UCRAINA: Sciocco per Finlandia e Svezia che aderiscano alla NATO, di Jan Oberg

Non è il momento di prendere decisioni in un momento di isteria storica e panico, scrive Jan Oberg. 

La transnazionale

Ecco cosa l’Occidente è intellettualmente incapace di vedere, nel mezzo del suo umore militarista e ipocrita:

La politica di espansione della NATO ha creato — ed è responsabile — del conflitto.

La Russia ha creato – ed è responsabile –  della guerra . Non esiste violenza che non sia radicata nei conflitti sottostanti. Le persone alfabetizzate in conflitto e pace, quindi, parlano di entrambi. 

E se vogliono la pace, non aumentano i sintomi — la guerra  — affrontano  la vera causa, il conflitto  e chiedono alle parti in conflitto di raccontare cosa temono e cosa vogliono e poi si muovono, passo dopo passo verso un soluzione. 

Ma né i media mainstream né i politici hanno il coraggio civile di affrontare  il conflitto.  Riguarda solo la guerra e solo la Russia e il presidente Vladimir Putin che devono essere puniti, indipendentemente dal prezzo che dovranno essere pagati dalle generazioni future. Se sopravviviamo. 

È una banalità sottolineare che ce ne vogliono almeno due per entrare in conflitto. Ma questo è il livello intellettuale e morale che i decisori, i media e gran parte del mondo accademico operano in questi tempi bui.

Questo approccio non ha futuro e non potrà mai portare la pace. Periodo. 

Le decisioni prese con questo approccio irrazionale e l’emotività non faranno che peggiorare le cose. Come la Svezia e la Finlandia che aderiscono alla NATO sulla base del panico isterico del momento: semplicemente non esiste uno scenario credibile e realistico che porterebbe a un attacco russo isolato e fuori dal comune su nessuno dei due se rimanessero non allineati come lo sono da decenni. 

Che alcune persone meno informate – o persone che parlano per l’adesione alla NATO – abbiano parlato anche di un attacco isolato e inaspettato all’isola svedese di Gotland è una politica dei Monty Python.

Allora perché la Finlandia e la Svezia ora prenderanno una decisione disastrosa e crescente di tensione di aderire alla NATO? Ecco alcuni dei possibili motivi:

Forte pressione

Entrambi sono stati sottoposti a forti pressioni da parte della NATO e degli Stati Uniti in particolare. Il primo ministro svedese, Olof Palme, è stato assassinato, un uomo che sosteneva l’obiettivo delle Nazioni Unite del disarmo internazionale, dell’abolizione del nucleare e del concetto intelligente di sicurezza comune. Gli ambasciatori statunitensi hanno tenuto incontri segreti con i parlamentari svedesi, ci sono molti canali, richieste e ricompense.

L’unica peggiore sfida per la sicurezza della Svezia è stata il sottomarino russo U 137 Whisky on the Rocks. Era russo, sì, ma l’operazione era una PSYOP americana – operazione psicologica – condotta dall’“esperto di navigazione” di bordo, l’unico mai intervistato in Svezia e che poco dopo scomparve. 

Il sottomarino sovietico U 137 si incagliò il 27 ottobre 1981 sulla costa meridionale della Svezia vicino a una grande base navale. (Marinmuseum, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

Era un PSYOP inteso a far riconoscere alla Svezia che l’Unione Sovietica era una minaccia, che la sua difesa contro l’Est era carente e che avrebbe dovuto cercare protezione dall’Occidente stesso. Questo è estremamente ben documentato dal professore emerito, l’eminente ricerca pluridecennale di Ola Tunander, l’ultima pubblicata nel libro,  Navigations-Expert . Hur Sverige lät sig bedras av U 137   ( L’esperto di navigazione. Su come la Svezia ha accettato di essere ingannata dall’U 137 ).

Passo dopo passo, la Svezia è stata guidata nella giusta direzione. Alcuni politici svedesi sapevano cosa stava succedendo, ma i media e la gente no.

Corteggiato da USA e NATO 

Entrambi i paesi si sono mossi per essere corteggiati dagli Stati Uniti e dalla NATO. Negli ultimi 20 anni si sono impegnati con la NATO in tutti i modi – quindi, come si suol dire, perché non sposarsi ora?

In altre parole, Finlandia e Svezia ora si uniscono perché hanno – in modo incrementale – preso una decisione sbagliata dopo l’altra, si sono dipinti in  un angolo “senza scelta tranne la NATO” e hanno abdicato a ogni grammo della loro storica, indipendente mente creativa straniera pensiero politico. E ha smesso di criticare la guerra e il militarismo.
Ciò è stato possibile anche perché l’input intellettuale critico, o alternativo, indipendente nei ministeri degli affari esteri è stato tagliato e sostituito da vari tipi di marketing politico filoamericano.

Per decenni, la NATO Echo Chamber ha definito il pensiero di gruppo nazionale pro-NATO. Nessuno poteva entrare per chiedere: dove diavolo ci stiamo dirigendo, diciamo, tra 25 anni? 

Complesso militare-industriale-media-accademico

Inoltre, Svezia e Finlandia si stanno ora unendo perché le élite legate al Complesso Militare-Industriale-Media-Accademico, MIMAC, in entrambi i paesi, piuttosto che le persone, decidono questioni di sicurezza e politica estera.

Naturalmente, c’era estremamente poca  discussione pubblica aperta  ; non era voluto. I decisori sapevano che la fondazione della NATO per le armi nucleari e le guerre di contatto dei suoi membri, in particolare in Medio Oriente, erano considerate fondamentalmente malvagie tra i cittadini. 

Pressione del tempo

Da sinistra: il ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e il ministro degli Esteri svedese Ann Linde il 6 aprile.   (NATO)

I media liberali suggeriscono che non può esserci un referendum perché c’è una tale pressione di tempo – presumibilmente prima dell’invasione russa di Svezia e Finlandia – e, quindi, prendi in fretta la più importante decisione politica estera e di sicurezza dal 1945 ora che c’è oltraggio alla Russia — il nemico amato e necessario. 
I decisori svedesi ovviamente sanno che non ci sarà mai una maggioranza del 75% circa per la NATO, che è ciò che dovrebbe esserci per prendere una decisione così fondamentale e fatale. Tanto, si può dire, per la democrazia, ma nessun nuovo membro della NATO ha tenuto un referendum in cui la NATO e altre alternative sono state discusse liberamente e una maggioranza del 75% si è espressa a favore. (Secondo la svedese Svenska Dagbladetogni giorno del 6 maggio, il 48 per cento pensa che la Svezia si unirà, ma in una sola settimana coloro che non sanno cosa pensare sono aumentati dal 22 al 27 per cento). 
L’opinione pro-NATO della Finlandia sembra essere cresciuta dal 53% di febbraio al 76% di maggio 2022. Era il 19% nel 2017 secondo un rapporto del Wall  Street Journal . L’Ucraina ha svolto il suo ruolo.

Disarmo intellettuale

Un ulteriore motivo per aderire è il disarmo intellettuale che ha lasciato i decisori unificati attorno a un’alternativa; dimenticato di lasciare altre porte aperte e alternative deliberatamente represse.

Il discorso della pace – nei media, nella politica e nella ricerca – è scomparso. La pace è diventata sinonimo di armi, deterrenza, sempre di più insieme a cieca lealtà con ogni guerra USA/NATO.

Ad esempio, il governo dell’allora primo ministro socialdemocratico Göran Persson ha deciso rapidamente di disabilitare la legislazione svedese sul divieto di esportazione di armi nel 2001 per poter continuare ad esportare armi negli Stati Uniti durante l’invasione dell’Iraq.
Questo disarmo intellettuale pluriennale è evidente e tende sempre a favorire i mezzi militari rispetto ai civili, oltre alla diplomazia. E non solo in questi paesi, ovviamente.

2022 Fondo Primavera 2022

Un istituto come il SIPRI – Stockholm International Peace Research Institute – è decaduto intellettualmente in qualcosa che dovrebbe piuttosto essere chiamato Stockholm International Military Security Research, SIMSI –  come ho suggerito anni fa .

In altre parole, la creatività politica necessaria per condurre una politica indipendente di neutralità, non allineamento e disarmo globale unita a una forte fede nel diritto internazionale è svanita anni fa. 
È più facile seguire il gregge, soprattutto quando, a quanto pare, il partito socialdemocratico oggi esiste solo di nome.

Media 

Senza esaurire tutte queste – tragiche – ragioni, un’ultima ragione da menzionare è il ruolo dei media. Come ovunque, i media da sinistra a destra si sono uniti attorno a una politica filo-occidentale e non neutrale. L’attuale propaganda pro-NATO, non da ultimo nel liberale Dagens Nyheter, è pervasiva.

Le voci critiche vengono emarginate e gli “spiegatori” dell’informazione pubblica sono ridotti ad alcuni fatti di base simili a quelli delle scuole superiori accoppiati con FOSI, Fake + Omission + Source Ignorance. La Svezia è in grado di organizzare tavole rotonde televisive in cui, di fatto, tutti i partecipanti sono più o meno pro-NATO, escludendo così gran parte dell’opinione pubblica. *)

Le conseguenze

1 novembre 2018: esercitazione congiunta della NATO nell’Atlantico settentrionale e nel Mar Baltico. (NATO, Flickr)

Ce ne sono potenzialmente così tanti – alcuni più probabili di altri – che non possono essere elencati tutti in un’analisi breve e puntuale come questa. Ma mi permetto di citare:

  • Gli svedesi ei finlandesi diventeranno meno sicuri Come mai? Perché ci sarà un confronto e una polarizzazione più duri invece di confini morbidi e atteggiamenti di mediazione. In una grave crisi, a tutti gli effetti pratici, saranno occupati e gli verrà detto cosa fare dagli USA/NATO. 
  • Nella misura in cui, ad un certo punto in futuro, ai due paesi verrà chiesto di ospitare basi statunitensi – come la Norvegia e la Danimarca ora – non potranno dire “No!” Tali basi saranno gli obiettivi di primo ordine della Russia in una situazione di guerra. 
  • Da un punto di vista russo, ovviamente, la loro adesione alla NATO è estremamente fonte di tensione e conflittuale. La Russia ha l’8% (66 miliardi di dollari) delle spese militari dei 30 membri della NATO. Ora ci sarà un enorme riarmo in tutta la NATO. La sola Germania prevede di aumentare fino a quasi il doppio delle spese della Russia. L’Ucraina riceverà circa 50 miliardi di dollari. Aggiungiamo una Svezia e una Finlandia riarmate e vedremo la Russia precipitarsi al 4% delle spese della NATO e continuare a essere definita una formidabile minaccia.
  • In Europa non rimarranno praticamente più meccanismi di rafforzamento della fiducia e di risoluzione dei conflitti. Non sarà possibile discutere su un nuovo sistema di pace e sicurezza tutto europeo. E che venga compresa e rispettata o meno, la Russia si sentirà ancora più intimidita, isolata e, in una certa situazione, diventerà ancora più disperata. Come fa, normalmente, la parte più debole in un conflitto asimmetrico. Stiamo vivendo tempi molto pericolosi e questi due paesi della NATO non faranno che aumentare il pericolo, non c’è modo che possa ridurlo.
  • Se Finlandia e Svezia vogliono così fortemente essere “protette” dagli Stati Uniti e/o dalla NATO, non è assolutamente necessario che questi due paesi si uniscano perché, in caso di grave crisi, gli USA/NATO arriveranno in ogni circostanza a “proteggere” o meglio utilizzare i propri territori per essere più vicini alle repubbliche baltiche. Ecco di cosa trattano gli accordi di supporto per la nazione ospitante.
    L’unico motivo per aderire sarebbe il paragrafo 5, ma lo svantaggio è che il paragrafo 5 richiede che la Finlandia e la Svezia partecipino a guerre che non riguardano la loro difesa e forse anche in future guerre che violano il diritto internazionale come quelle in Jugoslavia , Iraq e Libia. Quindi, i giovani finlandesi e svedesi verranno uccisi in future guerre tra paesi della NATO? Sono pronti per questo?
  • Costerà una fortuna convertire la loro infrastruttura militare alla piena adesione alla NATO e quando si saranno uniti, pagheranno qualunque prezzo si rivelerà essere. Inoltre, ci sarà molto meno potere decisionale sovrano de facto – qui de jure è quasi irrilevante. Ed era già molto autolimitante prima che si unissero.
  • In quanto membri della NATO, Finlandia e Svezia non possono non condividere la responsabilità delle armi nucleari, la deterrenza e il loro possibile utilizzo da parte della NATO. È anche ovvio che le navi della NATO possono portare armi nucleari nei loro porti – ma ovviamente non lo chiederanno nemmeno – sanno che la risposta arrogante degli Stati Uniti è che “non confermiamo né neghiamo questo genere di cose”. 
    Questo va contro ogni fibra del popolo svedese e la decisione della Svezia di non sviluppare armi nucleari risalente a circa 70 anni fa.
  • I giorni in cui Svezia e Finlandia possono, almeno in linea di principio, lavorare per alternative sono contati. Vale a dire, per il trattato delle Nazioni Unite sull’abolizione del nucleare e gli obiettivi delle Nazioni Unite di disarmo generale e completo, qualsiasi concetto politico alternativo come la sicurezza comune, la sicurezza umana , un’ONU forte ecc. Non saranno in grado di fungere da mediatori, come, ad esempio, Austria e Svizzera. Nessun membro della NATO può rendere omaggio a tali nobili obiettivi. La NATO non è un’organizzazione che incoraggia le alternative. Invece, cerca il monopolio e il dominio regionale e globale.
  • Finlandia e Svezia dicono sì al pensiero militarista, a un paradigma di “pace” intriso di armi, armamenti, offensività (lungo raggio + grande capacità distruttiva), deterrenza e continue minacce: la NATO è l’organizzazione più militarista della storia umana. Il suo leader, gli Stati Uniti d’America, è stato in guerra 225 su 243 anni dal 1776 . Ogni idea sulla nonviolenza, la disposizione della Carta delle Nazioni Unite di fare la pace con mezzi prevalentemente pacifici (articolo 1 della Carta) sarà fuori dalla finestra.
  • L’attenzione politica, così come i fondi, tenderanno a spostarsi su questioni militari, lontano dal contribuire a risolvere i problemi più urgenti dell’umanità. Ma – lo sappiamo ora – la scusa sarà l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. C’è qualche cambiamento enorme che non può essere giustificato con riferimento a questo?
  • Mentre tutti sanno che l’Artico sarà una regione di sicurezza centrale e preoccupazioni per la pace nel prossimo futuro, questo problema è stato appena discusso in relazione all’adesione dei due paesi alla NATO. Tuttavia, non richiede molta esperienza per vedere che l’accesso USA/NATO a Svezia e Finlandia è un chiaro vantaggio nel futuro confronto con Russia e Cina lì.

(Mappa GRID-Arendal Circolo Polare Artico, Flickr, CC BY-NC-SA 2.0)

  • In quanto membri della NATO, Svezia e Finlandia non solo accettano, ma rafforzano decenni di odio nei confronti del popolo russo, di tutto ciò che la Russia include la cultura russo-europea. Dirà di sì alla punizione collettiva (illegale) sconsiderata e istintiva dell’Occidente di tutta la Russia, la cancellazione della Russia a tutte le dimensioni.

Una volta, invece, il Presidente della Finlandia Urho Kekkonen sosteneva politiche di neutralità attiva, un ruolo di intermediario e l’avvio dell’OSCE. La Finlandia era orgogliosa del fatto che la sua gente ritenesse che né l’Oriente né l’Occidente fossero nemici, prevalendo vari tipi di equidistanza. E  questo  avvenne durante il culmine della Prima Guerra Fredda, quando il Patto di Varsavia era circa 10 volte più forte nei confronti della NATO rispetto alla Russia di oggi. Come e perché? Uno dei motivi era che le politiche avevano un fondamento intellettuale e i leader una consapevolezza di cosa significasse la guerra. Non così oggi.

1975: il presidente finlandese Urho Kekkonen a destra alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa a Helsinki. (Tapio Korpisaari, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

  • La prospettiva di cui nessun sostenitore della NATO parla è questa: con ogni probabilità, abbiamo visto solo il duro inizio di una guerra estremamente fredda con un rischio sempre crescente anche di una guerra calda. È lo scopo dichiarato degli Stati Uniti – e questo significa della NATO – indebolire militarmente la Russia in Ucraina in modo che non possa risollevarsi mai più e minare la sua economia in patria attraverso le sanzioni più dure, illimitate e incondizionate della storia – cioè le sanzioni che non sarà revocato in una vita o più.
  • E, infine, unendosi alla NATO, i due paesi saranno costretti a schierarsi con il più grande Occidente nel futuro cambiamento dell’ordine mondiale in cui Cina, Medio Oriente, Africa e Sud America, nonché enormi associazioni regionali non occidentali acquisiranno forza . 

La priorità degli Stati Uniti n. 1 è la Cina. In quanto membri della NATO, Svezia e Finlandia non saranno in grado di camminare su due gambe in futuro – una occidentale e una non occidentale – e decadranno e cadranno con l’Occidente – l’Impero degli Stati Uniti e la NATO in particolare.

Se pensi che sia uno scenario troppo audace e pessimista, non stai seguendo sviluppi e tendenze al di fuori dell’Occidente stesso. Inoltre, per favore, considera che  gli Stati Uniti, l’UE e la NATO divisi e lacerati da problemi si sono appena riuniti per un motivo: la politica negativa di odiare la Russia e coprire la sua chiara corresponsabilità per il conflitto che ci ha portato dove abbiamo ora sono. 

L’Occidente non ha più una visione positiva. Le sue azioni riguardano il riarmo, le minacce, le sanzioni, la demonizzazione, l’ipocrita “non abbiamo mai fatto niente di sbagliato” e la concomitante proiezione dei propri lati oscuri sugli altri, in particolare sulla Cina.

Per i piccoli paesi mettere tutte le uova nello stesso paniere quando hanno alternative e agire senza la minima idea dei prossimi 5-10 anni è sempre stata una ricetta per il disastro, per la guerra. 

Sia la NATO che l’UE agiscono in questi giorni come facevano i passeggeri nel ristorante dell’elegante e lussuoso RMS Titanic.

C’erano enormi problemi che avrebbero dovuto essere risolti per la sopravvivenza dell’umanità: clima, ambiente, povertà, disuguaglianza, militarismo, armi nucleari, ecc. Ora sono dimenticati. Sono seguite crisi economiche e interruzioni, poi è arrivato il virus Corona e ha messo a dura prova tutti i tipi di risorse ed energie. E, infine, ora questa guerra in Europa con il suo sottostante conflitto creato dalla NATO.

Non è il momento di prendere decisioni in un momento di isteria storica e panico. Questo è davvero un momento per mantenere la calma. 

Si può solo deplorare che Svezia e Finlandia non abbiano il potere intellettuale per vedere il quadro più ampio nel tempo e nello spazio. La NATO ha avuto il tempo dal 1949 per dimostrare che può fare la pace. Ora sappiamo che non può. Aderirvi, quindi, è un grande dono per il militarismo e la guerra futura. 

Jan Oberg è un ricercatore indipendente sulla pace e il futuro con esperienza internazionale e fotografo d’arte, editorialista, commentatore e mediatore. 

Questo articolo è di  The Transnational.

Quando il tuo tassista è un ufficiale dei servizi segreti esteri russi in pensione… di gilbertdoctorow

Diversi mesi fa, parlando del modo in cui tutti in Russia hanno affrontato difficoltà economiche subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il presidente Vladimir Putin ha parlato per la prima volta di come questo lo abbia colpito: per diversi mesi ha dovuto accettare lavoro come tassista solo per poter sfamare la sua famiglia e pagare le bollette.

Quei giorni di indigenza generalizzata nella popolazione russa all’inizio degli anni ’90 sono ormai lontani. Ma gli ufficiali in precedenza ben posizionati nella comunità dell’intelligence sovietica e in altri rami del siloviki si dedicano ancora alla guida dei taxi per guadagnare un reddito supplementare e per riempire le loro giornate con conversazioni interessanti. Lo so per esperienza diretta, come quello che sto per condividere con te.

Ho osservato molto tempo fa che per me i tassisti sono sempre stati una fonte importante di informazioni su come le persone vivono davvero qui. Questo vale per i nostri “normali”, ovvero i conducenti individuali che possono lavorare per flotte di taxi ma si affezionano a noi quando siamo qui per diverse settimane e ci portano nei nostri viaggi più lunghi, nel centro di Pietroburgo o nella dacia. È tanto più vero per gli autisti che ci vengono inviati dagli spedizionieri automatizzati delle grandi flotte quando siamo in giro per Pietroburgo. In un contesto di completo anonimato, dato che non ci incontreremo mai più, questi conducenti sono spesso particolarmente loquaci e informativi.

Ieri è stato un esempio calzante.

Il nostro autista della flotta in “livrea verde”, Taksovichkoff, si è rivelato essere un ufficiale in pensione dell’intelligence estera sovietica/russa (GRU), come ci ha detto verso la fine del viaggio. Ci è venuto a prendere nelle ore di punta. Il traffico del centro è stato rallentato dai colli di bottiglia e abbiamo trascorso quasi 40 minuti nella sua macchina in una conversazione che almeno inizialmente era intrigante.

Ha aperto dicendo che è molto preoccupato che la guerra nucleare sia ora una vera minaccia e possa porre fine alla civiltà. Ma se ciò accadrà dipenderà da chi colpisce per primo. Se gli americani si lanciano per primi, allora davvero tutto andrà all’inferno a livello globale. Ma se i russi colpiscono per primi, credono di poter contenere i rischi e l’umanità andrà avanti. Dice che i consiglieri di Putin lo stanno esortando a considerare un primo attacco ma che il presidente si sta trattenendo. “Non vuole passare alla storia come colui che l’ha fatto”. L’ultimo punto suona molto come una battuta della conversazione nella War Room tra Peter Sellars come Presidente degli Stati Uniti e il suo generale senior nel film sempre rilevante, Il dottor Stranamore .

In caso contrario, anche l'”operazione militare speciale” in Ucraina è stata un argomento del nostro scambio. Mantiene i contatti con gli ex compagni di servizio e quindi prendo la sua storia con un alto grado di fiducia.

Il nostro ufficiale del GRU in pensione ha affermato che i primi cinque giorni di “operazione militare speciale” sono stati un disastro, con pesanti perdite di vite umane da parte russa. Tutto era dovuto, disse, all’incompetenza dei maggiori generali di Mosca che erano incaricati dell’invasione. Considerata la debacle, li accusa di tradimento. In effetti, furono rimossi dal comando giorni dopo e deviati da un lato. Ma il nostro autista insiste che avrebbero dovuto sparare a tutti loro.

Perché erano incompetenti? Perché dovevano il loro lavoro alla corruzione, non al merito. I maggiori generali erano esperti da poltrona, mentre le forze armate russe avevano molti generali semplici che si erano dimostrati sul campo d’azione. Inoltre, gli esperti dell’intelligence sono stati tenuti fuori dall’operazione, il che spiega il suo inizio con false premesse sul nemico.

Ho cercato di confortarlo osservando che l’incompetenza e la corruzione nei ranghi più alti del governo e dell’esercito sono problemi che esistono anche in molti paesi, compresi gli Stati Uniti. Non stava ascoltando: “avrebbero dovuto essere fucilati tutti”, ha ripetuto.

La mia domanda su come stanno andando le cose ora è stata accolta dal silenzio.

Dopo aver condiviso queste osservazioni e opinioni, il nostro autista ha deciso che era ora di andare avanti e ha indirizzato la conversazione su un argomento completamente diverso, le sue preoccupazioni per il riscaldamento globale, dicendoci che i suoi amici esperti nelle alte sfere credono che il cambiamento climatico sia ormai irreversibile qualunque sia noi facciamo. Le emissioni di metano dagli oceani sono in aumento e travolgeranno i migliori sforzi dell’umanità per fermare il processo. Poi si è rivolto alla speculazione sull’intervento divino che avrebbe portato la Russia fuori da situazioni disperate, anche sul campo di battaglia, in passato, risalendo alla battaglia di Borodino durante la guerra con Napoleone. A questo punto, ho spento il mio registratore mentale.

