Politici – servi  e politici – profeti: dal passato al presente attraverso le sfide del mondo attuale_del professor Yari Lepre Marrani

Riceviamo e pubblichiamo_Giuseppe Germinario

Politici – servi  e politici – profeti: dal passato al presente attraverso le sfide del mondo attuale.

 

La Storia dell’umanità ha conosciuto condottieri eccelsi, comandanti sanguinari, politici acuti e lungimiranti, militari ambiziosi ma il prezioso dono di essere, al contempo, depositari delle vicende di una determinata fase storica e profeti – di ventura – capaci di “scrutare” oltre il mondo politico presente assommando su di se potere governativo e intuito mistico è stato raro privilegio di poche personalità. Essere uno Statista non è sinonimo di essere capo del governo di un paese: le difficoltà geopolitiche in cui versa l’Italia e, oltre essa, l’Europa nell’attuale fase storica può, forse, dimostrare che non basta il voto popolare a rendere necessariamente sovrano un popolo se lo stesso vota per “rassegnazione”, senza riconoscere quello spirito profetico – politico in chi elegge. Il corollario del precedente assunto è visibile agli occhi più attenti quando essi osservano, concentrati seppur desolatamente, il nostro periodo storico, il più difficile del secondo dopoguerra, ove la geopolitica non può più eludere la presenza della guerra e della strategia militare nei rapporti tra i popoli. Sottovalutare o eludere definitivamente questo assunto è un omaggio alla falsità civica e, ben oltre, all’attuale situazione internazionale.

L’Italia ha avuto l’ultimo periodo storico di autentica grandezza ed eroica virtù nel Risorgimento ottocentesco: nell’arco di tempo che va dal Congresso di Vienna(11/1814 – 06/1815) al 1873 l’eroismo si è incarnato in personalità che, pur non necessariamente onerate da incarichi politici di prima linea, hanno saputo operare al servizio dell’agognata indipendenza nazionale, con il pensiero laico ma profetico e l’azione politica – Giuseppe Mazzini – o attraverso l’abilità militare vissuta anche come missione(G. Garibaldi). Mazzini incarnò la politica come Religione civile, missione di tutti gli individui e lanciò un messaggio di socialismo riformatore, unione dei popoli europei e necessità irrevocabile di un Azione braccio del Pensiero e veicolo di Progresso dell’Umanità che l’ha reso il “Cristo laico” del Risorgimento italiano. Mazzini ebbe modo di agire come politico e diplomatico durante i sei mesi della gloriosa Repubblica Romana(IX Febbraio 1849 – 4 Luglio 1849) e profeta illuminato, costretto all’esilio e condannato a morte dai Savoia(1833), ma il cui nome rimane a fondamento della nostra Repubblica.

I grandi esempi dell’eroismo politico missionario del passato tornano prepotentemente, come positivi fantasmi, tra i venti di tensione che agitano l’Europa contemporanea ove nulla è più impossibile, nemmeno una terza guerra mondiale che trovi origine proprio a causa della debolezza dell’UE, “inchinata” a quel Tratta del Nord Atlantico che ha nome NATO. La Russia ha mostrato tutta la sua criminale sete di potere giustificando l’aggressione russa all’Ucraina come conclusione di un lungo periodo di turbamento iniziato nel 2014:la questione discussa, reiterata, della possibile entrata dell’ucraina nella Nato come causa  dell’attacco di Putin può essere un meschino alibi che nasconde una volontà russa di squartare l’Europa. Ma quest’ultima non può difendersi militarmente né sostenere potentemente e duramente l’Ucraina sino alla vittoria perché militarmente debole. Gli USA non vogliono un’Europa militarmente forte e compatta, ma debole e politicamente ridotta ad una politica estera “da conigli”. Ecco a cosa servirebbero i politici nuovi che siano anche profeti di ventura ma, se il caso o le contingenze storiche lo richiedono, anche di sventura purchè dalle parole del profeta laico si generi quella fiamma che arda le coscienze civili e sproni ad un capovolgimento dello status quo.

Nel ‘800 l’Italia ha combattuto per la propria Liberta, Indipendenza e Dignità. I risultati, ad avviso dello scrivente, non sono stati i migliori che una simile lotta meritava al suo epilogo: un’Italia repubblicana cioè, che nascesse nel seno del  repubblicanesimo mazziniano e garibaldino.

Oggi il mondo europeo, stretto tra due incudini, ha molti politicanti e pochi statisti-profeti. Lo scrivente è convinto che il cuore del mondo, oggi, sia nell’est europeo dove si giocherà la partita per il futuro: o sarà guerra totale o sarà vittoria del coraggio dei popoli europei nel rafforzarsi con ferreo vigore per diventare una Potenza capace di interfacciarsi con le Superpotenze minatorie che la circondano. E lo spirito dei popoli dovrebbe concretizzare sua sponte il messaggio mazziniano che il genovese lanciò in una sua opera minore, ma ricca di spunti “vaticinatori”. Lo scrivente si riferisce al breve scritto mazziniano “La Santa Alleanza dei Popoli”(1849) ove l’autore riportò per iscritto quanto già voleva per l’ormai defunta Repubblica Romana del triumvirato Mazzini, Saffi, Armellini: una rivoluzione cui a capo ci fossero i popoli, unici depositari laici di ogni periodo storico. “Dopo la Roma degli imperatori, la Roma dei Papi, ci sarà la Roma del Popolo” egli scrisse. Fu proprio nell’opuscolo della Santa Alleanza dei popoli che Mazzini volle idealmente sostituire all’Europa dei Re l’Europa dei popoli.

Oggi non si può più guardare – e non si deve – ad una provinciale idea di “Roma caput mundi” poiché l’Europa delle Patrie non ha futuro e Roma, come tutte le città europee, se semplice nucleo svincolato da un patto sovranazionale europeo, non sarà niente più che un’isolata protagonista della Storia contemporanea. Ma il periodo che viviamo non è poi così dissomigliante dalle lotte di affermazione nazionale che visse l’Italia tra le due date citate, in quel periodo storico che va sotto il nome di Risorgimento. Occorre, però, riportare gli eventuali paragoni a due realtà diverse: da quella nazionale a quella sovranazionale dell’oggi.

Ancoriamoci però a quanto di buono è stato detto dal Mazzini che, fondando il 15 aprile 1834 la Giovine Europa, non mostrò mai un ottuso provincialismo ma ebbe sempre visione europea: quell’Europa di masse “vaste e unite” doveva essere guidata da una Nazione illuminata dai secoli. Quella Nazione era l’Italia a cui il genovese dette un posto, ruolo e missione speciali nella creazione di un’Europa federalista.

La chiusa di questo articolo è dunque chiara: il passato va superato ma non dimenticato, il presente va affrontato con le sfide che esso pone. La guerra è una realtà nata con l’uomo e, nel 2022, ha mostrato che nemmeno nel pieno dell’era atomica essa è stata superata; al contrario la guerra è ancora strumento di sopraffazione dei popoli sui popoli. Alla guerra non si può rispondere che con la guerra ma non è quanto sta avvenendo attualmente nell’Europa dell’Est, ove se l’Ucraina perderà – e non sembra ci siano prospettive contrarie – si avrà la dimostrazione che la sconfitta di questo poverissimo paese dell’Est(il più povero per PIL pro capite) è stata determinata dal prevalere della forza sulla debolezza non solo di un popolo europeo arretrato ma dell’Europa intera. Gli ucraini, nella più funesta delle ipotesi, saranno condannati a una vita da servi. Kharkiv sarà simbolo e spettro della devastazione odierna e i cittadini europei, dietro il fragile scudo dei governanti, saranno condannati ad una “vita da castori” per usare un’altra espressione mazziniana che potrebbe essere facilmente attualizzata e parafrasata in “vita da impauriti”.

Si schiudano quindi le porte del prossimo e lontano futuro a una nuova fase storica che non avrà più il nome di Rinascimento, Risorgimento o Ricostruzione ma Rinascita.

La Rinascita italiana ed europea.

 

Prof. Yari Lepre Marrani

 

Russia Ucraina, il conflitto 59a puntata à la guerre comme à la guerre Con Max Bonelli

Macron è sicuramente un uomo immensamente consapevole di se stesso, in una misura tanto più spropositata, pari solo ai disastri che è riuscito a realizzare nella sua Africa Francofona. E’ un uomo coltivato sin dalla sua infanzia; più che da se stesso, dagli ambienti che ben conosciamo e al quale è legato sopra ogni cosa. E’ l’uomo giusto, purtroppo di una nutrita pattuglia, per trascinare la Francia e l’intero continente europeo verso il compimento definitivo della distruzione avviata con la prima e seconda guerra mondiale. Si è candidato nel ruolo di promotore di una Europa unita sì, protagonista, disposta ad offrire il proprio sangue in nome di un vassallaggio attivo, non più di retroguardia. Come leggere altrimenti l’ipotesi suicida di invio di milizie regolari in Ucraina, ormai, a quanto pare, divenuta realtà con già i primi cadaveri sul terreno? Vedremo sino a che punto riusciremo a farci trascinare come babbei intorpiditi contro un nemico inventato e costruito dagli stranamore di oltreatlantico. La speranza sulla quale poggiarsi è che arrivi troppo tardi. Buon Ascolto, Giuseppe Germinario

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Macron ancora una volta si pavoneggia, paranoia delle truppe NATO e altro ancora, di SIMPLICIUS

Lo sviluppo più interessante riguarda il fatto che il Cremlino abbia designato lo stesso Zelenskyj – così come molti altri alti funzionari e generali ucraini – come “ricercati”, anche se, stranamente, il motivo legale preciso non è chiaro e non è elencato sul sito del ministero degli Interni russo.

Le conseguenze più immediate di ciò sono:

  • La Russia potrebbe inviare un segnale e gettare le basi per la revoca di qualsiasi “accordo di pace” con Zelenskyj, poiché inserirlo nella lista dei ricercati garantisce che lo Stato russo non possa negoziare legalmente con un criminale ricercato.
  • Ancora più oscuramente, ciò pone potenzialmente le basi per la Russia per eliminarlo in seguito alla sua totale perdita di legittimità il 21 maggio, quando avrebbe avuto luogo l’insediamento presidenziale ucraino.

Per quanto riguarda il primo punto, ci sono stati molti segnali sia dall’Occidente che dalla stessa Ucraina riguardo al ritorno ad altri “negoziati” nell’ambito della modalità Istanbul, in particolare in vista dell’imminente “Vertice per la pace” globale che si terrà in Svizzera il 15 giugno. La Russia potrebbe inviare all’Occidente il messaggio che, indipendentemente da ciò che verrà fuori durante questo vertice, sarà impossibile trattare con un uomo considerato non solo illegittimo ma addirittura un criminale ricercato a livello statale. Ricordiamo che proprio il mese scorso Peskov stesso aveva accennato a ciò, e Lukashenko fu l’unico a sollevare l’ostacolo dell’illegittimità.

Ora ci sono stati segnali crescenti da parte dell’Occidente e degli stessi funzionari ucraini che il ritorno ai confini “pre-2022”, tanto meno ai confini del 1991, non è nemmeno più un obiettivo, ma piuttosto l’Ucraina punta semplicemente a mantenere ciò che attualmente ha nella migliore delle ipotesi.

Ad esempio, il membro del Congresso Adam Smith ha affermato che la cosa migliore che l’Ucraina può sperare è mantenere l’accesso al Mar Nero e non perdere Kiev:

Smith – il massimo esponente democratico dei servizi armati interni – ha affermato che l’Ucraina deve mantenere circa l’82% del paese – e non perdere l’accesso al Mar Nero o far minacciare Kiev – per considerare la fine dei giochi un successo. L’amministratore di Biden è stato riluttante a dirlo perché nessuno vuole ammettere che potrebbe dover cedere terreno, ha aggiunto.

E poi c’è questo:

Il vice capo dell’intelligence militare dell’UA, afferma Skibitsky chiaramente che:

La sua affermazione, tuttavia, si basa sulla convinzione che la produzione di armi della Russia si fermerà all’inizio del 2026 a causa della “mancanza di ingegneri e materiali”, e apparentemente questo indurrà la Russia a cercare preventivamente la pace. Non ci conterei. Aggiunge inoltre:

Il Magg. Gen. Skibitsky ha avvertito che l’esercito russo non è più la marmaglia disorganizzata che l’Ucraina ha respinto da alcune regioni con tanto successo nelle prime fasi della guerra.

Ora si tratta di un “organismo unico, con un piano chiaro e sotto un unico comando”, ha affermato.

Date queste potenziali aperture di pace, la Russia potrebbe reprimere Zelenskyj per creare il precedente legale secondo cui non intraprenderà i negoziati. Ciò accelererà dopo la scadenza del mandato di Zelenskyj alla fine di maggio, momento in cui la Russia potrebbe assumere una posizione ufficiale molto più solida non riconoscendolo nemmeno come leader del paese; nel peggiore dei casi, ciò potrebbe anche portare la Russia a eliminarlo durante gli scioperi, se necessario, anche se penso che terranno da parte questa carta vincente per i tempi difficili.

La conclusione più interessante che il generale Skibitsky fa nella sua nuova intervista all’Economist riguarda l’offensiva in corso nella regione di Kharkov:

Guardando ad un orizzonte più ampio, il capo dell’intelligence suggerisce che la Russia si sta preparando per un assalto attorno alle regioni di Kharkiv e Sumy nel nord-est. I tempi dipenderanno dalla robustezza delle difese ucraine nel Donbass, dice. Ma egli presume che la spinta principale della Russia inizierà “alla fine di maggio o all’inizio di giugno”. La Russia ha un totale di 514.000 soldati di terra impegnati nell’operazione ucraina, dice, superiore alla stima di 470.000 fornita il mese scorso dal generale Christopher Cavoli, massimo comandante della NATO. Il capo dello spionaggio ucraino afferma che il gruppo settentrionale della Russia, con sede oltre il confine di Kharkiv, conta attualmente 35.000 uomini, ma è destinato ad espandersi fino a raggiungere un numero compreso tra 50.000 e 70.000 soldati. La Russia sta anche “generando una divisione delle riserve” (cioè tra 15.000 e 20.000 uomini) nella Russia centrale, che può aggiungere allo sforzo principale.

Questo “non è sufficiente” per un’operazione volta a conquistare una grande città, dice – un giudizio condiviso dai funzionari militari occidentali, ma potrebbe essere sufficiente per un compito più piccolo. «Un’operazione veloce per entrare e uscire: forse. Ma un’operazione per conquistare Kharkiv, o anche la città di Sumy, è di ordine diverso. I russi lo sanno. E questo lo sappiamo”. In ogni caso, si prospettano giorni bui per Kharkiv, una città di 1,2 milioni di abitanti che ha respinto i primi attacchi della Russia nel 2022.

Mentre scrivo da un po’ di tempo, egli riconosce che la Russia potrebbe cercare di creare un’altra operazione di aggiustamento nel nord e poi giocare a orecchio a seconda di dove l’AFU impegna le sue riserve e forze fatiscenti. Se dovessero impegnarsi eccessivamente nella potenziale breccia di Kharkov, la Russia potrebbe sferrare un’offensiva attraverso il fronte centrale attorno a Donetsk per creare sfondamenti.

A questo hanno fatto eco ancora una volta gli ufficiali ucraini:

Il vice comandante della Navoz Zhorin ha dichiarato oggi che la Russia lancerà un’offensiva su Kharkiv e poi lancerà immediatamente un’offensiva più ampia nel sud

Un altro marine ucraino con un popolare account Twitter è d’accordo :

Leggi attentamente la parte evidenziata: “semplicemente non abbiamo abbastanza brigate per manovrare e reagire”.

Questo riassume i potenziali piani della Russia. Introducendo una grande forza in una nuova direzione possono davvero sbilanciare le AFU. Tuttavia, ci sono anche buone probabilità che la Russia stia semplicemente giocando con la possibilità di introdurre le forze del nord proprio per il motivo di tenere l’Ucraina nel dubbio e nell’impossibilità di schierare completamente le riserve nel Donbass, poiché devono essere in attesa di essere schierate a Kharkov. Solo mantenendo una grande forza al confine settentrionale, la Russia può tenere sotto controllo l’Ucraina critica.

Come viene accolta questa notizia negli ambienti occidentali?

Sfortunatamente, l’amministratore di Biden non sembra essere interessato perché ora ha ammesso che, dopo aver adempiuto alla sua “responsabilità” di gettare un osso all’Ucraina, Biden ora intende spostare completamente l’attenzione su cose più importanti, come concentrarsi sulle elezioni:

Infine, Medvedev ha condiviso sul suo account Telegram i suoi pensieri sull’imminente cosiddetta conferenza di pace svizzera:

Qual è il vantaggio per la Russia dalla “conferenza di pace” svizzera?

Il vantaggio è triplo.

In primo luogo, sarà un’altra prova del crollo del cosiddetto piano di pace dell’idiota Zelenskyj. Allo stesso tempo, sarebbe auspicabile che il bastardo di Bandera la visitasse di persona e confermasse ancora una volta la sua inutilità intellettuale.

In secondo luogo, diventerà la prova visibile della totale impotenza delle attuali élite occidentali, che hanno commesso una dolorosa autocastrazione delle proprie capacità per porre fine al conflitto militare. Inoltre, su ordine diretto di un gruppo di medici senili di Washington.

In terzo luogo, consentirà alle nostre Forze Armate di continuare a ripulire il territorio della Piccola Russia dai neonazisti senza interferenze o riguardo per le stronzate “iniziative di pace” di qualcuno, e a tutti noi di svolgere un lavoro scrupoloso verso il crollo finale del regime politico b. . L’Ucraina e il rapido ritorno dei nostri territori ancestrali alla Federazione Russa.

Grazie, paese del formaggio e degli orologi!

Schermata di diversione delle truppe NATO

Considerati i continui sviluppi di cui sopra, ancora una volta siamo colpiti dalla minaccia dello spiegamento di truppe NATO:

Nell’ultimo articolo dell’Economist, Macron riaccende ancora una volta le vanterie spinte dalla spavalderia nell’inviare truppe:

Molti sono rimasti ancora una volta “scioccati” quando Macron ha sostanzialmente affermato che se la Russia riuscisse a sfondare in Ucraina e l’Ucraina richiedesse aiuti, allora la Francia prenderebbe in considerazione l’invio di truppe. Ma in realtà sta semplicemente ripetendo la stessa cosa che ha già detto in precedenza, sperando di suscitare i titoli dei giornali e mantenere la sua immagine di “uomo forte d’Europa”.

Il deputato ucraino della Rada Goncharenko, tuttavia, ha colto l’occasione e ha rafforzato il gioco affermando che l’Ucraina potrebbe effettivamente invitare truppe europee in un simile scenario:

“Se la situazione al fronte ci mostra che l’Ucraina non può fermare Putin da sola, senza il sostegno militare e le truppe europee, sì, credo che sia assolutamente possibile che possiamo chiedere truppe…”, ha detto il politico.

In mezzo a tutto questo, il quotidiano italiano Repubblica ha fatto scalpore apprendendo delle due linee rosse che avrebbero portato un intervento diretto della NATO nella guerra.

L’articolo stesso è protetto da paywall anche se puoi leggere i commenti su di esso da Forbes.ru tra gli altri :

La NATO, sullo sfondo della preoccupazione occidentale per i fallimenti delle forze armate ucraine al fronte, “in forma molto confidenziale”, “ha stabilito” per sé due “linee rosse”, che potrebbero essere seguite da un intervento diretto dell’alleanza nel conflitto, scrive il quotidiano italiano Repubblica.

La prima “linea rossa”, sostiene Repubblica, “ruota attorno alla possibilità di penetrazione russa attraverso le linee di difesa di Kiev” e riguarda il “coinvolgimento diretto o indiretto di terzi” nel conflitto in Ucraina. La pubblicazione scrive che le forze armate ucraine “non possono più controllare completamente” il confine, il che, secondo il giornale, crea le condizioni affinché le forze armate russe possano sfondare nel corridoio tra Ucraina e Bielorussia. Come suggerisce il giornale, “allora Minsk sarà direttamente coinvolta nella disputa militare” e “le sue truppe e il suo arsenale saranno di importanza decisiva per Mosca”. “E questa circostanza non può che rafforzare la difesa (della NATO) a favore dell’Ucraina”, si legge nell’articolo.

La seconda “linea rossa”, scrive il giornale, “implica una provocazione militare contro i paesi baltici o la Polonia o un attacco mirato alla Moldavia”. Repubblica rileva inoltre la profonda preoccupazione delle autorità occidentali per la situazione al fronte e le “condizioni sfavorevoli” per Kiev.

Ciò è estremamente interessante perché, come sempre, esprime le intenzioni provocatorie della NATO. La prima linea rossa non è chiara, ma si riferisce ad una svolta russa forse attraverso la Bielorussia, che equivarrebbe al coinvolgimento della Bielorussia nella guerra. In termini più fini, questo sembra solo un modo indiretto per dire: “Se la Russia minaccia Kiev”.

Perché? Perché le forze russe che potenzialmente mirano a circondare Kharkov non hanno bisogno del territorio bielorusso. Solo per prendere Kiev avrebbero bisogno di venire dalla Bielorussia, quindi leggendo tra le righe, significa che la NATO sta tranquillamente lasciando intendere che interverrebbero solo per salvare Kiev.

La seconda linea rossa è più preoccupante: una provocazione sulla Moldavia, sulla Polonia o sui Paesi Baltici è un’area facile per la NATO per creare false flag per incolpare la Russia ed entrare nel conflitto. Basta far esplodere qualcosa con un missile e affermare che è stata la Russia. Oppure potrebbero ovviamente spingere i paesi baltici a indurre la Russia ad agire, proprio come hanno cominciato a fluttuare nella saga dei treni di Kaliningrad qualche tempo fa.

Come scrive il canale Legitimny:

Questo è il motivo per cui l’ex segretario del Consiglio di sicurezza nazionale dell’Ucraina Danilov è stato inviato in Moldavia ora, e il telegramma moldavo comunica all’interno un certo disaccordo tra Sandu e Zelenskyj, secondo i tempi dello scongelamento del conflitto nella PMR, dove Maya lo respinge per il 2025 e Zelenskyj ha bisogno di lui nell’autunno del 2024.

Gli italiani affermano che “100.000 soldati della NATO” potrebbero prendere parte a un simile intervento; non proprio contro il nuovo secondo esercito russo da 500.000 uomini, ma certamente abbastanza per bloccare almeno un particolare corridoio.

Alla fine, però, la maggior parte di questo è solo un atteggiamento. Il gioco è stato ancora una volta svelato dallo stesso Macron nella precedente intervista, e anche da altri. Macron ha detto:

Ciò che volevo riaprire anche il 26 febbraio era questa famosa ambiguità strategica, che dovrebbe convincere Putin che siamo determinati e che dovrà contare sulla nostra determinazione.

Ed ecco il ministro degli Esteri polacco Sikorsky che sottolinea ancora una volta il fatto che questa provocazione europea coordinata è intesa semplicemente come una cortina di fumo per “tenere la Russia nel dubbio” tramite “ambiguità strategica”:

Anche la foglia di fico dell’F-16 viene utilizzata in questo gioco di ambiguità per ampliare i confini della Russia e testarne i limiti. Probabilmente cercheranno deliberatamente di creare una cortina fumogena dove gli F-16 potranno eventualmente essere stazionati o da dove arriveranno per dare l’impressione che la NATO possa essere coinvolta al fine di mantenere un senso di tensione che credono scoraggerà la Russia. Ma se si ascoltano le autorità russe e i siloviki, non sembrano molto spaventati.

Ad esempio, i commenti del colonnello della SVR, professore MGIMO Andrei Bezrukov sull’intervista di Macron sono assolutamente da ascoltare:

Il colonnello potrebbe avere ragione, poiché le prospettive non sembrano buone per Macron e il suo partito per le prossime elezioni del Parlamento europeo:

Macron LREM/ENS, Le Pen RN:

Come nota finale, ha fatto scalpore un nuovo articolo di Stephen Bryen, in cui afferma che la Francia ha già iniziato ufficialmente a schierare truppe in Ucraina:

Ne parlo solo perché sta circolando sui social media, ma per ora non ne vedo alcuna prova reale. Bryen non ci dice dove ha ricevuto queste informazioni, per quanto ho potuto vedere, ma ovviamente, se iniziassero a schierare truppe, potrebbe benissimo assomigliare a questo: un’iniezione silenziosa di unità per aiutare nelle retrovie delle zone più critiche fronti. Quindi possiamo stare attenti alle possibilità, ma in questo caso non ci sono ancora prove a sostegno di queste nuove affermazioni.

Ma tieni presente che credo che le truppe francesi siano comunque già da tempo in Ucraina. Alcuni potrebbero ricordare che già durante la battaglia di Mariupol le forze russe continuavano a trovare berretti e spille militari francesi tra i rottami. Ecco un residente recente della liberata Avdeevka che dice di aver visto le truppe francesi sparare sui civili (nota: il 1923 dovrebbe essere il 2023):

Georgy Nekrasov, residente ad Avdeevka , ha detto che nel 2023, i carri armati francesi sotto il controllo di equipaggi francesi dalle posizioni delle forze armate ucraine hanno bombardato le aree pacifiche di Avdeevka.

Considerato quanto è dettagliato il suo resoconto e la sua buona memoria, penso che sia una fonte abbastanza affidabile e credibile.

Alla fine non si tratta di inviare truppe, che probabilmente sono già state sul posto, ma di inviarle ufficialmente e in gran numero.

Inoltre, ecco il colonnello svizzero di stato maggiore e vice capo di stato maggiore del capo di stato maggiore militare-strategico (MSS) delle forze armate svizzere, Alexander Vautraver: leggi la parte evidenziata di seguito:

L’esercito francese rappresenterebbe “una goccia nel mare” in termini di sostegno alle forze armate ucraine, afferma Alexander Vautraver, colonnello svizzero in pensione e redattore capo della Rivista militare svizzera (RMS+).

“Questa è una goccia nell’oceano, solo una piccola parte di ciò che serve. Bisogna porsi la domanda: l’esercito francese è sufficientemente attrezzato in termini di addestramento e di armi moderne per contribuire alle operazioni offensive contro un nemico numericamente superiore? ?” – ha detto l’ex militare al canale televisivo francese LCI.

“Le forze che potremmo schierare sono due brigate di 5-6mila soldati, con una durata di schieramento massima di 1-3 mesi. Ma se parliamo di un periodo più lungo, come, ovviamente, nel caso dell’Ucraina, si tratta solo di 2 battaglioni che oggi si trovano nei paesi baltici e in Romania. La cattiva notizia è che queste forze non sono assolutamente sufficienti per affrontare il mezzo milione di eserciti russi”, ha detto. Secondo Vautraver, queste forze, situate fuori dalla Francia, sono ora sotto il comando della NATO, il che è “ancora più problematico”.

Per concludere, ecco altri due video degni di nota realizzati da ufficiali militari di alto rango:

Il tenente colonnello in pensione dell’esercito americano Daniel Davis:

E l’ex generale dell’esercito francese Dominique Delavard:

Ora alcuni altri importanti oggetti vari, come vuole la tradizione.

Molte volte nei sacchi di posta mi è stato chiesto di commentare lo stato dei veterani disabili ucraini. Ora, un nuovo articolo di Le Monde tratta l’argomento in modo piuttosto cupo:

Nel documento si legge che il 70% degli ucraini disabili è costretto a badare a se stesso, poiché lo Stato ha “rinunciato a loro”.

A questo si aggiungono le nuove procedure di mobilitazione che permettono ai malati e persino agli incapaci mentali di essere richiamati da Zelensky:

Ho trattato a lungo il tema della disparità dei prigionieri tra l’Ucraina e la Russia, che è un ovvio analogo al rapporto generale delle vittime. Rezident UA ora fornisce la sua opinione sui numeri:

#Inside
La nostra fonte presso l’OP ha affermato che il processo di scambio di prigionieri è in fase di stallo a causa dell’avvicinamento alle liste. Ora in Russia ci sono più di 20mila prigionieri del personale militare, e abbiamo solo 800 e quasi 5000mila separatisti, che stiamo cercando di scambiare allo stesso modo.

Secondo loro, l’Ucraina detiene 800 prigionieri di guerra russi e 5.000 novorossiiani, mentre la Russia ne detiene oltre 20.000 ucraini, il che si rifletterebbe allo stesso modo nel rapporto generale delle vittime tra i due.

Josep Borrell ribadisce ancora una volta che l’Ucraina si arrenderebbe entro 2 settimane senza aiuti:

Dopo le notizie dell’ultima volta secondo cui i carri armati Abrams erano stati ritirati dal campo di battaglia, la 47a brigata ucraina ha smentito con veemenza e ha detto che non sono andati da nessuna parte. Come se volessero cancellare la vergogna, hanno dato spettacolo, rischiando ancora una volta gli Abrams in difesa delle aree a ovest di Avdeevka, il che ha portato alla distruzione di due nuovi Abrams oggi, oltre a un altro Bradley. Secondo quanto riferito, questo porta a 6-8 gli Abrams distrutti finora, secondo la maggior parte dei calcoli:

Infine, come nuovo aggiornamento sulla situazione Bentley:

L’avvocato della vedova dell’assassinato “Texas” ha detto che gli assassini di Russell Bentley sono stati arrestati e stanno confessando. Il caso è sotto il controllo del comitato investigativo della Federazione Russa.

Di seguito l’avvocato spiega che Mosca avrebbe attribuito grande importanza al caso con un investigatore speciale e che tutto sta andando di conseguenza:

E Lyudmila offre alcune riflessioni per l’occasione religiosa:

POLL
Will NATO really dare send troops to save Ukraine?
No, they’re bluffing.
Yes, they’re that desperate.

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Sudafrica: “Di fronte alla decomposizione del Paese, dovremo presto decidere di restituire la guida ai boeri”!_di Bernard Lugan

Sudafrica: “Di fronte alla decomposizione del Paese, dovremo presto decidere di restituire la guida ai boeri”!
Questo commento disilluso e iconoclasta è stato fatto da un giornalista nero sudafricano. Illustra lo sfacelo di un Paese in cui vengono commessi più di 70 omicidi al giorno, in cui la disoccupazione colpisce circa il 40% della popolazione attiva, in cui il reddito della fascia più povera della popolazione è inferiore di quasi il 50% rispetto al regime bianco precedente al 1994 e in cui più di un terzo della popolazione sopravvive esclusivamente grazie al welfare. Come potrebbe essere altrimenti nel “nuovo Sudafrica”, che è caduto preda del partito-stato ANC, i cui leader, troppo spesso tanto incompetenti quanto corrotti, sembrano non avere altro obiettivo che il proprio arricchimento? Un partito-stato che rischierà molto nelle elezioni del 29 maggio, perché non avrà più l’alibi dell’eredità cosiddetta “negativa” dell’apartheid per scagionarsi dalla sua incapacità predatoria. Infatti, nel 1994, quando il presidente De Klerk portò al potere Nelson Mandela, un Nelson Mandela incapace di prendere il potere con la forza [1], lasciò in eredità all’ANC la più grande economia del continente, un Paese con infrastrutture di comunicazione e di trasporto al pari dei Paesi sviluppati, un settore finanziario moderno e prospero, un’ampia indipendenza energetica, un’industria diversificata, capacità tecniche di alto livello e il più grande esercito africano. Ventotto anni dopo, intrappolati nella rete delle loro stesse bugie, prevaricazioni e inadeguatezze, i leader dell’ANC non sono più credibili quando continuano ad accusare il “regime dell’apartheid” nel tentativo di cancellare le loro colossali responsabilità per l’impressionante bancarotta di cui sono gli unici responsabili. Il tutto in un contesto di aspre lotte all’interno della stessa ANC tra i sostenitori di Cyril Ramaphosa, attuale Presidente della Repubblica, e l’ex Presidente Zulu Jacob Zuma, costretto alle dimissioni nel 2018 a causa di scandali di corruzione. Jacob Zuma è diventato la figura centrale di un nuovo partito, Umkhonto we Sizwe (MK), creato per ostacolare l’ANC nelle elezioni del 29 maggio, dal nome del braccio armato dell’ANC che ha guidato la lotta contro il regime bianco prima del 1994.
Le prossime elezioni nazionali sudafricane, che si terranno il 29 maggio 2024, segneranno il trentesimo anniversario della fine della dominazione bianca e dell’inizio di quella nera. Tuttavia, dopo il trionfo di Nelson Mandela, l’orizzonte si è offuscato per l’ANC, che secondo i sondaggi potrebbe perdere la maggioranza per la prima volta da quando è stata portata al potere da Frederik De Klerk. Dal 1994, l’ANC ha vinto tutte le elezioni nazionali, ma il suo sostegno si è gradualmente eroso negli ultimi 20 anni. Nelle elezioni locali del 2021, l’ANC è addirittura scesa sotto la soglia del 50%. Va detto che in tre decenni di potere assoluto, l’ANC ha metodicamente dilapidato l’immensa eredità lasciata dal regime bianco, trasformando gradualmente il prospero Sudafrica in uno Stato del “Terzo Mondo” alla deriva in un mare di penuria, corruzione, miseria sociale e violenza. Un guscio vuoto che ha perso ogni significato ideologico e politico, sopravvivendo solo come macchina elettorale per distribuire seggi in parlamento ai suoi membri, l’ANC è con le spalle al muro. Il momento della verità si avvicina inesorabilmente, poiché le masse nere, totalmente impoverite, formano un blocco sempre più esplosivo. Se dovesse perdere la maggioranza, l’ANC dovrebbe formare una coalizione politica per rimanere al potere[1]. Per la cronaca, alle elezioni politiche i sudafricani votano per un partito e non per un candidato alla presidenza. A seconda dei risultati, ai partiti vengono assegnati i seggi in Parlamento, che sono 400, e sono i deputati a eleggere il Presidente. Della Repubblica. Durante le elezioni, i sudafricani voteranno anche per la composizione delle assemblee legislative provinciali nelle nove province del Paese.

