LA GUERRA ASIMMETRICA HA FALLITO IL COLPO, di Antonio de Martini

LA SIRIA ROMPE DEFINITIVAMENTE L’ASSEDIO E LIBERA LA FRONTIERA OCCIDENTALE.

Dopo undici anni di ostilità verso la Siria  e appoggio logistico e politico  ai “ ribelli siriani” rivelatisi una banda di mercenari stranieri pagati dagli USA, re Abdallah II  di Giordania ha avuto ieri ( domenica 3 ottobre) una lunga conversazione telefonica col presidente siriano Bashar El Assad

Nella lunga conversazione il re – alleato degli USA e figlio di una inglese – ha confermato l’apertura delle frontiere, dichiarato il pieno sostegno della Giordania alla « stabilità , sovranità e unità territoriale » della Siria.

L’accenno alla «  unità territoriale » vale sia per Idlib al nord  (Turchia) che per il Golan a sud (Israele).

La posizione giordana va letta anche come vendetta contro l’intesa israelo-saudita che, l’estate scorsa, ha tentato una congiura di palazzo per  detronizzare il re e aprire la via al saudita Mohammed Ben Salman che aspira a soppiantare la dinastia Hashemita nel ruolo ( riconosciuto ufficialmente anche da Israele) di protettore di Gerusalemme terza città santa dell’Islam, anche per confermare il ruolo usurpato di protettore delle altre due città sante: Mecca e Medina.

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l’Arabia Saudita va verso l’isolamento nel mondo arabo?

L’ accanita, intelligente, difesa dell’esercito siriano e dei volontari libanesi, Falangisti cristiani e Hezbollah,  ha portato i suoi frutti: dopo l’Egitto e gli Emirati che stanno riaprendo le sedi diplomatiche a Damasco, un altro importante paese arabo leva l’assedio e apre alla riammissione della Siria in seno alla Lega Araba.

L’isolamento dell’Arabia Saudita e del suo reggente assassino si accentua, cosi come continua a svuotarsi  la politica USA  nel Levante.

Da undici anni di sforzi, finanziamenti e «  primavere », gli USA raccolgono solo la grave crisi dei rapporti con la Turchia e raggiungono un plebiscitario picco di impopolarità da Tunisi a Kabul.
E ci saranno altre conseguenze. In Yemen dove i ribelli Houti sono ormai alle porte di Marib ( principale città alla frontiera nord con l’Arabia Saudita), il che vuol dire la crisi dei rifornimenti tra i sauditi e il fronte.

Fermenti prevedibili anche in Sudan, dove il tentato golpe del mese scorso da parte di un reparto corazzato, fa temere l’inizio di un ripensamento rispetto alla recente scelta filoamericana e democratica, grazie anche a un crescente interessamento egiziano per una intesa contro il ricatto etiopico sulle acque del Nilo su cui poggia – tramite agricoltura di controstagione con l’Europa- tutta la raccolta di valuta pregiata dell’Egitto, canale a parte.

Un’altra arma di ricatto made in USA destinata a cadere o provocare una guerra. Intanto ha già provocato una guerriglia nella zona mussulmana del Tigrai, mentre per lo sfruttamento delle acque della Renaissance Dam manca completamente la palificazione elettrica tra ladina e la capitale…

Un’altra prova che la geopolitica é un’arma a doppio taglio per chi é sprovvisto di adeguata cultura storica, geografica e politica e vuole partecipare al grande gioco solo perché si sente forte. Come ha scritto Friederich Nietsche oltre un secolo fa, vincerà chi ha più memoria. Non chi immagazzina più dati ( NdR).

Lo stato della questione del Sahara, di Bernard Lugan

Nel 1956, quando il Marocco riconquistò la sua indipendenza, doveva ancora completare la sua riunificazione territoriale. La sua sovranità infatti era stata ripristinata solo sulle due ex zone dei protettorati francese e spagnolo, il che significava che diverse province o parti del paese dovevano ancora essere recuperate. Al nord, Sebta, Melilla, le isole Jaafarin, al sud, Ifni, Tarfaya, Saquia el Hamra e Oued ad Dahab, tutto sotto la sovranità spagnola.

 

Il signor Allal el Fassi, leader del partito nazionalista lstiqlal (Indipendenza), era stato molto chiaro su questo argomento il 27 marzo 1956 quando aveva dichiarato che: “Finché Tangeri non sarà liberata dal suo status internazionale finché il deserti spagnoli del sud, finché il Sahara da Tindouf ad Atar, finché i confini algerino-marocchini non saranno liberati dalla loro tutela, la nostra indipendenza rimarrà zoppa e il nostro primo dovere sarà quello di continuare l’azione per liberare la patria e unificarlo. Perché la nostra indipendenza sarà completa solo con il Sahara”. A tal fine, il sultano Mohammed V aveva dato il suo sostegno allo svolgimento nel marzo 1956 del Congresso della Saquia el Hamra dove diverse migliaia di rappresentanti di tutte le tribù della regione avevano proclamato la loro marocchinità. Nel giugno 1956 il Rguibat imbraccia le armi e nel novembre 1957 praticamente tutto il Sahara spagnolo è sotto il controllo dell’ALN, ad eccezione di tre punti di resistenza: Villa Cisneros, El Ayoun (Laâyoune) e Cape Juby (Capo Bojador, Boujdour). Questo sviluppo della situazione ai confini dell’Algeria, dove l’esercito francese stava combattendo l’FLN algerino, non poteva lasciare indifferente lo stato maggiore francese ed è per questo che, insieme alle autorità spagnole, fu deciso un intervento congiunto nel febbraio 1958. Fu Operazione Swab che ha cambiato i dati dei problemi nel Sahara Occidentale perché le tribù più impegnate nella lotta per l’attaccamento della regione al Marocco sono poi andate in esilio in territorio marocchino. Tuttavia, questi rifugiati erano al centro del problema della creazione delle liste elettorali per il referendum sull’autodeterminazione nel Sahara occidentale. Nel 1962, il re Hassan II chiese al Comitato per la decolonizzazione delle Nazioni Unite di inserire Ifni e il Sahara occidentale nell’elenco dei territori da decolonizzare. Nel 1964 e nel 1965, l’ONU sostenne la rivendicazione marocchina e invitò la Spagna ad aprire immediatamente i negoziati. Il 20 dicembre 1966 l’Assemblea Generale chiese a Madrid di restituire l’area di Sidi Ifni al Marocco e di organizzare, sotto gli auspici dell’ONU, un referendum nel Sahara occidentale. La Spagna si arrese a Ifni nel 1969, ma la spinosa questione del Sahara occidentale rimase irrisolta. Il 23 luglio 1973, i presidenti Boumediene d’Algeria, Ould Daddah di Mauritania e re Hassan II si incontrarono ad Agadir per definire un piano d’azione comune sulla questione del Sahara occidentale. Durante questo vertice sono state espresse in pieno giorno le opposte posizioni del Marocco e dell’Algeria: – La posizione di Rabat è stata chiara: in cambio del riconoscimento dell’esistenza della Mauritania da un lato e del suo confine con l’Algeria dall’altro, Algeri e Nouakchott doveva sostenere il desiderio del Marocco di recuperare il “suo” Sahara. Il Marocco ha accettato l’autodeterminazione solo a condizione che il ballottaggio avvenga o al ritorno della regione al Marocco o al mantenimento dello status quo spagnolo. – L’Algeria, che voleva invece uno “Stato sahariano” indipendente, vedeva nell’autodeterminazione un mezzo per ottenere questa indipendenza. Le soluzioni possibili erano quattro:
1) Attaccamento e integrazione in Marocco. 2) La divisione del territorio tra Marocco e Mauritania. 3) La costituzione di un’entità da definire sotto la triplice influenza di Marocco, Algeria e Mauritania. 4) La costituzione di uno Stato sahariano indipendente. Madrid ha applicato le risoluzioni Onu, in particolare quella relativa al referendum, ma in un senso non in linea con le opinioni marocchine.