“Le labbra sciolte affondano le navi” come si diceva negli States. Nonostante il Terrore, in epoca sovietica i russi blateravano parecchio. Nell’era di Putin, questo è stato in gran parte tagliato alla fonte. Il Boss prende tutte le grandi decisioni da solo, in modo da escludere la possibilità di fughe di notizie.

Le chiacchiere dei tassisti possono raccontare ciò che sentono dagli amici in alto. Queste élite, ovviamente, non sono in pieno accordo tra loro. Ma le loro opinioni stabiliscono i limiti a ciò che il Boss può fare in entrambi i modi.

Prima di concludere, riconosco che non tutti i tassisti sono patrioti. L’altro giorno, un pilota della stessa “flotta in livrea verde” ha detto poco prima di lasciarmi in un hotel: “Spero davvero che gli americani vincano in Ucraina”. Forse pensava che si sarebbe ingraziato con me, un evidente straniero. Forse è quello in cui crede veramente. Ma ero perplesso all’idea di come la sconfitta del suo paese potesse servire i suoi interessi, finanziari o meno.

©Gilbert Doctorow, 2022

LA GUERRA DELL’INFORMAZIONE IN OCCIDENTE E IN ORIENTE HANNO UN CREDO IN COMUNE, di Antonio de Martini

TRA LA COMUNICAZIONE DI MASSA E L’INDIVIDUO, ORA C’E’ LA TRIBU’ E I SUOI CAPI. E I GRANDI MEDIA USCIRANNO SCONFITTI.

DA LEGGERE:UNO DEI RARI TITOLI IMPORTANTI EDITI DALLA ERI, L’EDITRICE DELLA RAI TV. DOPO MEZZO SECOLO ANDREBBE RISTAMPATO DATA L’ATTUALITÀ’ PROVOCATA DALLA GUERRA UCRAINA E LA BELLA INTRODUZIONE DEL PROFESSOR FERRAROTTI.

Elihu KATZ insegnava sociologia alla Università di Chicago e Paul LAZERFELD alla Columbia, entrambi di origini europee e quest’ultimo considerato il miglior sociologo del suo tempo.

All’indomani dello sbarco di Normandia ( 5 giugno 1944) seimila soldati USA furono sottoposti a un questionario che sostanzialmente mirava ad appurare come mai un giovanotto dell’Oklahoma avesse affrontato ostacoli e pallottole per sbarcare su una spiaggia di cui nemmeno conosceva il nome. Indagavano sul mistero dell’obbedienza…

Le risposte, una volta codificate, lasciarono tutti di stucco.

Alla domanda ” chi te lo ha fatto fare”, le risposte non si rifacevano mai alle comunicazioni ufficiali: Niente crociata contro il nazismo, meno che mai lotta per la Democrazia o liberazione dell’Europa.

Nessuno che abbia citato il Presidente e nemmeno il generale Eisehnower.

Ogni singola risposta di ogni G.I: si rifaceva a una sorta di piccola tribù entro la quale il soldato ritrovava la sua vita e le sue sicurezze: ” ammiravo molto il mio capitano, lui ha detto avanti, ragazzi ! ed io ho obbedito”. Oppure :” il mio sergente é un uomo molto tosto; temevo , disobbedendo, che mi prendesse a calci davanti a tutti”. Meglio ancora: “negli ultimi mesi sono sempre stato assieme al mio compagno di branda, lanciatosi lui, l’ho seguito”: stava nascendo, dalla guerra, la “ teoria degli opinion leaders” che trovò la sua prima applicazione pratica nel campo della moda. Poi, a seguire, cinema, beni di consumo domestici e infine, affari pubblici.

La differenza tra la tribù del paleolitico e quella moderna é che, un tempo, il capo era l’opinion leader per ogni cosa: dalla caccia al cibo, agli accoppiamenti, alla medicina.

La tribù moderna si è parcellizzata: l’opinion leader dell’eleganza è Filippo, ma quello per gli investimenti è l’amico che lavora in banca, al quale mai ci sogneremmo di chiedere consigli per la salute…

Si constatò che il mondo intero è costituito da microentità di cento/centocinquanta persone , diverse per ogni ramo dello scibile che per le loro decisioni, scelte, acquisti, fanno riferimento a un ” capo” – detto ormai leader d’opinione- al cui parere si rimettono spesso fideisticamente.

Avviene anche in politica e , a maggior ragione, in tempi di guerre e/o calamità. Ma funziona?

Col tempo si è constatato che la situazione ideale si ha quando i mass media e gli opinion leaders remano nella stessa direzione, mentre, se queste due correnti di pensiero si contrastano – contro ogni previsione della vigilia- prevale l’avviso degli opinion leaders, anche se per esplicare al massimo la loro influenza serve molto più tempo. A livello planetario circa quindici anni.

Ecco che, alla luce dei recenti avvenimenti, prendono significato i toni isterici dei mass media che tendono a supplire con la quantità alla mancanza di credibilità. La narrativa dei mass media iniziata nel 2011, resisterà al massimo fino al 2016 per poi soccombere al crescendo critico dei capi tribù che la contrastano.

Il paradosso politico cui stiamo assistendo dal 1947 é che i due concorrenti alla leadership mondiale si sono scambiati più volte i ruoli: prima la Russia puntava sulla comunicazione di massa e gli Stati Uniti sugli opinion leaders. Ora si sta verificando il contrario: in molti casi: gli USA gestiscono l’86% ( Brezinsky dixit)della comunicazione mondiale mentre il blocco orientale punta sugli influencer ( nuovo termine) per indicare ipotetici capi tribù virtuali.

In pratica, ognuno finisce per non credere nelle scelte che ha fatto e dopo un certo periodo di tempo, tenta una nuova strada…

Già, adesso la sfida é se il capo tribù virtuale abbia la stessa influenza di uno reale. Facebook crede di si e punta tutto il suo sviluppo in questa direzione. Io credo di no ed è per questa ragione che ho ripreso a scrivere su questo blog. Credo negli individui, e non nella massa, credo nella realtà e non nel virtuale. Credo negli uomini e non nelle macchine. Compratevi il libro ( su amazon.it magari lo trovate ancora) , leggetelo e sappiatemi dire.

https://corrieredellacollera.com/2022/05/14/la-guerra-dellinformazione-in-occidente-e-in-oriente-hanno-un-credo-in-comune/

Pensare la potenza. Intervista a Rémi Brague #4 di REMI BRAGUE

Rémi Brague è professore di filosofia medievale all’Università di Parigi I Panthéon-Sorbonne e all’Università di Louis-et-Maximilien a Monaco di Baviera. Specialista in filosofia greca, araba ed ebraica, è autore di numerosi libri di consultazione su questo argomento. 

Intervista condotta da Louis du Breil. 

In Europa, la strada romana , spieghi che il contenuto dell’Europa è essere un contenitore, essere aperto all’universale. Il potere dell’Europa è stato costruito su questa cultura dell’apertura e della trasmissione?

Il libro che siete così gentili da citare celebrerà quest’anno il trentesimo anniversario della sua prima edizione e la sua diciassettesima traduzione. Non potendomi accontentare a stento di farne riferimento, mi costa un po’ tornare sulle sue tesi principali, anche se da allora non ho smesso di difenderle, anche di approfondirle. Nel mio libro, quindi, stavo solo ripetendo un gioco di parole dovuto al filosofo spagnolo José Ortega y Gasset. Nella sua lingua continente significa sia “continente” che “contenitore”. Detto questo, nel mio stesso lavoro, difficilmente concepivo la cultura dell’Europa, poiché è tutto ciò di cui parlo lì, in termini di potere.

In ogni caso, questa apertura all’universale che lei giustamente accenna è per me il risultato di un’apertura più fondamentale alle proprie fonti, e di un rapporto con il precedente che è ben lungi dal fomentare un sentimento di potere. . Al contrario, l’Europa si sentiva inferiore ai suoi antichi riferimenti culturali. Solo l’anno scorso ho scoperto, con mia grande vergogna, che l’idea era già stata lanciata, molto prima di me, in un libro che non avevo letto, dello storico tunisino Hichem Djaït, morto lo scorso giugno: l’umiltà dell’Europa ha stata la paradossale molla del suo sviluppo. Secondo lui, è perché l’Europa si è trovata umile davanti all’Antichità, che ha esaltato, e davanti al cristianesimo a cui è stata sottoposta, che ha potuto andare oltre la prima e mantenere la distanza dalla seconda (Europa e Islam , Parigi, Seuil, 1978, p. 157).

Molto concretamente, l’Europa ha avuto il talento di utilizzare e portare a compimento ciò che le veniva da altrove e che altre civiltà hanno trascurato. Questo vale sia per la civiltà materiale che per la vita dello spirito. I cinesi hanno inventato quasi tutto ciò che è tecnico, carta, bussola, ecc. Hanno anche “inventato la polvere da sparo”, per esempio, ma è stata l’Europa che ha saputo farne un uso militare (potremmo pentirci, tra l’altro…). Gli arabi avevano una grande filosofia, ma furono i cristiani e gli ebrei d’Europa che usarono i commenti di Averroè, dimenticato nella sua civiltà originaria. In breve, l’Europa ha fatto le pattumiere di altre civiltà. Per questo dovevi chinarti. Potrebbe anche essere ovvio che fosse arrogante. Ma alla radice di tutto,

Qual è il posto del cristianesimo in questa singolarità europea?

Dovremmo ancora insistere sull’evidenza che lo storico e filosofo italiano Benedetto Croce, che era egli stesso agnostico, ricordava nel 1943: “non possiamo non chiamarci cristiani”? Il posto del cristianesimo è cruciale, perché il cristianesimo è una seconda religione rispetto alla religione di Israele, quella di cui testimoniano gli scritti di quello che chiamiamo Antico Testamento, religione da cui proveniva anche l’ebraismo rabbinico. Abbiamo pensato abbastanza a questa stranezza della Bibbia cristiana, che inizia con la Bibbia ebraica e quindi che abbiamo allo stesso prezzo i libri sacri di due religioni? Il “Nuovo Testamento” è in gran parte una reinterpretazione dell’Antico alla luce del fatto nuovo rappresentato dall’insegnamento, dalla passione e dalla risurrezione di Gesù.

Reinterpretare l’antico è ciò che la cultura europea ha fatto per secoli, non solo con il primo dei suoi due libri sacri, ma anche con tutto il patrimonio dell’antichità greco-latina. In un piccolo trattato, ottimamente ripubblicato da Arnaud Perrot (Les Belles Lettres, 2012), San Basilio di Cesarea (m. 379) spiegava come sfruttare la letteratura antica, cioè spogliandola della sua dimensione religiosa, “pagana”. se volete, e riducendolo alla sua dimensione puramente pedagogica, morale, dunque. In questo modo, quella che io chiamo la “secondarietà” culturale dell’Europa è resa possibile dal suo ancoraggio al livello più alto, al livello stesso del rapporto con l’Assoluto-religione, per dirla semplicemente.

Secondo te, la separazione tra spirituale e temporale nella civiltà europea si spiega con la dualità delle fonti dell’Europa: Atene e Gerusalemme. Come mai ?