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IL NEMICO E L’ANTIFASCISMO, di Teodoro Klitsche de la Grange

IL NEMICO E L’ANTIFASCISMO

Il richiamo alla liturgia antifascista che trova la usuale e puntuale recrudescenza tra il 25 aprile e il 1° maggio presenta un pericolo che quasi nessuno ha sottolineato, e di cui forse, molti tra gli stessi officianti non hanno consapevolezza. Non è mettere le effigi dei nuovi governanti a testa in giù, non è il richiamo ai valori dell’antifascismo e della Costituzione, peraltro condivisi in gran parte anche dagli a-fascisti e perfino dai (pochi) fascisti DOC in circolazione. No, il pericolo è un altro, immanente e presente in ogni situazione politica.

Scriveva Machiavelli che in politica chi va dietro all’immaginazione e non alla realtà, va in cerca di guai e non della “propria preservazione”. La frase del Segretario fiorentino è l’espressione sintetica e concisa del realismo politico. Può essere declinata in tanti modi, tutti accomunati dalla priorità di considerare, per l’esistenza e l’azione politica, in primo luogo, i fatti, assai più che le parole che gli attori politici enunciano o si scambiano.

Ma tra le declinazioni più importanti, anzi quella decisiva è di individuare il nemico reale. Perché il nemico è essenziale perché l’attività sia politica e capire chi sia, costituisce interesse primario per l’esistenza della comunità. Scrive Carl Schmitt nel “Concetto di politico” che “Pensiero politico ed istinto politico si misurano perciò, sul piano teoretico come su quello pratico, in base alla capacità di distinguere amico e nemico. I punti più alti della grande politica sono anche i momenti in cui il nemico viene visto, con concreta chiarezza, come nemico. Ma il discorso vale anche in senso inverso: dovunque nella storia politica, di politica estera come di politica interna, l’incapacità o la non volontà di compiere questa distinzione appare come sintomo della fine politica”.

E in effetti ciò che manca all’antifascismo come all’anticomunismo, è un nemico reale. Ossia qualcuno che attenti o possa attentare all’esistenza ed all’azione della comunità politica. Ma possono fascisti e comunisti (residui) farlo? Il fascismo storico è finito per debellatio quasi ottant’anni orsono, il comunismo da oltre trenta, per implosione.

Né il Reich né l’Unione sovietica esistono, e non esistendo, non possono arrecare danni. Non sono nemici reali. Certo possono essere nemici ideali, ma senza Panzerdivisionen e bombe atomiche non possono nuocere.

Tuttavia, proprio per quella insopprimibilità del nemico e del conflitto, il nemico anche se non fascista né comunista, esiste e non deve per farlo chiedere il permesso delle anime belle. Ma sicuramente ha l’interesse di non farsi riconoscere come tale, che è il primo espediente  “della volpe” per occultarsi, e così diminuire o eliminare le difese delle prede designate.

All’uopo è assai utile sfruttare  i vecchi sentimenti d’ostilità verso i nemici d’Antan, ormai immaginari.

Così l’antifascismo e l’anticomunismo facilitano il compito di chi, attualmente e concretamente squilibria a proprio favore e a danno della nazione il rapporto di potenza. E così, del pari, il modo d’esistenza comunitario che è la Costituzione reale di un popolo. Verso il quale, avrebbe scritto Machiavelli vanno costruiti degli argini. Inutili per i nemici dei libri di storia.

Teodoro Klitsche de la Grange

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L’Occidente ha semplicemente fatto spallucce mentre i rivoltosi tentavano di assaltare il Parlamento georgiano in un J6 Redux, di ANDREW KORYBKO

L’Occidente ha semplicemente fatto spallucce mentre i rivoltosi tentavano di assaltare il Parlamento georgiano in un J6 Redux

L’agenda geopolitica più ampia in gioco è quella di sostituire il governo georgiano con fantocci occidentali per facilitare la logistica militare della NATO verso la vicina Armenia, priva di sbocchi sul mare, che il blocco prevede di trasformare nel suo nuovo bastione regionale per dividere e governare il Caucaso meridionale.

I servizi di sicurezza georgiani hannosventato un tentativo di assalto al parlamento da parte dei rivoltosi mercoledì, in risposta all’imminente legge sugli agenti stranieri del Paese, modellata su quella statunitense, ma che i media occidentali hanno definito di “ispirazione russa”. Questo J6 redux è stato accolto con un’alzata di spalle da Stati Uniti e Unione Europea, in un tacito segno di sostegno alle manifestazioni sempre più violente dei manifestanti. Ecco alcune informazioni di base su questa Rivoluzione Colorata per aggiornare tutti su questo tema:

* 8 marzo 2023: “LaGeorgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un ‘secondo fronte’ contro la Russia“.

* 9 marzo 2023: “Ilritiro da parte della Georgia della legge sugli agenti stranieri ispirata dagli Stati Uniti non porrà fine alle pressioni occidentali“.

* 11 March 2023: “Russia Called The US Out For Double Standards Towards Georgia-Moldova & Bosnia-Serbia

* 3 July 2023: “Georgia’s Ruling Party Chairman Discredited The ‘False Flag Coup’ Conspiracy Theory

* 4 October 2023: “Armenia’s Impending Defection From The CSTO Places Georgia Back In The US’ Crosshairs

In sostanza, il tentativo di cambio di regime dell’Occidente contro il governo georgiano è guidato dall’odio del primo verso l’approccio equilibrato del secondo nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina. Il rifiuto di Tbilisi di imporre sanzioni contro Mosca, che schiaccerebbero la sua stessa economia, viene interpretato come una presunta prova che la sua leadership prende ordini dal Cremlino. Idem per la legge sugli agenti stranieri di ispirazione americana, che ha il solo scopo di informare la popolazione su chi finanzia quali prodotti informativi.

L’agenda geopolitica più ampia in gioco è quella di sostituire il governo georgiano con fantocci occidentali per facilitare la logistica militare della NATO verso la vicina Armenia, priva di sbocchi sul mare, che il blocco prevede di trasformare nel suo nuovo bastione regionale per dividere e governare il Caucaso meridionale. L‘incapacità di rovesciare il partito georgiano al potere ha indotto il leader armeno ad avere paura e ad avviare finalmente la delimitazione del confine del suo Paese con l’Azerbaigian, che, se completata con successo, ostacolerà i piani della NATO.

Ecco il motivo per cui l’Occidente ha rilanciato la sua Rivoluzione Colorata contro la Georgia in questo preciso momento, non solo perché la sua legge sugli agenti stranieri dovrebbe entrare in vigore entro questo mese, ma anche per segnalare all’Armenia che dovrebbe congelare le trattative sui confini, dato che gli aiuti della NATO potrebbero essere in arrivo. Questo tempestivo pretesto legale viene quindi sfruttato a fini geopolitici, anche se non è chiaro se riuscirà a far cadere il governo georgiano e/o a influenzare i negoziati in corso tra Armenia e Azerbaigian.

Gli ultimi disordini a Tbilisi sono stati preceduti dalla presentazione da parte del Congresso della “Legge di revisione delle sanzioni all’Azerbaigian“, un ulteriore segnale all’Armenia di resistere fino all’arrivo degli aiuti della NATO. In poche parole, quello che sta avvenendo è il riorientamento geostrategico della regione lontano dall’egemonia occidentale, accelerato dall’avvio da parte dell’Armenia dei colloqui di confine con l’Azerbaigian, a lungo rimandati. Se la NATO non riuscirà a “strappare” l’Armenia alla CSTO, la sua intera politica regionale crollerà.

Gli evidenti due pesi e due misure mostrati per quanto riguarda le false affermazioni dell’Azerbaigian sulla “pulizia etnica” degli armeni dalle regioni occidentali precedentemente occupate e la scrollata di spalle di fronte all’ultimo J6 redux della Georgia sono la prova delle ulteriori motivazioni geopolitiche dell’Occidente nella regione. L’obiettivo è quello di “estromettere” l’Armenia dalla CSTO parallelamente al rovesciamento del governo georgiano, anche se gli ultimi sviluppi suggeriscono che questo obiettivo sarà molto più difficile da raggiungere di quanto l’Occidente si aspettasse.

Non c’è modo che la Russia possa fare una differenza positiva con la Cina, anche se lo volesse, né che rischi la Terza Guerra Mondiale per un’isola dall’altra parte dell’Eurasia, tanto meno dopo che la Cina ha rifiutato di aiutarla a battere la NATO in Ucraina.

Direttore della National Intelligence Avril Haines ha dichiarato al Congresso la scorsa settimana che “vediamo Cina e Russia, per la prima volta, esercitarsi insieme in relazione a Taiwan e riconoscere che questo è un luogo in cui la Cina vuole assolutamente che la Russia lavori con loro, e non vediamo alcun motivo per cui non dovrebbero farlo”.” Questa è una bugia bella e buona per diverse ragioni che verranno toccate in questo pezzo, prima fra tutte il fatto che la Russia farebbe fatica ad assistere la Cina in qualsiasi operazione di riunificazione forzata con quell’isola anche se lo volesse.

proxy guerra in Ucraina, che è di interesse integrale per la sicurezza nazionale, quindi è improbabile che rischi per Taiwan.

In secondo luogo, anche nella fantasia politica che la Russia decida di rischiare la Terza Guerra Mondiale per un’isola a metà del supercontinente che una nazione vicina rivendica come propria, semplicemente non ha le capacità convenzionali in quel teatro per fare una differenza positiva dalla parte della Cina. A meno che non decida di lanciare un primo attacco nucleare, cosa che è contraria alla sua dottrina poiché nessuno dei criteri sarebbe soddisfatto, il numero di forze che potrebbe impegnare in quella campagna impallidirebbe rispetto a quello di tutti gli altri.

La Cina ha già la più grande marina militare del mondo per stessa ammissione degli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti stessi hanno un numero considerevole di forze aeree, terrestri e marittime in Giappone, Corea del Sud e, sempre più spesso, nella vicina Philippines. La sua crescente militarizzazione della “prima catena di isole” rappresenta la stringendo un cappio di contenimento intorno alla Cina che non sarà spezzato da alcune navi, aerei e sottomarini russi come è stato spiegato in precedenza. È inimmaginabile che la Russia rischi la morte quasi certa dei suoi equipaggi solo per dare un segnale di sostegno alla Cina.

E infine, sarebbe una decisione estremamente sbilenca farlo in ogni caso dopo che la Cina non ha fatto nulla di significativo per aiutare la Russia a raggiungere i suoi obiettivi militari nell’operazione speciale. Il mese scorso è stato spiegato che “Il presunto aiuto militare cinese & Intelligence Aid to Russia Isn’t What Bloomberg Does It Out To Be“, e sia il sito vietato ai russi Insider e il sito Washington Post in precedenza ha affermato che Taiwan è in realtà la principale fonte di macchine utensili della Russia al giorno d’oggi, non la Cina.

Inoltre, si può sostenere che i grandi interessi strategici della Russia riposano cinicamente nel fronte sino-statunitense del Nuova guerra fredda che continua ad accendersi, ma che rimane al di sotto della soglia di una guerra calda, che contribuirebbe ad allontanare gradualmente l’attenzione dell’America dall’Europa e a riportarla verso l’Asia-Pacifico. Allo stesso modo, la Cina si riposa cinicamente sul fatto che il fronte russo della NATO continui ad accendersi ma rimanga al di sotto della soglia di una guerra calda, spiegando così perché Pechino non aiuterà in modo significativo Mosca a vincere.

giustificare una maggiore spesa per la Marina americana.

Tutto il clamore mediatico sulle ragioni per cui ciò è accaduto (es: “influenza russa”) e le conseguenze previste (es: “un’impennata del terrorismo”) distrae dal fatto che ciò era del tutto evitabile e si è verificato solo perché gli Stati Uniti hanno inesplicitamente mancato di rispetto al Niger. nonostante abbia perso la sua influenza su di esso la scorsa estate.

Reuters ha citato un anonimo funzionario statunitense per riferire giovedì che le truppe russe hanno sede nella stessa struttura militare nigerina di quelle americane, cosa che il segretario alla Difesa Austin ha successivamente confermato. Altri organi di informazione hanno riferito la stessa cosa citando le proprie fonti, e non è chiaro se la stessa persona abbia parlato anche con loro. In ogni caso, ciò che è più interessante nel loro rapporto è il resto di ciò che hanno detto che è stato rivelato loro riguardo al contesto più ampio all’interno del quale si sta verificando quest’ultimo sviluppo.

Secondo loro, “la mossa del Niger di chiedere il ritiro delle truppe statunitensi è arrivata dopo un incontro a Niamey a metà marzo, quando alti funzionari statunitensi hanno espresso preoccupazioni tra cui il previsto arrivo delle forze russe e rapporti secondo cui l’Iran cercava materie prime nel paese, compreso l’uranio. Sebbene il messaggio degli Stati Uniti ai funzionari nigerini non fosse un ultimatum, ha detto il funzionario, è stato chiarito che le forze statunitensi non potevano trovarsi in una base con le forze russe. “Non l’hanno presa bene”, ha detto il funzionario.”

In altre parole, la delegazione militare americana ha detto con arroganza ai suoi ospiti che non vogliono le truppe russe nelle immediate vicinanze delle loro, cosa che li ha spinti a chiederne successivamente il ritiro. Il Niger voleva ridurre i costi e il tempo necessari per ricevere i consiglieri russi , ecco perché ha cercato di sistemarli in un hangar separato nella stessa struttura delle truppe statunitensi fuori dalla capitale invece di costruire una nuova base. Questa mossa pragmatica rientrava nei diritti sovrani del Niger in quanto Stato riconosciuto dalle Nazioni Unite.

L’America, tuttavia, la pensava diversamente, anche se aveva già perso la sua influenza negoziale con quel paese dopo il colpo di stato militare patriottico della scorsa estate. Inoltre, gli Stati Uniti avevano iniziato a spostare alcune delle loro truppe dalla base fuori dalla capitale a quella da 100 milioni di dollari che avevano precedentemente costruito nel profondo del deserto del Sahara, e in teoria avrebbero potuto semplicemente trasferirsi lì per intero. Invece i suoi rappresentanti hanno chiesto che i russi non venissero ospitati in quelle vicinanze, il che è stato un errore.

Nessuno Stato che si rispetti, per non parlare di uno il cui nuovo governo è salito al potere attraverso un colpo di stato militare patriottico con il preciso scopo di riequilibrare le relazioni precedentemente sbilanciate con l’Occidente, si adeguerebbe a questa audace richiesta. Il Niger voleva mantenere la sua presenza militare americana, molto probabilmente per evitare di essere preso di mira da un ibrido franco- americano La campagna di guerra cacciò entrambe le truppe dal paese, ma fu costretto a chiedere il loro ritiro per “salvare la faccia” dopo che ciò accadde.

Tutto il clamore mediatico sulle ragioni per cui ciò è accaduto (es: “influenza russa”) e le conseguenze previste (es: “un’impennata del terrorismo”) distrae dal fatto che ciò era del tutto evitabile e si è verificato solo perché gli Stati Uniti hanno inesplicitamente mancato di rispetto al Niger. pur avendo perso la sua influenza. Se i suoi rappresentanti si fossero comportati rispettosamente, alle truppe del loro paese probabilmente non sarebbe mai stato chiesto di andarsene, ma hanno ampiamente oltrepassato i loro confini e hanno reso questo risultato inevitabile.

Reuters non si rendeva conto dell’enormità di ciò che la sua fonte anonima aveva detto loro, altrimenti la decisione editoriale avrebbe potuto essere presa per cancellare quella parte dal loro rapporto. È imbarazzante che gli Stati Uniti non abbiano imparato nulla sul Sud del mondo negli ultimi due anni, da quando quell’insieme di paesi è diventato un obiettivo prioritario per l’Occidente. Le precedenti aspettative di un ritrovato pragmatismo furono screditate in un istante da questa candida ammissione e la percezione dei suoi politici di conseguenza peggiorò.

La denigrazione dell’India da parte di Biden come “xenofoba” sulla base di pretesti economici di fatto falsi ha rappresentato un nuovo minimo anche per lui e mostra fino a che punto arriveranno ora gli Stati Uniti nella loro nuova crociata contro la reputazione internazionale di quel paese.

Biden ha alzato le sopracciglia all’inizio di questa settimana quando ha criticato i partner americani, Giappone e India, definendoli “xenofobi” per non aver importato milioni di immigrati come i 7,2 milioni di clandestini che ha importato finora negli ultimi tre anni. Nelle sue parole : “Perché la Cina è in così grave stallo economico? Perché il Giappone è in difficoltà? Perché la Russia? Perché l’India? Perché sono xenofobi. Non vogliono gli immigrati”. Non esiste alcuna base economica fattuale per ciò che ha appena scandalosamente affermato.

Il tasso di crescita recentemente ridotto della Cina è attribuibile al suo passaggio sistemico da un’economia in via di sviluppo a un’economia sviluppata, i problemi del Giappone sono dovuti ai suoi problemi valutari , mentre le difficoltà incipienti della Russia – nonostante la sua notevole resilienza dal 2022 – sono legate alle sanzioni contro le industrie strategiche. L’immigrazione non c’entra niente con tutto questo. Inoltre, è palesemente falso raggruppare l’India tra questi tre, dal momento che la sua economia sta crescendo a passi da gigante, come dimostrano indiscutibilmente queste cinque notizie:

* 3 settembre 2022: “ L’India supera il Regno Unito diventando la quinta economia più grande del mondo ”

* 24 agosto 2023: “ L’India registrerà il tasso di crescita più alto tra le prime 5 economie globali nel prossimo futuro: il segretario alle Finanze TV Somanathan ”

* 5 dicembre 2023: “ L’India diventerà la terza economia mondiale – S&P ”

* 1 marzo 2024: “ L’India è “facilmente” l’economia in più rapida crescita, afferma il direttore esecutivo del FMI, poiché la crescita del PIL supera le stime ”

* 24 aprile 2024: “ La popolazione giovane dell’India genererà il 30% della ricchezza globale – capo della borsa ”

L’India è anche il paese più popoloso del mondo e non presenta carenza di manodopera, ecco perché non c’è bisogno di importare immigrati. In effetti, il BJP al potere ha fatto della repressione degli immigrati clandestini una parte importante della sua agenda interna, anche se per questo è stato bollato come “xenofobo” dai liberal-globalisti occidentali così come dai loro compagni di viaggio nel mondo accademico e nei media indiani. Come dimostrato dalle notizie sopra riportate, questa politica non ha avuto assolutamente alcun impatto negativo sulla crescita economica.

Con questo in mente, l’affermazione di Biden si rivela di fatto falsa e guidata da secondi fini, in particolare per screditare il primo ministro Narendra Modi mentre le relazioni bilaterali continuano a peggiorare. In breve, il rifiuto dell’India di subordinarsi agli Stati Uniti come partner minore del paese sta guidando questa tendenza, che ha preso la forma di una feroce campagna di guerra dell’informazione che si è intensificata dalla fine di novembre. Le seguenti analisi metteranno al corrente i lettori ignari se sono interessati a saperne di più:

* 23 novembre 2023: “ La luna di miele dell’India con l’Occidente potrebbe finalmente finire ”

* 28 marzo 2024: “ L’India non permetterà alla Germania, agli Stati Uniti o a nessun altro di immischiarsi nei suoi affari interni ”

* 8 aprile 2024: “ Gli esperti americani non ammetteranno che il loro Paese è responsabile dei fragili legami indo-americani ”

* 29 aprile 2024: “ Gli evangelici americani stanno tessendo la recinzione al confine tra India e Myanmar in quanto anticristiano ”

* 2 maggio 2024: ” L’articolo WaPo sull’assassinio degli indiani è un colpo di fortuna da parte delle agenzie di intelligence americane ”

Accomunare l’economia indiana a quella cinese, giapponese e russa non era solo falso nei fatti, ma voleva anche essere offensivo. L’India è in una feroce competizione multidimensionale con la Cina e quindi si offende per essere paragonata al suo vicino in qualsiasi modo, per non parlare di quello negativo. Per quanto riguarda il Giappone, l’India è contraria all’insinuazione che la sua traiettoria di crescita sia sul punto di arrestarsi come è successo a quella nazione insulare, mentre il paragone russo allude minacciosamente all’imminente status di paria in Occidente.

La retorica ostile di Biden contro l’India ha rappresentato un nuovo minimo anche per lui e mostra fino a che punto arriveranno gli Stati Uniti nella loro nuova crociata contro la reputazione internazionale di quel paese. La rapida ascesa dell’India come polo di influenza indipendente nell’ordine mondiale in evoluzione accelera il declino dell’egemonia americana, spiegando così perché gli Stati Uniti sono così ossessionati dal punirlo per aver rifiutato di diventare un vassallo. Dopo quest’ultimo sviluppo, non si può dire quali altre bugie gli Stati Uniti potrebbero presto diffondere sull’India.

Ciò rappresenta l’ultima fase delle tendenze centrifughe storiche all’interno di quella che la Polonia considera la sua “sfera di influenza etno-culturale”. Proprio come gli Slesiani emersero come un’identità separata dalle loro radici polacche condivise durante la dinastia Piast, così anche gli ucraini emersero come un’identità separata dalle loro radici russe condivise durante il periodo della Rus’ di Kiev.

Il Sejm ha appena approvato un disegno di legge che riconoscerà la Slesia come seconda lingua regionale della Polonia dopo il Kashubiano se il presidente Andrzej Duda lo approverà. Alcuni, tuttavia, insistono sul fatto che la Slesia sia solo un dialetto polacco formatosi dalla storia della regione al crocevia tra Polonia, Repubblica Ceca e Germania. Qualunque sia l’opinione su questo argomento, questa mossa dovrebbe stimolare una profonda riflessione da parte dei polacchi poiché il dibattito sulla lingua e l’identità della Slesia è simile al dibattito sulla lingua e l’identità ucraina.

Per spiegare, molti in Russia considerano gli ucraini un popolo fraterno a causa delle loro origini etno-linguistiche condivise dall’antica Rus’ di Kiev, gran parte della quale fu poi rilevata dalla Lituania e successivamente polonizzata una volta che il sistema politico medievale si unì al suo vicino occidentale. . Di conseguenza, la lingua e la cultura di questi discendenti della Rus’ di Kiev furono influenzate nel corso dei secoli durante i quali furono separati dai loro parenti orientali, determinando così alla fine la formazione dell’identità ucraina.

Allo stesso modo, mentre la maggior parte dei polacchi considera gli slesiani parte del proprio gruppo etnico, alcuni slesiani ritengono di appartenere a un gruppo etnico-linguistico distinto per ragioni storiche, anche se sono disinteressati al separatismo. Le influenze ceche e soprattutto tedesche hanno portato alla trasformazione della loro identità nel corso dei secoli al punto che ora vogliono ostentare la loro unicità proprio come fanno gli ucraini. Se i polacchi non hanno problemi con il fatto che gli ucraini facciano questo, allora non dovrebbero preoccuparsi che gli slesiani facciano lo stesso.

A differenza degli ucraini, però, gli slesiani non hanno precedenti di terrorismo contro lo Stato polacco. Anche la formazione della loro identità non ha raggiunto il livello in cui si agitano per ottenere uno stato. È improbabile che lo facciano nell’immediato futuro, dal momento che le condizioni geopolitiche a questo punto del loro sviluppo sono molto diverse da quelle degli ucraini nelle tre occasioni del secolo scorso in cui hanno cercato di raggiungere tale obiettivo (1917, 1941, 1991), ma alcuni temono che concedere loro lo status regionale linguistico potrebbe collocarli su quella strada.

Tuttavia, ciò che è innegabile è che l’identità della Slesia è un’identità composita simile nello spirito all’identità ucraina, tranne per il fatto che la prima è stata formata dall’interazione storica tra polacchi e russi mentre la seconda è stata formata dall’interazione tra polacchi, cechi e tedeschi. Entrambi sono organici ma sono stati sfruttati anche da altri per perseguire i propri obiettivi geopolitici, il primo dalla Polonia contro la Russia e il secondo dalla Germania contro la Polonia. Ciò però non scredita ciascuna delle loro esistenze.

Il motivo per cui i polacchi dovrebbero riflettere profondamente sull’approvazione della legge del Sejm che riconosce la Slesia come seconda lingua regionale del loro paese è perché questa rappresenta l’ultima fase delle tendenze centrifughe storiche all’interno di quella che la Polonia considera la sua “sfera di influenza etno-culturale”. Proprio come gli Slesiani emersero come un’identità separata dalle loro radici polacche condivise durante la dinastia Piast, così anche gli ucraini emersero come un’identità separata dalle loro radici russe condivise durante il periodo della Rus’ di Kiev.

Come accennato in precedenza, gli Slesiani non desiderano uno stato separato e sono orgogliosi di essere parte integrante della società polacca, quindi non c’è alcuna possibilità che la Polonia si “balcanizzi” secondo le linee dialettali in tempi brevi. Anche così, è comprensibile che alcuni polacchi patriottici si sentano sconvolti da questo simbolico disfacimento dell’identità del loro popolo attraverso il riconoscimento della Slesia come seconda lingua regionale della Polonia. Quelli con tali punti di vista ora potrebbero essere in grado di simpatizzare un po’ di più con la versione russa della storia ucraina

Divinizzare Israele e tutti gli ebrei criminalizzando potenzialmente qualsiasi critica nei loro confronti, non importa quanto legittima, come ad esempio le politiche del primo nei confronti dei palestinesi, e chiedersi se l’appartenenza sproporzionata del secondo all’amministrazione Biden influenzi le sue politiche, è antiamericano.

L’approvazione da parte della Camera dell’“ Antisemitism Awareness Act ” è uno sviluppo sorprendentemente antidemocratico. Il disegno di legge impone che il governo federale utilizzi la definizione di antisemitismo della “ International Holocaust Remembrance Alliance ”, che Matt Walsh del Daily Wire ha giustamente notato potrebbe potenzialmente criminalizzare le critiche rivolte a Israele. Il suo capo Ben Shapiro è uno dei più importanti sionisti americani, quindi sta letteralmente rischiando il suo sostentamento condannando questo audace attacco contro il Primo Emendamento.

Non c’è niente di “antisemita” nel descrivere il trattamento riservato da Israele ai palestinesi come razzista, né nel richiamare l’attenzione su come la formazione di quello Stato abbia portato alla pulizia etnica di molti arabi musulmani. Allo stesso modo, accusarlo di sfruttare l’Olocausto per vantaggi socio-politici non è antisemita. Lo stesso vale nel sottolineare il numero sproporzionato di ebrei nell’amministrazione Biden e nel chiedersi se ciò influenzi la politica della sua squadra nei confronti della regione.

Gli ebrei non sono gli unici bersagli del bigottismo nel mondo, e il loro genocidio durante la seconda guerra mondiale non li colloca in cima a una gerarchia immaginaria di vittimismo con tutti gli speciali privilegi che ciò comporta nella società. Lo Stato di Israele, fondato in loro nome come santuario per loro, non è al di sopra delle legittime critiche. Divinizzare esso e la sua gente è una scelta personale che non dovrebbe mai diventare un obbligo legale in America. Il fatto stesso che ciò potrebbe benissimo, tuttavia, alimentare inavvertitamente l’antisemitismo.

Dopotutto, criminalizzare potenzialmente le critiche a Israele e negare agli ebrei i privilegi speciali che alcuni di loro credono che la società debba loro concedere per sempre a seguito dell’Olocausto presta falso credito alle teorie del complotto secondo cui essi controllano il governo degli Stati Uniti. La suddetta speculazione viene però facilmente screditata osservando che Israele stesso non ha sanzionato la Russia né armato l’Ucraina, tra gli altri esempi come l’ appoggio di Biden all’appello di Schumer per un cambio di regime contro Bibi, eppure molti ci credono ancora.

Sarà molto difficile per i veri attivisti anti-fanatici discutere contro questa teoria del complotto se l’“Antisemitism Awareness Act” entrerà in legge. Coloro che la sfidano potrebbero anche diventare martiri della libertà di parola se vengono puniti, compresi i veri antisemiti che esprimono indiscutibili discorsi di odio contro gli ebrei, portando così ad alleanze empie tra i gruppi disparati contrari a questa legislazione. Quella coalizione potrebbe anche organizzare proteste a livello nazionale che potrebbero sfociare in rivolte sulla falsariga di quelle dell’estate 2020.

Inoltre, gli avversari stranieri dell’America potrebbero indicare l’“Antisemitism Awareness Act” come prova dei doppi standard del Paese nei confronti della libertà di parola, cosa che danneggerebbe i suoi interessi nazionali oggettivi ancor più di quanto abbiano già fatto i doppi standard esistenti verso una serie di altre questioni. Il pretesto per trasformare questo disegno di legge in legge è il campus proteste per la Palestina, ma il problema che molti hanno con loro è la loro tattica aggressiva, non il fatto di sfruttare la propria libertà di parola per gridare vari slogan.

Non importa quanto alcuni possano essere arrabbiati per ciò che dicono quegli studenti, non devono lasciare che le loro emozioni vengano manipolate per sostenere l’audace attacco del Congresso contro il Primo Emendamento. Divinizzare Israele e tutti gli ebrei criminalizzando potenzialmente qualsiasi critica nei loro confronti, non importa quanto legittima, come ad esempio le politiche del primo nei confronti dei palestinesi, e chiedersi se l’appartenenza sproporzionata del secondo all’amministrazione Biden influenzi le sue politiche, è antiamericano.

La Russia ha già sofferto gli effetti del fuorviante attivismo filo-palestinese orchestrato dall’estero alla fine di ottobre e dell’incitamento all’odio incoraggiato dagli stranieri all’interno della sua società dopo l’attacco al Crocus, quindi non li userà contro altri per timore che il Cremlino rischi di screditarsi in patria. davanti.

NBC News ha citato due fonti anonime che hanno familiarità con l’intelligence americana per riferire in esclusiva che la Russia sta presumibilmente approfittando delle proteste nei campus per la Palestina “con l’obiettivo di aggravare le tensioni politiche negli Stati Uniti e offuscare l’immagine globale di Washington”. Solo la seconda parte è vera per metà, e questo solo perché le piattaforme mediatiche internazionali russe finanziate con fondi pubblici stanno sensibilizzando il mondo sui doppi standard americani nei confronti del diritto internazionale, dell’incitamento all’odio e delle rivolte.

