Italia e il mondo

L’afrocentrismo tra miti e menzogne, di Bernard Lugan

Il primo uomo era nero. L’antico Egitto era “nero”, Cleopatra aveva la pelle nera.

Tutte le invenzioni primordiali sono state fatte dagli egiziani da persone di colore. La civiltà nera egiziana

civiltà egizia nera è quindi all’origine di tutti gli sviluppi intellettuali e tecnologici, in particolare dell’elettricità prodotta dalle piramidi, che di fatto erano centrali elettriche. I neri Africani hanno scoperto l’America prima di Colombo, sono all’origine della civiltà Maya e hanno imparato la mummificazione dagli Inca… ecc…

Queste sono solo alcune delle sciocchezze che costituiscono il “corpus dottrinale” dell’afrocentrismo. Eredità dei postulati “pittoreschi” e fantasmagorici di Cheick Anta Diop, ha avuto origine in America, in particolare nei campus degli Stati Uniti. Tormentati dall’inferno della loro storia, gli intellettuali afroamericani  inventarono l’afrocentrismo, un miraggio che permise loro di seppellire le loro frustrazioni nel rifugio dell’immaginario.

Con l’afrocentrismo e i suoi derivati, non ci troviamo però di fronte a semplici voli di fantasia prodotti dagli illuminati. Si tratta di un’ideologia coerente nella sua dottrina presentata come un’alternativa alla storia ufficiale  che si ritiene essere lo strumento della dominazione maschile bianca.

Un’ideologia razziale alimentata dal mito di una  “nazione africana la cui grande storia è stata oscurata a causa di una “cospirazione razzista” di cospirazione” dei bianchi-coloniali scienza storica bianco-coloniale.

Oggi, nell’epoca del wokismo e del de colonialismo  (si veda il mio libro Pour répondre aux décoloniaux),

per alcuni intellettuali afroamericani e africani, gli inverosimili postulati dell’afrocentrismo sono diventati

tante verità che prosperano sulla negazione della realtà.

Chi vi aderisce si rifiuta di riconoscere che esiste una differenza di natura tra fatto e mito.

Per gli afrocentristi e i decolonialisti la storia non è una scienza con regole e leggi proprie, metodologia, ma uno strumento dell’imperialismo coloniale bianco, progettato per sminuire i neri per far dimenticare di essere stati  il motore della storia umana.

In risposta alla storia bianca-coloniale, la “storia scritta dagli afrocentristi e dai decoloniali pretende di ristabilire la verità. In realtà, però, non è altro che un tentativo di affermare visioni tali da superare le frustrazioni dei gruppi lacerati dai loro complessi esistenziali.

Nel tentativo di giustificare i propri postulati, afrocentristi e decolonialisti hanno definitivamente rinunciato alla storia scientifica. Qualsiasi critica è vietata  “in quanto razzista” da parte degli afrocentristi. Questo permette loro di porre fine al dibattito, i loro avversari sono immediatamente disarmati e paralizzati da una un’accusa del genere…

Bibliographie du dossier – Carbonell, E et alii (2008) « The first hominin of Europe ». Nature, 452, 465-469. – Froment, A., (1992) « Origines du peuplement de l’Egypte Ancienne : l’apport de l’anthropobiologie ». Archéonil, 2, pp 79-98. – Froment, A., (1994) « Race et Histoire : la recomposition idéologique de l’image des Egyptiens Anciens. » Journal des Africanistes, 64, pp 37-64. – Hrdy, D.R., (1978) « Analysis of Hair Samples of Mummies from Semna-South ». American Journal of Physical Anthropology, n°49, 1978, pp 277-283. – Lazaridis, I et alii (2014) « Ancient human genomes suggest threre ancestral populations for presentday Européans ». Nature, 513, 409-413. – Lieberman, D.E (2007) « New described fossils from Georgia in Eurasia and from Kenya ». Nature, 449, 291-292. – Lucotte, G et Mercier, G., (2003) « Brief Communication : Y- Chromosome Haplotypes in Egypt. ». American Journal of Physical Anthropology, n°121, pp 63-66, 2003. – Lucotte, G ; Aouizérate A et Berriche, S., (2000) « Y-chromosome DNA haplotypes in North African populations. » Human Biology, 72 : 473-480, 2000 – Rabino-Massa, E et Chiarelli, B., (1972) « The Histology of Naturally Dessicated and Mummified Bodies ». Journal of Human Evolution, 1972, 1, pp 259-262. – Shuenemann, V et alii., (2017) « Ancient Egyptian mummy genomes suggest an increase of SubSaharan African ancestry in post-Roman periods ». Nature Communications, 8, 2017, 11 pages. – Taylor, J.H., (1991) Egypt and Nubia. London, British Museum. – Vercoutter, (1976) L’iconographie du Noir dans l’Egypte ancienne, des origines à la XXVe dynastie. In Vercoutter, Leclant, Snowdon, Desanges, « L’image du Noir dans l’art occidental », Fribourg, pp 33- 88. – Vercoutter, J., (1996) « L’image du Noir en Egypte ancienne ». Bulletin de la Société française d’Egyptologie, n° 135, 1996, pp 167-174. – Walker, S., (1997) « Ancient Faces : an exibition of Mummy Portraiture at the British Museum ». Egyptian Archaeology, 10, 1997, pp 19-23. – Wilding, D., (1997) « L’image des Nubiens dans l’art égyptien ». In Soudan, Royaumes sur le Nil, catalogue de l’exposition de l’Institut du Monde Arabe, 1997, pp 144-157.

ALL’ORIGINE DELL’AFROCENTRISMO C’È CHEIK H ANTA DIOP

Cheikh Anta Diop (1929-1986) è il principale ispiratore dell’afrocentrismo e del nazionalismo culturalista nero su base razziale, che afferma il primato creativo della negritudine.

Di nazionalità senegalese, Cheikh Anta Diop era un uomo di biblioteca e un compilatore selettivo, conservando solo gli elementi che confermavano i suoi postulati, tutti rifiutati dagli specialisti di tutte le discipline interessate.

Per Cheikh Anta Diop:

“Il negro non sa che i suoi antenati (…) sono le più antiche guide dell’umanità nel mondo.

Le più antiche guide dell’umanità sulla strada della civiltà; che sono stati loro a creare l’arte, la religione (in particolare il monoteismo), la letteratura, la prima letteratura filosofica, i primi sistemi filosofici, la scrittura, le scienze esatte (fisica, matematica, meccanica, astronomia, calendario…), la medicina, l’architettura, l’agricoltura, l’arte e la cultura.[1], ecc. in un’epoca in un momento in cui il resto del mondo (Asia, Europa: Grecia, Roma…) era immerso nella barbarie”.

(Allarme ai tropici, 196, 48).

Quindi, secondo Diop, i neri hanno la precedenza in tutte le aree della storia umana.

1) Le australopitecine, l’Homo erectus e l’uomo moderno (Homo Sapiens)  erano neri. Grazie all’incrocio – con chi? -poi sono comparsi i bianchi e i gialli.

2) L’Egitto, che era “negro”, fu la madre della civiltà.

La cultura greca gli deve tutto. La civiltà europea da cui scaturisce è quindi un eredità e retaggio. Inoltre, gli antichi greci non erano altro che plagiatori.

I postulati di C.A.Diop furono esposti a partire dal 1952 nel n. 1 de La Voix de l’Afrique, l’organo studentesco dell’RDA (Rassemblement Démocratique Africain), un partito che sosteneva l’indipendenza delle colonie africane dalla Francia. L’articolo, pubblicato nel febbraio 1952 e intitolato “Verso un’ideologia politica africana”, era una sintesi della tesi che avrebbe dovuto difendere alla Sorbona nel 1951, ma che era stata respinta per l’impossibilità di formare una giuria, motivo che nascondeva i suoi colossali “errori” metodologici. Un intero gruppo si attivò immediatamente per trovare un editore e la tesi fu pubblicata in forma di libro nel 1954 con il titolo “Nations nègres et culture”, che Aimé Césaire definì nel suo “Discours sur le colonialisme” come “il libro più audace che un negro abbia mai scritto”. Nel 1960, sotto la pressione degli intellettuali africani di lingua francese, la tesi fu finalmente difesa. Tuttavia, la giuria le assegnò solo una menzione “molto onorevole”, il che significava che era “mediocre”. Un voto così squalificante significava che C.A. Diop non poteva contemplare una carriera universitaria, che poteva essere raggiunta solo con la distinzione “Très Bien avec félicitations du jury”. Tenuto fuori dal mondo accademico senegalese dal presidente Senghor, anch’egli un vero accademico, C.A. Diop è stato nominato professore all’Università di Dakar per decisione politica del presidente Abdou Diouf nel 1981. C.A. Diop ha ripreso i suoi postulati e li ha sviluppati ulteriormente, in particolare in :

– “Nations nègres et Culture: de l’antiquité nègre égyptienne aux problèmes actuels de l’Afrique noire aujourd’hui”, Présence Africaine, Parigi. Présence Africaine, Parigi, 1954 (nuove edizioni nel 1964, 1979 ecc.) – “Les fondements culturels techniques et industriels d’un futur Etat fédéral d’Afrique noire”, Présence Africaine, Parigi, 1960. – Antériorité des civilisations nègres. Mito o verità storica? Présence Africaine, Parigi, 1967. – Civilisation ou Barbarie”, Présence Africaine, Parigi 1981. La critica ai postulati di Diop è iniziata negli anni Sessanta con la potente confutazione di Raymond Mauny, seguita nel 1972 da quella di Marcel d’Hertefelt, professore di antropologia al Museo Reale di Tervuren. Per quest’ultimo: “Le tesi di C.A. Diop ci impongono di decidere una volta per tutte di ignorare ciò che l’archeologia preistorica e protostorica, l’iconografia e la critica storica dei testi antichi ci dicono sulle popolazioni del Vicino Oriente e dell’Egitto, sullo sviluppo e la diffusione dell’agricoltura e della metallurgia e sui rispettivi contributi di queste due culle di civiltà alla scienza e alla scrittura. Va detto subito che generazioni di archeologi, egittologi, sumerologi, indoeuropei, semitologi e persino africanisti sono stati ideologicamente mistificati fino a falsificare la storia culturale, finché C.A. Diop non ha scoperto la verità. Questo è davvero chiedere molto. [2] Per una critica approfondita delle tesi di Diop, vedere :

– En collaboration (2000) Afrocentrismes. L’histoire des Africains entre Egypte et Amérique, Paris. – Fauvelle, F-X., (1996) L’Afrique de Cheikh Anta Diop, histoire et idéologie., Paris. – Froment, A., (1991) « Origine et évolution de l’homme dans la pensée de Cheikh Anta Diop : une analyse critique. ». Cahiers d’Etudes africaines, 121-122, XXXI-1-2, 1991, pp 29-64. – Hertefelt, (d’) M., (1972) Eléments pour une histoire culturelle de l’Afrique. Université du Rwanda. – Lugan, B., (2023) Histoire de l’Egypte des origines à nos jours. Paris. – Mauny, R., (1960) Recension de Nations nègres de C.A.Diop, in Bulletin de l’IFAN. XXII (1960), série B/544-551). Traduction anglaise sous le titre « Nations nègres et culture. A review. In Problems in African History, London, 1968, pp 16-23.

1_[Se ci limitiamo all’agricoltura, gli afrocentristi ignorano che intorno al 5000 a.C., dalle Fiandre al Danubio, si è formata una civiltà contadina europea che utilizzava la trazione animale.
La civiltà contadina europea utilizzava la trazione animale, mentre l’Africa sud-sahariana, l’Africa nera, ha scoperto questa tecnologia solo alla fine del XIX secolo.
L’Africa nera, da parte sua, ha scoperto la trazione animale, così come la ruota, la carrucola e la coltivazione a cavallo… solo con la conquista araba e poi la colonizzazione, cioè quasi un secolo dopo l’arrivo degli arabi.
conquista e la colonizzazione, cioè quasi 6.000 anni dopo… Per quanto riguarda i tre quarti delle piante alimentari consumate
consumati oggi a sud del Sahara (mais, fagioli, manioca, patate dolci, banane, ecc.) sono di origine americana o asiatica…
origine asiatica…

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BALTENDEUTSCHE (tedeschi del Baltico*) (cap. 3 e 4 di 4), di Daniele Lanza

BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 3 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Abbiamo pertanto estoni e lettoni pacificati in un perenne servaggio medievale sotto i loro naturali superiori che parlano un idioma differente (hochdeutsche, pare) a prescindere dal tormentato mutamento di confini di quella che più che una mappa geografica pare uno scacchiere bellico permanente tra (1) Polonia (2) Svezia (3) Russia. E’ per secoli a tutti gli effetti una zona cuscinetto tra le parti.
Gli equilibri vengono alterati sensibilmente solo nella tarda età moderna in quanto possiamo dire che il primo 1/4 del secolo XVIII° costituisce la svolta storica nell’esistenza dei tedeschi del Baltico.
Pietro il grande vince nettamente il conflitto che conosciamo come “grande guerra del nord” (1700-1721) sui manuali : con tale vittoria (decisiva la vittoria del 1709 a Poltava nell’attuale Ucraina orientale, dove si erano incautamente spinte le armate svedesi), il neonato impero russo incorpora in blocco tutta la regione del Baltico con cui confina. Vittoria russa di grande magnitudo storica, comporta l’avanzata di tale civilizzazione verso occidente, come a “bucare” quasi il millenario isolamento dello heartland slavo/russo aprendosi con sciabole e cannoni la via fino al mare : un mare aperto, solcato da altri popoli da sempre, quasi un boccaporto del paese verso il mondo esterno.
Aldilà di considerazioni di carattere così generale, diciamo più brevemente che i popoli della Livonia (odierni lettoni ed estoni) diventano d’un tratto sudditi dell’imperatore di Russia e, assieme ad essi, la loro elite rappresentata perfettamente nell’aristocrazia del tempo.
L’aristocrazia baltica (interamente germanica) entra improvvisamente a far parte dell’insieme molto più grande che è l’aristocrazia imperiale russa (quest’ultima è un autentico macro aggregato di TUTTE le elite locali degli sterminati territori che compongono il continente russo) : la fine di tutto ? NO ! Il vero gioco inizia ora anzi………………….
L’evento geopolitico dell’annesione baltica è qualcosa di parallelo al macroscopico mutamento di prospettiva, fortemente voluto dall’imperatore : la Russia diventa (deve diventare) qualcosa di “occidentale” o almeno il più possibile. La riforme petrine cambiano il volto del paese e la sua traiettoria storica.
Nel contesto di questa nuova мировоззрения (“visone del mondo”) tutto ciò che può servire allo stato nella sua marcia per uniformarsi all’occidente è desiderato, rincoso, bene accetto.
Si verifica pertanto la seguente situazione : che la nostra piccola nobiltà baltica di stampo germanico si ritrova come elevata al di sopra del proprio eterno ruolo egemone (di provincia) per esser proiettata in un meccanismo infinitamente più grande e complesso che regolerà l’esistenza di uno stato-continente come la Russia imperiale. L’aristocrazia balto-germanica è l’unica consistente elite di stampo occidentale che sia al tempo stesso suddita del sovrano di Russia : essa diviene pertanto per molti versi un modello VIVENTE di quella direzione in cui dovrebbe incamminarsi l’intero paese nella sua rivoluzione dello spirito (…).
I nobili del Baltico di antica ascendenza tedesca si risvegliano letteralmente alle soglie del 1700, strappati alle proprie secolari prerogative locali ed inseriti in un differente genere di “gioco” di ordine di grandezza che rende insignificante il sonnolento vivere quotidiano della piccola provincia baltica : essi incarnano ora, loro malgrado, il PRISMA attraverso il quale la Russia scruta ed intepreta il modo “altro” da sè (l’occidente)……tale ruolo chiave nell’insondabile processo di metamorfosi identitaria che caratterizza l’esistenza di un paese che dal Baltico arriva al Pacifico, trasfigura anche la stessa aristocrazia baltica, che da strato nobiliare locale si ritrova in un ruolo via via dilatato , diventando a tutti gli effetti un segmento di lusso dell’aristocrazia imperiale russa tra il XVIII° e XIX° secolo.
L’estrema vicinanza della nuova capitale (San Pietroburgo) al loro abitato atavico ne facilita la presenza e la diffusione nei gangli del potere. Tra il 1710 ed il 1880 godono di un’autonomia senza paragoni nel contesto dell’amministrazione dell’impero (Caterina II faciliterà ulteriormente il processo), seguitando a controllare la loro base nativa nel Baltico quanto ricoprendo incarichi ancor più importanti : alla metà dell’800 quasi la metà dei governatori delle “gubernje” che compongono l’impero portano un cognome tedesco. Nella capitale la lingua tedesca è indispensabile per tutte le portinerie (assieme a russo e polacco).
La stessa dinastia regnante Romanov è in realtà genealogicamente tedesca per 7/10……..
(continua)
 
BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 4 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Pieno 19° secolo, porta dell’età contemporanea. La popolazione tedesca del Baltico conta percentuali minuscole, ma preziose : all’incirca il 5-6% della popolazione di Lettonia ed Estonia al tempo del primo censimento imperiale (1897), concentrati soprattutto nei centri cittadini dove raggiungono anche un 1/10 delle anime. Molti se si considera che il nerbo delle professioni liberali e o che richiedono istruzione…buona parte della media borghesia dell’intero paese è costituita da loro, nonchè la totalità dell’aristocrazia : quest’ultima detiene il 50% di tutte le terre utili presenti sul Baltico. Fin qui ordinario in tutte le aristocrazie più conservatrici nell’Europa del tempo.
Oltre a tutto ciò tuttavia, L’aristorazia balto-germanica è anche divenuta il fiore all’occhiello dell’impero russo nella sua totalità dal momento che le circostanze storiche hanno determinato il paradosso : anzichè slavizzare le elite del Baltico, accade l’esatto opposto, ovvero che l’impero si fa “germanizzare” da esse (suonerà inaudito per la sensibilità nazionalista/rivoluzionaria che verrà).
Sarà per l’appunto la contemporaneità a estinguere tale gruppo sociale. A differenza di quanto enfatizzato da più parti NON è l’Unione Sovietica a liquidare questo segmento della società, quanto una spinta nazionalistica decisamente anteriore : a partire dagli ultimi decenni del 19° secolo l’età dei nazionalismi è sorgente di crescente resisteza da parte di una massa nativa oramai consapevole e cosciente del proprio status, nonchè in generale in Russia di insofferenza nei confronti di un elemento sempre più percepito come estraneo secondo il metro dell’identitarismo etnico che vuole un ritorno alla origini più incontaminate dello stato russo (una chiave di lettura della rivoluzione d’ottobre è quella nazionalista/primitivista, che strappa il paese alla collocazione “occidentale” che gli si è voluto imprimere dai tempi di Pietro il grande per riportarlo, tramite il socialismo, su un sentiero maggiormente autoctono e adatto alla psiche slavo orientale.. Ritornare alle origini…ritornare alla retta via. Eliminando o riducendo ai minimi termini l’elemento più alieno).
Già con la prima guerra mondiale iniziano i primi contenuti flussi mi gratori verso l’estero, che si intensificano al momento della rivoluzione : nel momento della verità (i momenti più critici della storia lo sono…) l’aristocrazia tedesca del Baltica svela il suo volto, invocando a gran voce la scissione territoriale di Estonia e Lettonia dal corpo del defunto impero russo.
In parole più grezze, accertata la conclusione storica (in realtà ancora PRIMA del conflitto tra bianchi e rossi) della loro fonte di prestigio, che il vecchio stato autocratico in fondo era, si dichiarano (primi mesi del 1918) dapprima favorevoli ad un’annessione diretta del loro Baltico all’impero del Kaiser…..successivamente ad una soluzione intermedia quale la creazione di un ducato unito del Baltico come area di influenza di Berlino.
I nazionalisti russi esageravano sulle presunte infedeltà dei tedeschi del Baltico nei confronti della madre Russia (in effetti il tedesco raramente “tradisce” anche quando soddisfatto non è…), quanto è vero che questi retroscena sono quantomai singolari (penso).
Si ha la faccia di bronzo di invocare il trattato di NYSTAD (firmato con la Svezia reale 200 anni prima, ai tempi di Pietro il grande !), come base LEGALE per pretendere un’indipendenza dall’impero.
I bolscevichi (tanto patrioti quanto i bianchi, consapevolmente o meno) seduta stante ne fanno arrestare a migliaia e rilasciati solo dopo Brest Litovsk.
A questo punto diventa esodo vero e proprio, che nel periodo tra le 2 guerre mondiali rapidamente abbassa la densità della popolazione tedesca del Baltico dato che costoro dalla fine dell’impero sono ormai stretti tra 2 fuochi : da oriente uno stato socialista e rivoluzionario che ne odia anche solo il ricordo, qual reminiscenza dello zarismo più reazionario e “straniero” “non-nazionale”…….dall’altro, letteralmente nel cortile di casa propria, un’ondata etno-nazionalista, ora di massa, di estoni e lettoni, determinata a privarli dell’antico status.
Morale della situazione : gli antichi dominatori nel giro di una generazione hanno perso molto del loro potere e sono in procinto di perderlo del tutto. Nella loro culla ancestrale sono ormai visti come nemici ed ostacolo alla democrazia da nativi a lungo subordinati…….e un ritorno eventuale della Russia (ora sovietica ) sarebbe anche peggio in quanto portatrice latente di un identitarismo russo (popolare, democratico o come preferite) determinato ad eradicarne sistematicamente la reazionaria presenza.
Nonostante negli anni 30 rappresentino ANCORA una potenza culturale sul territorio (scuole, organizzazione, etc.) molti dei superstiti si decidono per il passo finale : il patto Von Ribbentrop- Molotov prevede nelle sue clausole uno spostamento di popolazioni che coinvolge proprio loro, i tedeschi del Baltico come elemento che DEVE rientrare nella grande patria del REICH.
Dopo questo, il 90% del balto-germanici ha oramai lasciato Lettonia ed Estonia (ora sovietiche e russizzate col tempo da Stalin) : i restanti finiranno per lasciare precipitosamente i loro manieri a seguito del sisma bellico che a poco verrà. Quando Stalin nel dopoguerra vorrà far piazza pulita dei rimasti scoprirà che ne sono rimasti ben pochi…………
Come detto questo gruppo sociale, residuo di un passato remotissimo e medievale è vittima non tanto dei sovietici, quanto della nuova era, quella delle ideologie : l’ideologia identitaria e nazionalista opera come uno schiacciasassi dell’identità, un’energia che uniforma tutto e tutti, annientando interi microuniversi dell’identità come quello dei nostri simpatici (sì ?) amici del Baltico……
Se l’assenza di ideologia dell’identità aveva permesso loro di prosperare per 7 secoli in territorio estraneo, sono bastati 30/40 anni nell’ideologico XX° secolo per comprimerne la presenza al quasi zero percentuale. Massima parte è ritornata nella Germania (stato che non aveva mai visto prima).
I loro manieri sono oggi hotel lussuosi e ben tenuti sulle rive di fiumi e laghi, dove si passa l’estate…….