Il 20 agosto 1974, re Hassan II si oppose ufficialmente al referendum indetto dalla Spagna perché, per lui, non c’era motivo di sottoporre al voto un territorio marocchino e ciò per staccarlo definitivamente dal Marocco. Quindi, il 17 settembre 1974, in questo contesto di situazione bloccata, il sovrano marocchino ha presentato la controversia marocchino-spagnola alla Corte internazionale di giustizia. Il 16 settembre 1975, quest’ultimo rese noto il suo parere: – Il Sahara occidentale non era una “terra nullius” al momento della sua colonizzazione da parte della Spagna poiché il territorio: – La Corte ha riconosciuto: “(…) l’esistenza, al tempo della colonizzazione spagnola, dei legami legali di fedeltà tra il Sultano del Marocco e alcune tribù che vivevano nel territorio del Sahara occidentale”. – La Corte ha ammesso: “(…) che le peculiarità dello Stato marocchino nascevano anzitutto dai fondamenti stessi del potere in Marocco, di cui il vincolo religioso dell’Islam e quello di fedeltà costituivano, più che la nozione di territorio, il due elementi fondamentali”. Legalmente in una posizione di forza, il re Hassan II cercò un modo per costringere il governo spagnolo a negoziare con lui. Ha quindi immaginato di riunire 350.000 volontari di cui 35.000 donne, in rappresentanza di tutte le province, regioni e città del Marocco, per coinvolgerli in una marcia pacifica verso il Sahara occidentale. Era la “marcia verde” che iniziò giovedì 6 novembre 1975 e che riunì diverse centinaia di migliaia di manifestanti in un’abbondanza di bandiere marocchine. Madrid ha accettato il fatto compiuto e il 14 novembre è stato firmato l’accordo tripartito Spagna, Marocco e Mauritania. Prevede la spartizione dell’ex colonia spagnola tra Marocco e Mauritania. In Marocco la parte settentrionale, cioè la Saquia el Hamra e in Mauritania la parte meridionale o Oued ad Dahab. Per il bene di una soluzione globale, il Marocco aveva quindi accettato di abbandonare la parte meridionale del Sahara occidentale alla Mauritania per allearsi con Nouakchott. La concessione, che era cospicua, fu però capita solo perché la Mauritania era diventata amica del Marocco. Tuttavia, l’Algeria e il Polisario cercarono di opporsi alla nuova situazione e nell’ex territorio spagnolo scoppiarono pesanti combattimenti. Nella zona marocchina l’esercito reale è riuscito a contenere gli assalitori ma non è stato lo stesso nel sud dove è stato surclassato l’esercito mauritano, cosa che ha costretto il Marocco ad intervenire. Per l’Algeria, infatti, non si trattava di lasciare che il Marocco si estendesse lungo la costa atlantica, chiudendo così tutti gli sbocchi del Sahara algerino a ovest e all’oceano. La sua politica era quindi semplice: contestare con tutti i mezzi il carattere marocchino del Sahara occidentale e sostenere la finzione dell’esistenza di un popolo sahariano che ha il diritto di autodeterminarsi in modo da creare un mini stato sahariano sul quale Algeri potrebbe esercitare il controllo. di protettorato. Per raggiungere questo obiettivo, l’Algeria agisce in due direzioni: 1) Contestando l’accordo tripartito del 14 novembre 1975, non riconoscendo: “ai governi di Spagna, Marocco e Mauritania ogni diritto di disporre del territorio del Sahara e del destino di la sua gente; per questo considera nulla la Dichiarazione di Principi presentata dalla Spagna e non conferisce alcuna validità alle sue disposizioni”. (Lettera del rappresentante permanente dell’Algeria all’ONU, 19 novembre 1975. 2) Dare al Polisario i mezzi militari che gli permettano di condurre una vera guerra. Prima contro la Mauritania per destabilizzare il governo, poi, poi, contro il Marocco. Algeri ha beneficiato per la prima volta del sostegno spagnolo.

Madrid ha così denunciato l'”espansionismo marocchino” e ha avanzato l’idea dell’autodeterminazione del “popolo sahariano”. Poi, dopo la “Marcia Verde” e il ritiro spagnolo, l’Algeria è rimasta sola contro il Marocco. Poiché la sua azione politica e diplomatica non aveva avuto i risultati sperati, l’Algeria diede al Polisario i mezzi militari che gli mancavano e patrocinò una “Repubblica Araba e Democratica del Sahara” (RASD) che fu proclamata all’inizio del mese di febbraio 1976 e portò al fonte battesimale dell’Algeria, il cui interesse regionale era triplice: politico, economico [2] e strategico [3]. Per Algeri non si trattava di lasciare che il Marocco si estendesse lungo la costa atlantica e chiudesse così tutti gli sbocchi dal Sahara algerino all’oceano. La sua politica era quindi quella di contestare con tutti i mezzi il carattere marocchino del Sahara occidentale e di sostenere la finzione dell’esistenza di un popolo sahariano avente diritto all’autodeterminazione, in modo da creare un mini-stato sul quale potesse esercitarsi. sorta di protettorato. Il 25 ottobre 1977 un’azione spettacolare del Polisario portò al rapimento di ostaggi europei a Zouératen in Mauritania e il Marocco si trovò costretto ad intervenire per evitare il crollo dell’esercito mauritano. Il 10 luglio 1979, un colpo di stato rovesciò il presidente mauritano Mokhtar Ould Daddah che fu sostituito dal colonnello Ould Mohamed Salek. Pochi giorni dopo, al 16° vertice dell’OUA tenutosi a Monrovia, la Mauritania ha fatto sapere che si stava dissociando dal suo alleato marocchino e ha votato una risoluzione che chiede un referendum nel Sahara. Poi, il 5 agosto 1979, ad Algeri, alla presenza di quattro ministri algerini, fu firmato un accordo di pace in base al quale la Mauritania abbandonò ufficialmente la parte del Sahara che occupava, ovvero l’Oued ed Dahab ribattezzato Tiris El Gharbia. Di fronte a quello che considerava un rischio di esca, il Marocco ha poi fatto sapere che il territorio abbandonato dalla Mauritania era storicamente parte del regno marocchino. L’11 agosto l’esercito marocchino ne prese possesso e il 14 agosto i rappresentanti delle tribù di Oued ed Dahab giunsero a Rabat per giurare fedeltà al re Hassan II. Il Sahara occidentale era tornato completamente marocchino, ma le tensioni con l’Algeria, retrobase del Polisario, non cessarono mai. Inoltre, nel 1980, il Marocco decise di costruire un muro lungo 2700 chilometri proteggendo il territorio dai raid motorizzati lanciati dal Polisario dall’Algeria, che consentirono all’esercito marocchino di riprendere l’iniziativa sul terreno. La questione del Sahara occidentale è stata ancora una volta fortemente risolta nel 2020 e nel 2021. Nel febbraio 2020, durante il 33° vertice dell’Unione africana (ULA), e quando era appena stato investito alla guida dell’Algeria, il sig. Abdelmadjid Tebboune, è chiaramente in linea con la continuità della politica algerina nei confronti del Sahara marocchino. Poi, il 9 e 10 febbraio 2021 al vertice dell’Unione africana tenutosi ad Addis Abeba, il suo presidente, il sudafricano Cyril Ramaphosa. Questo fermo sostegno della RASD e del Polisario si è basato sul capo della Commissione per la pace e la sicurezza dell’UA, il diplomatico algerino Smail Chergui, anch’egli impegnato nella causa della RASD, per cercare di bloccare i progressi diplomatici. degli interessi marocchini. Per il sostegno della RASD e del Polisario c’era davvero un’emergenza, la RASD avendo visto il suo appoggio sciogliersi come neve al sole. Infatti, ancora riconosciuto da 70 Stati membri delle Nazioni Unite alla fine del XX secolo, la RASD è oggi riconosciuta solo da 24, di cui 12 in Africa, ovvero Algeria, Angola, Botswana, Nigeria, Etiopia, Mozambico, Mauritania, Namibia, Sudafrica , Uganda, Tanzania e Zimbabwe. All’interno dell’UA, il Marocco ha un forte sostegno.

Per la cronaca, nel novembre 1985, il regno si ritirò dall’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) quando questa organizzazione riconobbe ufficialmente la RASD. Nel 2017, dopo 3 decenni di assenza, il Marocco è tornato nell’UA insieme a una politica africana attiva illustrata dagli importanti tour del re Mohammed VI nel 2016 e nel 2017 [4]. Nel tentativo di silurare la diplomazia marocchina, all’inizio del 2021, nell’estremo sud del territorio marocchino, il Polisario ha tagliato la strada che collegava il Senegal e la Mauritania al Mediterraneo prima di essere respinto dall’esercito marocchino. Poiché il Polisario ovviamente non ha agito di propria iniziativa, era chiaro che l’Algeria l’aveva ingaggiato per testare la volontà marocchina. Tanto più che il 27 febbraio 2021, ampiamente riportato dall’APS, l’agenzia di stampa ufficiale algerina, il Polisario ha celebrato il 45° anniversario della RASD in una cornice direttamente ereditata dalle celebrazioni marxiste degli anni 70. Totalmente emarginato, il Polisario, una sorta di cumulo di testimonianze delle lotte antimperialiste di un tempo, sarebbe poi sopravvissuto solo grazie allo stillicidio dei servizi algerini.

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Le ragioni della crisi franco-algerina, di Bernard Lugan

L’Algeria ha appena richiamato per consultazione il suo ambasciatore a Parigi, poi ha deciso di chiudere il suo spazio aereo agli aerei francesi  per i rifornimenti di Barkhane. La ragione? Semplice calcolo elettorale o vera e lodevole consapevolezza, il presidente Macron che, fino ad allora, parlava della colonizzazione come di un “crimine contro l’umanità”, ha sorprendentemente solo mostrato “viriltà” denunciando il cuore del “Sistema” che pompa la sostanza dell’Algeria dal 1962 Due punti della dichiarazione presidenziale hanno letteralmente ulcerato i leader algerini:

1) I predatori che governano l’Algeria sopravvivono attraverso uno squarcio di memoria mantenuto da una falsa storia.

2) L’esistenza dell’Algeria come nazione è discutibile poiché è passata direttamente dalla colonizzazione turca alla colonizzazione francese. Tuttavia, i vertici di Algeri non denunciano mai il primo.

Il presidente Macron leggerebbe dunque il mio libro Algeria, la storia al posto , un libro inviato all’Eliseo in occasione della pubblicazione del deplorevole “rapporto Stora”, e in cui la falsa storia algerina è smantellata in dieci capitoli? Si potrebbe davvero pensarlo poiché, l’Algeria vive effettivamente al ritmo di una falsa storia sostenuta da un’associazione di sanguisughe, l'”Organizzazione nazionale dei Moudjahidines” (ONM), i “veterani”. Tuttavia , come ha affermato l’ex ministro Abdeslam Ali Rachidi, “tutti sanno che il 90% degli ex combattenti, i mujaheddin , sono falsi” (El Watan, 12 dicembre 2015). Ho così dimostrato, sempre nel mio libro, che i mujaheddin erano in realtà cinque volte meno degli algerini che combattevano nelle file dell’esercito francese.