Prima di procedere, è importante che il lettore sia informato della politica russa nei confronti di questi tre temi interconnessi: l’ ultima guerra tra Israele e Hamas , l’incitamento all’odio e le rivolte. Nell’ordine in cui sono state citate, la Russia si mantiene in equilibrio tra le parti in conflitto con l’obiettivo di mediare una risoluzione, vieta severamente qualsiasi incitamento all’odio etnico-nazionale o religioso e ha tolleranza zero per le proteste non autorizzate, soprattutto su larga scala e violente. quelli. Ecco alcuni briefing di base:

* “ Il Presidente Putin su Israele: citazioni dal sito web del Cremlino (2000-2018) ”

* “ Le rivolte a sostegno della Palestina screditano la causa dell’indipendenza del suo popolo ”

* “ Chiarire il paragone di Lavrov tra l’ultima guerra tra Israele e Hamas e l’operazione speciale della Russia ”

* “ Putin e il Patriarca hanno ricordato ai russi che l’incitamento all’odio etnico-religioso è inaccettabile ”

* “ La richiesta della Russia di sanzioni da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro Israele è una mossa di soft power basata su principi ”

In breve, il presidente Putin è un orgoglioso filosemita da sempre che sostiene con zelo Israele, ma capisce che gli interessi nazionali oggettivi del suo paese stanno nel bilanciamento tra questo e la Palestina. A tal fine, il Cremlino ha condannato sia il famigerato attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, sia la successiva punizione collettiva dei palestinesi da parte di Israele. Si suggerisce inoltre ufficialmente di esplorare sanzioni contro Israele per aver violato la risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rifiutandosi di attuare un cessate il fuoco.

Il pezzo che chiarisce il confronto di Lavrov elenca quasi due dozzine di pezzi di ottobre-dicembre che elaborano maggiormente la politica russa a questo riguardo. Per quanto riguarda il fronte interno, i servizi di sicurezza hanno disperso una folla filo-palestinese che si era ribellata in un aeroporto del Daghestan a fine ottobre dopo essere stata indotta da fake news a credere che gli ebrei israeliani stessero per arrivare lì. Dopo l’ attacco al Crocus , il presidente Putin e il Patriarca hanno anche tacitamente ricordato a tutti il ​​severo divieto dell’articolo 282 sull’incitamento all’odio.

Qualunque cosa i lettori possano pensare sui meriti della politica estera e interna della Russia, è un suo diritto sovrano promulgarla in conformità con il modo in cui i politici credono che gli oggettivi interessi nazionali del loro paese possano essere meglio portati avanti. I gestori della percezione americana, però, li hanno costantemente sfruttati per screditare il sincero interesse della Russia nel mediare la pace e per etichettarla come una dittatura. La base giuridica internazionale della prima politica e la sicurezza nazionale della seconda vengono sempre ignorate.

Allo stesso tempo, tuttavia, gli Stati Uniti violano palesemente il diritto internazionale dando a Israele un assegno in bianco per punire collettivamente i palestinesi e ignorando la già citata risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede di attuare un cessate il fuoco con Hamas. Ha anche disperso alcune proteste universitarie per la Palestina con il pretesto, accurato o meno, che stanno lanciando discorsi di odio contro gli ebrei e si stanno trasformando in rivolte. La Russia ha naturalmente interesse ad attirare la massima attenzione su questi doppi standard.

Per quanto riguarda l’accusa di avere “l’obiettivo di aggravare le tensioni politiche negli Stati Uniti”, NBC News ha affermato che “le fonti hanno rifiutato di condividere esempi di bot generati dalla Russia sui social media per evitare di rivelare i metodi statunitensi di raccolta di informazioni”, il che è sospetto e non può essere preso sul serio. Sembra quindi che non esistano prove e che questo sia solo un modo per prendere due piccioni con una fava: allarmizzare l’ingerenza russa e creare il pretesto per una repressione più ampia se la decisione verrà presa.

A questo proposito, “ I democratici si stanno distruggendo sostenendo le proteste nei campus universitari per la Palestina ” per le ragioni spiegate nella precedente analisi con collegamento ipertestuale, che si riducono a controversie tra fazioni all’interno della coalizione liberale-globalista al potere e a considerazioni elettorali controproducenti. La politica schizofrenica di disperdere alcune proteste, non disperderne altre, e di rifiutare di perseguire coloro che occupano proprietà pubbliche con le stesse accuse dei manifestanti del J6 sono prova di doppi standard.

Un sondaggio condotto all’inizio di questa settimana ha mostrato che un enorme 80% degli americani sostiene Israele piuttosto che Hamas, quindi i democratici potrebbero ritenere che sia ora di porre fine alle proteste. L’ex presidente Pelosi aveva già seminato la voce per averlo fatto alla fine del mese scorso, nel caso in cui la decisione fosse stata presa, sostenendo che le proteste hanno “una sfumatura russa”, cosa che ha spinto la portavoce del ministero degli Esteri russo Zakharova a descrivere ciò come “un affronto agli americani”. e un attacco alla democrazia”.

L’ultimo rapporto di NBC News si basa sulle accuse di Pelosi conferendogli il credito della comunità dell’intelligence statunitense, anche se senza uno straccio di prova condiviso con il pubblico, il che potrebbe spostare l’ago nella direzione di convincere i democratici nel loro insieme ad accendersi. queste proteste. Alcuni lo hanno già fatto per paura che i ricchi donatori ebrei del loro partito e dei suoi centri di indottrinamento ideologico (“università”) ritirino i loro finanziamenti se non lo fanno, ma non è ancora avvenuta alcuna repressione su larga scala.

Anche così, l’ultimo segnale inviato è che i democratici potrebbero eventualmente rivoltarsi contro i membri filo-palestinesi della loro base – che sono numericamente piccoli ma esercitano un’influenza smisurata grazie al loro attivismo e potrebbero essere la chiave per vincere negli stati indecisi del Midwest – sostenendo che sono stati ingannati dalla Russia. In relazione a ciò, potrebbero anche aggiungere una dimensione anti-cinese accusando TikTok, di proprietà cinese, di collusione con il Cremlino “con l’obiettivo di aggravare le tensioni politiche negli Stati Uniti”.

Ciò potrebbe prendere un terzo uccello con la stessa fava, dopo che l’ultimo pacchetto di aiuti all’Ucraina conteneva una misura che chiedeva agli Stati Uniti di vietare TikTok a meno che ByteDance non vendesse la propria partecipazione nei prossimi 12 mesi. Questa legge ha suscitato immense polemiche a causa delle preoccupazioni sulla libertà di parola e sull’impatto sui numerosi imprenditori americani che fanno affidamento su quella piattaforma per guadagnarsi da vivere. Tuttavia, architettando una cospirazione sino-russa sulle proteste universitarie per la Palestina e TikTok, questo divieto imminente potrebbe sembrare più appetibile.

Qualunque cosa accada, è importante che la gente ricordi che l’unico interesse della Russia è smascherare l’ipocrisia degli Stati Uniti, non manipolare i manifestanti universitari affinché funzionino come delegati del cambiamento di regime. La Russia ha già sofferto gli effetti del fuorviante attivismo filo-palestinese orchestrato dall’estero alla fine di ottobre e dell’incitamento all’odio incoraggiato dagli stranieri all’interno della sua società dopo l’attacco al Crocus, quindi non li userà contro altri per timore che il Cremlino rischi di screditarsi in patria. davanti.

Legare le mani del Presidente in termini di come allentare l’escalation di questo conflitto predetermina che continuerà ad accendersi anche se le linee del fronte si congelano informalmente per un periodo di tempo significativo, mantenendo così la spada di Damocle dell’Armageddon sospesa sopra la testa di tutti per il prossimo almeno un decennio.

I “Repubblicani solo di nome” (RINO) e i Democratici si sono uniti come “unipartito” per far approvare l’ ultimo pacchetto di aiuti degli Stati Uniti all’Ucraina alla fine di aprile, cosa che ha spinto Zelenskyj a rivelare che i loro paesi stanno negoziando un accordo decennale patto di sicurezza. Durante il fine settimana ha poi spiegato che includerà “il sostegno armato, la produzione finanziaria, politica e congiunta di armi”. Un accordo del genere richiederà quasi certamente l’approvazione del Congresso, quindi il ritorno dell’unipartito.

L’imprenditore miliardario David Sacks ha reagito su X scrivendo che “I 61 miliardi di dollari erano solo l’inizio. I prossimi due presidenti degli Stati Uniti non riusciranno a spegnerlo”, al che Elon Musk ha risposto con “È pazzesco. La guerra eterna.” All’inizio di gennaio è stato osservato che ” le ‘garanzie di sicurezza’ sperate dall’Ucraina non sono tutte quelle che si aspettavano ” dopo che il primo patto di questo tipo era stato raggiunto con il Regno Unito, ma non includeva lo schieramento di truppe promesso come aveva fatto Kiev. in precedenza ha cercato di conquistare.

Anche i successivi accordi bilaterali con altri paesi della NATO non includevano quelle promesse, ma ciò che è così preoccupante riguardo al patto simile in fase di negoziazione con gli Stati Uniti è che potrebbe assumere la forma di un disegno di legge sul modello del “ Taiwan Relations Act ” del 1979 e da quel momento in poi entreranno in legge. Quanto sopra è deliberatamente ambiguo riguardo all’impegno di mutua difesa degli Stati Uniti nei confronti di quell’isola cinese canaglia, ma impone alla stessa la continua vendita di armi e spinge il presidente ad agire in caso di attacco.

Nel caso in cui i negoziati in corso culminassero in qualcosa di simile per l’Ucraina, la previsione di Sacks si dimostrerebbe corretta con tutto ciò che comporta per bloccare questo fronte della Nuova Guerra Fredda . Se Trump tornasse in carica, il che non può essere dato per scontato data la persecuzione da parte dell’amministrazione Biden nei suoi confronti e i timori di brogli elettorali, le sue mani saranno legate e non potrebbe allentare la tensione anche se lo volesse. Qualsiasi mossa in questa direzione potrebbe portare ad un’altra tornata di procedimenti di impeachment contro di lui.

I RINO e i Democratici potrebbero quindi abbandonare ancora una volta la facciata della loro falsa competizione per imporre legalmente dieci anni interi di “sostegno armato, finanziario, politico e produzione congiunta di armi” con l’Ucraina. Come ciliegina sulla torta, potrebbero anche codificare un linguaggio altrettanto ambiguo, simile a quello di Taiwan, sull’impegno di difesa reciproca degli Stati Uniti nei confronti di quel paese. L’unico modo per evitare che ciò venga utilizzato come arma contro Trump è che i repubblicani del MAGA vincano quanti più seggi possibile a novembre.

Se i RINO e i Democratici non hanno i numeri, allora non potranno costringerlo a lasciare l’incarico ma solo simbolicamente metterlo sotto accusa come hanno già fatto due volte se rinnega questo accordo. Le riforme del governo federale da lui previste, se dovessero avere successo, potrebbero ridurre il numero di sabotatori interni che cercherebbero di sovvertire la sua politica diplomatica per promuovere gli interessi degli Stati Uniti. A dire il vero, ci sono molte incertezze per Trump in questo scenario, ma è comunque meglio che se l’unipartito rimanesse al potere totale.

Ciò che dovrebbe essere più importante per ogni americano patriottico è che il Presidente, chiunque egli sia in un dato momento, conservi il diritto di formulare la politica estera in linea con la Costituzione . È importante mantenere controlli ed equilibri, ma ciò che l’unipartito potrebbe tentare di fare tramite il Congresso è scavalcare i prossimi due presidenti bloccando la loro politica estera proprio come hanno fatto con Taiwan. Quel precedente era già abbastanza controverso dal punto di vista giuridico, ma era comunque approvato durante la pace con la Cina.

Ciò che sembra essere in cantiere con l’Ucraina, invece, viene negoziato nell’ambito dell’accordo NATO-Russia guerra per procura condotta in quella ex repubblica sovietica, che rischia la terza guerra mondiale per un errore di calcolo. Legare le mani del Presidente in termini di come allentare l’escalation di questo conflitto predetermina che continuerà ad accendersi anche se le linee del fronte si congelano informalmente per un periodo di tempo significativo, mantenendo così la spada di Damocle dell’Armageddon sospesa sopra la testa di tutti per il prossimo almeno un decennio.

I liberali-globalisti al potere negli Stati Uniti stanno cercando di trovare un equilibrio tra l’attuazione di un cambio di regime contro Bibi, il compiacimento retorico dell’ala attivista della loro base, e il mantenimento dell’alleanza del loro paese con Israele. Il risultato finale del perseguimento di questi obiettivi contraddittori è che hanno naturalmente ampliato le divisioni tra fazioni preesistenti all’interno della coalizione democratica.

L’ occupazione martedì mattina della Hamilton Hall della Columbia University da parte di manifestanti filo-palestinesi, che fu il luogo di una famosa occupazione durante le proteste nazionali contro la guerra e per i diritti civili del 1968, ha immediatamente spinto a paragonare questi due movimenti tra molti. La realtà è però completamente diversa, poiché i manifestanti di oggi sono parzialmente finanziati da Soros, come dimostrato dall’indagine del New York Post . Al contrario, quelli dell’era della guerra del Vietnam erano organici, non astroturfizzati.

Non si può negare l’indignazione che molti studenti provano mentre Israele punisce collettivamente i palestinesi e viola impunemente il diritto internazionale rifiutandosi di attuare la richiesta della risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco senza che gli Stati Uniti minaccino in maniera falsamente sanzioni. Anche se è vero che Biden ha appoggiato l’appello di Schumer per un cambio di regime in Israele, all’epoca è stato spiegato qui che ciò era in realtà dovuto alla disputa ideologica della sua amministrazione con Bibi e al suo doppio gioco con Hamas.

Allo stesso modo, la politica di aiuti a Gaza di Biden è solo uno spettacolo elettorale progettato per ingannare i membri filo-palestinesi della base democratica e indurli a non disertare a favore di terzi in segno di protesta o a rifiutarsi di votare, il che è dimostrato dal fatto che nessuna conseguenza significativa ha seguito la summenzionata decisione di Israele. Azioni. I liberali-globalisti al potere negli Stati Uniti stanno cercando di trovare un equilibrio tra l’attuazione di un cambio di regime contro Bibi, il compiacimento retorico dell’ala attivista della loro base, e il mantenimento dell’alleanza del loro paese con Israele.

Il risultato finale del perseguimento di questi obiettivi contraddittori è che ha naturalmente ampliato le divisioni tra fazioni preesistenti all’interno della coalizione democratica, che sono state identificate dall’attivista nazionalista-conservatore Christopher Rufo, che ha consigliato alla sua fazione come sfruttarle magistralmente per ottenere il massimo guadagno. Suggerisce che la destra rimanga il più possibile fuori da questa rissa per lasciare che la sinistra si divida in modo che la maggioranza degli americani moderati possa vedere ciò che rappresentano veramente i democratici.

La coalizione liberale-globalista al potere è arrivata al potere sulla scia della Guerra Ibrida di Terrore contro l’America dell’estate 2020 , che è stata una vera e propria Rivoluzione Colorata in preparazione da decenni e orchestrata da questa fazione dell’élite statunitense su falsi “antirazzisti” pretesti. Lo scopo era quello di manipolare gli elettori contro Trump e di preparare il terreno per un’insurrezione terroristica a tutto campo a livello nazionale che potrebbe essere trasformata in una “rivolta democratica pacifica” se la sospetta frode di quell’anno non fosse riuscita a deporlo.

In definitiva, “ Trump è stato inghiottito dalla palude perché non aveva la forza di prosciugarla ”, creando così l’ inferno distopico in cui gli americani sono stati costretti a languire negli ultimi quattro anni. La rilevanza di quegli eventi per il presente è che questa stessa fazione liberal-globalista della burocrazia permanente degli Stati Uniti (“stato profondo”) è di nuovo all’opera, ma questa volta sta usando la Palestina come pretesto per portare avanti la propria agenda.

Come ha giustamente osservato Rufo, tuttavia, “la maggior parte degli americani non capisce il conflitto israelo-palestinese o il suo rapporto con gli Stati Uniti”. Inoltre, “la maggior parte sostiene Israele piuttosto che Hamas”, quindi è stato in realtà un errore di calcolo epico da parte dei liberali-globalisti fare di Palestina/Hamas il pretesto per giustificare la minacciata Rivoluzione Colorata di quest’anno se Biden non dovesse vincere la rielezione (sia tramite con il gancio o con la forza). C’è molto di sbagliato in questo piano, ma quelli che seguono sono solo alcuni degli errori più evidenti.

Basandosi su ciò che ha scritto Rufo, la maggior parte dell’elettorato non si preoccupa degli affari esteri, tranne forse quello NATO-russo guerra per procura in Ucraina, ma solo perché potrebbe portare alla Terza Guerra Mondiale per un errore di calcolo ed è già costata loro oltre 100 miliardi di dollari in fondi dei contribuenti. Coloro che si preoccupano abbastanza della Palestina da votare per terzi in segno di protesta o da saltare le elezioni stanno dalla parte dei democratici e, sebbene relativamente bassi in numero, sono molto espliciti e quindi hanno un’influenza fuori misura.

Ancora più importante, i loro voti sono cruciali per aiutare i democratici a conquistare gli stati oscillanti del Midwest, rendendoli così essenziali per la strategia 2024 del partito. Fin qui tutto bene, ma l’élite liberal-globalista ha trascurato il fatto che una parte sostanziale di loro sono musulmani che sostengono la Palestina come questione di principio religioso. I loro voti non possono essere comprati con trucchi elettorali a buon mercato come la politica di aiuti a Gaza di Biden o la critica a Bibi mesi dopo che, secondo quanto riferito, Israele ha ucciso quasi il 2% della popolazione di Gaza prima della guerra.

Allo stesso modo, il coinvolgimento della fazione LGBT+ dei democratici nelle proteste universitarie parzialmente finanziate da Soros disgusta letteralmente questi stessi musulmani, che credono che stia infangando questa causa con la dissolutezza. Hanno già unito le forze con la destra in Michigan per protestare contro la sessualizzazione dei bambini nelle scuole, quindi dovrebbe essere dato per scontato che i loro stomaci si agitano dopo che una drag queen ha fatto cantare ai bambini “Palestina libera” in altre parti del paese alla fine del mese scorso. Queste trovate democratiche stanno perdendo la loro base musulmana.

Un altro degli errori dell’élite liberale-globalista è stato quello di non aver segnalato ai loro delegati universitari, parzialmente finanziati da Soros, che le proteste avrebbero dovuto riguardare solo la Palestina, non Hamas. La maggior parte degli americani è d’accordo con la definizione da parte del governo di quel gruppo come terrorista, soprattutto dopo che il suo famigerato attacco furtivo del 7 ottobre ha comportato il rapimento e l’uccisione di un gran numero di civili. Di conseguenza, vengono scoraggiati dalle manifestazioni di sostegno ad Hamas, per non parlare dello slogan “dal fiume al mare”.

Molti lo interpretano come un fischietto per giustificare, sulla base della giustizia storica, la subordinazione legale di tutti i discendenti dei colonizzatori come cittadini di seconda classe, cosa che potrebbe fare di tutti i caucasici-americani il bersaglio di una tale politica. Lo slogan “dal fiume al mare” potrebbe facilmente trasformarsi in uno “da costa a costa” una volta che questa incipiente Rivoluzione Colorata finirà per infondere nuova vita ai fanti del BLM dei liberal-globalisti durante il secondo mandato di Biden al fine di imporre una più rigorosa “ svegliato” la dittatura.

Non importa che i neri, gli asiatici e tutti gli altri gruppi, esclusi gli ispanici parzialmente discendenti dei nativi, stiano ancora colonizzando terre precedentemente controllate dai nativi, indipendentemente dal loro posto nella gerarchia socioeconomica degli Stati Uniti, a partire dallo slogan “dal fiume al mare”. prende di mira gli ebrei di discendenza europea. Pochi di coloro che lo cantano si preoccupano degli ebrei arabi o etiopi in Israele che stanno occupando anche terre precedentemente controllate dai palestinesi, poiché questo slogan si è trasformato in un mezzo per segnalare solidarietà con la “Teoria della Razza Critica” (CRT).

Guardando oltre il gergo, questo concetto afferma semplicemente che la propria identità etnico-nazionale alla nascita li rende colpevoli delle azioni dei loro antenati contro membri di altri gruppi, per le quali devono espiare accettando per sempre lo status di seconda classe come forma di giustizia storica. Questo standard però non viene applicato allo stesso modo poiché ai suoi aderenti non interessa ciò che i gruppi europei o non europei hanno fatto ai propri, ma solo ciò che gli europei hanno fatto ai non europei.

Si presume che le opinioni politiche di una persona di discendenza europea siano predeterminate dalla sua identità, così come la sua colpa e il relativo bisogno di espiarla accettando uno status di seconda classe, che in linea di principio non è diverso da ciò che Hitler credeva rispetto agli slavi, agli ebrei e altri cosiddetti “subumani”. Il bigottismo anti-caucasico della CRT non è un segreto, ma è stato solo quando i suoi aderenti hanno iniziato a prendere di mira gli ebrei israeliani – considerati un “gruppo protetto/privilegiato” a causa dell’Olocausto – che un numero maggiore di americani se ne è accorto.

Gli ebrei israeliani non avrebbero mai dovuto essere elevati al vertice di un’immaginaria gerarchia di vittimismo poiché tutti coloro che hanno sofferto a causa del genocidio nazista sono uguali , ma il punto è che la sfida dei manifestanti filo-palestinesi nei confronti di questa narrativa “politicamente corretta” ha inviato un messaggio shock attraverso il sistema di valori sociali degli Stati Uniti. Ha avuto l’effetto involontario di smascherare la CRT come una copertura pseudo-accademica per l’incitamento all’odio, cosa che ha spaventato molti democratici moderati e soprattutto quei ricchi ebrei che fanno donazioni a queste scuole.

Qui sta il terzo errore epico commesso dai liberal-globalisti al potere negli Stati Uniti, da quando l’effetto finale di candidarsi con la copertura Palestina/Hamas per la Rivoluzione Colorata di quest’anno è che si è trattato di un momento di “mascheramento” per molti democratici. sostenitori. I musulmani si rendono conto di essere oggettivati ​​e associati a ideologie anti-islamiche come quella LGBT+, i democratici caucasici sentono che saranno presi di mira da politiche di “razzismo al contrario” e gli ebrei si rendono conto che stanno finanziando la loro stessa distruzione. .

Non è stato ancora raggiunto il punto critico in cui questi membri della coalizione democratica rompono con il partito per lasciare solo la maggior parte dei neri, alcuni ispanici e pochi caucasici che odiano se stessi tra le sue fila, ma quel momento potrebbe presto arrivare se i sempre più riottosi Continuano le proteste universitarie per la Palestina. In tal caso, i piani di rielezione di Biden sarebbero destinati a fallire poiché il livello di frode richiesto per aiutarlo a vincere sarebbe troppo elevato, ma i liberali-globalisti potrebbero poi provare a bruciare il paese per vendetta.

Visto che non esiste alcuna base legittima per cui Sikorski sia arrabbiato con Duda, l’unica spiegazione credibile è che sia tutta una questione di politica interna in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno.

Il ministro degli Esteri polacco Sikorski ha rimproverato il presidente Duda per aver rivelato pubblicamente a un giornalista di aver discusso del paese che ospita armi nucleari statunitensi durante il suo ultimo viaggio lì. Secondo questo alto diplomatico, “al signor Presidente è già stato detto, ai massimi livelli… di non parlarne, che non c’è alcuna possibilità per questo adesso. Non so perché lo disse”. Sikorski ha anche affermato che nemmeno il Consiglio dei ministri, il massimo organo politico della Polonia, ha autorizzato Duda a discutere pubblicamente la questione.

Nelle sue parole, “Queste sono questioni molto complicate di cui discutiamo nelle riunioni di pianificazione nucleare della NATO” e “non dovrebbero aver luogo in pubblico”. Il problema, però, è che Duda stava semplicemente rispondendo all’indagine pertinente di un giornalista basata sulle ripetute del suo partito si offre di ospitare queste armi. Non è successo all’improvviso e non sono state rivelate nuove informazioni. L’unico motivo per cui ha fatto notizia è stato l’argomento in questione e il contesto di crescenti tensioni NATO-Russia.

Rifiutarsi di commentare avrebbe potuto suscitare ancora più speculazioni, così come avrebbe potuto avere la menzogna apertamente sul fatto che non se ne fosse parlato, ecco perché Duda ha semplicemente detto la verità. Sikorski lo ha rimproverato non perché alcuni media internazionali, com’era prevedibile, abbiano sfruttato le sue parole per fare clickbait, ma per ragioni di politica interna. Dopotutto, il massimo diplomatico polacco rappresenta il nuovo governo di coalizione che ha sostituito il partito di Duda dopo le elezioni dell’autunno scorso, e punta ad assumere la presidenza anche durante il voto del prossimo anno.

Diversi giorni dopo la tranquilla rivelazione di Duda, Sikorski tenne un lungo discorso al Sejm sugli obiettivi di politica estera della Polonia, una parte significativa del quale cercò esplicitamente di screditare i suoi predecessori. Un modo in cui questo è stato tentato è stato dipingerli come paranoici che hanno compiuto unilateralmente mosse sconsiderate che alla fine hanno messo in pericolo gli interessi nazionali del loro paese. Sebbene Duda non sia paranoico, il falso scandalo che circonda la sua intervista lo definisce un avventato, il che è in linea con questa narrazione.

Gli osservatori dovrebbero ricordare che lo stesso Sikorski ha tacitamente confermato che Duda è stato effettivamente incaricato di discutere dell’hosting di armi nucleari statunitensi durante il suo ultimo viaggio lì, con l’unico problema che ha ammesso pubblicamente che questo era all’ordine del giorno, ma è già stato spiegato il motivo per cui ciò non è avvenuto. t controverso. Visto che non esiste alcuna base legittima per cui Sikorski sia arrabbiato con Duda, l’unica spiegazione credibile è che sia tutta una questione di politica interna in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno.

La cosa più interessante, però, è che Sikorski si sta concentrando solo sulla presunta rivelazione di segreti di stato da parte di Duda sui colloqui polacco-americani, ma sta ignorando due delle sue rivelazioni molto più scandalose. Nella stessa intervista in cui ha confermato di aver parlato del suddetto argomento durante il suo viaggio a Washington, Duda ha anche ammesso che un grande progetto infrastrutturale fuori Varsavia ha un duplice scopo militare. I lettori potranno saperne di più qui , dove scopriranno che è al centro di un’accesa disputa partigiana.

Una settimana prima, Duda aveva rivelato come le società straniere possiedano la maggior parte dell’agricoltura industriale ucraina , allo scopo di difendere la precedente decisione del governo di fermare l’importazione di grano ucraino a buon mercato e di bassa qualità che aveva inondato il mercato interno per gli agricoltori locali. danno. È servito anche a fare pressione sul nuovo governo di coalizione affinché non svendesse gli interessi nazionali del paese su questo tema con la scusa di raggiungere un “compromesso” con l’Ucraina.

Queste due rivelazioni sono molto più scandalose della sua conferma di aver discusso ancora una volta della Polonia che ospita armi nucleari statunitensi durante il suo ultimo viaggio lì, eppure Sikorski ha vistosamente ignorato entrambe a favore della creazione di un falso scandalo sull’ultimo esempio citato. Questo perché non ha veramente in mente gli interessi nazionali, ma solo quelli politici interni, e teme di attirare più attenzione su queste altre due questioni altrimenti avrebbe potuto sollevarle nel rimprovero a Duda.

La perdita di manodopera ucraina da parte della Polonia sarà un guadagno per la Germania, il che rappresenta un altro modo in cui la prima è diventata indispensabile per alimentare la traiettoria di superpotenza della seconda.

I piani impliciti del ministro della Difesa polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz di deportare uomini ucraini aventi diritto alla leva potrebbero essere la goccia che fa traboccare il vaso la Polonia e spingerla verso la recessione. Le statistiche preliminari del governo di febbraio hanno mostrato che la crescita del PIL nell’ultimo anno è stata solo dello 0,2% rispetto al livello del 5,3% del 2022 . La disoccupazione era però solo al 5,3% a marzo e il 33% dei 525 datori di lavoro intervistati da una rispettabile società di collocamento a ottobre ha dichiarato di voler assumere nel primo trimestre del 2024.

Il suddetto rapporto ipertestuale sul misero tasso di crescita del PIL dello scorso anno lo attribuiva all’inflazione, che potrebbe diventare più gestibile a seconda delle politiche del nuovo governo di coalizione, mentre le altre statistiche suggeriscono un urgente bisogno di più manodopera sul mercato. Il fondo assicurativo statale ha informato l’estate scorsa che la Polonia avrebbe bisogno di due milioni di lavoratori stranieri nel prossimo decennio, o 200.000 all’anno fino ad allora, per mantenere l’attuale rapporto tra lavoratori e pensionati dopo che il tasso di natalità è crollato dell’11% lo scorso anno.

Si dà il caso che, dal febbraio 2022, la Polonia abbia concesso lo status di protezione temporanea di rifugiato a 950.000 ucraini , di cui secondo la Banca nazionale polacca circa un quinto sono uomini . Ciò equivale a quasi 200.000 lavoratori stranieri di cui la Polonia ha bisogno ogni anno, che ora potrebbero fuggire in Germania per evitare di essere deportati con la forza in prima linea. Lo scorso dicembre il ministro della Giustizia del paese vicino aveva dichiarato che non avrebbe adottato una politica del genere contro i renitenti alla leva.

La scorsa settimana il Senato di Berlino ha anche dichiarato a Deutsche Welle che gli ucraini possono soggiornare nella capitale senza un passaporto valido, sebbene l’organo di informazione abbia anche osservato che “Tutte le questioni relative al soggiorno degli stranieri in Germania appartengono alla competenza delle autorità regionali”, quindi il la politica potrebbe differire altrove. Tuttavia, il punto è che gli uomini ucraini aventi diritto alla leva in Polonia sanno che non andranno incontro alla loro rovina se si trasferissero semplicemente in Germania, che corteggia manodopera straniera da tutto il mondo.

Forse è stato dopo aver realizzato il colpo autoinflitto che il ministro della Difesa ha rischiato di infliggere alla già fragile economia polacca, che il ministro dell’Interno Marcin Kierwinski ha dichiarato poco dopo ai media nazionali che il suo Paese non deporterà quegli ucraini con documenti scaduti. Comunque sia, molti uomini ucraini potrebbero non voler rischiare la vita in mezzo a questi segnali contrastanti, e anche quelle donne non sposate che si sono trasferite in Polonia potrebbero trasferirsi per avere maggiori possibilità di trovare un marito ucraino un giorno.

Gli ucraini possono imparare il polacco molto più facilmente di qualsiasi altro migrante, a parte i bielorussi, i quali non hanno una presenza così ampia sul mercato del lavoro, motivo per cui lo Stato preferisce ospitarli per soddisfare le proprie esigenze di manodopera piuttosto che importare migranti culturalmente diversi. A dire il vero, stanno reclutando anche lavoratori dal Sud del mondo, ma questa politica rischia di replicare i problemi socio-politici che l’Europa occidentale ha già sperimentato negli ultimi decenni.

Spaventando gli ucraini con il suo piano implicito di deportare gli uomini idonei alla leva, la Polonia rischia anche inavvertitamente di esacerbare la tendenza al peggioramento della percezione reciproca tra i loro popoli, di cui i lettori possono saperne di più leggendo la revisione di questi sondaggi dalla Polonia a marzo e dall’Ucraina ad aprile. . Di conseguenza, potrebbe diventare meno probabile che mai che gli ucraini – siano essi rifugiati, renitenti alla leva o migranti economici – prendano in considerazione l’idea di trasferirsi in Polonia, mentre molti preferiscono invece la Germania per una buona ragione.

La perdita di manodopera ucraina della Polonia sarà un guadagno per la Germania, il che rappresenta un altro modo in cui la prima è diventata indispensabile per alimentare la traiettoria di superpotenza della seconda, descritta qui a metà marzo. Dato che l’economia polacca rischia la stagnazione e un potenziale declino nel caso in cui una recessione seguisse presto la fuga di quasi 200.00 uomini ucraini aventi diritto alla leva, per non parlare della paura di altri ucraini di trasferirsi lì e di conseguenza dei divari incolmabili nel mercato del lavoro, la Germania si trova a cavarsela comparativamente meglio.

