranza al rischio, la sua legittimazione interna dei conflitti esterni), ma non determina perché uno Stato cerchi di modificare il suo ambiente esterno. Questa logica è radicata nella geografia, nella distribuzione del potere e nella percezione della minaccia. La riaffermazione dell’influenza della Russia nei suoi confini vicini non è stata una deviazione dalle norme di comportamento internazionale; è stata un’espressione classica della politica delle grandi potenze in risposta alla percepita erosione dell’isolamento strategico. L’incapacità dei leader occidentali di prevedere tale risposta non è dovuta a informazioni errate, ma a una visione del mondo che aveva prematuramente relegato la politica di potenza al passato. Non si è trattato semplicemente di un errore di calcolo strategico, ma di un errore epistemologico: un presupposto che le norme avessero sostituito gli interessi e che la storia avesse ceduto il passo all’istituzionalismo liberale. L’illusione che ne derivava, secondo cui la Russia avrebbe accettato indefinitamente uno status marginale e marginale, ignorava la natura ciclica dell’ordine internazionale. Le grandi potenze spesso praticano la pazienza strategica, ma raramente la capitolazione strategica.

In questo contesto, l’Ucraina non era semplicemente una nazione sovrana che esercitava la propria volontà democratica; era uno Stato cardine geopolitico, il cui allineamento aveva profonde implicazioni per l’equilibrio di potere regionale. La sua tragedia risiedeva nei rigidi vincoli imposti dalla sua geografia, situata tra un Occidente militarmente dominante e un Oriente in ripresa. Per l’Ucraina, il perseguimento dell’integrazione occidentale non era una scelta astratta; era una rottura strutturale. Il passaggio all’allineamento con la NATO e l’UE ha messo in discussione la percezione di lunga data della Russia dell’Ucraina come zona cuscinetto essenziale per la propria sicurezza e influenza. Sebbene il diritto dell’Ucraina di determinare le proprie alleanze sia indiscutibile in senso giuridico, le conseguenze geopolitiche di questa scelta erano del tutto prevedibili. La Russia non poteva tollerare un’Ucraina allineata all’Occidente senza subire una grave diminuzione della sua influenza regionale e un crollo della sua profondità strategica. L’annessione militare della Crimea e la destabilizzazione dell’Ucraina orientale non erano anomalie. Erano risposte da manuale da parte di una grande potenza che cercava di riaffermare il controllo su uno spazio strategico chiave. Brutalità e illegalità a parte, il comportamento ha aderito alla logica della necessità geopolitica.

3D topographic map showing historical invasion routes into Russia from Europe, the Middle East, and Central Asia. Arrows illustrate three common military invasion paths: through Eastern Europe via Poland and the Baltic states, through the Caucasus Mountains from the Middle East (notably Iraq), and through Central Asia via Kazakhstan. Key geographical features such as the Ural Mountains, Tien Shan Mountains, Caspian Sea, Black Sea, and Carpathian Mountains are labeled, with a southern-facing orientation. Major countries like Russia, Ukraine, Iran, China, and Turkey are marked, along with capital cities like Moscow and St. Petersburg.

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Il dibattito in corso, teso ad attribuire responsabilità morali (sia all’eccesso di potere occidentale che all’aggressione russa), oscura più di quanto riveli. Riduce complesse interazioni strategiche a questioni di colpa e legittimità, anziché concentrarsi sui meccanismi attraverso cui i dilemmi di sicurezza si aggravano. Nel realismo, la causalità è intesa in termini di struttura e comportamento, non di categorie morali. La guerra in Ucraina non è stata causata dalla malevolenza di un singolo attore, ma dall’intersezione di architetture di sicurezza incompatibili: la logica espansionistica di un ordine liberale sostenuto dalla potenza americana e la contro-mobilitazione di una grande potenza determinata a non essere messa da parte in modo permanente. Chiarire questa dinamica non assolve nessuna delle parti; consente una comprensione più precisa di come agiscono gli Stati quando sono costretti a scegliere tra adattamento e irrilevanza.

La lezione più profonda non è che la NATO avrebbe dovuto astenersi del tutto dall’espansione, ma che avrebbe dovuto farlo in un quadro che tenesse conto della perdurante rilevanza delle dinamiche di equilibrio di potere. L’inclusione strategica, la condivisione del potere o persino una sfera d’influenza negoziata avrebbero potuto preservare la coesione occidentale, disinnescando al contempo l’insicurezza russa. Invece, l’espansione è proseguita come se la sconfitta dell’Unione Sovietica avesse estinto la logica geopolitica dell’Eurasia. Questa arroganza, che scambiava il predominio per stabilità, ha fatto sì che la vecchia logica tornasse con rinnovata forza. Un sistema che marginalizza le grandi potenze non porta alla pace; genera resistenza. È stato proprio questo rifiuto di conciliare l’espansione occidentale con la necessità di un accomodamento sistemico a rendere lo scontro non solo possibile, ma probabile.

Il paradosso è chiaro. Nel suo tentativo di andare oltre i vincoli della competizione geopolitica, l’ordine internazionale liberale ha ravvivato proprio gli antagonismi che cercava di trascendere. La sua strategia di integrazione universale non è riuscita a riconoscere che potere, interessi e geografia governano ancora i termini dell’ordine. E ora, di fronte non solo a una Russia in ripresa ma anche a una Cina in sistematica ascesa, l’Occidente deve fare i conti ancora una volta con la fondamentale intuizione realista: ogni proiezione di potenza genera contropotere; ogni espansione invita a una contro-coalizione. In un sistema anarchico, la sicurezza è posizionale, non assoluta. La difesa di uno Stato è sempre la vulnerabilità di un altro. Questo non è cinismo; è consapevolezza strutturale. Il realismo non consiglia la disperazione; insiste sulla lucidità. La pace non è il prodotto della buona volontà, ma della moderazione, dell’equilibrio e dell’attenta gestione della rivalità. E quando questi elementi vengono trascurati (quando il potere viene esteso senza accomodamenti) il conflitto non è una sorpresa; è la correzione naturale del sistema.

Il declino degli Stati Uniti è reale, ma un mondo multipolare non lo sostituirà, di Oliver Villar

Il declino degli Stati Uniti è reale, ma un mondo multipolare non lo sostituirà 

Siamo di fronte a un’epoca di “nuove anomalie”[1] in cui i principali problemi del nostro tempo, come la minaccia di guerra nucleare, il cambiamento climatico e le “fake news”, sono potenzialmente insolubili. Un “problema”, tuttavia, è anche parte della soluzione: Il declino degli Stati Uniti. È senza dubbio la domanda più urgente del nostro tempo, a prescindere dalla cornice di riferimento. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, come evolverà la situazione globale? Per anni si è discusso dell’ascesa dei Paesi BRICS, così come delle affermazioni sulla rinascita americana sia politica che economica. Tuttavia, la situazione mondiale e il declino degli Stati Uniti sono in atto da tempo, almeno dalla fine della guerra del Vietnam, e negli ultimi anni questo processo si è accelerato.

Il presidente cinese Xi Jinping si è recato a Kazan, in Russia, il 22-24 ottobre 2024 per partecipare al 16° vertice BRICS-‘plus’, una conferenza annuale delle economie emergenti fondata da Brasile, Russia, India e Cina nel 2009. Il gruppo dei BRICS sta guadagnando influenza a livello globale e riflette uno spostamento dell’economia politica globale dagli Stati Uniti alla Repubblica Popolare Cinese (RPC), nonché una trasformazione dell’ordine internazionale “liberale” e del sistema complessivo dell’imperialismo del XXI secolo. Questo articolo analizza criticamente i cambiamenti sismici che hanno accelerato questo spostamento e questa trasformazione, tra cui l’ascesa politica della Cina attraverso le sue crescenti iniziative di “ruolo di pace”, i pericoli incombenti di guerra nucleare derivanti dal declino dell’America e le implicazioni per l’Australia. Questa discussione riveste particolare importanza per l’Australia sulla scia di una seconda presidenza Trump, poiché il “rischio” di una guerra estera con la Cina, unito al fatto che l’America sta perdendo influenza a livello globale, significa che la principale preoccupazione di Washington è sempre più la propria sopravvivenza egemonica.

Il club dei BRICS e la visione multipolare

L’anno scorso l’adesione ai BRICS si è allargata a Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti, e più recentemente a Indonesia e Nigeria. L’Arabia Saudita sta cercando di aderire – i suoi maggiori partner commerciali sono la Cina e l’India, e collabora strettamente con la Russia sulla politica petrolifera attraverso l’OPEC – così come il Venezuela e la Turchia, membro della NATO. L’elenco dei Paesi che vogliono aderire è cresciuto fino a circa trenta.

L’obiettivo dei vertici BRICS è quello di fornire alleanze economiche più strette in un “mondo multipolare” in trasformazione, al fine di promuovere la stabilità e la cooperazione, nonché di riformare le istituzioni internazionali come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale. Il vertice del 2024 ha finalizzato i dettagli per l’approvazione di un sistema di pagamento digitale BRICS progettato per le transazioni tra i Paesi BRICS, che offrirà un’alternativa alle reti finanziarie globali esistenti. Perché i Paesi BRICS desiderano “de-rischiarsi” dal sistema finanziario occidentale? In ultima analisi, perché il sistema finanziario occidentale è stato usato storicamente per isolarli e come arma, di recente rubando i beni della banca centrale russa e minacciando ulteriori sanzioni alla Russia, ripristinando la designazione di Cuba come “Stato sponsor del terrorismo” e imponendo dazi su chiunque (100 per cento per i Paesi BRICS, 25 per cento per Canada e Messico, 10 per cento per la Cina) non obbedisca a ogni comando di Washington. I paesi presi di mira, tra cui l’UE, hanno promesso misure di ritorsione in caso di applicazione di tali tariffe, mentre la Cina ha dichiarato che porterà il caso all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e risponderà con una tariffa del 10%. Trump teme che i Paesi BRICS sostituiscano il dollaro USA come valuta di riserva mondiale con qualcos’altro, ma, come Biden prima di lui, non riesce a cogliere la realtà della situazione mondiale.[2] Il declino degli Stati Uniti, come il crescente commercio in valute locali e i pagamenti transfrontalieri, riguarda la cooperazione politica ed economica tra i Paesi del Sud globale e non può essere fermato con una guerra commerciale. Trump suggerisce anche che la guerra economica fermerà il flusso di droghe illegali e di immigrati negli Stati Uniti, ma entrambi sono essenziali per l’economia statunitense, come si legge nel mio libro Cocaina, squadroni della morte e guerra al terrorismo (2011), di cui sono coautore insieme a Drew Cottle, e in Immanuel Ness Migration as Economic Imperialism: How International Labour Mobility Undermines Economic Development in Poor Countries (2023).

L’ascesa dei Paesi BRICS avviene in un momento in cui gli Stati Uniti sono sempre più frustrati dalla loro incapacità di esercitare una qualche influenza significativa sugli eventi globali (ad esempio, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e quello che gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani chiamano il genocidio di Israele a Gaza), il che ha accelerato questo spostamento del potere globale, mentre i Paesi BRICS stanno portando avanti iniziative di pace che hanno implicazioni globali. Ad esempio, a margine del vertice BRICS 2024, la Cina e l’India hanno preso l’iniziativa di firmare un accordo di confine sulla “linea di controllo effettiva” lungo il confine sino-indiano, ripristinando la normalità. La Cina ha mediato un importante accordo di pace tra l’Iran e l’Arabia Saudita (e lo Yemen) nel 2023 e ha in programma di ospitare a Pechino una conferenza di pace per porre fine alla guerra israelo-palestinese (sostenuta dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy); sostiene una soluzione a due Stati, un cessate il fuoco immediato e l’adesione della Palestina alle Nazioni Unite, tutte posizioni che sono strettamente allineate con il punto di vista delle nazioni arabe.

Gli analisti occidentali discutono su cosa debba fare l'”Occidente”, se dare priorità ai suoi interessi geopolitici imperialisti (concentrandosi su Cina, Ucraina o Israele) rispetto alla propria prosperità. I Paesi BRICS considerano la guerra d’Ucraina come parte di uno sforzo degli Stati Uniti per accerchiare la Russia attraverso la NATO, il cui ex segretario generale Jens Stoltenberg ha ammesso che è stata la spinta di Washington per l’allargamento della NATO la vera causa della guerra. Sia i BRICS che un crescente coro di Paesi ASEAN[3] (Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) che traggono grandi vantaggi dall’avere la Cina come principale partner economico, vedono le tensioni USA-Cina nel Mar Cinese Meridionale come parte di un accerchiamento della Cina da parte degli USA. Questi conflitti e dispute potrebbero essere affrontati con la diplomazia e i negoziati, ma l’Occidente sceglie il confronto militare.

Trump 2.0 è l’incarnazione del declino degli Stati Uniti e della loro vulnerabilità. La Cina non è solo l’unica superpotenza manifatturiera del mondo, ma anche una potenza politica in ascesa. Secondo l’Australian Strategic Policy Institute, che monitora i settori cinesi dell’alta tecnologia, la Cina è la prima superpotenza mondiale della scienza e della ricerca nei settori cruciali della difesa, dello spazio, della robotica, dell’energia, dell’ambiente, della biotecnologia, dell’intelligenza artificiale, dei materiali avanzati e della tecnologia quantistica.[4] Inoltre, l’attuale declino del petrodollaro statunitense e i tagli alle partecipazioni della Cina al debito pubblico americano stanno rinforzando il passaggio verso un “mondo multipolare”.

Violenza con una spada arrugginita

Il declino a spirale degli Stati Uniti è evidente sul campo di battaglia. Secondo il Comitato militare della NATO, la capacità dell’Occidente di produrre munizioni è al fondo del barile. L’intelligence della NATO riferisce invece che la Russia produce quasi il triplo di munizioni di artiglieria rispetto agli Stati Uniti e all’Europa. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’economia russa sta crescendo più velocemente di quella delle “economie avanzate”, nonostante le sanzioni occidentali. Secondo il Parlamento europeo, la guerra d’Ucraina è stata devastante non solo per l’Ucraina stessa, ma anche per l’UE e le economie mondiali. Per porre fine alla guerra d’Ucraina, gli Stati Uniti, in quanto sostenitori dell’Ucraina, dovrebbero accettare le condizioni della Russia: revocare tutte le sanzioni, ritirare le forze ucraine dalle regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, e abbandonare le aspirazioni della NATO (e della Crimea), diventando uno Stato permanentemente neutrale, riducendo drasticamente le forze militari ucraine e non dispiegando le forze di “mantenimento della pace” della NATO.