Questa separazione infatti è già dalla parte di “Gerusalemme”. La famosa frase di Cristo su cosa dare a Cesare e cosa appartiene a Dio è stata intesa in questo senso. I fatti hanno aiutato potentemente i cristiani a distinguere tra lo spirituale e il temporale. Infatti, durante i primi tre secoli della sua storia, lo Stato, all’epoca Stato Romano, li perseguitò. Non è troppo difficile sentirsi diversi dal tuo aguzzino. Successivamente, con Costantino, e soprattutto con Teodosio, alla fine del IV secolo, il cristianesimo assunse lo stato. Ma non fu mai puramente e semplicemente confuso con lui. La cosa divertente, è stato lo stato che avrebbe visto questa confusione in buona luce: la fede cristiana diventò l’ideologia ufficiale dell’Impero Romano e si sostituì alla religione “pagana” che sentivamo al limite della sua fune… La tentazione era forte per il popolo della Chiesa, e molti furono coloro che vi cedettero, come Eusebio di Cesarea, che lodava Costantino, nel quale vedeva, non senza ragione, una specie di «zar liberatore». Tuttavia, la Chiesa finì per secernere istituzioni che fungevano da contrappesi: il diritto canonico, il papato e il movimento monastico che le fornì le sue truppe d’assalto. Grazie a loro, nel XII secolo, al tempo della Litiga per le investiture (Chi ha nominato i vescovi?), la Chiesa seppe resistere agli imperatori d’Occidente e mantenere la propria autonomia. che lodava Costantino, nel quale vedeva, non senza ragione, una specie di “zar liberatore”. Tuttavia, la Chiesa finì per secernere istituzioni che fungevano da contrappesi: il diritto canonico, il papato e il movimento monastico che le fornì le sue truppe d’assalto. Grazie a loro, nel XII secolo, al tempo della Litiga per le investiture (Chi ha nominato i vescovi?), la Chiesa seppe resistere agli imperatori d’Occidente e mantenere la propria autonomia. che lodava Costantino, nel quale vedeva, non senza ragione, una specie di “zar liberatore”. Tuttavia, la Chiesa finì per secernere istituzioni che fungevano da contrappesi: il diritto canonico, il papato e il movimento monastico che le fornì le sue truppe d’assalto. Grazie a loro, nel XII secolo, al tempo della Litiga per le investiture (Chi ha nominato i vescovi?), la Chiesa seppe resistere agli imperatori d’Occidente e mantenere la propria autonomia.

Invocare le due città simbolo che hai citato, e ciò che rappresentano, risale a Tertulliano, nel 3° secolo, poi rifiorito nel 19° secolo con Matthew Arnold e Henri Heine, e nel 20° secolo con Leon Chestov e Leo Strauss. Mettiamo di seguito varie opposizioni: fede e ragione, etica ed estetica, ecc. Ma il semplice fatto che i due poli così messi in tensione siano sopravvissuti entrambi, senza che l’uno inghiottisse l’altro, è già un fenomeno eccezionale, che va spiegato. Qui tutto è capovolto: è piuttosto la separazione del temporale e dello spirituale che ha permesso ai due modelli culturali di sussistere nella loro autonomia e di entrare in un proficuo dialogo.

Infatti è proprio “Gerusalemme” che ha saputo accogliere “Atene”. Per dirla in termini biblici, Sem (mitico antenato degli Ebrei) fece posto nella sua tenda a Iafet (antenato dei Greci) (Genesi, 9, 27). Della Torah, San Paolo decise di mantenere solo il Decalogo nel suo senso letterale. Tutti gli altri 613 comandamenti riconosciuti dai rabbini sono da intendersi in senso allegorico. I Dieci “Comandamenti” riuniscono i principi di base che consentono a una società umana di sopravvivere e di essere pienamente umana, motivo per cui il loro contenuto si trova ovunque, in Mesopotamia come in Cina. Era fondamentale come kit di sopravvivenza, ma non bastavano le regole morali per costruire nel dettaglio un intero sistema di norme in grado di regolare una città, a differenza dell’halakha ebraica e della sharia islamica. Occorreva quindi conservare il diritto romano, la letteratura greca e la filosofia, in una parola preservare, accanto alla “religione”, qualcosa come quella che poi sarebbe stata chiamata “cultura”.

Qual è l’influenza di quella che lei chiama “modernità” sulla concezione europea del suo potere?

La parola “modernità” non è in alcun modo una mia invenzione. In lingua francese ricevette le sue lettere nobiliari da Baudelaire, che ne arrischiò una definizione. D’altra parte, ciò che è importante è che usiamo l’aggettivo “moderno” per designare una caratteristica essenziale e permanente del nostro tempo, a differenza dell’uso medievale, dove modernus significava semplicemente “recente”. Questo utilizzo è più vecchio di Baudelaire. Basti pensare alla famosa “Querelle des Anciens et des Modernes” a Parigi alla fine del XVII secolo. Ho abbozzato questa storia nel mio Moderately Modern.

Ciò che ha cambiato il modo in cui l’Europa ha inteso il proprio potere non è stata l’era moderna, un semplice riferimento cronologico, ma quello che, nel mio Regno dell’uomo, ho chiamato, dopo altri, il “progetto moderno”. Sogna un nuovo inizio da zero, un’umanità basata solo su se stessa, che elimini la dipendenza dal divino e padroneggi sempre meglio il fondamento naturale della sua esistenza: il proprio corpo, e questo tipo di “corpo esterno” (Fichte) che costituisce la biosfera.
In questa prospettiva, il potere diventa dominio, prima sulla natura, poi sul resto dell’umanità, a cominciare dalle donne. La ricezione dell’altro si trasforma in una bulimia di conquista.

Le virtù romane sono oggi indispensabili per uscire da quella che si impone come impotenza europea?

I romani non avevano virtù che fossero solo loro. Non si può inventare una virtù. È importante ricordarlo, perché immaginarlo fomenta un relativismo che, in fondo, corrompe tutte le virtù senza eccezioni. Quando Nietzsche distingue la virtù dei Greci: «mostrarsi ogni volta migliori ed essere superiori agli altri» (Iliade, 6, 208), quella degli Ebrei: onorare il proprio padre e la propria madre (Esodo, 20, 12), quella di i Persiani: non mentono e tirano bene con l’arco (Erodoto, I, 136, 2) (Così parlò Zarathustra, I: Dei mille e uno gol), vuole farci credere che le virtù sono relative e che possiamo creare nuovi. Ma nessuno dei tre popoli prende ad esempio considerava le virtù predilette degli altri due come vizi da evitare. Al massimo si può, come hanno fatto loro, sottolineando questa o quella virtù più di questa o quell’altra, a seconda del tipo di vita che si conduce. I romani insistevano su coraggio, senso civico, frugalità, virtù adatte alla dura vita di contadini e soldati.

Quella che ho chiamato la “strada romana” è un atteggiamento che ho isolato dal comportamento dell’élite di Roma, dal II secolo a.C., il “secolo degli Scipioni”, cioè poco dopo la loro vittoria militare sui Greci. Riconobbero la loro inferiorità culturale rispetto a coloro che avevano soggiogato e si misero coraggiosamente nella loro scuola, arrivando a creare un “impero greco-romano” ( Paul Veyne ). Questo è ciò che le élite europee fanno da secoli. Educarono la loro progenie facendo loro imparare il latino e il greco, cioè i classici di una civiltà che non era la loro, a differenza dei mandarini, che furono reclutati sulla loro conoscenza dei classici cinesi.

In questo momento è chiaro che l’Europa ha perso importanza: nella demografia vive di un’infusione di immigrati, nell’economia ha rilocalizzato la sua industria, nella diplomazia non gioca più nelle grandi serie, che convengono di passare oltre esso. Si ha però l’impressione che gli europei mascherino tutto questo con un eccesso di autocompiacimento. “Certo, siamo deboli, ma siamo gentili. Almeno non siamo bigotti e razzisti come gli americani, fanatici e macho come i musulmani, “formiche gialle” ossessionate dal lavoro come i cinesi, russi come i russi, ecc. Tutte queste persone ci danno dei crupper, ma pensiamo di non avere nulla da imparare da loro. Al contrario, sono loro che dobbiamo illuminare e civilizzare, ad esempio alzando la bandiera dei diritti fondamentali.

Di fronte a tutto questo, le tre virtù romane che ho citato sopra, coraggio, civismo, frugalità, potrebbero esserci di buon aiuto. La cittadinanza, ad esempio, potrebbe permetterci di temperare il nostro individualismo con la preoccupazione per il bene comune e la frugalità, aiutarci a resistere alla corsa frenetica al consumo.

Scrivi che la cultura non è un’origine pacificamente posseduta, ma una fine conquistata attraverso una dura lotta. Come combattere bene?

Ci sono molte prove lì. La cultura è qualcosa che acquisisci attraverso il duro lavoro. Anche usi e costumi, a cominciare dal linguaggio, non vengono semplicemente ricevuti nella culla e poi lasciati lì, abbandonati alla spontaneità dei bambini. Non dobbiamo accontentarci di canticchiare i canti della nostra nutrice; devi imparare a cantare secondo la teoria musicale. Non dobbiamo accontentarci di parlare “come ci viene spinto il becco”, secondo l’espressione tedesca; devi imparare a parlare la tua lingua madre secondo la grammatica, anche a scrivere poesie. Non devi solo camminare mettendo un piede davanti all’altro e ricominciando da capo; bisogna imparare, per esempio, a camminare al passo – c’è un bel passaggio su questo in Nietzsche del 1872 (Sul futuro delle nostre istituzioni educative, 2a lezione) – oppure, meglio, ballare. Tutto ciò richiede impegno, e quindi coraggio. Questa è un’altra virtù romana da cui dovremmo imparare. Non c’è battaglia più nobile di quella che combatti contro te stesso, contro la tua stessa pigrizia.

Lei scrive che la storia dell’Europa può essere vista come quella di una serie quasi ininterrotta di rinascite. Ci stiamo dirigendo verso un nuovo rinascimento?

Ho solo raccontato una storia, quella della cultura europea, una storia che ovviamente è solo una parte della storia dell’Europa, che ha dimensioni economiche, sociali, politiche e altre. in cui preferisco non entrare, per mancanza della necessaria competenza. È un dato di fatto che si sono susseguiti risvegli dal momento in cui, coincidenza interessante e forse significativa, abbiamo cominciato a prendere la parola “Europa” nel senso di entità politico-culturale — con questo sacro Carlo Magno e soprattutto il suo Ministro di Educazione Nazionale (o meglio Imperiale), Alcuino di York. Dopo la rinascita carolingia, abbiamo quella del XII secolo con il culto di Ovidio, l’ingresso del sapere greco e arabo nel XIII secolo, l’Italia dei grandi scrittori fiorentini, poi, nel XV secolo, l’ingresso della letteratura greca prima e dopo la caduta di Costantinopoli e il platonismo dei Medici, poi il classicismo di Weimar. E come continua di tutto questo, l’attività dei filologi di redigere, commentare, tradurre.

Ci sarà una nuova rinascita? Per temperamento, non sono proprio quello che viene chiamato “ottimista”. Se questo richiede di tornare allo studio delle lingue classiche, non credo che si cominci bene: da sessant’anni buoni, le autorità che pretendono di governarci hanno escogitato di renderlo impossibile; e ora negli Stati Uniti, alcune delle stesse persone che insegnano loro stanno iniziando a segare il loro ramo. Infatti è proprio l’idea di “classico”, indipendentemente dalla distanza linguistica, temporale, culturale, ecc., che ce ne separa, che dovremmo riscoprire: realtà più belle, più vere, migliori di noi, e da cui dobbiamo imparare. Ma ciò suppone un decentramento rispetto a se stessi, smettere di credersi molto scaltri, insomma una virtù meno romana che cristiana, l’umiltà…

https://www.revueconflits.com/penser-la-puissance-entretien-avec-remi-brague/

CRISI RUSSO-UCRAINA: TRA I 27 DELLA UE, OGGI IL VERO STATISTA È ORBAN_di Marco Giuliani

CRISI RUSSO-UCRAINA: TRA I 27 DELLA UE, OGGI IL VERO STATISTA È ORBAN

 

Da più di due mesi a questa parte stiamo prendendo atto, a margine della tragedia in corso tra Russia e Ucraina, che quelle poche voci dissenzienti circa l’utilità di peggiorare un’escalation pericolosissima, non fanno parte dell’universo riformista o liberaldemocratico, titoli platonici di cui si sono fregiati molti leaders europei. Senza scomodare il farneticante Johnson, al quale la risposta l’hanno già data gli elettori inglesi alle amministrative del 5 maggio (una delle sue ultime uscite è stata quella di «armare l’Ucraina per poter colpire Mosca entro il suo territorio»), si rende necessario discernere su ciò che sta emergendo, sul piano politico, in merito al conflitto in atto nell’Est europeo.