La crescente carenza di manodopera in Polonia ostacolerà la crescita delle sue aziende, creando così più possibilità per quelle tedesche in quel mercato di quanto non abbiano già fatto. Se la Polonia smettesse di crescere, ciò metterebbe fine anche al tentativo di ripristino della sua leadership regionale iniziato sotto il governo precedente, che porterebbe ad un’ondata ancora maggiore dell’influenza tedesca nell’Europa centrale e orientale. Se senza controllo, la Germania potrebbe diventare una superpotenza nel giro di una generazione o meno, e tutto senza sparare un colpo.

L’imminente fine del mandato di Zelenskyj, il 21 maggio, costituisce lo scenario rispetto al quale analizzare questo sviluppo.

Ci sono state molte speculazioni sul perché la Russia abbia appena inserito Zelenskyj, il nuovo capo del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale Litvinenko, l’ex presidente Poroshenko e due ex funzionari finanziari nella lista dei ricercati del suo ministero dell’Interno, tra gli altri che erano già presenti su di essa. L’Occidente generalmente la considera una mossa simbolica, mentre alcuni nella comunità Alt-Media sono convinti che la Russia abbia intenzione di consegnarli segretamente o forse addirittura assassinarli.

L’imminente fine del mandato di Zelenskyj, il 21 maggio, costituisce lo scenario rispetto al quale analizzare questo sviluppo. L’ex primo ministro israeliano Bennett ha affermato all’inizio del 2023 che il presidente Putin gli aveva promesso l’anno prima di non danneggiare la sua controparte ucraina, ma alcuni credono che questa “garanzia di sicurezza” durerà solo finché il mandato di Zelenskyj rimarrà legittimo. Secondo loro, rimanere al potere dopo il 21 maggio con pretesti giuridicamente dubbi potrebbe portare il leader russo a riconsiderare la sua posizione.

L’osservazione del ministro degli Esteri Lavrov a fine marzo secondo cui “Forse non avremo bisogno di riconoscere nulla” dopo quel giorno è stata interpretata da alcuni come un’indicazione che egli potrebbe già essere rovesciato o ucciso prima che ciò accada. L’arresto da parte della Polonia, il mese scorso, di un uomo accusato di aver passato alla Russia dettagli sulla sicurezza dell’aeroporto di Rzeszow con l’obiettivo di aiutarla ad assassinare Zelenskyj durante la sua prossima visita ha dato credito a questa teoria tra alcuni, nonostante si tratti probabilmente di un caso di intrappolamento ucraino .

L’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza Medvedev, tuttavia, ha reagito alla suddetta notizia chiedendosi se “potrebbe essere la prima prova che in Occidente hanno deciso di liquidarlo”. In sostanza, mentre il presidente Putin potrebbe mantenere la sua promessa di non danneggiare Zelenskyj anche se dovesse restare al potere dopo il 21 maggio, Medvedev ha lasciato intendere che l’Occidente potrebbe effettivamente ucciderlo ma poi eventualmente tentare di incastrare la Russia.

Un altro fattore da tenere a mente quando si valutano le motivazioni della Russia per inserire Zelenskyj e gli altri funzionari, sia attualmente in servizio che ex, nella lista dei ricercati in questo preciso momento è lo scenario peggiore da cui aveva messo in guardia il Comitato di intelligence ucraino alla fine di febbraio. . Si aspettano che la Russia possa ottenere una svolta militare alla fine di questo mese o il prossimo, che potrebbe coincidere con il collasso politico del governo ucraino, presumibilmente sostenuto dalla Russia e guidato dalla protesta.

La tempistica potrebbe anche coincidere con i “colloqui di pace” svizzeri del mese prossimo a metà giugno , trasformandoli così da una trovata pianificata per rafforzare il morale in un incontro in preda al panico dei leader occidentali sui termini della resa negoziata dell’Ucraina alla Russia. Anche se il governo ucraino non crollasse, qualsiasi svolta militare russa potrebbe comunque portare ad un rinnovato interesse per la ripresa dei colloqui con la Russia, ma Mosca non sarebbe in grado di farlo con nessuna delle figure sulla sua lista dei ricercati a causa del diritto interno. .

Qui sta il probabile scopo di inserirli lì, dal momento che la Russia è un pignolo per i cavilli legali a causa del background di avvocato del presidente Putin, indipendentemente da ciò che afferma l’Occidente. Proprio come la Rada ha approvato alla fine del 2022 un provvedimento che vietava a Zelenskyj di negoziare con lui, così anche il ministero degli Interni russo (quasi certamente con la tacita approvazione del presidente Putin) ha praticamente fatto lo stesso vietando ai rappresentanti del proprio paese di negoziare con il leader ucraino e altri.

Se le dinamiche strategico-militari continueranno a tendere a favore della Russia fino al punto in cui l’Occidente autorizzerà finalmente l’Ucraina a riprendere disperatamente i negoziati volti a congelare il conflitto capitolando ad alcune delle condizioni del suo avversario, allora ciò potrebbe essere fatto solo attraverso cifre che non siano sulla sua lista dei ricercati. Se Zelenskyj fosse ancora al potere a quel punto, minerebbe la sua autoproclamata autorità legale dovendo nominare qualcun altro, cosa che sarebbe riluttante a fare in ogni caso per ragioni di ego.

Inoltre, non si può dare per scontato che i membri delle fazioni occidentali più aggressivi non lo uccideranno in un assassinio sotto falsa bandiera attribuito alla Russia al fine di raccogliere più sostegno dietro l’Ucraina in quel momento terribile del conflitto e per sventare qualsiasi tentativo da parte dei loro rivali di fazione di porvi fine con i colloqui. Ciò che è più importante per la Russia non è consegnare Zelenskyj alla giustizia in alcun modo, ma garantire i suoi interessi di sicurezza nazionale nel conflitto in corso, anche se senza degnarsi di negoziare con un burattino illegittimo.

L’inclusione di Poroshenko nella lista dei ricercati ha probabilmente lo scopo di segnalare che non sarà ingannato da un cambio di rotta occidentale nel caso in cui cercassero di sostituire Zelenskyj con lui come parte di un cambio di regime guidato dalla protesta e sostenuto dall'”opposizione controllata” mirato a disinnescare la rabbia pubblica e contrastare una vera rivoluzione. Dopotutto, è stato lui il responsabile della mancata attuazione degli Accordi di Minsk da lui stesso sottoscritti, per cui con lui nuovamente alla guida dello Stato non è possibile alcuna vera soluzione diplomatica all’ultimo conflitto.

Con questo in mente, la Russia potrebbe fare pressione sull’Occidente affinché introduca “sangue fresco” nell’élite ucraina o elevi figure in gran parte sconosciute senza lo stesso livello di sangue sulle mani se intendono organizzare un cambio di regime contro Zelenskyj, che ha sfidato le loro richieste di non prendere di mira le infrastrutture energetiche. Come è stato scritto in precedenza, l’assassinio sotto falsa bandiera di Zelenskyj potrebbe sabotare questo processo di quasi-cambio di regime volto a creare il pretesto “salva-faccia” per la pace, quindi i suoi benefattori dovrebbero essere in allerta.

La sua inclusione nella lista dei ricercati della Russia, quindi, non è intesa a creare il pretesto legale per la sua consegna segreta o assassinio da parte del Cremlino, ma a crearne uno per almeno uno sconvolgimento simbolico dell’élite ucraina per facilitare i colloqui di pace, anche se potrebbe essere sfruttato per indebolirlo, come spiegato. La vera minaccia alla vita di Zelenskyj viene dalle fazioni anti-russe più aggressive dell’Occidente, che non sono disposte a ucciderlo se pensano che ciò sia necessario per provocare un intervento convenzionale della NATO .

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NATO-Russia: perché parlare di “nuova guerra fredda” è un’illusione pericolosa, di Cyrille Bret

Russia-Ucraina: è una nuova “guerra fredda”?Un’analisi dell’uso semantico che maschera la realtà.

Cyrille BretSciences Po

Due anni di guerra in Ucraina hanno ravvivato la vocazione della NATO, fondata il 4 aprile 1949, quasi 75 anni fa? Privata dal 1991 del suo nemico esistenziale, l’URSS, la più grande alleanza militare integrata del mondo ha attraversato due decenni di crisi vocazionale. Staccandosi dal blocco sovietico, la nuova Federazione Russa era diventata un partner strategico all’interno del Consiglio NATO-Russia creato nel 2002. Inoltre, diversi Paesi dell’ex “blocco orientale”, tra cui tre ex repubbliche socialiste sovietiche (Estonia, Lettonia e Lituania), erano entrati a far parte dell’Organizzazione tra il 1999 e il 2020. Dai 19 membri alla fine della Guerra Fredda, l’Organizzazione era passata a 28 nel 2009 (32 oggi). La sua ragion d’essere era contenere il blocco comunista in Europa e contrastare militarmente il Patto di Varsavia.

L’annessione della Crimea nel 2014, la guerra nel Donbass da allora e l’invasione su larga scala del 2022 hanno messo fine a questa preoccupata introspezione. Nella Russia del 2022 ha riscoperto il “nemico” teorizzato da Carl Schmitt ne La nozione di politica (1932) come colui con il quale il confronto è radicale e inevitabile, nella misura in cui non è possibile trovare un terreno comune.

 

 

L’impressione di “déjà-vu” geopolitico è ormai così forte che l’idea ha preso piede ovunque: l’Occidente è entrato in una “nuova guerra fredda” con una Federazione Russa che è l’aggressiva erede dell’URSS. Sarebbe cambiata solo la mappa dei blocchi, con l’integrazione nell’Alleanza di Stati ex comunisti e di due Paesi un tempo neutrali (Finlandia e Svezia).

La “voglia di uguale”, per quanto rassicurante, non deve offendere la “ricerca dell’altro”. Il ritorno della storia non deve avvenire al prezzo di dimenticare la geopolitica. Se l’Europa si considera impegnata in questa nuova guerra fredda, rischia di trascurare i nuovi rischi a cui è esposta. Le dichiarazioni (provocatorie) del candidato Trump sulla NATO, gli annunci (isolati o contestati) del presidente Macron sull’invio di truppe in Ucraina e l’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO (a lungo ritardato dall’Ungheria) dovrebbero metterci in guardia sul fatto che il Vecchio Continente si trova ora ad affrontare rischi geopolitici di natura molto diversa da quelli che la Guerra Fredda ha comportato. La storia raramente balbetta. E, in ogni caso, non dice mai le stesse cose. E i pericoli di oggi non possono essere ridotti agli avvertimenti di ieri.

Ritorno al futuro: Ucraina, una guerra per procura tra NATO e Russia?

In geopolitica, come altrove, ci sono molti adoratori dei cicli. Quanto spesso viene invocato oggi l’adagio di Marx sui colpi di Stato dei Bonaparte? Secondo Marx, ogni evento si ripete due volte: una volta come tragedia e una volta come farsa, a volte sanguinosa. Così è per la Guerra Fredda: la sua prima manifestazione è emersa dalla Seconda Guerra Mondiale, che ha contrapposto gli alleati occidentali al blocco sovietico. E dal 2022, o addirittura dal 2013, siamo nella seconda guerra fredda.

Di fronte all’orrore della guerra in Ucraina e alla paura che la Russia sta suscitando in Europa, si è tentati di tornare a una griglia analitica collaudata. La destabilizzazione e la successiva invasione dell’Ucraina in nome di una fittizia “denazificazione” non ricorda forse le sovversioni politiche e gli interventi militari dell’URSS in Germania nel 1953, in Ungheria nel 1956, in Cecoslovacchia nel 1968 e in Afghanistan nel 1979? Come nella prima guerra fredda, l’Europa si sta dividendo in due blocchi militari, politici, strategici e diplomatici. Oggi la cortina di ferro cadrebbe sulla linea del fronte in Ucraina piuttosto che sul confine tra Germania Ovest e Germania Est, ma la stessa spaccatura si sta affermando in tutti i settori.

Dal punto di vista politico, i due campi rivendicano modelli radicalmente opposti: la Russia critica il liberalismo decadente delle società aperte per affermare il suo modello politico apertamente ed esplicitamente autoritario, conservatore e nazionalista.

Da un punto di vista strategico, ciascuno dei poli di potere si considera minacciato dall’altro ed è costretto a sviluppare una strategia continentale e poi globale per reprimere l’altro. Per la Russia, le ondate di allargamento della NATO sono la continuazione della “pactomania” degli Stati Uniti degli anni ’40 e ’50, volta a contenere e reprimere il pericolo rosso. Per quanto riguarda l’Occidente, Mosca ha moltiplicato i formati di cooperazione anti-occidentale (CSTO, EEU, SCO, ecc.) per contrastare queste espansioni della NATO, così come durante l’era sovietica aveva firmato numerosi accordi, soprattutto militari, con “Stati fratelli” in tutto il mondo.

Sul fronte economico, le successive ondate di sanzioni europee e americane sono state accolte da controsanzioni da parte della Russia, con il risultato che gli ex partner stanno ora cercando di fare a meno delle reciproche forniture.

In termini militari e industriali, la corsa agli armamenti e la (ri)militarizzazione sono in pieno svolgimento, come durante la fase stalinista della Guerra Fredda. La spesa per la difesa degli Stati membri della NATO è aumentata notevolmente: nel 2024, 18 dei 32 membri dedicheranno più del 2% del loro PIL alle spese militari. Il bilancio della difesa della Russia per il 2024 rappresenta il 6% del PIL, con un aumento del 70% rispetto al 2023, che era già un anno di guerra.

 

In questa polarizzazione, la guerra in Ucraina avrebbe accelerato, accentuato e catalizzato la rinascita di una frattura incolmabile tra la NATO e il suo altro radicale, la Russia, nuovo avatar dell’URSS. Inoltre, l’Ucraina è teatro di una tipica “guerra per procura” della Guerra Fredda, paragonabile a quelle condotte dalle due Coree, dal Vietnam, dall’Angola e dal Mozambico durante la Guerra Fredda. Nel Donbass, in Crimea e altrove in Ucraina, la NATO e la Russia si combatterebbero a distanza, all’ombra di una minaccia nucleare globale.

 

Alcune premesse di questa griglia di analisi sono perfettamente corrette. In particolare, tutti i meccanismi di dialogo, negoziazione e verifica sono bloccati presso la NATO, l’ONU e l’OSCE. Con il “nemico” schmittiano o con l'”Altro” radicale, la comunicazione è diventata impossibile, per non parlare di qualsiasi forma di cooperazione.

I rischi dell’illusione

Pur essendo suggestiva, questa visione della missione della NATO e della strategia della Russia è fuorviante. Oltre a giustificare l’ossessiva retorica sviluppata dal Presidente russo dopo il suo famoso discorso sulla NATO alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007, essa nasconde i reali pericoli della situazione attuale. Tre eventi recenti dovrebbero convincerci di questo.

Il 10 febbraio, il candidato, ex presidente e possibile futuro presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ribadito la sua volontà di prendere le distanze dalla NATO e quindi di ridurre l’esposizione del suo Paese ai conflitti europei. Questa dichiarazione non va presa né come il solito sfogo di un provocatore compulsivo né come un argomento elettorale di un novizio della politica estera. Essa definisce il tono dello Zeitgeist internazionale, perché riassume diverse tendenze importanti che sono incompatibili con la Guerra Fredda.

 

Il coinvolgimento nella NATO non è più lo strumento preferito da Washington per intervenire nell’equilibrio di potenza con il suo Altro. La bipolarizzazione americano-sovietica e la gigantomachia della NATO-Patto di Varsavia sono scomparse perché sono emerse terze potenze: la Repubblica Popolare Cinese, i BRICS e, soprattutto, l’Unione Europea. Il duopolio militare globale NATO-Patto di Varsavia, relativamente stabile e basato sulla reciproca deterrenza nucleare, non esiste più. Questo aumenta il rischio che le cose vadano male. Le provocazioni di Donald Trump sulla NATO si moltiplicheranno perché gli squilibri europei non sono più regolati dalla tensione controllata tra due blocchi stabili e disciplinati. Si tratta di un rischio specifico dei nostri tempi che non dovrebbe essere trascurato in nome della teoria della “nuova guerra fredda”.

 

A peggiorare le cose, tra la NATO e la Federazione Russa, sostenuta dalla CSTO, che riunisce diverse ex repubbliche sovietiche, stanno scomparendo tutti gli ambiti di neutralità, mediazione o regolamentazione. La fine della neutralità finlandese nel 2023 e quella svedese quest’anno testimoniano questa tendenza. La Guerra Fredda aveva lasciato zone apertamente o implicitamente neutrali: i due Stati nordici erano così sfuggiti al sistema comunista pur mantenendo buone relazioni con il vicino sovietico. Glacis, zone cuscinetto e aree grigie hanno ridotto i contatti diretti tra la NATO e il Patto di Varsavia.

Questo ha ridotto il rischio di attriti (reali) e di slittamenti. Ora l’Europa è diventata una vasta zona di confronto diretto (Ucraina) o indiretto (Baltico, Mar Nero). L’abbandono della neutralità nordica – e, col tempo, forse anche di quella moldava – significa che l’Altro della Russia è ora il nostro vicino diretto. Questo è un pericolo che la “nuova guerra fredda” rischia di oscurare. Il confronto europeo non avviene più a distanza, attraverso zone cuscinetto.

Infine, la controversa dichiarazione di Emmanuel Macron la sera del 26 febbraio ha sottolineato quanto i pericoli di oggi siano diversi da quelli del secondo Novecento. Per la NATO, l’invio ufficiale di truppe di terra in un Paese terzo al di fuori dell’Alleanza cambierebbe la natura del conflitto in corso. Per il momento, gli Stati coinvolti sono solo due, l’aggressore e l’invaso. Ciascuno di essi sta mobilitando le proprie reti di alleanze per sostenere il proprio sforzo bellico. Ma il conflitto è bilaterale – e questo punto non dovrebbe essere sottovalutato, trascurato o ignorato nella narrativa.

Anche se la NATO nel suo complesso, e i suoi Stati membri come parti, sostengono l’Ucraina in molti modi, non sono parti del conflitto perché la clausola di mutua assistenza di cui all’articolo 5 non può essere attivata per l’Ucraina, che non è parte del Trattato del 1949. Il rischio evocato – a torto o a ragione – dal Presidente francese è che un confronto armato tra la NATO e la Russia sia ora possibile. La regionalizzazione delle ostilità, l’entrata in guerra di altri Stati, la nuclearizzazione di alcune operazioni, eccetera: questi sono i rischi attuali.

Una guerra già calda

Oggi la NATO non è impegnata in una nuova guerra fredda: la strategia americana non si basa più principalmente su di essa; sono emerse altre potenze militari oltre all’Organizzazione; il suo “nemico” esistenziale, il Patto di Varsavia, disciplinato, regolamentato e quindi relativamente prevedibile, non esiste più; la guerra per procura non è più la regola. I rischi sono quelli di una guerra già calda, anzi caldissima.The Conversation

Cyrille Bret, geopolitico, Sciences Po

Questo articolo è ripubblicato da The Conversation con una licenza Creative Commons. Leggi l’articolo originale.

 

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Il rapporto RUSI convalida silenziosamente la superiorità strategica della Russia: un crollo_di SIMPLICIUS

Questo è l’ultimo della mia serie di articoli a pagamento circa bimestrale. È uno di quelli da non perdere poiché i risultati di questo rapporto mi hanno addirittura lasciato senza fiato per ragioni che scoprirai alla fine dell’articolo.

Copre l’ultimo comunicato della RUSI su come le guerre moderne dovrebbero essere combattute e vinte, e sul perché l’Occidente è anni luce indietro rispetto alla Russia, sebbene quest’ultimo punto sia sempre implicito.

È un altro fermaporta di dimensioni, con quasi ~ 6800 parole, e ho reso circa i primi ~ 1900 gratuiti al pubblico.


Non capita spesso di adornarmi vanagloriosamente del mio berretto, ma questa occasione sarà annoverata tra le rare che necessariamente dovranno evidenziare le molte esattezze dei nostri precedenti resoconti, la cui convalida viene solo ora alla luce dalle tardive verifiche degli esperti militari occidentali.

Quella che segue è la ripartizione di uno degli ultimi rapporti RUSI sulle lezioni apprese dalla guerra in Ucraina:

Come promemoria, RUSI è il Royal United Services Institute e afferma di essere “il più antico think tank di difesa e sicurezza del Regno Unito e il più antico del mondo”. E da non confondere con un importante politico russo con lo stesso nome in servizio alla Duma, le credenziali dell’autore dell’articolo Alex Vershinin sono elencate come segue:

Il tenente colonnello (in pensione) Alex Vershinin ha 10 anni di esperienza in prima linea in Corea, Iraq e Afghanistan. Negli ultimi dieci anni prima del suo pensionamento, ha lavorato come addetto alla modellazione e alle simulazioni nello sviluppo e nella sperimentazione di concetti per la NATO e l’esercito americano.

L’etica stessa delle argomentazioni che sostengono è dichiarata apertamente fin dall’inizio:

L’intero rapporto ruota attorno a un appello urgente all’Occidente affinché rimodelli il suo concetto strategico di guerra, gravemente degradato e superato dai tempi a causa di diversi decenni di pigra allocazione errata delle risorse e di riorientamento verso azioni di polizia coloniale.

Nel paragrafo successivo l’autore definisce con precisione la differenza tra guerre di “manovra” e guerre di logoramento classiche, rilevante per comprendere il resto dell’esegesi:

Le guerre di logoramento richiedono una propria “Arte della Guerra” e sono combattute con un approccio “incentrato sulla forza”, a differenza delle guerre di manovra “focalizzate sul terreno”. Sono radicati in una massiccia capacità industriale per consentire la sostituzione delle perdite, in una profondità geografica per assorbire una serie di sconfitte e in condizioni tecnologiche che impediscono rapidi movimenti del terreno. Nelle guerre di logoramento, le operazioni militari sono modellate dalla capacità di uno stato di sostituire le perdite e generare nuove formazioni, non da manovre tattiche e operative. La parte che accetta la natura logorante della guerra e si concentra sulla distruzione delle forze nemiche piuttosto che sulla conquista del terreno ha maggiori probabilità di vincere.

In particolare rileggi l’ultima affermazione:

La parte che accetta la natura logorante della guerra e si concentra sulla distruzione delle forze nemiche piuttosto che sulla conquista del terreno ha maggiori probabilità di vincere.

Ciò sembra un’importante ammissione della strategia russa. Dopotutto, ricordiamo come la strategia dell’Ucraina sia notoriamente incentrata sul “non un passo indietro”, perché anche un solo metro perduto rappresenta un costo reputazionale insopportabile per la tanto ammirata “comunità internazionale” di Zelenskyj. Ciò ha portato generali come Syrsky ad essere soprannominati “Generale 200” per il suo atteggiamento senza passi indietro nel perseguire difese come quella di Bakhmut e Avdeevka, tra gli altri.

La Russia, d’altro canto, ha utilizzato la ritirata strategica in misura così vasta da lasciare perplessi i commentatori militari, come nel caso dei ritiri consecutivi su larga scala di Kherson e della regione di Kharkov, per non parlare di quello di fine marzo 2022. deviare l’azione da tutto il nord delle regioni di Kiev, Sumy e Chernigov.

Ciò equivale all’amara ammissione che la Russia, di fatto, è stata in vantaggio per tutto questo tempo. Nonostante i tentativi a tutto campo di denigrare le scelte militari della Russia nel corso della guerra, solo ora in retrospettiva è diventato evidente agli “esperti” che la Russia ha di fatto utilizzato la strategia del buon senso da sempre, mentre conduceva la guerra giusta .

A quanto è ammontato? Si vede subito: basta leggere i titoli. Per la Russia, i titoli dei giornali parlano incessantemente di “eccesso di abbondanza” di manodopera e materiale. Nel caso dell’Ucraina è l’esatto contrario, la totale mancanza di uomini. Una parte ha perseguito con competenza la strategia delineata sopra dal RUSI: “La parte che accetta la natura logorante della guerra e si concentra sulla distruzione delle forze nemiche piuttosto che sul guadagno di terreno ha maggiori probabilità di vincere”.

Ho detto fin dall’inizio che la maggior parte degli obiettivi della Russia nella guerra saranno raggiunti non attraverso conquiste territoriali ma attraverso il logoramento. Ad esempio, non esiste quasi alcun modo realisticamente fattibile per la Russia di “catturare” Odessa attraverso un attacco fisico cinetico e diretto. Attraversare il fiume è improbabile e dover scendere da nord a Kiev richiederebbe ipoteticamente anni. Ma semplicemente inducendo l’Ucraina a gettare tutto il suo sangue e i suoi tesori nella killbox e nel tritacarne del Donbass, la Russia rischia di logorare le AFU sia militarmente, materialmente, economicamente e moralmente fino al punto di esaurimento e collasso, consentendo la successiva cattura del territorio richiesto attraverso Capitolazione ucraina.

RUSI prosegue con un’altra grande ammissione:

L’Occidente non è preparato per questo tipo di guerra. Per la maggior parte degli esperti occidentali, la strategia di logoramento è controintuitiva. Storicamente, l’Occidente ha preferito il breve scontro “il vincitore prende tutto” tra eserciti professionisti. I recenti giochi di guerra come la guerra del CSIS su Taiwan hanno coperto un mese di combattimenti. La possibilità che la guerra continuasse non venne mai messa in discussione. Questo è un riflesso di un atteggiamento comune occidentale. Le guerre di logoramento sono trattate come eccezioni, qualcosa da evitare a tutti i costi e generalmente sono il prodotto dell’inettitudine dei leader. Sfortunatamente, è probabile che le guerre tra potenze vicine alla pari siano logoranti, grazie all’ampia riserva di risorse disponibili per compensare le perdite iniziali. La natura logorante del combattimento, inclusa l’erosione della professionalità dovuta alle vittime, livella il campo di battaglia indipendentemente da quale esercito abbia iniziato con forze meglio addestrate. Mentre il conflitto si protrae, la guerra viene vinta dalle economie, non dagli eserciti. Gli stati che capiscono questo e combattono una guerra del genere attraverso una strategia di logoramento mirata a esaurire le risorse nemiche preservando le proprie hanno maggiori probabilità di vincere. Il modo più veloce per perdere una guerra di logoramento è concentrarsi sulla manovra, spendendo risorse preziose su obiettivi territoriali a breve termine. Riconoscere che le guerre di logoramento hanno una loro propria arte è vitale per vincerle senza subire perdite paralizzanti.

C’è molta verità da svelare proprio in questa affermazione di cui sopra. Ma manteniamolo minimale evidenziando i punti più salienti:

  • L’Occidente continua a pensare che le lunghe guerre di logoramento siano un’eccezione piuttosto che la regola nei conflitti tra pari.

Ciò sembra indicare che le strutture militari occidentali non sono più sistematicamente e istituzionalmente in grado di affrontare la guerra in un modo che va oltre quello radicato in loro negli anni di azione COIN/polizia a bassa intensità degli ultimi decenni. Ciò è stato evidenziato di recente man mano che la consapevolezza inizia lentamente, ad esempio da ieri:

I mercenari occidentali che hanno visitato l’Ucraina hanno ammesso che le loro abilità di combattimento si erano “atrofizzate” 

Lo riporta il portale Business Insider con riferimento all’esercito americano.

“Ci siamo così abituati all’idea di combattere guerre di guerriglia, di combattere i terroristi e chiunque altro, che abbiamo dimenticato cosa significhi veramente combattere una guerra tra pari”, ha detto un mercenario americano.

Nell’articolo sopra, il mercenario americano afferma che nessun soldato americano viene addestrato o preparato adeguatamente per una guerra moderna come l’Ucraina:

Ha detto di aver visto molti soldati occidentali lottare in Ucraina perché “hanno già un’idea precisa su come dovrebbero essere le cose e tutto il resto, e semplicemente non è così in Ucraina”. 

Un altro veterano americano in Ucraina ha detto a BI questo mese di avere preoccupazioni simili. Ha detto che i suoi amici ancora nell’esercito americano gli chiedono consigli su come combattere con i droni o in trincea, poiché non ricevono un addestramento che rifletta pienamente ciò che sta accadendo in Ucraina.

Spiega la differenza fondamentale e poi fa eco alle mie stesse parole:

Ha detto che in molti posti dove ha combattuto in Ucraina, “non c’è nessun posto che sia sicuro”, mentre quando era in Afghanistan e Iraq, a mezzo miglio dietro la linea del fronte, “potresti stare fuori e fare un barbecue”. , un panino e da bere.”

Sfortunatamente per l’Occidente, una volta che un’azione è stata ripetuta per così tanto tempo, diventa riflessiva e istituzionalizzata a un livello così profondamente radicato che non sembra quasi esserci modo di uscirne.

Il motivo è che a più generazioni di leader e militari è stato inculcato un particolare insieme di abilità, mentalità e approcci al punto che è diventato assiomatico per natura. Inoltre, le appendici istituzionali accessorie che funzionano come condotti simbiotici al corpus della struttura militare si sono tutte similmente atrofizzate o sono state semplicemente reindirizzate verso paradigmi di funzionamento totalmente nuovi, del tutto antitetici all’approccio logorante della “guerra totale”.

In termini semplici, ciò significa ovviamente che tutti i fornitori e produttori di MIC hanno costruito le loro architetture, linee di produzione e catene di fornitura attorno ai concetti inerenti allo stile “occidentale” della guerra coloniale: bassa quantità, alta precisione, sistemi ad alto costo che eccellono nel prendere di mira individualmente leader terroristici e simili, ma sono troppo delicati e costosi da mantenere nei conflitti di logoramento. Ciò si è calcificato all’interno delle loro strutture a livello istituzionale.

Ne ho parlato diffusamente prima:

Nello spirito della “guerra totale” russa

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22 FEBBRAIO 2023
Nello spirito della “guerra totale” russa
Un’importante distinzione era attesa da tempo per essere fatta, per quanto riguarda un argomento di molta confusione e interpretazione errata per moltissime persone. C’è un malinteso intrinseco sulle differenze concettuali tra i sistemi militari sovietici/russi (leggi: armi) e quelli equivalenti NATO/occidentali. È stato fatto un dibattito infinito non solo su w…
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Uno dei concetti chiave trascurati che ho menzionato sopra non è semplicemente che i sistemi russi sono più economici e più facili da mantenere, ma piuttosto che sono costruiti attorno a un paradigma filosofico di guerra completamente diverso.

Il più importante di questi è che i sistemi sono costruiti con l’espressa consapevolezza e aspettativa che un giorno dovranno essere gestiti da coscritti poco addestrati, e quindi dovranno essere progettati attorno alla filosofia di estrema facilità d’uso e intuitività. Il famoso esempio che ho usato per evidenziare questo è come, dai rapporti dell’esercito americano di Fort Benning, il Javelin avesse un’efficacia di combattimento inferiore al 19%, principalmente a causa del suo uso complicato e dell’incapacità delle reclute di interiorizzare completamente i suoi parametri di combattimento, come distanze minime di innesto, procedure di bloccaggio, ecc.:

Ho condiviso video di prigionieri di guerra dell’AFU che lamentavano che i loro “fragili” javelin si erano rotti prima dell’uso, o semplicemente erano stati scartati perché gli ucraini non riuscivano a capirne il complesso utilizzo. I sistemi russi sono progettati per essere raccolti e lanciati. Questo è il concetto di “guerra totale”: radicato nella filosofia è il presupposto di base secondo cui un pesante logoramento delle truppe alla fine degraderà la qualità dei coscritti, il che avrà un effetto a catena sull’uso efficace di macchinari “complessi”. L’Ucraina sta attualmente sperimentando questo, con una risorsa di manodopera già totalmente degradata che viene presa in giro con offerte come l’F-16 e altri sistemi altamente complessi che richiederebbero enormi sforzi per imparare anche a un veterano esperto in tempo di pace.