La posizione prevalente dei BRICS è che queste guerre, la distruzione e la pulizia etnica di Gaza da parte di Israele devono finire, così come i tentativi di Washington di accerchiare la Cina. Mentre gli Stati Uniti vedono la Cina come una minaccia, la Cina è una minaccia per loro e per il mondo tanto quanto gli Stati Uniti e le azioni di Israele a Gaza sono una minaccia per la Cina.

Il cambiamento: Mito contro realtà

Non c’è dubbio che vi sia un’intensa competizione tra Cina e Stati Uniti in quasi tutti gli aspetti degli affari mondiali, ma l’idea che i Paesi BRICS vogliano sostituire gli Stati Uniti fraintende il modo in cui si sta verificando il declino degli USA. Entrambe le potenze sono entrate in un’era di “concorrenza strategica contraddittoria“. Che l’Occidente lo riconosca o meno, viviamo in un “mondo multipolare” che rappresenta una nuova visione del sistema dell’imperialismo del XXI secolo. Gli Stati Uniti e alcuni dei loro alleati interpretano erroneamente la Cina come uno Stato “revisionista che vuole sostituirla politicamente ed economicamente, ma la realtà è che la Cina ha beneficiato e prosperato sotto l’egemonia americana. La Cina beneficia solo del rafforzamento dell’attuale ordine “basato sulle regole” degli Stati Uniti.

A seguito degli attuali conflitti, dinamiche e tensioni, il Sud globale si sta fondendo, non solo economicamente con le istituzioni finanziarie cinesi, ma anche politicamente e militarmente attraverso lo sviluppo di partenariati tra i Paesi BRICS. Si pensi all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Bielorussia, Cina, India, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Pakistan, Russia, Tagikistan, Uzbekistan), all’Unione Economica Eurasiatica (Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia) e al Partenariato Strategico Cina-Russia, che sostiene la Belt and Road Initiative (BRI) della Cina. La Cina ha firmato più di 200 accordi BRI in oltre 150 Paesi.[5]

Trump sembra deciso ad affrontare i BRICS in un’altra guerra commerciale, con un’enfasi sui “dazi”. I BRICS hanno superato il “G7” (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Italia, Germania e Giappone) in termini di PIL calcolato a parità di potere d’acquistoGli economisti avvertono che tali metodi probabilmente aumenteranno i costi dell’inflazione per i lavoratori e i produttori del Nord globale, costringendo l’Occidente a diversificare le proprie esportazioni dagli Stati Uniti verso “mercati alternativi”. Rafforzeranno gli attuali modelli di produzione globale, il “multipolarismo” e l’isolamento degli Stati Uniti, legittimando ulteriormente alleanze politiche ed economiche più strette e una diffusa de-dollarizzazione nel Sud globale.

Mentre la rivalità tra Stati Uniti e Cina si intensifica attraverso conflitti, tensioni e guerre economiche, le Nazioni Unite, con il sostegno del Sud globale, hanno espresso il desiderio di costruire un ordine internazionale più pragmatico e inclusivo basato su regole. È ragionevolmente chiaro che gli sforzi cinesi e del Sud globale per stabilire un “mondo multipolare” stanno cercando di modificare l’ordine internazionale per riflettere pacificamente il reale status internazionale delle potenze maggiori ed emergenti. Gli Stati Uniti impediscono agli altri membri del Nord globale di pianificare le proprie iniziative o di tracciare una rotta indipendente.

A differenza della storia di espansione violenta dell’America, oggi la Cina sta costruendo una forma unica di imperialismo sociale che non richiede la guerra e cerca di rafforzare l’ordine “liberale” esistente, con crescente frustrazione degli Stati Uniti. La nuova guerra commerciale di Trump non fa che accelerare il declino degli Stati Uniti, poiché Washington opta per il dominio economico e le minacce militari. Il costo politico è l’ascesa della Cina come leader mondiale e l’ulteriore erosione dell’egemonia statunitense a scapito del soft power diplomatico e della politica, cosa che Trump sta cercando di cambiare agendo da “pacificatore”. Il “pivot to Asia” di Barack Obama, la guerra in Ucraina di Joe Biden e l’incessante sostegno di Washington a Israele dimostrano che la classe dirigente statunitense ha esaurito le idee su come arrestare il proprio declino e confrontarsi con la Cina. Non si tratta di “Donald Trump”. In Australia, le reazioni sono state contrastanti: si chiede sia di “opporsi a Trump” sia di “raggiungere” la Casa Bianca “non appena sia umanamente possibile”.

Implicazioni per l’Australia e il mito della minaccia cinese

L’ascesa della Cina e il declino degli Stati Uniti (in termini relativi o di accelerazione) hanno una particolare rilevanza per l’Australia. Secondo Hugh White, un importante analista australiano di studi strategici che scrive in Sleepwalk to War: Australia’s Unthinking Alliance with America (2022), gli Stati Uniti prima o poi si ritireranno dalla regione Asia-Pacifico e lasceranno l’Australia a prendere le proprie decisioni. Come scrive in How to Defend Australia (2018), è quindi imperativo che l’Australia cerchi di garantire la propria sicurezza, indipendentemente dall’alleanza con gli Stati Uniti. Al Palazzo in Dalla dipendenza alla neutralità armata: Future Options for Australian National Security (2018), Sam Roggeveen in The Echidna Strategy: Australia’s Search for Peace and Security (2023) e l’ex primo ministro australiano Paul Keating fanno eco a sentimenti simili. Pur proponendo relazioni più strette con il nuovo membro dei BRICS, l’Indonesia, nell’ambito di una strategia militare alternativa (senza aumento del bilancio della difesa per Roggeveen, con un aumento sostanziale al 3-4% del PIL per White), essi sostengono il mantra di Keating sulla necessità di “tagliare la corda” con gli Stati Uniti.

Hanno ragione, anche se la questione non è semplicemente militare, ma piuttosto l’imperialismo del XXI secolo in transizione: L’ascesa della Cina, i BRICS e il Sud globale, e la sopravvivenza egemonica dell’America. Con o senza l’alleanza con gli Stati Uniti, l’Australia rimane indifesa contro qualsiasi potenziale attacco nella regione più nuclearizzata del mondo. Nessuna prova che la Cina sia una minaccia militare per l’Australia è mai stata presentata dai sostenitori di AUKUS, il partenariato di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti per contrastare la “minaccia cinese”.

La sicurezza della Cina si basa sulla dottrina della distruzione reciprocamente assicurata, che dovrebbe preoccupare i pianificatori di sicurezza statunitensi. I sottomarini cinesi dovrebbero aggirare i sottomarini statunitensi prima di poter raggiungere quelli australiani, anche se questi ultimi non sarebbero in funzione prima di qualche tempo dopo il 2040. La realtà è che sono gli Stati Uniti a cercare di contenere la Cina, non viceversa. Come sostiene Keating, la minaccia che la Cina rappresenta è la sua semplice esistenza e l’incapacità dell’America di controllarla e intimidirla come fa con l’Europa e i suoi alleati.

Per quanto riguarda la “coercizione economica”, i sostenitori dell’AUKUS sostengono che la Cina potrebbe un giorno voler “bloccare” l’Australia, “affossare il commercio” o altre brutte sorprese. Ma questo dimostra il prezzo che l’Australia deve pagare per l'”amicizia” dell’America. La Cina è il principale partner commerciale dell’Australia e Canberra è costretta a minare i propri interessi economici e a rinunciare alla propria sovranità politica per la politica di insicurezza degli Stati Uniti “senza fare domande”. L’Australia sarebbe più sicura se si impegnasse nei fatti, e non solo a parole, a rispettare la politica di una sola Cina,[6] e a lasciare che le guerre americane siano combattute dagli americani.

Un’argomentazione comunemente avanzata dagli “America firststers” è che l’Australia ha sempre fatto affidamento sui suoi grandi e potenti amici.[7] Ciò non tiene conto dei cambiamenti sismici che stanno avvenendo oggi, tra cui il declino dell’influenza americana. Ciononostante, esistono numerose potenze intermedie e regionali che sarebbero più che felici di accogliere gli interessi australiani, come i Paesi BRICS. Sia nel Nord che nel Sud del mondo, la cooperazione in materia di sicurezza ha una lunga storia nell’ambito della politica strategica australiana.[8] Ad esempio, l’India mantiene un “partenariato strategico speciale e privilegiato” con la Russia, e sia l’India che la Cina sono membri dei BRICS, ma fa anche parte del “QUAD”, o Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza, composto da Stati Uniti, Australia, India e Giappone. C’è poi l’ASEAN, dove l’Australia troverebbe sostegno per una posizione equilibrata nella rivalità USA-Cina. E se per alcuni è troppo complicato, c’è l’opzione neozelandese di essere “disarmati e indipendenti”.[9] La Cina non ha invaso la Nuova Zelanda. Non è difficile andare d’accordo, se pensiamo fuori dagli schemi del “ma abbiamo sempre fatto affidamento sui nostri grandi e potenti amici”.

Il punto evidente, tuttavia, è che l’Australia si troverebbe in una posizione di gran lunga migliore rispetto alla maggior parte degli altri Paesi. La paura della Cina deriva dagli Stati Uniti e, storicamente, dal Giappone militarista. Raggiungere un accordo con la Cina sarebbe una polizza assicurativa più sostenibile di quella che sostiene le guerre degli Stati Uniti. La paura di chi sostituirà gli Stati Uniti o se l’Australia possa esistere in modo indipendente verrebbe eliminata, così come la paura artificiale della Cina. Le forze armate statunitensi, il Pentagono e il Congresso sono ossessionati dal fatto che <1>una guerra contro la Cina è “probabile” nel 2027.

Riunione di rilancio: Gli Stati Uniti possono tenere a bada la sfida?

Il crescente slancio e l’influenza dei Paesi BRICS sollevano interrogativi su un ordine mondiale in rapido mutamento. Vi sono alcuni che ritengono che gli Stati Uniti non siano in declino e che le forze “revisioniste” all’interno del Sud globale non rappresentino una minaccia sostanziale al dominio statunitense. Per questi autori, c’è stato solo un leggero declino, con gli Stati Uniti che sono rimasti “parzialmente unipolari”.[10] I fattori di fondo che i “rinnovatori” come Joseph Nye e altri indicano sono i vantaggi competitivi dell’America: la geografia, il dominio del dollaro, la produttività e le sfide demografiche della Cina.

I rinnovatori sottolineano il fatto che gli Stati Uniti sono circondati da due grandi oceani (l’Atlantico e il Pacifico) e da due vicini economicamente più piccoli: Messico e Canada, entrambi “amici”. La Cina, invece, ha un accesso limitato all’oceano e confina con grandi potenze, spesso ostili. Essi sostengono che, in termini economici, la produttività totale dei fattori del lavoro e del capitale della Cina è in calo, mentre la produttività degli Stati Uniti continua a crescere, rendendo così più facile per questi ultimi mantenere il primato nel PIL anche con tassi di crescita leggermente inferiori a quelli della Cina. Il potere degli Stati Uniti si basa su grandi istituzioni finanziarie transnazionali e sul ruolo internazionale del dollaro, profondamente radicato nei mercati dei capitali e nello Stato di diritto, tutti elementi che mancano alla Cina. La Cina sta vivendo un declino demografico e si prevede che la sua forza lavoro la seguirà. Queste argomentazioni meritano di essere prese in considerazione. Ma ci sono potenti contrapposizioni.

In termini geopolitici, la Cina e i suoi alleati hanno intaccato questi vantaggi. La Cina, in particolare, ha accresciuto la propria influenza in tutta l’America Latina e i Caraibi (ALC), stabilendo la propria egemonia nel “cortile di casa” degli Stati Uniti e diventando il principale partner commerciale del Sud America e il secondo dell’America Centrale, oltre a rafforzare i propri legami militari con molti Paesi, tra cui Venezuela, Nicaragua e Cuba.[11] In particolare, le esportazioni totali dagli Stati Uniti e da altri mercati tradizionali verso l’America Latina e i Caraibi sono previste in diminuzione nei prossimi 15 anni.

Inoltre, la Cina ha cercato di creare “vantaggi” simili nel suo “cortile di casa”. Ad esempio, si è adoperata per garantire che il suo confine marittimo (ad esempio, il Mar Cinese Meridionale) sia sotto il suo controllo. I BRICS sono un’alleanza tra la Cina e alcuni dei suoi vicini – India e Russia – che favorisce l’obiettivo della Cina di avere relazioni amichevoli con i suoi vicini. Dalla sconfitta degli Stati Uniti e della NATO in Afghanistan nel 2021, la Cina ha sempre più dominato l’Asia centrale, l’altro suo confine.[12] Tutto ciò significa che la Cina sta creando un vantaggio geografico simile a quello degli Stati Uniti. Sul fronte militare, una sconfitta degli Stati Uniti e della NATO in Ucraina cementerà la Cina come potenza dominante in Eurasia, con la Russia come partner minore, consentendo alla Cina di proiettare il suo potere a livello globale in diretta competizione con gli Stati Uniti.[13] Nell’Asia-Pacifico, l’influenza economica e politica della Cina ha superato quella degli Stati Uniti, con legami diplomatici e militari in crescita in tutta la regione.

In termini economici, l’idea che la produttività totale dei fattori del lavoro e del capitale in Cina sia diminuita, mentre la produttività negli Stati Uniti continua a crescere, dipinge un quadro impreciso. L’economia cinese è rallentata ma non sta fallendo; il suo tasso di crescita del PIL per il 2024 era del 4,8%, quasi doppio rispetto a quello degli Stati Uniti, pari al 2,8%.[14] Gli Stati Uniti sostengono che il successo della Cina si basa sul furto, ma la Cina ha dimostrato di poter superare gli Stati Uniti facendo di più con meno, primeggiando in trentasette delle quarantaquattro tecnologie critiche.[15]

La tecnologia DeepSeek AI serve a ricordare che la Cina è sulla buona strada per diventare il centro della “quarta rivoluzione industriale”,[16] principalmente incentrata sull’autosufficienza e sulla creazione di infrastrutture in grado di facilitare la propria ricerca e sviluppo. Minacciare Taiwan con tariffe del 100% sulle sue esportazioni di semiconduttori per spingere i produttori di chip taiwanesi a trasferire le loro fabbriche negli Stati Uniti rischia di vantaggiare la Cina e isolare gli Stati Uniti. Inoltre, la maggior parte degli ingegneri taiwanesi è impiegata in Cina per lavorare sui semiconduttori che producono microchip essenziali per la ricerca e lo sviluppo cinese.

Gli economisti occidentali sostengono che la risposta al calo della popolazione e della forza lavoro siano le macchine e i robot per aumentare la produttività totale. La Cina guida qui con oltre 290.000 installazioni di robot nel 2022, ovvero il 52% di tutti i robot industriali nel 2022 e il tasso di sostituzione dei lavoratori più veloce al mondo.