La UE ha dato l’ennesima prova della sua debolezza e della grave carenza di iniziativa diplomatica per porre un argine al disastro (non solo materiale, ma anche umanitario, energetico ed economico)) che sta coinvolgendo in primis la stessa Ucraina. Non sono bastati due anni di pandemia e le enormi difficoltà accusate per rinsavire i cosiddetti “traini” dell’unione, i quali, anzi, sembrano depauperati da qualsivoglia intervento migliorativo e appaiono quindi molto logori, specie sotto l’aspetto politico. I vari Macron, Sholtz e Borrell, solo per citarne alcuni, eccetto timidissimi segnali di perplessità rispetto all’ipotesi di un ulteriore accerchiamento di Putin, hanno mostrato la totale subalternità alle pretese degli Usa, e di conseguenza della Nato. La Casa Bianca, come sappiamo, sta facendo di tutto per creare uno scontro frontale con il Cremlino, il quale provocherebbe senza dubbio una drammatica condizione di non ritorno. Il problema vero (e grave) è che questo processo lo si sta perpetrando proprio ai danni dell’Europa in quanto istituzione, ovvero un soggetto giuridico di una diversità abissale dagli interessi finanziari e guerrafondai dell’ormai anziano e claudicante Biden.

C’è tuttavia chi si è fermamente sottratto a questo gioco pericoloso – vedi Victor Orban – mostrando di curare gli interessi della propria nazione, di chi lo ha votato e anche dell’Europa stessa, dichiarandosi incondizionatamente favorevole alla pace e contrario al fitto smercio di armi che transitano verso Kiev. Lo sappiamo, non si tratta di un fautore del sinistrismo idiomatico che si professa a favore di riforme pseudo-moderniste spesso formali e poco sostanziali, ma di un conservatore puro. Ciò non toglie che sul piatto della bilancia, nel momento in cui l’unione sembra essere giunta a un bivio epocale, le carte migliori in politica interna vengono poggiate proprio dal premier ungherese. Essere statisti significa non solo assolvere il mandato secondo l’impegno preso con la propria gente e nel rispetto del proprio elettorato, bensì anche (e soprattutto) ispirarsi a una profonda condanna per ogni soluzione non pacifica delle contese internazionali, opponendosi a qualsiasi modello di propaganda bellicista a protezione dei propri (e altrui) interessi. Essere statisti significa rifiutarsi di seguire la linea piatta delle sanzioni – o meglio dell’embargo – da e verso Mosca, che sta mettendo in ginocchio l’economia europea; significa non seguire il livellamento verso il basso di Draghi (volutamente non menzionato tra i “traini dell’unione” poiché l’Italia è oggi uno dei paesi a non aver alcun peso in relazione alla ipotetica soluzione della crisi), che da due mesi non risponde neanche al Parlamento. Ripudiare l’idea di una guerra a tutti i costi significa dissociarsi da Von der Leyen e Stoltemberg, che appaiono chiusi a qualsiasi forma di dialogo e anzi, forse per sincera incapacità o per secondi fini, stanno inibendo le residue chances di stemperare la tensione.

Per fortuna si è manifestato, nel nostro paese, quel fenomeno positivo che la scienza pedagogica definisce “vicarianza”, ovvero il ricorso, qualora un meccanismo funzioni male, a un mezzo ausiliario che svolga le stesse funzioni e sopperisca alle carenze evidenziate. Detto fenomeno è riferito al paese reale, ovvero a quella maggioranza degli italiani che si sta rifiutando di seguire il Presidente del Consiglio nel suo atono percorso di fedeltà a Washington. Una maggioranza che, come molti sondaggi hanno certificato, ha espresso un netto rifiuto nei confronti dell’invio di armi a Zelensky e della recrudescenza della guerra. Orban, che poche settimane fa ha stravinto le nuove elezioni nazionali, è stato tacciato, ma solo dalla stampa più asservita, di essere un ostruzionista; è un aggettivo inappropriato, se si è in buona fede. Domanda: essere ostruzionisti significa opporsi al colossale passaggio di armi (per un valore di decine di miliardi di euro) sul proprio territorio e dichiararsi contrario all’embargo del petrolio russo quando l’Ungheria dipende per gran parte dalle forniture di Mosca? Altra domanda: ostruzionismo significa dissociarsi da una malaugurata espansione della guerra?

Budapest ha mostrato, negli anni, una maggiore attenzione per i suoi cittadini e di essere in grado di dare luogo a un robusto rilancio delle sue attività produttive. Si è trattato di un cambiamento iniziato a partire dagli anni immediatamente successivi al clima di guerra fredda, durante i quali le società dell’Europa orientale uscite dall’esperienza sovietica dovettero attuare quei cambiamenti adatti a raggiungere un’economia di mercato che potesse sviluppare benessere. Le difficoltà affrontate nel nuovo percorso, oltre a provocare una frammentazione politica molto accentuata, comportarono il varo di numerose riforme inerenti a diverse liberalizzazioni di mercato, compresa l’adesione, nel marzo 1999, alla Nato. Orban, già leader del partito Fidesz, , divenne Primo ministro dal 1998 al 2002, e fu da subito al centro dell’attenzione internazionale per via della sua politica conservatrice; il suo governo impose infatti una serie di restrizioni le quali scoraggiarono, in parte, maggiori investimenti di capitali esteri. In ogni modo, se da un lato la leadership ungherese ha applicato alcuni divieti di carattere religioso ed etico, dall’altro, nello stabilire il tetto massimo del debito pubblico e nel deliberare norme contenitive in materia di immigrazione, ha di fatto inibito un’eccedenza delle uscite e posto uno stop all’incontrollato traffico di esseri umani che interessa l’Europa da almeno un trentennio.

All’insegna del cuius regio eius religio, nonostante l’applicazione all’Ungheria dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona che sanziona i casi di violazione dello stato di diritto, il premier magiaro è andato avanti per la sua strada eludendo i contraccolpi delle misure a suo danno (per inciso: la UE sembra ormai diventata più una fucina di punizioni disciplinari che un soggetto giuridico rappresentativo) con un ulteriore accentramento dei poteri. Oltre al progressivo abbandono delle politiche liberiste e il ricorso al rafforzamento strutturale del settore pubblico, sono stati nazionalizzati i fondi d’investimento restituendo una parte dei proventi ai creditori ungheresi. La tassazione diretta sui profitti privati e l’introduzione della fiscalità sui redditi bancari e sulle telecomunicazioni hanno fatto il resto. D’altronde, restando ininterrottamente al governo dal 2010 con un netto scarto sulle opposizioni (alle politiche dell’aprile 2022 Orban ha ottenuto il 54% dei consensi), Fidesz ha continuato a dare un’immagine di compattezza. Ciò sta succedendo anche nel momento più difficile, cioè da quando la guerra si è affacciata alle porte dell’Europa e ne ha fiaccato l’economia comunitaria, creando dissidi tra i membri e gravi contrasti di ordine ideologico che rischiano di lacerarne la ormai ultrasessantenne identità. L’Ungheria, per ora, si tiene fuori dalla mischia.

 

                       MG

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

G.Giardina – G. Sabbatucci – V. Vidotto, L’età contemporanea, Roma/Bari, Laterza, 2000 –

ISPI, sondaggi del 6 aprile 2022 reperibili su www.ispionline.it, sezione Guerra in Ucraina: cosa pensano gli italiani?

Enciclopedia Treccani, biografia di Victor Orban reperibile su www.treccani.it al link https://www.treccani.it/enciclopedia/viktor-orban/

  1. Hosbawn, Il secolo breve 1914-1991, Milano, Bur, 2000 –

Wall Street Italia, sondaggio del 28 marzo 2022 reperibile su www.wallstreetitalia.com, sezione Sondaggio Mikaline: italiani contrari (57%) all’invio di armi in Ucraina –

 

Testimonianza da Mariupoli e oltre, a cura di Max Bonelli

Sappiamo che gli orrori della guerra solitamente non sono esclusiva di una delle parti. Esiste, comunque, una diversità sostanziale nei comportamenti, come pure un atteggiamento del tutto unilaterale degli organi di stampa nostrani nel fornire informazioni. Con questi flash offriamo qualche scampolo di realtà alternativa, pur essendo noi un sito finalizzato all’analisi piuttosto che alla cronaca_Giuseppe Germinario

Testimonianza da Mariupoli sottotitoli in Italiano_Max Bonelli

Carlo Giorgetti

L’intervista rimossa da Der Spiegel alla signora ucraina evacuata da azovstal, nella quale affermava che i nazionalisti ucraini non facevano uscire le persone, con sottotitoli in italiano.

https://vk.com/id309467818?w=wall309467818_1302%2Fall&z=video327632289_456239128%2F3bdf594b287eb4d2b9%2Fpl_post_327632289_2094

RangeloniNews, [13/05/2022 09:04]
In Ucraina è stato pubblicato un video in cui viene dimostrato l’impiego dei missili “Brimstone” forniti da Londra.

Curioso il fatto che i lanci siano stati effettuati nascondendo armi in un furgone apparentemente anonimo, dando nuovamente prova di come la tattica del nascondersi tra la popolazione civile combattendo con veri e propri (spesso inconsapevoli) scudi umani sia diventata una consuetudine.

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Dichiarazioni di Adrian Bocquet un volontario francese in Ucraina:

“Mi assumo totalmente la responsabilità di ciò che dico. In Ucraina, ho assistito a crimini di guerra: Tutti questi crimini sono stati commessi dall’esercito ucraino. Ma in Francia non ne parliamo!”

Bocquet è un ex militare francese, autore di un libro. Dopo tre settimane trascorse in Ucraina, ai microfoni di SUD Radio, ha deciso di raccontare la sua esperienza. Ecco qualche estratto della sua intervista:

“Quando sono tornato in Francia Dall’Ucraina, sono rimasto scioccato: i canali televisivi invitano esperti che non sono stati in Ucraina e non sanno nulla di ciò che sta accadendo lì. Tra quello che sento dallo schermo televisivo e quello che ho visto con i miei occhi, c’è un abisso.”

“Ho visto l’esercito ucraino sparare alle ginocchia dei soldati russi catturati e sparare alla testa degli ufficiali.”

“Ho visto personalmente i cameramen americani inscenare riprese distorte dai luoghi degli eventi.”

“Tutti gli edifici civili distrutti presentati dall’Ucraina come bombardamenti su civili, non sono altro che il risultato di sparatorie imprecise degli ucraini su installazioni militari.”

“Le forze armate ucraine nascondono munizioni negli edifici residenziali di notte, senza nemmeno informare gli abitanti. Questo si chiama usare le persone come scudo.”

“Bucha è una messa in scena. I corpi dei morti sono stati spostati da altri luoghi e deliberatamente posizionati in modo tale da produrre riprese scioccanti”.