Ho inoltre sottolineato come i sistemi russi siano fatti per essere interoperabili e versatili proprio per questo motivo: quando il tuo capitale umano viene ridotto, vuoi sistemi che possano essere utilizzati da chiunque, comprese, se necessario, truppe provenienti da altri ruoli di combattimento adiacenti.

Per riassumere: se prendiamo come esempio la Seconda Guerra Mondiale, l’Occidente considera la sua dottrina di combattimento come se ruotasse intorno al 1941 come un’eterna primavera. La Russia si avvicina alla guerra con la mentalità che dovrà combattere nel 1944 e nel ’45: la consapevolezza intrinseca che il materiale sarà esaurito, le armature e i veicoli logori, le risorse umane saranno logorate e degradate in termini di qualità.

Basta ricordare tutte le recenti rivelazioni bomba che abbiamo avuto sull’equipaggiamento occidentale, e in particolare americano. Questa settimana è stato rivelato che l’F-35 ha una prontezza al combattimento senza precedenti pari al 29%, un fatto che nemmeno Lloyd Austin metterebbe in discussione:

Ciò è stato sottolineato non solo dalle rivelazioni sul fallimento totale dei GLSDB e dei JDAM-ER statunitensi, ma ora anche degli Excalibur, di cui ho scritto nel mio ultimo rapporto:

Le notizie di oggi ci portano la notizia bomba che anche gli intercettori americani hanno completamente fallito durante gli attacchi iraniani:

Chi può dimenticare la valanga di rapporti convalidati sui guasti dei mezzi corazzati occidentali in Ucraina per una serie di ragioni, dimostrando che sono semplicemente troppo ingegnerizzati per il combattimento moderno? Abrams, Leopards e Challenger sono stati tutti creati per dare priorità alla sicurezza a scapito di quasi ogni altro attributo possibile. Creando giganteschi relitti “impenetrabili”, hanno realizzato carri armati che non possono essere prodotti in serie e sono pieni di così tante complessità inutili che non possono essere mantenuti e sostenuti in una guerra di logoramento totale.

Gli Stati Uniti, ad esempio, sono orgogliosi delle proprie capacità di operazioni logistiche di massa, e i sostenitori affermeranno che hanno le risorse necessarie per sostenere il pieno dispiegamento dei suoi macchinari più avanzati come l’Abrams. Certo, richiedono molte ore di lavoro di manutenzione e aggiustamento per ogni ora di combattimento di schieramento, e i loro filtri devono essere cambiati letteralmente dopo ogni breve marcia, come hanno rivelato molte volte gli operatori ucraini, ma gli Stati Uniti hanno l’infrastruttura per gestire questa situazione durante azioni di polizia in stile COIN a bassa intensità.

Ma cosa accadrebbe, ad esempio, in uno scontro con la Russia? Immaginate alcuni Iskander russi che eliminano i centri di manutenzione delle retrovie che sono essenziali per mantenere operativi gli Abrams, grandi hub che non possono essere nascosti o dispersi? Cosa succede allora? Una forza NATO sotto un attacco così dirompente si ritirerebbe rapidamente, perché i suoi macchinari non sono fatti per un rapido sostentamento al volo. I carri armati russi, d’altro canto, possono essere rapidamente potenziati e mantenuti letteralmente in prima linea. Certo, potrebbero essere leggermente meno precisi, leggermente meno protetti, leggermente meno belli, ma sono fatti per resistere e sostenere una lunga guerra di logoramento totale.

RUSI passa al fattore economico:

Le armi di fascia alta hanno prestazioni eccezionali ma sono difficili da produrre, soprattutto quando necessarie per armare un esercito rapidamente mobilitato e soggetto a un alto tasso di logoramento. Ad esempio, durante la Seconda Guerra Mondiale i Panzer tedeschi erano carri armati eccellenti, ma utilizzando all’incirca le stesse risorse produttive, i sovietici lanciarono otto T-34 per ogni Panzer tedesco. La differenza di rendimento non giustificava la disparità numerica nella produzione. Le armi di fascia alta richiedono anche truppe di fascia alta. Questi richiedono molto tempo per essere addestrati, tempo che non è disponibile in una guerra con alti tassi di attrito.

L’ultima riga in particolare rafforza tutto ciò che ho appena trattato riguardo alla qualità e all’addestramento delle truppe. E ancora una volta, ribadiscono il punto più importante, evidenziato di seguito:

È più facile e veloce produrre un gran numero di armi e munizioni a basso costo, soprattutto se i loro sottocomponenti sono intercambiabili con beni civili, garantendo quantità di massa senza l’espansione delle linee di produzione. Le nuove reclute assimilano anche le armi più semplici più velocemente, consentendo la rapida generazione di nuove formazioni o la ricostituzione di quelle esistenti.

Questo è il motivo per cui ho detto che sarebbe stata la mia rara occasione per vantarmi: stanno praticamente trascrivendo il mio articolo sopra pubblicato pensiero per pensiero, eppure qui avevamo capito tutto molto tempo fa, e i ritardatari think tank occidentali stanno iniziando solo ora a capire questa idea rivoluzionaria. Ci vorranno ancora anni prima che la conoscenza arrivi a livello istituzionale, e a quel punto probabilmente sarà troppo tardi.

Apparentemente è di tale importanza critica che continuano a approfondire il punto anche nella sezione successiva. Con Force Generation tentano di distinguere tra i due modelli mondiali in competizione, la quintessenza della scuola “NATO” rispetto a quella “sovietica”. In tal modo espongono alcuni punti molto essenziali e penetranti riguardo all’argomento di cui sopra.

A questo punto stanno semplicemente copiando i miei compiti. Questo è il motivo per cui posso affermare con sicurezza che i lettori qui sono ben più avanti rispetto a tutti i think tank e le istituzioni politiche occidentali di almeno 6 mesi o un anno. Tutti i progressi più all’avanguardia e dirompenti vengono svelati e discussi qui molto prima che gli esperti della critica occidentale mettano le mani sulle nostre briciole.

Praticamente tutto ciò che scrivono sulle differenze NCO fa eco a ciò che ho già ampiamente delineato non solo nell’articolo precedente, ma anche in questo:

Miti e realtà dei sistemi NCO russi/NATO

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3 SETTEMBRE 2023
Miti e realtà dei sistemi NCO russi/NATO
Qualche giorno fa il corrispondente di guerra russo Sladkov ha pubblicato un post interessante in cui mostrava due nuovi video di esperti militari occidentali/filo-ucraini che entrano nel dettaglio nel descrivere le tattiche e le forze militari russe nel conflitto ucraino.
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Ma questa non è la fine della storia, continuano a toccare ancora di più i nostri punti precedenti:

L’Unione Sovietica ha costruito il suo esercito per un conflitto su larga scala con la NATO. Doveva essere in grado di espandersi rapidamente richiamando riserve ammassate. Ogni maschio nell’Unione Sovietica seguiva due anni di formazione di base subito dopo la scuola superiore. Il costante turnover del personale arruolato precludeva la creazione di un corpo sottufficiali in stile occidentale, ma generava un enorme bacino di riserve semi-addestrate disponibili in tempo di guerra. L’assenza di sottufficiali affidabili ha creato un modello di comando incentrato sugli ufficiali, meno flessibile di quello della NATO ma più adattabile all’espansione su larga scala richiesta dalla guerra di logoramento. 

Tuttavia, man mano che la guerra avanza oltre la soglia di un anno, le unità di prima linea acquisiranno esperienza ed è probabile che emerga un corpo sottufficiali migliorato, dando al modello sovietico una maggiore flessibilità. Nel 1943 l’ Armata Rossa aveva sviluppato un robusto corpo di sottufficiali , che poi scomparve dopo la seconda guerra mondiale con la smobilitazione delle formazioni di combattimento. Una differenza fondamentale tra i modelli è che la dottrina della NATO non può funzionare senza sottufficiali ad alte prestazioni. La dottrina sovietica era rafforzata da sottufficiali esperti ma non li richiedeva.

Che ne dici di un’ammissione mostruosa?

“La NATO non può funzionare senza sottufficiali ad alte prestazioni” … che già avevano detto non esisterebbero in una “guerra totale” logorante perché verrebbero lentamente logorati.

La “scuola sovietica”, invece, era “arricchita da” sottufficiali esperti, ma “non ne aveva bisogno”.

Guardandola in questo modo, la NATO tratta i suoi sottufficiali allo stesso modo dei suoi macchinari meticolosi e sovraingegnerizzati. Sono fantastici all’inizio, ma una volta che le cose iniziano a deteriorarsi nei mesi e negli anni logoranti di lunghi combattimenti su scala paritaria, sei SOL.

Certo, non ho mai detto che un sistema sia incomparabilmente superiore all’altro: se leggi gli articoli che ho pubblicato, mi sono sempre preso la briga di sottolineare che è un atto di equilibrio e ognuno ha i suoi pro e contro. Il mio approccio talvolta aggressivo nei confronti del sistema NATO è semplicemente una reazione all’ingiustificata spavalderia dell’Occidente riguardo al dominio supremo del proprio sistema.

In effetti, nella loro conclusione, la RUSI è d’accordo, il che rappresenta un grande shock per un’istituzione occidentale così autorevole ammettere finalmente che il loro sistema non è semplicemente superiore prima facie:

Il modello più efficace è un misto dei due , in cui uno Stato mantiene un esercito professionale di medie dimensioni, insieme ad una massa di reclute disponibili per la mobilitazione. Ciò porta direttamente a una miscela alto/basso. Le forze professionali prebelliche costituiscono la fascia alta di questo esercito, diventando vigili del fuoco e spostandosi di settore in settore in battaglia per stabilizzare la situazione e condurre attacchi decisivi. Le formazioni di fascia bassa mantengono la linea e acquisiscono esperienza lentamente, aumentando la loro qualità finché non acquisiscono la capacità di condurre operazioni offensive. La vittoria si ottiene creando formazioni di fascia bassa della massima qualità possibile. 

La trasformazione di nuove unità in soldati capaci di combattere invece che in mob civili avviene attraverso l’addestramento e l’esperienza di combattimento. Una nuova formazione dovrebbe addestrarsi per almeno sei mesi e solo se composta da riservisti con precedente addestramento individuale. I coscritti impiegano più tempo.

Si noti che ciò che descrivono sopra è letteralmente ciò che la Russia ha fatto nell’SMO fino alla parola.

Usare le forze contrattualizzate esperte come vigili del fuoco/di manovra mentre i mobik verdi sono per lo più scalda-trincee di secondo livello? Controllo.

Addestrare i mobiks per circa 6 mesi prima della distribuzione? Controllo. Anche se ovviamente c’erano alcune eccezioni, molti dei quali venivano schierati più rapidamente, ma ciò era spesso dovuto al fatto che avevano esperienza o livelli di formazione più urgenti. Ma ricordate i miei primi articoli in cui insistevo senza fiato sul motivo per cui la Russia non stava lanciando l’attesa “offensiva della grande freccia” all’inizio del 2023, poiché spiegavo che potrebbero volerci dai 6 ai 9 mesi prima che le truppe mobilitate nel settembre 2022 siano pienamente formate, suddividendo la formazione in step precisi; 1-2 mesi per il combattimento e la ricertificazione delle armi; 1-2 mesi di acclimatazione di piccole unità; poi 1-2 mesi per l’assorbimento e l’orientamento di formazioni/brigate più grandi.

La sezione successiva concorda anche con il modo in cui la Russia ha trattato la mobilitazione e la gestione delle forze:

Queste unità dovrebbero anche avere soldati professionisti e sottufficiali portati dall’esercito prebellico per aggiungere professionalità. Una volta completata la formazione iniziale, dovrebbero essere inseriti nella battaglia solo nei settori secondari. Nessuna formazione dovrebbe poter scendere al di sotto del 70% della forza. Il ritiro anticipato delle formazioni consente all’esperienza di proliferare tra i nuovi rimpiazzi man mano che i veterani trasmettono le loro abilità. In caso contrario, si perderà preziosa esperienza e il processo ricomincerà da capo. Un’altra implicazione è che le risorse dovrebbero dare priorità ai rimpiazzi rispetto alle nuove formazioni, preservando il vantaggio di combattimento sia nell’esercito prebellico (alto) che nelle formazioni appena reclutate (basse). È consigliabile sciogliere diverse formazioni prebelliche (di fascia alta) per distribuire soldati professionisti tra le formazioni di fascia bassa appena create al fine di aumentare la qualità iniziale.

Non solo abbiamo la conferma dai think tank occidentali e dalle più alte cariche della stessa Ucraina che la Russia si attiene a rigide politiche di reclutamento e ripristino del personale delle brigate, ruotando costantemente le truppe e non lasciando mai che le brigate si esauriscano in modo critico come le AFU sono costrette a fare, ma ricordiamo come La Russia ha utilizzato veterani esperti di Wagner esattamente nel modo sopra descritto. Hanno “distribuito” Wagner e altre unità esperte in tutta la formazione, aggiungendoli sia alle forze Akhmat che a Rosgvardia, portandoli persino ad addestrare le truppe bielorusse. Ad esempio, ricordiamo questo rapporto dell’ISW dell’inizio di quest’anno che, a malincuore, attestava le rotazioni del personale professionale in Russia:

In breve, la Russia aderisce rigorosamente al programma di gestione ideale sia delle forze che della conoscenza, della saggezza e dell’esperienza sul campo di battaglia, facendo tutto il possibile per assicurarsi che la conoscenza assolutamente vitale acquisita dai guerrieri più esperti non venga mai sprecata ma sempre moltiplicata e utilizzata. al massimo.

Questa “etica” si riflette anche nelle più alte cariche statali, ad esempio nei recenti decreti di Putin secondo cui le redini dell’intero stato russo dovrebbero essere ereditate dagli eroi e dai veterani di combattimento dell’SMO:

Vale a dire, i beni immateriali essenziali acquisiti dall’SMO vengono investiti di una qualità sacra in Russia, e questo si riflette su tutta la struttura dell’apparato statale e delle forze armate.

Nella penultima sezione, premettono un importante punto imminente descrivendo innanzitutto il “campo di battaglia moderno” come un ambiente integrato composto da vari tipi di armi e altri sistemi elettronici, ripetendo il noto aforisma secondo cui è “più facile ammassare incendi che forze. ”

La manovra in profondità, che richiede l’accumulo di potenza di combattimento, non è più possibile perché qualsiasi forza ammassata verrà distrutta da fuochi indiretti prima che possa raggiungere il successo in profondità. Invece, un’offensiva di terra richiede una stretta bolla protettiva per respingere i sistemi d’attacco nemici. Questa bolla viene generata attraverso la stratificazione di risorse di contro-fuoco amichevole, difesa aerea ed EW. Lo spostamento di numerosi sistemi interdipendenti è estremamente complicato e difficilmente avrà successo. Gli attacchi superficiali lungo la linea anteriore delle truppe hanno maggiori probabilità di avere successo a un rapporto di costo accettabile; i tentativi di penetrazione profonda saranno esposti a fuochi ammassati nel momento in cui escono dalla protezione della bolla difensiva.

La premessa di cui sopra è familiare alla maggior parte di noi.

Proseguono affermando che l’integrazione riuscita di tutti i sistemi complessi necessari per avanzare sul campo di battaglia moderno richiede molto lavoro e formazione:

L’integrazione di queste risorse sovrapposte richiede una pianificazione centralizzata e personale eccezionalmente ben addestrato , in grado di integrare molteplici capacità al volo. Ci vogliono anni per addestrare tali ufficiali e anche l’esperienza di combattimento non genera tali abilità in breve tempo. Liste di controllo e procedure obbligatorie possono alleviare queste carenze, ma solo su un fronte statico e meno complicato. Le operazioni offensive dinamiche richiedono tempi di reazione rapidi, che gli ufficiali semiaddestrati non sono in grado di eseguire.

La parte successiva è in accordo con qualcos’altro che ho sottolineato in passato, in articoli come questo e altri all’epoca della controffensiva ucraina, quando sorsero domande su come una moderna forza combattente avrebbe dovuto superare i principali ostacoli “insormontabili” del moderno campo di battaglia: mine, droni, ISR onnisciente, armi guidate altamente precise, ecc.

Ho spiegato che non esiste un unico proiettile d’argento, come sembravano cercare molti esperti occidentali o ucraini, ad esempio Zaluzhny con i suoi piani di robot sotterranei che sparano al plasma e che potrebbero aggirare i campi minati.

No, il modo per risolvere il dilemma moderno è disporre di una forza armata combinata altamente addestrata e altamente integrata che possa simultaneamente effettuare l’applicazione con successo di tutte le modalità delle operazioni sul campo di battaglia da EW, ricognizione/ISR, manovra corazzata combinata, assistenza alle operazioni speciali e anche effetti psicologici diversivi.

In sostanza, ciò significa essere in grado di identificare al volo nidi anti-corazzati, batterie e unità droni nemici tramite ISR mentre il proprio pugno corazzato si fa strada. Ma ciò richiede un’incredibile quantità di coordinamento, che si basa sul funzionamento assolutamente fluido delle risorse netcentriche che consentono agli elementi avanzati di comunicare informazioni al volo, come le posizioni dei nemici o delle batterie appena avvistate, alle batterie posteriori, alle squadre di droni, ecc., in ordine per neutralizzarli molto rapidamente prima che possano distruggere il gruppo corazzato amico che avanza. Ciò si estende ulteriormente agli EW amichevoli che possono comunicare efficacemente con le risorse droni vicine per condurre con successo la negazione dell’area sulle risorse nemiche senza annullare totalmente quelle amichevoli nel processo.

Tutto quanto sopra, che ho spiegato in dettaglio più volte in precedenza, ora trova una straordinaria eco nel team RUSI, quasi parola per parola. Lo dico non per vantarmi ma semplicemente per ribadire il fatto che queste tattiche vengono di fatto ora convalidate dai massimi “esperti” occidentali.

Dalla loro sezione successiva:

Un esempio di questa complessità è un attacco da parte di un plotone di 30 soldati. Ciò richiederebbe che i sistemi EW bloccassero i droni nemici; un altro sistema EW per disturbare le comunicazioni nemiche impedendo la regolazione dei fuochi nemici; e un terzo sistema EW per bloccare i sistemi di navigazione spaziale negando l’uso di munizioni guidate di precisione. Inoltre, gli incendi richiedono radar di controbatteria per sconfiggere l’artiglieria nemica. A complicare ulteriormente la pianificazione è il fatto che l’EW nemico localizzerà e distruggerà qualsiasi radar amico o emettitore EW che emette per troppo tempo. Gli ingegneri dovranno liberare i percorsi attraverso i campi minati, mentre i droni amichevoli forniranno ISR sensibile al tempo e supporto antincendio, se necessario. (Questo compito richiede un grande addestramento con le unità di supporto per evitare di sganciare munizioni sulle truppe amiche attaccanti.) Infine, l’artiglieria deve fornire supporto sia sull’obiettivo che sulle retrovie nemiche, prendendo di mira le riserve e sopprimendo l’artiglieria. Tutti questi sistemi devono funzionare come una squadra integrata solo per supportare 30 uomini su diversi veicoli che attaccano altri 30 uomini o meno. Una mancanza di coordinamento tra queste risorse si tradurrà in attacchi falliti e perdite orribili senza nemmeno vedere il nemico. Con l’aumento delle dimensioni delle operazioni di gestione della formazione, aumentano anche il numero e la complessità delle risorse che devono essere integrate.

Ma la sezione finale è semplicemente sconvolgente. È difficile immaginare che gli autori RUSI siano in grado di battere i tasti senza che un estremo dispiacere arrossisca le loro guance e inumidisca le loro fronti.

Perché, esattamente? Perché, dopo aver spiegato come la forza di combattimento moderna ideale può condurre efficacemente un’offensiva sul campo di battaglia moderno, ormai incomprensibile e spinoso, il team RUSI in effetti ammette che le forze armate russe hanno effettivamente applicato con successo praticamente tutti i precetti delineati, il che li rende l’unica forza combattente al mondo in grado finora di risolvere con successo il paradosso del moderno campo di battaglia.

Ma prima di arrivare a questo punto, alla fine della sezione, si comincia con un’altra prefazione.

Gli incendi profondi – oltre 100-150 km (la portata media dei razzi tattici) dietro la linea del fronte – prendono di mira la capacità del nemico di generare potenza di combattimento. Ciò include impianti di produzione, depositi di munizioni, depositi di riparazione e infrastrutture energetiche e di trasporto. Di particolare importanza sono gli obiettivi che richiedono notevoli capacità produttive e che sono difficili da sostituire/riparare, poiché la loro distruzione causerebbe danni a lungo termine. Come per tutti gli aspetti della guerra di logoramento, tali attacchi richiederanno molto tempo per avere effetto, con tempistiche che durano anni.

Innanzitutto, l’ultima frase evidenziata da sola è una grande ammissione. Qui delineano letteralmente la strategia della Russia, che non solo loro stessi hanno già criticato in passato, ma lo hanno fatto anche tutti i loro colleghi della stampa occidentale. La narrativa corrente era che la Russia stesse “lottando” in uno “stallo posizionale”, ma cosa abbiamo qui? All’improvviso, stanno ammettendo che la Russia in realtà sta perseguendo un metodico degrado da manuale delle infrastrutture produttive critiche dell’Ucraina attraverso incendi profondi, come prescritto precisamente dal loro stesso manuale di cui sopra. Ci vogliono diversi anni , dicono, per degradare le strutture critiche del tuo avversario in una vera guerra di logoramento. Questo è esattamente ciò che sta facendo la Russia: all’improvviso quella “linea di contatto a movimento lento” non è più così degna di critica, vero?

Proseguono con la bomba successiva, ancora più grande, dando credito a ciò che abbiamo appena detto:

Il successo di una guerra di logoramento si concentra sulla preservazione della propria potenza di combattimento. Questo di solito si traduce in un fronte relativamente statico interrotto da limitati attacchi locali per migliorare le posizioni, utilizzando l’artiglieria per la maggior parte dei combattimenti. Fortificare e nascondere tutte le forze, compresa la logistica, è la chiave per ridurre al minimo le perdite. Il lungo tempo necessario per costruire le fortificazioni impedisce significativi movimenti del terreno. Una forza attaccante che non può trincerarsi rapidamente subirà perdite significative a causa del fuoco dell’artiglieria nemica. 

Le operazioni difensive fanno guadagnare tempo per sviluppare formazioni di combattimento di basso livello, consentendo alle truppe appena mobilitate di acquisire esperienza di combattimento senza subire pesanti perdite in attacchi su larga scala. La creazione di formazioni di combattimento esperte di basso livello genera la capacità per future operazioni offensive.

Questo è stupefacente.

Dopo due anni passati a rastrellare le forze armate russe sulla brace dell’invidia, i più prestigiosi think tank occidentali ora ammettono apertamente che la Russia sta seguendo esattamente le regole della guerra di logoramento perseguita con successo?

Qui ammettono che tale “guerra di logoramento di successo” consiste in realtà in un “fronte relativamente statico” interrotto solo da “attacchi limitati” con l’artiglieria che fa la maggior parte dei combattimenti, cioè uccide.

Ciò conferma ciò che molti altri si sono finalmente resi conto e hanno detto, ad esempio il comandante dei carri armati dell’esercito americano di cui ho recentemente parlato nell’intervista . Se ricordate, ha anche ammesso che la NATO avrebbe dovuto passare all’attuazione della tattica russa, nota per nota, con attacchi limitati di piccole dimensioni per limitare le vittime di massa.

Ma c’è di più: è un’ammissione implicita che la Russia in realtà sta logorando la manodopera ucraina proprio come tutti noi affermiamo. Ogni punto descritto finora è praticamente un manuale preciso delle operazioni russe in corso. La Russia avanza lentamente preservando la propria potenza di combattimento attraverso attacchi limitati e localizzati, degradando nel contempo la capacità produttiva delle retrovie del nemico attraverso fuochi profondi, che secondo la RUSI ci vogliono anni per realizzare.

Hanno letteralmente scritto il manuale per vincere la guerra moderna, e la Russia ha spuntato accuratamente ogni punto della lista di controllo. È una confessione notevole per l’Occidente.

La seconda metà del segmento finale descrive analogamente parola per parola l’apertura dell’SMO russo, per poi fare la sorprendente ammissione finale che deve essere letta per crederci. Notiamoli ciascuno a turno:

Le prime fasi di una guerra di logoramento vanno dall’inizio delle ostilità al punto in cui le risorse mobilitate sono disponibili in gran numero e pronte per le operazioni di combattimento.

Controllo.

Nel caso di un attacco a sorpresa, può essere possibile una rapida offensiva da parte di una parte finché il difensore non riesce a formare un fronte solido. Successivamente, il combattimento si assesta. Questo periodo dura almeno un anno e mezzo o due anni.

Controllo.

Durante questo periodo, dovrebbero essere evitate importanti operazioni offensive. Anche se i grandi attacchi hanno successo, provocheranno perdite significative, spesso per guadagni territoriali insignificanti.

Controllo. Ricordate come hanno criticato la Russia per aver combattuto posizionalmente mentre logorava le AFU? Ora entra in prospettiva.

E infine, il filone materno:

Un esercito non dovrebbe mai accettare una battaglia a condizioni sfavorevoli. Nella guerra di logoramento, qualsiasi terreno che non abbia un centro industriale vitale è irrilevante. È sempre meglio ritirarsi e preservare le forze, indipendentemente dalle conseguenze politiche. Combattere su terreni svantaggiosi brucia le unità, perdendo soldati esperti che sono fondamentali per la vittoria.

Esiste un facepalm abbastanza grande da sopportare l’Occidente collettivo?

Dopo aver urlato per due anni in giro per il fatto che la Russia avesse abbandonato le posizioni svantaggiose di Kherson e Kharkov, ora ammettono tranquillamente nei piccoli scantinati polverosi dei loro think tank che la Russia stava in realtà conducendo un ritiro da manuale in una guerra di logoramento, preservando le proprie unità chiave. e forza di combattimento combattendo solo su condizioni e terreni favorevoli .

Continuano anche a sottolineare il punto con un esempio storico:

L’ossessione tedesca per Stalingrado nel 1942 è un ottimo esempio di lotta su terreno sfavorevole per ragioni politiche. La Germania bruciò unità vitali che non poteva permettersi di perdere, semplicemente per catturare una città che portava il nome di Stalin.

Suona familiare? Mariupol, Bakhmut, Avdeevka e altri vi dicono qualcosa?

E il kicker?

Quando inizia la seconda fase, l’offensiva dovrebbe essere lanciata su un ampio fronte, cercando di sopraffare il nemico in più punti utilizzando attacchi superficiali. L’intento è quello di rimanere all’interno della bolla stratificata dei sistemi protettivi amici, mentre si sfruttano le riserve nemiche esaurite fino al collasso del fronte.

Può essere più selvaggio di così? Stanno letteralmente descrivendo nota per nota l’attuale strategia russa fino all’ultimo minuto, fingendo tuttavia di attribuirla a una saggezza strategica astratta più ampia, come se fossero loro a capirlo, mentre Gerasimov ha già cantato casualmente queste istruzioni fin dall’inizio. Dall’inizio.

Si verifica un effetto a cascata in cui una crisi in un settore costringe i difensori a spostare le riserve da un secondo settore, solo per generare a loro volta una crisi lì. Mentre le forze iniziano a ritirarsi e ad abbandonare le fortificazioni preparate, il morale crolla, con l’ovvia domanda: “Se non riusciamo a mantenere la mega-fortezza, come possiamo mantenere queste nuove trincee?” La ritirata si trasforma poi in disfatta. Solo allora l’offensiva dovrebbe estendersi verso obiettivi più profondi nelle retrovie nemiche. L’offensiva degli Alleati del 1918 ne è un esempio. Gli Alleati attaccarono lungo un ampio fronte, mentre i tedeschi non avevano risorse sufficienti per difendere l’intera linea. Una volta che l’esercito tedesco iniziò a ritirarsi, si rivelò impossibile fermarsi.

Beh, sì. Ora stanno descrivendo la fase successiva dell’operazione russa. Le linee ucraine stanno finalmente rasentando un punto di rottura in cui l’introduzione di una nuova direzione e un avanzamento più profondo potrebbero far precipitare un effetto di collasso a valanga, nel caso in cui l’Ucraina non riuscisse a invertire la tendenza mobilitando un gran numero di nuove riserve.

Infine, descrivono la strategia russa incentrata in particolare sull’offensiva estiva dell’Ucraina del 2023. È per questo motivo che Shoigu – denigrato da molti – ha riferito casualmente che l’intero anno era stato dedicato semplicemente al logoramento delle AFU a Zaporozhye, Khrynki-Kherson, ecc.

La strategia di logoramento, incentrata sulla difesa, è controintuitiva per la maggior parte degli ufficiali militari occidentali. Il pensiero militare occidentale vede nell’offensiva l’unico mezzo per raggiungere l’obiettivo strategico decisivo di costringere il nemico a sedersi al tavolo delle trattative a condizioni sfavorevoli. La pazienza strategica necessaria per creare le condizioni per un’offensiva va contro l’esperienza di combattimento acquisita nelle operazioni di controinsurrezione all’estero.

Inoltre, completano il tutto ammettendo che l’Occidente è incapace di condurre la guerra in un modo tale che i loro ufficiali ritengono che quanto sopra sia controintuitivo rispetto al loro “addestramento”.

In sostanza, concludono che l’Occidente non ha la minima idea della guerra moderna e che la Russia non sta solo scrivendo le regole, ma sta anche istruendo l’Occidente affetto da ADHD.

Concludono con questi pensieri finali:

Sfortunatamente, molti in Occidente hanno un atteggiamento molto sprezzante secondo cui i futuri conflitti saranno brevi e decisivi. Ciò non è vero proprio per le ragioni sopra esposte. Anche le potenze globali di medie dimensioni dispongono sia della geografia che della popolazione e delle risorse industriali necessarie per condurre una guerra di logoramento. Il pensiero che una grande potenza si ritirerebbe nel caso di una sconfitta militare iniziale è, nella migliore delle ipotesi, un pio desiderio. Qualsiasi conflitto tra grandi potenze sarebbe visto dalle élite avversarie come esistenziale e perseguito con tutte le risorse a disposizione dello Stato. La guerra che ne risulterà diventerà logorante e favorirà lo Stato che possiede l’economia, la dottrina e la struttura militare più adatte a questa forma di conflitto.

Se l’Occidente è serio riguardo a un possibile conflitto tra grandi potenze, deve esaminare attentamente la propria capacità industriale, la dottrina della mobilitazione e i mezzi per condurre una guerra di lunga durata, piuttosto che condurre giochi di guerra che coprano un solo mese di conflitto e sperare che la guerra finisca, non terminare dopo. Come ci ha insegnato la guerra in Iraq, la speranza non è un metodo.

Il “potere medio” si riferisce chiaramente a paesi come l’Iran e la Corea del Nord, che possono apparire economicamente deboli rispetto all’Occidente finanziarizzato e inflazionato, ma che hanno vaste capacità produttive per le armi più basilari ed essenziali, come i proiettili di artiglieria, che possono sostenere un guerra di logoramento a tempo indeterminato. Questo è un ovvio avvertimento per l’Occidente che l’Iran è pienamente in grado di portare avanti una guerra attraverso i suoi delegati nello Yemen e altrove, che sommergerebbe le potenze egemoniche militarmente ed economicamente per generazioni, trasformando i principali punti di strozzatura globale in infiniti e intrattabili campi di battaglia di logoramento.

Questo rapporto RUSI rappresenta l’apoteosi epistemologica finale, il “raggiungimento della maggiore età” di tutte le attualizzazioni occidentali sulla vera natura dell’approccio militare russo – e nonostante molti singhiozzi, si potrebbe anche dire brillante – nel conflitto ucraino e, per estensione, in tutta la guerra moderna. . La domanda più grande che ci lascia, che enunciano pienamente nel paragrafo finale, è cosa può fare l’Occidente per mettersi al passo con queste necessità assiomatiche. Sfortunatamente per loro, tutte le misure prescritte dalla RUSI sono in contrasto con la direzione generale dello sviluppo dell’Occidente, sia a livello economico che sociale.