La creazione di una valuta dei BRICS come alternativa al dollaro USA rimane un progetto a lungo termine, con notevoli sfide logistiche e temporali. Il dollaro USA esercita un potere economico, con il 60% delle riserve valutarie detenute in dollari, e questo avvantaggia enormemente gli Stati Uniti, che storicamente hanno usato questa posizione per opprimere gli altri che non sono disposti a permettergli di dominarli (ad esempio Cuba, Iran, Venezuela). La moneta proposta dai BRICS si presenta come un’alternativa a questa norma. Con i dazi proposti che probabilmente faranno salire il tasso di cambio del dollaro USA, i Paesi che hanno debiti in dollari vedranno aumentare il valore dei loro debiti nelle loro valute locali. Il Sud globale dovrà affrontare dure misure di austerità, inflazione dei prezzi, disoccupazione e caos sociale, oppure sospenderà i pagamenti dei debiti esteri denominati in dollari. Questo fa il gioco dei Paesi BRICS, che cercano di creare un’alternativa, mentre gli Stati Uniti cercano di cannibalizzare le industrie “amiche” per rafforzare il loro potere nazionale, mettendo “l’America al primo posto”.

Gli Stati Uniti hanno grandi difficoltà a sganciare la propria economia dalla dipendenza globale dalle catene di fornitura, nonostante Nye e altri rinnovatori credano che l’elezione di Trump possa rappresentare un punto di svolta in questo senso. L’industria manifatturiera statunitense non può “abbandonare” la Cina in tempi brevi, e la delocalizzazione della produzione altrove (nei Paesi BRICS o ASEAN) non sta riportando l’industria manifatturiera negli Stati Uniti. L’Occidente continua a fare affidamento sulle linee di produzione cinesi e la Cina, con i suoi 1,4 miliardi di persone, produce un numero di laureati in materie scientifiche dieci volte superiore a quello degli Stati Uniti.

Nonostante il dominio del dollaro, le relazioni valutarie globali potrebbero finalmente cambiare. Il debito nazionale degli Stati Uniti, pari a 36.000 miliardi di dollari, sta rendendo il dollaro molto poco attraente per i suoi destinatari. La Cina sta producendo e comprando oro mentre vende le sue obbligazioni statunitensi – 400 miliardi di dollari finora – con l’obiettivo di stabilire lo yuan e il renminbi (compreso un progetto di yuan digitale) come valute di riferimento per l’economia globale e di espandere l’influenza di Pechino attraverso la BRI. Se gli Stati Uniti dovessero in qualche modo mantenere il loro dominio o rallentare il loro declino, ciò sarebbe dovuto soprattutto al fatto che le potenze dominanti hanno il vantaggio di essere già al vertice e possono quindi estendere il loro potere per decenni – o in tempi antichi, per secoli – di sovraestensioni e declino interno. Ma l’argomentazione del rinnovatore è spesso blanda e propagandistica.

Tuttavia, nessuna delle due parti è esente da difficoltà. Per gli Stati Uniti, la difficoltà di tenere le redini di un impero ereditato dagli inglesi e modificato a propria immagine e somiglianza sta nel rendersi conto dei propri limiti con una popolazione inquieta e divisa. Da parte della Cina, c’è la realtà della crescente dimensione e del dissenso del gruppo BRICS. Non si può negare che le rivalità imperialiste, e le aspiranti tali, esistano anche nelle Nazioni Unite, nell’UE e nell’OMC. Cina, India e Russia sono concorrenti, ma tutti i sostenitori dei BRICS desiderano essere ascoltati e vedono i BRICS come un mezzo per costruire stabilità e cooperazione.[17]

Il BRICS ha iniziato solo di recente ad accettare nuovi membri e la visione “multipolare” è anche un codice per l’idea che il Sud globale voglia avere più voce in capitolo negli affari mondiali. Questa è una cattiva notizia per coloro che desiderano un imperium anglo-americano “infinitum” – un sentimento antistorico. La Cina preferirebbe essere accettata come pari agli Stati Uniti, ed è per questo che la forza dei BRICS risiede nella sua capacità di integrare una serie eterogenea di Paesi non completamente allineati. Per contrastare l’egemonia degli Stati Uniti, è necessario che le organizzazioni internazionali siano sciolte per affrontare le complesse questioni globali, dal cambiamento climatico alla fame, in un mondo in transizione. Aspettarsi un’unità coerente in qualsiasi contesto democratico in un momento di crescente polarizzazione significa mancare la foresta per gli alberi.

Il punto, tuttavia, è che il BRICS è solo una delle tante istituzioni “liberali” che sostengono la BRI cinese, il che, data l’assenza di una mappa ufficiale della BRI redatta dalla RPC, fornisce una “utile sfumatura”.[18] È improbabile che il BRICS aumenti o meno i suoi membri nel prossimo futuro (ad es.L’adesione del Venezuela è stata osteggiata dal Brasile, quella della Turchia e del Pakistan dall’India), poiché i BRICS riflettono uno spostamento dell’economia politica globale dagli Stati Uniti alla RPC. Nel frattempo, gli antagonismi e i conflitti in corso negli Stati Uniti rischiano di spingere gli “amici e alleati” statunitensi ad avvicinarsi alla Cina. Questo non richiede l’adesione ai BRICS e il Sud globale non ha bisogno di essere convinto.

La visione del mondo “multipolare” nasconde una più profonda rivalità inter-imperialista tra Stati Uniti e Cina, dove entrambe le parti stanno dando il massimo, ma una si sta affermando come forza stabilizzatrice mentre l’altra sta declinando e persino deindustrializzando nonostante l'”ottimismo del mercato” e la sua insistenza su un mondo unipolare e sul dominio. Gli Stati Uniti non possono tornare al loro periodo di massimo splendore come potenza manifatturiera del XX secolo e Trump non porrà fine alle guerre americane, astronomicamente costose e redditizie. Gli Stati Uniti restano la potenza imperialista dominante, ma la Cina è la principale potenza in ascesa che gioca il “gioco lungo”. Anche se le alleanze statunitensi rimangono intatte, ne stanno emergendo di nuove che superano l'”Occidente collettivo”. Gli Stati Uniti devono accogliere i loro rivali come hanno fatto in passato o affrontare un ulteriore declino.[19]

Conclusione: Il punto di non ritorno?

Nella storia dell’imperialismo nulla è inevitabile, solo nuovi imperialismi e, a volte, rivoluzioni. C’è un complesso intreccio di fattori che determinerà se gli Stati Uniti saranno in grado di arrestare il loro declino e godere di stabilità, o se scenderanno nel caos. Il paese ha un margine di manovra, ma le tendenze di fondo mostrano che Washington è a corto di idee.

L’imperialismo del XXI secolo non significa una “rottura netta” con l’imperialismo statunitense, ma una transizione in corso nel sistema dell’imperialismo. Lo studio dell’imperialismo del XXI secolo è un’esplorazione critica della forza economica, finanziaria e militare generale delle grandi potenze e della loro riconfigurazione. Nel caso dei BRICS, si tratta di uno studio dell’economia politica del declino degli Stati Uniti, che si trovano di fronte a due importanti punti di svolta: come gestire la sconfitta della NATO in Ucraina e come tenere a bada la sfida della Cina, anche nel proprio “cortile”.

La Cina favorisce un approccio sfumato nei confronti dell'”Occidente”, basato sul multilateralismo e sul “libero scambio”. Un approccio non conflittuale garantisce la conquista di un maggior numero di Paesi. La Cina sa che un approccio non conflittuale è il modo migliore per attrarre più Paesi e conquistare cuori e menti nel Sud globale, solidificando i BRICS come forza per una governance globale più social-imperialista. Stiamo assistendo a momenti cruciali in processi molto più ampi di raggiungimento di una “multipolarità” equilibrata.

Il Sud globale è stato minacciato dall’imperialismo statunitense con un’escalation di violenza e guerra economica. Lo spostamento dell’economia politica globale dagli Stati Uniti alla RPC e la trasformazione del sistema internazionale sono difensivi per disegno. La Russia e l’Iran hanno stretto un patto di sicurezza. Ci sono anche la Cina e la Corea del Nord. Gli impianti nucleari e le raffinerie di petrolio in Medio Oriente e in Europa sono minacciati.

Se l’Australia segnalasse l’abbandono della rivalità tra Stati Uniti e Cina o si impegnasse semplicemente all’imparzialità, un approccio di questo tipo funzionerebbe favorevolmente con il suo isolamento geografico e la mancanza di un reale interesse a scontrarsi con la Cina.[20] L’Australia si è “fabbricata un problema” con il suo cieco allineamento agli Stati Uniti. La Cina sostiene, piuttosto che minare, l'”ordine liberale” delle “istituzioni internazionali – ONU, FMI, OMC e OMS“. La massima del defunto Henry Kissinger, secondo cui essere nemici dell’America è pericoloso, mentre essere suoi amici è fatale, è pertinente in questo caso.

I pensatori critici non dovrebbero essere costretti a scegliere da che parte stare in una confusa (anche se funzionale al potere) mentalità da guerra fredda americana del XX secolo tra “Oriente” e “Occidente”, “democrazia” e “autoritarismo”, “bene” e “male”. Non dobbiamo sottovalutare o gonfiare l’ascesa della Cina o il declino degli Stati Uniti. Soprattutto, dobbiamo sviluppare le nostre voci sull’imperialismo, anche se ciò significa resistere alle pressioni ideologiche rappresentate da coloro che hanno un interesse personale nella competizione per l’imperialismo del XXI secolo.

Trump rappresenta una nazione a un bivio che si trova di fronte a due scelte: Impero o Repubblica. Non c’è molto che indichi che i problemi politici e sociali interni dell’America stiano scomparendo e non c’è nulla che indichi che alla Casa Bianca si presenterà una vera alternativa in grado di riportare gli Stati Uniti verso una Repubblica. Ciò richiederebbe un grande cambiamento nella politica degli Stati Uniti che si estenda a diverse presidenze per rendere “l’America di nuovo grande”. Tuttavia, queste stesse parole indicano l’inevitabile paradosso dell’arroganza imperiale, che dice la verità al potere ma alla fine nega la realtà stessa. Gli Stati Uniti sono diventati una potenza imperialista grazie alla violenza e al saccheggio e Trump, come i suoi predecessori, si è circondato di falchi, non di colombe. Nel grande schema della storia mondiale, tuttavia, il grande cambiamento nell’egemonia degli Stati Uniti è già iniziato e Trump sarà visto come il sintomo, non la causa, del declino statunitense.

Ci troviamo di fronte alla tirannia del conflitto insensato e a un pericoloso imperialismo del XXI secolo in fase di transizione. Siamo entrati in una nuova era degli affari mondiali, con una forma aggressiva e instabile (anche se “altamente sviluppata”) di capitalismo globale che è in rapida transizione attraverso l’imperialismo: una battaglia tra la spada arrugginita dell’Occidente e il libretto degli assegni della BRI cinese. Ma la Cina è una potenza economica e un elemento centrale del sistema che gli stessi Stati Uniti hanno contribuito a costruire nel XX secolo. Gli Stati Uniti non accettano il multipolarismo senza combattere. L’Occidente deve marciare in difesa di un impero che sta invecchiando e implodendo e che è allo sbando?


[1] Secondo il Bulletin of the Atomic Scientists, che ha coniato il termine, il nuovo anormale è una “nuova normalità” che non è ciò che la normalità significava un tempo, ma è semplicemente ciò che la vita è ora. Naturalmente, nulla di ciò che sta accadendo oggi è “nuovo” per i pensatori critici, ma solo potenzialmente insolubile.

[2] Alla domanda sui Paesi della NATO come la Spagna che non impegnano almeno il 2% del loro PIL nella difesa, Trump ha creduto che la Spagna fosse un membro dei BRICS.

[3] Pete Hegseth, Segretario alla Difesa di Trump, ha faticato a nominare un solo membro dell’ASEAN durante l’udienza di conferma al Senato, nominando invece Corea del Sud, Giappone e “AUKUS con l’Australia”.

[4] Per gli ultimi sviluppi, vedere DeepSeek.

[5] Questo include anche diciassette membri dell’UE e otto Paesi del G20.

[6] Il 1° gennaio 1979, gli Stati Uniti riconobbero la RPC come “unico governo legale della Cina” – la Politica di una sola Cina. Tuttavia, iniziarono le “relazioni non ufficiali” e la vendita di armi a Taiwan.

[7] Brendan Taylor, “Searching for a new Great and Powerful Friend?”, in After American Primacy: Imagining the Future of Australia’s Defence, Peter J. Dean, Stephan Frühling e Brendan Taylor (eds.), Melbourne: Melbourne University Publishing, 2019.

[8] A. Carr e C. Roberts, “Security With Asia?”, in After American Primacy: Imagining the Future of Australia’s Defence, Peter J. Dean, Stephan Frühling e Brendan Taylor (eds.), Melbourne: Melbourne University Publishing, 2019.

[9] R. Ayson, “Unarmed and independent?: The New Zealand option”, in After American Primacy: Imagining the Future of Australia’s Defence, Peter J. Dean, Stephan Frühling e Brendan Taylor (eds.), Melbourne: Melbourne University Publishing, 2019; Albert Palazzo, From Dependency to Armed Neutrality: Future Options for Australian National Security, Canberra: ANU Press, 2018.

[10] In un’intervista ai media, Marco Rubio ha affermato che “non è normale per il mondo avere semplicemente una potenza unipolare. Quella non è stata un’anomalia. È stato un prodotto della fine della Guerra Fredda, ma alla fine si sarebbe tornati a un punto in cui c’era un mondo multipolare, con più grandi potenze in diverse parti del pianeta. Oggi lo affrontiamo con la Cina e in parte con la Russia, e poi ci sono Stati canaglia come l’Iran e la Corea del Nord con cui bisogna fare i conti”.

[11] Oliver Villar, “Nel cortile di chi? Cina e America Latina nella catena imperialista”, Critique: Journal of Socialist Theory, 51(2-3), 2024, pp 399-414.

[12] Geoff Raby, Great Game On: The Contest for Central Asia and Global Supremacy, Melbourne: Melbourne University Press, 2024.

[13] Glenn Diesen, The Ukraine War & the Eurasian World Order, Atlanta: Clarity Press, 2024. Discutendo del futuro dell’Ucraina, Trump ha affermato che la Russia dovrebbe essere invitata nuovamente al G7/8 e che è stato un errore espellerla, sostenendo che Mosca non avrebbe invaso l’Ucraina se avesse avuto ancora un posto a tavola.

[14] Tutte le altre economie del G7 erano inferiori agli Stati Uniti. Il Giappone era appena sopra lo zero e la Germania era in negativo. Per quanto riguarda i BRICS, il Brasile si è attestato al 3%, la Russia al 3,6% e l’India al 7%, quasi tre volte il tasso di crescita degli Stati Uniti. Il Sudafrica ha registrato una crescita bassa, pari all’1,1%, ma positiva.

