Il rovescio della medaglia del crollo imperiale, Robert D. Kaplan

Un articolo interessante con qualche evidente forzatura, soprattutto nella valutazione pragmatica della politica estera dell’amministrazione Biden e sulla condizione della leadership russa. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Le guerre sono cardini storici. E le guerre mal generate, quando servono come punti culminanti di un declino nazionale più generale, possono essere fatali. Ciò è particolarmente vero per gli imperi. L’impero asburgico, che regnò sull’Europa centrale per centinaia di anni, avrebbe potuto resistere nonostante decenni di decadenza se non fosse stato per la sconfitta nella prima guerra mondiale. Lo stesso vale per l’impero ottomano, a cui dalla metà del diciannovesimo secolo ci si riferiva come “il malato d’Europa”. Come accadde, l’impero ottomano, come quello asburgico, avrebbe potuto lottare per decenni e persino riformarsi, se non fosse schierato dalla parte dei perdenti nella prima guerra mondiale.

Ma le scosse di assestamento di tale punizione imperiale non dovrebbero mai essere sottovalutate o celebrate. Gli imperi si formano dal caos e il crollo imperiale lascia spesso il caos sulla propria scia. Gli stati più monoetnici sorti dalle ceneri dei multietnici imperi asburgico e ottomano si rivelarono spesso radicali e instabili. Questo perché i gruppi etnici e settari e le loro particolari lagnanze, che erano stati placati sotto i comuni ombrelli imperiali, si trovarono improvvisamente da soli e si scontrarono l’uno contro l’altro. Il nazismo e il fascismo in generale hanno influenzato stati e fazioni assassine nei Balcani post-asburgici e post-ottomani, così come gli intellettuali arabi che studiavano in Europa che hanno riportato queste idee nelle loro patrie postcoloniali appena indipendenti, dove hanno contribuito a plasmare l’ideologia disastrosa del baathismo. Winston Churchill ipotizzò alla fine della seconda guerra mondiale che se le monarchie imperiali in Germania, Austria e altrove non fossero state spazzate via al tavolo della pace a Versailles, “non ci sarebbe stato Hitler”.

Il ventesimo secolo è stato in gran parte plasmato dal crollo degli imperi dinastici nei primi decenni e dalle conseguenti guerre e sconvolgimenti geopolitici nei decenni successivi. L’impero è molto denigrato dagli intellettuali, ma il declino imperiale può portare a problemi ancora maggiori. Il Medio Oriente, ad esempio, non ha ancora trovato una soluzione adeguata al crollo dell’Impero Ottomano, come dimostrano le sue sanguinose vicissitudini negli ultimi cento anni.

Tutto questo dovrebbe essere tenuto a mente quando si considera la vulnerabilità di Cina, Russia e Stati Uniti oggi. Questi grandi poteri possono essere anche più fragili di quanto sembri. L’ansiosa previsione richiesta per evitare catastrofi politiche, cioè la capacità di pensare in modo tragico per evitare tragedie, non è stata sviluppata a sufficienza o non è stata evidenziata da nessuna parte a Pechino, Mosca e Washington. Finora, sia la Russia che gli Stati Uniti hanno avviato guerre autodistruttive: la Russia in Ucraina e gli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq. Quanto alla Cina, la sua ossessione per la conquista di Taiwan potrebbe portare all’autodistruzione. Tutte e tre le grandi potenze negli ultimi anni e decenni hanno chiaramente dimostrato attacchi fondati su insolitamente cattivi giudizi quando si tratta della loro sopravvivenza a lungo termine.

Se uno o tutti i grandi poteri di oggi si indebolissero drammaticamente, la confusione e il disordine aumenterebbero all’interno dei loro confini e in tutto il mondo. Gli Stati Uniti indeboliti o assediati sarebbero meno in grado di sostenere i propri alleati in Europa e in Asia. Se il regime del Cremlino dovesse vacillare a causa di fattori derivanti dalla guerra in Ucraina , la Russia, istituzionalmente più debole della Cina, potrebbe diventare una versione ipocalorica dell’ex Jugoslavia, incapace di controllare i suoi territori storici nel Caucaso, in Siberia e nell’est Asia. Le turbolenze economiche o politiche in Cina potrebbero scatenare disordini regionali all’interno del paese e anche incoraggiare l’India e la Corea del Nord, le cui politiche sono intrinsecamente vincolate da Pechino.

TERRENO TRASLANTE

Le grandi potenze di oggi non sono imperi. Ma Russia e Cina portano le tracce della loro eredità imperiale. La guerra del Cremlino in Ucraina è radicata negli impulsi che esistevano sia nell’impero russo che in quello sovietico, e le intenzioni aggressive della Cina nei confronti di Taiwan fanno eco alla ricerca dell’egemonia propria della dinastia Qing in Asia. Gli Stati Uniti non si sono mai identificati formalmente come un impero. Ma l’espansione verso ovest in Nord America e le occasionali conquiste territoriali d’oltremare hanno conferito agli Stati Uniti un sapore imperiale nel diciannovesimo secolo e nel dopoguerra hanno goduto di un livello di dominio globale precedentemente noto solo agli imperi.

Oggi, tutte e tre queste grandi potenze devono affrontare un futuro incerto, in cui non si può escludere un collasso o un certo grado di disintegrazione. La serie di problemi è diversa per ciascuno, ma le sfide che ogni paese deve affrontare sono fondamentali per l’esistenza stessa di quel potere. La Russia affronta il rischio più immediato. Anche se in qualche modo prevale nella guerra in Ucraina, la Russia dovrà affrontare il disastro economico di essere disaccoppiata dall’UE e dalle economie del G-7 a meno che non ci sia una vera pace, che ora appare improbabile . La Russia potrebbe già essere il malato dell’Eurasia, come lo era l’Impero Ottomano dell’Europa.

Per quanto riguarda la Cina , la sua crescita economica annuale a due cifre fino è rallentata a una cifra singola e potrebbe presto raggiungere cifre basse a una cifra. Il capitale è fuggito dal paese, con investitori stranieri che vendono molti miliardi di dollari in obbligazioni cinesi e altri miliardi in azioni cinesi. Allo stesso tempo l’economia cinese è maturata e gli investimenti dall’estero sono diminuiti, la sua popolazione è invecchiata e la sua forza lavoro si è ridotta. Tutto ciò non è di buon auspicio per la futura stabilità interna. Lo ha notato Kevin Rudd, presidente dell’Asia Society ed ex primo ministro australiano il quale ha proferito che il presidente cinese Xi Jinping, attraverso le sue politiche stataliste e ferree comuniste, “ha iniziato a strangolare l’oca che, per 35 anni, ha deposto l’uovo d’oro”. Queste dure realtà economiche, minando il tenore di vita del cittadino medio cinese, possono minacciare la pace sociale e il sostegno implicito al sistema comunista. I regimi autoritari, mentre presentano un’aura di serenità, possono sempre marcire dall’interno .

Gli Stati Uniti sono una democrazia, quindi i suoi problemi sono più trasparenti. Ma questo non li rende necessariamente meno acuti. Il fatto è che mentre il deficit federale sale verso livelli insopportabili, lo stesso processo di globalizzazione ha diviso gli americani in due metà in guerra: coloro che sono stati trascinati nei valori di una nuova civiltà cosmopolita mondiale e quelli che la rifiutano per il bene di una più tradizionale e di un nazionalismo religioso. Metà degli Stati Uniti è sfuggita alla sua geografia continentale mentre l’altra metà è ancorata ad essa. Gli oceani sono sempre meno un fattore per isolare gli Stati Uniti dal resto del mondo, che per oltre 200 anni ha contribuito a provvedere alla coesione comunitaria del paese. Gli Stati Uniti erano una democrazia di massa ben funzionante nell’era della stampa e delle macchine da scrivere, ma è molto meno di successo nell’era digitale, le cui innovazioni alimentarono la rabbia populista che portò all’ascesa di Donald Trump .

A causa di questi cambiamenti, sta probabilmente prendendo forma una nuova configurazione di potere globale. In uno scenario, la Russia declina precipitosamente a causa della sua guerra mal generata, la Cina trova troppo difficile ottenere un potere economico e tecnologico sostenuto sotto un Partito Comunista Cinese (PCC) che torna sempre più al leninismo ortodosso e gli Stati Uniti superano i loro disordini interni e alla fine riemerge, come ha fatto subito dopo la Guerra Fredda, come potenza unipolare. Un’altra possibilità è un mondo veramente bipolare in cui la Cina mantenga il suo dinamismo economico anche se diventa più autoritaria. Una terza possibilità è il graduale declino di tutte e tre le potenze, che porta a un maggiore grado di anarchia nel sistema internazionale, con potenze di medio livello, in particolare in Medio Oriente e Asia meridionale, ancora meno contenute di quanto non lo siano già, e Stati europei incapaci di essere d’accordo su tante cose in assenza di una forte leadership americana, con la Russia post-Putin alla sua frontiera.

Quale scenario emergerà dipenderà molto dall’esito delle contese militari. Il mondo sta assistendo a ciò che una grande guerra di terra nell’Europa orientale sta modellando alle prospettive e alla reputazione della Russia come grande potenza. Ucraina ha smascherato la macchina da guerra russa come distintamente appartenente al mondo in via di sviluppo: incline all’indisciplina, alle diserzioni e povera di una logistica inesistente, con un corpo estremamente debole di sottufficiali. Come la guerra in Ucraina, un sofisticato conflitto navale, informatico e missilistico a Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale o nel Mar Cinese Orientale sarebbe più facile da iniziare che da finire. Ad esempio, quale sarebbe l’obiettivo strategico degli Stati Uniti una volta che tali ostilità militari fossero iniziate sul serio: la fine del governo del PCC in Cina? In tal caso, come reagirebbe Washington al caos che ne risulterebbe? Gli Stati Uniti hanno appena cominciato a riflettere su queste domande. La guerra, come Washington ha imparato in Afghanistan e in Iraq, è un vaso di Pandora.

STRATEGIA DI SOPRAVVIVENZA

Nessun grande potere dura per sempre. Ma forse l’esempio più impressionante di resistenza è l’impero bizantino, che durò dal 330 d.C. sino alla conquista di Costantinopoli durante la quarta crociata nel 1204, per poi riprendersi e sopravvivere fino alla vittoria finale ottomana nel 1453. Ciò è doppiamente impressionante se si considera che Bisanzio aveva una geografia più difficile e nemici più forti, e di conseguenza maggiori vulnerabilità, rispetto a Roma in Occidente. Lo storico Edward Luttwak ha affermato che Bisanzio “faceva meno affidamento sulla forza militare e più su tutte le forme di persuasione: per reclutare alleati, dissuadere i nemici e indurre potenziali nemici ad attaccarsi a vicenda”. Inoltre, quando combattevano, osserva Luttwak, “i bizantini erano meno inclini a distruggere i nemici che a contenerli, sia per conservare le forze sia perché sapevano che il nemico di oggi poteva essere l’alleato di domani”.

In altre parole, non si tratta solo di evitare grandi guerre quando possibile, ma anche di non essere apertamente ideologici, per poter considerare il nemico di oggi l’amico di domani, anche se ha un sistema politico diverso dal proprio. Non è stato facile per gli Stati Unitifare, visto che vede se stessa come una potenza missionaria impegnata a diffondere la democrazia. I Bizantini hanno inciso una flessibilità amorale nel loro sistema, nonostante la sua presunta religiosità; un approccio realistico che è diventato più difficile da realizzare negli Stati Uniti, in parte a causa del potere di un’establishment mediatico ipocrita. Personaggi influenti nei media americani chiedono incessantemente a Washington di promuovere e talvolta persino far rispettare la democrazia e i diritti umani in tutto il mondo, anche quando ciò danneggia gli interessi geopolitici degli Stati Uniti. Oltre ai media, c’è la stessa classe dirigente della politica estera, che, come ha dimostrato l’intervento militare statunitense in Libia nel 2011, non ha imparato appieno le lezioni del crollo dell’Iraq e di quella che era anche allora la continua intrattabilità dell’Afghanistan. Tuttavia, la risposta relativamente misurata dell’amministrazione Biden in Ucraina – non inserendo truppe statunitensi e consigliando informalmente agli ucraini di non espandere la loro guerra in territorio russo – potrebbe segnare un punto di svolta. In effetti, meno missionari sono gli Stati Uniti nel loro approccio, più è probabile che evitino guerre disastrose. Naturalmente, gli Stati Uniti non devono spingersi fino alla Cina autoritaria, che non tiene lezioni morali ad altri governi e società, affrontando volentieri regimi i cui valori differiscono da quelli di Pechino quando ciò offre alla Cina un vantaggio economico e geopolitico.

Una politica estera statunitense più contenuta potrebbe essere la ricetta per la sopravvivenza a lungo termine della potenza americana. Il “bilanciamento offshore” a prima vista servirebbe come strategia guida di Washington: “Invece di controllare il mondo, gli Stati Uniti incoraggerebbero altri paesi a prendere l’iniziativa nel controllare le potenze emergenti, intervenendo solo quando necessario”, come affermano gli scienziati politici John Mearsheimer e Stephen Walt lo mise in Foreign Affairs nel 2016. Il problema con questo approccio, tuttavia, è che il mondo è così fluido e interconnesso, con crisi in una parte del globo che migrano verso altre parti, che la moderazione potrebbe semplicemente non essere praticabile. Il bilanciamento offshore potrebbe essere semplicemente troppo restrittivo e meccanico. L’isolazionismo prosperò in un’epoca in cui le navi erano l’unico modo per attraversare l’Oceano Atlantico e impiegavano giorni per farlo. Attualmente, una dichiarata politica di moderazione potrebbe solo telegrafare debolezza e incertezza.

Purtroppo, gli Stati Uniti sono destinati a essere coinvolti in crisi estere, alcune delle quali avranno una componente militare. Questa è la natura stessa di questo mondo sempre più popoloso, interconnesso e claustrofobico. Ancora una volta, il concetto chiave è pensare sempre in modo tragico: cioè contemplare gli scenari peggiori per ogni crisi, pur non lasciandosi immobilizzare nell’inerzia generale. È più un’arte e una brillante intuizione che una scienza. Eppure è così che le grandi potenze sono sempre sopravvissute.