Ad esempio, si concentrano sulla mobilitazione per una guerra di lunga durata – ovvero che l’Occidente istituisca la coscrizione obbligatoria – sulla capacità industriale e sulla cultura MIC; ma queste sono tutte cose troppo lontane per essere corrette. Sono proprio questi i settori in cui l’Occidente ha rinunciato a combattere. Il loro capitale umano è a un livello storico di declino, con la nascente generazione di giovani occidentali che odiano allo stesso modo il governo e il servizio militare, per non parlare del fatto che sono del tutto mentalmente e fisicamente inadatti a questo a causa di una cultura di decadenza. Anche le loro economie stanno crollando, con le industrie della difesa svuotate da un rictus finanziarizzato che serve solo ad alimentare i golosi giganti delle aziende della difesa i cui portafogli e filosofie di progettazione ora ruotano interamente attorno al mero profitto e all’arricchimento azionario. Tali comportamenti, consolidatisi nel corso di diverse generazioni, non possono essere annullati rapidamente: occorrerebbero altrettante generazioni per invertire il danno e cambiare rotta.

Intendiamoci, anche la Russia ha i suoi problemi e la sua corruzione: ma li combatte molto più attivamente. Non ultima la prova è la recente tempesta di fuoco che ha circondato il viceministro della Difesa Timur Ivanov e una serie di personaggi associati che continuano a essere arrestati per corruzione mentre parliamo. Proprio la scorsa settimana sono stati arrestati diversi esponenti del governo russo per aver truffato fondi, dimostrando che la Russia sta reprimendo duramente la corruzione, mentre l’Occidente la premia. Ancora una volta, vi rimando al video precedente di Putin, che espone chiaramente la sua visione della società e della governance russa dopo la fine del suo regno. La sua visione è quella di costruire un nuovo Stato russo basato sui pilastri di comprovata lealtà e servizio alla nazione e al suo popolo.

Naturalmente, un Occidente combinato in decadenza rappresenta ancora una grave minaccia per la Russia, indipendentemente dai vantaggi filosofici e strategicamente concettuali di cui gode la Russia; ed è per questo che la situazione resterà pericolosa anche nel prossimo futuro.


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Esaminare il “multiallineamento” nell’Asia-Pacifico, di Rodger Baker

Esaminare il “multiallineamento” nell’Asia-Pacifico

29 aprile 2024 | 09:00 GMT

A 3D rendering of Southeast Asia from space at night with city lights showing Southeast Asian cities in Thailand, Vietnam, Malaysia, Singapore and Indonesia.

Un rendering 3D del Sud-Est asiatico dallo spazio, di notte, con le luci delle città che mostrano le città del Sud-Est asiatico in Thailandia, Vietnam, Malesia, Singapore e Indonesia.

(NICOELNINO/NASA via Getty Images)

Nell’Asia-Pacifico si stanno creando nuove relazioni e rinvigorendo i vecchi legami, mentre i Paesi della regione si adattano alle crescenti preoccupazioni per la sicurezza, all’incertezza delle relazioni e delle politiche tra Stati Uniti e Cina e al ritorno di un sistema mondiale multipolare.

Dopo l’insediamento del presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. nel giugno del 2022, Manila ha rapidamente rafforzato la cooperazione in materia di sicurezza con gli Stati Uniti e ha avviato discussioni che hanno infine ampliato l’ingombro delle forze statunitensi nell’arcipelago filippino. Ma le Filippine, alleate degli Stati Uniti e da tempo componente chiave dell’architettura di sicurezza americana in Asia, non stanno concentrando i propri legami di sicurezza solo su Washington. Al contrario, Manila sta espandendo le sue relazioni di difesa e sicurezza anche con i vicini Indonesia e Vietnam, con le potenze regionali (tra cui Australia, India, Giappone e Corea del Sud) e con Paesi europei come Francia e Germania.

I tentativi di Manila di assicurarsi una rete multinazionale di legami di sicurezza riflettono un modello sempre più comune in tutta la regione. Piuttosto che essere costretti a entrare in un “campo” statunitense o cinese, o cercare di rimanere indipendenti e non allineati, molti Paesi stanno perseguendo legami di sicurezza, economici e politici che forse si adattano meglio a quello che è stato definito “multiallineamento”. In una strategia di multiallineamento, i Paesi cercano il maggior numero possibile di partner per isolarsi dalle vulnerabilità che derivano dal puntare tutto su un unico paniere.

A differenza della NATO nel Nord Atlantico, la regione indo-pacifica non ha un quadro di sicurezza regionale unico. I tentativi passati, come la Southeast Asia Treaty Organization del 1954-77, sono falliti, mentre altri quadri regionali sono incentrati sugli Stati Uniti, tra cui il Quad (Quadrilateral Security Dialogue) tra Australia, India, Giappone e Stati Uniti e il più recente AUKUS tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti.

Per gran parte del periodo successivo alla Guerra Fredda, gli Stati Uniti sono stati saldamente al centro dell’architettura di sicurezza regionale, grazie alla loro forte presenza in Corea del Sud e in Giappone, alla loro presenza a rotazione nelle Filippine o ai loro legami storici con Singapore e l’Australia. Mentre l’Australia ha mantenuto alcuni accordi di cooperazione in materia di sicurezza con diverse nazioni insulari del Pacifico, molti legami di sicurezza con il Sud-Est asiatico o tra l’Asia nord-orientale e l’Oceania sono avvenuti attraverso gli Stati Uniti. I legami di difesa della Corea del Sud con il Giappone, ad esempio, si svolgono in un contesto trilaterale (quando si svolgono), con gli Stati Uniti come punto centrale. Inoltre, le incursioni dell’Australia a nord dell’arcipelago indonesiano sono state spesso concertate con gli Stati Uniti. Anche gran parte dell’impegno regionale dell’India rientra nel quadro del Quad.

Questa dinamica è cambiata nell’ultimo decennio, in particolare negli ultimi anni, in seguito alla crescente potenza e assertività regionale cinese. Ad esempio, Paesi come l’Indonesia, che in passato si erano accontentati di rimanere relativamente neutrali e di non preoccuparsi troppo del difficile contesto di sicurezza nel Mar Cinese Meridionale, si sono trovati ad affrontare nuove sfide quando la Cina ha normalizzato ulteriormente le sue rivendicazioni sulle aree all’interno, e talvolta al di là, della cosiddetta linea a nove linee. L’Australia, la Corea del Sud e persino la Nuova Zelanda, che avevano cercato di mantenere stretti legami economici con la Cina e di rimanere fuori dalle dispute di sicurezza regionale o dalle questioni relative alla sovranità di Taiwan, hanno iniziato a ripensare alla loro capacità di rimanere isolati dalle sfide della sicurezza regionale e hanno iniziato a ridisegnare le loro posizioni e politiche di difesa. Il Giappone, che ha aumentato lentamente ma costantemente le proprie capacità militari e le proprie aree operative, ha intensificato il proprio impegno regionale, ampliando la definizione delle esportazioni di armi consentite e negoziando accordi per l’addestramento e le operazioni congiunte nei Paesi del Sud-Est asiatico.

Indo-Pacific Bilateral Security Arrangements

L'”ascesa” della Cina è una spiegazione parziale dell’espansione dei legami di difesa regionali, ma c’è anche la preoccupazione per il potenziale costo politico di una più stretta integrazione della difesa con gli Stati Uniti e per la dubbia affidabilità di Washington come partner primario. Molti Paesi regionali hanno cercato di mantenere i loro legami militari bilaterali con gli Stati Uniti separati dalle più ampie azioni militari statunitensi globali. La Corea del Sud, ad esempio, non permette alle forze statunitensi basate sul suo territorio di dispiegarsi in altre contingenze internazionali e nel 2004, in mezzo a un battibecco con Seul su questa restrizione, gli Stati Uniti hanno ridotto le loro forze in Corea del Sud per dirottarle in Iraq. Nello stesso periodo, Seoul e Washington erano impegnate in colloqui più ampi su una futura riduzione ancora maggiore delle forze statunitensi in Corea del Sud, un piano che i funzionari hanno avviato ma che alla fine è stato interrotto nel 2008 a causa dell’incertezza sulla salute dell’allora leader nordcoreano Kim Jong Il e dell’insediamento dell’allora presidente Lee Myung-bak in Corea del Sud, meno incline a placare il Nord.

La Corea del Sud può essere un caso unico, dato l’elevato numero di forze statunitensi stanziate in quel Paese e il conflitto in corso con il suo vicino settentrionale, ma le Filippine vengono spesso presentate come la lezione oggetto dell’eccessiva dipendenza dagli Stati Uniti e delle loro scarse prestazioni. Sotto l’ex presidente filippino Rodrigo Duterte, Manila ha ritardato e minacciato molti accordi di difesa con gli Stati Uniti, nonostante il precedente governo filippino avesse intentato e vinto una causa contro la Cina per il sequestro e lo sviluppo di isolotti nel Mar Cinese Meridionale. L’argomentazione principale di Duterte era che il sostegno all’alleanza militare statunitense aveva un costo politico ed economico elevato (soprattutto perché metteva a dura prova i legami economici con la Cina), ma i benefici effettivi per le Filippine in termini di sicurezza erano scarsi, poiché gli Stati Uniti avevano fatto ben poco per impedire alla Cina di occupare, costruire e infine fortificare posizioni chiave nel Mar Cinese Meridionale su scogliere e isolotti rivendicati dalle Filippine. Per Duterte, la lezione è stata che il sostegno agli Stati Uniti è costato opportunità economiche con la Cina, facendo perdere a Manila territori chiave vitali per la pesca e la difesa nazionale.

Per molti versi, l’argomentazione di Duterte, sebbene più aperta e decisa, è stata l’opinione prevalente nella regione, anche tra i Paesi con alleanze formali con gli Stati Uniti. Il Giappone, ad esempio, ha ripetutamente cercato di ottenere da Washington garanzie sul fatto che le sue isole contese Senkaku/Diaoyu rientrano nell’accordo di difesa tra Stati Uniti e Giappone. Tuttavia, Washington si è dimostrata riluttante a fornire garanzie concrete, dal momento che ufficialmente non prende posizione nella maggior parte delle dispute territoriali regionali e mantiene un elemento di ambiguità strategica riguardo alle “linee rosse” che possono far scattare l’intervento degli Stati Uniti. Inoltre, la Corea del Sud ha sollevato preoccupazioni nel 2010, dopo che la Corea del Nord aveva affondato la corvetta Cheonan, mentre Washington sembrava rifiutarsi di inviare una portaerei nel Mar Giallo in una dimostrazione di forza congiunta, per timore della risposta della Cina. Alla fine gli Stati Uniti hanno dispiegato la USS George Washington nel Mar Giallo, ma solo dopo che Pyongyang aveva bombardato un’isola sudcoreana periferica.

Nel 2017 Seul ha dovuto affrontare anche significative pressioni economiche da parte della Cina dopo aver permesso il dispiegamento di una batteria statunitense Terminal High-Altitude Area Defense nella penisola, ma non ha ricevuto alcuna speciale concessione economica o commerciale dagli Stati Uniti per mitigare l’impatto delle misure cinesi. Durante l’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump, la Corea del Sud ha incontrato notevoli difficoltà politiche nel rinnovare gli accordi di basing, poiché Washington ha chiesto un forte aumento dei pagamenti sudcoreani e ha messo in discussione il numero di truppe statunitensi dispiegate nella penisola coreana.

Gli esempi della Corea del Sud e delle Filippine, entrambi alleati chiave degli Stati Uniti, risuonano con altri Paesi della regione che non sono necessariamente integrati nell’architettura di difesa statunitense. L’Indonesia e la Nuova Zelanda, ad esempio, si sono chieste se legarsi maggiormente agli accordi di sicurezza statunitensi possa fornire un reale beneficio, mettendo a rischio i lucrosi legami commerciali con la Cina. Questo non ha fermato la cooperazione militare, in particolare nello spazio marittimo, né ha scoraggiato l’aumento del coordinamento civile e delle forze dell’ordine con gli Stati Uniti nel colpire la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata nella regione. Ma nessun Paese sta cercando di creare un’organizzazione simile alla NATO e molti continuano a diversificare la cooperazione in materia di difesa, mantenendo persino i legami con la Cina e la Russia mentre lavorano con gli Stati Uniti e i loro partner e alleati.

Per molti versi, questo non dovrebbe essere inaspettato. Come abbiamo sottolineato più volte nell’ultimo decennio, il mondo sta tornando a un sistema multipolare più tradizionale, invece dell’anomala struttura bipolare della Guerra Fredda. Un sistema multipolare è più complicato e meno prevedibile, ma offre anche maggiori opportunità alle potenze medie e piccole di muoversi tra le grandi potenze. Costruendo accordi di sicurezza multipolari, i Paesi possono evitare di essere trascinati nei conflitti di un altro Paese in teatri lontani, ridurre la vulnerabilità agli shock di approvvigionamento da un’unica fonte e, se sono intelligenti, limitare le ricadute economiche e politiche da parte di Paesi terzi che spesso accompagnano alleanze più formali e sfaccettate. Nell’Asia-Pacifico, dove non è mai esistita un’entità forte simile alla NATO, è più facile costruire accordi di sicurezza multiforme, poiché non c’è un forte richiamo da parte di un’organizzazione centrale.

Oltre alle manovre tra le grandi potenze, la spinta a creare reti e reti di accordi di sicurezza più complessi serve anche a concentrare l’attenzione sulle priorità locali, piuttosto che su quelle di un singolo partner più grande. Per molte nazioni del Sud-Est asiatico, ad esempio, la protezione dell’accesso alle risorse marine (in particolare pesce, calamari e granchi) è una preoccupazione cruciale che le contrappone alle grandi e aggressive flotte di pesca cinesi. Allo stesso tempo, hanno poco interesse ad affrontare la Cina stessa, sia militarmente che economicamente. Concentrare la collaborazione con gli Stati Uniti, gli europei o altre potenze esterne sulle questioni legate alla pesca, senza unirsi a pattuglie regionali più assertive vicino o attraverso lo Stretto di Taiwan, può isolare queste nazioni del Sud-Est asiatico dall’essere trascinate in posizioni insostenibili nella competizione tra grandi potenze, pur servendo i loro interessi locali.

Queste relazioni di sicurezza non sono solo con potenze esterne. Ad esempio, negli ultimi anni i legami di difesa bilaterali e mini-laterali tra i membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico si sono ampliati in termini di scala e portata, e l’ASEAN ha persino tenuto la sua prima esercitazione marittima congiunta, l’ASEAN Solidarity Exercise, nel 2023, segnando una nuova incursione nella cooperazione di sicurezza intra-ASEAN. Anche le nazioni insulari del Pacifico, preoccupate per l’impatto del cambiamento climatico e per il controllo limitato delle loro vaste risorse marittime, stanno ampliando le loro relazioni di sicurezza multidirezionali, e alcune di esse stanno persino considerando la possibilità di formare proprie forze armate nazionali. Molte nazioni insulari del Pacifico si concentrano non solo sull’ampliamento della gamma di partner per la sicurezza, ma anche sulle relazioni economiche e politiche.

I Paesi non cercano solo di diversificare i partner, ma anche i fornitori di attrezzature militari. Le sanzioni occidentali alla Russia e l’attenzione di Mosca a rafforzare la propria posizione in Ucraina, ad esempio, hanno avuto un impatto significativo sulla manutenzione e sul rifornimento dei Paesi del Sud-Est e del Sud-Asia che sono stati grandi acquirenti di equipaggiamenti russi. Anche i vincoli imposti dagli Stati Uniti e dal Regno Unito sull’uso di alcuni armamenti nei conflitti interni contro il terrorismo e l’insurrezione limitano le opzioni di fornitura, e l’incertezza sulle future priorità occidentali e le considerazioni sui diritti umani possono mettere a rischio le forniture future. Di conseguenza, diversi Paesi, compresi gli alleati ufficiali degli Stati Uniti, stanno espandendo le loro industrie di difesa interne e si coordinano a livello regionale o extra-regionale per costruire le loro economie interne e le loro capacità tecnologiche, modellare le risorse in base alle loro esigenze specifiche e ridurre i costi e la vulnerabilità nel tempo dei fornitori esterni. Lo sviluppo congiunto della Corea del Sud e dell’Indonesia del caccia KF-21 è solo uno dei tanti esempi intraregionali.

Questa rete di sicurezza regionale in evoluzione è forse il meglio che la Cina possa sperare, poiché questa strategia continua a ridurre la probabilità di una forte alleanza di sicurezza regionale multilaterale incentrata sugli Stati Uniti (una NATO asiatica), lasciando a Pechino più spazio di manovra. La Cina ha contrastato la presenza militare statunitense a livello regionale con il tentativo di costruire reti Cina-centriche attraverso iniziative economiche regionali e internazionali, tra cui la Belt and Road Initiative, la Asian Infrastructure Investment Bank e il forum BRICS. Inizialmente Washington ha cercato di avere un contatto diretto e di costringere i Paesi a scegliere tra sé e la Cina, ma gli Stati Uniti sono sempre più a loro agio nel rimanere fuori dal centro delle reti di sicurezza intraregionali e persino extraregionali. Queste relazioni, pur essendo più difficili da controllare, rafforzano comunque le capacità militari regionali e richiedono costi minimi (economici o politici) da parte degli Stati Uniti. Molti alleati e partner chiave degli Stati Uniti nella regione possono svolgere un ruolo più attivo nella più ampia sicurezza regionale, con il Giappone in testa, e anche in un contesto di sicurezza regionale in continuo mutamento, gli Stati Uniti possono lavorare a stretto contatto con gli Stati alleati chiave ed espandere la propria posizione, con le Filippine al centro della scena.

Man mano che la regione continua ad adattarsi a un mondo multipolare, è probabile che il multiallineamento continui a espandersi, non solo nello spazio militare/sicurezza ma anche nelle relazioni economiche e politiche. Ciò renderà a volte complicata la situazione per Washington (e Pechino), poiché la capacità dei Paesi regionali di rimanere vitali per entrambe le potenze può ridurre l’influenza degli Stati Uniti e della Cina, mentre la riduzione della dipendenza esclusiva da una delle due potenze libera i Paesi locali di espandere ulteriormente le proprie opzioni politiche. Tuttavia, il multiallineamento è anche, per certi versi, un ambiente meno stabile, poiché sia Washington che Pechino possono a volte mettere alla prova i limiti di questa strategia e la volontà di intervento reciproca. Sia per gli Stati Uniti che per la Cina, dimostrare l’aggressività e l’inaffidabilità dell’altro sarà una componente importante per plasmare le prospettive e le relazioni regionali. Ciò metterà alla prova la resilienza dei Paesi locali e rischierà di trasformare alcune parti della regione in aree sempre più intense di competizione per procura, aumentando la volatilità politica, economica e di sicurezza della regione.

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Superstar o buchi neri: I cluster tecnologici sono causa di stagnazione?_di Brian J. Asquith

Superstar o buchi neri: I cluster tecnologici sono causa di stagnazione?

Nel2011 l’economista Tyler Cowen ha pubblicato La grande stagnazione, un breve trattato con un’ipotesi provocatoria. Cowen sfidava il suo pubblico a guardare oltre il luccichio di Internet e del personal computer, sostenendo che queste innovazioni mascheravano una realtà più preoccupante. Cowen sostiene che, a partire dagli anni Settanta, si è verificata una marcata stagnazione degli indicatori economici critici: il reddito familiare mediano, la crescita della produttività totale dei fattori e la crescita media annua del PIL si sono tutti assestati. Cowen ha illustrato con chiarezza lo scollamento tra l’innovazione tecnologica e il reale progresso economico:

Oggi [nel 2011] . . a parte l’apparentemente magico Internet, la vita in termini materiali non è molto diversa da quella del 1953. Guidiamo ancora le automobili, usiamo i frigoriferi e accendiamo l’interruttore della luce, anche se oggi i dimmer sono più comuni. Le meraviglie rappresentate nei Jetsons… . non si sono avverate. Non avete un jet pack. Non vivrete per sempre né visiterete una colonia di Marte. La vita è migliore e abbiamo più cose, ma il ritmo del cambiamento è rallentato rispetto a quello che si vedeva due o tre generazioni fa.

Cowen ha poi sottolineato che mentre le persone si sono abituate a miglioramenti incrementali nella maggior parte delle tecnologie, un tempo i salti tecnologici erano molto più significativi:

Si può discutere sui numeri, ma basta guardarsi intorno. Ho quarantacinque anni e gli elementi materiali di base della mia vita (a parte internet) non sono cambiati molto da quando ero bambino. Mia nonna, che è nata all’inizio del XX secolo, non poteva dire lo stesso.

Negli anni successivi alla pubblicazione dell’ipotesi della Grande Stagnazione, altri si sono fatti avanti per offrire sostegno a questateoria1. The Rise and Fall of American Growth (L’ascesa e la caduta della crescita americana ) di Robert Gordon, del 2017, racconta in modo avvincente e dettagliato gli inizi della Seconda rivoluzione industriale negli Stati Uniti, a partire dal 1870 circa, l’accelerazione della crescita nel periodo 1920-70, e poi un rallentamento generale e una stagnazione a partire dal 1970 circa.2 La scoperta chiave di Gordon è che, mentre il tasso di crescita della produttività totale media dei fattori dal 1920 al 1970 è stato dell’1,9%, è stato solo dello 0,6% dal 1970 al 2014, dove il 1970 rappresenta un’interruzione del trend secolare per ragioni ancora non del tutto comprese. Da allora, le intuizioni di Cowen e Gordon sono state ulteriormente confermate da numerosi studi. La produttività della ricerca in una serie di misure (ricercatori per lavoro, spesa in R&S necessaria per mantenere gli attuali tassi di crescita, ecc.) è in declino in tutto il mondo sviluppato.3 La crescita languente della produttività si estende oltre i settori ad alta intensità di ricerca. In settori come l’edilizia, il valore aggiunto per lavoratore è stato del 40% inferiore nel 2020 rispetto al 1970.4 La tendenza si rispecchia nella crescita della produttività delle imprese, dove un piccolo numero di aziende superstar registra una crescita eccezionalmente forte, mentre il resto della distribuzione resta sempre più indietro.5

Un articolo del 2020 di Nicholas Bloom e tre coautori, pubblicato sull’American Economic Review , è andato dritto al punto chiedendosi “Are Ideas Getting Harder to Find?” (Le idee stanno diventando più difficili da trovare?) e ha risposto affermativamente alla sua stessa domanda.6 A seconda della fonte dei dati, gli autori hanno scoperto che mentre il numero di ricercatori è cresciuto notevolmente, la produzione per ricercatore è diminuita drasticamente, portando la produttività aggregata della ricerca a diminuire del 5% all’anno.

Questa stagnazione dovrebbe suscitare maggiore sorpresa e preoccupazione perché persiste nonostante le economie avanzate aderiscano alle ricette economiche consolidate volte a stimolare i tassi di crescita e innovazione: (1) promuovere l’istruzione superiore di massa, (2) identificare i giovani particolarmente brillanti tramite test standardizzati e indirizzarli verso università ad alta intensità di ricerca, e (3) erogare borse di studio per la ricerca di base attraverso il sistema universitario per promuovere reti di ricerca e sviluppo a livello locale che aumentino la produttività.7 Le figure 1 e 2 illustrano, rispettivamente, la massiccia espansione delle università regionali nel secondo dopoguerra, volta a democratizzare l’istruzione superiore, e la crescita delle sovvenzioni per la ricerca nazionale extramurale della National Science Foundation (NSF) dal 1962 al 2019, in dollari 2022. Contemporaneamente, molte istituzioni d’élite sono diventate più meritocratiche, soprattutto incorporando i punteggi dei test standardizzati nelle loro decisioni di ammissione. Queste riforme a favore della crescita avevano lo scopo di aiutare gli Stati Uniti dell’era della Guerra Fredda a sviluppare talenti scientifici, ma sono state anche condizioni essenziali per la formazione dei famosi cluster tecnologici americani – Silicon Valley, Boston/Cambridge, Seattle, New York, Los Angeles e, sempre più spesso, Austin – che sono tutti centri leader a livello mondiale per la scienza, l’imprenditorialità e l’innovazione. Questi cluster eccellono nell’attrarre talenti con formazione universitaria e nell’ottenere miliardi di sovvenzioni per la ricerca di base da fondazioni pubbliche e private. Questi cluster tecnologici sono anche responsabili in modo sproporzionato dell’innovazione tecnologicaamericana8, che è stata forse il più importante contributo alla crescita dall’inizio della Rivoluzione industriale.9 Eppure, nonostante tutti questi cambiamenti a favore dell’innovazione, gli Stati Uniti si trovano ad affrontare una crescita persistentemente lenta.

Perché l’ampia espansione dell’istruzione superiore, l’investimento di miliardi nella ricerca di base, il dominio delle università di ricerca americane e l’emergere di cluster altamente produttivi non hanno fatto di più per contrastare i venti contrari alla crescita? Lo stesso Tyler Cowen sostiene che il rallentamento della crescita era inevitabile, una conseguenza di tutti i frutti tecnologici “a portata di mano” che sono stati colti durante la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Ciò che rimane richiede maggiori sforzi per essere scoperto, sfruttato e commercializzato. Come sottolinea Robert Gordon, tecnologie rivoluzionarie come l’elettrificazione, gli antibiotici e il motore meccanizzato possono essere inventate e distribuite in massa solo una volta. Altre spiegazioni sono l’aumento, dopo gli anni ’70, delle barriere legali alla crescita abitativa, che impediscono alle persone di spostarsi e di suddividersi nello spazio in base alle propriecapacità10, o gli effetti di una forza lavoro che invecchia lentamente, come il declino delle start-up (che si verificano soprattutto tra i più giovani) e la crescita delPIL11.

Sebbene le spiegazioni sopra citate possano essere valide, rimane aperta la questione del perché la ricetta economica standard per la crescita non abbia prodotto una maggiore crescita della produttività e del reddito. Una possibilità è che, nel controfattuale, le prospettive di crescita negli Stati Uniti e in altre economie avanzate sarebbero state ancora peggiori se non ci fossero stati questi investimenti statali nella ricerca e nell’istruzione. Forse la modesta crescita del periodo successivo al 1970 era il miglior risultato possibile in un panorama in cui le innovazioni tecnologiche più facili erano già state esaurite. Un’altra possibilità è che queste strategie, pur essendo potenzialmente le politiche più efficaci da perseguire per favorire la crescita, abbiano inavvertitamente innescato conseguenze a valle che hanno contribuito al rallentamento dellacrescita12.

Nell’ambito di questa seconda possibilità, il fenomeno dei cluster tecnologici si distingue perché esiste una discrepanza fondamentale tra il funzionamento pratico dei cluster e il loro contributo teorico a maggiori tassi di crescita. L’emergere dei cluster tecnologici è stato celebrato da molti economisti di spicco grazie a una serie di risultati che dimostrano che le persone innovative diventano più produttive (in base a vari parametri) quando lavorano nello stesso luogo in cui si trovano altre persone di talento nello stesso campo.13 In questo senso, l’essenza dell’innovazione può essere ridotta a tre cose: co-localizzazione, co-localizzazione, co-localizzazione. Nessun’altra forma urbana sembra facilitare l’innovazione come un cluster di ricercatori e imprese interconnessi.

Questa linea di ragionamento porta a un sillogismo diretto: i cluster tecnologici aumentano l’innovazione e la produttività individuale. Nonostante la natura locale dell’innovazione, le tecnologie sviluppate all’interno di questi cluster possono essere adottate e sfruttate a livello globale.14 Quindi, anche se non tutti possono vivere in un cluster tecnologico, gli individui di tutto il mondo beneficiano dei nuovi progressi e delle innovazioni che vi sono stati generati, e alcuni dei guadagni economici fuori misura che i cluster producono possono essere ridistribuiti alle persone al di fuori dei cluster per appianare eventuali disuguaglianze persistenti. Pertanto, qualsiasi politica che indebolisca questi cluster tecnologici porta a una diminuzione del tasso di innovazione e lascia l’umanità nel suo complesso più povera.15

Tuttavia, il fatto che l’emergere dei cluster tecnologici abbia coinciso anche con la Grande Stagnazione di Cowen solleva alcune domande. Le prove empiriche sugli effetti dei cluster tecnologici sono carenti? La tecnologia si diffonde davvero nel resto dell’economia, come molti economisti ritengono? I cluster tecnologici danno intrinsecamente la priorità alle tecnologie che aumentano il benessere? C’è un ruolo per l’azione federale o statale per migliorare la situazione? I cluster non sono un’esclusiva del dopoguerra: Detroit ha notoriamente realizzato una grande economia di agglomerazione basata sulle automobili all’inizio del XX secolo e diversi autori hanno tracciato un parallelo tra le ascese di Detroit e della Silicon Valley.16 Cosa distingue i cluster tecnologici di oggi da quelli del passato? Il fatto che i cluster tecnologici non abbiano prodotto gli stessi benefici per la società che un tempo promettevano dovrebbe invitare a un ulteriore esame.

L’ascesa dei cluster tecnologici e la disuguaglianza regionale

Oggi, i grandi cluster tecnologici dominano l’attività brevettuale degli Stati Uniti.17 Questo era meno vero nell’immediato dopoguerra. Il grafico 3 mostra i tassi decadali di brevetti per 10.000 residenti per contea rispetto alla media nazionale del decennio. Il grafico a sinistra mostra il periodo 1950-59. Le contee sono classificate in base al loro tasso di brevettazione: significativamente al di sopra della media nazionale (più di 5 per 10.000 persone), moderatamente al di sopra (1-5 per 10.000 persone), intorno alla media nazionale (entro 1 per 10.000 persone al di sopra o al di sotto), moderatamente al di sotto e significativamente al di sotto della media nazionale (più di 5 per 10.000 persone). Mentre gran parte del Sud è rimasto costantemente indietro rispetto al resto del Paese nell’innovazione, molte contee del Midwest rurale, dell’Ovest rurale interno e lungo i Grandi Laghi hanno superato i tassi medi di brevettazione nei decenni immediatamente successivi alla guerra. Questo include luoghi che oggi non sono considerati grandi hub tecnologici, come Duluth (Contea di St. Louis), Minnesota; Cheyenne (Contea di Laramie), Wyoming; e persino Las Vegas (Contea di Clark), Nevada. Tuttavia, negli anni Duemila, le contee brevettavano a tassi sostanzialmente superiori alla media nazionale o molto inferiori. Questo cambiamento è stato quasi completamente guidato da un’impennata dei tassi di brevettazione nell’1% delle contee, che ha spinto la media verso l’alto a partire dagli anni Novanta. Il tasso mediano è passato da circa 5 per 10.000 persone negli anni ’50 a circa 9 negli anni 2000, ma il tasso del 99° percentile è più che triplicato da 86 a 273 nello stesso periodo. Altre ricerche hanno confermato che l’aumento della quota dell’1% delle sedi brevettuali ha determinato la tendenza alla concentrazione spaziale dopo il194518.

Che cosa è cambiato per far sì che i brevetti si concentrassero sempre più in un numero relativamente ristretto di contee? I moderni cluster tecnologici devono le loro radici sia a “vantaggi naturali”, come le università di ricerca di lunga data, sia all’intervento del governo federale. Daniel Gross e Bhaven Sampat, in un articolo pubblicato sull’American Economic Review dal titolo “America, Jump-Started: World War II R&D and the Takeoff of the US Innovation System“, evidenziano come la creazione da parte del governo degli Stati Uniti dell’Office of Scientific Research and Development (OSRD) nel 1941 abbia avuto un ruolo chiave nella formazione di molti degli attuali cluster tecnologici.19 Nel breve periodo, l’OSRD ha contribuito a vincere la guerra, mobilitando l’establishment scientifico per concentrarsi sulle esigenze militari critiche. Nel lungo periodo, l’OSRD ha anche dato un impulso fondamentale alle contee che hanno avuto la fortuna di ricevere sostanziosi contratti di guerra. Gli autori dimostrano che le contee beneficiarie dell’OSRD erano di solito luoghi che prima della guerra avevano tassi di brevettazione superiori alla media, ma con linee di tendenza di brevettazione che si evolvevano in parallelo con le contee di pari livello. Tuttavia, dopo un breve periodo di stagnazione alla fine degli anni Quaranta e all’inizio degli anni Cinquanta, quando i finanziamenti bellici si sono esauriti, queste contee OSRD hanno infine mostrato un “decollo”, ovvero tassi di brevettazione più elevati e costanti nel tempo per tutti gli anni Sessanta e Settanta. In altre parole, il boom dei finanziamenti OSRD ha creato un’interruzione di tendenza positiva anche tra le contee già inventive.