Versione completa dell’intervista in francese link: https://youtu.be/ZoKnhXnp-Zk

Come diventi impossibile nascondere le proprie simpatie. Un soldato della democrazia ucraina catturato

https://vk.com/im?sel=309467818&z=video175480689_456239065%2Fd698c5fd6875b310cd%2Fpl_post_175480689_292

L’apoteosi di Draghi in sintesi_a cura di Elio Paoloni

Travaglio magistrale. Sta dando il meglio di sé anche come scrittura giornalistica. Editoriale da incorniciare

L’ASSE NIENTE-NULLA
(di Marco Travaglio, “Il Fatto Quotidiano”)
Abituata a un presidente che stringe la mano a nessuno, la stampa americana non s’è accorta della visita di Draghi a Biden, spacciata da quella italiana come un evento storico. Repubblica: “Il patto della Casa Bianca”, “L’Italia ponte sull’Oceano” (non si sa quale, visto che ci affacciamo più modestamente sul Mediterraneo). Stampa: “Draghi-Biden: patto per Kiev. Il vertice rafforza l’asse transatlantico”. Sole 24 Ore: “Asse di ferro. Biden e Draghi: uniti sull’Ucraina”. Foglio: “Successo dell’incontro”, “Formidabile allineamento”. Dei contenuti si sa poco: ne ha parlato solo Draghi nella solita conferenza stampa senza domande, tipo Lavrov, mentre Biden gli ha negato quella congiunta (concessa a Scholz e persino al premier greco). Ma Palazzo Chigi ha diffuso le migliori perle dei due Grandi nella sala ovale. Tenetevi forte.
Draghi: “Molti in Europa si chiedono anche: come possiamo mettere fine a queste atrocità? Come possiamo arrivare a un cessate il fuoco? Come possiamo promuovere dei negoziati credibili per costruire una pace duratura? Al momento è difficile avere risposte, ma dobbiamo interrogarci seriamente su queste domande”. Biden: silenzio (forse non si interroga seriamente, forse dorme, forse parla con l’altro amico invisibile, forse è in coma). Draghi: “La pace sarà quello che vorranno gli ucraini, non quello che vorranno altri” (tipo i russi: dunque la pace la fa Zelensky da solo). Biden (tornato vigile per un istante): “Sono d’accordo!”. Seguono altri brevi cenni sull’universo. Draghi: “La Libia può essere un enorme fornitore di gas e petrolio, non solo per l’Italia, ma per tutta Europa”. Biden (testuale): “Tu cosa faresti?”. Draghi: “Dobbiamo lavorare insieme per stabilizzare il Paese”. Perbacco. Draghi: “Dobbiamo chiedere alla Russia di sbloccare il grano bloccato nei porti ucraini”. Biden: “Ci sono milioni di tonnellate. Rischiamo una crisi alimentare in Africa”. Ma non mi dire. Da questi pensierini da scuola elementare, il nulla mischiato col niente, le gazzette arguiscono che Draghi ha messo alle strette Biden cantandogliele chiare. Corriere: “Draghi: ‘L’Ue vuole la pace’” (come le girl di Miss Italia). Giornale: “Draghi avverte Biden: ‘L’Ue chiede pace’”. Stampa: “Il premier preme per il negoziato” (poi SuperMario confida a SuperJoe che “Putin pensava di dividerci”, quindi Putin ha invaso l’Ucraina per dividere Draghi da Biden). Libero: “Draghi chiede a Biden di fare la pace con Putin”. Messaggero: “Draghi in Usa, spinta per la pace”. Una spinta irresistibile: infatti partono altri miliardi di armi per Kiev e dal comunicato congiunto scompare la parola “negoziato”. Resta l’“asse” che, da Cartesio in poi, è sempre a 90 gradi.

Eric Denécé: “La Francia si piega sistematicamente ai diktat americani…”

Su questo sito abbiamo pubblicato spesso articoli, documenti e prese di posizioni francesi sulle più varie questioni di geopolitica, nella fattispecie sul conflitto russo-ucraino. Non è certamente un caso. La Francia è l’unico paese dell’Europa Occidentale  nel quale sono presenti gruppi strutturati e ben radicati negli apparati e nelle istituzioni con posizioni e politiche apertamente critiche rispetto alla deriva atlantista e liberista-mondialista presa dai propri centri dominanti maggioritari. Gruppi che hanno tentato un paio di volte di dare espressione e forza politica a tali posizioni. Tra le varie, naufragato miseramente l’esperimento della candidatura Fillon, hanno provato entrando e cercando di condizionare il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Tentativo rientrato rapidamente nel giro di un anno, vista la natura minoritaria e opportunista, da eterno oppositore di quel partito. Una seconda volta ci hanno provato con Erich Zemmour, con un esito al di sotto delle aspettative, non ostante la evidente profusione di mezzi e di capacità organizzative. In tutti questi casi è mancata la capacità di legare le tematiche della indipendenza politica, della potenza e della sovranità di uno stato a quella degli interessi degli strati popolari e delle nuove classi dirigenti del tutto diverse da quelle che hanno alimentato il gaullismo negli anni ’60. Limiti, solo superati i quali, possono offrire maggiori probabilità di successo ai futuri tentativi di Zemmour o equivalenti. Centri decisori i quali persistono e riescono comunque ad esprimere una forza tale da condizionare pesantemente le scelte di Macron e delle forze che lo esprimono. Da qui la relativa schizofrenia e la perversa ambiguità che contraddistingue l’operato di un presidente comunque debole politicamente. Un panorama, comunque e purtroppo, del tutto inesistente, in forme strutturate, in Italia non ostante la diffusa sensazione di inadeguatezza dei decisori politici e la diffusa presenza di personalità di spessore. Sia in Francia che in Italia, una decina di anni fa, in concomitanza con l’emergere negli Stati Uniti del “fenomeno Trump” partirono alcune iniziative con aspirazioni analoghe. In Italia si risolsero sin dal sorgere in un disastro; in Francia l’esito fu più promettente, ma comunque limitato. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Eric Denécé, direttore del Centro francese per la ricerca sull’intelligence (CF2R) fornisce un’analisi sul Putsch che è molto diversa da quelle ascoltate qua e là dai media mainstream e dalla bocca del governo o di alcuni esperti. Dopo gli attacchi che accusavano il CF2R di “propaganda pro Putin”, Eric Denécé desidera ricordare esattamente qual è il ruolo di questo centro e mette in luce il prestigio dei suoi membri. Un’intervista affascinante.

 

Il Centro francese per la ricerca sull’intelligence ha pubblicato un comunicato stampa al vetriolo per denunciare gli attacchi che riceve in merito al trattamento della guerra in Ucraina. Perché hai deciso di parlare pubblicamente?
Per due ragioni. Il primo è che la stragrande maggioranza dei ricercatori CF2R sono ex membri dei vari servizi di intelligence e sicurezza francesi che hanno prestato servizio durante la Guerra Fredda e che abbiamo diversi ex direttori dei servizi tra i membri del nostro Comitato Strategico. Inoltre, è sia offensivo che del tutto inappropriato accusarci di aver trasmesso la “propaganda di Putin”. Non siamo né filorussi né antirussi, analizziamo il conflitto in Ucraina con la massima indipendenza e imparzialità possibile.
Le nostre analisi si basano poi su fatti precisi, solide fonti e su una lunga esperienza di intelligence. Controlliamo tutto e non facciamo lo stupido presupposto che quando la NATO o Zelensky dice una cosa, è vera… e quando Putin ne dice un’altra, è necessariamente sbagliata. Tali atteggiamenti sono basati sulla malafede o sulla stupidità.
Non è perché la maggioranza degli osservatori spaccia una visione di questo conflitto che ci sembra orientata, o addirittura falsa, che adotteremo questo punto di vista mainstream. La nostra analisi è diversa e cerchiamo di spiegarne il perché mettendo in evidenza elementi che spesso vengono volutamente trascurati.

Interroga anche alcuni media e giornalisti, scrivendo che “dimenticano” la loro etica oltre che “nello sfruttamento di informazioni non verificate e spesso imprecise”. Alcuni dei principali media svolgono un ruolo dannoso nella popolazione francese in questo conflitto?
In effetti, alcuni ricercatori sono noti relè di comunicazione della NATO in Francia (1 e 2). Che difendano il loro punto di vista mi sembra legittimo. Ma si screditano cercando di imporre la “loro” verità, che non è in alcun modo il risultato del processo di analisi scientifica che dovrebbero produrre, ma piuttosto di un’azione propagandistica. E che giornalisti senza scrupoli con un’etica discutibile fanno eco a tali affermazioni false e parziali non onora la professione e sollevi la questione della loro onestà intellettuale. Fortunatamente, non tutti sono così guidati e orientati nelle loro indagini.

Denuncia anche “una versione dei fatti che gli americani volevano imporre a tutti i membri della Nato”. Puoi dirci qualche parola a riguardo?
Sì, la politica di espansione verso est della NATO, iniziata alla fine della Guerra Fredda, è proseguita nonostante le promesse fatte ai leader russi, come dimostrano le abbondanti prove ora disponibili. Dal 2014 l’obiettivo degli Stati Uniti è quello di integrare l’Ucraina nella NATO, nonostante i severi avvertimenti formulati da Vladimir Putin a partire dal 2008.
Per raggiungere i suoi scopi, Washington fornisce ai suoi docili alleati della NATO informazioni sulla “minaccia russa” per ottenere il loro sostegno. Ricordiamo di sfuggita che il budget per la difesa di Mosca è dieci volte inferiore a quello degli Stati Uniti e persino inferiore a quello di Francia e Germania messe insieme. Dalla fine del 2021, l’intelligence americana ha gridato al lupo per un attacco russo in Ucraina. Tuttavia, fino a metà febbraio 2022, questo non è rilevabile (l’esercito russo non ha adottato disposizioni di combattimento, non ha logistica offensiva o ospedali da campo, ecc.) perché Putin non lo voleva. Quindi gli “annunci” americani sono quindi privi di seri fondamenti.

Ricorderete anche la posta in gioco di questi conflitti che si sono radicati da diversi anni tra i due paesi e in particolare sul mancato rispetto, in particolare da parte di Kiev, degli accordi di Minsk. Come si spiega questa visione brutale e manichea e questa isteria antirussa che si è diffusa in Europa?
Come ho appena accennato, questo conflitto risale a tre decenni fa ed è principalmente legato al mancato rispetto dei propri impegni da parte della NATO. È possibile paragonare questa situazione a quella della fine della prima guerra mondiale dove le riparazioni imposte alla Germania furono una delle cause dell’ascesa al potere di Hitler e della seconda guerra mondiale. Allo stesso modo, l’Occidente ha continuato a disprezzare e deridere la Russia dopo la dissoluzione dell’URSS. Ciò ha portato all’ascesa del nazionalismo russo e a una profonda sfiducia negli Stati Uniti e in Europa. Abbiamo continuato a giocare con il fuoco. Mosca ha avvertito che l’installazione di missili NATO in Polonia e l’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza sono minacce esistenziali ai suoi occhi. Ma non ne abbiamo tenuto conto. Abbiamo persino chiuso un occhio sulla guerra che Kiev stava conducendo contro le popolazioni di lingua russa del Donbass, nonostante gli accordi di Minsk che non furono mai applicati. Era quindi difficile per i russi non reagire…

“Riteniamo che l’interesse del nostro Paese sia avere un’analisi indipendente per condurre una politica estera sovrana e non quella dettata dalla Nato”. Credi che il governo e la nostra classe politica nella sua stragrande maggioranza siano consapevoli di questa imperativa necessità geostrategica?
Sfortunatamente no. Dal reinserimento della Francia nella struttura integrata della Nato nel 2007 voluta da Nicolas Sarkozy, e soprattutto con la politica guidata da Emmanuel Macron, non si può più parlare di indipendenza strategica e sempre meno sovranità. Ci inchiniamo sistematicamente ai diktat americani (affare BNP/Paribas, annullamento della vendita di navi Mistral alla Russia, affare ALSTOM, contestazione dell’accordo 5+1 con l’Iran, affare sottomarino australiano, trasferimento di dati elettronici, ecc.) quando non lo siamo interpretando gli zelanti servitori di Washington. Siamo totalmente allineati con la politica statunitense, che è vista molto chiaramente in tutto il mondo. Non esiste più una “terza via” francese, l’eredità gollista è sepolta.

Questa guerra potrebbe cambiare profondamente il continente europeo e le relazioni tra la Russia e gli altri paesi? Dove si può sperare in un ritorno alla de-escalation e alla normalizzazione nel medio o lungo termine delle relazioni con la Russia?
Le relazioni della Francia con la Russia saranno permanentemente alterate. Naturalmente, Mosca è l’aggressore in questo conflitto. Ma tutti i torti non sono dalla sua parte. Le responsabilità di questa guerra che non avrebbe mai dovuto aver luogo sono condivise: gli Stati Uniti, la NATO e il regime di Zelensky hanno svolto un ruolo importante nel loro deliberato desiderio di spingere la Russia nelle sue trincee, sperando che pieghi o scateni questo conflitto che screditerebbe e tagliarlo definitivamente fuori dal mondo occidentale. Le loro provocazioni hanno dato i loro frutti, ma la situazione non si svolge esattamente come avevano immaginato gli apprendisti stregoni americani. A parte l’Europa, che stringe i ranghi intorno a loro, il resto del mondo non è solidale con la loro politica, il che annuncia un grande cambiamento nella geopolitica (nuova compartimentazione del mondo, dedollarizzazione, ecc.).