Gli imperi possono finire all’improvviso e, quando lo fanno, ne derivano caos e instabilità. Probabilmente è troppo tardi per la Russia per evitare questo destino. La Cina potrebbe farcela, ma sarà difficile. Gli Stati Uniti sono ancora nella posizione migliore tra i tre, ma più a lungo attende di adottare un cambiamento più tragico e realistico nel suo approccio, peggiori saranno le probabilità. Una grande strategia dei limiti è fondamentale. Speriamo che inizi adesso, con la politica di guerra dell’amministrazione Biden in Ucraina.

https://www.foreignaffairs.com/world/downside-imperial-collapse

PUNTO CRITICO?_di Pierluigi Fagan

Siamo ad un punto critico della guerra in Ucraina? Proverò a sviluppare una tesi ipotetica, troppe cose non sappiamo per aver certezze e sebbene esplorerò una tesi, si potrebbe interpretare le stesse cose in altro modo. Il punto è: si inizia a pensare a come uscirne?
I fatti, almeno quelli pubblicamente noti. Biden, ad un fundraising a casa del figlio di Murdoch, ha detto: 1) siamo nella più grave crisi di rischio atomico dai tempi dei missili a Cuba; 2) conosco personalmente Putin, non scherza; 3) se in virtù di una sostanziale non vittoria sul campo sente minacciato il suo potere e si mette ad usare l’atomico tattico, da lì in poi è escalation senza via di uscita; 4) sto allora pensando quale potrebbe essere una via d’uscita.
Blinken ha rilanciato “noi siamo pronti a trovare una soluzione diplomatica, ma i russi vanno in direzione opposta”. I russi, nei giorni scorsi, hanno detto più o meno lo stesso, dal loro punto di vista. Alcuni sostengono che da tempo i due si parlano dietro le quinte e quindi quello che noi vediamo è schiuma quantistica sopra fatti ignoti. Se veramente di tratta, le dichiarazioni pubbliche vanno interpretate, sono spiragli, tentativo di delimitare il campo, trattativa su come fare una trattativa, porre linee rosse che poi diventano rosa e svaniscono quando effettivamente si finisce al tavolo? Cos’è irrinunciabile per l’uno e per l’altro?
Alcuni hanno voluto leggere una nuova volontà di abbassare i toni da parte americana nel far uscire dichiarazioni CIA su NYT a proposito dell’attentato alla figlia di Dugin per colpa di una parte dell’establishment ucraino (c’è una parte trattativista ed una oltranzista com’è ovvio ci sia in questi frangenti?).
Altri hanno evidenziato il crescente fastidio americano per le continue richieste ucraine sempre molto pretendenti, oltretutto con una situazione sul campo che mostra una certa autonomia operativa ucraina, pare, non sempre gradita a Washington.
C’è anche chi ha osservato che l’uscita di Elon Musk, che ha fatto imbestialire Kiev, potrebbe esser pilotata.
Ieri abbiamo scritto un post sul fatto che sta montando una forte insofferenza per l’annunciato Armageddon economico-finanziario planetario. Per ora si sono espressi a mezza voce cinesi, indiani, i 24 dell’Opec. Sempre ieri alla Commissione diritti umani delle UN è stata negata la proposta americana di istruire una indagine ufficiale per il maltrattamento degli uiguri da parte dei cinesi nel Xinjiang. Voti contrari su asse musulmano-africano ma con aggiunte asiatiche. La questione del missile di Kim ha portato i coreani del sud a spararsi un missile vero (armato) addosso, brutta performance.
Giorni fa, funzionari ucraini si sono lamentati con una certa disperazione per il fatto che l’Europa non fa arrivare i fondi promessi (notoriamente a Bruxelles non sono così disponibili quando si tratta di cacciare i soldi) e non promette bene anche per i mesi a venire. La macchina statale e bellica ucraina mangia miliardi al mese, poi c’è la ricostruzione e così sarà molto a lungo. Di contro, sappiamo l’Europa a cosa va incontro nei prossimi mesi e pensare di destinare congrui fondi alla guerra mentre qui imperversa freddo e disoccupazione, va oltre il realistico.
Sempre qualche giorno fa è uscito su Rep un interessante articolo di Franceschini, portavoce degli ambienti strategici americani. L’articolo riferiva delle preoccupazioni che circolerebbe nei pensatoi strategici americani, Atlantic Council e Carnegie Endowment, a proposito della possibile frammentazione della Russia sconfitta nella guerra con crollo del potere centrale e scomparsa di Putin. Nuovi stati e staterelli, alcuni “canaglia” (vedi Kadyrov, non a caso promosso da Putin l’altro giorno, della serie “se non vi piaccio io potreste sempre trovarvi un Kadyrov in futuro”), ma con l’atomica, un incubo.
In più, un enorme spazio di possibile allargamento dell’egemonia cinese ad est, nessun alleato nell’area su cui far perno per pilotare gli eventi. In verità, queste cose erano note da tempo ed erano solo metà della questione che invece prometteva anche molti vantaggi geostrategici per gli americani. Sintomatico però oggi si faccia uscire solo il lato preoccupante.
In più, va notata la montante paranoia nucleare qui in Europa ed in parte negli stessi US. Quanto è reale il rischio? Se è reale ma non così probabile, perché monta la paranoia? È un effetto amplificazione mediatica tipo paranoia da Covid su legge delle audience o c’è un interesse ad avanzare questa “causa di forza maggiore” per aprire ad un ripensamento del “credere, ubbidire e combattere” in auge fino ad oggi?
Che calcoli reali di sostenibilità economico, sociale e politica si stanno facendo a proposito dell’Europa ma a questo punto anche degli USA che vanno ad elezioni a novembre? Dopo la Svezia e l’Italia, si teme che ci saranno elezioni anticipate anche in Danimarca ed anche lì pare che la destra abbia significative ed inedite chance di vittoria. Ci sono state elezioni in Bulgaria domenica scorsa ed ha perso la parte europeista-liberale, si è affermato il centro-destra, ma si è formato anche un partito contro le sanzioni, stile Orban. Pare non riusciranno comunque a fare un governo, dovranno andare – credo la quarta volta- ad elezioni in breve tempo, ma la tenuta del fronte scricchiola in tutta evidenza. E quando Orban farà il tenuto referendum per chiedere “democraticamente” al popolo se supporta o meno le sanzioni e relativo peso, che succederà? E siamo solo ai primi di ottobre.
Ripeto, questa è una selezione di fatti, ce ne sono anche altri e di senso diverso. Questi stessi potrebbero esser diversamente interpretati. Però rimane il fatto delle dichiarazioni aperturiste di ieri di Biden e questo è una “prima volta”, di cui pender nota. Vedremo.
Putin si è arroccato con il suo piccolo bottino del suo 15-20% di territorio ucraino mettendoci sopra l’ombrello nucleare e dicendo “io mi accontento così, parliamo?”. Zelensky ha risposto portando a legge una sorta di impossibilità a trattare. Biden dice: attenzione perché quello mena se perde di brutto. Così i think tank paventano Balcani nucleari pieni di coatti islamici o siberiani assai pazzerelli. Pe ora è tutto, vediamo come si svolge.
L’America ha ottenuto molto, rilancio NATO in grande stile, Finlandia e Svezia, cattura egemonica dell’Europa totale ed irreversibile almeno per qualche anno, comunque una bella botta per i russi e con prospettive di sanzioni lunghe un bel tarlo che agirà nel tempo. In più sanno tutti che la vera partita strategica è in Asia. Quanto le costerebbe provare ad ottenere di più?
LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE. I 24 Paesi OPEC+, hanno l’altro giorno deciso di dare un sostanzioso taglio alla produzione petrolifera, pare lo abbiano deciso in una riunione di mezzora; quindi, la decisione era comune e preparata in anticipo. La decisione è stata motivata come sostegno al prezzo dal momento che la recessione globale diminuisce la domanda. Ma si tratta di una preventiva poiché, all’altro giorno, il prezzo era sceso a livelli di gennaio stante che allora era in tendenza ascensionale dall’inverno del 2020. Cioè, campavano due anni fa senza tagli alla produzione col prezzo sotto i 25 dollari, sembra strano ora si fascino la testa perché è “solo” a 91 US$.
C’è l’interpretazione politica o meglio geopolitica. L’ha data Biden il quale ha strepitato dicendo che è una manovra ispirata dalla Russia. Colpiscono due cose di questa dichiarazione, la prima è che l’ha data quando avrebbe fatto meglio a tacere, la seconda è la ragione data che è stupida. L’ha data e con quella ragione, probabilmente per il pubblico interno, gli americani vanno ad elezioni a novembre ed il prezzo della benzina che notoriamente è il primo drive dell’inflazione è già un problema e viepiù lo sarà quando si voterà. Ma quando il presidente degli US parla, non ascolta solo il pubblico interno. I sauditi hanno risposto che è ora di dismettere questa “arroganza della ricchezza” (!).
Vediamo allora meglio cosa può esserci sotto. I paesi OPEC+ sono 24, centro e sudamericani, africani, asiatici ed ovviamente mediorientali, più la Russia. I “+” sono 13, aggiunti al nucleo storico degli 11 mediorientali originari che rimangono quelli che trainano l’associazione. Alcuni hanno cattivi rapporti con gli US (Iran, Venezuela, Russia), molti non hanno simpatia, molti altri hanno invece normali o anche cordiali rapporti. L’Arabia Saudita, nonostante il viaggio di Biden ad inizio guerra per cercare di strappare un aumento di produzione a compensazione del ban alla Russia, è in posizione piuttosto critica. Ma UAE, Qatar, Kuwait no. Assolutamente fantasioso pensare che la Russia possa decidere cosa gli OPEC+ fanno o non fanno. Tuttavia, rimane il fatto che la decisione è tecnicamente un po’ strana se guardiamo al prezzo a meno di non considerare la manovra preventiva e che la tempistica dice appunto che s’è voluto mandare un segnale.
Veniamo allora al titolo del post. Noi qui vediamo usare il concetto di “comunità internazionale” a sproposito per dar l’impressione alle nostre opinioni pubbliche che tutto il mondo o per lo meno il mondo che conta tranne Stati delinquenziali, approva quello che l’Occidente collettivo sta facendo nella guerra Ucraina. Non è affatto così, lo abbiamo sezionato a proposito del secondo voto alle UN a marzo e via via, analizzando le varie posizioni degli attori internazionali non occidentali. I giornali occidentali fanno sforzi di sottolineare come le astensioni ai voti di condanna al Consiglio di sicurezza da parte di India e Cina, dicano dell’isolamento della Russia. Ma questa è propaganda. Nelle dinamiche diplomatiche, stante che certo nessuno può credibilmente votare a favore di quello che i russi fanno se non schierandosi come alleati organici, tra l’altro in favore di palesi infrazioni che teoricamente nessuno può approvare davvero, astenersi significa “non posso votare contro, ma scordati il mio voto a favore”. Cosa pensa allora la vera “comunità internazionale” fuori di quel 16% di popolazione (o poco più: Europa + Anglosfera) terrestre embedded nel sistema a guida americana?
La reale comunità internazionale era bella felice e contenta dentro una tendenza mossa dalla globalizzazione. Giravano i soldi, si facevano progetti, le economie-Paese crescevano, così i popoli se non del tutto felici avrebbero potuto almeno coltivare speranze. Popoli se non felici speranzosi, governi stabili. Tutta la comunità internazionale, che è da considerare in macro “non allineata”, sa perfettamente che la guerra è scoppiata per colpa operativa di Putin ma in reazione a insostenibili pressioni americane via NATO-Ucraina. L’altro giorno l’economista americano J. Sachs diceva che tutta la comunità internazionale sa e dice apertamente che i due condotti Nord Stream sono stati sabotati dagli americani, ma qui non si può dire, si insulta la logica di base nel sostenere “non sappiamo chi è stato”. Ieri leggevo un articolo di Rampini che ormai è diventato un impazzito propagatore di assurdità lampanti e senza ritegno, sostenere tre valide ragioni per pensare siano stati in realtà i russi. Stiamo vivendo tempi surreali e ciò è allarmante anche più che non il vivere tempi conflittuali ad altissima tensione. La qualità delle narrazioni stese su i fatti è talmente assurda anche per chi sa che il conflitto interpretativo ovviamente manipola le idee ed i giudizi, che lancia un doppio allarme. È normale raccontarsela così e cosà, lo fanno i russi, lo fanno gli americani, lo fanno le nostre élite e va bene. Ma c’è modo e modo di confezionare le favole, quelle che girano sono scombinate in maniera troppo assurda, di una assurdità esasperata.
Ma torniamo alla comunità internazionale. La comunità internazionale, pur sapendo come stanno le cose in Ucraina, non sarebbe poi più di tanto interessata e tantomeno mossa a prender le parti di tizio o di caio. Vede però arrivare uno tsunami di ritorno che la inquieta e terrorizza. Niente più mercati globali, “tu si e tu no” nei circuiti SWIFT dove circolano i bonifici di pagamento, dollaro alle stelle che per Paesi quasi sempre indebitati è un gran bel problema, rottura delle catene logistiche, rottura del sistema detto “catena del valore” basato su delocalizzazioni di segmenti di produzione (non intere produzioni, pezzi di…), tempeste inflattive, esportazione del conflitto in Asia (US, Jap, CdS hanno fatto manovre navali davanti alla CdN una settimana prima che Kim gli lanciasse un missile vuoto sulla testa, forse la cosa è poco nota qui. Per non parlare di Taiwan etc.).
Su stampa asiatica, ho letto più di un analista segnalare la profonda preoccupazione per quello che qui da noi sembra non preoccupare sul serio nessuno ovvero l’entrata dell’Europa in un profondo buco nero recessivo. L’Europa è semplicemente la più grande economia aggregata del mondo, è il cuore che succhia e pompa sangue finanziario e commerciale a tutto il sistema-mondo. È ovvio che il sistema-mondo che è indifferente alle narrazioni americane e guarda ai fatti duri, si preoccupi come ognuno di noi si preoccuperebbe se il dottore gli dicesse “guardi che lei avrà sicuramente un infarto”. Il nostro infarto sarà il loro ictus.
La lettura solo geopolitica della decisione OPEC+ è sbagliata, è una questione che ha origine in geoeconomia. E tale questione, è dall’inizio, il vero tallone d’Achille della strategia americana, gli americani non hanno tenuto in debito conto lo scenario mondo. Lo si è capito e l’abbiamo scritto i primi giorni, con i voti alle UN e gli improvvisi e poco concludenti viaggia di Blinken in M.O. e poi di Biden in Arabia Saudita, nonché le profferte di “nuova amicizia” con Maduro, se non l’iniziale boutade di nuovi accordi per ul nucleare iraniano ed il fallimento imbarazzante del forum degli “americans” a cui non è andato quasi nessuno. Lo si è visto con la comparsa di articoli arrabbiati contro l’India che fa Ponzio Pilato, lo si è visto col disastro diplomatico dell’improvvisata della Pelosi a Taiwan, cose che non si fanno se devi fare diplomazia con asiatici a forte matrice confuciana.
Sospetto che il nucleo neocon promotore di questa strategia “o la va o la spacca” che è iniziata con la lunga penetrazione in Ucraina prima del 24 febbraio, sia caduto nella trappola del confondere “quello che voglio il mondo sia” con il più concreto “quello che il mondo può realisticamente essere”. S’è messo contro troppa gente, ha fatto male i calcoli, non ha dato il giusto peso ad alcune variabili. La cattura egemonica totale dell’Europa che pare ormai irreversibile, è un bel bottino, ma quanto varrà lo sapremo solo dopo aver dedotto il prezzo il cui conto si farà alla fine.
Intanto, prepariamoci al secondo shock petrolifero (gasifero, carbonifero, elettrico, energetico, produttivo etc.), cinquanta anni dopo il primo.
[Alcune info riportate sono tratte da articoli BBC e Reuters di ieri, più tardi vediamo gli aggiornamenti]