Nel 2008, Noureddine Ait Hamouda, vice RCD (Raggruppamento per la cultura e la democrazia), si è spruzzato questo falso storico e il mito dei 1,5 milioni di morti causati dalla guerra di indipendenza. Una cifra che tutti gli algerini seri considerano del tutto fantasiosa, ma che permette al “Sistema” di giustificare il numero surrealista di vedove e orfani, ovvero 2 milioni di titolari della tessera mujaheddin e beneficiari, tra cui ¾ sono falsi…
Questi falsi mujaheddin che vivono della rendita commemorativa nata dalla falsa storia, beneficiano del 3° bilancio dello Stato, subito dietro a quelli dell’Istruzione e della Difesa. Perché, “originalità” algerina , e contrariamente alla legge naturale che più si avanza nel tempo, meno c’è gente che ha conosciuto Abd el-Kader…, in Algeria, invece, più passano gli anni, e più il numero degli “ex combattenti” aumenta… Così, alla fine del 1962-inizio 1963 , l’Algeria aveva 6.000 mujaheddin identificati, 70.000 nel 1972 e 200.000 nel 2017…

Come guardare in faccia la storia quando, in Algeria, a sei decenni dall’indipendenza, si ottiene ancora la tessera di ex mujaheddin sulla semplice dichiarazione di immaginari “fatti d’armi”? Il motivo è che i suoi titolari così come i loro beneficiari ricevono una pensione statale, beneficiano di prerogative, godono di prebende e hanno privilegi. Questa carta permette anche di ottenere una licenza taxi o alcolici, agevolazioni di importazione, in particolare auto esentasse, riduzioni del prezzo dei biglietti aerei, agevolazioni creditizie, posti di lavoro riservati, possibilità pensionamento, avanzamenti più rapidi, priorità abitative ecc.
In queste condizioni, qualsiasi messa in discussione della falsa storia porterebbe alla rovina dei prebendiers e alla morte del “Sistema”. Per questo i leader algerini si sono sentiti direttamente presi di mira dalle affermazioni del presidente Macron.
 
La situazione economica, sociale, politica e morale in Algeria è così catastrofica che migliaia di giovani senza speranza tentano l’avventura mortale dell’haraga , la traversata del Mediterraneo. Quanto al “Sistema”, totalitario e impotente allo stesso tempo, messo alle strette dalla strada in un vicolo cieco, è a bada. Ridotto a espedienti e basse manovre, per cercare di creare un diversivo, per questo, completamente diplomaticamente isolato e tagliato fuori dalla sua stessa popolazione, ordinò una doppia offensiva, sia contro il Marocco, da qui la rottura delle relazioni diplomatiche con Rabat ( vedi il numero di ottobre di Real Africa) e contro la Francia. Una corsa suicida a capofitto.

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La strategia vincente di Quad, di Hervé Couraye

AUKUS, QUAD, ASEAN sono gli acronimi dietro i quali si nasconde una azione estremamente articolata degli Stati Uniti, pronti a fare leva sulle contrapposizioni endemiche di quell’area. L’altra parte, pur in difficoltà, non resta a guardare; la SCO, le vie della seta, i rapporti bilaterali sono la reazione ancora parziale e non esaustiva, non ancora stabilizzata. Siamo ancora al tentativo di occupare le posizioni migliori sotto la ovvia bandiera delle libertà. Buona lettura_Giuseppe Germinario

L’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe è il primo a parlare del Dialogo quadrilatero sulla sicurezza. Il secondo marcatore cui geopolitico Shinzo Abe rimane il grande architetto è il progetto di Oceano Indiano Pacifico dichiarazione libero e aperto dal titolo confluenza dei due mari , davanti al Parlamento indiano nel mese di agosto t 2007. É Paule nella sua azione 2017 dall’ex Segretario di É tat Rex Tillerson, che formulò per la prima re sia il concetto strategico di quello che potrebbe apparire î essere come la vista del governo degli Stati Uniti, sotto il nome di Indo-Pacifico ( [1] ).

Il tema dell’Indo-Pacifico rappresenta diverse grandi questioni, perché riguarda direttamente la stabilità, la sicurezza e la prosperità globali. È questa strategia che questo articolo intende affrontare. Quindi tutto parte da questa rivalità geopolitica tra gli Stati Uniti e la Cina, ma in realtà molte cose hanno iniziato ad evolversi diversi anni fa. Il presidente George Bush disse alla fine della Guerra Fredda nel 1991: ”  Gli Stati Uniti sono ormai la superpotenza e desiderano rimanere tali  ” ( [2] ). Un nuovo panorama strategico sta emergendo in questo spazio cardine formato da due oceani e due continenti, dove il combattimento navale diventa una probabile ipotesi.

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Quad oggi: un tropismo anglosassone

Il concetto geopolitico di Sea Power è stato sviluppato in particolare dal tandem AT Mahan-Julian Corbett. Fu all’inizio del XX secolo che Alfred Mayer Mahan teorizzò i suoi concetti di potere marittimo e tattica navale, che pubblicò con il titolo L’influenza del potere marittimo sulla storia, 1660-1783 . In questo primo libro, ha particolarmente evidenziato l’importanza della potenza navale come chiave di volta del predominio dei mari.

Quindi, quando esamina le realtà geopolitiche fondamentali dell’Asia nel suo libro Il problema dell’Asia , pubblicato nel 1900, individua tre fattori principali:

  • La grande massa della Cina e la latente forza geopolitica ”  di un territorio troppo stretto per quattrocento milioni di cinesi animati da una solo impeto e mossi come un sol uomo  ” ( [3] );
  • La potenziale lotta per l’egemonia nella regione dell’Asia centrale. Quest’ultima ha raccomandato l’annessione delle Hawaii da parte degli Stati Uniti al fine di garantire il loro controllo sul Pacifico settentrionale;
  • Il concetto di flotta e la costituzione di forze militari a vocazione difensiva per sottolineare il legame del controllo militare e commerciale per il dominio dei mari.

Questa riflessione ha portato al Quad. Vi troviamo il primato della strategia che Mahan propugnava in Asia. Mahan credeva fortemente in una coalizione tra Stati Uniti e Gran Bretagna sui mari come fattore centrale della supremazia navale. Si giunge alla conclusione che i paesi dovrebbero operare l’istituzione di un sistema di alleanza marittima multilaterale nel campo della protezione dei mari come bene comune dell’umanità. La dichiarazione congiunta dei leader del Quad Spirit of the Quad , pubblicata nel marzo 2021, ha evocato apertamente la rilevanza del momento di fronte alle circostanze internazionali della grande questione del Quad, sia in materia politica che militare ( [4 ] ).

Veniamo a Julian Corbett, un grande storico britannico, dello stesso periodo di Mahan. L’approccio “Corbetienne” si basa sul concetto di flotta in essere, un gruppo di navi che, senza esercitare il dominio marittimo, hanno una solida base di appoggio per unire e difendere lo stretto e altri punti chiave della libera navigazione. Una versione moderna del Quad, dove gli Stati Uniti sono liberi di pattugliare con i loro alleati dall’Africa al nord-est asiatico. Innegabilmente, il Quad della nostra epoca contemporanea si unisce alle idee difese dai sostenitori del concetto di flotta (Mahan e Corbett): dare più coesione alle alleanze, alla loro interoperabilità in un dispositivo di rete operativa, veri e propri hub tattici di coordinamento immediato come i più lontani per uno spazio indopacifico (FOIP) libero e inclusivo.

Perché basta prendere una mappa per vedere che, dallo Stretto di Malacca allo Stretto di Taiwan, la geografia funge da fulcro per la Marina degli Stati Uniti e i suoi alleati per maritare la loro strategia Quad, che porta anche le loro ambizioni, perché il concetto è globale. Riconosciamo che questa conquista americana di continuità nelle sue opzioni per alleanze bilaterali non esiste oggi ed è ovviamente storicamente basata su aspetti indiscutibili: fiducia reciproca, valori condivisi, cooperazione in tempo di pace come in tempo di guerra.

C’è un’altra tendenza nel Quad oggi. L’ambizione di mettere in atto un altro principio guida, noto come acquisto di tempo, che è a lungo termine per frenare le ambizioni cinesi nelle sue manovre geopolitiche. Allo stato attuale di questo ciclo, gli Stati Uniti e il Giappone stanno conducendo giochi di guerra, e la realtà permanente della minaccia cinese intorno alle isole Senkaku e allo stretto di Taiwan risulta federare Tokyo e Washington nelle loro azioni di sicurezza preventiva contro una possibile intrusione militare della Cina ( [5] ). Il Quad deve prevenire lo scoppio di conflitti o guerre mantenendo la sua capacità di mantenere l’equilibrio di potere ed evitando l’escalation della violenza.

Il Quad e la sua sfera d’interessi

L’impegno a lungo termine che unisce gli Stati Uniti ei suoi alleati è il primo interesse a proporre un nuovo paradigma di deterrenza ai principali alleati. Una convinzione lo guida. Diversi interessi lo consolidano. La convinzione è quella dichiarata da Kurt M. Campbell, Vice Assistente del Presidente e Coordinatore per gli Affari Indo-pacifici presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale alla conferenza di Oksenberg del 26 maggio 2021, ”  il paradigma dominante sarà la concorrenza  ” ( [6]). Ciò trova la sua espressione nella credibilità dell’impegno americano sulla base di interessi militari e diplomatici che fanno rima con una visione strategica in cui gli Stati Uniti riaffermano l’importanza degli alleati, moltiplicatore di forze e cardine della difesa collettiva.