La mappa della figura 4, ricavata dai dati di Gross e Sampat, illustra la distribuzione dei finanziamenti universitari OSRD. Non sorprende che la distribuzione dei finanziamenti OSRD si sovrapponga in modo sostanziale alle attuali sedi dei cluster tecnologici, tra cui Boston, Los Angeles, New York e la Bay Area. Lo studio fa altre due osservazioni sull’impatto dell’OSRD nel porre le basi per la nascita degli attuali cluster tecnologici. In primo luogo, il successo di queste regioni dopo l’OSRD è derivato in gran parte dagli effetti di agglomerazione avviati dall’OSRD, piuttosto che dai successivi investimenti federali in R&S militare del dopoguerra. In secondo luogo, quasi tutti gli effetti positivi si sono concentrati nelle contee che si trovavano nel primo 5% dei tassi di brevettazione durante gli anni Trenta. Al contrario, le contee nel quartile inferiore del trattamento OSRD hanno registrato un calo relativo nel tempo, presumibilmente perché il boom dei finanziamenti OSRD ha spinto la riallocazione di talenti e capitali lontano da queste contee. Questo effetto negativo sulle contee meno inventive potrebbe far presagire la crescente disparità nella geografia dell’innovazione vista nel grafico 3.

Durante il dopoguerra, i leader nazionali degli Stati Uniti si concentrarono sul mantenimento e sul potenziamento della supremazia tecnologica dell’America rispetto ai suoi rivali, dando spesso per scontato che lo status del Paese come produttore leader a livello mondiale fosse sicuro. Mentre la guerra volgeva al termine, il presidente Franklin Roosevelt chiese a Vannevar Bush, direttore dell’OSRD, di redigere un rapporto sulle lezioni che si potevano trarre dall’esperienza bellica. Roosevelt era particolarmente interessato a espandere il ruolo del governo nel finanziamento della ricerca di interesse pubblico e a sviluppare strategie efficaci per identificare e coltivare i giovani di talento scientifico.

Il successivo rapporto di Bush, Science-the Endless Frontier, fu presentato al Presidente Truman, ma fu fedele nel rispondere alle richieste iniziali di Roosevelt.20 Sebbene il rapporto sia famoso per aver tracciato i contorni di quella che sarebbe diventata la National Science Foundation (NSF), Bush dedicò un’attenzione significativa ad affrontare l’altra sfida posta da Roosevelt: ideare metodi per scoprire e formare giovani scientificamente abili.

Bush ha espresso tre principi chiave che sono poi diventati la base per coltivare e finanziare il futuro personale scientifico. In primo luogo, ha sostenuto le università come sedi ottimali per formare i futuri scienziati e condurre la ricerca scientifica di base. Al contrario, Bush considerava i laboratori governativi o commerciali come prioritari per le applicazioni pratiche e la commercializzazione rispetto al progresso delle conoscenze di base. In secondo luogo, Bush ha espresso la preoccupazione che l’America del dopoguerra potesse tornare a privilegiare le “arti tecniche” rispetto all’avanzamento delle conoscenze scientifiche fondamentali e ha auspicato uno spostamento della formazione e dei finanziamenti verso queste ultime. In terzo luogo, Bush ha chiesto un’espansione dell’istruzione superiore di massa che permetta agli Stati Uniti di identificare e coltivare tutti i giovani con il potenziale per eccellere nella scienza, a prescindere dalla loro ricchezza, affermando: “Se la capacità, e non la circostanza del patrimonio familiare, viene fatta in modo da determinare chi deve ricevere un’istruzione superiore in campo scientifico, allora saremo certi di migliorare costantemente la qualità ad ogni livello dell’attività scientifica”.

Nelle raccomandazioni di Bush erano implicite riforme politiche che in seguito avrebbero giocato un ruolo importante nella nascita dei cluster tecnologici. Bush ha combattuto con successo le proposte del senatore Harley Kilgore (un democratico della Virginia Occidentale) per un’equa distribuzione delle sovvenzioni dell’NSF tra le università (e quindi tra le sedi) e per la garanzia che i finanziamenti dell’NSF sarebbero stati assegnati alla ricerca applicata e a quella di base.21 A partire dal 2019, il 60% delle sovvenzioni assegnate dall’NSF a livello nazionale sono state assegnate a università che avevano ricevuto contratti OSRD quasi settantacinque anni prima. In secondo luogo, l’enfasi di Bush sulle capacità intellettuali sosteneva un movimento di riforma sociale preesistente volto a “razionalizzare” le ammissioni alle università su base meritocratica. Entrambi gli aspetti della visione di Bush avrebbero avuto profonde implicazioni per il successivo sviluppo economico dell’America.

Il Congresso approvò la legge sulla National Science Foundation nel 1950, con un budget iniziale di 230.000 dollari (equivalenti a 2,78 milioni di dollari nel 2023) per il suo primo anno fiscale operativo nel 1951. I finanziamenti aumentarono rapidamente e nove anni dopo, nell’anno fiscale 1960, il Congresso aumentò il bilancio della NSF di oltre cinquanta volte, portandolo a 15,3 milioni di dollari (o 159,3 milioni di dollari nel 2023). In linea con le proposte di Bush e di altri leader del dopoguerra fu anche una significativa espansione delle università pubbliche. La maggior parte degli Stati ha avviato programmi ambiziosi per espandere geograficamente i propri sistemi universitari creando università regionali o “pendolari”, con la premessa che la vicinanza a un’istituzione quadriennale avrebbe aumentato la probabilità che i giovani perseguissero l’istruzione superiore.22 Di conseguenza, le iscrizioni aumentarono vertiginosamente, con una percentuale di studenti in college pubblici di quattro anni che passò da circa il 50% nel 1940 a quasi il 70% nel 1970.23 Secondo i miei calcoli, nel trentennio 1946-75 sono state fondate 189 università di questo tipo, senza contare la creazione di nuove università di ricerca, come l’espansione del sistema dell’Università della California con i campus di Irvine (1968), Riverside (1954), San Diego (1960) e Santa Cruz (1965).

Perché l’espansione dell’istruzione superiore e una maggiore enfasi sulle arti liberali dovrebbero portare a un panorama innovativo più centralizzato? Contrariamente all’aspettativa che un numero crescente di università in tutta la nazione avrebbe diffuso i benefici di una maggiore istruzione in tutte le comunità, sembra che l’espansione dell’istruzione superiore nel dopoguerra abbia creato incentivi per i laureati a concentrarsi geograficamente, con effetti a catena sull’innovazione e altri risultati. Uno dei motivi è che, a differenza delle scuole superiori, non è possibile stabilire un’università in quasi tutte le comunità o contee. Questa limitazione innesca un significativo rimescolamento dei giovani, in genere tra i diciassette e i diciannove anni, dalle comunità prive di università a quelle abbastanza fortunate da ospitarne una. L’istruzione universitaria, che in genere aumenta lamobilità25 , porta a una tendenza per cui i laureati spesso non tornano nelle loro comunità di origine.26 In sostanza, lasciare la propria città natale per l’università, soprattutto se ci si è dovuti spostare abbastanza lontano per farlo, tende a indebolire i legami locali e incoraggia una maggiore mobilità anche dopo la laurea.27 Diversi studi sostengono che il sistema di istruzione superiore provoca una fuga di cervelli interna, spostando i talenti dalle regioni con bassi rendimenti dell’istruzione a luoghi con rendimenti più elevati.28

Anche la conversione di molte scuole agricole e meccaniche (A&M) in università regionali in questo periodo può aver esacerbato la concentrazione di laureati. Durante il dopoguerra, essenzialmente tutte le scuole normali (collegi per insegnanti) e molte A&M si sono convertite in università regionali.29 Il mio team di ricerca e io abbiamo identificato 102 scuole fondate prima del 1940 come collegi agricoli, politecnici o scuole industriali, meccaniche e minerarie, che abbiamo collettivamente classificato sotto l’ombrello “A&M”. Di queste, sei si sono convertite prima del 1945, trenta si sono convertite tra il 1945 e il 1980 e altre sei si sono convertite dopo il 1980.30 Nel loro libro del 2008, The Race between Education and Technology (La corsa tra istruzione e tecnologia), Claudia Goldin e Lawrence Katz sostengono che l’enfasi posta dal sistema educativo americano sulle competenze generali rispetto alla formazione professionale fin dalle sue prime fasi è stata cruciale in una società ad alta mobilità in cui i lavoratori non potevano prevedere quali competenze sarebbero state apprezzate nelle loro nuove città di provenienza.31 Concentrando l’attenzione sulle competenze generali e dando poca importanza ai titoli di studio utili per le industrie locali, le ex A&M delle comunità agricole o minerarie hanno probabilmente incoraggiato i loro laureati a cercare mercati più remunerativi per le loro competenze. L’idea generale è che, sebbene le università attraggano persone altamente istruite, i benefici sono compensati a lungo termine da una fuga di giovani da altre regioni.32 Solo alcune località sono “vincenti “33, abbastanza fortunate da ospitare università che attraggono fondi per la ricerca e talenti e creano industrie spin-off che portano a una crescita netta della popolazione.34

La maggior parte dei resoconti sull’ascesa della Silicon Valley, della Route 128 di Boston, del Triangolo della Ricerca della Carolina del Nord e di altri cluster tecnologici riconosce una o più università di ricerca locali chiave che sono servite ad attirare e sviluppare talenti da tutto il mondo.35 Sembrano esserci diversi fattori chiave che distinguono le università che aiutano le loro regioni a decollare da quelle che non lo fanno. Uno, già identificato in precedenza, è stato l’infusione di fondi per la R&S da parte del governo durante la Seconda Guerra Mondiale, che ha dato a queste aree un inizio precoce nell’innovazione high-tech. Un altro fattore è l’allineamento delle ricadute di conoscenza tra l’università e le industrie locali preesistenti, in particolare per le università e le industrie ad alta intensità di ricerca.37 Gli stessi cluster tecnologici che hanno un’alta domanda di conoscenza prodotta dall’università tendono anche ad avere la più alta domanda di manodopera altamente qualificata e istruita. Una stima ha rilevato che le prime quindici aree metropolitane per finanziamenti di capitale di rischio hanno rappresentato il 55,9% di tutta l’occupazione high-skill nei dieci principali settori di ricerca e sviluppo tra il 2014 e il 2018.38 Queste stesse aree metropolitane, non a caso, hanno anche rappresentato il 57% di tutti i brevetti concessi nel periodo 2015-18.

Un ulteriore contributo è dato dal fatto che l’emergere della Silicon Valley e degli altri cluster tecnologici è stata una conseguenza di un sistema che ha fatto di tutto per rendere l’istruzione superiore più ampiamente disponibile e più gerarchizzata. La letteratura non chiarisce se questi cluster debbano la loro esistenza al puro aumento del numero di laureati nel secondo dopoguerra o al fatto che i college pubblici e privati d’élite abbiano assunto contemporaneamente il compito di preselezionare e selezionare gli studenti in base agli ideali meritocratici della metà del secolo. È facile immaginare che le start-up affamate di talenti abbiano beneficiato di entrambi i cambiamenti, perché potevano legalmente utilizzare gli istituti universitari di un numero crescente di candidati con un’istruzione universitaria come mezzo di selezione approssimativo e pronto.39 I dati demografici degli innovatori sono molto rarefatti, in parte perché il brevetto stesso è piuttosto raro. Gli inventori hanno maggiori probabilità di essere maschi, di provenire da famiglie benestanti, di avere genitori inventori, di avere capacità cognitive relativamente elevate (misurate con i punteggi dei test standardizzati o con i test del quoziente intellettivo) e di avere un livello di istruzione elevato.40 Alla luce di questi dati demografici, sembra abbastanza probabile che l’ascesa dei test standardizzati e delle università selettive dal punto di vista meritocratico abbia probabilmente svolto un ruolo chiave nella capacità delle imprese di individuare il livello più alto di talenti innovativi. Poiché l’innovazione tende a dipendere dai talenti che si trovano nella coda estrema della distribuzione di reddito/istruzione/abilità, e la domanda di ammissione all’università è il primo incontro di molte persone con un test attitudinale, è logico che l’emergere di università altamente selettive svolga un ruolo importante nell’identificare e poi concentrare italenti41.

Tuttavia, la letteratura economica esistente sull’impatto sul mercato del lavoro dell’espansione del sistema di istruzione superiore tende a mettere insieme gli effetti del forte aumento dei laureati con il fatto che il sistema è diventato quasi contemporaneamente più gerarchico.42 Questa tendenza significa che non esiste un ampio corpus di prove a cui attingere per stabilire quale riforma sia stata più importante per il successivo percorso di sviluppo economico. Esiste una piccola letteratura, ma ben considerata, su come l’ampliamento dell’accesso all’istruzione abbia migliorato l’allocazione dei talenti, che almeno in teoria dovrebbe migliorare la crescita economica.43 Non è chiaro se ciò sia dovuto a miglioramenti più ampi del capitale umano o alla possibilità per i datori di lavoro di utilizzare la reputazione collegiale come indicatore di capacità.44 Da un punto di vista pratico, ciò significa anche che non sappiamo quali saranno le implicazioni aggregate del fatto che i college selettivi continuino ad abbandonare i loro requisiti SAT e ACT, in particolare per quei datori di lavoro (e quelle regioni) che hanno attinto in misura maggiore dai loro ex allievi.

Poiché questi cambiamenti si sono verificati più o meno contemporaneamente, è difficile capire a prima vista quale sia stato il cambiamento più importante. Anche se gli Stati hanno ampliato l’accesso all’istruzione universitaria con la creazione di università regionali, molti si sono mossi per designare alcune università (di solito le università universitarie) come le principali università ad alta intensità di ricerca (o “flagship”) e per rendere più severi i criteri di ammissione a queste scuole.45 La California, ad esempio, ha adottato il suo Master Plan per l’istruzione superiore nel 1960, in base al quale l’ammissione ai campus universitari di ricerca sarebbe stata limitata al 12,5% degli studenti, il terzo superiore avrebbe frequentato i college statali del sistema universitario statale della California e gli studenti rimanenti avrebbero potuto frequentare i community o i junior college.46 Questa crescente selettività ha probabilmente giocato un ruolo nel premio salariale di cui godevano i laureati dello Stato rispetto ai meno selettivi college interni. Anche con l’adozione del SAT o dell’ACT, la maggior parte dei sistemi statali non è diventata necessariamente così rigidamente gerarchica come la California. L’Ohio State University, ad esempio, non è un’università statale di punta particolarmente selettiva: ha un tasso di accettazione di circa il 53%. Il tasso dell’Università del Michigan, invece, è di circa il 18%. In generale, tuttavia, ci sono molti studenti brillanti che non si iscrivono a un istituto selettivo per una serie di motivi, e questo tende a essere più comune nel centro degli StatiUniti48 , quindi l’effetto di un requisito SAT o ACT è stato probabilmente un po’ eterogeneo in base alla cultura dello Stato. Ciononostante, sembra probabile che un requisito di test standardizzati abbia modificato la composizione degli studenti che hanno frequentato l’università di punta dello Stato.

Come mostra la figura 5, molti Stati hanno adottato il SAT o l’ACT come requisito di ammissione dagli anni Cinquanta ai primi anni Settanta. Nicholas Lemann, nel suo libro del 2000 The Big Test: The Secret History of the American Meritocracy, sulla storia del SAT, ha documentato come il College Board (che amministra il SAT) abbia spinto per la sua adozione non solo tra il gruppo centrale di scuole private d’élite della East Coast, ma anche tra i grandi sistemi universitari pubblici che avrebbero convalidato la sua missione di “razionalizzazione” delle ammissioni aicollege49. Gli sforzi del College Board ebbero successo: mentre nessuna università statale aveva un requisito di ammissione al SAT o all’ACT prima della Seconda Guerra Mondiale, quasi tutte lo avrebbero adottato entro il 1980.50 Analogamente, quasi tutte le università dell’OSRD che non erano ammiraglie statali avrebbero adottato il SAT come requisito di ammissione solo dopo la guerra.51 Delle sessanta università non statali che ricevevano finanziamenti dall’OSRD, dodici avevano un requisito di ammissione al SAT o all’ACT nel 1945. Nel 1960, il numero era salito a quaranta e nel 1970 a quarantotto.52 Rispetto al periodo prebellico, era quindi più facile ottenere un diploma universitario, ma più difficile per molti studenti ottenere un’istruzione presso l’istituzione a più alta intensità di ricerca del loro Stato.53

Purtroppo, non ci sono molte prove pubblicate o disponibili pubblicamente che colleghino direttamente la selettività scolastica o i punteggi SAT/ACT con la propensione a vivere e lavorare in un cluster tecnologico. Un articolo del 2004 di Jeffrey Groen, utilizzando un’indagine sugli studenti di college selettivi, ha rilevato che coloro che hanno ottenuto punteggi SAT più alti o che hanno frequentato un’università privata (rispetto a un’università pubblica o a un college privato) avevano maggiori probabilità di vivere fuori dallo Stato a trent’anni.54 Un articolo del 2018 del Wall Street Journal ha utilizzato i dati dei curriculum di un ampio gruppo di persone provenienti da annunci di lavoro online per studiare dove i laureati si trasferiscono dopo la laurea.55 Gli autori hanno trovato prove coerenti con l’articolo di Groen, mostrando, ad esempio, che Cornell invia il 25% dei suoi laureati solo a San Francisco, New York e Washington D.C.. Lo stesso articolo mostra che Harvard invia il 7,1% dei suoi laureati a San Francisco, ma la molto più vicina (e molto meno selettiva) Università di Las Vegas vi invia solo il 2,1% dei suoi laureati. Washington è ovviamente un’attrazione per via del governo federale, ma in generale le metropoli che consideriamo cluster tecnologici stanno effettivamente raccogliendo la maggior parte dei guadagni in termini di reddito, innovazione e talenti. Stime più recenti hanno rilevato che, mentre frequentare una scuola privata d’élite o simile invece di un istituto pubblico altamente selettivo conta relativamente poco per i differenziali salariali medi, aumenta del 60% le possibilità di raggiungere l’1% della distribuzione dei guadagni e triplica le possibilità di lavorare in un'”azienda prestigiosa”.56 Poiché i posti di lavoro con i guadagni più alti e le “aziende prestigiose” sono diventati sempre più concentrati geograficamente, sembra probabile che i datori di lavoro in questi cluster stiano selezionando in parte sulla base dell’università frequentata.

Alla luce di tutto ciò, forse non sorprende che il decollo dei cluster tecnologici coincida anche con il periodo in cui la disuguaglianza regionale inizia a crescere negli Stati Uniti. Le regioni statunitensi sono state caratterizzate da una maggiore convergenza economica per la maggior parte del XXsecolo57, ma nel 2013 l’economista di Berkeley Enrico Moretti ha dichiarato che gli Stati Uniti si trovavano nel bel mezzo di una GrandeDivergenza58 . Mentre in passato le disparità economiche erano in gran parte settoriali, con il Sud in ritardo rispetto al Nord e all’Ovest, ora si sono aperti divari economici significativi all’interno degli Stati, poiché alcune città hanno iniziato a staccarsi dai loro hinterland. Moretti e altri hanno rilevato che la crescente agglomerazione dell’innovazione, l’aumento del premio salariale universitario e i modelli di migrazione differenziata dei laureati hanno giocato un ruolo chiave.59 Molte ricerche devono ancora essere condotte per stabilire più chiaramente come i cambiamenti nel sistema di istruzione superiore abbiano permesso l’ascesa dei cluster tecnologici. Tuttavia, le prove disponibili suggeriscono che gli sforzi del dopoguerra per finanziare le università ad alta intensità di ricerca e per espandere la portata dell’istruzione superiore, rendendola al tempo stesso più gerarchica, possono aver svolto un ruolo importante nella concentrazione di talenti e innovazione.60

I potenziali difetti del modello dei cluster tecnologici

Sebbene pochi siano in disaccordo con le conclusioni di Moretti su una Grande Divergenza, in cui gli Stati Uniti si dividono in metropoli di successo e ben istruite e periferie in difficoltà e meno istruite, resta da chiedersi se ciò abbia a che fare con il rallentamento dei tassi di crescita dell’economia nel suo complesso.

Quali sono i possibili meccanismi attraverso i quali i cluster tecnologici potrebbero aver svolto un ruolo? Sebbene la co-localizzazione produca indubbiamente ricadute generative di conoscenza, alcuni degli altri effetti tra pari possono essere negativi, ad esempio quando le persone cadono nel groupthink.61 Sebbene il groupthink sia difficile da misurare, è difficile guardare ad alcune delle innovazioni emerse dalla Silicon Valley e da altri cluster nel corso degli anni e non chiedersi se le persone coinvolte siano state colte da una forma di groupthink. La grande ascesa e il declino dell’interesse per le criptovalute, ad esempio, sembrano il tipo di bolla in cui molte persone hanno ceduto a un pensiero di gruppo che ha generato ben poco valore produttivo misurabile.

Al di là del pensiero di gruppo, ci possono essere altri modi in cui la concentrazione potrebbe aumentare il tasso di brevettazione di un innovatore, spingendolo al contempo a produrre tecnologie più marginali e meno innovative. L’innovazione è influenzata non solo dagli effetti dei pari, ma anche dai problemi che gli innovatori vedono nel loro ambiente e che catturano il loro interesse, da adulti o da bambini.62 Un recente articolo di Jacob Moscona e Karthik Sastry ha messo in evidenza come ciò funzioni su scala globale.63 Essi hanno analizzato come i fondi destinati alla R&S tendano a essere indirizzati verso i parassiti agricoli che rappresentano un problema nei Paesi ad alto reddito in cui si svolge la ricerca, ma non nei Paesi in via di sviluppo in cui la tecnologia viene venduta, con il risultato di una produttività delle colture significativamente inferiore a livello globale. Un’analoga discrepanza tra le esigenze e gli interessi degli innovatori ventenni o trentenni che vivono nella Bay Area e i lavoratori di mezza età senza istruzione universitaria che vivono altrove potrebbe anche far sì che gli Stati Uniti generino troppa tecnologia “inadeguata “64 .

Un altro modo in cui la promozione da parte dei cluster tecnologici di reti di ricerca forti e guidate dai pari può portare a un rallentamento della produttività della ricerca è che collegare tutti alla stessa rete rende più facile per un piccolo numero di innovatori o ricercatori controllare i propri pari. L’adagio di Max Planck secondo il quale la scienza progredisce un funerale alla volta è in parte dimostrato,65 ma, secondo lo stesso processo, potrebbe facilmente accadere che un modello guidato dagli effetti dei pari possa portare a un’innovazione più incrementale e meno originale su scala, perché le reti centralizzate fanno sì che gli emergenti abbiano più paura di sfidare i ben collegati. Questo potrebbe portare al processo descritto sopra da Bloom e dai suoi coautori: anche se il numero di ricercatori e di articoli aumenta in un cluster collegato in rete, l’impatto marginale di ogni articolo diminuisce. Alcuni dati suggeriscono che gli articoli scientifici e i brevetti stanno diventando più deferenti nei confronti dei lavori pubblicati in precedenza e meno propensi a interrompere la catena di citazioni e riferimenti.66 Secondo questa logica, i ricercatori geograficamente diffusi possono essere meno produttivi nei modi in cui gli economisti urbani misurano tipicamente la produzione (meno articoli, meno brevetti, ecc.), ma possono essere più creativi, originali e dirompenti perché questi ricercatori si preoccupano meno di dover vedere di persona qualcuno con il cui lavoro sono pubblicamente in disaccordo.

Su scala più ampia, la migliore prova del fatto che la formazione di cluster tecnologici e la concentrazione di talenti possano aver portato all’herding è rappresentata dalle tendenze di brevettazione per settore tecnologico. Brian Kelly e coautori hanno recentemente ideato un modo per raggruppare in modo coerente i brevetti per classe tecnologica dal 1840 a oggi.67 Essi hanno scoperto che fino agli anni Settanta i brevetti erano distribuiti in modo relativamente uniforme tra le varie classi, ma dopo gli anni Settanta l’elettronica e l’informatica hanno conquistato una quota crescente di brevetti. Nel 2000, questo settore costituiva la maggioranza dei brevetti depositati. È ovviamente possibile che le buone idee si siano esaurite nello stesso periodo nell’agricoltura, nelle gomme e nelle materie plastiche, nella produzione di prodotti chimici e nella produzione di macchinari, lasciando solo i computer e l’elettronica come frontiera più fruttuosa per l’innovazione. Ma una tale coincidenza sarebbe sorprendente.

L’attenzione dei cluster tecnologici verso l’informatica e l’elettronica potrebbe essere essa stessa un’altra parte del problema. Gli economisti discutono, almeno dagli anni ’80, se l’aumento della potenza di calcolo stia migliorando la produttività aggregata del lavoro, e alcuni lavori recenti sottolineano che la natura delle recenti innovazioni informatiche potrebbe innatamente portare a una crescita nulla o bassa della produttività.68 È al di là dello scopo di questo saggio districarsi tra i motivi per cui la digitalizzazione non ha incrementato maggiormente la produttività del lavoro, ma come osservazione generale, parte del problema potrebbe essere che l’economia statunitense permette a così tanto capitale umano di confluire in un unico settore tecnologico che ha lottato per ottenere miglioramenti della produttività del lavoro per quarant’anni e oltre.

Infine, anche la dipendenza dei cluster dalle università di ricerca può essere un problema. Uno dei problemi, come già detto, potrebbe essere che i finanziamenti delle borse di studio vanno in modo sproporzionato a un numero selezionato di università. Questo grado di concentrazione può essere controproducente, come suggerisce uno studio sulle riforme svedesi per il decentramento dell’istruzione superiore, secondo cui le riforme hanno portato a un aumento della produttività aggregata della ricerca, in quanto la crescita delle “nuove” università ha più che compensato il declino delle “vecchie” università.69 Le università, inoltre, potrebbero non offrire un forte vantaggio in termini di produzione o di innovazione rispetto ad altri tipi di istituti di ricerca.70 Nella misura in cui il know-how e il talento scientifico dipendono dalle prerogative delle università di ricerca locali, i capricci e le priorità dei docenti e degli amministratori possono quindi distorcere la direzione dell’innovazione locale.

Un buon esempio di come le università possano sia promuovere che distorcere la direzione dell’innovazione locale è la creazione del vaccino a base di mRNA, che è stato utilizzato per contenere la pandemia di Covid. Katalin Kariko, che ha appena condiviso il Premio Nobel per la Medicina con Drew Weissman, ha notoriamente mantenuto solo una tenue presa sulla carriera accademica all’Università della Pennsylvania mentre lavorava per far progredire la scienza fondamentale alla base dei vaccini. Ha lottato per ottenere sovvenzioni (anche dal National Institutes of Health) sui meriti della tecnologia dell’mRNA e, alla fine, è stata retrocessa e rimossa dalla Penn’s tenure track per i professori ricercatori. Dopo la retrocessione, Kariko è riuscita a resistere, approdando nel laboratorio di Weissman. Il rapporto problematico della Penn con Kariko è quasi costato al mondo un’importante tecnologia per il benessere, ma non ha nemmeno portato a un cluster tecnologico di successo con sede a Filadelfia quando il vaccino si è dimostrato valido. Quando arrivò il Covid-19, Kariko aveva già lasciato la Penn e lavorava per BioNTech, una start-up farmaceutica incentrata sulla tecnologia dell’mRNA con sede a Mainz, in Germania.71

Andare oltre il silicio ovunque

Lo stesso Tyler Cowen ha recentemente dichiarato che la Grande Stagnazione potrebbe essere finita. In occasione del Summit sulla Grande Stagnazione 2023 tenutosi a Cambridge, nel Regno Unito, dove ha tenuto il discorso programmatico, Cowen ha sottolineato gli sviluppi nelle tecnologie biomediche (come il vaccino a base di mRNA), nell’intelligenza artificiale e nelle tecnologie pulite come prova del fatto che i progressi fondamentali sono finalmente in corso. Naturalmente è troppo presto per dire se queste particolari tecnologie stimoleranno una crescita più rapida, ma dopo la pandemia, il governo statunitense è diventato più interessato a rilanciare il progresso scientifico per creare una crescita su larga scala. Basti pensare alla recente adozione da parte del Congresso di una politica industriale per i semiconduttori e le tecnologie pulite nell’ambito della legge sui chip e sulla scienza e della legge sulla riduzione dell’inflazione. Questi sono stati finanziati rispettivamente con 52,7 e 891 miliardi di dollari. Se la politica industriale può essere tornata in auge nell’era post-pandemia, non si può dire lo stesso per le politiche basate sui luoghi, che cercherebbero di spendere direttamente i fondi nei luoghi in difficoltà. Nel 2022 il Congresso ha approvato anche il recompete Act e il programma Regional Technology Hub come politiche basate sul luogo per stimolare i mercati del lavoro locali in difficoltà, ma ha autorizzato rispettivamente solo 1 miliardo e 10 miliardi di dollari.72

Molti economisti, tuttavia, sostengono la riluttanza del Congresso ad avviare nuovi programmi basati sul luogo, in parte per deferenza verso il potere innovativo dei cluster tecnologici. Ad esempio, un documento di indagine del 2018 per la Brookings Institution di Benjamin Austin, Larry Summers e Edward Glaeser intitolato “Jobs for the Heartland: Place-Based Policies in 21st Century America” coglie questa esitazione sulle politiche basate sul luogo.73 Gli autori riconoscono che le disparità occupazionali stanno crescendo tra le regioni e si stanno irrigidendo nel tempo. Tuttavia, dopo aver esaminato la letteratura pertinente sulle precedenti politiche basate sul luogo, gli autori notano che “è impossibile sapere se una delocalizzazione di capitale e lavoro da Los Angeles al Kentucky porterà a benefici nel Kentucky sufficientemente grandi da compensare le perdite [di produttività] a Los Angeles”.

Dopo aver scartato l’opportunità di cercare di creare direttamente nuovi poli tecnologici in luoghi in difficoltà, gli autori concludono il documento con un sostegno a un credito d’imposta sul reddito da lavoro (EITC) potenziato, che sarebbe più generoso per le famiglie monopersonali e in luoghi in difficoltà. Sebbene questa politica possa effettivamente funzionare alle sue condizioni, non offre molto ai responsabili politici interessati alla rivitalizzazione locale.

Gli autori hanno ragione quando affermano che non sappiamo cosa comporterà il trasferimento di start-up dalla Silicon Beach di Los Angeles al Kentucky orientale. Tuttavia, anche se non c’è alcun legame tra l’ascesa dei cluster tecnologici e la stagnazione della crescita della produttività, potrebbe non avere molto senso incoraggiare i talenti a continuare a spostarsi negli stessi pochi luoghi a causa di altre esternalità. Un recente working paper di Tim Bartik e Nathan Sotherland sottolinea che gli effetti moltiplicatori locali di un aumento della domanda di lavoro per i lavoratori altamente qualificati finiscono per esaurirsi, perché gli effetti di congestione finiscono per annullare anche gli effetti di agglomerazione più potenti.74 Per le regioni in difficoltà, invece, questi moltiplicatori possono ancora essere ragionevolmente elevati. Incoraggiare i lavoratori con un’istruzione universitaria a trasferirsi nelle regioni in difficoltà può produrre più benefici di quanto non suggerisca l’attuale consenso nella professione economica. I programmi federali che incoraggiano i ricercatori e gli innovatori a trasferirsi fisicamente nelle regioni in difficoltà potrebbero benissimo catalizzare nuovi posti di lavoro e tecnologie che rispondono ai bisogni della gente del posto.