Ucraina, il conflitto 17a puntata. L’attesa_con Max Bonelli e Stefano Orsi

Una situazione di stallo apparente con l’esercito ucraino che riesce a rosicchiare parte dei territori perduti. L’iniziativa sul campo sembra essere passata in maniera più duratura al regime ucraino. Un paradosso a confronto della enorme perdita di materiale bellico e della sua capacità di produzione in loco e soprattutto della strage di uomini attinti da un serbatoio certamente limitato. Una diretta conseguenza invece del crescente coinvolgimento della NATO e degli Stati Uniti nel conflitto sino ad assumerne direttamente la gestione, la direzione e la supervisione sino a sopperire alle gravi carenze di militi con mercenari e militari stranieri appena dismessi. L’esercito russo sembra in posizione di attesa, pronto a conservare ed accumulare forze in vista di uno scontro ben più ampio e dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche per tutti i condendenti dichiarati o dietro le quinte. Deve risolvere in breve tempo problemi cruciali di assetti politici interni e di riorganizzazione dopo di che non sarà più facile per i contendenti occulti operare dietro le quinte e con la carne di cannone dei terzi ucraini e di chi vorrà aggiungersi ad essi. Il rifiuto di una trattativa seria e il sostegno ad un regime guerrafondaio all’esterno ed aguzzino e razzista, spietato al proprio interno, quale quello ucraino, stanno rendendo sempre più doloroso e costoso il necessario passo indietro. In gioco c’è la tenuta dell’attuale leadership statunitense all’interno e all’esterno degli Stati Uniti. Al momento e in apparenza la sua partita prosegue con il punto perso in Afghanistan e due punti guadagnati a Taiwan e in Europa. E’, però, un continuo azzardo al rialzo al quale basta perdere l’ultimo punto per compromettere l’intero gioco.
Intanto il conto più salato, in termini di sottomissione, passività e stupidità, a diverso titolo, lo stanno pagando gli europei. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1mn7i8-ucraina-il-conflitto-17a-puntata-lattesa-con-m-bonelli-e-s-orsi.html

Fermiamo gli Stranamore di casa nostra, di Francesco Dall’Aglio

La costruzione di un clima adatto alle provocazioni sotto mentite spoglie. Forse, al meglio, una base eccessiva per trattare sulla posta in palio. Di manovalanza disponibile ce ne è sin troppa_Giuseppe Germinario
Quindi ora l’ultima, secondo i nostri media (tipo il Times), è che Putin ordinerà dei test nucleari al confine dell’Ucraina, probabilmente nel Mar Nero, per dimostrare che “fa sul serio”, dopo che già due giorni fa Repubblica (e chi se no) ci aveva deliziato con la storia della fuga del Belgorod e dei suoi Poseidon.
Lo dico adesso e non lo ripeterò, perché questa storia da surreale sta diventando chiaramente preoccupante, e non per i motivi che uno può immaginare:
1) la Russia NON sta perdendo la guerra né l’ha già persa. L’esercito russo NON è in rotta. Lo so, è strano da credere, ma fidatevi.
2) la Russia non ha ALCUNA volontà, e meno ancora necessità (finora, almeno), di utilizzare armi atomiche, chimiche o batteriologiche in Ucraina. Il motivo è al punto 1.
3) la dottrina nucleare della Russia NON prevede il primo impiego di armi nucleari perché si sono ritirati da Lyman. Prevede l’impiego di armi nucleari in risposta a un attacco sul suolo russo con armi nucleari, o in risposta a una minaccia che mette a rischio la SOPRAVVIVENZA della Federazione Russa. Di nuovo, la ritirata da Lyman (che ricordo a tutti si trova in Ucraina, non in Russia) non ricade in queste ipotesi. Un attacco missilistico sulla Crimea non ricade in queste ipotesi. Un bombardamento di artiglieria su suolo russo non ricade in queste ipotesi. Uno sconfinamento ucraino su suolo russo non ricade in queste ipotesi. E via di seguito.
4) c’è una potenza nucleare che non ha mai ben chiarito la sua posizione sul primo impiego delle armi nucleari. FUN FACT: questa potenza nucleare NON è la Russia, e nemmeno la Cina.
5) ci vuole molto poco a far detonare un’atomica tattica nel bel mezzo del Mar Nero e dire che sono stati i russi, e regolarsi di conseguenza. Abbiamo creduto, senza prove in entrambi i casi, che bombardino le loro centrali nucleari e facciano esplodere i loro gasdotti. Perché non dovremmo credere anche a questo, dopo che da settimane ci stanno dicendo che siccome la Russia ha perso la guerra e Putin è pazzo e cattivo non ha altra opzione che usare le atomiche?
6) no, non sono un complottaro. Ma se per settimane ti ripetono una cosa che è palesemente falsa, due domande te le devi fare (e se fai il mestiere mio, la paranoia è una qualità di base). E far detonare un’atomica tattica nel Mar Nero risolverebbe all’istante gli sbandamenti, chiamiamoli così, presenti e soprattutto futuri di un bel po’ di alleati europei. No, non significherebbe un attacco nucleare alla Russia, ovviamente, né l’ingresso della NATO nel conflitto, ma altrettanto ovviamente costringerebbe tutti a serrare le fila in un momento molto, molto complicato.
7) ovviamente non succederà nulla di tutto questo. Giusto?
PS – il Belgorod potrebbe davvero essere diretto nell’Artico, per testare i Poseidon in un’esercitazione. Farlo nel Mar Nero davanti a mezzo mondo sarebbe, diciamolo, una scemenza.

Perché la Polonia dovrebbe respingere la Germania?_di Ryan Bridge

“Dipendevamo dalla Russia, ma oggi stiamo tagliando questa dipendenza”, ha detto la scorsa settimana il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki durante l’inaugurazione di un nuovo canale verso il Mar Baltico. Il contributo del canale a questo obiettivo è dubbio, ma consentirà alle navi di raggiungere o partire dal porto polacco di Elblag senza dover attraversare le acque territoriali russe intorno a Kaliningrad. Più interessante è stata la successiva dichiarazione di Morawiecki: “Stiamo riducendo la nostra dipendenza sia dalla Russia che dalla Germania”. Questo accade solo poche settimane dopo che la Polonia ha chiesto alla Germania 1,3 trilioni di dollari di riparazioni della seconda guerra mondiale.

Le ragioni di Varsavia per prendere le distanze da Mosca – una potenza ostile con una comprovata storia di invasione dei suoi vicini – sono chiare, ma le offese di Berlino sono meno evidenti. La Germania è il paese più forte dell’Europa centrale, con una capacità latente di dominare la maggior parte del continente. La strategia delle potenze occidentali nei confronti della Germania dalla seconda guerra mondiale è stata quella di soffocarla con l’amicizia, integrando i suoi militari in un’alleanza dominata dagli Stati Uniti con i suoi vicini e, a cominciare dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dando alla sua economia le chiavi di un mercato di oltre 450 milioni di consumatori e delle risorse dei loro paesi. La docilità della Germania oggi di fronte all’attacco della Russia al cuscinetto NATO-russo mostra che la strategia occidentale ha avuto, semmai, troppo successo. Quando si tratta della minaccia immediata per la Polonia, Berlino è un amico di Varsavia. Allora perche, il capo del governo polacco strombazza piani criptici per ridurre i legami con la Germania? La risposta è politica interna e, in misura minore, europea.

La questione tedesca

Le radici dell’Unione Europea risiedono negli sforzi prevalentemente statunitensi per trovare un modo per liberare il potenziale economico tedesco calmando le ansie tedesche sul potenziale accerchiamento. Per ragioni che hanno a che fare con la geografia, il clima, la cultura, la storia e probabilmente innumerevoli fattori minori, i tedeschi sono esperti nella produzione di beni industriali complessi, molto più di quanto la popolazione tedesca potrebbe consumare. Ciò solleva due problemi: in primo luogo, le risorse necessarie per produrre tutti questi beni senza precedenti superano il pool di risorse proprie della Germania. L’economia tedesca deve prenderli da qualche altra parte, sia attraverso scambi economici e investimenti o conquiste. In secondo luogo, una popolazione di circa 80 milioni non potrebbe consumare tutti i veicoli, i macchinari, ecc. che l’industria tedesca può produrre. L’economia tedesca ha bisogno di un facile accesso ai consumatori stranieri – ancora una volta, attraverso accordi commerciali preferenziali o conquiste – per scaricare l’eccedenza. La strategia statunitense, che Washington ha portato avanti attraverso un’abile diplomazia, incentivi economici e garanzie di sicurezza nonostante la riluttanza di Francia e Gran Bretagna, ha risolto pacificamente entrambi i problemi tedeschi. Nasce il mercato comune europeo, incastonato in un quadro politico che deve crescere con l’integrazione economica.

L’unione risultante è ciò a cui la Polonia e altri satelliti e repubbliche sovietiche di recente indipendenza desideravano disperatamente unirsi quando l’Unione Sovietica iniziò a disintegrarsi. L’UE ha quasi garantito una crescita economica esplosiva e potrebbe aprire la porta all’adesione alla NATO, ovvero alla protezione militare americana. La Polonia ha presentato domanda di adesione all’UE nel 1994 e vi ha aderito nel 2004 insieme a nove dei suoi vicini. Come previsto, la NATO ha invitato Varsavia tra le sue fila nel 1997 e il matrimonio è stato suggellato meno di due anni dopo. L’economia polacca ha visto 28 anni di crescita economica, anche attraverso la recessione del 2008 e la successiva crisi dell’Europa, prima di ridursi brevemente nel 2020.

Ma mentre ciò accadeva, il mondo del dopo Guerra Fredda prendeva forma. Politicamente, economicamente e militarmente impareggiabili sulla scena mondiale, gli Stati Uniti si sono affrettati a capitalizzare il proprio vantaggio. Ha spinto per un mondo più globalizzato, con legami politici ed economici sempre più forti. Militarmente, ha allargato l’alleanza transatlantica e, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, ha intrapreso una sfortunata campagna per diffondere la democrazia con la forza nel mondo musulmano. Lo shock della Grande Recessione del 2008 ha gravemente ferito la coesione sociale, non solo negli Stati Uniti, e ha sollevato seri interrogativi sull’attrattiva e la fattibilità dell’ordine economico e della leadership guidati dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, le disastrose guerre americane in Iraq e Afghanistan ei suoi caotici interventi in Libia e altrove hanno minato il sostegno interno all’avventurismo militare. Entro il 2022, dopo circa tre decenni di preponderanza degli Stati Uniti, il mondo è pieno di crisi e la volontà degli americani di pagare il costo di essere i poliziotti del mondo è diminuita. (Quanto è una questione aperta. L’assistenza degli Stati Uniti all’Ucraina e le sanzioni alla Russia suggeriscono che è ancora più alta di quanto credessero alcuni osservatori.)

La questione della sovranità

Dove si inseriscono le relazioni polacco-tedesche in questa storia ben nota? Proprio come gli americani hanno avuto la loro fase di eccessiva esuberanza dopo la Guerra Fredda, così hanno fatto gli europei, compresi i polacchi e altri popoli di nuova indipendenza. L’allargamento dell’UE non è stata una vendita particolarmente difficile. Incorporare satelliti ex sovietici molto più poveri e stati vulnerabili sarebbe costoso, ma il potenziale guadagno era irresistibile. Gli investitori dell’Europa occidentale potrebbero accaparrarsi terreni, risorse e aziende a basso costo, ottenendo un profitto sano, mentre i lavoratori dell’Europa orientale potrebbero inondare l’UE con manodopera a basso costo. I burocrati di Bruxelles hanno riflettuto a lungo sul modo migliore per integrare politicamente gli ex stati comunisti. Non è bastato per far loro vedere l’integrazione europea nella stessa luce dei membri fondatori.

Dalle guerre mondiali, molti europei e la maggior parte dei tedeschi hanno imparato che il nazionalismo europeo deve essere contenuto in nome della pace. Durante la Guerra Fredda, i primi membri di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea hanno praticato decenni di fiducia reciproca e di cooperazione per il reciproco vantaggio. Ma al di là della cortina di ferro, Mosca stava reprimendo il nazionalismo europeo a modo suo: usando una brutale repressione segreta e palese. Mentre gli europei occidentali discutevano di una più profonda integrazione politica, economica e monetaria alla fine degli anni ’80, la terribile situazione economica dei sovietici li privava della capacità di contenere il nazionalismo nell’Europa orientale. Nel 1990, il nazionalismo e la democrazia avevano vinto nell’Europa centrale e orientale.

Ma la democrazia da sola non basta. Mentre per decenni l’identità collettiva dell’Europa occidentale si era concentrata sul multilateralismo e sul compromesso, i suoi vicini liberati a est avevano imparato il valore della coesione, dell’orgoglio nazionale e della sovranità. Senza quelle cose, non avrebbero riacquistato la loro autonomia. Laddove un tedesco occidentale vedeva la perdita di una certa sovranità nazionale a favore di Bruxelles come il prezzo della prosperità e della pace – e quindi un netto positivo per la sovranità di Bonn in generale – un polacco era diffidente nei confronti di qualsiasi appello a condividere il potere decisionale.

Le identità nazionali si formano nel corso delle generazioni e cambiarle è difficile. L’attuale leadership polacca, il Law and Justice Party (PiS), è particolarmente impegnata nel nazionalismo polacco e nei valori conservatori. I suoi maggiori oppositori politici sono liberali e centristi filo-europei, più vicini alla politica prevalente nell’Europa occidentale, dove risiede il grosso del potere decisionale dell’UE. Attingendo alla loro memoria culturale e storica, i nazional-conservatori polacchi sono xenofobi, soprattutto islamofobi, e generalmente intolleranti alla diversità sociale. (L’esperienza dell’Europa occidentale, nonostante le sue imperfezioni, è semplicemente diversa.) L’ideologia prevalente in Polonia, pur riservando il suo più intenso disprezzo per il Cremlino, è molto diffidente nei confronti del relativo liberalismo sociale tedesco.

Ancora più importante, il PiS vuole apportare modifiche fondamentali al sistema giudiziario polacco, ma non è riuscito a convincere la maggior parte dell’UE che le sue intenzioni sono buone e le sue preoccupazioni legittime. Bruxelles e la maggior parte delle capitali dell’Europa occidentale sospettano che il PiS stia lavorando per indebolire o sradicare il liberalismo politico e sociale polacco, una sfida ai propri regimi ma anche all’UE, che si basa su idee liberali come il compromesso, la diversità, i diritti civili e lo stato di diritto .

La Germania è la roccia, la Russia è il posto difficile

Il principale campo di battaglia tra PiS e Bruxelles è l’inversione di alcune riforme giudiziarie polacche e la consegna di 35 miliardi di euro (34 miliardi di dollari) di denaro dell’UE per la ripresa economica della Polonia dal COVID-19. La Commissione europea ha fissato pietre miliari per l’inversione delle riforme giudiziarie del PiS che, secondo lei, Varsavia deve rispettare prima di trasferire i fondi. Ovviamente, il PiS vuole concedere il meno possibile, ma il rallentamento economico, l’aumento dei tassi di interesse e la guerra della porta accanto gli stanno facendo pressioni per ottenere presto i fondi. Inoltre, la Polonia dovrebbe tenere le elezioni parlamentari entro novembre 2023 e, se non riceverà l’assistenza prima di allora, il PiS scommetterà le sue fortune elettorali su una fine ordinata della guerra in Ucraina e una ripresa economica, idealmente dal estate.

L’assalto retorico del governo polacco alla Germania, quindi, fa parte della sua lotta per il potere con l’UE, così come una strategia di campagna di backup. La Germania è il membro più influente dell’Unione Europea, ma non può decidere da sola se la Polonia riceverà i suoi 35 miliardi di euro. Il primo ministro polacco lo sa. Ma Berlino è un popolare oggetto di antipatia per la base del suo partito, molto meglio che prendere di mira la stessa UE, che è immensamente popolare tra i polacchi. La retorica antitedesca segnala la determinazione del PiS pur lasciando spazio di manovra all’UE. E se l’UE chiama il bluff del PiS, come ultima risorsa potrebbe andare alle elezioni incolpando i tedeschi di aver permesso alla Russia di invadere l’Ucraina, non facendo abbastanza per fermare la guerra e negando l’assistenza finanziaria necessaria che appartiene di diritto ai polacchi.