[15] Il think tank Information Technology and Innovation Foundation ha rilevato che la Cina è leader o competitiva a livello globale in cinque dei nove settori ad alta tecnologia – robotica, energia nucleare, veicoli elettrici, intelligenza artificiale e calcolo quantistico – e sta rapidamente recuperando in altri quattro: prodotti chimici, macchine utensili, biofarmaci e semiconduttori. Un’analisi di Bloomberg ha identificato la Cina come leader o competitiva a livello globale in dodici dei tredici settori ad alta intensità tecnologica.

[16] Glenn Diesen, Great Power Politics in the Fourth Industrial Revolution: The Geoeconomics of Technological Sovereignty, Londra: Bloomsbury, 2022.

[17] Ad esempio, il Corridoio internazionale di trasporto Nord-Sud (INTSC), una rete di 7.200 chilometri di rotte navali, ferroviarie e stradali per il trasporto di merci tra India, Iran, Azerbaigian, Russia, Asia centrale ed Europa, collegherà il Sud globale a circuiti commerciali e mercati lucrativi precedentemente non sfruttati. I suoi principali finanziatori sono la Russia, l’Iran e l’India, ed è una creazione del “multipolarismo” dei BRICS. Comprende tredici Paesi (tra cui Azerbaigian, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Oman, Siria, Tagikistan, Turchia, Ucraina e il nuovo membro Pakistan) e rappresenta una forza di controbilanciamento piuttosto che di antagonismo. Il meccanismo generale che le permette di operare è il BRI, che fa parte dell’impulso geoeconomico del partenariato strategico Cina-Russia. La Cina sta sviluppando partenariati commerciali interconnessi mentre Cina, Russia, India e Iran diventano la vera “QUAD” dell’Eurasia.

[18] Thomas P. Narins e John Agnew, “Missing from the map: Chinese exceptionalism, sovereignty regimes and the Belt Road Initiative”, Geopolitics, 25(4), 2020, pp 809-839.

[19] Al momento in cui scriviamo, ci sono segnali che indicano che Trump potrebbe essere disposto a normalizzare le relazioni con la Russia come parte dei negoziati di pace a Riyadh per porre fine alla guerra in Ucraina, e ci sono segnali di potenziali futuri colloqui con Russia e Cina sulle armi nucleari. Trump ha dichiarato: “A un certo punto, quando le cose si saranno calmate, incontrerò la Cina e la Russia, in particolare queste due, e dirò che non c’è motivo di spendere quasi mille miliardi di dollari per le forze armate… e dirò che possiamo spenderli per altre cose”.

[20] B. Thorhallsson e S. Steinsson, “Small state foreign policy”, in Oxford Research Encyclopedia of Politics, William R. Thompson (a cura di), Oxford: Oxford University Press, 2017; A. Wivel, “The grand strategy of small states”, in The Oxford Handbook of Grand Strategy, Thierry Balzacq and Ronald R. Krebs (eds), Oxford: Oxford University Press, 2021.

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Informazioni sull’autore

Oliver Villar

Oliver Villar insegna politica internazionale e sociologia alla Charles Sturt University. Il suo lavoro esplora le relazioni internazionali e l’economia politica internazionale e ha scritto molto sull’imperialismo statunitense. Il suo libro, scritto insieme a Drew Cottle, è Cocaina, squadroni della morte e guerra al terrore: US Imperialism and Class Struggle in Colombia, pubblicato da Monthly Review (2011). Il suo attuale progetto di ricerca indaga il tema della rivalità inter-imperialista nel XXI secolo.

La follia del realismo, a cura di Mick Ryan

La follia del realismo

Un colloquio con Alexander Vindman sul suo nuovo libro “La follia del realismo”. Il suo libro esplora la preparazione all’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, la politica degli Stati Uniti e le implicazioni della guerra.

Mick Ryan31 maggio
 Un compendio dei principi ispiratori e delle motivazioni che hanno guidato le politiche aggressive delle leadership demo-neoconservatrici nel mondo e in particolare contro la Russia. Un rovesciamento strabiliante della realtà cui porta inesorabilmente una visione dogmatica. Un vicolo cieco dal quale difficilmente riusciranno a cavarsi le attuali classi dirigenti occidentali. Giuseppe Germinario
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L’Ucraina è attualmente un terreno di prova per l’aggressione russa, ma questo terreno può spostarsi in Moldavia, in Lettonia, in Finlandia e oltre, nel Pacifico, in Cina e a Taiwan. Se ciò dovesse accadere, avremo bisogno di un modo duro e chiaro di rispondere. A tal fine, abbiamo bisogno di una visione condivisa: una base per riflettere sulle nostre risposte, ben prima del momento in cui sarà necessaria un’azione decisiva. Alexander Vindman, La follia del realismo

Di recente ho avuto l’opportunità di leggere l’eccellente nuovo libro di Alexander Vindman, The Folly of Realism.

Nel 2019, Alexander Vindman è stato tenente colonnello dell’esercito degli Stati Uniti con l’incarico di direttore del Consiglio di sicurezza nazionale per l’Europa orientale, il Caucaso e la Russia. Come ha descritto in seguito le sue responsabilità, “il mio ruolo era quello di coordinare tutte le politiche diplomatiche, informative, militari ed economiche per la regione, attraverso tutti i dipartimenti e le agenzie governative”.

Nel luglio di quell’anno, nell’ambito delle sue mansioni, Vindman ha ascoltato una telefonata tra il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, e il primo presidente Trump. Durante la telefonata, Trump ha chiesto a Zelenskyy di trovare prove incriminanti contro la famiglia Biden.

Vindman si è trovato di fronte a un enorme dilemma morale. Mantenere la segretezza delle comunicazioni presidenziali era più importante che riferire ciò che riteneva fosse una richiesta altamente impropria da parte di un presidente in carica affinché un governo straniero indagasse su un cittadino statunitense e un avversario politico? Ha preso la decisione moralmente coraggiosa di riferire la telefonata.

Il suo rapporto, insieme a una serie di altre prove, ha portato all’inchiesta sull’impeachment della Camera (è possibile leggere gli articoli dell’impeachment qui) e al successivo impeachment di Trump da parte della Camera dei rappresentanti. Trump è stato successivamente ritenuto non colpevole dal Senato degli Stati Uniti.

Da allora la vita di Vindman ha preso una traiettoria diversa.

Non molto tempo dopo essersi ritirato dall’esercito americano, Alexander ha pubblicato il suo libro, Here Right Matters. Si trattava della storia della sua infanzia, del suo servizio nell’esercito statunitense e del suo servizio nel Consiglio di sicurezza nazionale fino a quella telefonata del luglio 2019.

Il suo ultimo libro, che è diventato un bestseller del New York Times, esamina la politica americana nei confronti della Russia e dell’Ucraina. È anche un’esplorazione delle svolte della politica statunitense verso la Russia dalla fine della Guerra Fredda, oltre che una lezione sulla storia moderna dell’Ucraina.

Vindman sostiene che dalla fine della Guerra Fredda, l’America ha dato priorità alle relazioni con la Russia a scapito di quelle con l’Ucraina. Ciò ha comportato l’accettazione degli attacchi russi all’Ucraina, giustificati dalla filosofia del “realismo”, una teoria sostenuta da John Mearsheimer che sostiene che gli Stati Uniti devono impegnarsi nel perseguimento a sangue freddo dei propri interessi nazionali. Relazioni stabili con grandi potenze come la Russia e la Cina hanno la priorità sulle esigenze delle nazioni più piccole.

In The Folly of Realism, Vindman propone che questo approccio ha palesemente fallito con la Russia e probabilmente fallirà anche con la Cina. Un approccio alternativo proposto da Vindman è quello di adottare la politica che Ben Tallis ha recentemente descritto come neo-idealismo. Come ha scritto Tallis a proposito di questo concetto:

Si tratta di un approccio che può non solo difendere, ma anche rinnovare le nostre società libere e contribuire a diffonderne i valori. Il primo pilastro, il primato dei valori, riflette l’approccio alla geopolitica basato sulla morale del neo-idealismo, che concepisce i valori liberaldemocratici fondamentali come ideali a cui tendere e li considera i nostri interessi più fondamentali. Da questo primato di valori deriva la necessità di: prontezza militare, internazionalismo efficace, realismo geoeconomico, dinamismo inclusivo, modernizzazione ecologica, futurismo democratico e coesione sociale. Combinando questi principi, il neo-idealismo offre un approccio che affronta le minacce interne ed esterne alle nostre democrazie e ci permette di sfruttare le varie fonti del nostro potere.

Vindman scrive nel suo libro a proposito di questo concetto che:

Più in linea con i valori americani rispetto al realismo, e più letteralmente realistico nel raggiungere la stabilità a lungo termine e nel garantire gli interessi vitali americani, il neo-idealismo sta emergendo come un nuovo modo di pensare alle relazioni estere… Il neo-idealismo si discosta quindi nettamente dai recenti approcci alla politica estera che apparentemente rifiutano le basi transazionali a breve termine del realismo, ma che si sono rivelati, alla fine, semplicemente fantasiosi, spesso con risultati disastrosi.

Per approfondire il libro, di recente ho posto diverse domande all’autore. Di seguito potete leggere le sue risposte.

1. Il libro è in gran parte il prequel dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia del febbraio 2022. Può spiegare perché ha deciso di trattare gli antefatti della guerra (visto che è iniziata nel 2014) piuttosto che gli aspetti successivi al febbraio 2022?

Ho scritto questo libro per capire come siamo arrivati a un momento così tragico e destabilizzante negli affari globali. L’invasione su larga scala del 2022 non è iniziata nel vuoto: è stata il culmine di decenni di decisioni, errori di calcolo e politiche permissive. È impossibile comprendere le dinamiche dell’attuale guerra senza esaminare le storie intrecciate dell’Ucraina e della Russia e le politiche perseguite dagli Stati Uniti, dai suoi alleati europei e dalla stessa Russia dopo la Guerra Fredda.

Per oltre 35 anni, le amministrazioni statunitensi che si sono succedute, sia democratiche che repubblicane, hanno perseguito una politica “Russia First” che ha di fatto ceduto a Mosca una sfera di influenza sui nuovi Stati indipendenti dell’Europa orientale e dell’Eurasia. Invece di promuovere una strategia globale basata su valori condivisi e su un allineamento strategico a lungo termine, l’Occidente ha scelto la stabilità a breve termine e la diplomazia transazionale. Questo approccio ha sostenuto le ambizioni egemoniche della Russia ed è stato giustificato da una combinazione di ottimismo mal riposto sul fatto che la Russia si sarebbe “normalizzata” e dal timore di un caos geopolitico o di una nuova rivalità in caso di collasso della Russia.

Queste politiche occidentali mancavano di determinazione strategica e hanno contribuito a radicare l’Ucraina in una zona grigia geopolitica – tenuta fuori dalla NATO ma inequivocabilmente staccata dall’orbita di Mosca. La mia decisione di concentrarmi sul periodo 1991-2022 riflette anche le mie esperienze personali e professionali: Ho prestato servizio militare durante la Rivoluzione arancione e ho lavorato presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Kiev dal 2009 al 2010 e presso l’Ambasciata a Mosca durante il periodo di Euromaidan. Ho osservato in prima persona i cambiamenti politici e strategici che hanno dato forma alla svolta verso ovest dell’Ucraina e alla crescente belligeranza della Russia.

Questo libro parla dei segnali di allarme che ci sono sfuggiti e dei fallimenti politici che non dobbiamo ripetere. Sebbene la guerra dal 2022 abbia giustamente attirato un’immensa attenzione, il mio obiettivo è aiutare i lettori a comprendere le radici più profonde dell’aggressione russa, la resistenza duratura dell’Ucraina e il ripetuto fallimento dell’Occidente nel dissuadere Mosca.

2. Lei conduce un esame dettagliato e molto equilibrato dell’Ucraina nel periodo precedente l’invasione russa del 2022. Perché ritiene che questo contesto sia importante per comprendere il corso della guerra?

Nei mesi precedenti l’invasione, ho sollecitato privatamente l’amministrazione Biden e pubblicamente le sanzioni, il cambio di posizione in Europa e la necessaria assistenza militare all’Ucraina. Vedevo la guerra in arrivo con una chiarezza che, purtroppo, mancava a molti nell’establishment della sicurezza nazionale. Questa lungimiranza non derivava da congetture, ma dalla comprensione degli imperativi e delle percezioni della Russia.

La Russia ha interpretato la tiepida risposta occidentale alla Crimea e all’Ucraina orientale come un via libera. Lo stesso territorio conquistato nel 2014 è diventato una piattaforma di lancio per l’invasione del 2022. Mosca ha ipotizzato, con qualche giustificazione, che l’Occidente avrebbe esitato ancora una volta. Putin riteneva di avere una finestra ristretta per riaffermare con decisione il controllo sull’Ucraina prima che questa consolidasse completamente il suo orientamento occidentale.

I fattori interni erano altrettanto importanti. Alla fine del 2021, l’Ucraina si era ripresa dallo shock politico del 2014, aveva stabilizzato le sue istituzioni democratiche e stava proseguendo la sua integrazione con l’Occidente. Per Putin, l’emergere di un’Ucraina stabile, democratica e in gran parte russofona allineata all’Europa era intollerabile. Le considerazioni non derivavano essenzialmente da un dilemma di sicurezza, ma dalla perdita di un elemento centrale dell’ex impero russo e di una componente integrante dell’identità della Russia.

Un impegno occidentale più forte tra il 2014 e il 2021 – maggiore sostegno politico, cooperazione militare e una posizione di deterrenza credibile – avrebbe potuto rendere impensabile l’invasione. Invece, Washington e Bruxelles sono state colte di sorpresa e hanno dovuto affannarsi a fornire aiuti e imporre costi dopo che l’invasione era già in corso.

3. Dal suo libro emerge chiaramente che prima del 2022 c’era una generale riluttanza in Europa (e altrove) ad accettare che una guerra su larga scala fosse ancora possibile in Europa. Questo ha portato a diverse strategie di deterrenza e a diversi metodi per affrontare la Russia. Secondo lei, quanto è cambiata la situazione oggi?

Dal 2022, i Paesi europei hanno iniziato a ripensare la sicurezza in termini più ampi. Ora riconoscono più chiaramente il ruolo della coercizione economica, della dipendenza energetica, della disinformazione e del sabotaggio nella guerra moderna. Tuttavia, la preparazione militare rimane disomogenea e l’Europa manca ancora di una strategia di difesa coerente a livello continentale.