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Il realismo negletto_con Gennaro Scala

L’Italia, a dispetto della sua condizione politica in epoca moderna e in gran parte di quella contemporanea, si è comunque distinta nei vari ambiti della cultura, compresa la teoria politica. Uno spazio particolare è stato occupato dal realismo politico seguendo però quest’ultimo un percorso, pur a fasi alterne, di una progressiva dissociazione dall’azione concreta degli esponenti politici. Con Gennaro Scala ci avventuriamo in una breve carrellata che parte da Dante, la figura di maggior interesse coltivato dall’autore, per passare con brevi accenni a Machiavelli e al gruppo di teorici realisti, a cavallo tra ‘800 e ‘900, Mosca, Pareto, Ferrero, Michels. Questi ultimi, ben conosciuti all’estero, quasi del tutto rimossi dal dibattito politico-culturale italiano sviluppatosi dal secondo dopoguerra per ovvie, ma sconsolanti ragioni. Una delle rare figure riuscite a emergere in questa fase decadente è stata Gramsci, ma al prezzo del progressivo disconoscimento del ruolo della coercizione nella funzione egemonica riconosciuta agli apparati e alle leadership. Una rimozione che ha aperto praterie a movimenti ed organizzazioni, tra queste Podemos e M5S, considerate innovatrici, in realtà tasselli terminali di un ciclo decadente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

NB _ In calce alla conversazione un saggio di Gennaro Scala su Dante e la figura di Ulisse nella Commedia

https://rumble.com/v2psxkm-il-realismo-negletto-con-gennaro-scala.html

Il folle volo in Occidente. La tragicommedia di Ulisse (I parte)

“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente…”

Per quale motivo Dante colloca l’invettiva contro Firenze all’inizio del Canto XXVI dell’Inferno, qual è il suo rapporto con la parte dedicata ad Ulisse? Considerata l’attenzione di Dante per questi particolari, pensiamo solo alla teoria politica dei due soli posta esattamente al centro della Commedia (Pur. XVI), non può essere casuale che la più dura invettiva contro Firenze sia collocata all’inizio del «canto di Ulisse». Partiremo con questo interrogativo, che mi è servito da orientamento nella labirintica creazione dantesca in cui, tra le figure memorabili della Commedia, si staglia quella di Ulisse, cercando di capire meglio il significato dell’invettiva:

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!

Com’è noto, i versi richiamano la targa del Palazzo del Capitano del Popolo (Bargello), fatto costruire nel 1255 dal «Governo del primo popolo», in seguito alla sconfitta dei cavalieri ghibelllini. Un passo dell’iscrizione ricalcava quasi alla lettera i versi della Pharsalia di Lucano riguardanti la potenza romana: «que mare, que terras, que totum possidet orbem».

Dante, appartenente all’Arte dei medici e degli speziali (fra le Arti maggiori) fu uno dei sei priori, la massima carica nel governo detto del Secondo popolo di Giano della Bella, che istituì gli Ordinamenti di giustizia che escludevano dal governo della città i “magnati” appartenenti alle grandi famiglie. Gli anni che vanno dal Governo del primo popolo fino alla fine del secolo furono di grandi trasformazioni, videro il rapido ingrandimento della città e il sorgere di una proto-borghesia composta soprattutto da grandi mercanti e imprenditori appartenenti alle Arti maggiori, e artigiani appartenenti alle Arti minori, la «gente nova» dai «subiti guadagni».

Firenze era diventata una delle più potenti città europee, se non la più popolosa (seconda solo a Parigi), sicuramente la più «dinamica» sul piano economico, come si direbbe oggi. Il «maladetto fiore» stava per diventare in quegli anni la moneta dominante nell’Europa del tempo. Scriveva Francesco Buti, commentatore della Commedia del 1300: «erano allora i Fiorentini sparti molto fuor di Fiorenza per diverse parti del mondo, ed erano in mare e in terra, di che forse li fiorentini se ne gloriavano». Forse ispirata da Brunetto Latini, il maestro di Dante (che ritroverà nell’Inferno), la targa esternava la volontà di potenza dei fiorentini.

Secondo Elisa Brilli, Dante in prima persona, quale voce narrante e non personaggio della Commedia «parodiando la retorica romaneggiante dell’iscrizione ufficiale, attacca non la Firenze contemporanea o del recente passato, bensì quella del Primo Popolo e le sue velleità imperialiste, qui capovolte nell’impero ernale» 1. Il lavoro della Brilli su Dante e Firenze è di grande interesse, però a me pare un’eccessiva sottigliezza circoscrivere il sarcasmo dell’invettiva alla Firenze del Primo Popolo, esso è diretto alla nuova Firenze nel suo complesso sorta nella seconda metà del XIII secolo. Lo spirito dell’iscrizione del Bargello è risibile poiché Firenze si atteggiava a nuova Roma, perché aveva affari dappertutto, ma nella corruzione che manifestava, nella brama di ricchezza, nella cupidigia che la muoveva per il mondo, non era possibile riscontrare nessuna manifestazione della virtù romana.

Dante verrà poi esiliato da Firenze dopo la sconfitta dei guelfi bianchi, a cui apparteneva, da parte dei guelfi neri, in seguito alle trame di Bonifacio VIII che portarono all’ingresso in Firenze delle truppe di Carlo di Valois. Probabilmente in gioventù avrà guardato con altri occhi alla targa del Bargello, nel Convivio scriveva: «Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno» (Convivio, I, 3). La nota amaramente ironica di queste parole nell’invettiva si trasformava in sarcasmo già di per sé esaustivo riguardo al paragonarsi di Firenze a Roma, che diventerà piuttosto un’anti-Roma. Dante rovescerà il giudizio di Agostino su Roma, la cui «sementa santa», (Inferno XV, 76) sembrava del tutto scomparsa a Firenze che infine diventerà l’agostiniana civitas diaboli, la mala pianta di Lucifero (Paradiso, IX, 129).

Nella contrapposizione tra Roma e Firenze vi è una premonizione della differenza tra l’imperialismo che poi sarà proprio di tutte le nazioni europee e la civiltà romana, che, come tutte le civiltà che nella storia hanno acquisito una forma stabile, non si muove disordinatamente, non sbatte di qua e di là le ali per il mondo al fine di accrescere la propria ricchezza, identificandola illusoriamente con la potenza, ma si muove, come l’Aquila imperiale, in modo rettilineo, acquisendo contiguamente e sussumendo nel proprio sistema i territori conquistati. L’espansionismo fiorentino è spinto invece dalla cupidigia di ricchezze (capitalismo), una definizione che precorre quella marxista di imperialismo.

L’invettiva profetizza la fine di Firenze:

Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss’ ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com’ più m’attempo.

Pur non avendo trovato nessun commento che lo rilevi, a me pare proprio che Dante nel profetizzare la distruzione di Firenze da parte delle città vicine, se non dalla stessa Prato, abbia in mente quel passo di Tito Livio secondo cui Roma crebbe sulla distruzione di Alba2. È da Livio che è tratta (Purgatorio, VI) la descrizione del passaggio dell’Aquila da Alba, dove aveva dimorato per trecento anni, a Roma. Corsi e ricorsi storici. Come avvenne tra le due antiche città, Firenze sarà distrutta da una delle città vicine, che alla prima occasione metterà fine al suo «volo», già dimostratosi privo del favore della Provvidenza. Con la venuta di Arrigo VII e il ritorno dell’ordine imperiale, Prato, che aveva già dimostrato la sua insofferenza verso Firenze con la cacciata dei neri nell’Aprile del 1309, potrebbe prendersi la sua rivincita. Avendo ciò presente, tale profezia, ancor oggi considerata in parte oscura3, acquisirebbe un significato più preciso, comunque nel senso intelligibile della stessa se ne deduce che Firenze sarà portata alla rovina dalle città vicine, se non dalla piccola Prato, da qualche altra città più grande. Firenze non è Roma. In analogia, con quanto era avvenuto tra Alba e Roma, Firenze, patria di ladroni, ormai con-dannata, andrà incontro alla sua fine. Se la Provvidenza vuole che ciò accada che accada presto. Così la storia potrà indirizzarsi su un cammino più virtuoso, come avvenne con Roma. Arrigo VII morì invece nel 1313 durante la sua discesa in Italia prima di attaccare Firenze e senza riportare «l’ordine imperiale».

L’Aquila, che per lungo tempo si posò su Roma, si muove secondo un disegno provvidenziale, magari non intellegibile a tutti ma presente (Paradiso, VI), il volatile fiorentino spinto dalla cupidigia di ricchezze svolazza disordinatamente per il mondo, per mare e per terra, assomiglia al «folle volo» di Ulisse.

Com’è noto, l’Ulisse dantesco con l’Ulisse omerico non ha un rapporto diretto. Dante non conosceva l’Odissea, le sue fonti sono quelle classiche romane e latine, in primo luogo Virgilio, nonché Cicerone, Orazio, Ovidio, Agostino, Orosio. Ulisse si trova condannato nell’Inferno nel girone dei consiglieri fraudolenti in qualità di «scelerum inventor» e «fandi fictor» , inventore di scelleratezze e dai falsi discorsi, per il celebre inganno del cavallo di Troia, e per il furto della statua di Pallade protrettrice di Troia (Virgilio, Eneide), per l’inganno ai danni di Deidamia (in questo caso la fonte è l’Achilleide di Stazio) che ancora si duole nel Limbo per Achille.

Si ispirò invece alla letteratura medievale su Alessandro Magno nella parte in cui Ulisse narra di se stesso e delle vicende dopo la sconfitta di Troia e la dipartita da Circe che lo portarono a peregrinare per il mediterraneo, fino alla vicenda conclusiva. Nessuno crea nulla dal nulla, queste vesti classiche hanno un loro significato, come vedremo, ma Ulisse è una creazione dantesca ed è una figura che sentiamo come la più moderna dell’intero poema, anzi taluni ci vedono un archetipo dell’uomo moderno.

L’Ulisse di Dante è stato interpretato nel corso dei secoli in molteplici e opposti modi. Nel dopoguerra la «letteratura dantesca», con la crescita delle università, ha raggiunto dimensioni vertiginose. Impossibile tener conto dell’insieme di essa, mi sono limitato quindi ai testi con cui ho ritenuto aver raggiunto un’immagine coerente del personaggio dantesco, seguendo delle mie tracce di lettura. Credo scherzi fino ad un certo punto il «filologo complottista» Francesco Benozzo quando fissa4 un limite al 5 per mille degli interi scritti su Dante che un singolo individuo può arrivare a consultare. Preciso che quanto segue non è un lavoro di carattere filologico, ma estetico-filosofico. Non voglio proclamare l’inutilità della filologia, che mi è stata di molto aiuto nel tentativo di avvicinarmi al personaggio dantesco, né credo che ciò intenda Benozzi da filologo, tuttavia non si può non rilevare, che tutta questa «letteratura» pur essendo sovente utile per questioni specifiche, lascia nel complesso insoddisfatti, essendo davvero pochi coloro, almeno nel «campione» da me consultato, che non si occupino solo di «pezzi di Dante», che non trattino solo della questione specifica, ed è difficile quindi non pensare che la «critica dantesca» sia una sorta di vivisezione, per dirla con Benozzo, oppure la dissezione di un cadavere. Pare che Dante abbia oggi poco da dirci, e che, ora, il suo cadavere intellettuale sia pertinenza esclusiva degli «specialisti», oppure possa essere oggetto solo di vuote e stanche celebrazioni.

Cominciamo da Ulisse quale navigatore. Francesco De Sanctis intravvedeva in Ulisse il moderno navigatore, una premonizione dei viaggi che di lì a qualche secolo avrebbero cambiato radicalmente la conoscenza e il rapporto che abbiamo con la Terra. A tale intuizione Bruno Nardi aggiunse la notizia dei fratelli Vivaldi, salpati da Genova nel maggio del 1291 con l’intenzione di raggiungere le Indie via mare, poi scomparsi in luogo ignoto delle coste africane. Recentemente la tesi è stata ripresa e sviluppata da Sergio Cristaldi: «Se ha convocato l’eroe greco è anche per affrontare, in maniera trasposta, un enigma recente e fosco; a costo di manipolare il mito, di avvicinarlo il più possibile alla propria moderna condizione, alle ambizioni e alle sconfitte che la segnavano»5 . L’enigma è quello della morte dei fratelli Vivaldi. Come scrive Cristaldi, è molto probabile che Dante conoscesse la vicenda dei due fratelli che aveva suscitato clamore tanto a Genova, e che doveva aver fatto notizia anche a Firenze, che allora mirava ad un’alleanza con Genova, in opposizione a Pisa, concorrendo a creare nella mente dantesca la figura, in modo più o meno consapevole, non lo possiamo sapere, è probabile, visto l’interrogativo sulla morte di Ulisse, che potrebbe rispecchiare un analogo interrogativo diffuso allora tra Genova e Firenze.

Ulisse quale simbolico precursore delle grandi navigazioni, già iniziate in quegli anni è lettura suggestiva, ma diventa riduttiva se volesse esaurire la poliedrica figura. Infatti, «perché Ulisse e non direttamente i fratelli Vivaldi? Le risposte a disposizione indicano la convenienza dell’aggancio a un personaggio fittizio semanticamente denso, già implicato in una serie di opposizioni esemplari – Ulisse-Enea, greco-troiano, folle-savio, callidus-pius –, e rilevano ancora la disponibilità di un simile profilo a ricevere significati ulteriori, legati all’attualità di Dante»6. Queste «significazioni ulteriori» non possono essere tralasciate, se vogliamo avvicinarci al personaggio dantesco.

Di grande interesse la ricerca di D’Arco Silvio Avalle, il quale rimanda alla letteratura medievale intorno alla figura di Alessandro Magno, per quanto riguarda l’oltrepassamento delle Colonne d’Ercole e morte di Ulisse (ciò che differenzia il personaggio dantesco dall’Ulisse omerico), adducendo numerosi riscontri tra il testo dantesco e i testi letterari medievali7, in particolare con l’Alessandreide di Gualtiero di Châtillon e El libro de Alexandre, quest’ultimo, secondo Avalle, quasi sicuramente non conosciuto da Dante, ma rispetto al quale vi sono sorprendenti coincidenze verbali. Oltre alla ripresa l’antico topos narrativo del superamento delle Colonne D’Ercole, vi sono altre rilevanti analogie nella descrizione della dismisura di Alessandro, che come vedremo, è intrinseca al personaggio dantesco. Al di là degli aspetti filologico-letterari, indubbiamente interessanti, il lato alessandrino di Ulisse, per così dire, ha significato ulteriore se collocato nella teologia della storia dantesca, se riferito a quel passo della Monarchia in cui si afferma la non provvidenzialità del tentativo alessandrino di conquistare il mondo che aveva dovuto cedere il passo ai romani. Non solo i viaggi marittimi, e in generale la rinascita e l’espansione dei commerci nel Mediterraneo, stavano avendo un profondo impatto sulla cultura cristiana medievale. Non è da sottovalutare l’impatto sul piano culturale della riscoperta della cultura greca. Per questo, la grecità di Ulisse ha un suo significato.

Ulisse modernissimo precursore dei viaggi marittimi oppure Ulisse sosia di Alessandro Magno? Già l’eroe omerico è politropo, e in diversi e contrastanti modi l’avevano interpretato Virgilio, Orazio, Cicerone, Stazio. Dai classici Dante avrà tratto l’abilità ingannatrice di Ulisse nell’assumere diversi volti, intanto è da sottolineare la compresenza in esso di nuovo e antico.

Se per Orazio Ulisse è «simbolo di ciò che possono virtù e saggezza»8, più articolato è il giudizio di Cicerone9: dell’ardore di conoscenza, dote naturale dell’essere umano, fu espressione Ulisse, ma in lui tale passione fu superiore all’amore per la patria, per cui il desiderio di conoscere ogni cosa, e non ciò che davvero conta, diventava mera curiositas. Giorgio Padoan nel suo saggio Il saggio Enea e l’empio Ulisse osserva che per la contrapposizione fra Enea e Ulisse nel complesso la cultura romana considerava negativamente l’eroe greco, e parimenti Dante riprende nel Canto tale contrapposizione: il viaggio del primo si conclude nella fondazione di una patria, il secondo nel naufragio. Padoan, ritrova nell’Achilleide di Stazio maggiormente che nell’Eneide, la descrizione delle capacità retoriche, l’abilità ingannatrice attraverso il discorso di Ulisse: «Anche questa volta, come sempre, Ulisse ha detto le verità più sacrosante e solenni per indurre ad un’azione non giusta»10. Però in questo caso Ulisse, oltre a ingannare i compagni, avrebbe ingannato se stesso, quindi in qualche modo sarebbe un inganno non consapevole, quindi non un vero e proprio inganno. Ma non v’è dubbio sulla condanna di Dante, nonostante che la «lettura prometeica» abbia voluto rovesciare il giudizio dantesco. Il prometeismo  di De Sanctis e Croce, in Bruno Nardi, il più grande studioso di Dante, diventava decadentismo luciferino, a detta del suo avversario teorico Mario Fubini, con allusione alle convinzioni filosofiche-politiche di Nardi. Fubini era pur tra coloro che intendevano assolvere Ulisse, ma più pacatamente, «senza porlo in contrasto con l’orizzonte etico-religioso della Commedia»11. Costanzo Preve con le parole di Bobby Solo sunteggiava un certo heideggerismo quale ideologia della depressione europea, oggi che «non c’è più niente da fare, è stato bello sognare», non c’è più spazio per gli slanci prometeici dopo la fine della centralità europea, dopo guerre mondiali, bombe atomiche, crollo della «fede nel progresso», fallimento delle principali ideologie. Del prometeismo otto-noventesco è rimasta solo l’immagine generica e senza precisi contorni di un «Ulisse eroe della scienza», diventata quasi luogo comune, che è esattamente il contrario di quanto voleva dirci Dante con il suo Ulisse.

Certo, la lettura prometeica faceva violenza al personaggio dantesco, ma Dante gli aveva pur messo in bocca le sue più profonde convinzioni. Essa ha avuto se non altro il merito di promuovere una lettura più complessa rispetto all’attestazione della pura e semplice condanna da parte di Dante (come per altri personaggi, ad es. De Sanctis si interessò maggiormente a Francesca). Lo stesso Padoan riconosce che si tratta di uno dei personaggi «particolari» dell’Inferno, ovvero quei personaggi come Francesca o Farinata verso i quali Dante mostra un’affezione particolare, nonostante la condanna.

Per quanto riguarda Ulisse quale incarnazione della curiositas, che da Cicerone passava per la squalifica cristiana della conoscenza meramente terrena, essa è pur presente nel Canto come indicato dalla forte curiosità espressa da Dante personaggio della Commedia nel voler sapere di Ulisse. Tuttavia è piuttosto riduttivo liquidare Ulisse quale incarnazione della sola curiositasexemplum negativo rispetto a chi come Enea aveva in mente solo Dio, Patria, Famiglia. Dante condanna la curiositas quando è fine a sé stessa, ma di per sé la curiosità fa parte del desiderio naturale di conoscenza, che non condanna affatto, che anzi in quanto dotazione naturale ha una sua ragion d’essere («la natura non fa nulla invano», ripete nel Convivio, con Aristotele). La curiosità, o il desiderio naturale di conoscere fa parte dell’essere umano, ma può avere effetti diversi e opposti, secondo come viene indirizzata.

Il desiderio naturale di sapere ci conduce al tema centrale del Canto: la conoscenza. Ulisse ha il doppio volto della vita attiva e della vita contemplativa. La prima, in quanto incarna il navigatore, scopritore e conquistatore, la seconda in quanto incarna il desiderio naturale che può trasformarsi in cupidigia di conoscenza. Due volti di un’unica prassi umana, in quanto si contempla in vista dell’agire (Monarchia I, 3, 4). Il principio vale anche per Ulisse, nonostante trapasserà il segno, sia nell’azione che nella conoscenza.

Dicevamo, Ulisse è allo stesso tempo moderno e antico, e in quanto tale è espressione di quella cultura greca, la cui riscoperta a partire dalla prime traduzioni dei testi di Aristotele stava avendo un impatto profondo sulla cultura a lui contemporanea e a Dante stesso, ma vista, allo stesso tempo, con gli occhi di Virgilio, il quale nel noto passo del’Eneide (VI, 847-850), pur lodando le capacità artistiche e l’arte oratoria dei Greci, ricorda che il talento dei romani dovrà essere quello del governo dei popoli. Ciò rispecchia il giudizio ambivalente dei romani nei confronti dei greci, della cui civiltà furono allo stesso tempo vincitori e realizzatori (Graecia capta ferum victorem cepit), dato il disfacimento prematuro della civiltà greca, seguito all’imperial overstretch di Alessandro Magno. Solo con le arti dello spergiuro e ingannatore Sinone i Greci riuscirono a vincere Troia (Eneide, II). A sua volta condannato da Dante tra i falsari di parola (erno, XXX) «Secondo il τόπος letterario diffusissimo sin dalla latinità: i Greci sono gente superba, crudele e nefanda (cfr. Inferno, XXVIII, 84)»12.

Ricordiamo, ci deve essere rapporto tra l’invettiva contro Firenze e il resto del canto. Firenze che «per mare e per terra batte l’ali» ci rimanda al folle vole di Ulisse, contrapposti al volo dell’Aquila descritto nel paradiso. Per Dante la storia è stata segnata dal peccato di Adamo, risanato dalla morte di Cristo, e per questo fu provvidenziale l’Impero romano, la cui affermazione, nella ordalia dei popoli per il dominio mondiale, fu espressione del volere divino, in quanto lì doveva nascere Gesù e lì essere ucciso per rimediare al peccato originale. O, diremmo, metterci una pezza (se il termine non suonasse irrispettoso), poiché il sacrificio di Cristo, a causa della natura umana che restava corrotta, fu presto infirmato involontariamente da Costantino che con la sua donazione riportò il disordine nel mondo, dando il potere temporale alla Chiesa, provocando una confusione tra potere temporale e potere religioso che fu l’origine dei mali successivi.

Dante cerca di comprendere il suo tempo attraverso categorie teologiche e mitologiche (anch’esse sono una forma di sapere), ad es. la lettura dell’Eneide come storia vera, comune ai suoi tempi. Nonostante l’allora limitata conoscenza dell’antichità, Dante aveva un robusto senso della storia. Avvertiva (e a ragione, con il senno di poi) di vivere un’epoca nuova e cercava di decifrarla all’interno di una idea complessiva della storia, con le categorie che aveva a disposizione. È significativa l’associazione tra Firenze e Ulisse (quale simbolo della cultura greca, la grecità di Ulisse è rimarcata da Virgilio). Essa implicava che Firenze, e l’Italia comunale, fosse segnata dal disfavore della Provvidenza come la Grecia di Alessandro, il qual era stato ad un passo dalla conquista della monarchia universale ma aveva dovuto cedere il passo a Roma (Monarchia, II, 8). La non provvidenzialità di Firenze e dei comuni italiani era attestata dal prevalere della cupida avidità di ricchezze che avevano distrutto l’armonia sociale della Firenze dell’avo Cacciaguida. Il giudizio si estendeva all’intera civiltà comunale italiana. e ai suoi ferocissimi e incomponibili odi tra città e fazioni all’interno delle città, di cui il Conte Ugolino è indimenticabile rappresentazione, fino alle lotte di potere tra papato e impero, dovute alla cupidigia dei papi . Dante riserva a Firenze le migliori invettive, ma non scherzano neanche quelle rivolte alle altre città. Firenze era con-dannata e con lei l’intera civiltà comunale.