Nessun dubbio per l’amministrazione Biden di non capitalizzare l’esperienza accumulata con gli alleati impegnati o meno nel Quad per consolidare la propria strategia di contenimento. È così che il ragionamento militare si insinua in questo paradigma con Kenneth Braithwaite, Segretario della Marina, che dichiara iconicamente il 27 ottobre 2020, durante una commemorazione della creazione del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, che ”  Mai dalla guerra del 1812, la sovranità degli Stati Uniti è stata sottoposta a forme di pressione quali le vediamo oggi in Estremo Oriente e altrove per l’aggressività della China » ( [7] ).

Un secondo interesse corrisponde a una questione di sovranità per il comando della flotta americana del Dipartimento della Difesa. L’estensione geografica dell’Indo-Pacifico potrebbe portare la Marina degli Stati Uniti a rifondare la prima flotta americana tra i due oceani Indiano e Pacifico al fine di istituire un Indo Pacom per stabilire la credibilità della deterrenza americana ( [8] ). A seguito della pubblicazione, nel marzo 2021, degli orientamenti strategici provvisori della Casa Bianca in materia di sicurezza nazionale, lo spazio indo-pacifico è in cima alle priorità ( [9] ).

Un altro interesse si concentra sulla capacità di proiezione navale degli Stati Uniti, unita alle potenzialità delle cosiddette missioni di retroguardia delle flotte Quad nell’uso della forza, perché è lì che si gioca. Simbolo della loro unità in questo uso, questo vantaggio strategico fornisce un massimo di interazioni e capacità di azione desiderabili in termini di interoperabilità. La recente esercitazione militare tra le marine statunitensi e giapponesi svoltasi nel Mar Cinese Meridionale nel giugno 2021 ha dato concretezza alle annunciate decisioni politiche di cooperazione e sicurezza reciproca in campo militare. L’esercitazione “di routine” della portaerei USS Ronald-Reagan, con sede a Yokosuka, ha così guidato operazioni aeree e navali collettive, incentrate sul gruppo di battaglia del gruppo d’attacco della portaerei Ronald-Reagan , e ha inviato alla Cina un messaggio in cambio: gli Stati Uniti e i 168 paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite on the Law of the Sea (UNCLOS) sono preoccupati per gli ostacoli alla libera navigazione e il Quad farà tutto il necessario per proteggere i suoi membri esposti.

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Il Quad: tra vuoto di potenza e zona “pivot”

Per coloro che sono interessati non alle retoriche oscillazioni degli Stati Uniti con i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico (ASEAN) ma alla storia del loro impegno, l’enunciazione di Richard Nixon nel 1969 della dottrina Guam, riaffermata nel 1984 in un altro contesto, ragioni che non li rassicurano sulla volontà dell’amministrazione Biden di rivitalizzare i rapporti di sicurezza.

Washington deve gestire questo paradosso e creare una dinamica di alleati dell’ASEAN, facendo affidamento sui suoi alleati di vecchia data e stimati come il Giappone e l’Indonesia, al fine di aprire la porta al dialogo sulla sicurezza promosso dal Quad. Resta il fatto che questo interesse ad ancorarli al Quad può esporre l’amministrazione Biden al rischio di una contraddizione con l’altro principio che pone al centro della sua politica estera: quello dell’impegno con cui i paesi ASEAN hanno un atteggiamento piuttosto ambiguo e neutrale nei confronti della Cina.

L’idea è quindi che il Quad risponda all’esigenza intrinseca della leadership dell’ASEAN sulle questioni di governance ambientale, sul diritto del mare o sulle risorse ittiche. D’ora in poi, per gli strateghi americani, è importante che questi paesi siano coinvolti in questioni di diversa geometria. In ogni caso bisogna averli con sé e appoggiarsi a loro per consentire agli Stati Uniti di fare perno verso il sud-est asiatico, ed è qui che entra in gioco il valore aggiunto strategico del Giappone, “  power of networks  ”.

Le dinamiche e le tendenze del concetto Indo-Pacifico sono numerose e complesse da cogliere. Eppure il messaggio è chiaro: le alleanze statunitensi stanno operando come deterrente nell’Indo-Pacifico e l’obiettivo rimane quello di migliorare la deterrenza convincendo altri paesi a unirsi allo sforzo. Come ha dichiarato Kurt Campbell il 6 luglio 2021 durante un webinar organizzato dall’Asia Society Policy Institute ( [10] ). La domanda valida è se gli Stati Uniti e gli altri tre membri sono in grado di costruire coalizioni basate sull’interesse piuttosto che sulla minaccia?

Aumentare i budget militari

Vista da questo punto di vista della posizione militare, la coalizione offre spazio per progressi in diverse aree ed è anche qui che il Quad può avere un effetto a catena. Abbiamo un esempio con Singapore in cui gli Stati Uniti potrebbero sostenere un modo concreto per resuscitare il comando della 1a flotta statunitense. Per quanto riguarda Singapore, ricordiamo l’incontro tra il comandante della flotta del Pacifico degli Stati Uniti, l’ammiraglio Samuel J. Paparo e il ministro della Difesa di Singapore, il dottor Ng Eng Hena, a Singapore l’8 luglio 2021 ( [11] ). Le due marine regolarmente interagiscono in una strategia di forza di proiezione collettiva in mare che si trovava su una visione più ampia di un semplice comando della 1 ° flotta.

Il quindicesimo incontro dei ministri della difesa dell’ASEAN (denominato ADMM-Plus), svoltosi il 15 giugno 2021 in videoconferenza, si è ulteriormente concentrato su questioni di cooperazione che sono direttamente rilevanti per le diverse visioni dell’Indo-Pacifico. La dichiarazione di Bandar Seri Begawan non è caduta nella trappola di interpretare la sua posizione come diretta contro la Cina, ma alla fine il suo ruolo di diga tra il Quad e la Cina presuppone un migliore coordinamento tra i paesi. La rivalità sino-americana mostra che è necessario anticipare rapidamente questa domanda per l’unità dell’ASEAN, perché la Cina sta moltiplicando gli attacchi e le intimidazioni della sua strategia indo-pacifica.

Per Tokyo c’è ancora, più che in passato, l’assoluta necessità che il soggetto aumenti il ​​proprio budget per la difesa che simbolicamente si attesta intorno all’1% del PIL. Philip Davidson, in qualità di ammiraglio a capo del comando Indo-Pacifico, con sede alle Hawaii, ha fatto su questo argomento un promemoria molto importante per il Giappone per garantire la sua sicurezza e impegnarsi nella lotta strategica del primato militare. . Secondo la formula Il costo dell’ignoranza geografica è incommensurabile . Questo riassume praticamente lo spirito dei leader del Quad al primo vertice il 24 settembre 2021.

Da leggere anche

All’origine dell’irredentismo cinese nell’Indo-Pacifico

[1] Trascrizione ufficiale del discorso del Segretario di Stato, 18 ottobre 2017, Centro per gli studi strategici e internazionali (CSIS), disponibile online: Definire la nostra relazione con l’India per il prossimo secolo: un discorso del Segretario di Stato americano Rex Tillerson | Centro di studi strategici e internazionali (csis.org) .

[2] Testo di George W. Bush, disponibile online: La fine della guerra fredda – George Bush – politica, elezioni, interne, estere (presidentprofiles.com) .

[3] Il problema dell’Asia: il suo effetto sulla politica internazionale / Alfred Thayer Mahan,; con una nuova introduzione di Francis P. Sempa, Transaction Publishers, New Brunswick, New Jersey, 2003 e AT Mahan, The Problem of Asia, capitolo 3, versione disponibile online: Review: Mahan’s “The Problem of Asia” su JSTOR .

[4] Citiamo due documenti essenziali per esaminare le questioni di questa cooperazione che si basa su valori comuni, collegamenti dei documenti disponibili online con il testo ufficiale del 12 marzo 2021: Dichiarazione congiunta dei leader Quad: “Lo spirito del Quad ”| La Casa Bianca ; e la scheda informativa allegata: Scheda informativa: Quad Summit | La Casa Bianca .

[5] Dichiarazione congiunta degli Stati Uniti e del Giappone, 16 aprile 2021, disponibile online:  Dichiarazione dei leader congiunti USA-Giappone: “PARTNERSHIP GLOBALE USA – GIAPPONE PER UNA NUOVA ERA” | La Casa Bianca .

[6] Webinar disponibile online: FSI | Shorenstein APARC – Kurt M. Campbell e Laura Rosenberger sulle relazioni USA-Cina: Conferenza di Oksenberg 2021 (stanford.edu) .

[7] Si veda il discorso in onore del 245° anniversario del Corpo dei Marines, Museo del Corpo dei Marines, 27 ottobre 2020, disponibile online sul sito della Marina degli Stati Uniti: 201027-N-BD308-1620 (navy .mil) .

[8] Vedere le parole dell’ex segretario della Marina Kenneth Braithwaite, 17 novembre 2020, articolo disponibile online: SECNAV Braithwaite chiede la nuova 1a flotta degli Stati Uniti vicino all’Oceano Indiano, Pacifico – USNI News .

[9] Cfr. le proposte strategiche fornite al presidente Biden sui vantaggi strategici, pp. 19 ~ 21, Interim National Security Strategic Guidances, marzo 2021, disponibili online:  NSC-1v2.pdf (whitehouse.gov) .

[10] Si veda il webinar “  Una conversazione con Kurt Campbell  ”, 6 luglio 2021, disponibile online: A Conversation With Kurt Campbell, Coordinatore della Casa Bianca per l’Indo-Pacifico | Società Asiatica .