Il funzionamento di questa strategia dipende dall’evoluzione della situazione economica in Polonia, nonché dalle tensioni politiche e sociali in Europa nel suo insieme. Al momento, non c’è motivo di aspettarsi una situazione economica drammaticamente migliorata nei prossimi mesi. E le istituzioni dell’UE, con il sostegno sufficiente degli Stati membri, non sembrano essere in uno stato d’animo compromettente. Gli Stati Uniti potrebbero tentare di intervenire, ma Washington di solito si tiene alla larga dalla politica interna dell’UE e l’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe comunque un governo più liberale a Varsavia. Ancora più importante, gli Stati Uniti non vogliono rischiare di allargare le spaccature in Europa in un momento in cui i suoi giorni di significativo coinvolgimento nel Continente stanno finendo. Se gli Stati Uniti ridurranno i loro impegni transatlantici lasciando l’Europa intatta e in grado di difendersi,

È improbabile che la Polonia effettui un completo ridimensionamento delle sue riforme giudiziarie, ma Bruxelles ha la maggior parte della leva. È probabile un cessate il fuoco in cui l’UE ottiene la maggior parte di ciò che vuole e il PiS vive per combattere un altro giorno, dopo le elezioni del prossimo anno. Ancora più importante, è improbabile che anche una Polonia guidata dal PiS riduca effettivamente la sua dipendenza dalla Germania. Ciò equivarrebbe a ridurre i legami con la maggior parte dell’Europa, e con gli americani che hanno un piede fuori dalla porta dell’ovest della Polonia ei russi che bussano alla porta del suo est, questa non è un’opzione.

https://geopoliticalfutures.com/why-would-poland-spurn-germany/

IL DOPO – ELEZIONI: TRAMONTO DELLA SINISTRA PACIFISTA E COMPARSA DELLA DESTRA D’ESTABLISHMENT. GLI SCENARI INTERNAZIONALI, di Marco Giuliani

IL DOPO – ELEZIONI: TRAMONTO DELLA SINISTRA PACIFISTA E COMPARSA DELLA DESTRA D’ESTABLISHMENT. GLI SCENARI INTERNAZIONALI

La futura maggioranza sarà costituita da una destra ormai annidata nelle stanze dei poteri forti

Che il segretario uscente di ciò che qualcuno, sino a poche ore fa, osava ancora definire “centrosinistra”, avrebbe annichilito quel residuo di aspirazioni legate a una maggiore giustizia sociale, al valore del pacifismo (almeno d’estrazione cattolica) e alla tutela del mondo del lavoro, era cosa ampiamente prevista. Potremmo dire banalmente scontata. Si aprono tuttavia scenari che saranno caratterizzati principalmente da alcune variabili indipendenti e pressoché inedite del panorama parlamentare italiano: l’uscita di scena dei movimenti della sinistra pacifista (e anche un po’ classista) legata ai tradizionali canoni trasmessi dal sessantotto e l’insinuazione di una destra, se ancora si può definire destra, ormai da tempo annidata nei meandri dell’euroatlantismo filostatunitense e negli alti apparati di potere istituzionali e politici.

Chi, tra gli elettori della nuova maggioranza (che stavolta non si sono astenuti) spera in un cambiamento, c’è la seria possibilità che resti fortemente deluso; il prossimo venturo esecutivo, infatti, ha già imposto alcuni paletti a chi vorrà starci: prosecuzione dell’appoggio a Kiev in armi e miliardi e applicazione dell’agenda Draghi, almeno riguardo ai conti pubblici e alle relationship internazionali con UE e Nato. In relazione a questi presupposti, ci sarà da capire quanto il populismo della Lega sopporterà le imposizioni di Bruxelles e i diktat di Biden, che tra sanzioni e spese militari stanno rendendo la vita difficile a decine di milioni di cittadini del vecchio continente. Ma tant’è. Il rigenerato centrodestra a trazione meloniana è da tempo ancorato su posizioni conservatrici e non estremiste, linea favorita certamente dall’appiattimento dei programmi e delle scadenti iniziative del panorama politico italiano, ormai tecnocratizzato e concentrato sulle leggi di bilancio più che sulle preoccupazioni e sugli interessi dei cittadini.

La prima seduta delle due nuove camere è fissata per il 13 ottobre, e sarà condizionata, oltre che dal cosiddetto toto-ministri, anche dalla richiesta del Capo dello Stato di apporre immediatamente una forte stabilità (per poter continuare ad assecondare Casa Bianca e Von der Leyen?), della quale, in un momento di crisi internazionale così drammatico, si deve far garante. Già, perché la crisi legata al conflitto russo-ucraino continua a provocare strascichi sempre più gravi; la manomissione del Nord Stream e le annessioni dei territori del Donbass, legittimate o meno dai referendum, infatti, non hanno fatto altro che indispettire ulteriormente i falchi euroatlantici, decisi ad applicare nuove sanzioni e fornire nuove armi a Zelensky. Va ricordato altresì che i prossimi aumenti dei costi energetici non peseranno affatto sugli Usa o sui vari Borrell, Von der Leyen e Sholtz, ma solo sui cittadini comuni di un’Europa sempre più subalterna alla politica militarista di Washington. Quanto è giusto far pagare le sanzioni al popolo europeo? Perché mai le privazioni determinate dall’embargo a Mosca dovrebbero tramutarsi in bollette? Speriamo che l’esecutivo appena uscito dalle urne non ci parli di nuovi scostamenti di bilancio, perché altrimenti vorrebbe dire che le future generazioni cresceranno con enormi debiti sulle spalle vita natural durante.

Nel frattempo, lo slogan si vis pacem para bellum, risalente alla Roma antica e in particolare allo scrittore Vegezio, comincia a scricchiolare. Oltre ai mal di stomaco di Orban e del serbo Vucic, anche i tedeschi si sono scossi: con 476 no, il Bundestag ha respinto la risoluzione 20/2347 che prevedeva la spedizione di altre armi pesanti agli ucraini. Ciò significa che raccoglie sempre meno consensi il prolungamento di un conflitto che sta indebolendo solo l’Europa e che potrà allentarsi solo con una trattativa ed eventuali,  reciproche concessioni.

MG

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Crimea: quel referendum è illegittimo, articolo del 7 aprile 2014 a cura della redazione di www.ispionline.it

Televideo Rai del 26/09/2022, pp. 120-180 –

https://www.bundestag.de/dokumente/textarchiv/2022/kw39-de-entschlantrag-reg-erklaerung-912538, link della pagina ufficiale del parlamento federale tedesco, consultata il 29 settembre 2022 –

www.notiziegeopolitiche.net, pagina del 27 settembre 2022 consultata il 29 settembre 2022 –www.theitaliantimes.it, pagina del 28 settembre 2022 consultata il 28 settembre 2022 –

 

SOCIOLOGIA DEL VOTO_di Pierluigi Fagan

SOCIOLOGIA DEL VOTO. Faremo una breve considerazione a grana grossa su dati quasi completi della Camera per il proporzionale.
Tra coloro che hanno votato, si stagliano due gruppi. Quello che si nomina ed è di fatto il CDX somma, al momento, circa 11 milioni di voti. L’altro gruppo non ha nome e non è tale neanche di fatto, ma ha certi suoi gradi di omogeneità pur molto relativa. Parliamo qui in termini di sociologia politica, classificazione per condivisioni di impostazioni politiche ideali molto a gran grossa, nulla con cui poi si fanno governi o leggi specifiche semmai frutto di mediazioni e compromessi. Composto dal CSX propriamente detto ed il M5S, peserebbe sempre 11 milioni di voti, qualche centinaia di migliaia di voti meno dell’altro. Di questo secondo gruppo non fa parte Azione-Italia Viva.
Merito del meccanismo che trasforma questo relativo equilibrio dei due gruppi socio-politici in una disfatta epocale, visto da una parte – dall’altra è un trionfo epocale, è di un certo Rosato, oggi proprio in Italia Viva, un ragioniere democristiano ai tempi parte del PD. Ma poiché la lungimiranza della classe dirigente del PD è esuberante, oltre ad aver creato un meccanismo elettorale assurdo e non aver mai neanche provato a cambiarlo sebbene più o meno tutti lo ritengono assurdo dal 2017, hanno anche deciso che per fedeltà ad un totem detto “Agenda Draghi” non si doveva neanche provare a fare un accordo tattico col M5S. Meglio per quest’ultimo, che recupera parecchio dai sondaggi estivi.
Quanto al PD propriamente detto, siamo ad un milione di voti in meno rispetto al 2018 per una percentuale appena superiore del +0,5% per via della più generale contrazione dei votanti. Un milione di voti persi, quasi un -18% e stante che questo partito, nel 2018, era guidato da uno sbiadito funzionario, tale Maurizio Martina oggi alla FAO.
Tuttavia, l’Italia si uniforma agli standard europei, festeggiando la sua prima premier donna e medie di voto basse, su standard post-democratico, due fatti tipicamente europei.
[La foto è un tributo all’intrepido ragioniere al cui nome è legato il fatidico meccanismo che ha trasformato un composito e variegato quadro politico in un monocolore di destra]
[Attenzione alle pesature di sociologia politica. Al di là degli esiti elettorali partitici, al di là del diritto a governare garantito dal voto, in politica i voti si contano ma si debbono anche pesare]
SOCIOLOGIA DEL VOTO (2). Ieri abbiamo evidenziato come i due blocchi socio-politici principali, quello che ha vinto e quello che non è neanche riuscito a presentarsi come un blocco dividendosi in due parti, (qui non uso CDX e CSX perché queste sono categorie solo politiche mentre qui l’analisi è “socio”-politica), in realtà divergono per poco. Il loro insieme fatto cento, infatti, vede quello che ha vinto al 52% e quello che ha perso al 48% (l’ipotetica alleanza elettorale CSX+5S), questa è la loro pesatura sociale relativa.
Alcuni commenti sul post di ieri, evidenziavano le varie ragioni che portarono il partito principale dell’area che non formandosi in blocco poi ha perso più del reale peso (PD-CSX), a fare questa dissennata legge elettorale. Legge che ha trasformato un dato molto relativo in assoluto. In aggiunta, la decisione di Letta ad escludere a priori ogni possibile alleanza con i 5S, decisione incomprensibile stante la meccanica elettorale. Le rapide dimissioni annunciate ieri da Letta fanno pensare che tale esito era per certi versi “programmato”, per quali ragioni può esser oggetto di speculazione. Ma ci sarebbe anche da domandarsi perché in questi cinque anni, quel partito non ha sentito necessità almeno di provare a cambiarla.
Credo la risposta risieda nella genetica del PD, un progetto bipolare su format di cultura politica anglosassone (Lab-Con UK/ Rep-Dem US), quasi che imponendo una legge elettorale maggioritaria, allora si sarebbero formati partiti e cultura politica bipolare conseguente, una assurdità. Ne è venuto fuori un accrocco con una minoranza ex-democristiana che però spadroneggia su un totale maggiore della somma delle parti, con fazioni lib-lab confusamente “post-moderne/progressiste”, altri rimasugli più un corpo in teoria, almeno potenzialmente, “socialdemocratico” in senso europeo (PSE-SPD). Parliamo non della sua classe politica di partito, di nuovo, parliamo degli elettori, dei pezzi di società. Chi non ha amici e conoscenze di persone per bene, intrinsecamente quasi-socialdemocratiche per idee e valori, che si ostinano in mancanza di meglio a votare questo accrocco che fatalmente li delude?
Dato l’evidente fallimento di impiantare una cultura politica maggioritaria in un Paese che, come la Spagna, la Francia, la Germania ovvero la tradizione europea, è intrinsecamente pluripartitico, forse arriverà il giorno in cui questo accrocco si potrà sciogliere rilasciando le sue due anime principali a due percorsi di identità propria. Queste due aree avranno poi agio di collaborare ed allearsi, ma partendo da due soggetti pesati che chiariscano il loro reale peso di rappresentanza, determinando quindi i pesi dell’agenda politica concordata -dopo- una elezione e non prima dentro lo stesso partito che tale non è vista la diversità componente obbligata a convergere su dinamiche assai poco chiare in senso democratico. Detto altrimenti, la fazione ex-democristiana non volendo tornare all’insignificanza della Margherita, vuole a tutti i costi tenere unite le parti componenti l’accrocco che non è mai stato, né mai potrà essere “un” partito. A loro conviene.
Passiamo poi ad evidenziare come il soggetto +Europa abbia fallito il quorum per 50.000 voti. Unitamente alla punizione delle principali forze di sostegno al governo Draghi (PD, FI, Lega, Di Maio etc.), si evidenzia palesemente come il dibattito politico pubblico sia artificiosamente centrato su temi ed argomenti (ad esempio il dogma sfiorante il culto di Mario Draghi) che non hanno alcuna presa sul Paese reale. Ha stra-vinto l’unica forza politica che non ha partecipato al governo del banchiere ed ha vinto relativamente (ovvero ha perso rispetto al 2018 ma rimbalzando all’ultimo momento delle più fosche previsioni) la forza che alla fine se ne è in parte dissociata tra scrosci di pubblico sdegno.
In Italia c’è un problema grave di scollamento tra élite pubblica (imprenditori, affaristi, giornalisti, intellettuali organici alle classi di potere e conseguente classe politica da questi supportata) e popolazione, è del tutto evidente. Era evidente nel 2018, continua ad esserlo. La “democrazia”, ammesso e non concesso quella solo rappresentativa possa definirsi tale, è un sistema complesso. Si può nominalmente far finta sia tale rincuorandoci dell’esser dalla parte giusta della storia politica, salvo poi manipolarla di modo che sia, com’è nei fatti, una oligarchia che si sottopone a giudizio molto poco libero una volta ogni cinque anni. E’ questo blocco dall’alto che genera come unico sfogo il c.d. “populismo”.
E veniamo ai bassifondi elettorali. Qui abbiamo una forza politica centrata su un giornalista televisivo (Paragone), senza reale consistenza politica in senso tradizionale che ottiene 540.000 voti, agitando il tema dell’uscita dell’Italia dall’euro o forse anche dall’Europa. Fa già ridere così. Nel senso di presumere il poter fare una forza politica su un singolo tema così delicato senza essere in Inghilterra (modello Farage), di nuovo presupponendo che nel mondo politico ci siano “modelli” non dipendenti dalle condizioni di contesto cui applicarli, una sorta di teoria della fisica politica trasferita alle società, alla geo-storia, alla cultura. Va be’, diciamo che il tipo che ha del furbacchione, stando già in Parlamento, ci ha “provato” a rimanere nel bel mondo, rimarchevole comunque che mezzo milione di persone gli abbiamo pure dato retta.
Quanto a Italia Sovrana e Popolare, siamo a 300.000 voti, tenuto conto che 100.000 circa sono del PC di Rizzo (2018). La c.d. area sovranista politicamente più seria del “fenomeno Paragone”, “pesa” 200.000 voti. Sul totale aventi diritto, Italia ed Estero, sarebbero lo 0,4%. Ripeto, qui facciamo pesatura all’ingrosso dei blocchi sociopolitici, quindi non consideriamo il poco tempo avuto da queste formazioni (sì perché l’area è piccola, ma ciononostante si divide in fazioni) per la campagna elettorale e gli scarsi mezzi. Anche se uno si potrebbe domandare perché con poco tempo a disposizione e scarsi mezzi, cose note a priori, qualcuno abbia sentito l’esigenza di mettere in piedi una macchina elettorale dedicata.
Qui si possono fare due considerazioni che poi è una sola. Questa legge elettorale, ma è cosa che penso rimarrà anche quando decideranno di adeguarla ad un modo normalmente proporzionale, pone lo scalino del 3% che sugli attuali votanti vale qualcosa come circa 850.000 voti. Se fossero stati quelli del 2018, lo scalino sarebbe valso 1,1 milioni di voti. Sempre poi che in una nuova legge proporzionale non decideranno, com’è probabile, di portarlo al 5%. Chi tenta la scalata elettorale deve porsi questo target. Il target dovrebbe retroagire sul pensiero ed il fare politico. Ho l’impressione che gli amici di ISP non avessero una auto-percezione realistica della propria consistenza. Ho l’impressione che questa area che ha presenza più nel virtuale che nel reale, scambi i numeri di Internet con quelli del mondo “grande e terribile”. Il che per un’area critica verso il neoliberalismo con distopiche derive da capitalismo della sorveglianza ha del paradossale. Speriamo il risultato concreto porti riflessione concreta e non collezione di scuse per continuare a pensare ed agire come s’è fatto fino ad ora. Popolo vs élite? Non c’è più destra, né sinistra? Non c’è più o non deve esserci? No perché la destra sembra ci sia e neanche poco.
E chiudiamo l’analisi del micromondo con Unione Popolare. Qui il risultato migliora dal solo Potere al Popolo del 2018 ma di molto poco e comunque anche qui, di gran lunga lontani dal quorum. Anche De Magistris, come Ingroia, come Paragone, è uno di quegli aspiranti al Parlamento, chissà se per pure ragioni personali o anche ideali. Perché gente di questa area politica si ostini a creare forze politiche che in tutta evidenza non riescono a lievitare come progetto politico e si svegliano quando sentono la chiamata alle elezioni che, come sappiamo, sono ampiamente condizionate se non truccate, ha del mistero.
Chissà profondere impegno ed energia politica nei cinque anni e non nei cinque mesi o settimane che portano alle elezioni, sarebbe più serio e proficuo?
A conclusione, ho idea che la corrosione profonda del significato del concetto di “politico” e di “società” operata ormai da decenni, abbia raggiunto il suo risultato: nessuno sa più come interpretarli. Chissà, magari, prima o poi, a qualcuno verrà in mente di studiare riflessivamente la faccenda invece che scrivere l’ennesimo libro o articolo di critica al neoliberismo. Una critica della critica, in altri tempi si sarebbe chiamata una “autocritica”. Non un pentimento formale di tipo confessional-cristiano, una applicazione delle razionalità a sé stessa. Sarebbe già un buon inizio e poiché dalle nostre parti (cultura della complessità) si dice che ogni percorso ha dipendenze dalle condizioni iniziali, sarebbe l’inizio necessario.
[Naturalmente molti lettori e lettrici, qualcuno anche in vena di commento, come ieri accaduto, non coglieranno la differenza tra una analisi sociopolitica ed una politica stile diretta Mentana. Qui si cerca di capire i rapporti tra blocchi sociali/ideali e politica, al netto di leader e partiti specifici. Altre analisi sono benvenute, polemiche da basso condominio, meno]