I militari europei si stanno riarmando. Stanno investendo in capacità associate alla guerra ad alta intensità – artiglieria, carri armati, difese aeree – e non solo all’antiterrorismo o al mantenimento della pace. Le tattiche ibride della Russia, dalle operazioni informatiche al sabotaggio della GRU, sottolineano l’urgenza. Il coinvolgimento di altre autocrazie – Corea del Nord, Iran – a sostegno della Russia ha messo a nudo le dimensioni globali della minaccia.

Nonostante questi progressi, il ritmo del riarmo rimane troppo lento, soprattutto perché gli Stati Uniti sembrano pronti a ridurre la loro presenza in Europa. Anche una futura amministrazione statunitense impegnata nella solidarietà transatlantica dovrà affrontare priorità globali diverse. L’Europa deve prepararsi non solo a difendersi, ma anche a contribuire in modo significativo alla stabilità in Medio Oriente, in Africa e nell’Indo-Pacifico e in un mondo in cui l’obiettivo principale degli Stati Uniti è la pianificazione e la preparazione alla guerra nel teatro del Pacifico.

4. Soprattutto nel primo anno di guerra, c’è stata una reticenza da parte dei governi statunitensi ed europei a fornire all’Ucraina sistemi d’arma come carri armati, sistemi di difesa aerea e artiglieria? Quale impatto pensa che questo abbia avuto sul calcolo strategico russo nei primi due anni di guerra e su quello ucraino?

La riluttanza occidentale a fornire armi avanzate nel primo anno di guerra ha permesso alla Russia di riprendersi dai primi insuccessi sul campo di battaglia e di passare a una strategia di logoramento. Il ritardo segnalò a Mosca che l’Occidente era esitante e avverso al rischio, rafforzando la convinzione che il tempo fosse dalla parte della Russia.

Una volta arrivati, gli aiuti hanno contribuito a livellare il campo di gioco. I sistemi statunitensi ed europei sono stati essenziali per consentire all’Ucraina di distruggere l’hardware russo e di mantenere il terreno. Tuttavia, la Russia ha mantenuto i vantaggi nei domini aereo e marittimo, nelle capacità missilistiche e nella forza lavoro. L’Ucraina ha risposto con innovazioni pionieristiche nella guerra con i droni e nelle tattiche asimmetriche, sfruttando l’ingegno più che la forza bruta per neutralizzare la flotta russa del Mar Nero, eliminare quasi del tutto il supporto aereo ravvicinato russo e neutralizzare la più grande forza di veicoli corazzati della Russia. La Russia mantiene ancora dei vantaggi nel fuoco d’artiglieria, negli attacchi a lungo raggio e nei bombardamenti tattici, ma queste capacità non sono decisive sul piano operativo o strategico.

Oggi, mentre c’è quasi parità in molti settori convenzionali, l’Ucraina deve ancora affrontare gravi carenze nell’artiglieria, nelle difese aeree, nelle capacità di attacco di precisione e, soprattutto, nella manodopera. La guerra è diventata una prova di resistenza e l’incoerenza dell’Occidente ha reso questa prova molto più difficile per l’Ucraina di quanto fosse necessario.

5. Lei illustra le ragioni per cui la politica degli Stati Uniti prima del 2022 aveva un approccio “Russia-first”. Può spiegare gli elementi chiave di questa politica e perché le amministrazioni statunitensi l’hanno abbracciata?

“Russia First” ha significato trattare la sfera di influenza di Mosca come legittima e tollerare la sua coercizione sugli Stati vicini. Riflette una realpolitik dell’epoca della Guerra Fredda, che vede la stabilità attraverso la sconfitta piuttosto che la deterrenza.

Questa mentalità razionalizza il dominio russo in Asia centrale, nel Caucaso e nell’Europa orientale, regioni che gli Stati Uniti hanno spesso ceduto a Mosca per gestirle. Per molti a Washington, questa posizione sembrava ridurre il confronto e prevenire l’escalation. In pratica, però, ha rafforzato il Cremlino e demoralizzato i partner che cercano di stringere legami più stretti con l’Occidente.

La controffensiva di Kharkiv del 2022 ha illustrato questo schema. Dopo la svolta ucraina, Washington ha rallentato gli aiuti militari e si è orientata verso una politica di “escalation gestita”, apparentemente per evitare la provocazione nucleare. Questa risposta, dettata dalla sciabolata russa, è stata emblematica della logica errata alla base del Russia First: premiare il ricatto nucleare e minare le conquiste ucraine.

6. L’ovvia domanda successiva è la seguente: dal gennaio 2025, gli Stati Uniti sono tornati a una politica “Russia-first”?

Sì, e con maggiore intensità. Le precedenti amministrazioni hanno permesso alla Russia di agire passivamente. La seconda amministrazione Trump lo sta facendo attivamente. La visione del mondo di Trump riduce gli affari globali a una competizione tra grandi potenze – Russia, Cina e Stati Uniti – ignorando la sovranità e gli interessi degli Stati più piccoli.

L’abbandono dell’Ucraina, il disimpegno dagli alleati europei e il ritiro dal processo di pace non sono solo errori; sono scelte che servono direttamente gli interessi russi. Sebbene possa sembrare una rottura con la politica del passato, in realtà si tratta di una forte accelerazione della stessa logica errata che ha definito le relazioni tra Stati Uniti e Russia per decenni.

7. Quali sono le prospettive di un accordo di pace con la Russia?

Rimango profondamente scettico, ma non privo di speranza. È improbabile che si raggiunga un accordo di pace valido prima della metà del 2026. L’amministrazione Trump è apertamente solidale con la Russia e Mosca è comprensibilmente ansiosa di vedere fino a che punto questo allineamento può arrivare.

Dal punto di vista militare, entrambe le parti stanno andando verso l’esaurimento. Un processo di pace potrebbe emergere dopo un’altra stagione di campagna elettorale, quando i costi diventeranno insostenibili. Dal punto di vista politico, tuttavia, sia Kiev che Mosca rimangono intransigenti. Zelenskyy non può accettare un accordo che premi l’aggressione russa – cercando una soluzione simile allo status quo ante del febbraio 2022 – e Putin non mostra alcuna volontà di ridurre le sue richieste di eliminare la sovranità dell’Ucraina.

La forte riduzione degli aiuti statunitensi potrebbe costringere l’Ucraina a una posizione più difensiva, ma il sostegno europeo e la produzione interna potrebbero compensare in qualche misura questa situazione. La sfida critica è rappresentata dalla difesa aerea, dalla capacità di attacco a lungo raggio e dal rifornimento dell’artiglieria. La situazione non diventerà critica prima di molti mesi e soprattutto in una condizione di congelamento dell’assistenza statunitense alla sicurezza. La capacità dell’Ucraina e dell’Europa di mantenere la condivisione dell’intelligence e l’assistenza alla sicurezza da parte degli Stati Uniti, espandendo al contempo gli acquisti diretti e la produzione interna per l’Ucraina, fornisce una forza di resistenza che la Russia non ha.

Inoltre, l’Ucraina è alla ricerca di un accordo significativo con garanzie occidentali per impedire alla Russia di riarmarsi e attaccare qualche anno dopo. Per costruire il sostegno europeo a tale accordo ci vorrà più di un anno.

Finora la diplomazia ha evitato l’esito peggiore: il completo abbandono dell’Ucraina da parte dell’Occidente. È possibile che il continuo impegno ucraino e la disponibilità al compromesso, così come l’intransigenza di Putin, possano convincere l’amministrazione Trump a spostare la politica dalla Russia. In questo scenario, sarà fondamentale inquadrare Putin, e non Zelenskyy, come ostacolo alla pace.

Ma questo risultato dipende da un cambiamento fondamentale nel modo in cui l’amministrazione intende il potere, la deterrenza e i costi dell’acquiescenza.

*******

Questo è un libro eccezionale, che ho letto con grande piacere. Fornisce un quadro molto accessibile e ben informato delle basi storiche della guerra in corso in Ucraina, nonché delle impostazioni politiche statunitensi che attualmente ostacolano negoziati di pace efficaci.

È un libro importante che dovrebbe essere letto da politici, ufficiali militari e dirigenti d’azienda. Vindman ha fornito una chiara diagnosi di alcune delle numerose sfide che attualmente si pongono alla politica estera americana e ha raccomandato un percorso verso un approccio più efficace per le interazioni degli Stati Uniti con il mondo.

La follia del realismo è pubblicato da Public Affairs (parte di Hachette Book Group) ed è uscito il 25 febbraio 2025

Rassegna stampa tedesca 35 A cura di Gianpaolo Rosani

A proposito dell’AfD, sul settimanale maggiormente letto nei Länder orientali troviamo un articolo,
un sondaggio e un estratto della “perizia” dei servizi segreti. Vietare, ignorare, accettare? Dal muro
di separazione alla mozione di messa al bando: cosa pensa la gente della seconda forza politica
nel Bundestag tedesco. Ci sono più oppositori che sostenitori di un divieto dell’AfD, soprattutto
nella Germania orientale. La sinistra è più favorevole a un divieto, i conservatori sono più contrari.
È interessante notare che la maggioranza delle persone che si definiscono politicamente di sinistra
è favorevole a una procedura di divieto. La stragrande maggioranza delle persone che si collocano
politicamente a centro-destra è invece contraria.

22.05.2025
Estremismo di destra accertato!?
Una controversa perizia dei servizi segreti tedeschi ha riacceso il dibattito sul divieto dell’AfD. Ecco i fatti
per partecipare alla discussione e cosa ne pensano i tedeschi..
Il gruppo parlamentare CDU/CSU è diviso sul divieto

G. Praschl
In una democrazia liberale è lecito vietare i partiti politici? Anche se questi sono così radicali che, nel caso in
cui salissero al potere, abolirebbero proprio quella democrazia? Proseguire cliccando su:

WELT ha parlato con l’esperto militare austriaco Gustav Gressel delle prospettive dei negoziati e
della minaccia che la Russia rappresenta per l’Europa. Gli europei sono completamente
impreparati. Dal 2022 non si sono preparati a sostenere una guerra più lunga. E non si sono
preparati nemmeno a Donald Trump. Ma non è ancora chiaro in che modo gli americani si
ritireranno. Se gli europei e l’Ucraina avranno ancora la possibilità di acquistare le armi di cui
hanno urgentemente bisogno, sarà più facile gestire il ritiro rispetto a un embargo sulle forniture da
parte degli americani.

22.05.2025
“L’Europa è la seconda linea di fuoco”
Il Cremlino conta sul fatto di poter sostituire meglio di Kiev le perdite subite nella guerra di logoramento,
afferma l’esperto militare Gressel, che sta già valutando ulteriori possibilità di attacco

DI STEFAN SCHOCHER
Gli sforzi di pace per l’Ucraina non hanno portato a risultati tangibili negli ultimi tempi. Mentre martedì gli
Stati dell’UE hanno messo in atto nuove sanzioni contro la Russia per aumentare la pressione, il presidente
degli Stati Uniti Donald Trump ha usato toni cauti dopo la sua telefonata con Vladimir Putin. Nel frattempo,
l’Ucraina è sempre più sotto pressione sul fronte. Proseguire cliccando su:

Il cancelliere Friedrich Merz e il ministro della Difesa Boris Pistorius si sono recati insieme a Vilnius
per l’appello di formazione della nuova brigata dell’esercito tedesco. Si tratta del primo
dispiegamento permanente di truppe tedesche all’estero. Entro il 2027 dovrebbero arrivare 5000
soldati. Il loro compito: assistere il partner in caso di alleanza. In Lituania, l’esercito tedesco
monitora già circa 70 canali sui social network in cui viene diffusa disinformazione russa per creare
una frattura tra la popolazione e l’esercito tedesco. Entro la fine dell’anno dovrebbero essere
presenti 500 soldati dell’esercito tedesco, entro la fine del 2026 circa 2000 e nel 2027 saranno
5000.

23.05.2025
Esercito tedesco in Lituania

I suoni di una nuova era
A 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, i comandi dei soldati tedeschi risuonano
nuovamente a Vilnius: è la prima parata della brigata dell’esercito tedesco che dovrà aiutare la Lituania,
alleata della NATO, a prevenire le aggressioni russe.
Di Georg Ismar Proseguire cliccando su:

Il cancelliere federale Friedrich Merz (CDU) ha passato in rassegna la brigata tedesca in Lituania,
il primo grande contingente dell’esercito tedesco di stanza in modo permanente all’estero. Un
segnale ai partner, un segnale alla Russia. “Proprio qui, lituani e tedeschi insieme”, dice Merz poco
dopo dal podio, “dimostriamo che siamo pronti a difendere la libertà dell’Europa contro qualsiasi
aggressore”. Il nuovo governo federale e il nuovo cancelliere parlano molto di assumersi maggiori
responsabilità in politica estera e di voler dare prova di leadership.

23.05.2025
La protezione di Vilnius, la protezione di Berlino
Merz vuole dimostrare determinazione durante l’appello della brigata lituana
Di Peter Carstens, Berlino, e Matthias Wyssuwa, Vilnius
Intorno alla piazza della cattedrale, nel cuore di Vilnius, l’esercito tedesco ha schierato carri armati e
artiglieria, e in Lituania la gioia è grande. Proseguire cliccando su:

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (CDU), in accordo con i suoi omologhi stranieri, lo ha
espresso in modo più chiaro di qualsiasi altro capo di Stato occidentale prima di lui. “Non ci sono
più restrizioni di portata per le armi fornite all’Ucraina, né da parte britannica, né da parte francese,
né da parte nostra, né da parte americana”, ha dichiarato lunedì durante il Forum europeo della
WDR. Qualsiasi limitazione alla gittata delle armi occidentali destinate all’Ucraina è quindi fuori
discussione. La politologa Claudia Major mette in guardia con urgenza da una “pace sporca” nella
guerra in Ucraina, anche nell’interesse della Germania: “è nel nostro interesse normativo, di
sicurezza e economico che la Russia non vinca questa guerra”.


28.05.2025
Merz difende l’autorizzazione all’uso di armi pesanti
L’Ucraina ha il diritto di utilizzarle contro il territorio russo. Il cancelliere prevede una guerra lunga

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (CDU) vede attualmente poche possibilità di una rapida fine dei
combattimenti in Ucraina. Proseguire cliccando su:

Gaza: Netanyahu tra isolamento e ipocrisie_Con Roberto Iannuzzi

Nell’alternarsi di incontri e trattative continua la pressione distruttiva e tragica di Israele su Gaza. Dalle ceneri, come un’araba fenice, Hamas sembra risorgere dai colpi costanti di IDF. Gli attacchi e l’assedio alla popolazione civile sono l’arma totale che Netanyahu intende utilizzare per risolvere il conflitto e allargare la presenza di Israele. Una ferocia insostenibile agli occhi dei suoi stessi alleati più stretti in un Medio Oriente nel quale il ruolo di Israele rischia sempre più il ridimensionamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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La fine del neoconservatorismo, di Peter van Buren

La fine del neoconservatorismo

Trump sta tracciando una nuova strada per la politica estera americana.