Concretamente, anche se un ingegnere informatico di alto livello che si trasferisce nel Kentucky orientale ha meno probabilità di creare una start-up con una valutazione da unicorno o di brevettare una nuova tecnologia, questo ingegnere può creare valore in altri modi, ad esempio migliorando l’informatica delle imprese locali o snellendo le loro operazioni per aumentarne la produttività. Nella misura in cui il fenomeno della fuga interna dei cervelli discusso in precedenza è più grave al vertice della distribuzione delle competenze, è molto probabile che molte comunità ristagnino perché i loro migliori e più brillanti si sono sistematicamente allontanati per diverse generazioni.75 I benefici derivanti dalla presenza di lavoratori con un’istruzione universitaria in una comunità locale sembrano essere sostanziali, anche per quanto riguarda i salari dei lavoratori non universitari.76 Inoltre, gli Stati con un’immigrazione netta di lavoratori con istruzione universitaria hanno registrato una crescita più rapida della produttività del lavoro tra il 2012 e il 2019: la produttività è aumentata del 9,1% negli Stati che hanno “guadagnato cervelli”, mentre è aumentata solo del 3,7% negli Stati che hanno “drenato cervelli”,77 anche se purtroppo i dati non chiariscono se l’aumento della produttività negli Stati che hanno guadagnato cervelli si estenda anche a coloro che non hanno una laurea. Ciononostante, visti i benefici reali per le comunità in difficoltà derivanti dalla presenza di lavoratori con un livello di istruzione più elevato rispetto alla possibilità astratta che questi lavoratori innovino meno, incoraggiare le persone a trasferirsi nel Kentucky orientale potrebbe essere un esperimento reale che vale la pena provare.

Questo articolo è apparso originariamente in American Affairs, volume VIII, numero 1 (primavera 2024): 3-28.

Note

Desidero ringraziare l’American Affairs Foundation per il finanziamento delle ricerche che hanno portato alla stesura di questo articolo.

1 Tyler Cowen, La grande stagnazione: How America Ate All the Low-Hanging Fruit of Modern History, Got Sick, and Will (Eventually) Feel Better (New York: Penguin, 2011). Cowen è forse inutilmente deferente nei confronti dell’idea dei lettori che Internet e il personal computer siano innovazioni importanti che rappresentano un cambiamento radicale. Sebbene non si possa contestare che Internet abbia cambiato radicalmente molti aspetti della nostra vita, è anche tristemente noto per aver avuto uno scarso impatto apparente sulla produttività o sulla crescita dei lavoratori. Robert Solow, vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 1987, in un articolo del 1987 per la New York Review of Books, disse: “L’era dei computer si vede ovunque, ma non nelle statistiche sulla produttività”. Questo scollamento tra l’aumento dei computer e la mancanza di un impatto misurabile sulla produttività è stato chiamato “paradosso di Solow” e rimane un importante problema irrisolto nell’economia del lavoro.

Esiste persino un sito web dedicato alla catalogazione di tutti i modi in cui l’economia ha deluso dal 1971: https://wtfhappenedin1971.com.

3 Philipp Boeing e Paul Hünermund, “A Global Decline in Research Productivity? Evidence from China and Germany”, Economics Letters 197, (dicembre 2020): 109646; Peter Cauwels e Didier Sornette, “Are ‘Flow of Ideas’ and ‘Research Productivity’ in Secular Decline?”, Technological Forecasting & Social Change 174, (2022): 121267.

Austan Goolsbee e Chad Syverson, “The Strange and Awful Path of Productivity in the U.S. Construction Sector”, NBER Working Papers, no. 30845 (febbraio 2023).

Dan Andrews, Chiara Criscuolo e Peter N. Gal, “The Best versus the Rest: Divergence across Firms during the Global Productivity Slowdown”, CEP Discussion Papers, n. 1645 (agosto 2019); Ufuk Akcigit e Sina T. Ates, “Ten Facts on Declining Business Dynamism and Lessons from Endogenous Growth Theory”, American Economic Journal: Macroeconomics 13, n. 1 (gennaio 2021): 257-98.

Nicholas Bloom, Charles I. Jones, John Van Reenen e Michael Webb, “Are Ideas Getting Harder to Find?”, American Economic Review 110, no. 4 (aprile 2020): 1104-44.

Claudia Goldin e Lawrence F. Katz, The Race between Education and Technology (Cambridge: Harvard University Press, 2008); Enrico Moretti, The New Geography of Jobs (Boston: Houghton Mifflin Harcourt, 2012).

Edward L. Glaeser e Naomi Hausman, “The Spatial Mismatch between Innovation and Joblessness”, Innovation Policy and the Economy 20, no. 1 (2020): 233-99.

Mark Koyama e Jared Rubin, How the World Became Rich: The Historical Origins of Economic Growth (Cambridge, UK: Polity Press, 2022).

10 Peter Ganong e Daniel Shoag, “Why Has Regional Income Convergence in the U.S. Declined?”, Journal of Urban Economics 102 (novembre 2017): 76-90; Devin Michelle Bunten, “L’affitto è troppo alto? Aggregate Implications of Local Land-Use Regulation”, FEDS Working Papers, n. 2017-064 (giugno 2017).

11 Fatih Karahan, Benjamin Pugsley e Ayşegül Şahin, “Demographic Origins of the Startup Deficit”, NBER Working Papers, no. 25874 (maggio 2019); Jesús Fernández-Villaverde, Gustavo Ventura e Wen Yao, “The Wealth of Working Nations”, NBER Working Papers, no. 31914 (novembre 2023). Tra gli economisti si discute anche se stiamo misurando correttamente la crescita della produttività, in particolare nel settore dei servizi, che è cresciuto notevolmente negli ultimi decenni. Si veda, ad esempio, Chang-Tai Hsieh e Esteban Rossi-Hansberg, “The Industrial Revolution in Services”, Journal of Political Economy: Macroeconomics 1, no. 1 (marzo 2023): 3-42. Questo aspetto è particolarmente rilevante per esaminare il legame tra l’ascesa dei cluster tecnologici e il rallentamento della crescita della produttività, in quanto la ricerca suggerisce che la crescita dei posti di lavoro ad alta tecnologia ha una probabilità sproporzionata di creare posti di lavoro nel settore dei servizi: Enrico Moretti, “Local Multipliers”, American Economic Review 100, no. 2 (maggio 2010): 373-77. L’implicazione è che il rallentamento della produttività potrebbe essere un’illusione statistica, una funzione della crescita dei posti di lavoro ad alta intensità di R&S che stimola la crescita dei posti di lavoro nel settore dei servizi, in modo che la produttività sembra rallentare solo perché i miglioramenti della produttività in queste occupazioni non vengono rilevati dal Bureau of Labor Statistics. Tuttavia, la maggior parte degli studiosi riconosce che la produttività del settore dei servizi è inferiore a quella del settore manifatturiero. Per una rassegna di questa letteratura, si veda, ad esempio, Ronald Schettkat e Lara Yocarini, “The Shift to Services: A Review of the Literature”, IZA Discussion Papers, n. 964 (dicembre 2003). Pertanto, il fatto che i cluster tecnologici tendano a generare una crescita occupazionale molto maggiore nei primi piuttosto che nei secondi è destinato a contribuire a una crescita più lenta della produttività, a prescindere dai problemi di misurazione.

12 Esiste infatti una letteratura crescente che si chiede se il miglioramento dei processi di finanziamento del NSF e dei National Institutes of Health per sostenere la ricerca più rischiosa possa produrre un flusso di ricerca più favorevole al benessere; si veda, ad esempio, Chiara Franzoni, Paula Stephan e Reinhilde Veugelers, “Funding Risky Research”, NBER Working Papers, n. 28905 (giugno 2021).

13 Tra i tanti: Enrico Moretti, “The Effect of High-Tech Clusters on the Productivity of Top Inventors”, American Economic Review 111, no. 10 (ottobre 2021): 3328-75; Adam B. Jaffe, Manuel Trajtenberg e Rebecca Henderson, “Geographic Localization of Knowledge Spillovers as Evidence by Patent Citations”, Quarterly Journal of Economics 108, no. 3 (agosto 1993): 577-98; Ufuk Akcigit, Santiago Caicedo, Ernest Miguelez, Stefanie Stantcheva e Valerio Sterzi, “Dancing with the Stars: Innovation through Interactions”, NBER Working Papers, n. 24466 (marzo 2018).

14 Ad esempio, Robert M. Solow, “A Contribution to the Theory of Economic Growth”, Quarterly Journal of Economics 70, no. 1 (febbraio 1956): 65-94.

15 Per una buona panoramica di questo paradigma si veda Glaeser e Hausman, “The Spatial Mismatch between Innovation and Joblessness” . Questa fiducia nei benefici di produttività dei cluster tecnologici non è universale nella professione economica, ma è ragionevolmente diffusa. Ad esempio, anche gli articoli che sostengono i vantaggi in termini di benessere di una redistribuzione basata sul luogo ammettono spesso la premessa che la redistribuzione dai cluster tecnologici altamente produttivi alle regioni in difficoltà con una produttività inferiore genererà costi di efficienza sostanziali. Si veda, ad esempio, Cecile Gaubert, Patrick M. Kline e Danny Yagan, “Place-Based Redistribution”, NBER Working Paper, n. 28337 (gennaio 2021).

16 Edward L. Glaeser, Triumph of the City: How Our Greatest Invention Makes Us Richer, Smarter, Greener, Healthier, and Happier (New York: Penguin, 2012); Steven Klepper, “The Origin and Growth of Industry Clusters: The Making of Silicon Valley”, Journal of Urban Economics 67, no. 1 (gennaio 2010): 15-32.

17 Glaeser e Hausman, “The Spatial Mismatch between Innovation and Joblessness”.

18 Michael J. Andrews e Alexander Whalley, “150 Years of the Geography of Innovation”, Regional Science and Urban Economics 94 (maggio 2022): 103627.

19 Daniel P. Gross e Bhaven N. Sampat, “America, Jump-Started: World War II R&D and the Takeoff of the U.S. Innovation System”, American Economic Review 113, no. 12 (dicembre 2023): 3323-56.

20 Vannevar Bush, Science-the Endless Frontier (Washington, D.C.: United States Government Printing Office, 1945).

21 Daniel Lee Kleinman, Politics on the Endless Frontier: Postwar Research Policy in the United States (Durham, NC: Duke University Press, 1995).

22 Si vedano, ad esempio, i capitoli 7 e 8 di: John Aubrey Douglass, The California Idea and American Higher Education: 1850 to the 1960 Master Plan (Stanford: Stanford University Press, 2000).

23 Goldin e Katz, La corsa tra istruzione e tecnologia.

24 Goldin e Katz, La corsa tra istruzione e tecnologia.

25 Abigail Wozniak, “I laureati sono più reattivi alle opportunità del mercato del lavoro distante?”, Journal of Human Resources 45, no. 4 (ottobre 2010): 944-70; Ofer Malamud e Abigail Wozniak, “The Impact of College on Migration”, Journal of Human Resources 47, no. 4 (ottobre 2012): 913-50.

26 Xiao Li, “Migration Behaviors and Educational Attainment of Metro versus Non-Metro Youth”, Rural Sociology 87, no. 4 (dicembre 2022): 1302-39.

27 Per un’analisi di come la forza dei legami locali possa influenzare le economie locali, si veda: Mike Zabek, “Local Ties in Spatial Equilibrium”, FEDS Working Paper, n. 2019-080 (novembre 2019).

28 Jaison R. Abel e Richard Deitz, “Do Colleges and Universities Increase Their Region’s Human Capital”, Journal of Economic Geography 12, no. 3 (maggio 2012): 667-91; John Bound et al., “Trade in University Training: Cross-State Variation in the Production and Stock of College-Educated Labor”, Journal of Econometrics 121, no. 1-2 (luglio-agosto 2004): 143-73; William M. Bowen e Haifeng Qian, “State Spending for Higher Education: Does it Improve Economic Performance”, Regional Science Policy & Practice 9, no. 1 (marzo 2017): 7-23; Felicia Ionescu e Linnea A. Polgreen, “A Theory of Brain Drain and Public Funding for Higher Education in the United States”, American Economic Review: Papers & Proceedings 99, no. 2 (maggio 2009): 517-21.

29 Greg Howard, Russell Weinstein e Yuhao Yang, “Do Universities Improve Local Economic Resilience?”, Review of Economics and Statistics, di prossima pubblicazione (giugno 2022).

30 Questo elenco non è esaustivo e la ricerca sul declino della denominazione A&M è in corso. Abbiamo contrassegnato una scuola come convertita da A&M a università quando ha iniziato a offrire lauree di primo livello; ha adottato la denominazione di università e ha avviato dipartimenti di scienze umane; oppure, se nessuna di queste date è nota, abbiamo utilizzato la data di un cambiamento di nome che indica che la scuola stava abbandonando la precedente denominazione di tipo A&M.

31 Goldin e Katz, The Race between Education and Technology.

32 Questo tema è discusso anche dalla stampa popolare. Shad White, il revisore dei conti dello Stato del Mississippi, si è recentemente lamentato del fatto che “i contribuenti dello Stato potrebbero anche staccare un assegno ad Atlanta ogni anno”, in riferimento al fatto che solo circa la metà dei laureati delle università pubbliche del Mississippi lavora nello Stato tre anni dopo la laurea(Cameron McWhirter, “The American South is Booming. Why is Mississippi Left Behind?”, Wall Street Journal, 31 dicembre 2023).

33 Abel e Dietz, “I college e le università aumentano il capitale umano della loro regione”.

34 Ad esempio, un lavoro ha stimato che solo il 37% delle contee con università ha attratto più lavoratori altamente qualificati rispetto al numero di diplomi di istruzione superiore prodotti dal 1990 al 2000: E. Jason Baron, Shawn Kantor, Alexander Whalley, “Extending the Reach of Research Universities: A Proposal for Productivity Growth in Lagging Communities”, Place-Based Policies for Shared Economic Growth, eds. Jay Shambaugh e Ryan Nunn (Washington, D.C.: Brookings Institution, 2018), 157-84.

35 Ad esempio, il libro di Edward L. Glaeser, The Triumph of the City, pone l’Università di Stanford proprio al centro della narrazione sull’ascesa della Silicon Valley. Non solo i suoi laureati hanno svolto un ruolo importante nel fornire talenti ad alcune delle aziende di semiconduttori che hanno dato il nome alla Silicon Valley, come lo Shockley Semiconductor Laboratory e la Fairchild Semiconductor, ma decenni dopo è stata anche la scuola frequentata dai fondatori di Google (Sergey Brin e Larry Page), tra gli altri luminari della tecnologia.

36 Si tratta del Bayh-Dole Act del 1980 e del Trademark Clarification Act del 1984, che hanno dato alle università e ai docenti incentivi diretti a brevettare e concedere in licenza alle aziende le loro scoperte. Prima della Bayh-Dole, le università generalmente evitavano di farlo per paura di compromettere l’ideale di scienza aperta e di distrarre l’università dal perseguimento della scienza pura. La Bayh-Dole ha permesso alle università di detenere i diritti di brevetto e le royalties delle loro innovazioni anche per la ricerca finanziata a livello federale. Nel 1984, il Trademark Clarification Act ha eliminato le restrizioni sull’esclusività delle licenze, migliorando l’attrattiva delle licenze delle innovazioni universitarie per le imprese private: Naomi Hausman, “University Innovation and Local Economic Growth”, Review of Economics and Statistics 104, no. 4 (luglio 2022): 718-25.

37 Shawn Kantor e Alexander Whalley, “Knowledge Spillovers from Research Universities: Evidence from Endowment Value Shocks”, Review of Economics and Statistics 96, no. 1 (marzo 2014): 171-88; Hausman, “Innovazione universitaria e crescita economica locale”.

38 William R. Kerr e Frederic Robert-Nicoud, “Tech Clusters”, Journal of Economic Perspectives 34, no. 3 (estate 2020): 50-76. Queste città sono, in ordine di quota degli investimenti totali in capitale di rischio del 2015-18, San Francisco (Bay Area), New York e New York: San Francisco (Bay Area), New York, Boston, Los Angeles, Seattle, San Diego, Chicago, Washington DC, Miami, Denver, Austin, Philadelphia, Atlanta, Minneapolis-St. Paul e Raleigh-Durham. Gli autori definiscono i lavoratori “altamente qualificati” come quelli con una laurea o più e che guadagnano almeno 50.000 dollari all’anno. I primi dieci settori di R&S sono quelli con il più alto tasso di R&S per lavoratore: editori di software; prodotti farmaceutici e medicinali; altri prodotti informatici ed elettronici; elaborazione dati, hosting e servizi correlati; apparecchiature di comunicazione; semiconduttori e altri componenti elettronici; strumenti di navigazione, misurazione, elettromedicali e di controllo; pesticidi, fertilizzanti e altri prodotti chimici per l’agricoltura; prodotti e parti aerospaziali; servizi di ricerca e sviluppo scientifici. Fonte: National Science Foundation, Business Research and Development: 2017Detailed Statistical Tables (NSF 20-311) (Washington, D.C., National Science Foundation, 2017).

39 I datori di lavoro non potevano più utilizzare i test di abilità dopo la sentenza Griggs v. Duke Power Co. (1971), quando la Corte Suprema ha di fatto bandito questi test per motivi di impatto disparitario. Diversi commentatori hanno notato, ironicamente, che Griggs ha spianato la strada ai datori di lavoro per l’utilizzo di un titolo di studio universitario come test di abilità de facto che determina un impatto disparato (legale) (ad esempio, Hess e Addison, 2019Fuller e Raman, 2017).

40 Taehyun Jung e Olof Ejermo, “Demographic Patterns and Trends in Patenting: Gender, Age, and Education of Inventors”, Technological Forecasting and Social Change 86, (luglio 2014): 110-24; Philippe Aghion, Ufuk Akcigit, Ari Hyytinen e Otto Toivanen, “The Social Origins of Inventors”, NBER Working Papers, n. 24110 (dicembre 2017); Alex Bell et al., “Who Becomes an Inventor in America? The Importance of Exposure to Innovation”, Quarterly Journal of Economics 134, no. 2 (maggio 2019): 647-713.

41 Caroline M. Hoxby, “The Changing Selectivity of American Colleges”, Journal of Economic Perspectives 23, no. 4 (autunno 2009): 95-118.

42 Ad esempio, Goldin e Katz, The Race Between Education and Technology offre un’ampia rassegna dell’ascesa dell’istruzione di massa negli Stati Uniti dalla fondazione ai primi anni 2000, ma non menziona le parole “test standardizzati”, “SAT”, “ACT” o i loro equivalenti.

43 Kevin M. Murphy, Andrei Shleifer, Robert W. Vishny, “The Allocation of Talent: Implications for Growth”, Quarterly Journal of Economics 106, no. 2 (maggio 1991): 503-30; Chang-Tai Hsieh et al., “The Allocation of Talent and U.S. Economic Growth,” Econometrica 87, no. 5 (settembre 2019): 1439-74; Hans K. Hvide, “Education and the Allocation of Talent”, Journal of Labor Economics 21, no. 4 (ottobre 2003): 945-76.

44 Per le prove che i datori di lavoro utilizzano l’università frequentata come strumento di screening delle capacità sottostanti, si veda: Peter Arcidiacono, Patrick Bayer e Aurel Hizmo, “Beyond Signaling and Human Capital: Education and the Revelation of Ability”, American Economic Journal: Applied Economics 2, no. 4 (ottobre 2010): 76-104; Brad J. Hershbein, “I segnali dei lavoratori tra i nuovi laureati: The Role of Selectivity and GPA”, Upjohn Institute Working Papers, n. 13-190 (gennaio 2013). Ciò si traduce in guadagni più elevati per i laureati di università selettive, cfr. ad es: Eleanor Wiske Dillon e Jeffrey Andrew Smith, “The Consequences of Academic Match Between Students and Colleges”, Journal of Human Resources 58, no. 6 (novembre 2023): 768-808; Dan A. Black e Jeffrey A. Smith, “Estimating the Returns to College Quality with Multiple Proxies for Quality”, Journal of Labor Economics 24, no. 3 (luglio 2006): 701-28.

45 Goldin e Katz, La corsa tra istruzione e tecnologia.

46 Douglass, The California Idea and American Higher Education.

47 Mark Hoekstra, “The Effect of Attending the Flagship State University on Earnings: A Discontinuity-Based Approach”, Review of Economics and Statistics 91, no. 4 (novembre 2009): 717-24.

48 Caroline M. Hoxby e Christopher Avery, “The Missing ‘One-Offs’: the Hidden Supply of High-Achieving, Low-Income Students”, NBER Working Papers, no. 18586 (dicembre 2012).

49 Nicholas Lemann, La grande prova: The Secret History of the American Meritocracy (New York: Farrar, Straus, and Giroux, 2000).

50 Il primo Stato a richiedere un test standardizzato per l’ammissione è stato il Colorado nel 1946, che ha richiesto il punteggio ACT del candidato. Il primo Stato a richiedere il SAT è stato Rutgers, nel New Jersey, nel 1947, il che probabilmente non è una coincidenza, dato che la consorella del College Board che si occupa del punteggio del SAT, l’Educational Testing Service (ETS), ha sede nel New Jersey.

51 Sono grato a Daniel Gross per aver condiviso con me i suoi dati sui premi OSRD per istituzione.

52 Per nove università non siamo riusciti ad accertare quando o se la scuola abbia mai richiesto il SAT o l’ACT per l’ammissione: Boston University, Catholic University, Cooper Union, Depauw, Illinois Institute of Technology, Loyola University (Chicago), Newark College of Engineering (ora New Jersey Institute of Technology) e St. Una decima università, la Case Western Reserve University, è il risultato della fusione del 1967 tra il Case Institute of Technology e la Western Reserve University. La Western Reserve ha iniziato a richiedere il SAT nel 1955, mentre Case ha iniziato a richiederlo nel 1958. Poiché sia Case che la Western Reserve hanno ricevuto indipendentemente i fondi OSRD, sono incluse separatamente nel conteggio totale delle 60 università e nei conteggi della figura 5.

53 Hoxby, “The Changing Selectivity of American Colleges”.

54 Jeffrey A. Groen, “The Effect of College Location on Migration of College-Educated Labor”, Journal of Econometrics 121, n. 1-2 (luglio-agosto 2004): 125-42.

55 Danny Dougherty, Brian McGill, Dante Chinni e Aaron Zitner, “Where Graduates Move after College”, Wall Street Journal, 15 maggio 2018.

56 Raj Chetty, David J. Deming e John N. Friedman, “Diversificare i leader della società? The Determinants and Causal Effects of Admission to Highly Selective Private Colleges”, NBER Working Papers, no. 31492 (ottobre 2023).

57 Olivier Blanchard e Lawrence F. Katz, “Regional Evolutions”, Brookings Papers on Economic Activity 23, no. 1 (1992): 1-76; Robert J. Barro e Xavier Sala-i-Martin, “Convergenza”, Journal of Political Economy 100, no. 2 (aprile 1992): 223-51.

58 Moretti, La nuova geografia del lavoro.

59 Rebecca Diamond, “The Determinants and Welfare Implications of U.S. Workers’ Diverging Location Choices by Skill: 1980-2000”, American Economic Review 106, no. 3 (marzo 2016): 479-524; Joseph Gyourko, Christopher Mayer e Todd Sinai, “Superstar Cities”, American Economic Journal: Economic Policy 5, no. 4 (novembre 2013): 167-99; Richard Florida, “The Economic Geography of Talent”, Annals of the Association of American Geographers 92, no. 4 (2002): 743-55; Enrico Berkes e Ruben Gaetani, “Income Segregation and the Rise of the Knowledge Economy”, American Economic Journal: Applied Economics 15, no. 2 (aprile 2023): 69-102.

60 Il lavoro di Gross e Sampat mostra come il ruolo del sistema universitario, sempre più gerarchizzato, possa essere sottovalutato. Gli autori scoprono che ci sono voluti circa gli anni ’60 prima che gli effetti di agglomerazione in alcuni cluster OSRD iniziassero a manifestarsi davvero. Una ragione potrebbe essere che per alimentare la crescita di queste industrie era necessaria una maggiore offerta di laureati rispetto a quella disponibile durante la guerra. Tuttavia, se così fosse, ci si sarebbe potuti aspettare che la GI Bill del 1944, che ha provocato un’impennata di iscrizioni all’università tra i veterani di ritorno, avrebbe aiutato questi cluster a decollare mentre il lavoro dell’OSRD era ancora fresco nelle menti dei suoi scienziati e ingegneri. Come si è detto, tuttavia, nel 1945 la maggior parte dei college non era particolarmente selettiva e si dovette attendere la metà degli anni Sessanta perché una massa critica di college pubblici e privati adottasse mandati SAT o ACT sufficientemente lunghi da consentire di considerare plausibilmente i primi laureati come preselezionati sulla base delle attitudini. Anche le riforme sull’immigrazione successive al 1965, che hanno permesso alle aziende tecnologiche di reclutare dipendenti a livello internazionale, possono aver giocato un ruolo nella capacità dei cluster tecnologici di attrarre talenti. Per il ruolo dei visti H-1B nell’innovazione degli immigrati, si veda: William R. Kerr e William F. Lincoln, “The Supply Side of Innovation: H-1B Visa Reforms and U.S. Ethnic Invention”, Journal of Labor Economics 28, no. 3 (luglio 2010): 473-508.

61 Per esempio, basti pensare alla Vienna di fine secolo, dove l’effetto dei pari ha fatto proliferare idee pseudoscientifiche come la psicoanalisi.

62 Bell et al., “Who Becomes an Inventor in America? The Importance of Exposure to Innovation”; Caroline Viola Fry, “Crisis and the Trajectory of Science: Evidence from the 2014 Ebola Outbreak”, Review of Economics and Statistics 105, no. 4 (luglio 2023): 1028-38; Sarada Sarada, Michael J. Andrews e Nicolas L. Ziebarth, “Changes in the Demographics of American Inventors, 1870-1940”, Explorations in Economic History 74 (ottobre 2019): 101275.

63 Jacob Moscona e Karthik Sastry, “Tecnologia inappropriata: Evidence from Global Agricultural”, SSRN Working Paper, no. 3886019 (novembre 2022).

64 Un esempio è l’ascesa dei cambiamenti tecnologici “che migliorano il tempo libero”, dove i recenti miglioramenti nell’intrattenimento e nei social media possono aver abbassato la nostra produttività totale perché si tratta di tecnologie destinate a monetizzare in modo non produttivo la nostra attenzione. Si veda: Łukasz Rachel, “Leisure-Enhancing Technological Change”, Working Paper, 21 novembre 2022. In effetti, ci sono alcune prove che il costante miglioramento dei videogiochi ha ridotto l’offerta di lavoro dei giovani uomini. Si veda: Mark Aguiar et al., “Leisure Luxuries and the Labor Supply of Young Men”, Journal of Political Economy 129, no. 2 (febbraio 2021): 337-82.

65 Pierre Azoulay, Christian Fons-Rosen e Joshua S. Graff Zivin, “Does Science Advance One Funeral at a Time?”. American Economic Review 109, n. 8 (agosto 2019): 2889-920.

66 Michael Park, Erin Leahey e Russell J. Funk, “Papers and Patents are Becoming Less Disruptive over Time”, Nature 613, (2023): 138-44.

67 Bryan Kelly, Dimitris Papanikolaou, Amit Seru e Matt Taddy, “Measuring Technological Innovation over the Long Run”, American Economic Review: Insights 3, no. 3 (settembre 2021): 303-20.

68 Daron Acemoglu et al., “Il ritorno del paradosso di Solow? IT, Productivity, and Employment in Employment in U.S. Manufacturing”, American Economic Review: Papers and Proceedings 104, no. 5 (maggio 2014): 394-99; Daron Acemoglu e Pascual Restrepo, “Automation and New Tasks: How Technology Displaces and Reinstates Labor”, Journal of Economic Perspectives 33, no. 2 (Spring 2019): 3-30.

69 Roland Andersson, John M. Quigley e Mats Wilhelmsson, “Urbanizzazione, produttività e innovazione: Evidence from Investment in Higher Education”, Journal of Urban Economics 66, no. 1 (luglio 2009): 2-15.

70 Michael J. Andrews, “How Do Institutions of Higher Education Affect Local Invention? Evidence from the Establishment of U.S. Colleges”, American Economic Journal: Economic Policy 15, no. 2 (maggio 2023): 1-41.

71 Moderna, l’altra azienda che utilizza il brevetto di Kariko e Weissman, ha sede a Cambridge, Massachusetts.

72 Sebbene il Congresso sia stato autorizzato a spendere 11 miliardi di dollari tra i due programmi, al momento in cui scriviamo ha stanziato solo 500 milioni di dollari per il programma dei poli tecnologici regionali e 200 milioni di dollari per il programma pilota del Recompete Act.

73 Benjamin Austin, Edward L. Glaeser e Lawrence Summers, “Jobs for the Heartland: Place-Based Policies in 21st-Century America”, Brookings Papers on Economic Activity (primavera 2018): 151-240.

74 Timothy J. Bartik e Nathan Sotherland, “Local Job Multipliers in the United States: Variation with Local Characteristics and with High-Tech Shocks”, Upjohn Institute Working Papers, n. 19-301.

75 Gli effetti reali di questa fuga di cervelli non sono ben studiati. In via preliminare, ho utilizzato i dati sui brevetti dell’U.S. Patent and Trademark Office, fornitimi per gentile concessione di Enrico Berkes, per un periodo compreso tra il 1945 e il 2014 e ho effettuato un’analisi di event study sugli effetti di un requisito di ammissione SAT/ACT sul numero di brevetti annuali registrati di ciascuna contea. Gli studi di evento possono essere distorti quando tutte le osservazioni vengono trattate (in questo caso, quando tutte le contee si trovano in Stati con un requisito di ammissione SAT/ACT). Per minimizzare questa distorsione, ho ristretto il campione ai soli anni 1945-88, lasciando Washington, D.C., North Dakota, Oklahoma, Wisconsin e Stato di Washington come stati di controllo. Ho controllato l’ammontare dei finanziamenti NSF che una contea riceveva attraverso una variabile strumentale “shift-share”, in cui ho preso le quote di sovvenzioni universitarie OSRD per ogni contea e poi ho assegnato le sovvenzioni NSF a ogni contea moltiplicando gli stanziamenti annuali del Congresso NSF per le quote OSRD. Questo approccio deve essere considerato come un primo tentativo di risolvere la questione, ma ho comunque riscontrato che la brevettazione inizia ad aumentare in modo sostanziale nelle contee che hanno un’ammiraglia statale circa quattro anni dopo l’introduzione di un requisito di ammissione SAT/ACT (che riflette il tempo modale necessario per laurearsi). La brevettazione nelle contee non-flagship sembra inizialmente inalterata, ma dopo circa quindici-diciotto anni ex post inizia a registrare piccoli cali. Ciò fa pensare a un effetto di riallocazione, ma sono necessari ulteriori approfondimenti. Per informazioni sui dati brevettuali di Enrico Berkes, si veda: Enrico Berkes, “Comprehensive Universe of U.S. Patents (CUSP): Data and Facts”, Working Paper, 9 maggio 2018.

76 Enrico Moretti, “Estimating the Social Return to Higher Education: Evidence from Longitudinal and Repeated Cross-Sectional Data”, Journal of Econometrics 121, no. 1-2 (luglio-agosto 2004): 175-212.

77 Le misure della produttività del lavoro statale provengono dalla serie del Bureau of Labor Statistics (BLS) sulla produttività del lavoro statale. Questi dati coprono il periodo 2007-22 e sono indicizzati al 2012. I calcoli relativi al guadagno e alla fuga di cervelli provengono da un rapporto del 2019 del Social Capital Project del Joint Economic Committee del Congresso degli Stati Uniti: U.S. Senate Joint Economic Committee-Republicans, “Losing Our Minds: Brain Drain across the United States”, Social Capital Project Reports, n. 2-19 (aprile 2019). La fuga netta assoluta di cervelli è definita nei dati come la percentuale di persone con un alto livello di istruzione tra coloro che lasciano il Paese meno la percentuale di persone con un alto livello di istruzione tra coloro che entrano, dove per alto livello di istruzione si intendono coloro che si trovano nel terzo superiore della distribuzione nazionale dell’istruzione degli adulti di età compresa tra 31 e 40 anni. Gli Stati con un valore negativo di Absolute Net Brain Drain stanno sperimentando un guadagno di cervelli e quelli con valori positivi stanno sperimentando una fuga di cervelli.

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