PREPARAZIONI INVERNALI, di Pierluigi Fagan

PREPARAZIONI INVERNALI.
Impazzano le analisi ed i commenti sulla mossa referendaria voluta dai russi per i territori sin qui sottratti all’Ucraina, oggi accompagnata da un discorso di Putin con Shoigu a seguire. Poiché rappresenta una parziale novità rispetto alla guerra in corso su cui avevamo sospeso i discorsi fino, appunto, a novità di rilievo, ne diamo un commento.
La mossa referendaria era stata annunciata più e più volte sin dai primi mesi di guerra. Arriva a fine settembre e ciò induce a pensare in rapporto al tempo. Nei fatti, l’operatività militare su terra in quel di Ucraina sud-est, da ottobre quantomeno sino ad aprile inoltrato, sarà fortemente condizionata dal tempo atmosferico, pioggia, neve, gelo. Questo porta a diversi problemi operativi in termini di logistica militare, a parte lanciarsi l’un l’altro missili in testa. Nei fatti, la blocca o la limita fortemente. Per i mezzi pesanti, escluso l’off-road, rimane l’utilizzo delle strade o autostrade, praticamente un invito a farsi bombardare su coordinate certe, lo abbiamo visto già all’inizio del conflitto che era appunto marzo-aprile. A scanso d’equivoci, anche per turnare le truppe nei lunghi mesi freddi e bui, il Cremlino mobilita la riserva ovvero ex soldati già formati, da aggiornare.
Ammetto di non esser un analista militare, leggeremo i contributi di chi ne sa di più, ma ad occhio mi sembra che tempistica e contenuto degli annunci siano così leggibili. Si tratta di quel “congelamento del conflitto” ovvero consolidare le posizioni difendendole e senza nuove iniziative, iniziative problematiche anche per l’avversario, di cui già parlammo. Mosca avrebbe preferito senz’altro conquistare tutto il Donbass, ma non è stata in grado, tanto vale allora prenderne atto ed attestarsi.
Passiamo allora al piano strategico e politico. Mosca ha dichiarato i suoi obiettivi in tre più due punti sin dai primissimi giorni. Si trattava della famosa intervista Peskov a Reuters basata su. 1) riconoscimento autonomia Donbass; 2) riconoscimento sovranità di Mosca su Crimea; 3) neutralità in Costituzione ucraina con, in aggiunta, de-militarizzazione sostanziale dell’Ucraina (di cui Shoigu ha appena detto esser nei fatti stata realizzata, al netto degli apporti successivi NATO) e la quanto mai vaga denazificazione. Poiché questi due ultimi punti erano e rimangono vaghi, sembrano messi lì apposta per trattare di modo l’uno possa dire “ho vinto” e l’altro “ho vinto o comunque non ho perso e comunque non ha vinto lui”. I punti 2) e 3) dovrebbero esser in qualche modo trattabili, l’1) no. Direi che l’impianto rimane valido dopo quasi sette mesi di conflitto anche perché così è continuamente ribadito dai russi nella formula “obiettivi dell’operazione militare speciale” e quindi lo assumerei come posizione russa alla base della strategia del congelamento operativo del conflitto.
Sul piano politico ci sarebbe da parlare degli equilibri interni alla Russia nonché tra Russia ed amici SCO, ma lo faremo in altro momento.
Alla luce di ciò, anche le consultazioni nelle aree non Donbass che costituiscono oggi l’area della cartina aggiornata, avrebbero un valore successivamente trattabile, trattabile -nella mente dei russi- in un quadro più ampio in cui vanno messe sanzioni, ostracismo, forniture gas et varia. Ogni area avrebbe un suo peso e prezzo in una ipotetica trattativa. Ovviamente, ad oggi, non si vede la minima prospettiva di trattativa, fra sette mesi, chissà. Personalmente e contrariamente a molti, non vedo escalation di fatto, vedo anzi congelamento situazione di fatto e scommessa su i tempi lunghi.
Non so dire se hanno o meno ragione, ma a me pare che i russi sapessero sin dall’inizio che la questione sarebbe stata lunga, quindi immagino si siano attrezzati relativamente. Occorre scorporare tutto ciò che cediamo di sapere perché lo hanno detto le fonti informative occidentali dalla blitzkrieg a Kiev, all’invasione fino ai confini della Romania, la Novorussia con Odessa ed altre intenzioni attribuite in statuto ampiamente ipotetico. Nei fatti, nulla di tutto ciò potevi ottenerlo con 100-150.000 uomini quindi nulla di tutto ciò era nelle strategie russe.
Le strategie poi debbono declinarsi e le si declinano anche rispetto all’avversario, non puoi farle tutte a priori. Mi sembra probabile i russi vogliano vedere come staranno le cose tra sette mesi e cosa faranno ucraini ed euro-anglo-americani in questi sette mesi. Mi pare un gioco su un tavolo in cui le fiches sono appunto “tempo”. Chi ha più tempo e resistenza? I russi vantano di poter mettere sul piatto altri 300.000 riservisti per turnare al fronte, difesa, presidio, nulla di particolarmente impegnativo se non rischiare la pelle sotto le bombe ed i missili che continueranno a piovere. Gli ucraini al fronte e la popolazione verso la quale si potranno avere altri disagi come il riscaldamento e la luce, come staranno tra sette mesi? E cosa succederà alle elezioni americane di novembre? Gli americani daranno missili a lungo raggio o addirittura aerei il che li porterebbero ufficialmente in guerra? E l’Europa, quale sarà la geografia politica europea dopo il lungo e problematico inverno e relativa tenuta delle opinioni pubbliche? La partita è ancora lunga.
Credo i russi vogliano comprare tempo, vedremo, è una ipotesi. A poker corrisponderebbe non a “rilancio” ma allo “sto”, “arrocco” se preferite gli scacchi. Certo, ogni ipotesi deve fare i conti con la consistenza di deduzioni ed induzioni su informazioni che però non sono certo quelle date in pubblico dalla stampa occidentale. Vedremo quindi quale tra questa ed altre ipotesi avrà più consistenza.
[Non mi sfugge il tintinnio di atomiche ovvio, solo che parlarne è un conto, usarle un altro. La M.A.D, secondo me, di base vale ancora, com’è ovvio che sia]

Roberto Buffagni

Buona ipotesi ma perché si verifichi bisogna essere in due, ossia bisogna che l’Ucraina, dopo aver messo in campo l’esercito ucraino 1 e l’esercito ucraino 2 (quello della controffensiva), non metta in campo l’esercito ucraino 3. Io purtroppo temo che lo faccia, perché a giudicare o meglio a improvvisare un giudizio sulla base di quel che si vede, ho l’impressione (NON le prove) che già nell’esercito ucraino 2 ci siano interi reparti – non singoli, reparti – NATO a cui sono state cambiate le mostrine e organizzato un quadro giuridico sufficiente a inquadrarli formalmente nell’esercito ucraino. Se le cose stanno così per la Russia questa storia non finisce mai, la “demilitarizzazione” dell’Ucraina è impossibile senza un dispiegamento di forze molto rilevante. E più dura la guerra, più sale di intensità, più si fanno probabili improvvise escalations, anche per semplici incidenti. 
DUE È FACILE, TRE È COMPLESSITA’.
[All’inizio non sembra, ma è un post di geopolitica]. Questo il titolo di un libro scritto ormai qualche anno fa da un fisico inglese. Il concetto proviene da un problema matematico-astrofisico, detto “problema dei tre corpi” analizzato dal grande matematico francese Henry Poincaré. Analizzando il corpo delle equazioni, si arriva alla Teoria del caos ed altri sviluppi la cui gran parte entra nella cultura della complessità.
Da un po’ di tempo seguo delle lezioni on line di fisica sul problema della gravità quantistica. Naturalmente non capisco granché di quello che dicono. Vi domanderete: allora perché butti via così il tuo tempo? Perché seguo abbastanza per capire come ragionano, che forma ha il ragionamento. Il ragionamento è il funzionamento di quella che qui chiamiamo immagine di mondo. L’immagine di mondo è una proprietà sistemica della mente umana. Naturalmente essa ha varietà in base al sesso, l’età, l’etnia, il cumulo di esperienze, la formazione e il campo specifico in cui opera il portatore. Tuttavia, è sempre possibile individuare dei gradi di generalità. Ad esempio, seguire i modi di ragionare in questo campo della fisica, trovandone corrispondenza in generale nel pensiero scientifico, ma anche nel pensiero non scientifico. Al livello più generale, sono sempre, tutte, “menti umane”.
Nel pensiero generale, specie quello occidentale, si privilegia il discorso sull’Uno. A volte e recalcitrando, si affronta il problema del Due che è poi la relazione tra due Uno. Ma a Tre scoppia il casino. Il “casino” qui è la nostra pretesa di perfetta calcolabilità delle cose, una sorta di sindrome da controllo. La sindrome è una nostra minorità, le cose là fuori, ma anche dentro di noi, sono collegate tra loro in matasse 4D, per cercar di domare il casino lo semplifichiamo. La semplificazione è la nostra procedura di riduzione della complessità intrinseca affinché il tanto degli oggetti e fenomeni osservati, possa entrare nelle nostre limitate facoltà. La procedura non ha alternative, la mente umana è quello che è, quindi è legittima. È però un problema quando ci convinciamo non di far qualcosa di arbitrario per quanto necessario, ma che il mondo è proprio così come lo riduciamo per farcelo entrare nella testolina.
Passiamo allora alla geopolitica partendo da un articolo di Le Monde.
L’articolo segnala che nella dinamica sempre più conflittuale tra Ucraina con dietro allineato l’Occidente (Europa ed Anglosfera) e Russia con dietro i meno allineati ma non per questo contrari SCO-BRICS etc., una grande e sempre crescente parte del mondo, decide di chiamarsi fuori, di non allinearsi.
L’articolo cita un funzionario UN, secondo il quale, questo gruppo crescente di Paesi che pesa “metà del mondo”: 1) ritiene la guerra russo-ucraino un conflitto regionale intra-europeo quindi a loro estraneo; 2) questo gruppo di paesi ha legami diretti o indiretti con la Russia e con l’area SCO-BRICS che vengono vissuti come meno imperativi dell’Occidente; 3) questo gruppo ha memoria e percezione del fatto che l’Occidente manipoli a piacimento i principi della convivenza planetaria come più gli fa comodo. Secondo me si è dimenticato un quarto punto, forse il più importante. Questi Paesi hanno un loro elenco di problemi e priorità che nulla hanno a che vedere con lo stato di conflitto in essere e in Ucraina e, più in generale, nella fase storica di transizione o meno ad un ordine multipolare. Detto altrimenti, questo gruppo di Paesi non ha alcuna sensibilità all’interferenza ideologica nel giudizio, avendo davanti una lunga lista di problemi concreti di ben altro peso e natura.
Uno studioso francese dell’IFRI (Istituto di Relazioni Internazionali Francese), nota giustamente che la Russia pur essendo solo l’undicesima economia al mondo, ha grande rilevanza in: gas, petrolio, armi, energia nucleare civile ed alcuni alimenti tra cui grano. Quindi ha facoltà di contro-sanzionare turbando in profondo mercati strategici dai quali essi stessi dipendono.
Pare che i francesi, vecchie volpi di colonialismo anche culturale, siano particolarmente sensibili a questi smottamenti, si pensi al loro ruolo in Africa. Pare dunque che Macron, dice Le Monde, sia impegnato a sensibilizzare europei ed alleati a non perdere questa “metà del mondo” che se ne sta andando per conto suo. L’articolo non è un saggio, quindi si limita a esortare a nuovi sforzi diplomatici. Temo però non si tratti di far chiacchiere più o meno sensibili e sintoniche, ma di analizzare nel concreto obiettivi, interessi e nuova concorrenza nel soddisfarli.
Altri articoli anche sul Guardian, segnalano che tra MBS e Biden ormai è partita persa, i due divergono senza mediazione. Sintomatica altresì, la recente uscita sincronica di più articoli critici su quella che gli occidentali cominciano a chiamare “l’ambiguità indiana”, la quinta nazione al mondo per Pil ma la prima per popolazione tra qualche mese. Gli indiani, com’è ovvio, fanno gli indiani. Comprano armi ed energia dai russi salvo poi dirgli di smetterla con la guerra. Litigano a 4000 metri coi cinesi per confini delle reciproche sfere di orgoglio nazionale ma poi ci fanno assieme cose nella SCO e nei BRICS. Comprano navi dagli americani e ci fanno esercitazioni militari assieme, ma le fanno anche coi russi ed i cinesi. Incassano le profferte che piovono da più parti (ultimo Biden qualche giorno fa) di includerli nella riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di cui tanto di parla ma che nessuno è davvero in grado di promuovere a breve dato che siamo in modalità conflitto planetario e non stagione diplomatica.
Poiché credo tutto ciò sia stranoto e previsto dagli strateghi di Washington, per quanto è possibile scontino un certo grado di cecità selettiva che porta a concentrarsi sulle cose che gli danno ragione e minimizzare quelle che gli danno torto, sindrome di perdita di realismo che colpisce fatalmente ogni sistema in parabola dis-adattativa, se ne dovrebbe trarre una inferenza. A Washington, il problema mondo è diagnosticato come irrisolvibile in prospettiva, tanto vale serrare i ranghi e prepararsi al conflitto su larga scala, il più forte sopravviverà.
Cosa nota diranno alcuni, così come altrettanto noto è il fatto che questa posizione forse inevitabile per USA ed anglosfera, non sembrerebbe coincidere nel campo degli interessi e delle possibilità con quella europea. Tant’è che la più alta sensibilità geopolitica notoriamente francese, tra quelle subcontinentali, se ne preoccupa.
Sarà che Poincaré era francese, ma i transalpini sembrano preoccuparsi del problema dei tre corpi e relativa complessità tendente al caos a dimensione mondo, tanto da avere una intera testata votata a questo oggetto. Noi abbiamo il Corriere di Milano e la Repubblica di Roma. Quindi inutile parlare di queste cose qui nel Paese che pensa che il mondo è tutta quella sfocata roba intorno alle cose che davvero contano. È proprio in base a ciò che ritieni conti davvero che poi conterai o meno nel grande gioco di tutti i giochi.