Peter van Buren

Peter Van Buren

26 maggio 202512:05

In quello che può essere definito un discorso di vittoria sulla fallimentare politica estera neoconservatrice, il presidente Donald Trump ha proclamato la fine di circa 30 anni di politica estera nel Medio Oriente. L’ideologia che ha trascinato gli Stati Uniti in guerre inutili, dalla Libia allo Yemen, è ora morta.A una conferenza sugli investimenti a Riyadh, in un discorso poco commentato dai media mainstream, Trump ha detto: “Alla fine, i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite. E gli interventisti [sic] intervenivano in società complesse che nemmeno capivano”.Per la prima volta dalla prima guerra del Golfo negli anni ’90, l’America non sta combattendo in Medio Oriente. Trump ha organizzato un fragile cessate il fuoco con lo Yemen, dove più presidenti americani hanno condotto una guerra per procura contro l’Iran. Trump sta ritirando le truppe americane dalla Siria, è diventato il primo presidente americano in 25 anni a incontrare un leader siriano e ha annunciato, insieme al suo discorso, la fine delle sanzioni contro quel Paese. Sta finalmente negoziando con l’Iran per raggiungere una sorta di accordo nucleare che sostituisca quello che ha unilateralmente cancellato nel suo primo mandato. Il progresso non è sempre stato in linea retta, ma c’è stato.
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SOSTEGNO ALLA TAC
Basta guardare agli ultimi decenni per rendersi conto della differenza. Un tempo gli Stati Uniti sostenevano apertamente Saddam Hussein nella sua guerra contro l’Iran, causando migliaia di morti da entrambe le parti. Nel 1991, dopo l’invasione del Kuwait da parte di Saddam, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. L’Arabia Saudita era minacciata, salvata dalla guerra dall’intervento statunitense grazie alle sue riserve di petrolio, da cui gli Stati Uniti dipendevano a quel punto completamente. Negli spasmi neocon successivi all’11 settembre, l’America ha invaso l’Afghanistan e l’Iraq, lanciando un piano di nation-building in entrambi i Paesi per sostituire i governi nazionali con Stati fantoccio americani e le tradizioni islamiche locali con idee occidentali sulle donne e sulla società.Queste azioni di nation-building hanno dato sostegno agli avvertimenti lanciati da Al Qaeda e dall’ISIS, secondo cui l’Occidente cercava di castrare l’Islam e di trasformare il Medio Oriente in una parte di un nuovo impero globale. Circolavano voci che alle truppe americane in Iraq fossero state fornite mappe del confine siriano in vista dei piani per far sì che, dopo la “conquista” dell’Iraq, le massicce forze armate si dirigessero a ovest verso la Siria e il Libano. La guerra ha portato l’Iran a combattere, le truppe statunitensi sono state dispiegate in Siria, i turchi hanno minacciato l’invasione e l’intervento russo ha complicato la lotta. L’ISIS è sorto al posto di Al Qaeda. Gli Stati Uniti hanno iniziato una guerra in Libia, rovesciando un altro governo brutto ma stabile, portando al caos che continua ancora oggi. L’Europa è stata investita da un flusso massiccio di rifugiati. Lo Yemen si è dissolto nell’anarchia e nella guerra civile. La guerra afghana ha minacciato di estendersi al Pakistan.Anche se i numeri reali non potranno mai essere conosciuti, il Costs of War Project stima che oltre 940.000 persone siano morte direttamente a causa della violenza dovuta alla politica estera americana nelle guerre post 11 settembre in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria e Yemen. Altri 3,6-3,8 milioni di persone sono morte indirettamente a causa di fattori quali la malnutrizione, le malattie e il crollo dei sistemi sanitari legati a questi conflitti. Il bilancio totale delle vittime, comprese quelle dirette e indirette, è stimato tra i 4,5 e i 4,7 milioni. Il Costs of War Project sottolinea anche il significativo sfollamento causato da questi conflitti, con una stima di 38 milioni di persone sfollate dal 2001. Circa 7.000 membri del servizio militare statunitense sono morti. Il Progetto stima che le guerre siano costate agli Stati Uniti oltre 8.000 miliardi di dollari. Oggi l’Afghanistan è di nuovo governato dai Talebani, l’Iraq da procuratori iraniani. La costruzione della nazione è stata un completo fallimento. La più ampia politica interventista neoconservatrice è fallita.In effetti, la migliore sintesi della politica decennale dell’America in Medio Oriente è quella di Trump.Le parole sono facili, le azioni spesso molto più difficili. Qual è il prossimo passo? Trump ha espresso il suo “fervido desiderio” che l’Arabia Saudita segua i suoi vicini, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, nel riconoscere Israele. Ha detto che è in vista un accordo nucleare con l’Iran, aggiungendo che “non ha mai creduto di avere nemici permanenti”. Entrambe sono richieste difficili.Ma in un segno di quello che potrebbe essere il cambiamento più significativo accanto alla nuova politica estera, Trump ha incontrato il nuovo leader della Siria, Ahmed al-Sharaa, un ex jihadista di Al Qaeda (si fa pace con i nemici, non con gli amici) che ha guidato un’alleanza di ribelli che ha spodestato Bashar al-Assad. Trump ha posato per una foto con al-Sharaa e il principe ereditario saudita che “ha fatto cadere le mascelle nella regione e oltre”.”Negli ultimi anni, troppi presidenti americani sono stati afflitti dall’idea che sia nostro compito guardare nell’anima dei leader stranieri e usare la politica statunitense per dispensare giustizia per i loro peccati”, ha aggiunto Trump a sostegno del suo crescente realpolitik approccio.La Siria è ora a un bivio. La fine delle sanzioni darà al Paese la prima possibilità di respiro economico in 14 anni. Al-Sharaa ha invitato le compagnie energetiche americane a sfruttare il petrolio siriano. Ma la palla è ancora nel campo siriano. La Siria deve decidere se rifiutare il sostegno dei terroristi iraniani e smettere di fornire un rifugio sicuro a questi combattenti. I leader del Golfo si sono schierati a favore del nuovo governo di Damasco e vogliono che Trump faccia lo stesso, ritenendolo un baluardo contro l’influenza iraniana. Gli Stati Uniti faranno pressione affinché la Siria riduca i suoi legami con la Russia e smantelli le basi e le enclavi russe presenti sul territorio. Sebbene al-Sharaa abbia confermato il suo impegno nei confronti dell’accordo di disimpegno con Israele del 1974, Trump cercherà senza dubbio il suo sostegno agli accordi di Abraham. Vorrà anche che la Siria si assuma la responsabilità dei centri di detenzione dell’ISIS nel nord-est della Siria.C’è molto di cui parlare e molti passi difficili da compiere, ma un inizio è un inizio. Con Trump che ha chiarito che gli obiettivi di promozione dei diritti umani, costruzione della nazione e promozione della democrazia sono stati sostituiti da un’enfasi pragmatica sulla prosperità e la stabilità regionale, la Siria ha la sua apertura. “Sono disposto a porre fine ai conflitti del passato e a creare nuove partnership per un mondo migliore e più stabile, anche se le nostre differenze possono essere profonde”, ha dichiarato Trump.
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Golden Dome: Lo scudo missilistico statunitense che potrebbe scatenare una corsa agli armamenti, di Horizon Geopolitics

Cupola d’oro: Lo scudo missilistico statunitense che potrebbe scatenare una corsa agli armamenti

Scoprite come lo scudo missilistico spaziale americano potrebbe rimodellare la deterrenza, sconvolgere le alleanze e ridefinire la sicurezza nell’era della guerra orbitale.

28 maggio 2025

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Oil painting of Donald Trump generating a glowing energy shield with his outstretched hand, intercepting incoming missiles in a dark, storm-filled sky. Trump stands resolute in a blue suit and red tie, surrounded by fiery projectile trails, symbolizing a dramatic, high-stakes defense moment in a militarized, futuristic setting.

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Riassunto

  • La Cupola d’Oro segna un salto strategico, ridefinendo la deterrenza da punizione di ritorsione a negazione impenetrabile, rimodellando i presupposti fondamentali della stabilità nucleare.
  • Attraverso una costellazione stratificata di sistemi spaziali e terrestri, l’iniziativa mira all’intercettazione missilistica globale in tempo reale, trasformando la geografia orbitale in terreno strategico.
  • Saturando l’orbita terrestre bassa con satelliti a doppio uso, gli Stati Uniti spostano lo spazio da un dominio di supporto passivo a uno spazio di battaglia attivo, affermando il controllo attraverso la presenza, non la proprietà.
  • L’ambizione del sistema catalizza una corsa agli armamenti nella logica e nella capacità, dove l’innovazione della difesa stimola l’escalation offensiva (dall’ipersonica alla guerra cibernetica).
  • La Cupola d’Oro potrebbe essere un colpo di genio di depistaggio strategico, che riecheggia i libri di gioco della Guerra Fredda, provocando una diversione delle risorse e mascherando al contempo ambizioni offensive più profonde.
  • La fiducia degli alleati è messa a dura prova dal fatto che l’attenzione alla patria solleva questioni di esclusione, destabilizzando potenzialmente le coalizioni globali e spingendo i partner a rivalutare la credibilità delle garanzie di deterrenza degli Stati Uniti.

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Il potere nel sistema internazionale non si esercita mai nel vuoto, ma è plasmato dai vincoli e dalle opportunità che si presentano nella geografia, nella capacità materiale e, sempre più spesso, nell’architettura spaziale dell’ambiente orbitale della Terra. L’annuncio del maggio 2025annuncio del maggio 2025dellaCupola d’oro, un’iniziativa proposta dagli Stati Uniti per la difesa missilistica interna, non è stata semplicemente una pietra miliare tecnologica. Piuttosto, ha segnato un tentativo deliberato di ristrutturare le basi strategiche della sicurezza americana, proiettando l’influenza in un dominio che rimane in gran parte non regolamentato: lo spazio vicino alla Terra.

L’obiettivo dichiarato della Golden Dome è quello di consentire l’intercettazione dei missili in arrivo in varie fasi della loro traiettoria, utilizzando una rete distribuita di tecnologie orbitali e terrestri. Ma, a un livello più profondo, l’iniziativa rappresenta un cambiamento tettonico: una transizione dalla deterrenza per punizione (basata sulla capacità di ritorsione) alla deterrenza per negazione (basata sull’impenetrabilità). Se avesse successo, il progetto sfiderebbe la logica di lunga data della vulnerabilità reciproca che ha stabilizzato le relazioni nucleari fin dalla Guerra Fredda. Anche nella sua fase di sviluppo, la Cupola d’Oro ha iniziato a influenzare le percezioni strategiche, costringendo avversari e alleati a rivedere le ipotesi di base sulla minaccia, la sicurezza e la natura della deterrenza credibile.


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L’architettura di una rete globale di difesa missilistica

L’architetturaarchitettura previstadella Cupola d’Oro è ambiziosa sia dal punto di vista verticale che strutturale. Propone una rete di difesa multistrato in grado di intercettare le minacce durante le fasi di spinta, di medio corso e terminale del volo missilistico. Si tratta di un sistema strettamente integrato di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO), stazioni radar terrestri, piattaforme a energia diretta e intercettori cinetici. Ogni nodo di questa rete è progettato per svolgere una duplice funzione: come sensore per rilevare i proiettili in arrivo e come piattaforma per neutralizzarli.

L’uso di satelliti LEO introduce sia vantaggi strategici che sfide ingegneristiche. Questi satelliti seguono percorsi orbitali prevedibili, consentendo un’ampia copertura di sorveglianza ma richiedendo un coordinamento preciso per un impegno efficace. Poiché i satelliti non possono soffermarsi su obiettivi specifici, la copertura deve essere fornita attraverso una costellazione densa e sincronizzata. Per garantire una difesa globale continua, quindi, sono necessarie migliaia di nodi resilienti e interoperabili.

Tuttavia, la scala e la complessità di questa architettura introducono un paradosso strutturale. Un sistema di difesa progettato per essere completo diventa anche un ambiente ricco di bersagli. Un avversario potrebbe disattivare un sottoinsieme critico di satelliti o sfruttare lacune nella tempistica e nella copertura. In questo senso, l’innovazione della Cupola d’Oro non risiede in una singola scoperta, ma nel tentativo di integrare sistemi diversi in una strategia di difesa globale e coerente che opera in tempo reale in più domini.

Illustration of Earth's Low Earth Orbit (LEO) and Very Low Earth Orbit (VLEO) zones, depicting satellite trajectories at altitudes of 450 km, 1000 km, and 2000 km above Earth. The diagram highlights the "most used" satellite range within LEO and distinguishes VLEO beginning just above the 100 km atmospheric boundary. A vertical marker labeled “Radiation” suggests increased radiation levels with altitude. The Earth is shown with satellite paths encircling it, emphasizing the orbital layers used for satellite deployment.

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Come la presenza orbitale modella il controllo strategico nello spazio

Nel dominio spaziale emergente, la territorialità si esprime attraverso la presenza, l’accesso e il posizionamento orbitale. La Cupola d’Oro rappresenta l’inizio di un cambiamento nel modo in cui gli Stati affermano la loro influenza nello spazio: non attraverso la proprietà formale, che il diritto internazionale vieta, ma attraverso un’attività persistente, una copertura di sorveglianza e la capacità di negare ad altri l’accesso a specifici corridoi orbitali.

La LEO è particolarmente adatta a questa strategia. Permette comunicazioni veloci e a bassa latenza e la sua vicinanza alla Terra la rende una piattaforma ideale per l’intercettazione. Tuttavia, la stessa fisica che consente questi vantaggi impone anche dei vincoli. I percorsi orbitali sono fissi, i tempi sono prevedibili e le lacune di copertura possono essere sfruttate. Questo rende il concetto di “punti di strozzatura orbitali“, non solo teorici ma anche operativamente significativi.

Saturando LEO con satelliti a doppio uso che combinano funzioni di sorveglianza e intercettazione, gli Stati Uniti segnalano la loro intenzione di trasformare la geografia orbitale in una forma di terreno strategico. Questo trasforma lo spazio da ambiente di supporto a campo di battaglia attivo. Le linee di controllo non sono tracciate sulle mappe, ma lungo vettori e traiettorie.


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Gli scudi missilistici e la logica della corsa agli armamenti

L’innovazione strategica non avviene in modo isolato. In un sistema internazionale definito dall’interdipendenza e dalla rivalità, la ricerca dell’invulnerabilità di uno Stato diventa il catalizzatore dell’adattamento di un altro. La semplice prospettiva di uno scudo missilistico statunitense funzionale ha già iniziato a scardinare i presupposti su cui si basa la stabilità nucleare globale.