[11] Cfr. comunicato stampa online: Il comandante della flotta del Pacifico degli Stati Uniti effettua una visita introduttiva a Singapore (mindef.gov.sg) .

https://www.revueconflits.com/la-strategie-gagnante-du-quad/

LO YIN E LO YANG DELL’ORDINAMENTO MODERNO, di Pierluigi Fagan

Un altro mo(n)do per interpretare la dialettica. Testo interessante che apre a quesiti fondativi. Partirei però da un punto di vista diverso. Il politico, non il personaggio politico, è un ambito che agisce nei vari spazi dell’agire umano collettivo, tra i quali l’economico; spazi, questi sì circoscrivibili. Mi pare improprio contrapporre quindi l’economico al politico e di conseguenza lo stallo economicista del mondo occidentale alla visione più olistica dei mondi emergenti, in particolare cinese. Si tratta al contrario di approcci politici diversi che in realtà tendono sempre più a contaminarsi oltre che a confliggere, tanto è vero che proprio la potenza confuciana, la più olistica, sembra puntare di riffa o di raffa ancora prevalentemente sull’economico per affermare la propria influenza almeno sino a quando riuscirà ad acquisire mezzi di costrizione sufficienti a sostenere il confronto aperto. E’ appunto la molla che può costringere il campo avverso a riconsiderare le chiavi interpretative e a superare la propria crisi. Su una cosa si concorda: le modalità di reazione, classicamente e rudemente “politiche”, del mondo occidentale lasciano presagire tempi foschi. Su questo i cinesi sembrano aver compreso molto poco il senso e le opportunità offerte dalla presidenza di Trump anche se sono stati abili ad occupare gli spazi aperti dal conflitto politico negli USA. Buona lettura, Giuseppe Germinario
LO YIN E LO YANG DELL’ORDINAMENTO MODERNO. [Temi: economia, politica, futuro] La coppia yin e yang rappresenta il modo cinese di pensare la dualità. Per “dualità” d’intende quella che sembra una propensione naturale della mente umana a partire il pensiero in due a cominciare dalla partizione pensante – pensiero, o soggetto – oggetto, ma anche soggetto e mondo o oggetto come risultato di due forze o due elementi e così via secondo varie declinazioni classiche quali caldo – freddo, notte – giorno, maschile – femminile o altre più storiche o antropo-culturali come mente – corpo, razionale – emotivo etc..
Dicevamo “propensione” naturale della mente umana, quindi queste dualità non possiamo dire siano parti obiettive che esistono fuori della nostra mente, purtroppo non possiamo pensare a nulla fuori della nostra mente senza usare la nostra mente. Di contro, la nostra mente è fatta apposta per darci l’impressione di essere un soggetto che pensa un oggetto (pensare è sempre pensare a qualcosa direbbe Brentano) e così, quando poi ci si astrae da questo stato e si mette ad oggetto questa stessa relazione, ecco sorgere la dualità. Si potrebbe dire esser un portato della condizione auto-cosciente, coscienza dell’esser coscienti o pensare al come di pensa (o “pensiero che pensa se stesso” – Aristotele).
In Occidente, la dualità ha preso varie forme all’interno di una vasta famiglia che inizia con le riflessioni di Eraclito e che da Platone ad Hegel, in logica, prende nome di “dialettica” o in altro ambito (gnoseologico) “dualismo”.
La versione cinese di questo impianto, formalizzata nel V-III secolo a.C. ma risalente nel modulo duale a molto prima, è appunto la partizione “yin e yang”, graficamente simbolizzato nel -taijitu-, quel cerchio con due virgoloni con un punto in mezzo che si abbracciano nella forma circolare per quanto la dividano. I virgoloni stanno a dire che i due principi si muovono con predominanza alternata, il punto di diverso colore al centro sta a dire che anche quando uno dei due principi è alla piena espressione dominante, il suo contrario-complementare permane, pronto ad attivare un nuovo ciclo in cui alternerà la dominanza. Così via in una sequenza di mutamenti infiniti. Taiji o nella versione W-G -T’ai Chi-, significa “trave maestra”, la base della logica.
Premessa questa visione logica, applichiamola ad un caso concreto.
Si tratta della forma dell’ordinamento delle società occidentali moderne, un -taijitu- fatto di economia e politica. Per lungo tempo, secoli fa, fu la politica a dominare come ultima intenzione l’economia, poi iniziò il moto contrario. Oggi siamo al punto di massimo dominio dell’economico sul politico. Non a caso registriamo da una parte la massima vigenza di una ideologia economica fondamentalista quale ciò che molti chiamano “neo-liberismo” mentre sono almeno trenta anni che gli scienziati politici avvertono, sempre più sconfortati, il totale declino della forma politica moderna occidentale detta -impropriamente- “democrazia”. Ma al di là del fatto che sia o non sia una democrazia (secondo chi scrive non lo è e sarebbe già tanto rendercene conto ovvero operare quella “rettificazione dei nomi” suggerita da Confucio senza la quale “chi parla male, pensa male”), essendo questa forma ibrida comunque l’incarnazione del politico nel moderno occidentale, è proprio il politico ad esser ai minimi termini, un piccolo puntino bianco nel dominio del virgolone nero.
Segnalo allora due articoli di oggi sull’ineffabile Repubblica, nome di una famosa opera, la più famosa e più complessa per quanto ad esito prettamente politico, di Platone. Ma anche nome della forma politica della società come cosa (res), pubblica. Ma la proprietà di questo giornale è invero in mano ad una famiglia imprenditoriale, quindi operatori economici, operatori economici (invero sempre meno economici e sempre più finanziari) che reputano necessario possedere un figlio politico, lo schema appunto classico dei -taijitu- moderno occidentale, negli ultimi decenni.
Il primo articolo segnala un libro in prossima uscita per i tipi di Laterza, con vari contributi da Canfora a Ferraris, passando per i Friday for Future (potevano anche chiamare i telettubies già che c’erano) su un tema oggi molto pubblicato: il futuro? Mai come di questi tempi, il futuro s’accompagna col punto interrogativo. Molte cose non funzionano più come prima, ma pare che non si abbia la più pallida idea di come altrimenti farle funzionare.
L’articolo, estrae un pezzo colto dal contributo dell’ex Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Visco riesuma il famoso articolo anni ’30 di J. M. Keynes “Prospettive economiche per i nostri nipoti” in cui il Sir inglese profetava necessaria (necessaria, non “auspicabile”), per i tempi dei suoi nipoti quindi più o meno i nostri, una società con tre ore di lavoro al giorno, tre solo perché l’uomo si sarebbe troppo smarrito a lavorarne solo quella che realmente serviva come necessità, cioè una sola.
Il secondo articolo ne traduce uno del NYT dal titolo “Per fermare il cambiamento climatico (dobbiamo) contrarre l’economia?. Si tratta di un altro -taijitu- con un virgolone rappresentato dal concetto di “decrescita” ed un altro rappresentato dal “New Green Deal”. Quest’ultimo pensa di prendere il problema che il sistema dominante continua a ridurre al cambiamento climatico (il “problema” è ben più complesso comportando questioni ambientali-ecologiche e non solo climatiche, geopolitiche, migratorie-demografiche, economiche e finanziarie, tecnologiche e scientifiche, ma se il sistema in atto fosse in grado di pensare in maniera adeguata non saremo nella condizione del -futuro interrogativo in stato ansioso-), e farlo diventare motivo su cui attivare il classico ciclo di distruzione creatrice che anima il modo economico moderno.
La prima posizione dubita fortemente che il problema si possa così risolvere e va più radicalmente affermativamente incontro al titolo dell’articolo: sì, bisogna contrarre l’economia (che tanto si contrae di suo per noi occidentali, da decenni e per decenni a venire per ragioni che pare nessuno abbia interesse ad indagare), e quindi accompagnare una decrescita pilotata. Di questa contrazione strutturale fa parte anche la riduzione dell’orario di lavoro.
La faccenda della decrescita meriterebbe una lunga trattazione con punti appena accennati dall’articolo nel riportare la posizione di Jason Hickel che invito a leggere e riguardano aspetti demografici, culturali, geopolitici, sociali. La decrescita pilotata (stante che è comunque in corso la versione non pilotata) verso una “società dell’abbastanza” (moderatamente prospera direbbe Xi) riguarderebbe in primis i Paesi ricchi (noi) e gli strati di società iper-ricca (le élite). Ma chi dovrebbe pilotarla?
E torniamo così al nostro -taijitu-. Dovrebbe pilotarla la politica. Il virgolone politico che ordina in condominio le nostre società con l’economico e che negli ultimi decenni è stato ridotto ai minimi termini. Quindi, questa non è una discussione da economisti che poverini hanno i loro limiti disciplinari, sarebbe una discussione politica, ma anche la politica ha i suoi limiti (tra cui capire in genere poco o niente di ecologia, geopolitica, società, cultura, storia ma ahimè anche economia). Una “politica” che oltre ai suoi limiti gnoseologici di lunga tradizione (la tradizione moderna che separa tra loro le discipline quindi gli oggetti di cui è fatto l’intero oggetto del politico), si trova oggi ai suoi minimi termini di sviluppo poiché negli ultimi decenni è servita solo come strumento per le élite economiche per prorogare la vigenza della funzione economica, di suo, sempre meno efficiente per restringimento obiettivo delle sue condizioni di possibilità.
Quindi, le nostre società occidentali sono in crisi adattiva ad un mondo che non è più quello dell’era moderna, è così in crisi il virgolone economico che di recente è giunto al suo massimo potere di vigenza squilibrando le società stesse, ma il puntino politico che dovrebbe crescere per ripristinare l’equilibrio delle funzioni subentrando all’economico per pilotarlo verso società diversamente configurate è depresso ed ai suoi minimi storici. Per “politico” qui non intendiamo la “politica” in atto, intendiamo il pensiero politico poiché nelle cose umane che dovrebbero esser auto-coscienti, il pensiero dovrebbe precedere ed informare l’azione. E’ proprio nel pensiero che siamo ai minimi termini.
Si dice che fare una diagnosi sia già incamminarsi vero la soluzione di un problema. Speriamo, il “principio speranza” è un principio del politico e speriamo che il (pensiero)-politico oltre a sperare, criticare e riesumare sue forme del profondo passato che è passato, si dia una mossa. Il virgolone politico ha bisogno di energia per crescere mentre decresce il virgolone economico.