Da Putin via libera al richiamo dei riservisti e ai referendum nei territori ucraini conquistati,

Da Putin via libera al richiamo dei riservisti e ai referendum nei territori ucraini conquistati

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Il presidente russo Vladimir Putin e il ministro della Difesa, Sergey Shoigu, imprimono una svolta al conflitto in Ucraina lanciando chiari messaggii all’opinione pubblica nazionale ma anche all’Ucraina e soprattutto all’Occidente.

Analisi Difesa riporta ampie parti degli interventi ma anche del discorso tenuto ieri da Putin ai vertici dell’industria della Difesa, testo che aiuta ulteriormente a comprendere il clima con cui Mosca sta affrontando gli sviluppi del conflitto.

 

Il discorso di Putin

Con un videomessaggio atteso già nella serata di ieri, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato questa mattina (qui il discorso integrale) la mobilitazione parziale di riservisti ma non ha utilizzato la parola “guerra” continuando a parlare di “un’operazione militare speciale per smilitarizzare e denazificare l’Ucraina e liberare il Donbass” e di “misure per proteggere la sovranità e l’integrità della Russia”.

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“Per proteggere la nostra Patria, la sua sovranità e integrità territoriale, per garantire la sicurezza del nostro popolo e del popolo nei territori liberati, ritengo necessario sostenere la proposta del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale di condurre una mobilitazione parziale nella Federazione Russa”, ha detto.

Putin ha sottolineato che “l’obiettivo dell’Occidente è indebolire e distruggere la Russia” attribuendo a USA e NATO il fallimento di un accordo tra Mosca e Kiev per negoziare la fine delle ostilità.

“Pur agendo per raggiungere gli obiettivi principali della difesa del Donbass in conformità con i piani e le decisioni del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale, le nostre truppe hanno liberato aree considerevoli nelle regioni di Kherson e Zaporozhye e un certo numero di altre aree. Ciò ha creato una lunga linea di contatto lunga oltre 1.000 chilometri.

Questo è ciò che vorrei rendere pubblico per la prima volta oggi. Dopo l’inizio dell’operazione militare speciale, in particolare dopo i colloqui di Istanbul, i rappresentanti di Kiev hanno espresso una risposta piuttosto positiva alle nostre proposte. Queste proposte riguardavano soprattutto la sicurezza e gli interessi della Russia. Ma un accordo pacifico ovviamente non si addiceva all’Occidente, motivo per cui, dopo che alcuni compromessi furono coordinati, a Kiev fu effettivamente ordinato di far fallire tutti questi accordi. Altre armi sono state pompate in Ucraina. Il regime di Kiev ha messo in gioco nuovi gruppi di mercenari e nazionalisti stranieri, unità militari addestrate secondo gli standard NATO e che hanno ricevuto ordini da consiglieri occidentali”.

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Nel suo discorso Putin ha evidenziato che “la Repubblica popolare di Luhansk è già stata quasi completamente ripulita dai neonazisti. Continuano i combattimenti nella Repubblica popolare di Donetsk. Qui, per otto anni, il regime di occupazione di Kiev ha creato una linea profondamente scaglionata di fortificazioni a lungo termine. Il loro assalto frontale avrebbe provocato pesanti perdite, quindi le nostre unità, così come le unità militari delle repubbliche del Donbass, agiscono sistematicamente, con competenza, usano attrezzature, proteggono il personale e liberano la terra di Donetsk passo dopo passo”.

Sul piano delle forze militari schierate sul campo Putin ha precisato che “come sapete, all’operazione militare speciale partecipano militari professionisti in servizio sotto contratto. Combattono fianco a fianco con loro unità di volontari: persone di diverse etnie, professioni ed età che sono veri patrioti. Hanno risposto alla chiamata dei loro cuori di sollevarsi in difesa della Russia e del Donbass.

 

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A questo proposito, ho già impartito istruzioni al governo e al ministero della Difesa di determinare lo status giuridico dei volontari e del personale delle unità militari delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Deve essere lo stesso dello status dei professionisti militari dell’esercito russo, compresi i benefici materiali, medici e sociali. Particolare attenzione deve essere prestata all’organizzazione della fornitura di attrezzature militari e di altro tipo per le unità di volontari e la milizia popolare del Donbass”.

Il presidente ha spiegato che “la Russia sosterrà la decisione dei residenti del Donbass e dei territori liberati sul loro futuro” di entrare a far parte della Federazione Russa confermando i referendum per l’annessione già preannunciati tra il 23 e il 27 settembre nelle regioni (oblast) di Donetsk, Luhansk, Zaporozhye e Kherson. “Non possiamo, non abbiamo il diritto morale di consegnare le persone a noi vicine affinché vengano fatte a pezzi dai carnefici non possiamo che rispondere al loro sincero desiderio di determinare la propria sorte, i parlamenti delle Repubbliche popolari del Donbass, nonché le amministrazioni militare-civili delle regioni di Kherson e Zaporizhia, hanno deciso di indire un referendum sul futuro di questi territori e si sono rivolti a noi, alla Russia, con la richiesta di sostenere un simile passo”.

Circa il ruolo di Stati Uniti e NATO Putin ha denunciato “la politica aggressiva di alcune élite occidentali”.

“L’obiettivo di quella parte dell’Occidente è indebolire, dividere e infine distruggere il nostro Paese. Ora stanno dicendo apertamente che nel 1991 sono riusciti a dividere l’Unione Sovietica e ora è il momento di fare lo stesso con la Russia, che deve essere divisa in numerose regioni che sarebbero in mortale faida tra loro.

Hanno ideato questi piani molto tempo fa. Hanno incoraggiato gruppi di terroristi internazionali nel Caucaso e spostato l’infrastruttura offensiva della NATO vicino ai nostri confini. Hanno usato la russofobia indiscriminata come arma, anche alimentando l’odio per la Russia per decenni, principalmente in Ucraina, che era stata progettata per diventare una testa di ponte anti-russa. Hanno trasformato il popolo ucraino in carne da cannone e lo hanno spinto in una guerra con la Russia, che hanno scatenato nel 2014”.

 

L’intervento di Shoigu

il ministro della Difesa Shoigu ha concretizzato, fornendo numerosi dati ed elementi di valutazione, le misure di mobilitazione parziale disposte dal decreto presidenziale pubblicato sul sito del Cremlino e che riportiamo più avanti.

Shoigu ha precisato che i riservisti mobilitati saranno fino a 300mila precisando che si tratterà di uomini che hanno già servito nell’esercito, con esperienza di combattimento e specializzazioni militari. Ha aggiunto che sono esclusi i militari di leva e che lo scopo della mobilitazione è “controllare i territori liberati” in Ucraina. “Abbiamo un’enorme risorsa di mobilitazione che comprende coloro che hanno prestato servizio nell’esercito, coloro che hanno esperienza di combattimento e specialità militari”.

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Il ministro ha evidenziato tra le righe ulteriori mobilitazioni potranno venire effettuate. La Russia può mobilitare quasi 25 milioni di persone, i 300.000 riservisti rappresentano poco più dell’1,1 per cento di tali forze e verranno sottoposti ad un addestramento aggiornato rispetto al contesto bellico ucraino e alle lezioni apprese in sette mesi di operazioni.

Shoigu ha poi fornito altri dati numerici importanti anche se da prendere come sempre con le molle tenuto conto che entrambi i belligeranti utilizzano le perdite subite e inflitte come strumenti di propaganda.

Mosca non riportava da marzo dati circa le perdite subite, all’epoca poco più di un migliaio, ma oggi Shoigu ha ammesso che del tema “non abbiamo parlato da molto tempo. Non posso non menzionare le perdite che ammontano a 5.937 persone. E qui ancora e ancora non posso non menzionare i nostri ragazzi che fanno coraggiosamente il loro dovere” ha detto il ministro elogiando il lavoro dei medici grazie ai quali “più del 90% dei feriti sono tornati ai loro incarichi”.

Le perdite ammesse dai russi sono quasi un decimo di quelle rivendicate dagli ucraini (circa 55mila i soldati russi uccisi secondo Kiev) anche se ai caduti russi dall’inizio delle operazioni, il 24 febbraio scorso, vanno aggiunte le perdite sofferte dalle milizie del Donbass (circa 3.100 solo nella Repubblica popolare di Donetsk) e dai contractors del Gruppo Wagner che potrebbero portare facilmente il totale a circa 11 mila caduti.

Secondo il ministro 61.207 militari ucraini sono morti e 49.368 sono rimasti feriti.

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“Le Forze Armate ucraine avevano tra le 201.000 e le 202.000 persone, ma hanno subito più di 100.000 perdite”, ha detto aggiungendo che circa 7mila soldati ucraini sono stati uccisi nelle ultime settimane (nelle controffensive a Kherson e Kharkiv dove gli ucraini avrebbero perso anche 208 carri armati, 245 veicoli da combattimento, 186 blindati, 15 aerei e 4 elicotteri) e che in Ucraina “sono rimasti poco più di mille mercenari stranieri, più di 2.000 che hanno combattuto per l’Ucraina sono già morti”.

Secondo Shoigu il supporto militare di USA e NATO a Kiev vede la presenza di un comando con 150 specialisti militari occidentali effettivamente a Kiev” che rappresentano “il vero” comando delle forze armate ucraine. L’ultimo gruppo che è arrivato, composto sia da ex militari che da personale in servizio attivo, è composto da 150 persone. Questo è in realtà il vero comando. Il comando occidentale è a Kiev e gestisce tutte le operazioni”.

Shoigu ha poi confermato gli ingenti quantitativi di armi occidentali “che la Russia sta trovando il modo di contrastare”.

“Non ci riferiamo solo alle armi che vengono fornite in un volume enorme, ma anche ai sistemi di comunicazione e di elaborazione delle informazioni dispiegati lì”.

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Secondo Shoigu “l’Ucraina ha già esaurito tutte le armi che aveva, stiamo parlando delle vecchie armi sovietiche. Molti nuovi membri dell’Unione Europea, che sono particolarmente zelanti, stanno facendo del loro meglio” ha detto riferendosi ai membri di NATO e UE dell’Europa Orientale. “Dal mio punto di vista hanno svuotato tutti i magazzini, li hanno ripuliti con attenzione per poter dare tutto all’Ucraina. E’ giunto il momento in cui stiamo di fatto combattendo contro l’Occidente collettivo più la NATO”, ha detto ancora Shoigu,

“La verità è che l’intera galassia di satelliti della NATO sta lavorando contro di noi”, ha concluso Shoigu, “secondo le nostre stime, oltre 70 satelliti militari e più di 200 satelliti civili stanno lavorando per localizzare i siti dove sono di stanza le nostre unità”.

 

L’Ordine esecutivo per la mobilitazione

Questo il testo dell’Ordine Esecutivo:

Il Presidente ha dichiarato una mobilitazione parziale nella Federazione Russa a partire dal 21 settembre 2022.

L’ordine esecutivo prevede la chiamata dei cittadini della Federazione Russa al servizio nelle forze armate nell’ambito dello sforzo di mobilitazione. I cittadini chiamati al servizio militare nell’ambito della mobilitazione godranno dello status di personale militare in servizio nelle forze armate della Federazione Russa sotto contratto.

L’ordine esecutivo prevede indennità in denaro per i cittadini della Federazione Russa chiamati al servizio militare nell’ambito della mobilitazione, nonché la durata dei contratti di servizio militare firmati dal personale militare, motivi per il congedo del personale militare in servizio sotto contratto, in quanto così come i cittadini chiamati al servizio militare nelle forze armate della Federazione Russa nell’ambito della mobilitazione.

Istruzioni corrispondenti sono state impartite al governo della Federazione Russa e agli alti funzionari governativi nelle entità costituenti della Federazione Russa.

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In base all’Ordine Esecutivo, i cittadini della Federazione impiegati dalle società del settore difesa (defence companies, l’industria della Difesa – NDR) beneficeranno di un’esenzione dalla mobilitazione per il periodo del loro impiego da parte di queste organizzazioni. Il governo della Federazione Russa definirà le categorie di cittadini della Federazione Russa che hanno il diritto di godere di esenzioni e il modo in cui tali esenzioni devono essere previste.

Del resto Mosca ha preparato il terreno a questo salto di qualità nell’impegno militare in Ucraina. Ieri la Duma ha approvato emendamenti per modificare il codice penale in tema di diserzione, mobilitazione, legge marziale, tempo di guerra e resa come prigioniero di guerra.

Come ha riferito l’agenzia RIA Novosti i legislatori russi hanno aumentato le pene ai soldati per “la resa volontaria” e per il saccheggio (rispettivamente a 10 e 15 anni di carcere); e hanno anche definito legalmente i termini “mobilitazione”, “legge marziale” e “tempo di guerra” nel codice penale della Federazione Russa.

 

Putin chiede maggiori sforzi all’industria della Difesa

Il 20 settembre Putin ha inoltre incontrato i vertici delle aziende dell’industria della difesa discutendo le misure attuali per soddisfare le esigenze del Ministero della Difesa e per attuare programmi di sostituzione delle importazioni in seguito alle sanzioni occidentali.

Putin ha rivelato e omaggiato il ruolo ricoperto dal comparto industriale anche in prima linea sui fronti ucraini. “Date le circostanze, le sfide e le minacce che il nostro Paese sta affrontando, le compagnie di difesa stanno operando intensamente e i loro dipendenti stanno agendo rapidamente per affrontare sfide non convenzionali, riorganizzare i processi di produzione e migliorare la qualità sulla base dell’effettiva esperienza di combattimento. I vostri rappresentanti vanno in prima linea – voglio prenderne atto e ringraziarli per questo. Questo trascende la responsabilità professionale ed è, in una certa misura, eroismo, che sta dando un grande contributo al miglioramento dell’equipaggiamento militare utilizzato nelle operazioni di combattimento”.