Per i concorrenti quasi-peer comeCinaeRussiaLa Cupola d’Oro non è vista come un concetto passivo o difensivo, ma è interpretata come un tentativo di minare la distruzione reciproca assicurata, il principio strategico secondo cui nessuna parte può lanciare un attacco nucleare senza invitare all’annientamento in cambio. Se si ritiene che gli Stati Uniti si stiano isolando dalle ritorsioni, altri Stati possono rispondere in modo preventivo, cercando di aggirare o saturare lo scudo.

Queste contromisure assumono molte forme: lo sviluppo diveicoli di planata ipersoniciche eludono il tracciamento convenzionale, la diversificazione delle piattaforme di lancio per aumentare la ridondanza e l’impiego di armi orbitali o di sistemi di lancio stealth. Parallelamente, gli avversari possono investire in capacità cibernetiche offensive che mirano alle reti di comando e controllo alla base dello scudo, o sfruttare l’intelligenza artificiale per migliorare la precisione del primo colpo. Il risultato è una corsa agli armamenti non solo nell’hardware, ma anche nella logica strategica, un ciclo destabilizzante in cui la difesa genera l’offesa e la resilienza è perseguita attraverso l’escalation.


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La Cupola d’oro come illusione strategica

In questo contesto, la Cupola d’Oro può essere tanto una provocazione quanto una protezione. La sua vera funzione non è solo quella di intercettare i missili, ma anche quella di plasmare il comportamento degli avversari attraverso il depistaggio. Le sue dimensioni, la sua visibilità e il suo inquadramento retorico evocano analogie storiche, in particolare l’Iniziativa di Difesa Strategica.Iniziativa di Difesa Strategicadegli anni ’80, che ha catalizzato la diversione delle risorse sovietiche senza mai raggiungere il pieno dispiegamento. La Cupola d’Oro potrebbe riproporre questo copione nel XXI secolo, presentando un fronte formidabile per costringere gli avversari a reagire in modo eccessivo.

Ogni satellite lanciato nell’ambito del programma Golden Dome introduce un’ambiguità. È un sensore, un’esca o un intercettore cinetico? È un’infrastruttura difensiva o un preludio a un’azione offensiva? L’ambiguità funziona come un’arma cognitiva, costringendo gli avversari a proteggersi da molteplici possibilità. Il costo per contrastare l’ignoto spesso supera il costo di costruzione del sistema stesso.

Inoltre, l’importanza del sistema può servire a oscurare sviluppi più silenziosi nelle capacità spaziali offensive. Mentre gli avversari si preoccupano di saturare o aggirare la Cupola, gli Stati Uniti potrebbero costruire strumenti per rendere irrilevanti i loro sforzi.

La Golden Dome non è quindi una semplice struttura difensiva, ma una mossa visibile e deliberata, progettata per provocare una serie specifica di reazioni, nascondendo al contempo intenzioni strategiche più profonde. In modo ancora più significativo, distorce la pianificazione avversaria, reindirizza gli investimenti tecnologici e fa guadagnare tempo agli Stati Uniti per modellare il terreno strategico da una posizione di calcolata ambiguità.

President Ronald Reagan sits at the Oval Office desk reviewing documents beneath a prominently displayed emblem of the Strategic Defense Initiative (SDI), also known as "Star Wars." Behind him, a screen labeled "Soviet MIGs - System Chart" references Cold War-era surveillance, while above, an artist's depiction of satellite-based missile defense technology dramatizes the futuristic vision of space-based weapon systems designed to intercept Soviet nuclear threats.
Il Presidente Ronald Reagan presenta l’Iniziativa di Difesa Strategica (SDI), notoriamente soprannominata “Guerre Stellari”. Centrata su sistemi avanzati di difesa missilistica che utilizzavano tecnologia satellitare, laser e intercettori spaziali, la SDI mirava a proteggere gli Stati Uniti dagli attacchi nucleari sovietici.

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La difesa missilistica e la pressione sulle alleanze statunitensi

La difesa missilistica, in particolare quando si concentra sulla protezione della patria, solleva questioni fondamentali sulla credibilità delle alleanze. La Cupola d’Oro, enfatizzando l’invulnerabilità americana, rischia di alterare la simmetria percepita delle garanzie di deterrenza all’interno delle alleanze guidate dagli Stati Uniti. Se gli alleati credono che gli Stati Uniti stiano costruendo uno scudo principalmente per se stessi, potrebbero dubitare che Washington rischierebbe di essere richiamata per loro.

Per gli Stati che possono essere inclusi nel sistema, attraverso la cooperazione tecnologica o la copertura condivisa, l’iniziativa offre rassicurazione e accesso privilegiato. Ma per gli altri esclusi dal suo ambito di applicazione, può apparire come un segnale di abbandono o di spostamento delle priorità. Il risultato è quello che si potrebbe definire l’elasticità dell’alleanza: un allungamento della coesione strategica, in cui i partner iniziano a coprirsi, a diversificare o a cercare accordi di sicurezza alternativi.

Questo ha conseguenze reali. La copertura strategica potrebbe assumere la forma di programmi di difesa missilistica interni, lo sviluppo di deterrenti nucleari indipendenti o l’approfondimento dei legami con le potenze rivali. Ogni mossa mina sottilmente la coesione dell’alleanza. E poiché la deterrenza estesa è fondamentalmente psicologica, basata sulla convinzione che un attacco a uno è un attacco a tutti, la percezione di una disuguaglianza nella protezione può diventare autoavverante.

La “transizione” verso un nuovo ordine mondiale è al di là della maggior parte dell’Occidente, di Alastair Crooke

La “transizione” verso un nuovo ordine mondiale è al di là della maggior parte dell’Occidente

Alastair Crooke, 15 maggio 2025

Forum sui conflitti

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15 maggio 2025

Anche la necessità di una transizione, tanto per essere chiari, ha appena iniziato a essere riconosciuta.riconosciutonegli Stati Uniti.

Per la leadership europea, tuttavia, e per i beneficiari della finanziarizzazione che si lamentano altezzosamente della “tempesta” scatenata incautamente da Trump sul mondo, le sue tesi economiche di base vengono ridicolizzate come bizzarre nozioni completamente avulse dalla “realtà” economica.

Questo è completamente falso.

Infatti, come sottolinea l’economista greco Yanis VaroufakissottolineaLa realtà della situazione occidentale e la necessità di una transizione sono state chiaramente indicate da Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve, già nel 2005.

Il duro “fatto” del paradigma economico globalista liberale era evidente già allora:

“Ciò che tiene insieme il sistema globalista è un massiccio e crescente flusso di capitali dall’estero, che ammonta a più di 2 miliardi di dollari ogni giorno lavorativo – e cresce. Non c’è alcun senso di tensione. Come nazione non chiediamo consapevolmente prestiti o elemosine. Non offriamo nemmeno tassi di interesse interessanti, né dobbiamo offrire ai nostri creditori protezione contro il rischio di un dollaro in declino”.

“Per noi è tutto abbastanza comodo. Riempiamo i nostri negozi e garage di merci provenienti dall’estero, e la concorrenza è stata un potente freno ai nostri prezzi interni. Ha sicuramente contribuito a mantenere i tassi di interesse eccezionalmente bassi, nonostante la scomparsa dei nostri risparmi e la rapida crescita”.

“Ed è stato comodo anche per i nostri partner commerciali e per coloro che forniscono i capitali. Alcuni, come la Cina [e l’Europa, in particolare la Germania], sono dipesi fortemente dall’espansione dei nostri mercati interni. E per la maggior parte, le banche centrali dei paesi emergenti sono state disposte a detenere sempre più dollari, che sono, dopo tutto, la cosa più vicina a una valuta veramente internazionale”.

Il problema è che questo modello apparentemente confortevole non può andare avanti all’infinito”..

Precisamente. E Trump è in procinto di far saltare il sistema commerciale mondiale per risistemarlo. I liberali occidentali, che oggi digrignano i denti e lamentano l’avvento dell'”economia trumpiana”, stanno semplicemente negando che Trump ha almenoriconosciutola realtà americana più importante, ovvero che il modellomodello non può andare avanti all’infinitoe che il consumismo guidato dal debito ha superato la sua data di scadenza.

Ricordiamo che la maggior parte dei partecipanti al sistema finanziario occidentale non ha conosciuto altro che il “mondo confortevole” di Volcker per tutta la vita. Non c’è da stupirsi che abbiano difficoltà a pensare al di fuori della loro replica sigillata.

Questo non significa, ovviamente, che la soluzione di Trump al problema funzionerà. Forse la particolare forma di riequilibrio strutturale di Trump potrebbe peggiorare la situazione.

Tuttavia, una qualche forma di ristrutturazione è chiaramente inevitabile. Si tratta altrimenti di scegliere tra una bancarotta lenta o veloce e disordinata.

Il sistema globalista guidato dal dollaro ha funzionato bene all’inizio, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno esportato la loro sovraccapacità manifatturiera del secondo dopoguerra verso un’Europa appena dollarizzata, che ha consumato il surplus. E anche l’Europa ha goduto del vantaggio di avere il suo ambiente macroeconomico (modelli guidati dalle esportazioni, garantiti dal mercato statunitense).

La crisi attuale, tuttavia, è iniziata quando il paradigma si è invertito: quando gli Stati Uniti sono entrati nell’era dei deficit di bilancio strutturali insostenibili e quando la finanziarizzazione ha portato Wall Street a costruire la sua piramide rovesciata di “attività” derivate, che poggia su un minuscolo perno di attività reali.

La crisi degli squilibri strutturali è già abbastanza grave. Ma la crisi geostrategica dell’Occidente è molto più profonda della semplice contraddizione strutturale dei flussi di capitale verso l’interno e di un dollaro “forte” che sta divorando il cuore del settore manifatturiero statunitense. Perché è legata anche al concomitante crollo delle ideologie di base del globalismo liberale.

È a causa di questa profonda devozione occidentale all’ideologia (oltre che al “conforto” di Volker fornito dal sistema) che si è scatenato un tale fiume di rabbia e di vera e propria derisione nei confronti dei piani di “riequilibrio” di Trump. Quasi nessun economista occidentale ha una parola buona da dire, eppure non viene offerto alcun quadro alternativo plausibile. La loro passione nei confronti di Trump sottolinea semplicemente che anche la teoria economica occidentale è fallita.

Vale a dire che la crisi geostrategica più profonda dell’Occidente consiste sia nel crollo dell’ideologia archetipica sia in un ordine di élite paralitico.

Per trent’anni Wall Street ha venduto una fantasia (il debito non contava)… e quell’illusione si è appena infranta.

Sì, alcuni capiscono che il paradigma economico occidentale del consumismo iperfinanziarizzato e guidato dal debito ha fatto il suo corso e che il cambiamento è inevitabile. Ma l’Occidente è così fortemente investito nel modello economico “anglosassone” che, per la maggior parte, gli economisti rimangono paralizzati nella ragnatela. Non c’è alternativa (TINA) è la frase d’ordinanza.

La spina dorsale ideologica del modello economico statunitense è costituita in primo luogo dal libro di Friedrich von HayekLa via della servitùche era inteso nel senso chequalsiasiqualsiasi coinvolgimento del governo nella gestione dell’economia era una violazione della “libertà” ed equivaleva al socialismo. In secondo luogo, in seguito all’unione hayekiana con la Scuola di Chicago del Monetarismo nella persona di Milton Friedman, che avrebbe scritto l'”edizione americana” diLa strada per la servitù(che (ironia della sorte) è stato chiamatoCapitalismo e Libertà),l’archetipo è stato definito.

L’economista Philip Pilkingtonscriveche l’illusione di Hayek che i mercati equivalgano a “libertà” e siano quindi in sintonia con la corrente libertaria americana profondamente radicata“si è diffusa al punto da saturare completamente ogni discorso”:

“In una società educata e in pubblico, si può essere di destra o di sinistra, ma si deve sempre essere, in qualche forma, neoliberali, altrimenti non si può accedere al discorso”.

“Ogni Paese può avere le sue peculiarità… ma in linea di massima seguono uno schema simile: il neoliberismo guidato dal debito è, prima di tutto, una teoria su come riprogettare lo Stato per garantire il successo dei mercati – e del suo partecipante più importante: le moderne imprese”.

Ecco quindi il punto fondamentale: La crisi del globalismo liberale non è solo una questione di riequilibrio di una struttura in crisi. Lo squilibrio è comunque inevitabile se tutte le economie perseguono in modo simile, tutte insieme, tutte insieme, il modello anglosassone “aperto” guidato dalle esportazioni.

No, il problema più grande è che è crollato anche il mito archetipico degli individui (e degli oligarchi) che perseguono la massimizzazione della propria utilità individuale e separata – grazie alla mano nascosta della magia del mercato – e che, in aggregato, i loro sforzi combinati andranno a beneficio della comunità nel suo complesso (Adam Smith).

In effetti, l’ideologia a cui l’Occidente si aggrappa così tenacemente – che la motivazione umana sia utilitaristica (e solo utilitaristica) – è un’illusione. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell’utilità esclude a priori la mappatura del mondo reale, rendendo così la teoria non verificabile.

Paradossalmente, Trump è tuttavia il capo di tutti i massimizzatori utilitaristici! È dunque il profeta di un ritorno all’epoca dei magnati americani spavaldi del XIX secolo o è l’adepto di un ripensamento più radicale?

In parole povere, l’Occidente non può passare a una struttura economica alternativa (come un modello “chiuso”, a circolazione interna) proprio perché è così fortemente investito ideologicamente nelle basi filosofiche di quella attuale, che mettere in discussione quelle radici sembra equivalere a un tradimento dei valori europei e dei valori libertari fondamentali dell’America (tratti dalla Rivoluzione francese).

La realtà è che oggi la visione occidentale dei suoi pretesi “valori” ateniesi è screditata come la sua teoria economica nel resto del mondo, così come tra una fetta significativa della sua popolazione arrabbiata e disaffezionata!

La conclusione è quindi questa: Non guardate alle élite europee per avere una visione coerente dell’ordine mondiale emergente. Esse sono al collasso e sono occupate a cercare di salvare se stesse in mezzo allo sgretolamento della sfera occidentale e alla paura di una punizione da parte dei loro elettori.

Questa nuova era segna tuttavia anche la fine della “vecchia politica”: Le etichette rosso/blu, destra/sinistra perdono di importanza. Si stanno già formando nuove identità e raggruppamenti politici, anche se i loro contorni non sono ancora definiti.

Kashmir 2025: La Scacchiera Geopolitica dove si sussurra in Cinese, di Cesare Semovigo

Kashmir 2025: La Scacchiera Geopolitica dove si sussurra in Cinese

Cesare Semovigo

italiaeilmondo.com

L’attentato di Pahalgam e l’Operazione Sindoor hanno riacceso le tensioni nucleari, con la Cina che sostiene il Pakistan, gli USA che mediano un fragile cessate il fuoco . Un’analisi OSINT delle dinamiche militari, economiche e diplomatiche.