Vi deve essere un rapporto tra la condanna di Ulisse e la condanna di Firenze. L’orazion picciola di Ulisse è solo un utilizzo fraudolentemente retorico di un ideale sacrosanto, come sostiene Padoan? «Alle parole di un greco non è da prestar fiducia (“timeo Danaos et dona ferentis… ”): presteremo fiducia a quelle di Ulisse, quando sappiamo che dietro il suo discorso può celarsi il sorriso dolcissimo di Gerione?»13. Greco era anche Aristotele, e l’orazion picciola, chiama in causa lo stesso Aristotele, come vedremo tra un po’, ma basti per ora ricordare l’inizio del Convivio che richiama l’inizio della Metafisica: «Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere».

Come sappiamo la ragione senza la fede non è un viatico sufficiente per il cammino verso la salvezza, per questo Aristotele è nel sommo del Limbo e per questo Virgilio deve cedere il passo a Beatrice. L’insufficienza della ragione aristotelica però non implica una condanna (una negazione, in termini filosofici) come vorrebbe la sua associazione con Ulisse.

In che misura il discorso di Ulisse riguarda lo stesso Aristotele?
Poiché tale questione nella critica dantesca è pochissimo affrontata, per quanto io ne so, ho dovuto tentare personalmente una risposta. Solo Maria Corti affronta incidentalmente il problema, e Massimo Cacciari vi accenna in una conferenza, sostenendo che Ulisse incarna l’Aristotele physicus, senza l’Etica e la Politica, cioè l’averroismo.

Con Ulisse Dante prende le distanze dalla filosofia del Convivio. Secondo Cicerone le sirene attraevano i viaggiatori con la promessa di conoscenza14. Una «serena» di queste aveva già svelato in sogno a Dante in tutta la sua laidezza (Purgatorio, XIX). Beatrice al loro (re)incontro (Purgatorio, XXX e XXXI) muove a Dante, con dure parole, il rimprovero di non aver resistito in gioventù al canto delle sirene. Nella reprimenda iniziata nel canto precedente, non rivolgendosi di persona a Dante, Beatrice gli riconosce la grazia divina dell’ingegno che ha avuto in dono da Dio, ma è sprecato se virtù nol guida, si finisce per seguire false immagini di bene (Pur. XXX). Ben a ragione Dante doveva quindi «raffrenar l’ingegno» prima di incontrare Ulisse. Infine, Beatrice fa molto cristianamente sentire in colpa Dante, ricordando che lei si è recata fino all’inferno per poterlo salvare (ma si direbbe quasi che sia morta proprio per poi effettuare questo salvataggio), ma lui invece non appena morta, si diede altrui, ovvero alla donna gentile della Vita nuova, la Filosofia.

Se teniamo presente, in base a quanto sopra, che consapevolmente Dante rappresenta in Ulisse una parte di se stesso, possiamo apprezzare la sublime ironia con cui Dante insiste sulla sua stessa curiosità nei confronti di Ulisse. È la stessa ironia a cui tutti siamo inclini verso i comportamenti giovanili da scavezzacollo (per la curiosità Dante si protende verso le figure fiammeggianti giù nella valle e rischia di cascare giù dal costone di roccia dove è giunto con Virgilio), rafforzata dall’insistenza fanciullesca nel voler parlare ad Ulisse, ed espressa fanciullescamente nei confronti di Virgilio (Maestro, assai ten priego/. E ripriego, che il priego vaglia mille»). E curiosi sono soprattutto i fanciulli per Cicerone15. Pericolo filosofico quello in cui incorre(va) Dante, ma con rischi non meno gravi del rompersi l’osso del collo, poiché, quando si intraprende un viaggio di conoscenza, il rischio è di smarrirsi (nella selva), finire nella follia, e incorrere nella rovina individuale. O, per dirlo con metafora nautica, perdere la rotta e affondare, come Ulisse. È un’ironia che possiamo permetterci solo quando siamo certi di esser usciti fuor dal pelago a la riva.

Di preciso cosa Dante del Convivio riteneva fosse frutto degli «errori di gioventù»?

Maria Corti, con l’espressione «felicità mentale» indicava la riscoperta dell’ideale dell’eudemonismo intellettuale aristotelico, la conoscenza quale ideale di vita che nella contemplazione raggiungeva il suo compimento e felicità ultima. In seguito alla diffusione della filosofia araba, alla riscoperta e traduzione dei testi aristotelici nel XIII secolo, e alla nascita delle prime università a Parigi, Bologna e Oxford, nasceva una cultura «laica» (cioè esterna all’ambito delle istituzioni religiose) centrata sulla ripresa dell’eudemonismo intellettuale aristotelico. Questa filosofia fu frequentata in gioventù da Dante, insieme al suo «primo amico». Un’indicazione di questi rapporti veniva dalla scoperta della dedica a Cavalcanti in una delle copie della Quaestio de Felicitate di Giacomo da Pistoia.

L’ideale della «vita contemplativa» è condiviso da Dante nel Convivio (esordio):

«la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti».

Cavalcanti, o la sua ombra, turba la coscienza di Dante, ritorna in tutta la Commedia, come scrisse Gianfranco Contini e come ha scritto più recentemente Enrico Malato. Come Ulisse, aggiungerei. Se è vero che Donna me prega è una raffinata «polemica non dichiarata»16 nei confronti di Dante, quando Guido si dichiara «fuor d’ogni fraude», possiamo immaginare a chi alludesse. Solo nel discorso di Ulisse nella Commedia troviamo il termine «canoscenza»17, utilizzato, a sua volta, da Cavalcanti nella canzone suddetta. Se questo solo termine può sembrare indizio insufficiente per scorgere ora in Ulisse il volto di Cavalcanti, si tenga presente che un analogo calco dei versi cavalcantiani è in Purgatorio XXV riguardo il «possibile intelletto», concetto strettamente connesso al contenuto dell’orazion picciola. La condanna per frode di Ulisse vuol dire ritorcere all’accusante l’accusa di frode18. Dunque l’orazion picciola sarebbe frode? La questione è complessa.

L’interpretazione di Nardi ascriveva la canzone Donna me prega a quell’averroismo radicale non dissimile all’epicureismo di coloro che «l’anima col corpo morta fanno». Boccaccio narrava nel Decamerone che Guido «alquanto tenea dell’oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse »,. Per epicureismo, di cui è condannato Cavalcante padre, era da intendersi più che altro la negazione del dogma dell’immortalità dell’anima, in quanto « la dottrina averroistica coincideva in pratica coll’opinione d’Epicuro esso è per logica conseguenza una sostanza separata e unica per tutti gli uomini, non è più possibile parlare di sopravvivenza dell’anima individuale; individuale è certamente l’anima sensitiva, che sola è forma e perfezione del corpo; ma essa muore col corpo»19. La canzone è volutamente enigmatica, alcuni versi non sono chiarissimi tuttora neanche agli specialisti, tuttavia ciò che conta per noi è ciò che ne pensava Dante, non per la comprensione della poesia cavalcantiana, ma per la comprensione di Cavalcanti quale personaggio ombra nella Commedia, che non deve necessariamente coincidere con il personaggio reale. Cavalcanti padre è condannato nel girone degli epicurei e degli eretici, ed è abbastanza ovvio che ci sia in vece del figlio, in ogni caso, alla sua domanda perché suo figlio Guido, pari a lui per ingegno, non fosse con lui, Dante risponde «qui mi mena/forse cui Guido vostro ebbe a disdegno», cioè Beatrice20, ovvero la patrocinatrice del viaggio salvifico e simbolo della fede.

L’analisi del canto di Ulisse è uno snodo centrale nell’indagine della Corti, poiché proprio Ulisse veniva ad incarnare nei famosi versi l’ideale della «felicità mentale», in tal modo Ulisse veniva associato con l’averroismo di Cavalcanti, soprattutto per la canzone Donna me prega, ma insieme ad esso i magistri artium bolognesi, con la scoperta della dedica a Cavalcanti della Quaestio de felicitate di Giacomo da Pistoia, e con Boezio di Dacia, esponente di primo piagno dell’averroismo e aristotelismo parigino. «Cosí Dante, nel condannare una certa posizione di pensiero, ne immortala l’esistenza e il messaggio, trasformando gli intellettuali stessi in auctoritates parlanti per bocca di Ulisse»21. Ma in che misura la condanna riguardava lo stesso Aristotele?

Sorprendente è il modo in cui la Corti espone la sua interpretazione dei famosi versi:

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza

«Ma questo è Aristotele bell’e buono nell’Etica Nicomachea: il paragone con l’animal brutum, il suggerimento della operatio boni e della cognitio veri.» Nella pagina successiva, tuttavia, ci chiarisce che abbiamo capito male, no, non è Aristotele, bensì è «con gli enunciati dell’aristotelismo radicale che Ulisse arringa i suoi, non con il puro Aristotele»22. In merito rimanda alla Questio 5 dei Modi significandi di Boezio da Dacia, esponente di rilievo dell’aristotelismo radicale. Ma lo stesso concetto enunciato con le stesse parole ritorna nel De summo bono, che ugualmente Dante conosceva secondo la Corti. Secondo Tullio Gregory «la delineazione della vita philosophi nel De summo bono di Boezio di Dacia rappresenta in modo esemplare la ripresa dell’antico ideale del βίος θεωρητικός»23. E allora, forse, ci dobbiamo ricredere di nuovo, l’orazion picciola potrebbe riguardare lo stesso Aristotele, cosa oltremodo sorprendente, e difficile da credere, poiché, come scrive la Corti, Aristotele è l’autore più lodato da Dante.

L’analisi della Corti ruota intorno al raffronto tra Dante e Cavalcanti, che partiva dall’analisi di Nardi relativa all’averroismo del primo amico, estendendosi poi all’aristotelismo radicale, che veniva a confondersi con l’averroismo dei magistri parigini e bolognesi. Indagini più recenti, quali quelle raccolte nel volume Le felicità nel medioevo, hanno distinto tra l’averroismo e la filosofia dei magistri più prossima all’aristotelismo.

Gianfranco Fioravanti nel volume Le felicità nel medioevo riconosce la fecondità del concetto di «felicità mentale», «un’intuizione geniale (per paradosso tanto più geniale in quanto non sempre sostenuta da analisi e raffronti testuali pienamente convincenti)»24, che aveva poi suscitato tutto un filone di studi successivi. Fioravanti apporta però alcune distinzioni tra la filosofia dei magistri artium e l’averroismo, soprattutto per quanto riguarda la «congiunzione con le sostanze separate, ossia come piena attuazione dell’intelletto possibile da parte dell’intelletto agente, secondo la tesi attribuita ad Averroè dai suoi lettori latini del XIII secolo»25. Fioravanti osserva, «è proprio vero che il progetto dei philosophi parigini è indissolubilmente legato alla dottrina, o alla favola, della copulatio con le intelligenze separate? Il De summo bono, ad esempio non vi fa il minimo accenno; l’unica conoscenza delle cause più alte di cui si parla è una conoscenza che procede dagli enti naturali, cioè, come afferma chiaramente il testo, dagli effetti». Quanto a Sigieri, «il filosofo brabantino riconosce i limiti della conoscenza umana quando essa, a partire dalla esperienza degli enti finiti, vuole estendere le sue affermazioni alla natura ed al modo di agire del Principio Primo»26. Luca Bianchi, in un saggio contenuto nel suddetto volume, mentre ritiene vi sia una maggiore vicinanza di Sigieri ad Averroè, ritiene invece assente l’averroismo di Boezio di Dacia, dato finora per scontato. Sempre nello stesso volume, per Irene Zavattero la Quaestio de Felicitate di Giacomo da Pistoia «per la formulazione della teoria della “suprema felicità umana”, attinge soprattutto al pensiero etico aristotelico» 27. In breve, ai tempi di Dante esistevano varie forme di «felicità mentali» e vi era una differenza significativa tra l’averroismo e la filosofia dei philosophi più prossima all’aristotelismo.

Questioni a cui fa riferimento Paolo Falzone nel suo lavoro dedicato principalmente al Convivio28, e in particolare al «forte dubitare» di Dante riguardo la «scienza che qui avere si può». Può essa rendere felici visto che non può attingere ad una conoscenza diretta di Dio? Per quale motivo la natura ci avrebbe dotati di questo desiderio di conoscere se ine non possiamo conoscere Dio attraverso le nostre capacità naturali?

Secondo Falzone la soluzione di Dante, non è un’uscita «inattesa» dal problema (come ebbe a dire Étienne Gilson in Dante e la filosofia), piuttosto frutto di un ragionamento svolto con rigorosa conseguenza logica e che essa non fosse solo di Dante, ma diffusa tra i philosophi, a riprova di ciò apporta la descrizione che ne faceva Enrico di Gand che in un passo «tratteggia e riassume la tesi dei philosophi»:

«Philosophi vero ponentes finem humanae cognitionis ex puns naturalibus haberi et in vita ista ex cognitione scientiarum speculativarum et primorum principiorum quantum homini possibile est, et quod in modica cognitione divinorum consistit eius summa perfectio et delectatio, licet non possit attingere ad quidditates substantiarum separatarum et eorum quae apud illas sunt, dicerent quod homo nullum appetitum haberet sciendi illa, ex quo ex suis naturalibus ad ea pervenire non posset, ne ille appetitus esset frustra»29.

L’assenza di brama verso la conoscenza quidditativa della sostanze separate può indurre in errore nella somiglianza con l’argomentazione di Dante, ma c’è un punto decisivo che distingue Dante dai philosophi (secondo la descrizione di quest’ultimi di Enrico de Gand), la soluzione di Dante esclude anche una modica cognitione divinorum in ambito filosofico:

Onde, con ciò sia cosa che conoscere di Dio, e di certe altre cose, quello esso è, non sia possibile alla nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere. E per questo è la dubitazione soluta.

Le tesi dei philosophi (con «philosophi, ossia, dobbiamo supporre, ai magistri della Facultas artium»30) sono solo in parte simili a quelle di Dante, il quale si differenzia anche dai filosofi più strettamente aristotelici, escludendo dalla filosofia anche una limitata conoscenza di Dio, luogo di un sapere esclusivamente terreno. È quanto rende effettivamente «radicale» la «soluzione» dantesca. Concordo con la definizione di Falzone, solo che è una posizione propria di Dante, diversa da quella dei philosophi.

Sostenendo che l’essere umano non può accontentarsi di «un po’ di Dio» in questa vita, Tommaso fonda la subordinazione della filosofia alla fede, in quanto esisterebbe un desiderio naturale, insito all’essere umano, di andare sempre oltre nella conoscenza che ci spinge verso l’infinito a conoscere Dio, ma tale desiderio può compiersi solo nell’altra vita e per mezzo della fede. Per Dante invece esso non fa parte della sfera naturale dell’essere umano, ma di quella soprannaturale, porlo nella sfera della conoscenza naturale vuol dire assimilare la conoscenza a quella dell’avaro che mira al «numero impossibile a giugnere». Sebbene non citato da Dante nel passo in questione, come osserva Nardi di fatto la concezione di Tommaso viene ad essere simile a quella dell’avaro descritta nel Convivio31. Ritorneremo sulla questione, importante per la definizione del concetto dantesco di cupidigia, ci basti questo per ora intendere perché in ambito filosofico è esclusa anche una conoscenza limitata di Dio, posizione che poi porterà alla netta separazione tra filosofia e fede della Monarchia.

La suddetta «soluzione» dantesca, secondo Falzone, è un «radicale naturalismo», una filosofia «assai più temibile per la fede cristiana di quanto non lo sia quella di Averroè»32. In effetti, il modo in cui Dante esce dall’impasse relativo all’inconoscibilità razionale di Dio poteva esitare in qualcosa di simile all’ateismo, ma era una strada che Dante non intendeva certo percorrere, anzi, oserei dire, a lui mentalmente preclusa. Non è da escludere che l’aver collocato Cavalcante padre, ed è ovvio che il giudizio si estendeva al figlio, poteva anche essere una netta presa di distanza, per evitare che si estendessero a Dante stesso le dicerie su Cavalcanti, riportate da Boccaccio, il quale si presume non se le fosse inventate di sana pianta, ma che fossero ancora diffuse ai tempi del Decamerone. Dante intendeva restare all’interno del cristianesimo (ma profondamente rinnovato dal suo viaggio profetico). Inoltre, l’ideale della vita contemplativa filosofica sfociava spesso un impolitico elitarismo, al limite del classismo, nel senso di una differenza ontologica tra filosofi autenticamente uomini in mezzo ai «bruti»33. Invece, nel cristianesimo tale frattura ontologica era assente. Un riflesso della preoccupazione di evitare le derive elitarie dell’eudemonismo intellettuale potrebbe essere il preciso elenco all’inizio del Convivio dei diversi ostacoli materiali alla formazione intellettuale.

Sebbene per il Dante del Convivio la «donna gentile» sia un’unione di fede e filosofia, e per quanto non metta ancora in discussione la preminenza della vita contemplativa, già si fa viva l’imprescindibile esigenza politica di Dante della fine del potere temporale dei papi, e della separazione tra potere temporale e potere spirituale, che porterà alla separazione tra fede e filosofia.

Anche Ulisse deve la sua ri-nascita ai dubbi in cui si dibatteva Dante, non meno radicale è il suo significato, come vedremo, ma in un senso più complesso di un diretto ateismo che lo conduceva fuori dal cristianesimo e dalla cultura del suo tempo.

Il trapassar del segno di Ulisse è oltrepassamento dei limiti della conoscenza umana, che invece doveva limitarsi in filosofia ad un ambito terreno (almeno nel tentativo di uscire dalle difficoltà in cui era incorso, per il resto nel Convivio vige l’unione di filosofia e fede). Il naturalismo del Convivio lo ritroviamo nella narrazione della vicenda di Ulisse. Come ben scrive Gennaro Sasso: «”Volta” la “poppa nel mattino”, dato ai remi l’impulso necessario al “folle volo”, protagonista assoluta fu, nella sua nuova e indecifrabile oggettività, la natura. Fu la forza che spinse la nave verso sinistra, nella direzione di sud-ovest. Furono le stelle rivelate dall’emergere dell’altro polo, mentre il nostro si inabissava tanto “che non sorgea fuor del marin suolo” (v. 129). Fu la luna che, accesasi cinque volte nel cielo, e altrettante spentasi, scandì, con i suoi tempi, le fasi della fatale navigazione. Fu la montagna “bruna” che, con il “turbo” che all’improvviso ne nacque, provocò, come “altrui piacque”, il tragico naufragio»34.

Una stretta identificazione di Ulisse con Boezio di Dacia, o con Cavalcanti, è restrittiva per una figura di portata universale come Ulisse. Infine è sempre  Bruno Nardi che ci restituisce l’ampiezza della visione dantesca, nel suo magnifico saggio Dante e la filosofia35. La conoscenza umana secondo Aristotele è partecipazione alla Divina Sapienza, attraverso di essa l’essere umano si avvicina a Dio, nei limiti delle sue possibilità. Un concetto che risale a Platone36 ma comune anche alla cultura biblica, compresa quella araba e cristiana, fino ad Agostino e Tommaso. In merito, cultura pagana e cultura cristiana non erano in contrapposizione. Grazie a questo «misticismo» (Nardi) che accomuna Platone e Aristotele ad Agostino e Tommaso era sempre possibile subordinare la filosofia alla fede.

E Ulisse è l’uomo che dimentico dei propri limiti umani «trapassa il segno» e vuole assimilarsi a Dio, qualificandosi come continuatore del «primo parente».

Il canto di Ulisse è il momento della negazione, è il momento del rifiuto di un’intera cultura nella quale Dante si era formato in gioventù. Come osserva Enrico Fenzi37, nell’incontro con Brunetto Latini Dante sancisce il fallimento del maestro nella formazione intellettuale di una nuova classe dirigente a Firenze. Nel Canto di Ulisse, che inizia con l’invettiva ultima e lapidaria contro Firenze, abbiamo la rottura finale con una cultura condivisa da Dante stesso, pur già con molte differenziazioni, ai tempi del Convivio.

La radicalità con cui Dante condannava la civiltà del suo tempo, ricordiamo che è un canto in cui si preconizza la distruzione di Firenze, trapassa nella radicalità della critica della cultura del suo tempo. Ulisse è figura della perdita del senso del limite umano, e dell’illusione di un completo padroneggiamento dell’uomo sul mondo attraverso il suo indiarsi.

Tuttavia Ulisse è una figura di passaggio, appartiene al momento della negazione. La condanna di Ulisse-Aristotele è un passaggio verso la separazione tra la filosofia e fede. La prima è fondamento del potere temporale, mentre la secondo riguarda l’ambito della salvezza individuale. Tale separazione assumerà forma definitiva nella Monarchia, ma il punto di partenza è nel Convivio. Alla conoscenza di Dio non si arrivava attraverso la ragione, ma attraverso la fede, mentre la ragione ha un ambito suo proprio e serve da fondamento alla felicità terrena, al cui ordinamento è preposto l’imperatore, per questo l’ideale della vita contemplativa viene condannato (negato) da Dante, in quanto commistione di fede e ragione che devono andare separate.

Sulla datazione della Monarchia, di stretta pertinenza della filologia, non posso che esprimere un’opinione, attenendomi alle questioni relative alla figura di Ulisse, è più coerente una datazione della Monarchia contemporanea o successiva alla composizione del Paradiso38. La Commedia è sembrata a tanti commentatori un ritorno ad un cristianesimo più ortodosso rispetto al Convivio perché , soprattutto l’Inferno, e in particolare il «canto di Ulisse», sono il momento della negazione. Più coerente pare l’evoluzione del pensiero dantesco se la guardiamo attraverso il modello tesi-antitesi-sintesi. Abbiamo una tesi: priorità della vita contemplativa in cui si compendiava la rinascente cultura filosofica del suo tempo. Essa viene negata attraverso la figura di Ulisse. Dopo la negazione abbiamo un movimento verso la sintesi nel Paradiso, con l’«enigmatica» presenza di Sigieri tra i Sapienti del Cielo del Sole, in vece di Averroè (sarebbe stato un po’ troppo collocarci direttamente il filosofo arabo) La lode di Sigieri fatta pronunciare da Tommaso che fu suo avversario in vita significa la conciliazione immaginaria tra contrari, ovvero intelletto possibile congiunto all’anima individuale, senza quindi negazione dell’immortalità dell’anima. Alla negazione seguirà la sintesi compiuta nella Monarchia, dove la teoria averroistica è il fondamento dell’autonomia del potere imperiale che deve realizzare la felicità terrena, creando le condizioni per il massimo dispiegamento dell’intelletto possibile, la realizzazione dell’umanità dell’essere umano. La filosofia (i philosophica documenta) è il fondamento della felicità su questa terra pertinenza del potere temporale autonomo dal potere religioso. Non a caso la Monarchia è stata opera messa all’indice dalla Chiesa Cattolica fino alla fine dell’Ottocento.