NB_Tratto da facebook

Sulla Geoeconomia, Di: Antonia Colibasanu

I collaboratori del sito si sono soffermati più volte sul rapporto tra politica ed economia, sulla relazione tra geoeconomia e geopolitica. Antonia Colibasanu ci offre il suo punto di vista. Una precisazione: il recente passato, in particolare negli anni ’70, ci dice che il trinomio inflazione-disoccupazione- stagnazione (stagflazione) non è poi così inedito. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Sulla Geoeconomia

C’è un cambiamento in corso che potrebbe cambiare le regole del sistema globale.

Di: Antonia Colibasanu

La scorsa settimana ho parlato e moderato di persona in diverse conferenze – una cosa rara dall’inizio della pandemia – i cui argomenti andavano dalla difesa e sicurezza al commercio regionale agli affari europei. Il denominatore comune, ovviamente, era la geopolitica, ma ciò che mi ha colpito di più delle mie conversazioni è stato che, piuttosto che il ritiro dall’Afghanistan o le elezioni in Germania, quasi tutti erano preoccupati principalmente dell’inflazione e della conversione ecologica dell’economia in corso in Europa.

In effetti, quasi tutte le conversazioni avevano una cosa in comune: le sfide economiche della nostra società alla luce della pandemia. Fino ad agosto, l’inflazione era generalmente innescata dal settore energetico e da un ristretto insieme di beni come i semiconduttori i cui aumenti di prezzo erano legati alla crisi della catena di approvvigionamento. Ma, come evidenziato dai recenti aumenti dei prezzi di cibo e servizi, sembra che gli effetti si stiano ampliando. Condizioni meteorologiche avverse, siccità insolite e inondazioni che hanno distrutto i raccolti , spesso citati come danni collaterali del cambiamento climatico, hanno contribuito all’aumento dei prezzi dei generi alimentari.

E sebbene fosse così anche prima dell’inizio della pandemia, la stessa ha effettivamente evidenziato le vulnerabilità del sistema alimentare, influendo sulla produzione, l’offerta e la distribuzione. L’aumento delle tariffe di trasporto marittimo, l’aumento dei prezzi del carburante e la carenza di autisti di camion stanno facendo aumentare i costi dei servizi di trasporto. Inoltre, la pandemia ha creato ai produttori difficoltà di accesso alla forza lavoro di cui hanno bisogno per far consegnare i raccolti in tempo utile (per non parlare dei lavoratori necessari per consegnare e distribuire altri beni). È stato così per i produttori di pomodori, arance e fragole in Europa nel 2020. In Australia, i gruppi industriali temono che le sfide legate alla pandemia possano far deperire quello che dovrebbe essere un raccolto stellare di cereali invernali in questa stagione.

L’industria alimentare non è certo l’unica industria alle prese con questo tipo di sfide. Una spiegazione avanzata dagli specialisti delle risorse umane cita il fatto che sembra esserci una discrepanza tra le industrie che assumono e coloro che cercano lavoro, una dinamica apparentemente confermata dalla ripresa irregolare in diversi settori. Un’altra spiegazione si riferisce al fatto che, durante la pandemia, molti lavoratori si sono allontanati dalle città in cui lavoravano, lasciando i loro posti di lavoro vacanti fino a quando non si percepisce una migliore sensazione di quando la pandemia potrebbe placarsi. Questo parla dell’importanza per la forza lavoro di essere in grado – e disposta – a migrare da un luogo all’altro.

Sondaggi socioeconomici globali
(clicca per ingrandire)

Per la prima volta, assistiamo sia a un’elevata disoccupazione che a un’elevata inflazione, qualcosa di anomaloe quando le economie si stanno riprendendo dalla recessione, e generalmente anormale. L’inflazione in genere si accompagna alla ripresa e alla crescita, dinamiche che in genere riducono la disoccupazione. Il problema è che l’inflazione è sbilanciata: ci sono troppi posti di lavoro e poche persone disposte ad accettarli.

Aumento della disoccupazione e dell'inflazione
(clicca per ingrandire)

L’estate del 2021 è stata tutt’altro che normale, ovviamente. La pandemia non è finita. La variante Delta, unita a bassi tassi di vaccinazione, ha nuovamente aumentato le infezioni da COVID-19 e ha quindi rallentato la ripresa del settore dei servizi. Oltre alla carenza di approvvigionamento che colpisce sia la spesa dei consumatori che quella delle imprese in tutto il mondo; una costante ondata di notizie tristi riguardanti l’Afghanistan, la stabilità politica globale e anche eventi estremi come uragani e incendi hanno eroso la fiducia dei consumatori.

Indicatore di anticipo composito (CLI)
(clicca per ingrandire)

La fiducia è essenziale per il funzionamento di un’economia. La pandemia ha dimostrato ancora una volta quanto sia vulnerabile il nostro attuale sistema sociale. Come con la crisi finanziaria globale del 2008, le persone stanno assistendo in prima persona agli effetti negativi della globalizzazione, anche se conciliano il fatto che l’interconnessione e l’interdipendenza sono realtà che non possono essere annullate rapidamente. È solo ragionevole che mettano in discussione le attuali regole del gioco se quelle regole creano dolore e sofferenza.

E, dopo tutto, è la tolleranza della gente per il dolore che innesca il cambiamento politico. Con così tanto malcontento generale per il modo in cui funziona il sistema globale, l’idea che ci sia qualcosa di intrinsecamente sbagliato nella nostra società ha a suo modo fatto avanzare la conversazione sulla sostenibilità e il cambiamento climatico. La percezione che viviamo in un mondo fragile richiede che chiediamo ai nostri governi di fortificare la nostra stessa esistenza, il tutto stabilizzando l’economia. Certo, è un cambiamento radicale, che richiede una ristrutturazione socio-economica.

Da un punto di vista geopolitico, agli stati viene chiesto di utilizzare il loro potere economico per garantire condizioni di vita sicure e stabili per la loro gente. Questo è stato a lungo il caso, ma l’urgenza dei cambiamenti necessari in un momento di intensa competizione economica internazionale porta alla trasformazione della geopolitica in geoeconomia. Il significato tradizionale della geoeconomia è che le nazioni impiegano strumenti del commercio estero per raggiungere gli imperativi. Nell’attuale contesto di tempi profondamente incerti – grazie alla pandemia, ai cambiamenti climatici e alla rivoluzione digitale – la funzione geoeconomica dello stato-nazione si riferisce all’utilizzo di strumenti economici per raggiungere obiettivi politici e aumentare il potere dello stato-nazione. Il controllo dei mercati, la gestione delle eccedenze commerciali e il ricorso a sanzioni economiche o investimenti strategici per rafforzare l’influenza politica fanno parte dell’arsenale che un paese può utilizzare per costruire, mantenere e aumentare il proprio potere economico.

Ma cos’è il potere economico? Come possiamo misurarlo, data la complessità dei tempi di pandemia in cui viviamo? La crescita del prodotto interno lordo reale e le dipendenze commerciali forniscono solo alcune idee di base sulla stabilità economica di un paese. Con la pandemia, abbiamo appreso che il potere di disposizione sulle materie prime strategiche svolge un ruolo importante nel mantenere vivi i settori strategici. Ciò che costituisce un settore strategico, e quindi una materia prima strategica, cambia anche in base al luogo e al tempo. Il petrolio non è così determinante ora come lo era negli anni ’70. L’approvvigionamento idrico, sebbene essenziale per tutti, è strategicamente più prezioso in alcuni luoghi rispetto ad altri. Fenomeni estremi attribuiti al cambiamento climatico pongono anche questioni specifiche a lungo termine. La capacità di produrre innovazione tecnologica darà ai paesi influenza sulle infrastrutture critiche e quindi consentirà loro di garantire la loro stabilità in tempi di eventi estremi come siccità e pandemie.

Allo stesso tempo, la capacità di un paese di far rispettare gli standard e le norme internazionali è la chiave per stabilire le regole del sistema economico globale e per esercitare un’influenza su altri stati. Con la globalizzazione, abbiamo già paesi che utilizzano norme diverse che operano nella stessa economia di mercato, ma l’accesso ai mercati strategici è ancora difficile a causa della prevalenza di standard occidentali.

Ci sono quindi tre elementi su cui uno stato dovrebbe concentrarsi nella costruzione della sua strategia geoeconomica. In primo luogo, deve mantenere la forza economica di cui dispone attualmente. In secondo luogo, deve ridurre le dipendenze economiche unilaterali. Terzo, deve sviluppare una strategia che catturi ed espanda il valore della sua forza economica. Nel compiere questi tre passi, lo stato si concentra sulla definizione dei suoi punti di forza economici, che sono in ultima analisi modellati dalla popolazione. Le risorse umane dello stato sono il bene più prezioso per la strategia geoeconomica, soprattutto in tempi di incertezza.