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Putin ha poi sottolineato che “le armi russe utilizzate nell’operazione si sono dimostrate altamente efficaci. Ciò riguarda principalmente l’aviazione, i missili a lungo raggio ad alta precisione, le armi aeronautiche, i razzi e l’artiglieria e l’arsenale di veicoli corazzati, solo per citarne alcuni. Sono usati per distruggere le infrastrutture militari, i posti di comando e il materiale nemico e per attaccare le unità nazionaliste, riducendo al minimo le perdite tra il personale”.

Nel suo intervento il presidente ha posto l’attenzione anche sugli armamenti occidentali sottolineando che “dobbiamo e possiamo studiare l’equipaggiamento che viene utilizzato contro di noi e aprire nuovi orizzonti nello sviluppo delle nostre capacità e, sulla base della nostra esperienza, migliorare, ove necessario, il nostro equipaggiamento e le nostre armi “.

Putin ha inoltre aggiunto: “Quest’anno ho deciso di fornire armi ed equipaggiamenti aggiuntivi alle forze armate e, di conseguenza, di stanziare fondi per l’acquisizione e la manutenzione. Le capacità di produzione devono essere aumentate e, se necessario, modernizzate in diverse imprese della difesa. Molto è stato fatto per raggiungere questo obiettivo.

Ad esempio, sono state prese le seguenti decisioni per garantire la produzione e la riparazione senza interruzioni di armi e attrezzature: le procedure contrattuali e precontrattuali sono state notevolmente semplificate, i tempi per la firma dei contratti statali con un unico fornitore e la relativa procedura di tariffazione sono stati ridotti e l’importo del pagamento anticipato ed aumentato.

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Vorrei sottolineare che Promsvyazbank ha riaffermato i termini per i prestiti a basso interesse per la consegna pre-programmata delle armi. Inoltre, le leggi sul lavoro sono state modificate per consentire ai capi delle imprese della Difesa e agli uffici di progettazione di autorizzare il pagamento degli straordinari per progettisti, ingegneri e lavoratori.

Sono state adottate misure in relazione all’ottimizzazione della produzione. Le organizzazioni dell’industria della difesa devono garantire la fornitura delle armi, dell’equipaggiamento e delle munizioni necessarie alle forze armate il prima possibile.

Dobbiamo inoltre garantire la fornitura tempestiva e completa di componenti, parti, unità e materiali moderni di fabbricazione russa alle società del settore della difesa. L’industria della difesa è la sfera in cui tutti i programmi di sostituzione delle importazioni devono essere attuati senza errori.

Questo potrebbe non essere così importante o addirittura necessario in altre aree, perché non abbiamo bisogno di una sostituzione delle importazioni al cento per cento.

Ma dobbiamo farlo in questo campo. Pertanto, le capacità produttive devono essere aumentate senza indugio, le attrezzature devono essere utilizzate al massimo, i cicli tecnologici devono essere snelliti e le tempistiche di produzione devono essere ridotte senza pregiudicare la qualità.

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Vorrei chiedere ai vertici delle imprese del settore della difesa di riferire sulle misure che stanno adottando per soddisfare i requisiti del ministero della Difesa. Naturalmente, mi aspetto anche che facciate proposte pratiche, come avete fatto nei nostri precedenti incontri sullo sviluppo dell’industria della difesa nel suo insieme.

Considerazioni a cui ha risposto indirettamente oggi il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, rilevando in un’intervista alla Reuters che “noi stiamo parlando con i nostri alleati ma anche con l’industria della Difesa per aumentare la produzione militare, di armi e munizioni, perché dobbiamo rimpiazzare i nostri stock per assicurare la difesa dei territori NATO ma anche per continuare a sostenere l’Ucraina”. Stoltenberg ha aggiunto che presto ci sarà un summit su questo dossier a Bruxelles paragonando l’aumento di produzione militare richiesto a quello dei vaccini nella crisi Covid.

 

Valutazioni

Le dichiarazioni e le iniziative di Putin delle ultime ore non solo rinnovano e rafforzano lo sforzo bellico in Ucraina con forze militari fresche ma rivelano la mobilitazione, non totale, degli apparati militare, politico e industriale in vista di un conflitto di lunga durata e contro un nemico allargato all’Occidente.

Non a caso Putin e Shoigu hanno definito Kiev quasi come un mero strumento dell’aggressione dell’Occidente alla Russia: messaggio che favorisce la mobilitazione nazionale e patriottica contro la minaccia portata dall’Occidente ai confini della Federazione.

Anche l’annuncio che i territori in mano a russi e ucraini filorussi verranno annessi alla Federazione Russa dopo i referendum punta a cementare l’identità nazionale con misure che definiscono a tutti gli effetti cittadini russi i combattenti e la popolazione di queste quattro regioni.

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Un aspetto poco considerato in Europa ma che assume una maggiore consistenza tenendo conto che oltre 2,5 milioni di ucraini del Donbass sono rifugiati (deportati secondo Kiev) nelle regioni russe di confine e che, nonostante i referendum vengano considerati illegittimi da tutto l’Occidente e da Kiev (come del resto quello del 2014 in Crimea), in seguito alle annessioni territoriali Mosca avrà gli strumenti per definire il conflitto “difensivo”, teso cioè a proteggere l’integrità territoriale e i confini della Federazione.

L’iniziativa referendaria infatti da un lato sembra sottrarre l’autonomia finora attribuita alle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk (riconosciute da Mosca poche ore prima dell’avvio delle operazioni in Ucraina, il 24 febbraio scorso) ma dall’altro definirà i loro territori parte integrante della Federazione con tutte le implicazioni di escalation e rappresaglia previsti per le minacce portate al territorio nazionale, inclusa la deterrenza nucleare.

Di fatto Mosca minaccia di considerare un attacco degli ucraini o delle armi occidentali come se si trattasse di un attacco contro una città o una regione della Russia. Mosca alza l’asticella dell’escalation mostrando di avere ancora molte frecce al suo arco ma senza usare la parola “guerra” e limitando l’area del confronto militare alle quattro regioni oggetto. dei referendum.

Nessun riferimento nelle sue parole (e in quelle di Shoigu) alla riconquista dell’oblast di Kharkiv da cui i russi si sono ritirati dopo la controffensiva ucraina o alla conquista di Odessa che pure fanno parte della cosiddetta “Nuova Russia”.

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Un indizio che potrebbe indicare la disponibilità di Mosca a negoziare un accordo sulla base delle attuali conquiste territoriali, “limitate” alle quattro regioni oggetto dei referendum. Per queste ragioni il messaggio di Putin, pur se muscolare, sembra voler offrire possibilità a una trattativa che tenga inevitabilmente conto delle pretese territoriali russe.

Benché molti in Occidente abbiano definito l’intervento di Putin un segno di debolezza non si può escludere che il ritardo di 12 ore nella diffusione del discorso di Putin abbia visto nella notte tra il 20 e il 21 settembre telefonate e confronti con le controparti negli USA, a Kiev, forse in Europa e soprattutto ad Ankara, considerato che i turchi restano gli unici, almeno all’apparenza, in grado di imbastire un negoziato.

Le reazioni registrate pubblicamente in Occidente non sembrano al momento mostrare indicazioni in tal senso né consapevolezza circa gli sviluppi annunciati da Mosca.

il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha commentato le parole di Putin affermando che “lui ed il suo ministro della Difesa hanno mandato decine di migliaia dei loro concittadini a morte, male equipaggiati e mal comandati. In nessun modo minacce e propaganda possono nascondere il fatto che l’Ucraina sta vincendo la guerra, che la comunità internazionale è unita e che la Russia sta diventando un paria globale”.

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L’annuncio fatto oggi da Vladimir Putin era “atteso” ed è “un segnale che il presidente russo è in difficoltà” ha detto John Kirby, portavoce del National Security Council della Casa Bianca sottolineando che la consistenza del numero di riservisti mobilitati è “quasi il doppio delle forze destinate alla guerra a febbraio”. Per il portavoce “è un chiaro segno della difficoltà” in cui si trova Putin. “Sappiamo che ha subito decine di migliaia di perdite, c’è un pessimo morale tra le truppe sul campo e non sono stati ancora risolti i problemi di controllo del comando. Ci sono problemi di diserzione e sta costringendo i feriti a tornare a combattere. Così chiaramente la mancanza di forze è un problema per lui ha la sensazione di essere in arretramento, particolarmente nell’area nord orientale del Donbass”.

Più o meno sullo stesso tenore le reazioni in Europa mentre il ministero degli Esteri cinese ha esortato tutte le parti coinvolte nel conflitto in Ucraina a impegnarsi nel dialogo e nella consultazione e a trovare un modo per affrontare le preoccupazioni di sicurezza di tutti.

Sul piano militare è difficile non notare che l’annuncio della mobilitazione di un massimo di 300 mila riservisti aumenta il peso specifico delle forze di Mosca in un conflitto in cui hanno sempre patito un’inferiorità numerica nei confronti delle truppe ucraine che mediamente è nell’ordine di 3 a 1.

Una mobilitazione generale, da molti paventato, sarebbe stata esagerata rispetto alle esigenze russe e avrebbe avuto certamente un impatto più pesante sulla società e l’economia russa oltre che sulla percezione in Occidente che Mosca si preparasse alla guerra totale.

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Inoltre la mobilitazione di un gran numero di riservisti si aggiunge a quella di numerosi battaglioni di volontari arruolati in questi mesi su base regionale e il  cui arruolamento sembra aver subito un incremento dopo la ritirata russa dalla regione di Kharkiv, Nei giorni scorsi è circolata la notizia che 9 oblast abbiano mobilitato battaglioni di volontari: 1.200 combattenti dalla Crimea, 800 da Kursk, altri da Voronezh, Ciuvashia e Bashkiria, che hanno già inviato 1.000 uomini al fronte.  Gli oblast di Magadan e Kemenovo hanno reso noto di non poter organizzare reparti di volontari ma di essere disposta a equipaggiare e finanziare quelli delle altre regioni mentre Celyabinsk ha iniziato a organizzare la raccolta di volontari.

Il 17 settembre il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, ha annunciato che altri due battaglioni hanno raggiunto il Donbass e altri 10 mila volontari sono in fase di arruolamento.

Il sindaco di Mosca, Serghiei Sobyanin, in un post su Telegram ripreso ieri dal Moscow Times, ha affermato che aprirà un centro “per assistere il ministero della Difesa russo nel reclutamento di cittadini stranieri nel servizio militare” dopo che la Duma ha approvato un progetto di legge per semplificare l’iter per l’ottenimento della cittadinanza russa per gli stranieri che firmano un contratto di un anno nell’esercito russo. Per diventare legge, il documento deve essere ancora approvato dal Senato e firmato dal presidente russo.

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Si tratta di una pratica non nuova, varata negli anni scorsi dagli Stati Uniti che hanno arruolato immigrati per l’impiego in Iraq e Afghanistan. Al termine di un anno di servizio oltremare la cittadinanza statunitense veniva attribuita con cerimonie che si tennero in diverse basi statunitensi nei teatri di guerra.

La presenza dei battaglioni di volontari non è però riuscita a evitare la mobilitazione su vasta scala di riservisti dei quali alcune migliaia erano già stati richiamati in servizio nei mesi scorsi.

I reparti costituiti da volontari inoltre hanno diversi standard di addestramento ed equipaggiamento e sembra abbiano registrato difficoltà di amalgama con le forze regolari russe e i miliziani di Donetsk e Luhansk. Anche per questo le nuove disposizioni di Mosca regolarizzeranno tutti i combattenti con uno standard comune alle forze regolari.

La mobilitazione dei riservisti, il loro addestramento e assegnazione ai reparti oltre alla costituzione di nuove unità insieme alla standardizzazione delle forze regolari russe con i battaglioni di volontari e le milizie del Donbass richiederà almeno alcuni mesi. Inoltre parte dei riservisti potrebbe venire impiegata per sostituire reparti in servizio effettivo in diverse aree della Russia consentendone l’impiego in Ucraina.

La nuova fase della guerra varata oggi dal Cremlino, potrebbe quindi vedere, almeno sul piano operativo, un periodo di stallo sui diversi fronti ucraini o comunque una vivacità limitata delle forze di Mosca anche se l’afflusso di rinforzi è iniziato da alcune settimane e ha già visto il trasferimento in Ucraina di reparti regolari dislocati in altre regioni e persino in Tagikistan.

Tempo prezioso per cercare di imbastire negoziati in grado di congelare o concludere il conflitto, complice anche la stagione invernale alle porte.

https://www.analisidifesa.it/2022/09/da-putin-via-libera-al-richiamo-dei-riservisti-e-ai-referendum-nei-territori-ucraini-conquistati/?fbclid=IwAR1BMkSjf3S-f5uwXoS5eYMpZEydUyFVaKGJ3aOgL6pu_N1hsUXL-mm6cZI

Discorso del Presidente della Federazione Russa

Il presidente della Russia Vladimir Putin: amici,

L’argomento di questo intervento è la situazione nel Donbass e il corso dell’operazione militare speciale per liberarlo dal regime neonazista, che ha preso il potere in Ucraina nel 2014 a seguito di un colpo di stato armato.

Oggi mi rivolgo a voi – a tutti i cittadini del nostro Paese, a persone di diverse generazioni, età ed etnie, al popolo della nostra grande Patria, a tutti coloro che sono uniti dalla grande Russia storica, soldati, ufficiali e volontari che stanno combattendo in prima linea e facendo il loro dovere di combattimento, i nostri fratelli e sorelle nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, nelle regioni di Kherson e Zaporozhye e in altre aree che sono state liberate dal regime neonazista.

La questione riguarda le misure necessarie e imperative per proteggere la sovranità, la sicurezza e l’integrità territoriale della Russia e sostenere il desiderio e la volontà dei nostri compatrioti di scegliere il proprio futuro in modo indipendente, e la politica aggressiva di alcune élite occidentali, che stanno facendo tutto il possibile per preservare il loro dominio e con questo obiettivo in vista stanno cercando di bloccare e sopprimere qualsiasi centro di sviluppo sovrano e indipendente per continuare a imporre aggressivamente la loro volontà e pseudovalori su altri paesi e nazioni.

L’obiettivo di quella parte dell’Occidente è indebolire, dividere e infine distruggere il nostro Paese. Ora stanno dicendo apertamente che nel 1991 sono riusciti a dividere l’Unione Sovietica e ora è il momento di fare lo stesso con la Russia, che deve essere divisa in numerose regioni che sarebbero in mortale faida tra loro.

Hanno ideato questi piani molto tempo fa. Hanno incoraggiato gruppi di terroristi internazionali nel Caucaso e spostato l’infrastruttura offensiva della NATO vicino ai nostri confini. Hanno usato la russofobia indiscriminata come arma, anche alimentando l’odio per la Russia per decenni, principalmente in Ucraina, che era stata progettata per diventare una testa di ponte anti-russa. Hanno trasformato il popolo ucraino in carne da cannone e lo hanno spinto in una guerra con la Russia, che hanno scatenato nel 2014. Hanno usato l’esercito contro i civili e organizzato un genocidio, blocco e terrore contro coloro che si sono rifiutati di riconoscere il governo che è stato creato in Ucraina a seguito di un colpo di stato.