Nella Monarchia la teoria aristotelica viene recuperata, attraverso la decisiva chiarificazione del «gran commento» di Averroè, quale fondamento del potere temporale che nell’unità del genere umano deve realizzare la massima potenzialità dell’intelletto possibile. La realizzazione dell’umanità dell’uomo è un compito collettivo. Ciò riguarda la stessa teoria aristotelica, in quanto se ciò che è specifico dell’uomo è l’intelletto possibile, categoria irriducibilmente collettiva, l’essere umano può realizzare la sua umanità soltanto collettivamente, mentre l’ideale della vita contemplativa è un ideale individuale.

La Monarchia, frutto di un intero percorso, segna la storia del pensiero politico. Come scrive Giorgio Agamben, «Per questo la filosofia politica moderna non comincia col pensiero classico, che aveva fatto della contemplazione, del bios theoreticos, un’attività separata e solitaria (“esilio di un solo presso un solo”), ma solo con l’averroismo, cioè col pensiero dell’unico intelletto possibile comune a tutti gli uomini, e, segnatamente, nel punto in cui Dante, nel De monarchia, afferma l’inerire di una multitudo alla stessa potenza del pensiero»39.

La Monarchia presenta un’interessante e ancora attuale dialettica tra contemplazione e azione. Si contempla in vista dell’agire40. Teoria e azione sono solo momenti di un’unica prassi umana. Qualsiasi azione deve avere una cognizione dell’oggetto su cui vuole applicarsi. La contraddizione irrisolta in Aristotele tra vita contemplativa e vita attiva, riguarda, inoltre la contraddizione tra individuo e società, propria della condizione umana, che quando si trasforma in polarizzazione denota sempre un grave problema. Ulisse è espressione della polarizzazione individuale in cui può esitare l’esigenza insopprimibile di un’esistenza pienamente umana. Quando diventa impresa esclusivamente individuale, proprio in virtù della sua forza porta l’individuo in contrapposizione con i suoi doveri di essere umano appartenente alla società e quindi alla perdizione e alla dannazione.

Fatti non foste a vivere come bruti, d’accordo, ma come, nella sua vita, possiamo realizzare la nostra umanità, e non piuttosto ricadere in una forma di vita più simile quella delle bestie? La frode non è nell’esortazione a vivere da esseri umani, ma piuttosto nell’incapacità della filosofia di Ulisse di conseguire questo obiettivo, principalmente per il fatto che lo intende come un obiettivo personale. Considerato in termini non religiosi, il tema della salvezza investe l’essenza stessa dell’essere uomini, come può l’essere umano non smarrirsi nella vita? Realizzando la sua umanità, realizzando ciò che specificamente lo rende uomo, distinguendosi dall’animal brutum. Ma la conoscenza, capacità specifica dell’essere umano, è un’impresa collettiva, grande o piccolo che sia il contributo individuale, esso è sempre subordinato alla conoscenza collettiva che sopravvive all’individuo, basti pensare alla lingua attraverso cui accediamo al sapere collettivo che sopravvive all’individuo («intelletto possibile»). Ulisse ha smarrito la finalità terrena e umana del conoscere, che è un’impresa collettiva dell’essere umano in quanto essere sociale. A differenza di Enea egli non è alla ricerca di una terra in cui insediarsi e farne la sua patria, egli persegue un fine puramente personale («misi me per l’alto mare aperto e i suoi compagni sono strumento per questo suo fine, diventano tutt’uno con i remi fatti ali al folle volo41.

Molto interessante, dal punto di vista della storia del pensiero politico, è la tesi di Nardi42, secondo cui nella Monarchia attraverso il concetto averroistico di intelletto possibile abbiamo il recuperò della concezione comunitaria aristotelica (l’uomo come zoon politikon) in una società segnata dal peccato originale. Mi permetto di intrepretare in termini di sociologia storica. La comunità della polis, non ancora attraversata, almeno tra coloro che erano cittadini, da uno strutturale conflitto interno, poteva ancora postulare l’unità naturale tra i suoi componenti (l’uomo come zoon politikon, ma si dimentica sempre che tale uomo era il cittadino della polis). È rotta, invece, tale unità naturale, in una società più complessa, più articolata, differenziata e attraversata dai conflitti interni come era quella romana, anche nella fase conclusiva in cui visse Agostino. Il peccato originale agostiniano, e connessa necessità dello Stato, corrisponde maggiormente a questo secondo tipo di società, supper in termini mitico-religiosi. In fondo, cosa indica il mito del peccato originale, l’inevitabilità del male, cioè del conflitto tra gli uomini. La necessità della Monarchia, con a capo il monarca in cui si spengono tutti i conflitti interni, per Dante deriva dalla presenza della cupidigia, che, come vedremo, è una sorta di riedizione del peccato originale. La realizzazione della massima potenzialità dell’«intelletto possibile» è il recupero di un fine unitario nella «società di classe», se volessimo dirlo in termini moderni.

La Monarchia testimonia che Dante non abbandonerà l’ideale di una felicità terrena, di una vita pienamente umana espresso dai famosi versi, né dirà con Tommaso che è possibile realizzarlo solo nell’al di là. Certo, nell’ottica di tutto uno sviluppo del pensiero politico successivo potremmo dire che la Monarchia è segnata da un universalismo utopico, che è un’uscita utopica dalla strada senza uscita in cui si era cacciata la civiltà comunale italiana, e volendo possiamo considerare il passaggio dall’individualismo del bios therotikos all’universalismo della monarchia universale come segnato dalla furia del dileguare hegeliano nel suo capovolgimento dell’individualismo in universalismo. Tuttavia è epocale il contributo di Dante all’adeguamento e allo sviluppo del pensiero politico classico aristotelico ad una società complessa. Il fine di una vita pienamente umana viene recuperato come fine collettivo, e a ragione, poiché in quanto fine esclusivamente individuale esso non può che condurre allo scacco individuale, simboleggiato dal destino di Ulisse.

È sempre e solo questo il fine: realizzare una vita degna dell’essere umano, tanto sul piano individuale che collettivo. Bisogna ricordarlo, proprio oggi che pare smarrita ogni finalità autenticamente politica, ognuno perso nella sua «bolla individuale» scientemente gonfiata da chi manovra i «social», quando sembra una lontana illusione ogni idea di una vita autenticamente umana, ogni idea di riacquisire un controllo sull’immenso Apparato creato pur sempre dall’attività umana, quando lo smarrimento collettivo è sinistro preludio a qualche nuova tragedia che ci riserva l’Inferno del Capitale,

Già quanto detto può dare un’idea della radicalità del simbolo dantesco, che riguarda le radici della nostra cultura, ma ne potremo mostrare tutta l’ampiezza estendendo, nella prossima parte, il discorso al rapporto dell’Ulisse dantesco con la cupidigia, che la fa da padrone nell’inferno del capitale (Non a caso Marx fu un grande estimatore della Commedia).

La figura di Ulisse era stata ri-evocata da tutta una serie di questioni che ruotavano intorno all’esigenza di una filosofia terrena, fondamento della felicità terrena, fondamento dell’autonomia del potere temporale dal potere religioso, principale soluzione dei gravi disordini della società comunale. Ma Ulisse, ritornato per inabissarsi nell’oceano, continuerà ad avere vita propria quale memento al lungo e non ancora concluso oblio dell’essere umano (occidentale) dei propri limiti umani, ovvero l’auto-equiparazione dell’essere umano a Dio, ovvero l’illusione di un completo controllo sulla natura, e in quanto tale riguarda Aristotele, quanto l’aristotelismo medievale, riguarda il cristianesimo, riguarda lo stesso Dante, riguarda la scienza moderna, che si crede in opposizione alla religione ma si basa sugli stessi presupposti. Riguarda l’intera cultura europea-occidentale.
La figura da lui stesso creata turba la coscienza e i sogni di Dante. L’ombra di Ulisse lo accompagna dal primo Canto in cui viene evocata la figura del naufrago, fino all’inizio del Purgatorio dove Dante scrittore rassicura il Dante personaggio della Commedia della grazia del dono poetico-profetico, per cui «com’altrui piacque» (Purgatorio, I) ha potuto raggiungere la spiaggia del Purgatorio, a differenza di Ulisse che «com’altrui piacque» (Inferno, XXVI) giace in fondo al mare. Nel Paradiso (XXVII) Dante, prima di ascendere all’empireo con Beatrice, vede dall’alto il «varco folle Ulisse», dopo che nel canto precedente Adamo gli ha detto di essere stato cacciato dall’Eden per il «trapassar del segno» (notare: canti XXVI e XXVII), cioè voler essere come Dio. Ormai il timore che il suo stesso viaggio fosse destinato a naufragare, perché non sotto il segno della grazia, è un lontano ricordo. Ma il suo Ulisse figuralmente immortalato nell’Inferno resta lì a ricordarci che non si può trasumanar senza trapassar del segno. «Così Ulisse muore, ancora e ancora, per i peccati di Dante».43
Ulisse «eroe della conoscenza» infine riguarda la scienza moderna nata dalla stessa volontà di potenza di cui sono espressione la filosofia e la religione44. La civiltà europea-occidentale è malata alla radice. Dante l’aveva intuito, prima della filosofia contemporanea.

Emanuele Severino appartiene ai grandi della filosofia per aver dedicato l’intero suo lavoro a farci acquisire la cognizione dei gravi problemi di fondo dalla nostra civiltà, che avrebbero origine in Platone che per primo cominciò a far «uscire ed entrare le cose dal nulla»45. Purtroppo, la hegeliana marcia trionfale verso la libertà che culminava con la Germania, si rovesciava in Severino in una lunga storia di follia ed errore. Karl Löwith, grande studioso ma non della stessa portata filosofica di Severino e Heidegger, egualmente reso edotto dalla Seconda guerra mondiale dei gravi problemi di fondo della cultura europea-occidentale, rispetto ai quali auspicava «ritorno alla physis», aveva un indirizzo più ragionevole rispetto alla condanna dell’intera cultura occidentale: massimamente riteneva il naturalismo di Spinoza in contro-tendenza, e quindi Goethe quale suo grande lettore. Diversi altri hanno pensato in contro-tendenza rispetto alla volontà di potenza dominante, o in contro-tendenza con diversi indirizzi del loro stesso pensiero. Cominciando da Aristotele che, nonostante il predominio del finalismo nell’intero suo sistema, ripristina ine la priorità della physis, concetto cardine della cultura greca, espresso da Eraclito: il mondo eterno e non creato dagli dèi46. Aggiungerei Machiavelli, Marx, ma credo che in diversi altri autori ci siano elementi per rifondare su basi diverse il pensiero occidentale, ripristinando la cognizione dell’inevitabile subordinazione dell’essere umano alla Natura che lo ha generato. Tuttavia, ha ragione Cacciari, è impossibile oggi, ripristinare il senso naturale degli antichi di dipendenza dalla Natura. Va ripristinato su basi nuove. Se il passato è solo errore, impossibile diventa un diverso futuro, a cui non possiamo giungere dal nulla, ma riprendendo i «sentieri interrotti» nel passato (credo che ciò intenda Agamben scorgendo un significato filosofico nella boutade di Flaiano: faccio solo progetti per il passato). Chi più eloquentemente dell’Ulisse di Dante ci avvisa dal passato che la nostra rotta va in collisione con la Natura?

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NOTE

1Elisa Brilli, Firenze e il profeta, Carocci, 2012, p. 107

2«Frattanto Roma si ingrandisce sulle rovine di Alba». Tito Livio, Storia di Roma. I,30 (UTET, 1974)

3Inferno, Introduzione, cronologia, bibliografia, commento a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori, 1991. Vedi commento in merito della Chiavacci.

4Appello all’Unesco per liberare Dante dai dantisti, Edizioni dell’Orso, 2003

5Sergio Cristaldi, Il richiamo del lontano, in Lecturae Dantis. Dante oggi e letture dell’ Inferno, a cura di Sergio Cristaldi, Rivista “Le forme e la storia” n.s. IX, Rubettino 2016, p. 269

6ivi, p. 293

7D’Arco Silvio Avalle, L’ultimo viaggio di Ulisse, in Modelli semiologici nella Commedia di Dante, Bompiani, 1975

Numerose e sistematiche analogie vi sono tra l’Ulisse di Dante e i romanzi medievali «come risulta dalla frequenza dei rinvii, con l’Alexandreis di Gautier de Chatillon. Significative non solo in rapporto alla struttura delle due narrazioni, ma anche per talune coincidenze verbali che sarebbe in ogni modo malagevole spiegare come un prodotto del caso.» (p. 47) Mentre Curzio Rufo, a cui si fa L’Alessandreide, contiene già un riferimento alla «sete di conoscenza (“esuries mentis”) di Alessandro, “rex cognosendi plura cupidine accensus [re acceso dal desiderio di conoscere tutte le cose]. Tuttavia nei versi di Gautier essi si trovano per la prima volta strettamente uniti e per di più ben rilevati in posizione esordiale,

– Tua, regum maxime, virtus
-inquit – et esuries mentis […]
alla pari insomma, nonostante la diversa collocazione sintattica, di quanto avviene nel verso dantesco:

ma per seguir virtute e canoscenza »

Nell’Alessandreide c’è il tema dell’oltrepassamento delle colonne d’Ercole, ripreso da Rufo, e Alessandro viene definito. Al che Gautier si chiede quale sara il termine della fame di conquista e della sete di conoscenza di Alessandro, definendolo poi folle, «demens» (p. 53).

«Anagologie davvero soprendenti» presenta El libro de Alexandre, uno dei mag‏giori derivati dell’Alessandreide, che «quasi sicuramente Dante non ha conosciuto», in particolare, per l’appello ai compagni che da dieci anni hanno lasciato le proprie famiglie per seguirlo e la «cupidigia luciferina», di quel «folle che non conosce misura» quale Alessandro. Ma la «coincidenza verbale più straordinaria» è il passo in cui Dio dice « yol tornaré el gozo todo en amargura [io gli tornerò la gioia tutta in amarezza]» che richiama «tosto tornò la gioia in pianto» (p. 62).

8Epistole, I,2

9De finibus bonorum et malorum, V, 18

10Giorgio Padoan, l pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale, Longo Angelo, 1973, p. 196

11Simone Invernizzi, Dante e il nuovo mito di Ulisse, Academia.edu (pagina personale dell’autore)

12Padoan, op. cit., p. 191

13Ivi, p. 195

14De finibus bonorum et malorum, V, 18

15Idem

16Enrico Malato, Introduzione alla Divina Commedia, Salerno editrice, 2020, p. 30

17Enciclopedia dantesca Treccani, voce Canoscenza, https://www.treccani.it/enciclopedia/conoscenza_%28Enciclopedia-Dantesca%29/

18«…un uomo “che sia vile” non può “servire” una donna che si trovi nella corte d’Amore: così Guido aveva ammonito Dante nel sonetto Se vedi amore (XXI). Questa concezione eroica dell’amore, comune alla poesia cortese del Duecento, è stata rinnegata da Dante nella Vita nuova con il passaggio alla poesia della lode, paga di se stessa, perché sottratta alla sanguinosa dialettica del rapporto con la donna: questa è, per Guido, più ancora che una vigliaccheria, una frode intellettuale.[…] E non ci può sfuggire che, come in un’acre rivalsa postuma, proprio nel girone dei consiglieri fraudolenti (Inferno, XXVI) Dante condanna, con Ulisse, tutti i cattivi maestri che ingannarono altri uomini con la folle superbia di una conoscenza non illuminata dalla fede, trascinandoli con sé nella dannazione eterna.» Noemi Ghetti, L’ombra di Cavalcanti e Dante, L’Asino d’oro, 2011, p. 146-147

19Dante e la cultura medievale, Laterza, 1983, p. 106

20«Il cui è riferito, ormai da tutti, a Beatrice – non a Virgilio, come molti intesero, interpretazione che

non dà senso convincente in questo contesto – che rappresenta la sapienza e la grazia divina.[…]Il significato complessivo della frase, su cui si è molto discusso, appare in ogni caso ormai certo: Guido ebbe a disdegno quella via di fede e di grazia – vale a dire, sul piano intellettuale, l’accettazione di una realtà trascendente e di una verità rivelata, e, sul piano spirituale, della propria insufficienza all’assoluto – che Dante invece, a un certo punto della sua vita, decisamente scelse. Qui passò la rottura fra i due amici, e di qui cambiò strada la poesia e lo stile del secondo». A. M. Chiavacci, nota integrativa al Canto X dell’Inferno, op. cit.

21Maria Corti, Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale – Percorsi dell’invenzione e altri saggi, Einaudi, 2003, p. 364

22Ivi, p. 278

23Mundana sapientia: forme di conoscenza nella cultura medievale, Storia e Letteratura, 1992, p. 25

24Le felicità nel Mediovevo, a cura di Maria Bettetini e Francesco 0. Paparella, LOUVAIN-LA-NEUVE, 2005, p. 5

25Ivi, p. IX

26ivi, p. 10-11

27ivi. p. 369

28Desiderio della scienza e desiderio di Dio nel Convivio di Dante, Il Mulino, 2011.

29ivi, p. 234

30Ivi, p. 215

31Bruno Nardi, Dal convivio alla commedia (Sei saggi danteschi), Istituto storico italiano per il Medio Evo. 1992p. 74. Il passo di Tommaso in questione è nella Summa contra gentiles, III, 50

32Falzone, op. cit. pp. 217 e 219

33Su rischio che le differenza tra uomini comuni e filosofi sfociassero in differenze ontologiche nella dottrina averroista e nell’averrosismo vedi Luca Bianchi, Filosofi uomini e bruti, Rinascimento, s.s. 32, 1992

34Ulisse e il desiderio: Il canto XXVI dell’Inferno, Edizioni Viella, 2011 pp. 39-40

35Il saggio è contenuto nel volume Nel mondo di Dante, Edizioni “Storia e letteratura”, 1944

36Ecco perché anche ci conviene adoprarci di fuggire di qui al più [b] presto per andare lassù. E questo fuggire è un assomigliarsi a Dio per quel che uomo può; e assomigliarsi a Dio è acquistare giustizia e santità, e insieme sapienza.Teeteto, C. 25,176b (Opere complete, Laterza, 2013)

Questo bisogna pensare dell’uomo giusto, anche se vive in povertà o colpito da malattie o afflitto da qualche altro di quelli che sembrano mali: che tutto questo si risolverà per lui in un bene in vita o anche in morte. Mai gli dèi trascureranno chi si sforzi di diventare giusto e coltivare la virtù per farsi simile a un dio nei limiti delle possibilità umane. Repubblica., X. 613 a-b Opere complete, Laterza, 2013)

37Dante ghibellino, La Scuola di Pitagora, 2019, p. 38-39

38Enrico Fenzi, Ancora sulla datazione della Monarchia, Academia.edu (pagina personale dell’autore)

39L’uso dei corpi, Homo sacer, IV, 2 Neri Pozza Editore. 2014, p. 269

40«Si è pertanto dichiarato a sufficienza che il compito proprio del genere umano preso nella sua totalità è di attuare sempre e completamente la potenza dell’intelletto possibile, in primo luogo per speculare e secondariamente, per estensione, per operare di conseguenza. » Dante, Monarchia, I, 4 (Mondadori 2015)

41: «His men, his “brothers,” now show their real relationship to Ulysses: it is an instrumental one. They are his oars». R. Hollander (Ed.), Dante Alighieri, Inferno, New York, 2002, p. 493

42Il concetto dell’Impero nello svolgimento del pensiero dantesco, in Saggi di filosofia dantesca, La Nuova Italia, Firenze, 1967

43Teodolinda Barolini, The undivine Comedy. Detheologizing Dante, Princeton University Press, 1992, pp. 54 e 58.

44“La volontà di dominio che caratterizza la scienza moderna è resa possibile dall’apertura del senso greco del divenire. Solo se l’ente che si mostra nell’esperienza è inteso come un uscire dal nulla e un ritornarvi (e appunto questo è l’intendimento del pensiero greco), solo allora può sorgere quella forma radicale di volontà di potenza che decide di strappare gli enti dal nulla e di risospingerveli, conformemente al progetto che l’uomo vuol far diventare realtà.” E. Severino, La filosofia dai greci al nostro tempo, BUR 2004

45Ma cosa era questo “far uscire ed entrare le cose dal nulla” se non l’affermarsi del creazionismo? La discussione del problema ci porterebbe troppo fuori tema, per una discussione più ampia del pensiero di Severino vedi il mio lavoro Per un nuovo socialismo. Per l’orgine greca del creazionismo vedi David Sedley, Creazionismo. Il dibattito antico da Anassagora a Galeno.

46Questo ordinamento del mondo, il medesimo per tutti gli uomini, nessuno degli dèi o degli uomini lo ha fatto, ma è sempre stato, è, e sempre sarà: un fuoco sempre-vivo, che di misura si accende e di misura si spegne. 51 (30 DK; 20 B) (Bompiani, 2007)

Il folle volo in Occidente. La tragicommedia di Ulisse (II parte)

L’Ulisse dantesco è una figura della cupidigia, quindi è necessario un esame del significato della cupidigia nella Commedia.

L’intero cammino, dall’Inferno, dall’iniziale incontro con le Tre Fiere fino al Paradiso, fino alla confessione a Beatrice della propria cupidigia, è un percorso verso la liberazione di Dante, e, con lui, dell’intera umanità, dalla cupidigia.

All’uscita dalla selva, il primo incontro sono le Tre Fiere. Nel corso dei secoli si è scritto tantissimo sull’identificazione di queste tre allegorie, qui ci limiteremo a quanto è necessario. Esse sono una parodia della trinità come Lucifero e altre figure dell’Inferno1, sono una e trine, ma trine nel senso di molteplice, l’insieme dei vizi sono rappresentati dalle fiere. La principale è la lupa, la cui identificazione con la cupidigia è abbastanza fuori discussione.

Il mistero della Trinità, pur nella sua parodia infernale, si trasforma in una dialettica tra l’uno e i molti, in quanto se la radice del peccato è una, molteplici sono le sue manifestazioni. Le fiere rappresentano un diverso modo di intendere i vizi capitali (espressione anche questa della natura profetica della Commedia), ma per il solo Inferno, nel Purgatorio si torna ad una visione più canonica.