Il 22 aprile 2025, un attentato terroristico a Pahalgam, Kashmir, ha ucciso 26 civili, innescando un’escalation militare tra India e Pakistan senza precedenti negli ultimi vent’anni. L’India ha risposto con l’Operazione Sindoor (6-7 maggio 2025), colpendo siti terroristici in Pakistan, mentre il Pakistan ha contrattaccato con missili e droni, intensificando le ostilità. Entrambi i paesi, potenze nucleari, hanno mantenuto una postura aggressiva, con la Cina che sostiene il Pakistan, gli Stati Uniti che mediano un cessate il fuoco e il Regno Unito che si offre come diplomatico neutrale. Sullo sfondo, lo spostamento della produzione di iPhone da parte di Apple in India ridefinisce le dinamiche economiche, complicando le relazioni con Pechino. Questo articolo, basato su fonti OSINT e integrando i testi forniti, analizza il conflitto, il ruolo degli attori internazionali e le implicazioni strategiche, con un focus su dati militari e geopolitici.

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Rafale Indiano

Il conflitto indo-pakistano sul Kashmir ha radici nella partizione del 1947, che ha lasciato il controllo della regione conteso tra India e Pakistan. Tre guerre (1947-1949, 1965, 1971) e il conflitto di Kargil (1999) non hanno risolto la disputa, con la Linea di Controllo (LoC) che separa il Kashmir amministrato dall’India (Jammu e Kashmir) da quello pakistano (Azad Kashmir e Gilgit-Baltistan)[^1]. Entrambi i paesi sono potenze nucleari, con l’India che possiede circa 164 testate e il Pakistan circa 170, secondo SIPRI 2023[^2].

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I Clan tribali delle zone di confine , riuniti duranti I giorni dell’escalation in Pakistan

L’attentato di Pahalgam, avvenuto il 22 aprile 2025 nella valle di Baisaran, ha ucciso 26 civili, principalmente turisti, ed è stato attribuito dall’India a Jaish-e-Mohammed, con legami al Pakistan. I dettagli includono:

Luogo: Anantnag, Jammu e Kashmir.

– Armi: AK-47, M4 carbine.

– Vittime: 26 morti (25 turisti, 1 operatore locale), 20 feriti.

– Perpetratori: 5 militanti, inizialmente rivendicato da The Resistance Front (TRF), poi negato[^3].

Timeline L’India ha risposto con l’Operazione Sindoor (6-7 maggio 2025), colpendo nove siti in Pakistan e Azad Kashmir, causando 34-38 morti (26-31 civili pakistani, 8-15 militari indiani) e danni a infrastrutture come la centrale idroelettrica Neelum Jhelum. Il Pakistan ha denunciato attacchi su aree civili, mentre l’India ha sostenuto la precisione dei raid contro campi terroristici[^4]. Il contrattacco pakistano del 9-10 maggio 2025 ha colpito basi indiane, con almeno 10 morti civili e danni vicino ad Amritsar e Srinagar[^5]

Ruolo della Cina: Il Supporto Militare e Intelligence

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La Cina, alleata strategica del Pakistan, ha fornito supporto materiale e narrativo, ma ha evitato un ruolo attivo di mediazione. Secondo SIPRI, la Cina rappresenta l’81% delle importazioni di armi pakistane (2020-2025), includendo:

Caccia J-10C e JF-17 Block III.

– Missili PL-15 (range 145 km in versione export).

– Sistemi di difesa aerea HQ-9P[^6].

Durante il conflitto, il Pakistan ha utilizzato questi sistemi, con la Cina che ha monitorato le prestazioni per raccogliere dati di intelligence, come dimostrato da un aumento del 40% delle azioni di AVIC Chengdu Aircraft, produttore del J-10C[^7]. Il Pakistan ha rivendicato l’abbattimento di due caccia indiani (Rafale francesi), smentito dall’India come “malfunzionamenti tecnici”[^8].

La Strategia delle relazioni diplomatiche e l’atteggiamento delle comunicazioni internazionali

Dal punto di vista narrativo, la Cina ha amplificato la posizione pakistana, definendo le azioni indiane “irrazionali” e negando il terrorismo pakistano, descrivendo l’attentato di Pahalgam come un “incidente” in “Kashmir controllato dall’India”[^9]. La Cina si è offerta come mediatrice simbolica, ma il suo obiettivo sembra essere internazionalizzare il conflitto, una mossa che il Pakistan accoglie e l’India rifiuta[^10]. La Cina evita un’escalation totale per proteggere il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), con investimenti di oltre 60 miliardi di dollari, ma un conflitto a bassa intensità distrae l’India, favorendo gli interessi cinesi nell’Oceano Indiano[^11].

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Conferenza Stampa Stato Maggiore Pakistano dove ha mostrato video combat delle forze aeree.

Il Rischio Nucleare che non esiste

L’India sta sviluppando il Hypersonic Technology Demonstrator Vehicle (HSTDV), gestito dalla DRDO, con velocità superiori a Mach 5 e traiettorie non balistiche. Integrabile con il BrahMos-II, l’HSTDV consente attacchi di precisione a lungo raggio (>1,500 km), eludendo difese aeree. I test del 2023-2024 confermano progressi, rafforzando la deterrenza contro i missili pakistani Shaheen-III e cinesi DF-ZF[^12]. Tuttavia, l’asimmetria tecnologica potrebbe spingere il Pakistan a intensificare azioni asimmetriche, come il sostegno a gruppi non statali, aumentando il rischio di errori strategici in un contesto nucleare, con l’India che adotta una dottrina di “no first use” e il Pakistan una posizione ambigua di “first use”[^13].

Immagini OSINT di batterie di MRLS a lungo raggio in azione su entrambi i versanti, rilevate il 10 maggio 2025, suggeriscono un rischio di escalation, con analisti che paventano scenari di guerra aperta in un teatro instabile[^14].

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I cieli al confine durante le ore più calde del confronto India – Pakistan

Mediazione Stati Uniti e Regno Unito chiamano Italia e Francia

Gli Stati Uniti hanno mediato un cessate il fuoco il 10 maggio 2025, annunciato dal presidente Donald Trump, con il segretario di Stato Marco Rubio che ha enfatizzato la “de-escalation immediata”. Il Pakistan ha riconosciuto il ruolo americano, mentre l’India è stata più reticente. Tuttavia, violazioni iniziali, con esplosioni in Kashmir, hanno messo in discussione la tenuta dell’accordo[^15][^16]. L’approccio USA riflette la priorità di contenere la Cina attraverso l’India senza alienare il Pakistan, utile nella lotta al terrorismo[^17].

Regno Unito

Il Regno Unito si è offerto come mediatore, con il segretario al Commercio Jonathan Reynolds che ha dichiarato la disponibilità a supportare dialogo e de-escalation. Non ci sono prove OSINT di un ruolo indiretto legato all’accordo commerciale con l’India (2025), come accusato da fonti pakistane. La narrativa di una “mano nascosta” britannica appare una costruzione retorica per mobilitare sostegno interno, sfruttando il passato coloniale[^18]. Proteste pakistane a Londra il 7 maggio 2025 hanno denunciato una presunta parzialità, ma il ruolo britannico rimane limitato alla diplomazia bilaterale[^19].

Implicazioni Economiche e Geopolitiche

Apple sta spostando la produzione di iPhone dalla Cina all’India, con una fabbrica da 60 milioni di unità nel Karnataka, gestita da Foxconn, sfruttando la crescita economica indiana (PIL previsto al 7%, FMI 2025) e il Production Linked Incentive (PLI) scheme. Nel 2025, Apple ha assemblato iPhone per 22 miliardi di dollari in India, con l’obiettivo di produrre tutti gli iPhone per il mercato USA entro il 2026[^20]. Questa mossa:

– Indebolisce la Cina: Riduce la sua centralità manifatturiera, percepita come un affronto economico orchestrato dall’Occidente.

– Rafforza l’India: Posiziona Nuova Delhi come contrappeso a Pechino nell’Indo-Pacifico.

– Complica le relazioni con il Pakistan: L’inflazione al 30% (FMI 2024) e la dipendenza dal CPEC alimentano la narrativa pakistana di un’India nazionalista hindu, giustificando rappresaglie[^21].

La competizione India-Cina si manifesta anche lungo il confine himalayano (scontri di Galwan, 2020) e nel dominio tecnologico, con l’India che accelera lo sviluppo dell’HSTDV per contrastare i progressi ipersonici cinesi[^22]. Questi fattori minano la coesione dei BRICS, con l’ultima riunione a Kazan (ottobre 2024) che ha evidenziato attriti tra Nuova Delhi e Pechino[^23].

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Foto dell’attentato del 22 aprile 2025 . La strage che ha iniziato la spirale che ha portato allo scontro armato tra eserciti regolari .

Il conflitto del 2025 amplifica le tensioni in un contesto nucleare, con l’India che dispone di un vantaggio convenzionale (budget difesa: 81 miliardi USD vs. 8 miliardi USD del Pakistan, IISS 2025) e il Pakistan che si affida alla Cina[^24]. La comunità internazionale, inclusi UE, Francia e Italia, esorta alla moderazione, ma l’assenza di un mediatore autorevole complica il dialogo. La hotline militare indo-pakistana e l’intervento di mediatori neutrali come Francia o Italia potrebbero ridurre i rischi, ma le prospettive rimangono incerte[^25].

Un dato non ancora completamente confermato a riprova del quale sono giunte chat dei presunti autori {04-05-2025 }, ovvero l ‘aggressione ai danni del padre della patria Imran Khan ad opera dei seguenti alti ufficiali dell’esercito Pakistano

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Coppia indù uccisa in raid delle milizie mussulmane .

1. Lt General Azhar Waqas (Adjutant General, 12 Punjab Regiment)

2. Lt General Muhammad Hassan Khattak (Quarter Master General, 16 FF Regiment)

3. Lt General Muhammad Aqeel (IG C&IT, 2 FF Regiment)

Le tensioni e le violenze politiche sono la regola dall’anno della sua fondazione,ma questo episodio in particolare coincidendo con l’escalation rafforza l’impressione non si tratti di un caso .

Note numerate e Fonti

[^1]: Council on Foreign Relations. (2025). Conflict Between India and Pakistan.

https://www.cfr.org/global-conflict-tracker/conflict/conflict-between-india-and-pakistan

[^2]: SIPRI. (2023). Nuclear Arsenals of India and Pakistan.

https://www.sipri.org/

[^3]: Wikipedia. (2025). 2025 Pahalgam Attack.

https://en.wikipedia.org/wiki/2025_Pahalgam_attack

[^4]: Al Jazeera. (2025). Operation Sindoor: Significance of India’s Pakistan Targets.

https://www.aljazeera.com/news/2025/5/7/operation-sindoor-whats-the-significance-of-indias-pakistan-targets

[^5]: CNN. (2025). India Launches Strikes Deep Inside Pakistan.

https://www.cnn.com/2025/05/06/asia/india-pakistan-kashmir-conflict-hnk-intl

[^6]: CNN. (2025). China’s Military Tech in Pakistan-India Conflict.

https://www.cnn.com/2025/05/09/china/china-military-tech-pakistan-india-conflict-intl-hnk

[^7]: Reuters. (2025). India-Pakistan Conflict: Intelligence Opportunity for China.

https://www.reuters.com/world/asia-pacific/india-pakistan-conflict-offers-rich-intelligence-opportunity-china-2025-05-09/

[^8]: The War Zone. (2025). Pakistani PL-15 Missile in India.

https://www.twz.com/air/parts-of-a-pakistani-pl-15e-air-to-air-missile-came-down-relatively-intact-in-india-after-air-battle

[^9]: NDTV. (2025). Why China Sides with Pakistan Over India.

https://www.ndtv.com/opinion/three-reasons-experts-in-china-are-siding-with-pakistan-over-india-8311997

[^10]: South China Morning Post. (2025). China’s Peacemaker Role in India-Pakistan Conflict.

https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3309452/why-china-may-find-it-hard-play-peacemaker-india-pakistan-conflict

[^11]: The Hindu. (2025). China Calls for Restraint.

https://www.thehindu.com/news/international/china-calls-on-india-pakistan-to-exercise-restraint/article69547820.ece

[^12]: The Diplomat. (2025). Evolving Missile Technologies in India and Pakistan.

https://thediplomat.com/2025/03/evolving-missile-technologies-in-india-and-pakistan/

[^13]: TIME. (2025). Nuclear Risks in India-Pakistan Conflict.

https://time.com/7283325/india-pakistan-attacks-kashmir/

[^14]: The Hindu. (2025). Pahalgam Terror Attack and Operation Sindoor.

https://www.thehindu.com/news/national/pahalgam-terror-attack-operation-sindoor-launch-live-updates-may-7-2025/article69543511.ece

[^15]: The New York Times. (2025). India and Pakistan Announce Cease-Fire.

https://www.nytimes.com/2025/05/10/world/asia/india-pakistan-conflict.html

[^16]: Reuters. (2025). Explosions After Ceasefire.

https://www.reuters.com/world/india/pakistan-says-three-air-bases-targeted-by-indian-missiles-2025-05-10/

[^17]: US Department of State. (2025). U.S.-Brokered Ceasefire.

https://www.state.gov/releases/office-of-the-spokesperson/2025/05/announcing-a-u-s-brokered-ceasefire-between-india-and-pakistan/

[^18]: Al Jazeera. (2025). Can Other Countries Mediate India-Pakistan Conflict?.

https://www.aljazeera.com/news/2025/5/7/india-pakistan-can-other-countries-pull-them-from-the-brink-of-conflict

[^19]: Euronews. (2025). UK Calls for Dialogue.

https://www.euronews.com/2025/05/08/uk-calls-for-dialogo-and-de-escalation-in-india-pakistan-conflict

[^20]: Bloomberg. (2025). Apple to Source All US iPhones from India.

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-04-25/apple-aims-to-source-all-us-iphones-from-india

[^21]: The Guardian. (2025). Apple’s Shift to India.

https://www.theguardian.com/technology/2025/apr/25/apple-source-us-iphones-india-china-trump-trade-war

[^22]: The Washington Post. (2025). India-Pakistan Wars Benefit China.

https://www.washingtonpost.com/opinions/2025/05/10/india-pakistan-kashmir-wars-china-trade/

[^23]: Atlantic Council. (2025). Experts React to India-Pakistan Conflict.

[^24]: IISS. (2025). Military Balance 2025.

https://www.iiss.org/

[^25]: TIME. (2025). India-Pakistan Ceasefire Mediation.

https://time.com/7284654/india-pakistan-ceasefire-trump-us-mediation-kashmir-conflict-strikes/

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