Ecco perché il rapporto instabile tra inflazione e disoccupazione deve essere preso come un serio segnale di ristrutturazione economica. Il comportamento umano provocato dal dolore umano sta potenzialmente innescando una rivoluzione che potrebbe cambiare le regole del sistema globale.

https://geopoliticalfutures.com/on-geoeconomics/?tpa=ZjFiZGExNTU5MDdmYjY5MmNmNDk4ODE2MzI0MTExNjRhNzFkMjc&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/on-geoeconomics/?tpa=ZjFiZGExNTU5MDdmYjY5MmNmNDk4ODE2MzI0MTExNjRhNzFkMjc&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

Cina e Stati Uniti, una partita aperta_con Gianfranco Campa

Sul campo i due principali contendenti iniziano a sfidarsi sempre più apertamente. La competizione economica è sempre meno esaustiva; è parte ed è sussunta sempre più alle dinamiche geopolitiche. Le apparenze ci mostrano una potenza in costante ascesa, la Cina ed una in crescente difficoltà, gli Stati Uniti; una con un quadro dirigente da anni stretto attorno ad un leader, l’altra in preda a continue fibrillazioni. Una ascesa che può portare ad una condizione di soffocamento dettata dalla posizione geografica, una stabilità che può tradire una difficoltà di ricambio e di alternative all’attuale gruppo dirigente sino ad un decennio fa garantiti da avvicendamenti più o meno concordati dalla parte cinese. Dalla parte americana una difficoltà attutita dalle numerose opzioni disponibili sul campo e dalle possibilità di ricambio offerte dalle sorprendenti e violente fibrillazioni in corso da anni nella classe dirigente. Nel mezzo un corteo di paesi in parte paralizzati dalla situazione sempre più caotica, in parte disposti ad approfittare degli spazi offerti dalle incertezze e dalla complessità del quadro politico; tutti al proprio interno spesso dibattuti tra le varie opzioni e le varie cordate di interessi. Almeno sino a quando la natura conflittuale tra i due principali contendenti prenderà il sopravvento e costringerà alla scelta di campo netta rendendo sempre più ardua ed impegnativa, anche se lucrosa nel lungo periodo, una posizione di neutralità o quantomeno di attesa. Tra questi la Russia sembra godere delle migliori opportunità. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vmzqp5-una-partita-aperta-tra-usa-e-cina-con-gianfranco-campa.html

Un addio senza rimpianti_di Antonio de Martini

Domenica prossima 26 settembre le elezioni tedesche archivieranno l’ “ epoca Merkel”.
Ha regnato due anni più di Hitler e uno meno di Adenauer.
Sarà ricordata come una zelante burocrate di formazione DDR di cui i tedeschi non serberanno ricordo passati tre anni.
Avrebbe potuto concludere brillantemente il processo di integrazione europea iniziato da Adenauer, De Gasperi e Shuman, oppure rilanciare la Ost-politik di Bismarck e di Brandt, ma ha preferito fare la Kellerina degli Stati Uniti e scambiarsi occhiate di intesa con Sarkozy, un altro profugo dell’est di cui l’Europa avrebbe fatto volentieri a meno.
Gli esegeti la elogiano perché andava personalmente a fare la spesa e si é fatta fotografare a dieci anni di distanza con lo stesso vestito.
Pochino per quattro lustri di regno.
Ha fatto da zelante eco a tutte le dichiarazioni del Presidente USA che ne controllava le telefonate come a una cameriera sospettata di fare la cresta sulla spesa.
Accettò di chaperonare la Turchia per conto della NATO per ricondurla all’ovile coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
In casa, con politiche ambigue e rinunciatarie ha fatto rinascere una forte estrema destra nazionalista.
Anche il Parlamento Europeo sta sbarazzandosi dei suoi protetti.
Scialba e stinta ma stabile. Come un vecchio divano della casa di campagna, disponibile ad ogni uso, ma non é il salotto buono.
E’ stata l’ideale di una democrazia borghese, rassicurante perché imbelle; una miope amministratrice col braccetto corto.
Uno statista si distingue perché impone una cultura e/o lascia dietro di sè una squadra di eredi di cui la Germania sembra invece già ansiosa di sbarazzarsi.

Cosa ci dicono AUKUS e Afghanistan sulla strategia per l’Asia degli Stati Uniti?, di Arash Reisinezhad

Cosa ci dicono AUKUS e Afghanistan sulla strategia per l’Asia degli Stati Uniti?

Messi insieme, questi due sviluppi apparentemente non correlati segnalano una nuova strategia degli Stati Uniti nella competizione con la Cina.

Cosa ci dicono AUKUS e Afghanistan sulla strategia per l'Asia degli Stati Uniti?
Il presidente Joe Biden, insieme al vicepresidente Kamala Harris e al segretario di Stato Antony Blinken, partecipa a un Quad Summit virtuale con il primo ministro indiano Narendra Modi, il primo ministro giapponese Suga Yoshihide e il primo ministro australiano Scott Morrison venerdì 12 marzo 2021. nella Sala da pranzo di Stato della Casa Bianca.Credito: foto ufficiale della Casa Bianca di Adam Schultz

La rapida conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani ha fatto notizia in tutto il mondo. Pochi avrebbero potuto prevedere che il gruppo fondamentalista islamico, prevalentemente pashtun, avrebbe resuscitato il proprio potere nell’estate del 2021, dopo aver condotto un’insurrezione ventennale contro il governo di Kabul sostenuto dagli Stati Uniti.

All’indomani dell’invasione guidata dagli Stati Uniti del 2001, i talebani hanno iniziato a sfidare la NATO e a riprendersi vasti territori nel sud-ovest dell’Afghanistan dopo il pesante raggruppamento in Pakistan. La firma di un accordo di ritiro con gli Stati Uniti a Doha ha incoraggiato i talebani a sfruttare il proprio vantaggio e a porre fine alla guerra che dura da 20 anni. Sostenuti dall’Inter-Services Intelligence (ISI) pachistano, i talebani hanno ottenuto rapidi successi quando gli Stati Uniti hanno ritirato le truppe rimanenti dall’Afghanistan. Nell’agosto 2021, i talebani avevano conquistato tutte le principali città dell’Afghanistan e, infine, Kabul. A settembre controllavano l’intero paese dopo aver conquistato la montuosa valle del Panjshir, dove il Fronte di resistenza nazionale, guidato da Ahmad Masoud, aveva promesso di continuare a combattere i talebani.

Meno di un mese dopo la caduta di Kabul, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il primo ministro britannico Boris Johnson e il primo ministro australiano Scott Morrison hanno lanciato un partenariato di sicurezza trilaterale, chiamato AUKUS, per contrastare la Cina. Il patto AUKUS consentirà all’Australia di schierare sottomarini a propulsione nucleare, che dovrebbero essere costruiti ad Adelaide, rendendo Canberra il settimo paese al mondo ad avere sottomarini azionati da reattori nucleari. L’obiettivo principale di questo patto trilaterale è contenere la minaccia proveniente dalla maggiore influenza della Cina nell’Indo-Pacifico e dalle sue ambizioni mondiali. Non sorprende che la formazione di AUKUS si sia estesa a intensificate tensioni indo-pacifiche, in particolare su Taiwan, sul Mar Cinese Meridionale e sull’Oceano Indiano orientale.

A prima vista, sembra che gli sviluppi in Afghanistan e in Australia siano eventi non correlati. Uno centrato nelle montagne dell’Hindukush; l’altro echeggiava a 9.500 chilometri di distanza, in mezzo alle acque dell’Indo-Pacifico. Tuttavia, in un contesto più ampio, questi due eventi sono interconnessi al centro della competizione Cina-Stati Uniti, formando i reggilibri di una nuova strategia che chiamo “lascia la cintura, premi la strada”. Con questo, intendo dire che gli Stati Uniti prenderanno sempre più di mira la Via della Seta marittima cinese, abbandonando in gran parte la Cintura economica della Via della Seta terrestre. In poche parole, il principale fronte della guerra delle infrastrutture sino-americane è il confine indo-pacifico, mentre il cuore dell’Eurasia sarà lasciato alle forze destabilizzanti della regione.

L’istituzione di AUKUS riafferma il fatto che la pietra angolare della strategia di contenimento della Cina di Washington è posta nella zona indo-pacifica. Pertanto, l’attenzione degli Stati Uniti alle posizioni geografiche nel cuore dell’Eurasia sarà degradata, ma questo fa parte del piano. La mancanza di volontà o capacità degli Stati Uniti di mantenere la propria presenza in Eurasia potrebbe interrompere intenzionalmente la stabilità della Cintura generando un minaccioso vuoto di potere. Il rapido ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e il successivo potenziamento dei talebani hanno il potenziale per destabilizzare i progetti terrestri cinesi in Asia centrale, Pakistan e persino nello Xinjiang. Sebbene il caotico ritiro della guerra in Afghanistan abbia messo a dura prova la permanenza di Biden in patria, il vuoto geopolitico in Afghanistan in seguito al ritiro degli Stati Uniti potrebbe essere utilizzato per controbilanciare Mosca, Pechino,

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Nonostante gli sviluppi apparentemente improvvisi degli ultimi due mesi, questa tendenza nella competizione globale non è nuova. Dopo quasi dieci anni di pausa, il Dialogo quadrilatero sulla sicurezza, noto anche come Quad, è stato ufficialmente ripreso nell’agosto 2017 per contenere la proiezione della potenza marittima di Pechino nel Mar Cinese Meridionale e nell’Oceano Indiano. Fondato inizialmente nel 2007, il Quad è composto da Australia, India, Giappone e Stati Uniti, preannunciando la possibile formazione di una NATO asiatica per contrastare la Shanghai Cooperation Organization (SCO). Ci sono state persino voci su un “Quad Plus” quando la Corea del Sud, la Nuova Zelanda e il Vietnam si sono uniti agli incontri nel marzo 2020. Gli esercizi di Malabar ospitati ogni anno dall’India sono una delle principali manifestazioni della sua componente militare.