Giovanni Pascoli, tra i commentatori da me consultati, è uno dei pochi che aiuta a districarsi in questa complessa allegoria dantesca: «Se la lupa è l’avarizia divenuta malizia, quest’avarizia maliziosa è raffigurata anche nel leone; e dunque il leone è la lupa. Così può dire alcuno. E rispondo: sì: in vero assomigliano. Famelico il leone, famelica la lupa; terribile in vista il leone, terribile dalla vista la lupa. E rispondo: sì: in vero il leone è dentro la lupa»2. La lupa dovrà essere cacciata dal veltro, ovvero il programma della Monarchia secondo cui l’imperatore dovrà porre fine alla cupidigia di potere. Il leone è la lupa, se è vero che il leone rappresenta la superbia e quindi la brama di potere, ma essendo senza limiti, il leone viene a sovrapporsi alla lupa. Una sola fiera non rappresenta un vizio specifico, ma più di uno.

La lupa è la brama senza fine, è la cupidigia in quanto tale («di tutte brame parea carca») ma che può manifestarsi in diversi ambiti, nella brama delle ricchezze, del potere, della conoscenza e in generale di tutte le cose terrene.

Tuttavia la lupa ha una relazione speciale con l’avarizia (intesa come desiderio smisurato di accumulare ricchezze). Dopo aver incontrato la lupa, Dante ricorre ad una similitudine con l’avaro («E qual è quei che volentieri acquista»), poiché l’analisi aristotelica della crematistica rappresenta un elemento centrale nella delineazione della cupidigia (Teniamo presente che nell’italiano di Dante l’avaro non è solo il tirchio, ma principalmente colui che è bramoso di denaro)3. Giustamente Leonid Batkin vide nella cupidigia una rappresentazione della accumulazione capitalistica, proprio dall’osservazione del nascente capitalismo nasce la centralità della cupidigia, ma un’analisi strettamente «economica» non ci restituisce tutta la portata della visione dantesca.

La filosofia aristotelica serve a Dante per decifrare la nuova società che vedeva nascere sotto agli occhi, per la quale era necessaria una nuova dottrina politica che potesse arginare la cupidigia sul piano politico (esposta principalmente nella Monarchia). E, al tempo stesso, era necessario un rinnovamento profetico culturale e religioso del cristianesimo che avesse al centro il superamento della cupidigia (Divina Commedia).

Le Tre Fiere sono una creazione dantesca molto complessa e raffinata, tanto sul piano figurativo, una triade con al vertice la lupa, con le connotazioni di ogni fiera che si sovrappongono e si intersecano su ogni altra, fino a formare un insieme i cui significati sono molteplici e unitari allo stesso tempo, tanto sul piano psicologico, infatti Virgilio fa ben intendere che sono una proiezione della cattiva coscienza di Dante personaggio della Commedia4.

La lupa ha a sua volta qualcosa della lonza, della lussuria. È stata una sirena a distogliere Ulisse dal suo cammino, che nel sogno di Dante in Purg. XIX si presenta inizialmente con le sembianze della lussuria, per poi rivelarsi essere l’«antica lupa».

I vizi capitali riguardano l’anima, mentre le condanne sono dovute ad atti specifici, giudicati secondo l’Etica aristotelica, e secondo la concezione romana del diritto (la distinzione del dolo in base alla violenza o alla frode riprende il De officis di Cicerone).

I condannati sono giudicati per gradi, per il rinnegamento della natura dell’uomo quale essere razionale, e per l’infrazione del vincolo d’amore a cui siamo tenuti in quanto creature frutto dell’amore di Dio.

La cupidigia, la lupa, si associa agli altri vizi («molti son li animali a cui s’ammoglia») per dar luogo a una scala di gravità che va dagli incontinenti dei primi gironi, a Giuda che tradì Cristo per i trenta denari, a Cassio e Bruto che tradirono Cesare per cupidigia di potere. Tutti e tre sono maciullati nelle tre bocche di Lucifero, fonte originaria della cupidigia nel suo voler essere come Dio. Al massimo grado la cupidigia contiene in sé, si confonde con la superbia, da ciò l’apparente assenza della superbia dai cerchi infernali (vecchio problema dell’esegesi dantesca)5, che in realtà non è assente, non viene assegnata a dei peccatori terreni ma ai giganti del Canto XXXI, che precedono Lucifero, nel quale cupidigia e superbia coincidono6. In Inf. I la lupa viene indicata quale emanazione dell’invidia di Lucifero, risvolto inevitabile della sua superbia che non potendo paragonarsi a Dio si trasforma in invidia.

«La lupa, infatti, non è solo avarizia, accumulazione di beni puramente materiali, smania di possesso; tutto questo culmina nella smania di dominio, cioè nella volontà di potenza. È questo, forse, il peccato di Lucifero ed esso o essa, la volontà di potenza, si incorpora la superbia quale noi abitanti del terzo millennio la intendiamo oggi. »7 Illuminante commento di Maria Gabriella Riccobono, proprio della volontà di potenza si tratta, come vedremo, ma dobbiamo procedere per gradi.

Le Tre Fiere vengono quindi da Lucifero, e la maggiore è la cupidigia che ridefinisce tutti gli altri vizi, nel complesso si tratta una una nuova manifestazione, diciamo un peccato originale 2.0 (Dio mi perdoni!) dopo che il peccato dei «primi parenti» è stato sanato dalla morte di Gesù Cristo (perciò Adamo si trova in Paradiso). La causa di questo ritorno del peccato originale è stata la Donazione di Costantino che ha destato la cupidigia dei beni temporali nella Chiesa, e da essa il disordine si è diffuso all’intera società. La cupidigia ha un’origine religiosa, da cui il messaggio profetico della Commedia, tuttavia nella definizione della cupidigia è fondamentale l’analisi aristotelica della dismisura nella crematistica. Possiamo dire che la cupidigia ha un doppio piano, religioso ed economico, è una figura teologico-economica.

Nella teologia medievale l’avarizia aveva assunto un nuovo ruolo finendo per soppiantare la superbia quale vizio capitale8. La centralità e l’estensione del concetto di avarizia nella teologia morale cristiana venivano incontro all’indirizzo complessivo della filosofia dantesca di integrare il cristianesimo con la filosofia aristotelica, in particolare, in tal modo, crea una sua peculiare concezione dell’avarizia/cupidigia. Conformemente alla visione cristiana che estendeva il concetto di avarizia, la progressione all’infinito che si verifica nella cattiva crematistica viene estesa all’ambito politico e all’ambito della conoscenza e in quest’ultimo Ulisse ne è il simbolo.

Ha ragione Teodolinda Barolini a definire la cupidigia un «meta-vizio»9, tuttavia essa non riguarda solo all’ambito della incontinenza, poiché il malizioso Ulisse è una figura della cupidigia. Le tre categorie, incontinenza, malizia e matta bestialitade, secondo cui è strutturato l’Inferno non sono degli ulteriori vizi che si sommano a quelli capitali, ma servono a definire la gravità della colpa a cui possono portare i vizi capitali.

«Se si resta fermi al concetto aristotelico di bestialità (e alla sua continuazione medievale), si vede bene, in effetti, che per il filosofo la bestialità non è un vizio a sé, ma piuttosto una particolare (ed estremamente difficile) tonalità del vizio. Ciò significa che ogni vizio è in teoria suscettibile di assumere una connotazione bestiale»10.

Secondo Paolo Falzone, «incontinenza, malizia e matta bestialitade», i tre termini derivati dall’Etica aristotelica menzionati da Virgilio in Inf. XI, in cui vengono esposti i criteri secondo cui sono comminate le condanne, vanno intesi come una gradazione della bestialità. Tuttavia, se è certo a quali cerchi e quali peccatori vanno classificati secondo il criterio dell’incontinenza e della malizia, incerto è invece cosa intendere per matta bestialità. Per Aristotele e Tommaso, osserva Falzone, sarebbero comportamenti aberranti da ascrivere alla patologia (in quest’ultimo sarebbero per questo motivo suscettibili di una pena minore).

Il termine non definisce, appunto, un comportamento specifico, ma la massima degradazione umana. Se gli incontinenti hanno perseguito il male perché non vi è stato controllo della ragione sugli affetti, i maliziosi invece lo hanno fatto con cognizione di causa, hanno usato l’intelligenza per danneggiare il prossimo. Tuttavia, ciò che distingue la malizia dalla matta bestialitade è la presenza nella malizia di una parte d’incontinenza. Ad es., Ulisse ha perseguito il male spinto dal desiderio di conoscenza che di per sé è naturale per l’uomo, ma in lui traviato dalla cupidigia. Invece, nella matta bestialitade vi è quella completa perversione dell’uomo che è l’adesione al male per il male. La concezione dantesca non è del tutto congruente con quella aristotelica, ma in gran parte lo è, perché interviene il concetto cristiano di libero arbitrio .

I peccati infernali sono rappresentati nella forma di fiere perché causano l’imbestiamento dell’essere umano. E il cammino nell’Inferno segue un progressivo imbestiamento fino alla massima bestialità di Lucifero, che ne possiede i connotati più mostruosi e disgustosi.

Bestialità non è mera degradazione dell’umano. Tra i riferimenti di Dante bisogna avere presente non solo la «tua Etica» (Virgilio) ma quel passo centrale della Politica in cui Aristotele, contestualmente alla definizione dell’uomo come «animale politico», definisce l’essere umano tanto la migliore quanto la peggiore delle creature proprio in virtù della sua intelligenza. Per questo il tradimento è la peggiore delle colpe in quanto provoca la distruzione del vincolo comunitario, da cui derivano i più grandi mali.

Secondo il commento della Barolini ai versi di Paradiso XV, l’Inferno è il regno della cupidigia:

«”La volontà retta è un amore buono, la volontà perversa un amore cattivo” – “recta itaque voluntas est bonus amor et voluntas perversa malus amor” – scrive Agostino, fornendo un modello fondamentale per il trattamento dell’amore nella Commedia. Il bonus amor agostiniano, opposto al malus amor, è sotteso alla caratterizzazione data da Dante dell’entrata del purgatorio come «la porta / che ’l mal amor de l’anime disusa» (Purg. X). Il poeta poi si avvicina molto a una parafrasi diretta di Agostino all’inizio di Paradiso XV, quando egli associa la volontà retta (“benigna volontade”) all’amore ben diretto (“amor che drittamente spira”) e la volontà malvagia (“la iniqua [volontade]”) all’amore mal diretto, ovvero alla “cupidità”: “Benigna volontade in che si liqua / sempre l’amor che drittamente spira, / come cupidità fa ne la iniqua”» (Par. XV)»11.

Su questi principi sono stati edificati l’Inferno e il Paradiso (e il Purgatorio in cui il pentimento dimostra la non cattiva volontà delle anime traviate sulla strada terrena). La cupidigia anche sul piano terreno è pura volontà, può quindi essere soppressa dall’Imperatore.

In definitiva, è la buona o la cattiva volontà che conduce all’inferno o al paradiso. È un concetto di volontà che deriva dal creazionismo cristiano che determina una frattura tra essere (in senso ontologico) e agire, che ha determinato l’ineffettualità dell’etica cristiana, in quanto incapace di tenere conto delle necessità naturali dell’uomo, delle costrizioni sociali, della realtà del conflitto che pervade le relazioni umane. L’etica antica, non intendeva espungere il male dal mondo, a differenza dell’etica cristiana che invece paradossalmente ne sancisce il dominio, in quanto nel mondo terreno domina il maligno, mentre invece il bene è riservato al mondo ultraterreno. Machiavelli recupera lo spirito dell’etica antica ripristinando la cognizione della realtà del conflitto (polemos è padre di tutte le cose) e indica di «non partirsi dal bene potendo, a saper entrare nel male necessitati». Il Principe deve avere come fine il bene della Stato, ma deve essere capace di usare il male (la violenza), se necessario, per difenderlo. Il discorso di Machiavelli, tutt’altro che estraneo all’etica, si oppone alla morale cristiana che rende imbelli e così favorisce «i più scellerati». Il superamento della antinomia tra bene e male della morale cristiana trova il suo compimento Goethe:

FAUST
Insomma, tu chi sei?
MEFISTOFELE
Parte di quella forza
che vuole sempre il male e produce sempre il bene

Se il libero arbitrio è l’idea dell’essere umano artefice del proprio destino, tale idea della libertà umana si presenta nel cristianesimo con una frattura verso il mondo reale. Una filosofia della libertà come quella hegeliana superava tale frattura: «La libertà è coscienza della necessità».

Ritornando alla Commedia, insieme alla filosofia cristiana concorre alla creazione della concezione dantesca della cupidigia la filosofia aristotelica. Il concetto di dismisura, l’inversione di mezzo e scopo che causa la progressione all’infinito, della «cattiva» crematistica, viene estesa alla sfera del potere (temporale e religioso) e, sul piano individuale, alla sfera della conoscenza.

Carlos López Cortezo scrive che è la lonza, non la lupa, a rappresentare l’avarizia, ciò è plausibile, data l’intercambiabilità delle Fiere, non dobbiamo attenerci ad una stretta identificazione. La lupa è la brama insaziabile, non rappresenta solo l’avarizia, ma la cupidigia in quanto tale, tuttavia nella lonza, sempre sulla base del metodo interpretativo di Carducci, possiamo vederci sia la lussuria che il desiderio smodato di ricchezza. Ciò trova riscontro nella canzone Doglia mi reca, la cui cifra è il parallelo tra avarizia e rapporto sessuale basato sul solo desiderio carnale, secondo il commento della Barolini12. È in errore Cortezo, invece, quando ritiene che la lussuria non abbia niente a che fare con la cupidigia. Nella suddetta canzone il puro desiderio carnale viene indicato come fonte di dismisura, così il vento che sballotta senza sosta le anime di Paolo e Francesca è una rappresentazione della dismisura13.

La dismisura appare già nel primo canto nella brama senza fine della Lupa, il suo rapporto con l’analisi aristotelica della crematistica ce lo ricorda il paragone con l’avaro nell’incontro con la Lupa. Che fosse una reazione al proto-capitalismo della Firenze ai tempi di Dante appare nella prima invettiva contro Firenze14.

La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata

Nella Commedia la cupidigia assume la figura di un pervertimento complessivo del comportamento umano. La canzone Doglia mi reca testimonia che la cupidigia, oltre alle connotazioni religiose, ha origine dall’esperienza diretta di Dante nella Firenze del suo tempo. Veniamo quindi alle connotazioni economiche della cupidigia

L’acuta cognizione dantesca delle trasformazioni economiche intervenute nel suo tempo, e in particolare del processo di accumulazione capitalistica, è stata ben descritta da Enrico Fenzi nel commento a suddetta canzone. La figura dell’«avaro» (tesaurizzatore), già ben nota alla cultura filosofica e religiosa, antica e contemporanea a Dante, da eccezione sociale si trasformava in una normalità sociale a cui era difficile sfuggire. Alcuni versi della canzone sono un importante documento storico, il processo di accumulazione del nascente capitalismo viene identificato ed analizzato con notevole precisione.

Come con dismisura si rauna,
così con dismisura si ristrigne;
e questo è quel che pigne
molti in servaggio, e s’alcun si difende,
non è sanza gran briga.

Il denaro viene accumulato e tesaurizzato con dismisura. Ciò conduce molti alla servitù e se qualcuno riesce a sottrarsi a questo processo non è senza gran fatica .

Nella canzone abbiamo un’esposizione più dettagliata della realtà sociale che da origine alla cupidigia, soprattutto per quanto riguarda la dimensione della dismisura, che nella Commedia prende il rilievo di una categoria generale, nella suddetta invettiva contro Firenze vi è lo stesso contenuto, ma espresso in termini più incisivi e allo stesso tempo più generici.

Come osserva Fenzi15, l’avaro non è più eccezione sociale, e non basta più che a lui segua lo scialacquatore, consueto redistributore della ricchezza, in quanto tale fenomeno sociale ha raggiunto un livello tale che trasforma qualitativamente la società. Nel proto-capitalismo fiorentino il denaro principiava ad avere un ruolo quantitativamente e qualitativamente diverso rispetto alle società precedenti. Ciò che oggi chiamiamo capitalismo.

Ciò credo sufficiente per stabilire quanto conti l’osservazione del nascente capitalismo nella genesi della concezione dantesca della cupidigia.

Il concetto di dismisura proviene dall’analisi della cattiva crematistica di Aristotele, ed è l’inversione di mezzo e scopo che si verifica quando il denaro diventa scopo e non mezzo, per cui l’azione spostandosi sul mezzo che è potenzialmente illimitato sul piano quantitativo (denaro) si riproduce su stessa all’infinito. Uno degli aspetti più interessanti e più attuali, detto senza retorica, del pensiero di Dante, è l’applicazione di questo modello analitico al potere religioso e temporale, alla conoscenza.

Fenzi riconduce alla comune radice aristotelica la centralità in Dante e Marx della dismisura:

«La circolazione semplice delle merci -la vendita per la compera- serve di mezzo per un fine ultimo che sta fuori della sfera della circolazione, cioè per lʼappropriazione di valori dʼuso, per la soddisfazione di bisogni. Invece, la circolazione del denaro come capitale è fine a se stessa, poiché la valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del capitale è senza misura»16.

Il movimento senza fine del capitale, la brama senza fine della lupa.

Non è la sola significativa convergenza. In una genealogia del sapere, Dante è tra i progenitori di Marx, una parentela che si palesa ancora in Inf. XI, dove l’usura è condannata come contro natura, perché la natura è imitazione di Dio e il lavoro a sua volta è imitazione della natura, ed essendo che la ricchezza può venire solo dal lavoro, l’«usuriere che altra via tiene» commette un sopruso contro Dio e la natura. Se è dichiarata l’ispirazione aristotelica della condanna dell’usura , vi è allo tesso tempo una concezione del lavoro come unico creatore della ricchezza che non è aristotelica, ed è un’anticipazione della concezione marxiana.

Una volta definita, nei suoi tratti essenziali, la visione dantesca della cupidigia, possiamo tornare alla figura di Ulisse quale incarnazione della cupidigia intellettuale.

Ciò è opportunamente chiarito dallo stesso Dante. In Purg. XIX sogna una «dolce serena», che poi nel sogno si trasforma in un orrendo mostro. Lei che aveva distolto Ulisse dal suo cammino, secondo Virgilio è «quell’antica strega/che sola sovr’ a noi omai si piagne», ovvero la cupidigia/avarizia che viene punita nella IV cornice dove si trovano. Il Canto successivo chiarisce ulteriormente che era l’ «antica lupa».

In Purg. XIX vi è un’invettiva contro la lupa che ne fa un quadro più preciso rispetto ad Inf. I:

Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!

Secondo il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, «questa lupa è infatti il primo nemico di Dante, e degli uomini, in tutta la Commedia. È quella che impedisce la salvezza nel I dell’Inferno, e che a più riprese è denunciata e condannata nelle sue manifestazioni più gravi – cioè nei potenti, e soprattutto nei papi – lungo il poema che infine per questo è stato scritto. Di qui la forza racchiusa in queste due terzine, la prima di condanna, la seconda di sospiro e invocazione verso lo sperato intervento divino. L’invettiva è posta non casualmente tra l’incontro con Adriano V – un pontefice – e quello con Ugo Capeto – un re – che impersonano i due poteri della terra, ambedue corrotti e viziati da questo terribile tra tutti i mali.»

Papa Adriano V narra di essersi volto alla vita eterna soltanto quando, diventato papa, « vidi che lì non s’acquetava il core,/né più salir potiesi in quella vita». La sua quindi è un’avarizia di tipo particolare. «Citando Gregorio Magno, ecco che cosa insegna nella Summa Tommaso d’Aquino […] : «avaritia – insegna – est non solum pecuniae (avarizia non è solo avidità di denaro), sed etiam scientiae et altitudinis, cum supra modo sublimitas ambitur (ma è anche avidità di sapere e di eccellere, qualora il primato sia perseguito smodatamente)»17.

L’estensione da parte di Tommaso del significato del termine avaritia era iniziata con Agostino che intendeva in questo modo conciliare l’antico e il nuovo testamento. Per il primo l’inizio di tutti i mali è la superbia, «A superbia initium sumpsit omnis perditio» (Dalla superbia prende inizio ogni perdizione, Tobia, 4, 13), per il secondo la radice di tutti i mali è la cupidigia, «Radix omnium malorum est cupiditas» (La cupidigia è la radice di ogni male, San Paolo) 18. Dante segue tale indirizzo, in Purg. XIX sono presenti tutte le «avarizie», quella in senso ordinario, l’avarizia di potere (papi e regnanti), e l’«avarizia» di conoscenza. In quest’ultimo caso, attraverso la sirena che richiama la figura di Ulisse.

Se quella di Adriano V è indubbiamente avaritia altitudinis, quella di Ulisse è avaritia scientiae (deduzione di Vittorio Sermonti). Dante ci vuole a caccia della verità, secondo la bella immagine della fera in lustra di Par. IV, la fiera che dopo la caccia si gode nella sua tana la sua preda-verità. Il Canto, che inizia con il sogno della «dolce serena» ci fornisce molti indizi per decifrare la figura di Ulisse e insieme della concezione dantesca della cupidigia, in merito alla quale Dante personaggio non ha ancora del tutto la coscienza a posto, visto che la nuova incarnazione del mostro viene a turbargli i sogni. La liberazione interiore finale avverrà con la confessione a Beatrice della propria cupidigia.

Il Convivio ha tra i suoi temi centrali l’avaritia scientiae, cioè il naturale desiderio di conoscenza pervertito dalla cupidigia. Ma è utile partire dai versi di Doglia mi reca che hanno una precisa corrispondenza lessicale e concettuale con il Convivio:

Corre l’avaro, ma più fugge pace:
oh mente cieca, che non può vedere
lo suo folle volere
che ‘l numero, ch’ognora a passar bada,
che ‘nfinito vaneggia.

Secondo il commento di Fenzi «un numero nel quale s’è consumata sino in fondo ogni idea di concreta ricchezza di cose, di valori d’uso, e dove per contro trionfa l’idea opposta di una forma di ricchezza astratta, puramente contabile e finanziaria, tendente all’infinito e proprio per questo inseguita dall’avaro sedotto precisamente dal miraggio di una tale infinita realizzazione di sé nell’infinita realizzazione del suo denaro come capitale»19.

Nel Convivio ritorna l’avaro che rincorre l’infinito, ma come paragone con chi attraverso la conoscenza razionale vuole raggiungere la conoscenza diretta di Dio.

Per Dante esiste un desiderio di conoscenza naturale che dirige la conoscenza verso l’oggetto, e di questo la coscienza è temporaneamente soddisfatta, mentre esiste un desiderio di conoscenza non naturale, in cui interviene quel pervertimento dell’ordine morale, tanto individuale che collettivo, costituito dalla cupidigia che devia da un’intenctio recta verso l’oggetto (trovo appropriate le categorie di Nicolai Hartmann) in direzione di un’intenctio obligua che devia la conoscenza dall’oggetto verso il soggetto del conoscere.

Smarrite le sue finalità concrete, la conoscenza diventa un fine per se stessa, e per se stessi, diventa il proprio fine ultimo. In questa deviazione il desiderio non può che crescere su stesso perennemente lasciando perennemente insoddisfatti.