Dopo che il regime di Kiev ha rifiutato pubblicamente di risolvere pacificamente la questione del Donbass ed è arrivato al punto di annunciare la sua ambizione di possedere armi nucleari, è diventato chiaro che una nuova offensiva nel Donbass – ce n’erano due prima – era inevitabile e che sarebbe inevitabilmente seguito da un attacco alla Crimea russa, cioè alla Russia.

A questo proposito, la decisione di avviare un’operazione militare preventiva era necessaria e l’unica opzione. L’obiettivo principale di questa operazione, che è la liberazione dell’intero Donbass, rimane inalterato.

La Repubblica popolare di Lugansk è stata quasi completamente liberata dai neonazisti. Continuano i combattimenti nella Repubblica popolare di Donetsk. Negli otto anni precedenti, il regime di occupazione di Kiev ha creato una linea di difesa permanente profondamente scaglionata. Un attacco frontale contro di loro avrebbe portato a pesanti perdite, motivo per cui le nostre unità, così come le forze delle repubbliche del Donbass, stanno agendo in modo competente e sistematico, utilizzando attrezzature militari e salvando vite, muovendosi passo dopo passo per liberare il Donbass , epurare città e paesi dai neonazisti e aiutare le persone che il regime di Kiev ha trasformato in ostaggi e scudi umani.

Come sapete, all’operazione militare speciale partecipano militari professionisti in servizio sotto contratto. Combattono fianco a fianco con loro unità di volontari: persone di diverse etnie, professioni ed età che sono veri patrioti. Hanno risposto alla chiamata dei loro cuori di sollevarsi in difesa della Russia e del Donbass.

A questo proposito, ho già impartito istruzioni al governo e al ministero della Difesa di determinare lo status giuridico dei volontari e del personale delle unità militari delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Deve essere lo stesso dello status dei professionisti militari dell’esercito russo, compresi i benefici materiali, medici e sociali. Particolare attenzione deve essere prestata all’organizzazione della fornitura di attrezzature militari e di altro tipo per le unità di volontari e la milizia popolare del Donbass.

Pur agendo per raggiungere gli obiettivi principali della difesa del Donbass in conformità con i piani e le decisioni del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale, le nostre truppe hanno liberato aree considerevoli nelle regioni di Kherson e Zaporozhye e un certo numero di altre aree. Ciò ha creato una lunga linea di contatto lunga oltre 1.000 chilometri.

Questo è ciò che vorrei rendere pubblico per la prima volta oggi. Dopo l’inizio dell’operazione militare speciale, in particolare dopo i colloqui di Istanbul, i rappresentanti di Kiev hanno espresso una risposta piuttosto positiva alle nostre proposte. Queste proposte riguardavano soprattutto la sicurezza e gli interessi della Russia. Ma un accordo pacifico ovviamente non si addiceva all’Occidente, motivo per cui, dopo che alcuni compromessi furono coordinati, a Kiev fu effettivamente ordinato di far fallire tutti questi accordi.

Altre armi sono state pompate in Ucraina. Il regime di Kiev ha messo in gioco nuovi gruppi di mercenari e nazionalisti stranieri, unità militari addestrate secondo gli standard NATO e che hanno ricevuto ordini da consiglieri occidentali.

Allo stesso tempo, il regime di rappresaglie in tutta l’Ucraina contro i propri cittadini, instaurato subito dopo il colpo di stato armato del 2014, è stato duramente intensificato. La politica dell’intimidazione, del terrore e della violenza sta assumendo forme sempre più massicce, orribili e barbare.

Voglio sottolineare quanto segue. Sappiamo che la maggior parte delle persone che vivono nei territori liberati dai neonazisti, e queste sono soprattutto le terre storiche della Novorossiya, non vogliono vivere sotto il giogo del regime neonazista. Le persone nelle regioni di Zaporozhye e Kherson, a Lugansk e Donetsk hanno visto e stanno assistendo alle atrocità perpetrate dai neonazisti nelle aree [ucraine] occupate della regione di Kharkov. I discendenti dei Banderiti ei membri delle spedizioni punitive naziste stanno uccidendo, torturando e imprigionando persone; stanno regolando i conti, picchiando e commettendo oltraggi a civili pacifici.

C’erano oltre 7,5 milioni di persone che vivevano nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e nelle regioni di Zaporozhye e Kherson prima dello scoppio delle ostilità. Molti di loro sono stati costretti a diventare profughi ea lasciare le loro case. Quelli che sono rimasti – sono circa cinque milioni – sono ora esposti agli attacchi di artiglieria e missili lanciati dai militanti neonazisti, che sparano su ospedali e scuole e inscenano attacchi terroristici contro civili pacifici.

Non possiamo, non abbiamo il diritto morale di lasciare che i nostri parenti e amici siano fatti a pezzi dai macellai; non possiamo che rispondere al loro sincero sforzo di decidere da soli il proprio destino.

I parlamenti delle repubbliche popolari del Donbass e le amministrazioni militare-civili delle regioni di Kherson e Zaporozhye hanno adottato decisioni per indire referendum sul futuro dei loro territori e si sono appellati alla Russia per sostenerla.

Vorrei sottolineare che faremo tutto il necessario per creare condizioni sicure per questi referendum in modo che le persone possano esprimere la propria volontà. E sosterremo la scelta del futuro fatta dalla maggioranza delle persone nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e nelle regioni di Zaporozhye e Kherson.

Gli amici,

Oggi le nostre forze armate, come ho accennato, stanno combattendo sulla linea di contatto lunga oltre 1.000 chilometri, combattendo non solo contro unità neonaziste ma in realtà l’intera macchina militare dell’Occidente collettivo.

In questa situazione, ritengo necessario prendere la seguente decisione, che è del tutto adeguata alle minacce che stiamo affrontando. Più precisamente, ritengo necessario sostenere la proposta del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale sulla mobilitazione parziale nella Federazione Russa per difendere la nostra Patria e la sua sovranità e integrità territoriale, e per garantire la sicurezza del nostro popolo e del popolo liberato territori.

Come ho detto, stiamo parlando di mobilitazione parziale. In altre parole, saranno convocati solo i riservisti militari, principalmente quelli che hanno prestato servizio nelle forze armate e hanno specifiche specialità professionali militari e relativa esperienza.

Prima di essere inviati alle loro unità, i chiamati in servizio attivo saranno sottoposti a un addestramento militare aggiuntivo obbligatorio basato sull’esperienza dell’operazione militare speciale.

Ho già firmato l’Ordine Esecutivo di mobilitazione parziale.

Conformemente alla legislazione, le Camere dell’Assemblea federale – il Consiglio della Federazione e la Duma di Stato – ne saranno ufficialmente informate per iscritto oggi.

La mobilitazione comincerà oggi, 21 settembre. Insegno ai vertici delle regioni l’assistenza necessaria al lavoro degli uffici di reclutamento militare.

Vorrei sottolineare che i cittadini della Russia chiamati in base all’ordine di mobilitazione avranno lo status, i pagamenti e tutte le prestazioni sociali del personale militare in servizio sotto contratto.

Inoltre, l’Ordine esecutivo sulla mobilitazione parziale prevede anche misure aggiuntive per l’adempimento dell’ordine di difesa dello Stato. I capi delle imprese del settore della difesa saranno direttamente responsabili del raggiungimento degli obiettivi di aumentare la produzione di armi e attrezzature militari e di utilizzare strutture di produzione aggiuntive a tale scopo. Allo stesso tempo, il governo deve affrontare senza indugio tutti gli aspetti del sostegno materiale, delle risorse e finanziario alle nostre imprese della difesa.

Gli amici,

L’Occidente è andato troppo oltre nella sua politica aggressiva contro la Russia, minacciando senza fine il nostro paese e il nostro popolo. Alcuni politici occidentali irresponsabili stanno facendo molto di più che parlare dei loro piani per organizzare la consegna di armi offensive a lungo raggio all’Ucraina, che potrebbero essere utilizzate per sferrare attacchi in Crimea e in altre regioni russe.

Tali attacchi terroristici, anche con l’uso di armi occidentali, vengono sferrati nelle aree di confine delle regioni di Belgorod e Kursk. La NATO sta conducendo ricognizioni attraverso le regioni meridionali della Russia in tempo reale e con l’uso di sistemi moderni, aerei, navi, satelliti e droni strategici.

Washington, Londra e Bruxelles incoraggiano apertamente Kiev a spostare le ostilità sul nostro territorio. Dicono apertamente che la Russia deve essere sconfitta sul campo di battaglia con ogni mezzo, e successivamente privata della sovranità politica, economica, culturale e di qualsiasi altra cosa e saccheggiata.

Sono persino ricorsi al ricatto nucleare. Mi riferisco non solo al bombardamento, incoraggiato dall’Occidente, della centrale nucleare di Zaporozhye, che minaccia un disastro nucleare, ma anche alle dichiarazioni di alcuni alti rappresentanti dei principali paesi della NATO sulla possibilità e sull’ammissibilità di usando armi di distruzione di massa – armi nucleari – contro la Russia.

Vorrei ricordare a coloro che fanno tali affermazioni sulla Russia che anche il nostro paese ha diversi tipi di armi, e alcune di esse sono più moderne delle armi che hanno i paesi della NATO. In caso di minaccia all’integrità territoriale del nostro paese e per difendere la Russia e il nostro popolo, faremo sicuramente uso di tutti i sistemi d’arma a nostra disposizione. Questo non è un bluff.

I cittadini della Russia possono stare certi che l’integrità territoriale della nostra Patria, la nostra indipendenza e libertà saranno difese – lo ripeto – da tutti i sistemi a nostra disposizione. Coloro che stanno usando il ricatto nucleare contro di noi dovrebbero sapere che la rosa dei venti può tornare indietro.

È nostra tradizione storica e destino della nostra nazione fermare coloro che amano il dominio globale e minacciano di dividersi e rendere schiava la nostra Patria. Stai certo che lo faremo anche questa volta.

Credo nel tuo sostegno.

 

L’UCRAINA È IN MACERIE, MA LA UE RILANCIA L’ESCALATION, di Marco Giuliani

L’UCRAINA È IN MACERIE, MA LA UE RILANCIA L’ESCALATION

Nuovo massiccio invio di armi a Kiev. I russi soffrono, ma alla Von der Leyen non basta: “Zelensky deve vincere”. E l’Italia è ormai appaltata da Washington

La nuova, cervellotica campagna di guerra lanciata dalla sig.ra Ursula Von der Leyen sulla pelle degli ucraini, non lascia spiragli a una (eventuale) trattativa che possa condurre verso una tregua. Così, per la gioia di Blinken – al quale Draghi ha poche ore fa giurato fedeltà ribadendo, in sostanza, che l’Italia è un appalto della Nato – e per il riarmo di Zelensky, che è al riparo nel suo bunker di Kiev e continua a mandare in onda i suoi show televisivi, la UE dichiara ancora guerra a Mosca. «L’Ucraina vincerà», ha affermato la Presidente della Commissione europea a seguito di alcuni territori rioccupati da Kiev e da cui, per la verità, i militari russi hanno presumibilmente spostato le loro operazioni. Ipse dixit. Una Russia sconfitta sappiamo tutti che è un’evenienza che non potrà in alcun modo verificarsi, a meno di un ricorso all’arma nucleare e l’interessamento di paesi terzi. Europa che ha lasciato intendere, tra l’altro, di voler cacciare l’Ungheria di Orban perché non allineata al piano anti-Putin commissionato da Washington (la scusa dell’antiabortismo è una pagliacciata). Entriamo nel merito, riportando, come è nostro uso, fatti e riscontri.

La nuova escalation promossa dalla Casa Bianca, ratificata da Bruxelles e messa a punto dai singoli membri della UE (l’Italia, tanto per cambiare, è scattata sull’attenti), ha i suoi risvolti nei nuovi pacchetti di armi in partenza per Kiev e nella discriminante relativa alla messa al bando dall’Ungheria di Orban, rea di non seguire alla lettera le politiche militariste e sanzionatorie euroatlantiche. Per Budapest, si prospettano i tagli dei fondi del Pnrr e l’eventuale proposta di esclusione dall’unione, magari per lasciare spazio proprio all’Ucraina, che di diritti civili ha ancora molto da imparare. Ma veniamo al punto. Lascia un tantino perplessi, ancora una volta, la quasi totale inconsistenza di una iniziativa autonoma da parte dei singoli stati, a fronte di una situazione che va purtroppo peggiorando di giorno in giorno. La Germania si trova in difficoltà ed è oggetto di un crescente dissenso della sua opinione pubblica, con il quale dovrà prima o poi fare i conti; la Francia, salvo l’ipotesi di tagliare le forniture elettriche all’Italia per due anni, è tra i pochissimi superstiti a riuscire a confrontarsi (telefonicamente) ancora con Mosca, ma sembra piuttosto immobile e in balia degli eventi; abbiamo già detto di Draghi, per cui però bisogna apporre una postilla. Il 25 settembre in Italia ci saranno le elezioni, e ciò che si prospetta è solo un rimpasto che porterà a ricalcare in fotocopia la linea degli ultimi 6 mesi. Questa è la sensazione, nata da una serie di indizi derivati dai proclami e dalle politiche messe in atto dai partiti maggiori e dai loro consimili. L’ex Goldman Sachs ha soltanto preparato il terreno.

I movimenti di destra, centro e sinistra sono letteralmente appiattiti, salvo poche voci isolate, su posizioni che non fanno presagire un cambio di passo circa la diplomazia internazionale e le (enormi) difficoltà di undici milioni di italiani che Eurostat ha definito “in povertà”. Proprio in queste ore di campagna elettorale, infatti, stanno per essere inviati – si parla del decreto aiuti – altri settecento milioni di euro a Kiev, mentre nelle Marche si è verificata un’alluvione che ha messo in ginocchio interi paesi e località. Sarebbe curioso sapere quanto intende stanziare in merito il dimissionario governo, che evidentemente sembra di nuovo più concentrato su ciò che accade agli ucraini anziché ai suoi connazionali. Se queste sono le premesse, compreso l’acquisto di materiali energetici in ordine sparso (anche dall’Iran, dove poche ora fa è stata linciata un’altra ragazza perché con il velo in disordine), a prezzi maggiorati e non certo dalle più illuminate democrazie, l’autunno sarà sanguinoso. Ma tutto fa brodo, purché venga danneggiata Mosca. In questa maniera, ci si chiede, quale tipo di supporto potranno ricevere gli italiani di fronte alla dilatazione delle bollette, del caro-vita che non accenna a ridimensionarsi o di fronte all’aumento dei carburanti?

Ma stiano tutti tranquilli: il premier con valigie in mano, nel frattempo, tra economisti in doppiopetto e finanzieri ebrei con la kippah in grande sfoggio, si è guadagnato il World Statesman di New York, premio fedeltà ricevuto dai suoi padri putativi americani a seguito di iniziative partite dalla Casa Bianca e che lui si è solo limitato ad applicare. Per chi, come tanti commercianti, ha visto l’aumento della luce del 300% nel giro di poche settimane, magra, magrissima consolazione. Anzi, una vera e propria beffa. Ovviamente, in attesa degli ulteriori aumenti previsti a ottobre 2022.

 

MG

 

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Mario Draghi premiato come “World Statesman a New York, agenzia di Aska News uscita il 20 settembre 2022–

Sky TG24, edizione del 30 agosto 2022 –

Televideo Rai del 18/09/2022, p. 150 –

www.agi.it, pagina del 17/09/2022 consultata il 20/09/2022 –

www.europa.today.it, pagina del 17/09/2022 consultata il 19/09/2022 –

www.adnkronos.com, pagina del 16/09/2022 consultata il 19/09/2022 –

 

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