TRIBUNA APERTA N°108 / APRILE 2022

COMUNICATO STAMPA DEL 20 APRILE 2022

CENTRO FRANCESE PER LA RICERCA SULL’INTELLIGENCE (COLLETTIVA)

 

 

 

Di fronte agli attacchi infondati e diretti provenienti da individui le cui funzioni dovrebbero indurli alla moderazione e all’obiettività [1] , e da giornalisti che dimenticano la propria etica per godersi lo sfruttamento di informazioni non verificate e spesso imprecise [2] , il CF2R ribadisce che manterrà l’indipendenza della sua analisi della guerra in Ucraina.

Nel contesto di un conflitto non solo militare ma mediatico, mentre la stragrande maggioranza dei commentatori riprende la narrativa elaborata da ucraini e anglosassoni, il CF2R si sforza di mantenere la linea di onestà, neutralità e obiettività. Rifiuta di partecipare alle battute unilaterali e all’impresa di distorcere la realtà orchestrate da attori prevenuti che non hanno sempre mostrato la stessa combattività quando l’aggressore apparteneva alle loro fila.

È legittimo interrogarsi sulle motivazioni di coloro che cercano di imporre questa lettura e di impedire ogni riflessione ragionata e indipendente. Siamo tentati di chiamarli teorici della cospirazione – per loro è tutto sistematicamente colpa della Russia e tutti coloro che non sono d’accordo con le loro analisi sono agenti di influenza di Putin – e negazionisti dell’Olocausto – perché non tengono conto solo degli elementi serviti dall’ucraino e Narrativa anglosassone, escludendo sistematicamente qualsiasi informazione da altra fonte.

In questa logica si inserisce il licenziamento del comandante generale del DRM, perché questo servizio di qualità non ha aderito né voluto riprodurre la versione dei fatti che gli americani volevano imporre a tutti i membri della NATO. La critica che gli è stata rivolta è quindi del tutto infondata e ingiusta [3] .

In questo conflitto, nessuno nega che la Russia sia l’aggressore e la CF2R ha chiaramente condannato questa invasione. Ma condanna anche il rifiuto del regime di Kiev di applicare gli accordi di Minsk che ha comunque firmato. Riteniamo, inoltre, che l’isteria antirussa sia sproporzionata in considerazione del silenzio complice seguito all’aggressione della Serbia da parte della NATO nel 1999, a quella dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, violando altrettanto il diritto internazionale e la Carta dell’ONU – la legalizzazione della tortura da parte del Dipartimento di Giustizia e l’istituzione di prigioni segrete da parte di Washington nell’ambito della guerra al terrorismo.

Per questo il CF2R non aderisce all’analisi parziale e parziale che domina e che rifiuta di prendere in considerazione le ragioni storiche che hanno portato a questa tragedia, perché mettono in luce, piaccia o no, il ruolo e la responsabilità della NATO e il governo ucraino in questo conflitto che non avrebbe mai dovuto aver luogo.

Crediamo che l’interesse del nostro Paese sia avere un’analisi indipendente per condurre una politica estera sovrana e non quella dettata dalla NATO. Ciò è tanto più necessario in quanto prima o poi saremo portati a riallacciare i rapporti con la Russia per ricostruire un sistema di sicurezza europeo che assicuri la stabilità e la protezione delle popolazioni del nostro continente.

Il CF2R, di cui la maggior parte dei ricercatori e dei membri del comitato strategico proviene dalla comunità dell’intelligence e ha servito la Francia – in particolare durante la Guerra Fredda – non può prendere lezioni di patriottismo da individui appartenenti ai circoli atlantisti o che non hanno mai prestato servizio sotto le bandiere.

Li invitiamo cordialmente a riscoprire la via del buon senso e ad analizzare questa crisi senza i paraocchi e soprattutto l’emozione che limita significativamente la qualità e l’obiettività del loro giudizio o delle loro produzioni.

 

 


[1] Cfr. Bruno Tertrais, vicedirettore della Foundation for Strategic Research (FRS), noto come staffetta dell’opinione atlantista in Francia e che, tra l’altro, ha sostenuto l’illegale invasione americana dell’Iraq nel 2003.

https://putsch.media/20220505/interviews/interviews-societe/eric-denece-la-france-plie-systematiquement-devant-les-diktats-americains-quand-nous-ne-jouons-pas-les-serviteurs-zeles-de-washington/