La similitudine tra alimentazione e conoscenza è dei primi passi del Convivio. Il desiderio naturale di conoscenza trova un suo compimento nella relazione con l’oggetto, recando soddisfazione, a somiglianza dell’alimentazione, il più elementare rapporto umano con la natura. Invece la lupa, la cupidigia, «dopo ‘l pasto ha più fame che pria», non consegue quella soddisfazione temporanea accessibile all’essere umano, seppure il desiderio di conoscenza, come nel caso dell’alimentazione, essendo un rapporto processuale con la natura, naturalmente si rinnova.

Il naturale desiderio umano di conoscenza «è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è fuori di naturale intenzione» e l’errore è quello dell’«avaro maladetto». Non è naturale, invece, la cupidigia di conoscenza simile al comportamento dell’avaro, essa è piuttosto il pervertimento del desiderio naturale.

Qual è il fine della conoscenza? Veniamo quindi al seguente passo (III xv 6-10), molto importante, del Convivio dove l’oggetto della critica dantesca è la conoscenza di Dio come concepita da Tommaso. È un confronto di grande interesse, siamo nel pieno di quella «teologia economica» dalla cui secolarizzazione sorge l’ideologia del capitalismo moderno.

Dov’è da sapere che in alcuno modo queste cose nostro intelletto abbagliano, in quanto certe cose [si] affermano essere che lo intelletto nostro guardare non può, cioè Dio e la etternitate e la prima materia; che certissimamente si veggiono, e con tutta fede si credono essere, e per quello che sono intendere noi non potemo; [e nullo] se non cose negando si può appressare a la sua conoscenza, e non altrimenti. Veramente può qui alcuno forte dubitare come ciò sia, che la sapienza possa fare l’uomo beato, non potendo a lui perfettamente certe cose mostrare; con ciò sia cosa che ‘l naturale desiderio sia a l’uomo di sapere, e sanza compiere lo desiderio beato essere non possa. A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade de la cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di se medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile. In contrario andrebbe: chè, desiderando la sua perfezione, desiderrebbe la sua imperfezione; imperò che desiderrebbe sè sempre desiderare e non compiere mai suo desiderio (e in questo errore cade l’avaro maladetto, e non s’accorge che desidera sè sempre desiderare, andando dietro al numero impossibile a giugnere). Avrebbelo anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato. E però l’umano desiderio è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è di fuori di naturale intenzione […] Onde, con ciò sia cosa che conoscere di Dio e di certe altre cose quello esse sono non sia possibile a la nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere. E per questo è la dubitazione soluta .

Soluzione temporanea, considerando che la Commedia si dirigerà verso una conoscenza diretta di Dio. Ma riceve un provvisorio punto fermo. Di Dio, dell’eternità, della prima materia arriviamo con la ragione ad averne cognizione, ma non desideriamo conoscerli direttamente. La natura, come dice il Filosofo (Aristotele) nihil facit frusta , nulla fa invano, ci ha fornito di organi naturali per la conoscenza limitata che in quanto esseri limitati possiamo raggiungere, e nell’esercizio di queste nostre capacità siamo soddisfatti. L’errore dei desideri non naturali non sta nel limite della conoscenza, ma piuttosto, al contrario, nella sua mancanza.

L’avaro che mira al numero impossibile da raggiungere rimanda a un preciso passo della Metafisica in cui Aristotele respinge l’operatività del concetto di infinito, poiché gli esseri umani nel processo conoscitivo operano sempre con il finito, altrimenti non sarebbe possibile la conoscenza. Da notare che ammette la divisibilità all’infinito di una retta, che tuttavia «non può essere pensata, se non si arresta la divisione». L’ammissione nel regno della conoscibilità dell’infinito avrebbe delle conseguenze sul piano etico, in quanto annullerebbe la causa finale, senza cui gli esseri umani perderebbero lo scopo dalla loro azione, poiché non avrebbe un termine, termine che è anche fine20.

L’osservazione che la cupidigia di conoscenza condivide con l’avaro il falso scopo di mirare al numero impossibile da raggiungere, cioè il cattivo infinito della dismisura, se volessimo dirlo con terminologia hegeliana, stabilisce un collegamento tra la dismisura analizzata nella Politica e il passo suddetto della Metafisica. È una lettura originale del testo aristotelico.

La conoscenza dantesca di Aristotele passa sicuramente attraverso Tommaso D’Aquino, ma tale questione segna tra loro una netta divergenza. Bruno Nardi osserva come Tommaso volesse introdurre in modo piuttosto surrettizio, con «dissimulata ingenuità», l’idea che per Aristotele il desiderio naturale di conoscenza conduce al desiderio di conoscere Dio, e in modo affatto contrario anche alla lettera del testo aristotelico, fa l’esempio della retta o della serie numerica a cui possiamo fare aggiunte all’infinito, finendo per ragionare proprio come l’«avaro maladetto»21.

È in questo passo l’osservazione aristotelica relativa alle infinite divisioni della linea. Tommaso22 e Dante menzionano la linea e i numeri, ma il senso è lo stesso. Mentre per Aristotele attraverso queste operazioni mentali non è possibile giungere all’infinito, al contrario per Tommaso tale operazione geometrica ci fornisce un esempio non solo della pensabilità dell’infinito, cioè di Dio, ma dimostra che gli esseri umani mirano in ultima istanza alla conoscenza diretta di Dio, che possono conseguire solo parzialmente in questa vita, e interamente nella vita dopo la morte.

Significativo quindi il parallelo dantesco tra l’avaro che persegue un’accumulazione virtualmente infinita, moneta per moneta, e la conoscenza di Dio a cui possiamo arrivare allo stesso modo in cui possiamo prolungare la retta, o la serie dei numeri, fino all’infinito. Ma è un numero «impossibile a giugnere», per quanto possiamo prolungare la retta avremo sempre una retta finita. Aggiungo un’interpretazione, che a me pare piuttosto evidente, ma implicita in Dante, altrimenti avrebbe dovuto accusare apertamente Tommaso. Per prolungare la retta all’infinito dovremmo immaginarci immortali, e quindi assimilarci a Dio, cadendo quindi nel peccato originale. Nella cupidigia di Ulisse Dante condanna il desiderio di essere simili a Dio tramite la conoscenza.

Come l’avaro, Ulisse è accumulatore di conoscenza, vuole «arricchirsi culturalmente», per dirlo con un’abusata espressione comune. Per quanto possa sembrare inappropriato il paragone tra il comportamento eroico di Ulisse e la superficialità dell’uomo-turista odierno (l’Europa trasformata in un grande parco per turisti è uno dei temi dell’ultimo Houellebecq), anche se nel 1300 la figura del turista non esisteva ancora, non è molto lontano dal vero dire che Ulisse per Dante è, per certi aspetti, come quei ricchi turisti che «ammazzano il tempo» nel vagabondare da una meta turistica all’altra.

Il vagabondare di Ulisse è dovuto alla mancanza uno scopo autentico. Nessuna terra può soddisfare la sua cupidigia di conoscenza, perché il suo fine non è l’oggetto della conoscenza, ma accrescere la sua potenza tramite la conoscenza. Ulisse ha smarrito la finalità concreta e sociale del conoscere, non è alla ricerca di una terra in cui insediarsi per farne la sua patria con i suoi compagni, egli persegue un fine puramente individuale ( «misi me per l’alto mare aperto») e i suoi compagni sono strumento sono suoi strumenti insieme ai remi fatti ali al «folle volo» 23. Anche la conoscenza può essere veicolo di alienazione nella misura in cui diventa «fine ultimo ed unico» (Marx).

Mirare al «numero impossibile da raggiungere» comporta un appiattimento della conoscenza sulla dimensione puramente quantitativa (anche questa analisi di notevole attualità). Mentre l’accumulazione di ricchezza cresce in modo puramente quantitativo, posso aumentare il patrimonio di 100 fiorini, ma questi 100 sono uguali ai 100 che avevo in precedenza, la conoscenza cresce in modo qualitativo, passando attraverso diversi livelli, ognuno compiuto e avente in sé la sua perfezione. Lasciamo la parola a Dante (Convivio, IV, 13):

« … quello che propriamente cresce sempe è uno; lo desiderio della scienza non è sempre uno ma è molti, e, finito l’uno, viene l’altro: sì che, propiamente parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione di picciola cosa in grande cosa. Ché se io desidero di sapere li pricipii delle cose naturali, incontanente che io so questi, è compiuto e terminato questo desiderio. E se poi io desidero di sapere che cosa e com’è ciascuno di questi principii, questo è un altro desiderio nuovo, né per l’avenimento di questo non mi si toglie la perfezione alla quale mi condusse l’altro; e questo cotale dilatare non è cagione d’imperfezione, ma di perfezione maggiore. Quello veramente della ricchezza è propiamente crescere, che è sempre pur uno, sì che nulla successione quivi si vede, e per nullo termine e per nulla perfezione.»

La conoscenza di Ulisse pervertita dalla cupidigia è una conoscenza puramente quantitativa, appena conosciuta una terra passa alla successiva, perché intende solo accrescere il numero delle terre conosciute. Potremmo dire che Ulisse ha conosciuto tante terre, ma non ne ha conosciuta veramente nessuna.

La «forte dubitazione», termine che indica un affanno interiore, non era «soluta». Il forte dissidio interiore, da cui nasce Ulisse, su tali questione emerge nel passo successivo, collegato a quello appena citato, dove si parla dei diversi livelli di conoscenza secondo le fasi dell’età.

E perché la sua conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre.

Questo passo segue maggiormente la filosofia tomasiana, anche se il desiderio naturale piuttosto che condurre alla conoscenza di Dio, porta sotto il dominio della lupa, ma per la filosofia di Agostino il desiderio può condurre al bonus o malus amor, secondo Tommaso che segue Agostino, ««la conversione, o adesione disordinata al bene transitorio» (“inordinata conversio ad commutabile bono”)»24, l’adesione affettiva ai beni terreni.

All’inizio vi è la crescita qualitativa della conoscenza. Il bambino gode del pomo, dell’augellino, che simboleggiano diversi livelli di conoscenza ma questi godimenti si esauriscono con il loro compiersi e spingono ad acquisire un diverso oggetto, un diverso livello di conoscenza. Ma tutto poi si conclude in una crescita puramente quantitativa, «ricchezza, e poi grande, e poi più», per cui lo stesso Dante ragiona come l’avaro e come Ulisse che deve andare sempre più oltre. Qui emerge pienamente il dissidio interno al pensiero di Dante. Nella Commedia vi sarà una maggiore vicinanza a Tommaso, già rilevato da altri, tra cui Nardi25 e Falzone26ma le premesse ci sono già nel Convivio. Per andare fino in fondo nella critica alla filosofia tomasiana, Dante avrebbe dovuto indirizzarsi verso un naturalismo a lui precluso, per vari motivi (come abbiamo già visto nella prima parte di questo lavoro).

Dal dissidio sulla questione della conoscenza nasce la figura di Ulisse, alter ego di Dante.

Il riavvicinamento alla visione cristiana più ortodossa, non attenua la potente critica alla volontà di potenza rappresentata dalla figura di Ulisse, che è autocritica di Dante stesso, come osservavo nella prima parte di questo lavoro. Vi è in gioco non solo la questione della subordinazione della ragione alla fede, anzi è proprio essa che consente la critica della volontà di potenza. È il desiderio di assimilarsi a Dio attraverso la conoscenza che comporta la perdita del senso del limite.

Ulisse ha le sembianze dell’eroe perché segue coerentemente il suo principio interiore, sempre più oltre, finché non incontra il suo destino. Tuttavia ciò che lo spinge è la cupidigia di conoscenza, non il desiderio di conoscenza come vuole Gennaro Sasso, che è tra quanti vogliono assolvere Ulisse27.

In mezzo alle contraddizioni, e al dissidio interiore, prende corpo un’analisi originale di Dante che vede un disordine esiziale, simile al comportamento dell’avaro, che si estende a tutti gli ambiti della società. Una perdita del fine delle azioni umane che non giungono al loro termine, si perdono in una progressione all’infinito che causa disordine, caos sociale, violenza, distruzione. La monarchia universale servirebbe proprio a fermare questa progressione della cupidigia di potere, poiché il monarca dantesco giunto al sommo, non potendo ambire a maggiore potere, ferma questa progressione. Un’osservazione incidentale di Marx spiega bene questa estensione del comportamento dell’ «avaro» (tesaurizzatore) all’ambito del potere. «Questa contraddizione tra il limite quantitativo e l’illimitatezza qualitativa del denaro risospinge sempre il tesaurizzatore al lavoro di Sisifo dell’accumulazione. Al tesaurizzatore succede come al conquistatore del mondo: la conquista di un nuovo paese è solo la conquista di un nuovo confine.»28 Il mito di Sisifo viene ripreso da Dante per il contrappasso degli avari in purgatorio.

Troppo bene si è rispecchiata in Ulisse la coscienza occidentale perché non facesse di lui un «eroe della conoscenza», ignorando la condanna dantesca. Ma perseguendo la conoscenza per se stessa, e per se stessi, Ulisse non incontra lo stesso scacco che incontra Faust alla conclusione-nuovo inizio della sua vita, quando ritiene di aver sprecato la sua vita e che «nulla si può conoscere?».

Ulisse per conoscere il mondo non ha paura di sfidare l’ignoto. Il destino vorrà la sua morte, ma altri dopo di lui avranno successo. Così è nato il mondo moderno. Ma, considerati gli esiti, era il viaggio di Ulisse necessario? Enormi problemi ed enormi rischi derivano dalla progressione all’infinito, il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà occidentale che rischia di devastare la Terra e di innescare uno scontro con le altre civiltà che oggi costituiscono il limite oggettivo di Ulisse, l’uomo occidentale. La Natura e l’Altro sono oggi il limite di Ulisse, il termine contro il quale si infrange la progressione all’infinito. Negare l’intero percorso della nostra civiltà, come dettato dalla sola follia, non ha utilità e non ha senso. Il percorso fallimentare di Ulisse ci indica la necessità di ritrovare i «sentieri interrotti» nel passato.

Ulisse è un prodigioso simbolo che intuisce uno sviluppo che allora era ancora in germe. La conoscenza tecnico-scientifica (incluse la tecnica di governo e la tecnica militare), insieme alla conoscenza della Terra seguita alle scoperte geografiche, permetterà alla civiltà europea un balzo in avanti rispetto alle altre civiltà. C’è da osservare, però, che è uno sviluppo dell’intera umanità, che verrà raccolto in modo casuale dalla civiltà europea, perché allora era in formazione. Basti ricordare che i numeri, la carta, la polvere da sparo non sono invenzione europea, ma strumenti di cui essa si appropria.

Massimo Cacciari in un’intervista si chiedeva retoricamente: la civiltà europea ha seguito la strada di Enea o quella di Ulisse? Dante veder in anticipo il fallimento di civiltà insito nel dominio della cupidigia, lo vede nell’esplosione degli odi inconciliabili tra fazioni e tra città, che aveva causato il fallimento della civiltà cumunale, con-dannata interamente all’Inferno. Dopo la società comunale, il testimone storico, nella civiltà europea in formazione, passava ai regni (già con-dannati da Dante per la medesima cupidigia), mentre lo «maladetto fiore» , ovvero l’accumulazione capitalistica fiorentina e delle altre città italiane, finanzierà la prima delle guerre secolari tra Francia e Inghilterra, che accompagneranno il lungo parto abortito dell’Europa moderna. I Bardi e i Peruzzi, principali bancheri fiorentini, nel 1340 perderanno il capitale prestato al re d’Inghilterra, causando il fallimento a catena delle attività a loro collegate, e una grave crisi economica a Firenze (la prima crisi economica in senso moderno). Il capitale originario delle città italiane, si trasferirà, accumulandosi da egemone ad egemone. All’egemonia del fiorino subentrerà quella di altre monete, ma il simbolo del dollaro conserva ancora oggi la volontà di superare le Colonne d’Ercole. La derivazione indicata come più probabile della $ (il simbolo originale aveva due stanghette) deriva dalle due colonne avvolte da un nastro con la scritta «Plus ultra» raffigurati nel cosiddetto dollaro spagnolo. Secoli di conflitti egemonici nell’ambito del mondo europeo-occidentale, che hanno causato continue rivoluzioni nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, dello Stato, e della Tecnica, senza che nessuno Stato sia stato in grado da funzionare da principio ordinatore, fino all’esplosione finale della civiltà europea in due guerre mondiali. Il tutto all’interno di una progressiva accelerazione della storia che assomiglia alla caduta di un peso.

Ulisse è simbolo della progressione all’infinito, che comporta il continuo superamento dei limiti, ovvero il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà europea-occidentale. Devo rimandare alla I parte per il complesso rapporto tra grecità e romanità che si gioca intorno alla dismisura di Alessandro Magno, quale uno dei volti di Ulisse. Non è senza motivo che Dante scelga proprio un eroe greco per affermare, in negativo, quel principio della misura quale valore che maggiormente caratterizza il pensiero di Aristotele, e la cultura greca29.

Cos’è il senso del limite? Il ceppo posto dalla divinità davanti all’uomo per provocarne il superamento? Nel caso di Ulisse non è tanto il superamento delle Colonne d’Ercole, ma questo ulteriore viaggio, quando lui e i suoi compagni sono oramai vecchi e tardi, per vedere «il mondo sanza gente». Più che una sfida alla divinità, sembra il gesto folle, senza senso, di chi ha perso il senso della misura e della finitudine umana.

Ulisse non può che protrarre fino alle fine la stessa operazione, la scoperta di una nuova terra, da addizionare alla precedente. Avendo smarrito il fine terreno, che per Aristotele è anche un termine, non può che proseguire all’infinito, finché la sua finitudine di essere umano non metta la parola fine. Erano davvero per Dante, cristiano, le colonne un limite posto da Dio? Ai suoi tempi erano già state superate, come scriveva il suo maestro Brunetto Latini30. Le Colonne d’Ercole, mito pagano, non potevano avere per Dante un significato religioso, sono piuttosto un simbolo della necessità che le azioni umane abbiano uno scopo concreto, che costituisce anche un termine per l’azione stessa (Aristotele). L’agire di Ulisse non ha questo termine, il termine è il termine stesso, il continuo superamento, una terra, poi un’altra e un’altra ancora, finché incontra il limite, nella natura esterna, oppure nella nostra natura di esseri umani mortali, per questo Dante mette ben in chiaro che Ulisse è vecchio quasi decrepito. Andando sempre più oltre infine inevitabilmente ci si scontra con il limite. Il «trapassare del limite» (simbolico delle Colonne d’Ercole) ha il significato della perdita del senso della finitudine umana.

Smarrito il fine concreto in cui l’azione umana deve andare a concludersi, e spostandosi la finalità sul mezzo, l’azione effettua, in un loop infinito, la ripetizione della stessa azione.

Ulisse è come Don Giovanni del libretto di Lorenzo Da Ponte. A Don Giovanni non interessa che la nuova conquista sia alta o bassa, bruna o bionda, ricca o povera, basta che faccia numero, da annoverare nel catalogo tenuto da Leporello, a testimonianza della sua smisurata potenza sessuale. Come quella di Don Giovanni, quella di Ulisse è una tragicommedia. Don Giovanni non ha paura, non si tira indietro quando la statua del Commendatore lo invita a cena, contrappuntata dai commenti comici di Leporello. Provando a liberarci delle stratificazioni culturali createsi intorno alla figura di Ulisse, questo vegliardo ormai agli ultimi anni della vita che si mette in mare e incita i compagni ad andare a visitare la «terra senza gente», ci ricorda il vecchio che vorrebbe comportarsi come se avesse il vigore sessuale della gioventù. Come detto nel canto successivo, Ulisse era nell’età in cui bisogna «tirare i remi in barca». Se non proprio ilarità il comportamento di Ulisse suscita l’idea di un comportamento insensato, e tale è per Dante il suo «folle volo».

A causa della mitizzazione (l’«eroe della conoscenza»), non si è voluta vedere la comicità nel «canto di Ulisse». Necessariamente Virgilio opera un inganno ai suoi danni, se si fosse presentato nei suoi veri panni, l’eroe greco, che come tutti i dannati conoscono quanto è accaduto dopo di loro (l’aveva spiegato Farinata), si sarebbe rifiutato di parlare con chi aveva espresso pessimi giudizi su lui nell’Eneide. Quindi Virgilio, l’unico a conoscere il greco, parla ad Ulisse, fingendosi qualcun altro, un greco, forse Omero, come deduceva il Tasso qualche secolo fa. È legittimo ingannare l’ingannatore, è un altro contrappasso, e senza inganno sarebbe fallito l’obiettivo di farsi dire com’era morto, Dante personaggio ne è curiosissimo. Se non basta questa deduzione, pur necessaria, allora sentiamo come Virgilio liquida Ulisse (vien detto nel canto successivo), dismettendo il tono aulico e rivolgendosi a lui in mantovano: «Istra t’en va più non d’adizzo». Ora vai, non voglio più aizzarti. Ma forse per rendere il tono dovremmo usare un’espressione volgare (alle quali il Poeta non era estraneo): vai ora, e non rompere più il c… Secondo Francesco de Sanctis, il comico di Dante non fa ridere, ma in questo caso, se abbiamo presente l’inganno di cui è vittima Ulisse, dobbiamo ammettere che un certo grado di comicità non manca.

Come non manca il tragico, Ulisse è un eroe che persegue coerentemente il suo principio interiore, va fino in fondo al suo destino, fino al limite ultimo. Ma allo stesso tempo il suo è un comportamento insensato, il suo è un «folle volo». Per questo al tragico si deve aggiungere il comico. Ulisse è la prima figura di ereo tragicomico, nel senso della coesistenza di comico e tragico.

Il desiderio di conoscenza per l’uomo non si estingue mai, questa è una convinzione che fa parte non solo di Dante e della cultura alta. Tra i centinaia di detti ereditati da mia madre della cultura contadina vi è quello secondo cui «la vecchia a cent’anni diceva che aveva ancora da imparare». Vi è però anche un’età in cui mettere a frutto l’esperienza, in particolare Ulisse è nell’età senile in cui l’uomo «alluma non pur sé ma gli altri», o meglio, dovrebbe, secondo il comportamento consono alle diverse età descritto nel Convivio (IV, 27), invece prevale il personale desiderio di conoscenza, di cui continua a bruciare, quindi dovrà bruciare in eterno all’Inferno31.

Con l’estensione dell’analisi aristotelica della cattiva crematistica, l’analisi dantesca si avvicina, anticipandola, alla critica hedeideggeriana della volontà di potenza. Tralasciando la ricostruzione della nascita della metafisica, la volontà di potenza che culmina con Nietzsche è essenzialmente assenza di scopo, essa non ha altro scopo se non il proprio accrescimento. Scrive Heidegger: «Non è il nulla ciò di fronte a cui la volontà indietreggia spaventata, ma il non volere, l’annientamento della sua propria possibilità essenziale». Per gli stessi motivi Ulisse non può indietreggiare fronte al limite estremo, oltre il quale vi è «il mondo sanza gente». Rappresentazione molto efficace del nichilismo. Nietzsche: «Che cosa significa nichilismo? Manca il fine, manca la risposta al perché». Ulisse essenzialmente manca del fine.