In una dichiarazione congiunta del 2021 su “The Spirit of the Quad”, i leader di Australia, India, Giappone e Stati Uniti hanno evidenziato “una visione condivisa per un Indo-Pacifico libero e aperto (FOIP)” e un “regole- ordine marittimo basato nei mari della Cina orientale e meridionale” per contrastare la minaccia marittima della Cina. Questo progresso è stato concomitante con l’attenzione sempre più strategica dell’UE verso la zona indo-pacifica, poiché Francia, Germania e Regno Unito hanno accelerato la loro cooperazione con il dialogo Quad Plus. In questo contesto, il patto AUKUS integrerebbe il Quad nel controbilanciare la crescente influenza della Cina nell’Indo-Pacifico.

Sebbene AUKUS e Quad mostrino entrambi potenza di fuoco muscolare e tecnologica militare, mancano di una proporzionalità fondamentale. La Belt and Road Initiative è la principale strategia geoeconomica di Pechino per sfidare l’egemonia statunitense in tutto il mondo, mentre Quad e AUKUS sono strumenti geostrategici e militari per contrastare la Cina nella zona indo-pacifica. In altre parole, c’è un divario strategico tra la forza minacciosa e la controforza deterrente. È stato questo divario di proporzionalità a spingere l’amministrazione Biden a lanciare una specifica controforza geoeconomica contro Belt and Road: Build Back Better World, o B3W, annunciato a giugno al vertice del G-7 in Cornovaglia, nel Regno Unito.

Guidata dagli Stati Uniti, B3W mira a contrastare la leva globale cinese attraverso massicci investimenti nello sviluppo infrastrutturale dei paesi in via di sviluppo entro il 2035. Il piano dovrebbe fornire circa 40 trilioni di dollari, principalmente dal settore privato, ai paesi a basso e medio reddito , dall’America Latina e dai Caraibi all’Africa e all’Asia. Guidati dagli standard e dai principi del Blue Dot Network (BDN), i progetti B3W promettono di concentrarsi su diversi domini, in particolare il clima, la salute e la sicurezza sanitaria, la tecnologia digitale e l’equità e l’uguaglianza di genere. La portata globale del B3W fornirebbe ai suoi partner del G-7 diversi orientamenti geografici per rivolgersi a specifici paesi a basso e medio reddito in tutto il mondo. Mentre gli Stati Uniti si concentrano sull’Indo-Pacifico, il Giappone e l’UE si concentreranno rispettivamente sul sud-est asiatico e sui Balcani,

L’imminente competizione tra B3W, ora sostenuta da Quad e AUKUS, e la BRI cinese è un preludio alla guerra delle infrastrutture tra Cina e Stati Uniti. Il B3W non è solo una risposta finanziaria degli Stati Uniti alle ambizioni economiche della Cina; piuttosto è uno sforzo strategico per trasformare il crescente assetto geopolitico della Grande Eurasia e delle sue acque costiere stabilendo un nuovo modello di sviluppo. In altre parole, gli Stati Uniti stanno scatenando una controforza geoeconomica contro la BRI cinese per raggiungere i suoi grandi obiettivi geopolitici mobilitando le sue aziende private e quelle dei suoi alleati in massicci investimenti infrastrutturali per controllare i corridoi BRI. La nuova guerra delle infrastrutture determinerà la traiettoria e il percorso della battaglia geopolitica tra Cina e Stati Uniti per il dominio del mondo nel 21° secolo.

Dall’altra parte dell’equazione del potere globale, la Cina ha controllato con successo i mercati dell’Asia centrale perseguendo la sua dottrina del “equilibrio positivo” tra tutte le parti dell’Asia occidentale, in cui l’espansione della cooperazione con Pechino potrebbe essere l’unico punto su cui tutte le potenze regionali possono concordare. La drammatica crescita economica e la stabilità interna della Cina hanno allettato sistemi politici non democratici nella regione. Pechino ha allo stesso tempo stabilito strette relazioni economiche con gli sceiccati del Golfo Persico, Israele, Iran e Turchia. Tuttavia, la politica di successo di Pechino nel cementare la sua connessione con l’Asia occidentale attraverso l’Asia centrale potrebbe essere interrotta dalle minacce provenienti dall’Afghanistan. Il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan destabilizzerà la cintura terrestre mentre la forte pressione del Quad e ora dell’AUKUS contrasterà la strada marittima.

Il mondo è sull’orlo della competizione internazionale Cina-USA. Gli sviluppi regionali, come AUKUS, e le trasformazioni interne, come l’acquisizione di Kabul da parte dei talebani, saranno entrambi elementi cruciali nel grande scacchiere tra Stati Uniti e Cina. Ora che la polvere si è calmata a Kabul, si può vedere come il crescente potere dei talebani sia concomitante con il patto trilaterale AUKUS. Entrambe sono pietre miliari per una nuova fase della competizione sino-americana: lasciare la Cintura, premere la Strada.

https://thediplomat.com/2021/09/what-aukus-and-afghanistan-tell-us-about-the-us-asia-strategy/

Henry Levavasseur, L’identità come fondamento della città. Riconciliare ethnos e polis, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Henry Levavasseur, L’identità come fondamento della città. Riconciliare ethnos e polis, Passaggio al bosco edizioni, 2021, € 10,00.

Questo saggio, chiaro e sintetico, si pone il problema di come conciliare ethnos e polis, ovvero in altri termini, ma di senso vicino, comunità e istituzione (politica).

Nella decadenza della modernità, cioè l’epoca in cui viviamo, ethnos e polis sono stati progressivamente separati: nel senso che si pensa possa costituirsi un’istituzione senza una certa omogeneità tra i cittadini. E tale omogeneità non è necessario che si fondi su dati concreti e reali.

L’autore cita a tale proposito, tra le tante, le interpretazioni moderne della celebre conferenza di Renan Cos’è una nazione? Il passo in cui Renan definisce la nazione come sintesi tra passato (possesso in comune di una quantità di ricordi, cose, rapporti, usi) e il presente (la volontà di vivere insieme ed avere un destino comune) è intesa pretendendo di ridimensionare e svalutare il passato, e attribuire alla volontà arbitraria (Tönnies) dei partecipanti la capacità di costruire un futuro comune tra persone prive di ogni passato comune. Un’esegesi che annichilisce totalmente ciò che nel pensiero di Renan era collegato necessariamente.

Alla volontà (arbitraria) e al diritto, inteso anch’esso riduttivamente (come atto volontario) dei consociati è rimessa la costituzione dell’ordine sociale o almeno della magna pars di esso, cioè la costituzione dell’istituzione. Così l’atto relativo è il risultato di una decisione comune degli associati, direttamente o per rappresentanza.

Il tutto non presuppone l’esistenza di una comunità: anche un’assemblea multietnica, multirazziale e multi religiosa potrebbe agevolmente trovare un modo d’esistenza comune e scriverlo su un pezzo di carta, sulla base della sola ragione. Una costituzione diventa così la sorella maggiore di un regolamento condominiale.

Ovviamente, nella realtà, non è così; anche le costituzioni frutto di un procedimento come quello descritto (come quasi tutte quelle moderne) sono poste in essere – e vengono bene – se espressione di una volontà comunitaria e di un ordine già – almeno in parte – esistente. Se non c’è in un gruppo politico almeno un certo tasso di omogeneità tra gli associati, l’impresa è destinata al fallimento.

Anche la storia recente l’ha provato. Oltre trent’anni fa, nella crisi (terminale) dell’URSS, Gorbaciov propose di stipulare (tra le repubbliche sovietiche) un nuovo trattato dell’unione (connotato da pluralismo e democrazia). L’impresa finì come tutti sappiamo: in gran parte perché era difficile tenere insieme repubbliche con maggioranza di cittadini cattolici o protestanti (come quelle baltiche) con altre a maggioranza cristiano ortodossa, o musulmana; peraltro tutte organizzanti popoli ed etnie diverse. In altra anche perché si può cercare di farlo, e molti imperi ci sono riusciti, ma a patto che il potere “federale” o meglio unificante non fosse democratico ma assoluto come quello zarista e, poi, comunista. Voler coniugare potere, disomogeneità e democrazia è un’impresa che non risulta riuscita nella storia.

Proprio questa refrattarietà al reale e al concreto è il principale connotato della modernità decadente. Scrive Levavasseur “questa situazione ricorda quella della fine del mondo sovietico, la cui ideologia marxista sembrava imporsi a tutti i popoli che controllava… sembrava che non ci fossero altri esiti possibili, se non quello del collettivismo, fino al giorno in cui il regime è crollato come un castello di carte, poiché la sua ideologia si basava su parole e concetti che non avevano più nulla a che fare con la realtà” e “La democrazia liberale potrebbe subire un giorno la stessa sorte, con la fondamentale differenza che la sua scomparsa provocherà un caos molto più consistente”. Distruggendo poi il passato comune, cancella l’ethos, che è fondamento dell’esistenza dell’ethnos. È necessario ricostruire il rapporto tra ethnos e polis, e così tra identità e sovranità “è più che mai necessario ritornare a una concezione dell’ordine politico che riconcilia nazione etnica (l’ethnos) e nazione civica (la polis)”.

In conclusione la concezione criticata della “democrazia liberale” – che a ben vedere è poco democrazia e anche poco liberale – rischia, assai più della caduta del comunismo, di far uscire non l’umanità, ma almeno i popoli europei dalla storia.

Teodoro Klitsche de la Grange

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