Questo immenso non sapere, di Pierluigi Fagan

78° GIORNO DEL MONDO NUOVO. Chi frequenta questa pagina sa del mio allarme, sin dai primi giorni, per l’enormità che ad alcuni apparve subito come ombra del conflitto in primo piano. Si mostrava una enormità nell’ambizione del piano americano, una enormità di portata “epocale”. Questo dopo due anni di Covid, con maggioranza del partito di Biden alla Camera, ma pareggio al Senato, in un paese spaccato ormai da qualche anno. Ci si domandava quindi i prezzi di una strategia così ambiziosa, rispetto alle condizioni di contesto ed all’effettiva forza dell’Amministrazione.
Ieri ho controllato gli indici di borsa. Negli ultimi sei mesi, il capitale ha perso intorno al 15% tra Milano, Shanghai, Francoforte e poco meno Parigi. Intorno al 10% New York, Tokyo e Londra. Clamorosa la distruzione di capitale nei tecnologici: Nasdaq -30%. Le Monde dice che Standard&Poor 500 ha realizzato la peggiore performance di inizio anno dal ’32. L’inflazione negli Stati Uniti è all’8,5%, la più alta da quaranta anni, quindi FED dovrà alzare i tassi, quindi i titoli perderanno ancora. I tech hanno perso mille miliardi US$ nei tre giorni successivi il recente rialzo dei tassi del FED. Reuters/Ipsos dà Biden al 42% di approvazione ed al 50%, di disapprovazione. Sempre lo stesso tracking dà al 6% l’interesse degli americani per i temi del conflitto, il 29% preoccupati invece dall’economia. Ed a novembre si vota.
Di contorno, le strozzature nelle catene logistiche post Covid ma anche Covid in Cina, le idee di sostenere il re-shoring proprio dalla Cina (di cui anche il tonfo del Nasdaq) trovando paesi amici chissà dove a meno di non tornare dalla famiglia Marcos nelle Filippine. Tempi? Costi? In tutto questo continuano a prender impegni negli investimenti di conversione green o detta tale, mentre uno strano virus di americani stanchi di lavorare sottrae manodopera alla ripresa. Più la caterva di miliardi all’Ucraina e l’aumento della spesa militare.
Minacciano isolette del Pacifico, sdoganano Maduro, si impiastricciano in Medio Oriente, fanno brutta figura con l’idea di boicottare il G20 in Indonesia, dopo aver tentato golpe all’ONU rimediando dal poco al nulla. Più la tempesta alimentare e delle materie prime a livello globale i cui effetti ci delizieranno i prossimi mesi. Secondo il Wall Street Journal, nel primo trimestre i fondi pensione pubblici statunitensi hanno perso il 4,1% del loro valore e si prevede un suicidio di start up e vari tipi di contrazioni dei redditi.
Gli europei hanno mandato Mario l’Amerikano e dirgli che qui si hanno altri punti di vista. Gli europei sono sotto quadruplice minaccia: inflazione, energia, profughi e prossimi migranti afro-arabi in fuga dalla grande fame. Con un rischio maggiore ipotetico sull’allargamento del conflitto in cui verrebbero spazzati via dai missili ipersonici russi. In più, debbono aumentare la spesa militare, trovare la soluzione per assorbire l’Ucraina nel giro e metterci gran parte dei soldi che serviranno a ricostruire l’Ucraina, almeno 600 mld di US$ secondo i primi calcoli degli ucraini. La telefonata di ieri tra Macron e Xi è anche la preoccupazione per le mutazioni di quadro nelle relazioni commerciali che Washington vorrebbe imporre sul piano globale. Così gli americani per mostrare qualche vago segno di buona volontà sulla cui valutazione di serietà rimandiamo ai prossimi giorni, ieri hanno spedito l’ambasciatore a Mosca al Ministero degli Esteri russo a far due chiacchiere, su cosa vedremo.
Sul NYT si fanno sforzi per riconsiderare l’intera questione. In fondo si è finalmente ottenuto il riarmo europeo che porta doppi benefici di bilancio e di business essendo l’industria militare americana fornitore del mondo. La Svezia e la Finlandia entreranno probabilmente nella NATO e questo è strategico anche per il prossimo conflitto dell’Artico. La Russia al momento ha indubbiamente un profilo ammaccato quanto a grande potenza, gli ucraini avranno nuovi sistemi d’arma sempre più efficaci che porteranno al “conflitto congelato”, le sanzioni lavoreranno nei tempi medio-lunghi. Sembra la declinazione di un bilancio di cui ci si potrebbe anche accontentare, al momento. Dopo aver fatto uscire l’imbarazzante spiffero sul coinvolgimento USA nella sistematica eliminazione degli alti gradi militari russi, nell’incertezza di cosa è veramente capitato a Gerasimov, NYT sembra dare voce all’ala frenante delle élite di Washington dopo gli eccessi dei falchi.
Dopo poco meno di tre mesi di conflitto abbiamo capito alcune cose. Che sia una guerra civile pare evidente se si ascoltano i diversi corrispondenti al di qua ed al di là della linea d’ingaggio. Che ci sia stata una invasione illegittima altrettanto. Che l’attore di Kiev sia lo speaker di sceneggiatori occulti, palese. Che in Ucraina gli USA covassero uova da tempo, anche. Che gli europei se ne siano fregati come se la cosa non li riguardasse e non portasse conseguenze, altrettanto. La dichiarazione di Lloyd Austin e molto altro hanno fatto capire l’interesse strategico americano versione hardcore: regredire la Russia a minima potenza, dopo aver pubblicizzato il sogno inconfessabile addirittura del “regime change”, cosa che non si dovrebbe dire in mondovisione. E molti continuano a non citare la vera madre del conflitto evocata ieri da Lavrov: la fine del mondo unipolare in cui i russi si sarebbero presi la briga di far da levatrici a quello multipolare.
Nell’ultimo Limes, F. Luk’jnov, Consiglio per la politica estera e difesa russo, ha ridotto in essenza il nuovo regolamento del mondo auspicato da Mosca: pluralismo dei valori al posto dell’universalismo occidentale, equilibrio delle forze come base nei rapporti internazionali, ricorso alle armi quando le dialettiche egoiste non riescono a trovare un punto di mediazione accettabile.
In questi quasi tre mesi, chi ha tentato di mettere i fili in connessione, ipotizzando schemi di comprensione, è stato tacciato di “complessismo”, come fosse un insulto. Consiglieri molti che hanno dato vasta dimostrazione di quanto poco hanno capito di ciò che stava accadendo, ma pensavano invece di averlo ben chiaro, di prendersi una pausa di riflessione. Darsi una revisionata al sistema pensante non sarebbe male invece che costringere la propria percezione del mondo ad entrare a forza, stile Letto di Procuste, nelle nostre “infallibili categorie” che usiamo per comprendere gli eventi. Anzi, più che comprendere, giudicare, c’è una vasta ansia da giudizio anche se non si è capito bene cosa dover giudicare e si è solo in cerca di a chi dar la colpa, senza aver chiaro neanche di cosa. Lo spettacolo dei tanti che s’erano convinti che la struttura del mondo fosse economica, ora come fanciulli smarriti nell’inquietante mondo delle relazioni internazionali, delle strategie, della diplomazia che si sottrae alle luci della ribalta e va intuita, della geopolitica, dovrebbe suggerirci qualcosa? Gli eventi esondano, sarebbe saggio prenderne atto poiché non è uno spettacolo del mondo di cui siamo spettatori, ne va dei nostri futuri. Ed il futuro dovrebbe preoccuparci, cioè invitarci ad occuparcene prima che accada.
Ma se non capiamo cosa sta accadendo, il cambiamento del mondo accadrà comunque, ma senza di noi, vocianti e persi nel nostro immenso non sapere, non capire, quindi non sapere come agire.
E L’EUROPA?
Fotografia a più livelli della condizione europea. Macron, che ha ancora la presidenza europea fino a giugno, si è liberato del silenzio elettorale ed ha presentato diverse novità nel discorso di ieri sul futuro dell’Europa.
Poco tempo fa, segnalai l’uscita di Letta in favore di un allargamento delle convenzioni europee a paesi come la Georgia, l’Ucraina e la Moldova ed i balcanici occidentali, progetto già presentato da Michel poco tempo prima. Attualmente, l’adesione dell’Ucraina all’UE, superata la marmellata idealista buona per le conferenze stampa, dovrebbe fare i conti con procedure che semplicemente durano decenni. Altresì, pur essendoci la volontà espansiva di coinvolgere queste periferie per lo più orientali, non è affatto detto, anzi è certo il contrario, che questi candidati abbiamo semplicemente i requisiti minimi per equipararsi al plotone dei 27. Che fare? Ecco allora l’idea di associarli con uno statuto limitato, meno integrante in senso ampio e profondo, ma idoneo per condividere alcuni interessi.
Uno di questi interessi potrebbe anche essere il dotarsi di territori “friend-shoring”, per usare il nuovo concetto lanciato dalla ex presidente della FED ora Segretario al Tesoro, Janet Yellen. Il re-shoring è il reimportare produzioni ad attività economiche delocalizzate dove condizioni legali e costo del lavoro era più favorevole al tempo della globalizzazione ormai archiviata, per lo più Asia ed in specie Cina. Il nuovo ordine di Washington che vuole ri-bipolarizzare il mondo (democrazie vs autocrazie) chiama ora a separare queste catene del valore visto che gli amici di ieri diventano i nemici di oggi e soprattutto domani. I friend-shoring allora, sono paesi dove permane il vantaggio giuridico, fiscale e normativo (ad esempio le Filippine per gli USA dove stanno per eleggere il figlio di Marcos), ma che rimangono amici ovvero di area contigua il sistema occidentale. Quale miglior occasione allora di andare incontro alla volontà di associazione di queste periferie europee orientali associandole in sistema che dà qualche chiave ma non tutte quelle del mazzo? Tra l’altro, poiché sarebbe cosa da fare ex-novo, salterebbe i complicati processi di tipica burocrazia bruxellese.
Se questa volontà sembra chiara in direzione di quantità del sistema europeo, si nota un altro movimento che si pone il problema della qualità. S’è capito che l’UE è una costruzione tipica da periodo congiunturale scambiato per “fine della storia” quando s’era pensato definitivo ed eterno il dominio della filosofia del mercato come ordinatore. Qualche vincolo, qualche regola, il resto lo avrebbe fatto il mercato, questa è l’essenza del progetto unionista. S’è però scoperto col tempo che: a) la storia non era finita; b) c’erano masse migratorie ai bordi meridionali del sub-continente da trattare in qualche modo; c) il mercato di per sé non aveva affatto assorbito ed aiutato a superare i postumi della crisi del 2008-9, anzi li aveva resi endemici; d) arrivava una cosa sconosciuta come la “pandemia” a cui il sistema europeo semplicemente non ha risposto se non facendo pasticci contrattuali nell’acquisto dei vaccini e senza null’altro in termini di politica sanitaria; e) si sono firmati comuni impegni di grande onore in termini di politiche climatiche, ma poi nulla è conseguito come sempre accade quando una unione di principio economico deve trattare problemi di altra natura; f) infine, è poi arrivata addirittura la guerra imponendo logica geopolitica che non è quella economica.
La guerra ha posto molteplici domande come la consistenza militare europea, la sua stessa assurda disorganizzazione in termini di presunta “unione”, la condizione di totale subordinazione a gli USA, le varie asimmetrie di politica energetica (nonché la totale assurdità di egoismi nazionali tipo norvegesi ed olandesi sul price cap sulle materie prime fossili il cui prezzo è fuori logica e controllo e tra l’altro ben prima della guerra che sull’argomento c’entra poco o nulla), la varietà di interessi da una parte e repulsioni nei confronti della Russia dall’altra. Insomma, l’Unione ad una dimensione è un soggetto cieco, sordo, muto e sostanzialmente paralizzato quando la complessità del mondo pone domande non previste dal copione della misera filosofia del mercato. Che fare, anche qui?
Ecco allora che Draghi lancia l’idea di rivedere i trattati, trenta anni dopo Maastricht ci starebbe pure come logica. L’idea è quella di rivedere la regola dell’unanimità di voto. Si ricordi che Maastricht venne convenuto tra soli 12 paesi di cui uno, il Regno Unito, s’è poi dissociato. Con la logica “più siamo più ci divertiamo” tipica di chi vuole fare commerci ed affari, da 12 siamo passati a 28, poi 27 anche sotto dettato americano che voleva si riassorbissero gli ex Patto di Varsavia (e conseguente allargamento NATO). Così ieri Marcon, liberato dalla sospensione elettorale, ha fatto sentire la sua voce: dobbiamo snellire i processi decisionali rompendo il vincolo di unanimità in favore di quello di maggioranza. Maggioranza semplice o qualificata? Con obbligo di sottomettersi da parte dei perdenti e come semplice ratifica di chi ci sta e chi non ci sta a fare x o y, secondo logica di equilibri e maggioranze variabili per progetti ad hoc? Che ne vien fuori e cosa ne facciamo allora del concetto di “unione” che diventerebbe spazio comune di possibilità per diverse unioni? Non si sa ancora, ovvio, se ne discuterà.
In chiusura, segnalo che sempre Macron ha espresso una più chiara volontà o forse solo una convinta speranza, di portare la faccenda ucraina ad una chiusura a breve. Da più parti in Europa si comincia a manifestare una opinione di élite (qui da noi De Benedetti, Delrio, lo stesso Letta sembra essersi tolto l’elmetto, oggi Nelli Feroci) sul fatto che gli interessi europei ed americani non coincidono del tutto, soprattutto sui tempi. Chissà se va in questa direzione il discorso dimesso, contenuto ed altrettanto diplomatico di Putin alla parata del 9 maggio in cui gli anglosassoni avevano ardentemente sperato di sentirgli pronunciare la dichiarazione di guerra. Putin ha continuato invece a circoscrivere il conflitto. Oggi Draghi va da Biden e chissà se tra un sorrisone ed una pacca sulla spalla, non porterà avanti la linea sicuramente concordata con Macron e forse Scholz per cui prima o poi si dovrà pur far la pace. “Onorevole per tutti” ha specificato Macron il quale, come notato ieri da Caracciolo, pare faccia lunghe telefonate quotidiane con Putin alla ricerca di una exit strategy.
A questo punto, abbiamo scandinavi ed europei dell’est allineati agli USA che vorrebbero chiudere la partita bellica il più tardi possibile (e non a caso Svezia, Finlandia, Danimarca, i tre baltici, Polonia, Cechia, Romania, Bulgaria, Croazia e Slovenia, Malta, si sono già dichiarate fortemente contrarie anche all’ipotesi di cambio dei trattati e delle regole di voto), ed europei dell’ovest che vorrebbero chiudere la partita ucraina il prima possibile, come forse Putin stesso. Zelensky sa che le armi per raggiungere le migliori posizioni negoziali vengono dagli USA ed UK, ma sa anche che i soldi per la ricostruzione (su cui insiste molto, di recente) e la stessa apertura al club UE dipendono dagli europei dell’ovest.
Da notare la profonda crisi ontologica tedesca. Perde il North Stream, armi sì armi no, sfiora l’incidente diplomatico con Kiev, divergenze di coalizione, reinventarsi un futuro visto che la nazione disarmata dedita alla globalizzazione non è più sostenibile (e del business con la Cina che si fa?), per ruolo al fianco della Francia ma con tutta la sua rete storica di contatto dall’altra parte (scandinavi ed europei dell’est), impossibilitata a rinunciare al gas russo (dopo aver perso enormi porzioni di business), tonfo SPD alle recenti elezioni Schleswig-Holstein, Scholz pare abbia perso 12 punti di consenso da quando è stato eletto, i tedeschi stessi paiono tripartiti in fette simili tra chi pensa che rispetto alla crisi Ucraina va bene cosa è stato fatto, bisognava fare di più, bisognava fare di meno ed tener più conto degli interessi verso la Russia (sondaggio Ard), il futuro economico prima certezza assoluta e perno della religione tedesca è diventato improvvisamente nuvoloso.
Germania spaccata, Europa spaccata, Occidente divergente (e qualche segnale di perplessità anche negli USA che quanto a “spaccature” non è secondo a nessuno, con la soffiata del NYT probabilmente voluta), Zelensky ne approfitta per giocare su due tavoli ma stando attento a non perdere su entrambi e spaccato anche lui tra oltranzisti e trattativisti, Putin forse spera si rompa il monoblocco occidentale ma chissà in quali tempi, tutto molto aggrovigliato, ma anche dinamico.

Il giorno di Mario Draghi_con Antonio de Martini

Ieri, martedi 10 maggio, è stato il giorno di Mario Draghi al cospetto di Biden. E’ stato il suo giorno di gloria. Non sappiamo se è stato il suo momento fugace o il riconoscimento e la sanzione duratura di un ruolo internazionale riconosciuto. La postura assunta nell’incontro, così come la hanno presentata, è stata particolarmente significativa: un gran consigliere, nel pieno della sua dignità e del suo ruolo di dignitario, al cospetto di un principe sovrano, dal cospetto incerto e dallo sguardo perso nel vuoto. Il merito e gli argomenti affrontati nell’incontro corrispondono esattamente all’immagine offerta: hanno sottolineato la fedeltà assoluta e la linearità dei comportamenti del governo italiano rispetto agli indirizzi e alle pesanti scelte americane riguardanti il conflitto russo-ucraino. Grazie a questo, Mario Draghi si è concesso il lusso di richiamare Biden e la sua amministrazione alle conseguenze di queste scelte e di segnalare che è arrivato il momento di preservare i frutti di queste scelte: l’acquisita coesione della allenza atlantica in funzione antirussa e la consapevolezza della crescente ritrosia dei popoli europei a protrarre ulteriormente lo stato di belligeranza. Ha parlato volutamente di popoli ed opinione pubblica europea un po’ per ipocrisia diplomatica, soprattutto per evidenziare la difficoltà crescente dei ceti politici locali nel gestire e giustificare per troppo tempo un livello così esasperato di tensione. Una raccomandazione a non tirare ulteriormente la corda, almeno per il momento. Negli ultimi mesi, la figura di Mario Draghi è parsa appannarsi soprattutto come politico impegnato nelle beghe interne all’Italia, ma anche nello stesso agone della Unione Europea, non ultima la sua apparizione al parlamento europeo. Lo abbiamo più volte sottolineato su Italia e il mondo. Nel campo europeo sono risaltati molto di più la petulanza di Macron, il tira e molla dietro le quinte di Sholz e l’oltranzismo avventurista di polacchi e paesi baltici, almeno sino a quando Draghi ha potuto e saputo mettere a frutto la ormai tradizionale italica remissività ed accondiscendenza, guadagnandosi addirittura un possibile ruolo di mediatore o cerimoniere tra Stati Uniti, Ucraina e Russia. Il pallino e il dibattito più impegnativo sulla conduzione degli affari internazionali, nel versante occidentale, rimane comunque in mano ai centri decisori statunitensi. Quello che succede in Europa, rispettivamente la delicata pressione di Draghi, corroborata dalla parziale conversione di Letta e dalla petulanza di Macron, da una parte e l’iniziativa ucraina, presumibilmente ispirata da Nuland & C. dall’altra, di rallentamento dei flussi di gas, traggono alimento da e sono almeno in parte sponde esterne di posizioni presenti nell’amministrazione americana. Al netto del terrore che pervade lo staff presidenziale ad ogni apparizione pubblica di Biden, l’assenza di una conferenza stampa comune assume comunque un significato. Al beneficio che riuscirà a trarre Mario Draghi ne corrisponderà almeno uno parziale per il paese? Il dubbio volge pressoché verso la certezza di una stridente divaricazione, vista la pressoché totale inconsistenza di un ceto politico e di una classe dirigente, entrambi tanto petulanti quanto inconcludenti e dimessi, sia nella fazione assolutamente predominante dei consenzienti a prescindere che nella gran parte dei contestatori ed oppositori velleitari. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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