La massima vicinanza è laddove Dante definisce, nel già citato passo, la cupidigia di conoscenza come desiderio di desiderio (chi mira al numero impossibile da raggiungere «desiderebbe sempre sé desiderare»). Per Nietzsche «la volontà di potenza vuole se stessa – e nient’altro», e di conseguenza il suo continuo accrescimento. Per questo, secondo Heidegger, la volontà di potenza è volontà di volontà32.

Il motivo per cui la critica della volontà di potenza di Heidegger così ben si adegua alla figura di Ulisse è più di una singolare coincidenza, considerato che il filosofo tedesco non risulta fosse un estimatore della Commedia, ma l’indicazione che entrambi hanno un trattato delle stesse questioni di fondo della cultura occidentale. La scienza, «la conoscenza in generale, sono una forma della volontà di potenza», ma «giunti ad avere nella storia dell’Occidente una potenza essenziale» 33 Nella Monarchia «la più alta facoltà dell’umanità è la facoltà o potenza intellettiva.» Per questo la perversione di questa facoltà ad opera della cupidigia è la forma più elevata di cupidigia.

La volontà di potenza nella Divina Commedia è incarnata da Dio («vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole»). La colpa di Ulisse è di voler essere come Dio. La divina volontà di potenza è ancora argine alla umana volontà di potenza. Con la «morte di Dio», inevitabilmente seguita alla sua umanizzazione, l’argine crolla.

Il cristianesimo fonda quell’identità tra volontà ed essere, e quindi l’identità tra volontà e potenza, cioè la potenza di portare ad essere quanto è nella mente del Creatore, come espresso dal celeberrimo passo appena citato.

«Quando Tommaso identifica in Dio essenza e volonta {“Est igitur voluntas Dei ipsa eius essentia”: Contra Gentiles, lib. 1, cap. 75, n. 2), egli non fa in realta che spingere all’estremo questo primato della volontà. Poiché ciò che la volonta di Dio vuole e la sua stessa essenza (“principale divinae voluntatis volitum est eius essentia”: ibid., lib. 1, cap. 74, n. 1), cio implica che la volonta di Dio vuole sempre se stessa, e sempre volontà di volontà. »

Secondo Giorgio Agamben, il concetto moderno di volontà è essenzialmente estraneo alla tradizione del pensiero greco e si forma attraverso un lento processo che coincide con quello che porta alla creazione dell’io.

Perché nasca l’oikonomia è necessario che il mondo sia frutto della Creazione e quindi determinato dalla volontà del Creatore. In generale il passaggio costituito dal cristianesimo e dalla filosofia medievale viene poco considerato da Heidegger, l’analisi di Agamben risulta quindi integrativa per il nostro discorso, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra la volontà di potenza e l’oikonomia che si afferma con il cristianesimo.

«Alla domanda “perché Dio ha fatto il cielo e la terra?”, Agostino risponde: “quia voluit”, “perché così ha voluto” (A u g ., Gen. Man., 1, 2,4). E secoli dopo, al vertice della scolastica, l’infondabilità della creazione nell’essere è chiaramente ribadita contra Gentiles da Tommaso: “Dio non agisce per necessitatem naturae, ma per arbitrium voluntatis” {Contra Gentiles, lib. 2, cap. 23, n. 1). La volontà è, cioè, il dispositivo che deve articolare insieme essere e azione, che si sono divisi in Dio. Il primato della volontà, che, secondo Heidegger, domina la storia della metafisica occidentale e giunge con Schelling e Nietzsche al suo compimento, ha la sua radice nella frattura fra essere e agire in Dio ed è, pertanto, fin dall’inizio solidale con l’oikonomia teologica»34.

Il peccato di Ulisse è voler acquisire una volontà di potenza che è propria di Dio. Ulisse di Dante, eroe cristiano nel suo essere individuo, è espressione della natura contraddittoria del cristianesimo che è stato tanto generatore della volontà di potenza, quanto suo freno. D’altronde, questa contraddizione non è nella stessa Bibbia? Per quale motivo furono condannati Adamo ed Eva per aver mangiato dall’albero della conoscenza se essi erano stati fatti ad immagine e somiglianza di Dio?

Come scrisse Marx nelle Tesi su Feuerbach finora per quanto riguarda la conoscenza il «lato attivo è stato sviluppato, in modo astratto e in contrasto col materialismo, dall’idealismo, che naturalmente ignora l’attività reale, sensibile come tale». L’uomo non si limita a conoscere la realtà, l’uomo è creatore, crea il suo mondo con la sua attività. Il platonismo, il cristianesimo, l’idealismo sono stati espressione della facoltà creativa dell’essere umano, destinato naturalmente ad un diverso rapporto con la natura, che non gli ha fornito artigli per difendersi, arti adeguati alla corsa, una pelliccia per difendersi dal freddo e dal caldo. Che questo rapporto abbia portato l’essere umano, in primis occidentale, in rotta di collisione con la natura, non significa che debba essere rinnegato in toto.

La Commedia è una delle massime espressioni poetiche della divinizzazione dell’essere umano (pensiamo a come si conclude) insita nel creazionismo, che inevitabilmente comporta la scomparsa della trascendenza. Ciò che solo trascende l’essere umano è la natura infinita ed eterna che lo ha generato, e che non è stata creata da nessun Dio (Eraclito). Ma ne è stato allo stesso tempo l’autocritica, di cui l’Ulisse è la creazione più significativa. .

Nel cristianesimo dantesco la trascendenza della natura si presenta accoppiata con la sua antropomorfizzazione («Dio, l’eternitate e la prima materia»). Questo consente a Dante di con-dannare il viaggio di Ulisse che vuole essere simile a Dio, salvo poi realizzarlo con successo egli stesso grazie alla grazia (se mi passate il gioco di parole).

In conclusione del suo viaggio Dante incontra Dio, che non è altri che noi stessi. Il cristianesimo, la religione cede il passo alla divinizzazione dell’uomo, all’umanesimo scientifico. All’uomo religioso medioevale subentra l’uomo vitruviano di Leonardo, l’effige del Dio-Uomo inscritta nel cerchio e nel quadrato, commisurazione di infinito e finito, vista in conclusione del suo viaggio da Dante. Una storia che ha condotto, nei nostri giorni all’illusione, attraverso la Tecnica, di una completa padronanza del mondo. Ma Ulisse resta nell’Inferno ad ammonirci con il ricordo dell’inevitabile naufragio a cui conduce questa rotta.

Come ha scritto Emanuele Severino, l’inversione di mezzo e scopo prima di verificarsi nel denaro si verifica in ambito teologico, Gesù invece di essere tramite a Dio, diventa esso stesso scopo, così come il denaro invece che mezzo di scambio diventa scopo stesso dello scambio35.

Gli Dei nell’antica Grecia erano un tramite alla natura non generata e infinita, ma ad un certo livello di sviluppo della conoscenza umana sorge nell’essere umano (occidentale) l’illusione di potersi ergere al di sopra della natura, di diventarne il creatore, così come si era fatto creatore del proprio mondo umano. Questo ergersi dell’essere umano al di sopra della natura crea l’inversione di mezzo e scopo. Perso il senso del limite posto dalla Natura lo si perde anche nella società, così sorge l’illusione dell’oikonomia, l’illusione di poter amministrare l’intera società come se fosse la propria casa, che non fosse necessario gestire politicamente la natura umana (come ritiene Aristotele), ma che questa fosse determinabile e plasmabile a piacere.

Oggi indichiamo con il termine «economia» ciò che per Aristotele era la crematistica, ovvero l’arte di acquisire i beni e la ricchezza. Sebbene nella Politica la distinzione non è chiara, vi è una crematistica buona (i beni sono pur sempre necessari alla polis) fondata sul valore d’uso (più vicina scrive Aristotele all’amministrazione della casa, all’economia, in quanto questa fondata sul valore d’uso, ma non a questa identica) e in una cattiva che ha come fine l’accrescimento delle ricchezze nella forma monetaria, basata sul valore di scambio (ciò che successivamente abbiamo chiamato capitalismo). L’economia, per Aristotele, riguarda l’amministrazione della casa sulla base delle decisioni prese dal suo padrone e quindi non è soggetta a deliberazione politica. La crematistica invece riguarda l’intera collettività e quindi sarebbe soggetta a deliberazione politica. Che il singolare qui pro quo non sia casuale? Che vi fosse insito dal principio l’idea dell’amministrazione del mondo come fosse una casa proprietà di un padrone? In questa frattura tra essere e prassi determinata dal creazionismo sorge l’oikonomia divina, che secolarizzata porta all’idea di una completa amministrabilità del mondo. Proprio perché il mondo è plasmabile a piacere e non vi più alcun limite nella natura, sorge l’idea di una possibile crescita all’infinito della potenza economica. In breve, l’affermarsi di una sfera dell’oikonomia (mondo amministrato) è condizione necessaria per il perseguimento dell’illimimato, in quanto comporta la caduta dei limiti naturali che in precedenza erano da ostacolo. Il denaro, da quando aveva acquisito una nuova funzione ai tempi di Dante, non ha cessato di evolversi. Marx scriveva che l’anatomia della scimmia si può comprendere solo in base all’anatomia dell’uomo, per dire che talune strutture sociali si comprendono solo quando sono giunte alla loro piena formazione. Così possiamo analizzare in prospettiva la nuova funzione del denaro che nasce in Italia circa 7 secoli fa, vista da Dante nella Firenze del suo tempo. Oggi, con la virtualizzazione della moneta è possibile un enorme controllo sulla società, con un solo click sarebbe possibile, in un futuro non tanto lontano, tagliare a chiunque i mezzi di sussistenza (anzi è già stato fatto in Canada e Germania con taluni giornalisti «dissidenti» che si sono recati nel Donbass). Così si realizza il significato effettivo del termine economia, ovvero la gestione, l’amministrazione della società come se fosse una casa di proprietà del padrone. Il capitale è dall’inizio una nuova forma di potere sulla società che, insieme alla concentrazione del potere coercitivo nello Stato, consente, tra l’altro, l’abbandono della schiavitù perché si stabilisce un nuovo potere di controllo più efficace.

Il motivo per cui Dante risulta tra i classici più citati nel Capitale non è dovuto alla sola ammirazione artistica di Marx, ma viene, ritengo, da una affinità più profonda. Così come la via d’uscita dal vicolo cieco della società comunale italiana è verso un monarchia universalista oikonomica, in cui l’imperatore dantesco sopprimendo tutte le cupidigie, trasforma il mondo in una casa di sua proprietà, dove vige solo la sua volontà. Così nel comunismo marxiano la via d’uscita dal vicolo cieco della civiltà europea dopo la sconfitta di Napoleone è verso un universalismo oikonomico chiamato comunismo, dove si estingue la famiglia, lo Stato, i principali corpi intermedi. Motivo per cui Preve applicava giustamente al comunismo il concetto hegeliano di furia del dileguare. Critica che si applica ugualmente all’universalismo dantesco. Marx pensava come Dante che si dovesse porre fine all’illimitato (nell’economia, a differenza di Dante che lo riscontrava anche nella sfera del potere e della conoscenza), e che si potesse giungere con il comunismo ad una padronanza decisiva sulla società, una convinzione molto interna all’oikonomia. Engels ebbe solo il merito dell’enunciazione esplicita della sostituzione dello Stato con «l’amministrazione delle cose»36. Sia Dante che Marx partono da Aristotele, ma finiscono per negare quell’assunto fondamentale della Politica secondo cui i rapporti tra gli esseri umani nella polis devono essere governati politicamente, non si può estendere l’amministrazione della casa (oikonomia) all’intera polis. Dante quindi deve essere inseparabile da Machiavelli nella nostra cultura, figlio di Dante non solo per il modello della romanità (fu il poeta a rovesciare il primo a rovesciare il giudizio complessivamente negativo del cristianesimo sulla romanità), ma anche nella sua opposizione a lui quale pensatore del conflitto, ineliminabile, e quindi da gestire politicamente.

A ragione, Costanzo Preve in Storia alternativa della filosofia ritiene Marx, e Heidegger per la critica della volontà di potenza, i maggiori critici della società occidentale, ma allo stesso tempo rileva che condividono entrambi un medesimo eurocentrismo che proviene da Hegel. Solo Lenin contribuì a «diminuire l’occidentalismo marxiano», per il suo antimperialismo che fu dovuto più che altro all’intuito politico di Lenin, anzi sia Marx che Engels furono complessivamente favorevoli all’imperialismo inglese.

Bisognerebbe ricostruire una teoria filosofica e politica adeguata al mondo multipolare che tenga conto della presenza di altre civiltà, che superi il radicatissimo eurocentrismo (oggi occidentalocentrismo), ma allo stesso tempo radicata nella nostra non trascurabile eredità culturale, che stiamo letteralmente buttando via.

Al suo tramonto, abbiamo della civiltà europea-occidentale due critiche radicali (nel senso marxiano, che intendono andare alla radice del problema).

La critica dell’oikonomia da parte di Marx che però resta nell’ambito dell’oikonomia (anche in questo molto affine a Dante). La sua teoria resta fondamentale per l’analisi del capitalismo, ma non ha strumenti per definire il ruolo nella storia dell’identità culturale (civiltà). Dalle civiltà storiche derivano le principali potenze che contendono l’egemonia mondiale statunitense.

La seconda, è una critica della civiltà occidentale, la critica della volontà di potenza, ovvero il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà occidentale che si origina dalla «metafisica» di Platone, si estende dal cristianesimo, fino alla Tecnoscienza dei nostri giorni, trovando la massima espressione in Nietzsche. Assente la questione del rapporto con le altre civiltà, tale critica riguarda la salvezza della civiltà occidentale, che per un certo periodo coincide con l’egemonia mondiale della Germania, per poi lasciare spazio al pessimismo filosofico: «Non c’è più niente da fare, solo un Dio ci può salvare»

Il giovane filosofo Diego Fusaro37, nel libro La notte del mondo, ha cercato ciò che unisce Marx e HeideggerEcco, io vedo, andando all’indietro, una loro congiunzione in Dante. All’alba del mondo moderno, egli vede un’unica cupidigia, di ricchezze (il comportamento dell’avaro diventato norma sociale), di conoscenza, espressione dalla volontà di potenza di Ulisse, di potere (regnanti e papi), nell’imperialismo di Firenze mosso dalla sola cupidigia di ricchezze. Sì, Dante ha una cognizione dell’imperialismo, che nel marxismo verrà dopo Marx.

La visione dantesca sa contenere in sé sia la dimensione culturale, filosofica e religiosa sia la cruciale questione del sorgere dell’oikonomia.

In conclusione, ecco perché l’invettiva contro Firenze si trova in apertura del «Canto di Ulisse». La cupidigia o volontà di potenza unisce Firenze e Ulisse, cupidigia di cui quest’ultimo è espressione intellettuale. Il viaggio di Ulisse avviene all’insegna del «maladetto fiore», la logica con cui Ulisse compie il suo viaggio è la stessa dell’«avaro maladetto» che mira al «numero impossibile a giugnere». L’imperialismo fiorentino non è guidato dalla virtù romana, ma dalla brama illimitata di denaro e di possesso.

La filosofia dantesca è universalistica, la sua Monarchia è un impero universale. Possiamo dire che tutte le religioni e filosofie imperiali sono universalistiche, mirano per loro natura ad includere «tutti gli uomini», vale per il cattolicesimo, il cristianesimo ortodosso, l’islamismo, il liberalismo e il comunismo. Fu proprio per il suo indirizzo universalistico che il comunismo potè essere una sfida globale al liberalismo. Tuttavia, l’universalismo dantesco seppe contenere al suo interno il senso del limite. Le colonne d’Ercole sono un simbolo nato dall’antico limite naturale della civiltà greco-romana, prettamente mediterranea. Limite che i Greci varcarono con Alessandro Magno (uno dei volti di Ulisse, come abbiamo visto nella parte precedente) le cui conquiste segnarono la fine della civiltà greca, la cui eredità fu raccolta e salvata dai romani, i quali invece nel complesso, fra alterne vicende, convissero seppur in modo conflittuale, con l’impero partico. Con la modernità questo limite «naturale» è scomparso, ma ne è sorto uno nuovo nella presenza di altre civiltà dotate di armi atomiche. Dobbiamo imparare a riconoscere questo limite, se vogliamo con-vivere con le altre civiltà della Terra.

Ha davvero qualcosa di prodigioso la figura di Ulisse, in cui Dante ha saputo racchiudere e presentire tutto uno sviluppo successivo, reso possibile dalle scoperte geografiche e scientifiche, dall’espansione economica e imperialistica (contrapposta alla prassi imperiale di Roma). Ora che Ulisse, l’uomo occidentale, è giunto al limite estremo, deve decidere se proseguire nella rotta che lo porta al «mondo sanza gente», oppure ritornare a Itaca per rimettere ordine nella sua patria.

1« … è vero quanto notava Gorni: “l’Inferno dantesco è popolato di personaggi che recano il segno trino di una divinità negata”, a cominciare dalle tre fiere; dal ricordato Cerbero che con le tre teste che caninamente latrano e gli altri suoi tratti è la prima impressionante ‘figura’ di Lucifero, e proprio come lui è definito «il gran vermo» (Inf. VI, 22, e XXXIV, 108); da Gerione che al corpo umano aggiunge quello di leone, serpente e scorpione… tutti animali, dunque, variamente connotati della mostruosità alla quale apertamente si riallaccia Lucifero con quella cresta da drago alla quale convergono, al sommo della testa, le sue tre facce. Quanto al loro significato, ancora oggi può ben valere quanto chiosava Pietro di Dante: “ut in Deo est potentia, sapientia, et amor summus, sic in isto per oppositum est impotentia, ignorantia, et odium summum: et haec tria in tribus ejus capitibus significantur”» Enrico Fenzi, Lucifero, Academia.edu

2Giovanni Pascoli, Sotto il velame. Saggio di un’interpretazione generale del poema sacro. e-book

3V. voce Avaro, Enciclopedia Dantesca Treccani online

4Cfr. Gianfranco Contini, Dante come personaggio-poeta della “Commedia”. In Varianti e altra linguistica, Torino: Einaudi, 1970

5V. voce Superbia e superbi, in Enciclopedia dantesca Treccani online

6Per questo non c’è contraddizione tra la confessione a Beatrice della propria cupidigia e la confessione della propria superbia in Purg 13, 136-38

7Maria Gabriella Riccobono, Portar nel tempio le cupide vele, Academia.edu

8«Sulla base della notissima sentenza paolina “radix enim omnium malorum est cupiditas” (Tim 6, 10), l’avarizia, intesa in senso generale, ovvero, con Tommaso, come ogni desiderio smodato di ottenere qualsiasi cosa: “nomen avaritiae ampliatum est ad omnem immoderatum appetitum habendi quamcumque rem” (ST II-II, q. 118, a. 2co), oppure, con Agostino, come desiderio di possesso per amore di se e della propria eccellenza: “si avaritiam generalem intellegamus, qua quisque appetit aliquid amplius quam oportet, propter excellentiam suam, et quemdam propriae rei amorem”, diviene nel medioevo il principale peccato della cristianita, arrivando ad includere, assieme all’attaccamento ai beni materiali, anche la brama di potere, di onori e di sapere, e contendendo cosi alla superbia il primato di massimo vizio del settenario, come spiega ancora Tommaso sulla scorta della stessa sentenza paolina: “sic enim ex amore rerum temporalium omne peccatum procedit” (ST I-II, q. 84, a. 1). In quanto tale, l’avarizia, che e esecrata gia nelle Scritture come una vera e propria forma di idolatria, risulta essere “il vizio di cui si e scritto di piu per tutto il Medioevo”. Che la cupidigia domini il mondo non e dunque convinzione del solo Dante, che nel vizio incarnato dalla lupa pure riconosce nel canto proemiale la principale causa di perdizione dell’umanita, e quindi lo maledice, in quanto tale, non solo nella Commedia (al “maladetto lupo” del v. 8 si aggiunga la gia ricordata invettiva di Purg. XX, 10-12: “Maladetta sie tu, antica lupa / che piu di tutte l’altre bestie hai preda / per la tua fame sanza fine cupa!”), ma con pari veemenza gia nella canzone Doglia mi reca (vv. 78-80: “Maladetta tua culla… maladetto lo tuo perduto pane…”) e nella circostanziata analisi del vizio del Convivio (Conv. IV, xv, 8-9) “e in questo errore cade l’avaro maledetto…”».

Roberto Rea, La paura della lupa e le forme dell’ira (lettura di Inferno VII, Academia.edu

9«Cupidigia is a “super-vice”: an unbridled desire that is a composite of three of the sins of incontinence; it embraces excess desire for carnal pleasure, excess desire for food, and excess desire for money, honors, and advancement.» https://digitaldante.columbia.edu/dante/divine-comedy/inferno/inferno-12/

10Paolo Falzone, Dante e il mondo animale, Academia.edu

11Teodolinda Barolini, Multiculturalismo medievale e teologia dell’inferno dantesco, Dante: Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri, Vol. 2 (2005)

12Teodolinda Barolini, Ora parrà di Guittone, Doglia mi reca di Dante e l’anatomia del desiderio nella Commedia, Academia.edu

13«Credo sia proprio questo il significato della lonza: l’oro, la ricchezza, e non la lussuria. Anche perché l’apparizione successiva dei tre animali sta ad indicare, oltre la gerarchica già considerata, un rapporto di causalità -Gorni (1995: 23-55), le cui preziose osservazioni tengo molto presenti, a questo proposito parla di metamorfosi della “bestia”-, e non vedo la relazione tra lussuria (almeno che non sia intesa nel suo significato latino di ‘vita lussuosa’) e il significato attribuito al leone (superbia) e alla lupa (cupidigia): la lussuria non genera superbia e non ha niente a che vedere con la cupidigia. Sì invece le ricchezze, dalle quali nasce la superbia: “ex divitiis nascitur superbia” (Alain de Lille: vox dives) e la cupidigia (cfr. Pg. XXII, 40-41: “Perché non reggi tu, o sacra fame / de l’oro, l’appetito de’ mortali?”), se si considera che è “un desiderio disordinato di possedere ricchezze” (S. Theol. II-II C.118 a.2), ma -come si è visto sopra- in un senso ampio era definita pure come un desiderio smisurato, non soltanto di danaro, ma anche di scienza (ibid.)».Carlos López Cortezo, Le promesse della filosofia. Analisi del proemio della Commedia, Academia.edu

14Per una buona e dettagliata discussione del rapporto tra Dante e il proto-capitalismo fiorentino v. Francis R. Hittinger, Dante as Critic of Medieval Political Economy in Convivio and Monarchia, https://academiccommons.columbia.edu/doi/10.7916/D87P962W/download

15E. Fenzi, Tra etica del dono e accumulazione. Note di lettura a Doglia mi reca ne lo core ardire, in Id., Le canzoni di Dante. Interpretazioni e letture, Le Lettere, Firenze 2017

16 Marx, K., Il capitale, Roma, Editori Riuniti, I, 1, p. 164.

17Vittorio Sermonti, Il purgatorio di Dante, Garzanti 2021, e-book

18«Agostino nel De libero arbitrio aveva cercato, senza grande successo, di risolvere il contrasto tra Vecchio (Ecclesiastico) e Nuovo Testamento (San Paolo) in modo diretto, attraverso una dilatazione, un allargamento del concetto di avarizia. Definendo quest’ultima come desiderio smodato e disordinato di ogni cosa (non necessariamente di solo denaro), Agostino interpreta la celebre frase di San Paolo come a significare la forza del bramare, e non tanto l’oggetto del desiderio (avarus, infatti, da aveo, è l’avido – non importa di che cosa). Lucifero cade per avarizia; non però per amore del denaro, bensì del potere. È questo un punto che verrà confermato successivamente da Gregorio Magno: «L’avarizia ha a che fare non solo col denaro ma anche con le alte posizioni; giustamente si parla di avarizia quando il prestigio è ricercato oltre misura». (Si tenga presente che era stato Girolamo a tradurre con cupiditas, da cui avaritia, il termine greco philargyria, che propriamente sta per “amore del denaro”. Come vedremo, tale slittamento semantico sarà poi all’origine di non poche incomprensioni ed equivoci).
Va da sé che dilatando in tal modo la nozione di avarizia, essa finisce con il coincidere di fatto con la superbia, che è appunto la ricerca ossessiva delle «alte posizioni». È per questo che il tentativo di mediazione operato da Agostino non avrà successo: esso non accontenta pienamente nessuno e soprattutto non è funzionale alle esigenze di stabilità dell’ordine sociale dell’epoca.»

Stefano Zamagni, AvariziaLa passione dell’avere. I 7 vizi capitali, Il Mulino, 2009, p. 15

«La superbia fu l’origine di tutti i mali; l’orgoglio di Lucifero fu il principio e la causa di ogni rovina. Questa era la visione di Agostino e tale rimase la concezione dei posteri: l’orgoglio è la fonte di tutti i peccati, che crescono da esso come il tronco dalla radice. Tuttavia accanto al passo biblico, che confermava questa opinione: “A superbia initium sumpsit omnis perditio”, ve n’era un altro: “Radix omnium malorum est cupiditas”. Pertanto si poteva considerare anche l’avidità come la radice di tutti i mali, poiché per “cupiditas”, che come tale non si trova nella serie dei peccati capitali, si intendeva qui “avaritia”, come era riferito anche in un’altra lezione del testo. E sembra che, soprattutto dal XIII secolo in poi, la convinzione che sia l’avidità sfrenata a corrompere il mondo scacci l’orgoglio dal suo posto di primo e più fatale dei peccati nel giudizio delle genti. L’antico primato teologico della superbia viene scalzato dal sempre più forte coro di voci che attribuiscono tutti i guai dei tempi alla sempre crescente avidità. Come l’ha maledetta Dante: la cieca cupidigia!»

Johan Huizinga L’autunno del medioevo, Roma, Newton Compton, 1992, p. 46

19E. Fenzi, Tra etica del dono e accumulazione, cit

20 « … lo scopo costituisce il fine, il quale è tale che non è in vista di un altro scopo, ma le altre cose sono in vista di esso, sicché, se c’è un fine ultimo, non si andrà all’infinito; ma se non c’è nessun fine ultimo, non ci sarà lo scopo. Coloro i quali ammettono l’infinito non si rendono conto che eliminano anche la natura del bene: eppure nessuno tenterebbe di fare nulla, se non avesse la prospettiva di pervenire a un limite. E non esisterebbe neppure intelligenza, perché chi ha intelletto agisce sempre in vista di qualche cosa, e questo è un limite: il fine infatti è un limite.
Ma non è neppure possibile ricondurre la definizione dell’essenza sostanziale a una definizione via via più dettagliata, perché il titolo maggiore di definizione ce l’ha la prima, nella serie che si otterrebbe, e non l’ultima, e se 20 non è definizione la prima, non lo è neppure la successiva. Inoltre coloro che sostengono questa dottrina eliminano anche il sapere scientifico, perché non è possibile conoscere prima di essere arrivati ai termini indivisibili. E non sarà possibile neppure la conoscenza, perché come è possibile pensare cose infinite in questo senso? Diverso è il caso della linea, che può essere divisa indefinitamente, ma che non può essere pensata, se non si arresta la divisione (e perciò non può contare le operazioni di divisione chi le prosegue all’infinito); ma è necessario pensare anche la materia in una cosa che si muove. E non può esistere nulla d’infinito: se esistesse non sarebbe infinito l’essere dell’infinito.
E non sarebbe possibile il conoscere neppure se le specie delle cause fossero di numero infinito, perché crediamo di conoscere soltanto quando conosciamo ciò che è causa; e non è possibile percorrere in un tempo finito ciò cui si possono aggiungere parti all’infinito». Metafisica II 2, ed. Utet, 2013

21Bruno Nardi, Dal convivio alla commedia, cit. p. 74

22«Niente di finito può quietare il desiderio dell’intelletto. E lo dimostra il fatto che l’intelletto, data una qualsiasi cosa finita, escogita qualche cosa che la sorpassa: data, p. es., una qualsiasi linea finita, può concepirne una più estesa; e lo stesso si dica dei numeri. Questa è appunto la ragione dell’infinita addizionalità dei numeri e delle linee geometriche. Ora, l’altezza e la virtù di qualunque sostanza creata è finita. Quindi l’intelletto delle sostanze separate non si acquieta per il fatto che conosce delle sostanze create, per quanto eminenti, ma col desiderio naturale tende a conoscere una sostanza di dignità infinita, quale è appunto la sostanza divina». Somma contra gentili, III, 50, ed. UTET, 1997

23: «His men, his “brothers,” now show their real relationship to Ulysses: it is an instrumental one. They are his oars». R. Hollander (Ed.), Dante Alighieri, Inferno, New York, 2002, p. 493

24Teodolinda Barolini, Multiculturalismo medievale … cit.

25«Questo dissidio tra due affermazioni, una apertamente mistica, l’altra tendenzialmente razionalistica, dissidio che riflette il carattere della cultura dantista nel Convivio, formata di elementi filosofici frammisti a elementi teologici, non ancora ben fusi tra loro, anzi spesso discordanti gli uni dagli altri, ucciderà la donna gentile come simbolo unitario della Filosofia, e condurrà, nella Monarchia, a una netta separazione della filosofia umana dalla dottrina rivelata.» B. Nardi, Nel mondo di Dante, cit. p. 228

26«Nella Commedia la prospettiva di Convivio, III, 15 è dunque ribaltata. Il desiderio naturale di sapere — diceva il trattato — deve poter conseguire già in questa vita la sua completa realizzazione, altrimenti sarebbe una potenza vana; ancorché naturale, il desiderio di sapere — afferma invece la terzina del Purgatorio — è recato all’atto da un agente sovrannaturale (la grazia): o in questa vita per speciale privilegio concesso da Dio (ed è in fondo il caso che Dante immagina per sé) o nella vita futura, allorché l’uomo che avrà ben meritato sarà ammesso a godere della visione beatifica. Tanto la tesi del Convivio si discosta da quella tomasiana, quanto il senso di questi versi le è invece omogeneo, sicché non sembra improprio sostenere, con Nardi (attraverso Tommaso), che nella Commedia «mortalis ista felicitas (…) ad immortalem felicitatem ordinatur».» P. Falzone, Desiderio della scienza …, cit. p. 251

27«Non è evidente che, esemplare perfetto dell’umano desiderio di sapere, e perciò della scienza e della connessa virtù, da quello, dal desiderio che lo possedeva e lo assoggettava a sé come al suo proprio destino, il personaggio era (se l’espressione non appaia enfatica) insieme condannato e, in senso specifico, salvato? Era salvato dalla forza medesima che lo condannava e che, per la sua irresistibilità, lo rendeva innocente. Era dannato perché, in questa peculiare situazione, innocente com’era nel prestare ascolto alla voce che lo soggiogava, da questa era spinto verso il luogo della sua catastrofe dove, “perduto” , scomparve.» Gennaro Sasso, Ulisse e il desiderio: Il canto XXVI dell’Inferno, Viella, 2011, p. 64

28K. Marx, Il capitale, cit. p. 185

29«Secondo Hegel, i Greci hanno “ad un tempo animato ed onorato il finito”. Animare il finito significa ovviamente rinunciare al concetto biblico-cristiano di creazione, e riconoscere al finito la capacità potenziale di automovimento e di direzione verso la propria finalità che il finito stesso contiene in sé (dynamei on). Onorare il finito significa cercare la perfezione non in un infinito smisurato ed indeterminato (apeiron, aoriston), ma proprio nel finito stesso, che è perfetto proprio perché è finito

Costanzo Preve, Per una storia alternativa della filosofia, Petite Plaisance, 2013, p. 155

30«Era in anticipo sui tempi, il progetto dei Vivaldi? Ma lo stretto di Gibilterra era stato già violato, e con successo. Non alludiamo semplicemente alla rotta in direzione nord, testimoniata da Brunetto Latini in un disteso passo del Tesoretto (vv. 1043-1062), che spira la superiore serenità dell’uomo colto. È persino arguto, Brunetto: le Colonne d’Ercole, ci assicura, sono state varcate, dopo la morte del semidio, da gruppi desiderosi di nuovi stanziamenti, che sono «oltre passati, / sì che sono abitati / di là in bel paese / e ricco per le spese». Dovrebbe essere, questa fiorente contrada, la Gran Bretagna. Evidentemente, risalire l’Atlantico alla volta di spiagge settentrionali non era, nella percezione del tempo, la violazione di un tabù. Lo era invece cercare, al di là delle Colonne, le sconosciute acque meridionali, le rive misteriose dell’Africa? Neanche la direzione sud, in verità, rimaneva vergine, la marineria italiana aveva preso a sondarla. Tant’è: nel 1291, la costa atlantica del Marocco veniva stabilmente vigilata da una flotta in armi agli ordini di un ammiraglio genovese. Lo scorcio finale del XIII secolo, insomma, schiudeva possibilità piuttosto che incentivare timori: la navigazione oceanica poteva apparire praticabile in ogni senso, almeno a ridosso di masse continentali; e, se praticabile, anche lecita. »
S. Cristaldi, Il richiamo del lontano, cit. p. 269

31Cfr. Mario Trovato, Il contrapasso nell’ottava bolgia, Dante Studies, No. 94 (1976)

32«La volontà umana “ha bisogno di una meta — e preferisce volere il nulla piuttosto che non volere” [Nietzsche]. Infatti la volontà, in quanto volontà di potenza, è: potenza di potenza, o, come possiamo dire ugualmente bene, volontà di volontà, volontà di rimanere al di sopra e di poter comandare. Non è il nulla ciò di fronte a cui la volontà indietreggia spaventata, ma il non volere, l’annientamento della sua propria possibilità essenziale. L’orrore del vuoto del non volere — questo « horror vacui » — è il “fatto fondamentale della volontà umana”. E proprio da questo «fatto fondamentale » della volontà umana, cioè che essa preferisce essere volontà del nulla piuttosto che non volere, Nietzsche ricava la prova della sua tesi che la volontà è, nella sua essenza, volontà di potenza.

La volontà in quanto volontà di volontà, è volontà di potenza nel senso dell’autorizzazione alla potenza». In quanto existentia essa sarebbe rappresentata dall’eterno ritorno dell’identico: “Poiché vuole l’ultrapotenziamento di se stessa, la volontà non si acquieta a nessun livello di vita, per elevato che sia. La volontà esercita la potenza nell’oltrepassamento del suo stesso volere. Essa ritorna costantemente a se stessa come uguale a se stessa”» .

M. Heidegger, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto”, in Sentieri interrotti, tr. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 218

« …che cosa intende Nietzsche stesso con il termine « volontà di potenza »? Che cosa significa volontà? Che cosa significa volontà di potenza? Queste due domande sono per Nietzsche un’unica domanda; infatti per lui la volontà non è altro che volontà di potenza, e la potenza non è altro che l’essenza della volontà. La volontà di potenza è allora volontà di volontà, cioè volere è volere se stesso. »

Heidegger, Nietzsche, Adelphi, 1994, p. 49

«Per che cosa si lotti è, pensato e auspicato come fine con un contenuto particolare, sempre di importanza secondaria. Tutti i fini della lotta e le grida di battaglia sono sempre e solo strumenti di lotta. Per che cosa si lotti è già deciso in anticipo: è la potenza stessa che non ha bisogno di fini. Essa è senza-fini, così come l’insieme dell’ente privo-di-valore. Questa mancanza-di-fini fa parte dell’essenza metafisica della potenza. Se mai qui si può parlare di un fine, questo fine è la mancanza di fini dell’incondizionato dominio dell’uomo sulla terra. L’uomo di questo dominio è il super-uomo (Uber-Mensch). (Ivi, p. 638).

33Ivi, p. 409

34G. Agamben, Il regno e la gloria, cit, p. 72

35La filosofia futura, Rizzoli, 1989 p. 69

36Al posto del governo sulle persone appare l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene “abolito”: esso si estingue» (Engels, Antiduhring)

37 Riporto questo passo che maggiormente riguarda le questioni da me trattate:
«Sia che lo si chiami kapitalistische Produktionsweise, secondo la definizione di Marx metabolizzata dai suoi eterodossi allievi del Novecento, sia che lo si etichetti come Technik, in accordo con il lessico di Heidegger e dei suoi epigoni, il sistema della produzione mondializzata, nella sua anonima autoreferenzialità di un minaccioso dispositivo che signoreggia gli uomini, presenta una dinamica di sviluppo illimitata e illimitabile: marxianamente, il capitale persegue il telos del proprio incremento smisurato, proprio come, heideggerianamente, la tecnica rincorre lo scopo del proprio irrelato e insensato autopotenziamento, in una cornice di mero nichilismo antiumanistico, in cui il mercato diventa il solo valore direttivo.»

19

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IL SABOTAGGIO DEL NORD STREAM: UN ATTO DI GUERRA CONTRO LA RUSSIA E L’EUROPA NELL’INTERESSE DI WASHINGTON E DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI? di PIERRE-EMMANUEL THOMANN

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream e il dibattito su chi ne sia responsabile rimarranno uno dei grandi episodi di disinformazione del campo atlantista nel conflitto in Ucraina. Probabilmente non ci sarà mai una conferma ufficiale di chi ha ordinato questo atto di terrorismo di Stato, perché si sta facendo di tutto per insabbiare il tutto.

I governi interessati, Berlino e Parigi in particolare, sono in uno stato di complice stupore. Il loro silenzio su questa vicenda, o il rimescolamento delle tracce, sostenuto dai media dominanti e dagli pseudo-esperti che passano in loop sulle televisioni per trasmettere le narrazioni atlantiste, si spiega facilmente. Non possono rivelare al loro popolo che il loro cosiddetto principale alleato, Washington, ha commesso un atto di guerra contro i suoi stessi alleati, poiché ciò dimostrerebbe che il conflitto in Ucraina è una guerra provocata e mantenuta da Washington, non solo contro la Russia, ma contro l’intera Europa. L’intero discorso della cosiddetta unità occidentale e transatlantica verrebbe irrimediabilmente incrinato.

Non appena i gasdotti sono esplosi nel settembre 2022, mentre la Russia è stata immediatamente additata dagli esperti al servizio del campo atlantista, Mosca ha accusato Washington di essere dietro questo atto terroristico. Le rivelazioni del giornalista investigativo americano Seymour Hersh[1] sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream hanno tuttavia rafforzato la tesi della responsabilità di Washington. Non sorprende che questa versione sia stata messa al bando dai media mainstream, portavoce dei governi degli Stati membri dell’UE e della NATO. Il maldestro tentativo di diversione di Washington attraverso il New York Times[2], che indicava la responsabilità di un gruppo filo-ucraino, non ha convinto nessuno e il Ministro della Difesa ucraino è stato costretto a smentire, un raro episodio in cui il regime di Kiev è stato costretto a contraddire il suo mentore[3].

Va inoltre ricordato che Washington aveva esplicitamente annunciato l’intenzione di sbarazzarsi dei gasdotti per voce del presidente Biden[4]. Gli Stati coinvolti nell’inchiesta hanno anche sottolineato che i risultati delle indagini sarebbero rimasti confidenziali, poiché la verità non è ovviamente bella da raccontare[5]. L’ipotesi che Washington sia responsabile del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è quindi la pista più probabile, e di fatto l’unica credibile.

La mancanza di reazioni da parte dei governi degli Stati europei interessati, Germania, Francia e Paesi Bassi, che sono stati direttamente presi di mira da questo atto terroristico assimilabile a un asso di guerra, rivela il grado di sottomissione geopolitica senza precedenti di questa classe politica a Washington,

E se analizziamo questo evento da un punto di vista geopolitico, arriviamo alla stessa conclusione: la responsabilità di Washington. Se si inserisce questo atto di guerra nel contesto del progetto geopolitico “Iniziativa dei tre mari”, avviato da Varsavia con il sostegno di Washington, ma immaginato da un think tank americano, si scopre il rovescio delle carte geopolitiche.

L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari (STI) riunisce dodici Paesi dell’Europa centrale e orientale situati tra i mari Baltico, Nero e Adriatico: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia, Croazia, Slovenia e Austria. Altri quindici partecipanti hanno scelto di aderire ad alcuni progetti, tra cui l’Ucraina. Lo scopo dell’iniziativa è rafforzare la connettività all’interno di quest’area geografica attraverso lo sviluppo di infrastrutture di trasporto stradale, ferroviario e fluviale, infrastrutture energetiche come gasdotti e reti elettriche e infrastrutture digitali. Gli obiettivi dichiarati sono il rafforzamento dello sviluppo economico, la coesione all’interno dell’Unione Europea e i collegamenti transatlantici[6].

 

 

Carte 1

 

L’idea centrale è quella di sviluppare le infrastrutture energetiche e di comunicazione lungo un asse nord-sud, poiché le attuali infrastrutture sono orientate in direzione est-ovest dalla Russia. Questa infrastruttura ereditata storicamente è vista come una dipendenza geopolitica da Mosca, ma promuove anche il dominio economico della Germania dopo l’allargamento dell’UE ai Paesi dell’Europa centrale e orientale. L’Iniziativa dei Tre Mari è stata inaugurata congiuntamente nel 2016 da Polonia e Croazia. Formalizzata in occasione del primo vertice tenutosi a Dubrovnik il 25-26 agosto 2016, un secondo vertice si è tenuto a Varsavia il 6-7 luglio 2017. Il progetto ha iniziato ad attirare l’attenzione di altri membri dell’UE, non da ultimo per la presenza di Donald Trump.

Il presidente austriaco Alexander Von der Bellen ha sottolineato che il progetto ha avuto origine dai think tank americani[7] ed è stato fin dall’inizio attivamente promosso dal think tank atlantista Atlantic Council. Ian Brzezinski, figlio di Zbigniew Brzezinski, sostiene attivamente l’Iniziativa dei Tre Mari come consulente strategico dell’Atlantic Council[8] Una pubblicazione di questo think tank prefigura l’Iniziativa dei Tre Mari in modo molto preciso già nel 2014[9], ossia durante la presidenza Obama. Essa promuove un corridoio di trasporto nord-sud, in linea con gli interessi geopolitici degli Stati Uniti, al fine di garantire la resistenza dei Paesi dell’Europa centrale e orientale alla Russia.

LE ORIGINI GEOPOLITICHE DEL PROGETTO E IL SUO ATTUALE RILANCIO

Le origini dell’Iniziativa dei Tre Mari risalgono a molto tempo fa. La TMI è l’erede delle rappresentazioni geopolitiche polacche emerse dopo la Prima guerra mondiale, più precisamente del progetto Intermarium (traduzione latina di Międzymorze in polacco) del generale Josef Pilsudski. Le idee chiave di questo vecchio progetto sono riemerse nell’attuale configurazione geopolitica. Poiché la Polonia era stata fatta a pezzi più volte nel corso della sua storia a vantaggio dell’Impero tedesco e della Russia, il generale Pilsudski cercò, già negli anni Venti, di promuovere un’Europa centrale e orientale al riparo dagli appetiti geopolitici dei suoi vicini, creando una federazione di Stati situati tra il Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Adriatico – l’Intermarium – per proteggersi dall’URSS e dalla Germania. Il progetto del generale Pilsudski doveva garantire la sopravvivenza della Polonia, ma fu abbandonato alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, l’idea sopravvisse nella diaspora polacca negli Stati Uniti, vicina agli strateghi americani. Questo ha portato a una forte sinergia tra le visioni geopolitiche americane e polacche dalla Guerra Fredda a oggi[10]. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi una rivisitazione polacco-americana dell’Intermarium. Inizialmente, per Varsavia, l’Intermarium mirava a promuovere una terza via tra l’impero russo e quello tedesco. Ma oggi la configurazione geopolitica è diversa perché Polonia e Germania, entrambe membri dell’Alleanza Atlantica, sono ormai alleate. Non c’è quindi più la volontà di formare un’Europa di mezzo indipendente dall’UE e dalla NATO. Oggi il progetto viene proposto con argomenti geoeconomici, come la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo e l’egemonia economica e politica tedesca nell’UE. Tuttavia, la posta in gioco geostrategica è molto reale e rimane implicita: dal ritorno della rivalità tra le potenze europee e mondiali – Russia, Stati Uniti, Cina e Stati membri dell’UE – è riemerso il dilemma geopolitico dell’Europa centrale e della sua sicurezza. I Paesi dell’UE dell’Europa centrale e orientale e la NATO sono ora visti come poli geopolitici. Sebbene la configurazione internazionale sia cambiata, la geografia e le costanti geopolitiche rimangono e la percezione che la Polonia ha della propria sicurezza deriva da rappresentazioni storiche che persistono indipendentemente dai governi. La sfiducia di Varsavia nei confronti della Russia ha ricevuto nuovo impulso dalla crisi ucraina del 2014 e i polacchi sono desiderosi di consolidare la propria sicurezza. Ai loro occhi, la coppia franco-tedesca non è considerata del tutto affidabile, in quanto troppo accomodante nei confronti della Russia, e l’UE è troppo divisa per affermarsi. Il progetto mira quindi a svilupparsi in sinergia con l’UE e la NATO. Il primo obiettivo dei polacchi è quello di contenere la Russia, percepita come la principale minaccia, ma anche di bilanciare la Germania, con la quale si sono accumulati disaccordi. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi, per la Polonia, un progetto volto a ridurre la dipendenza da Mosca e a mantenere il legame transatlantico. Per Varsavia e i suoi alleati nella TMI, l’alleanza privilegiata con gli Stati Uniti è ritenuta necessaria per aumentare il loro margine di manovra nell’UE. L’attenzione alla minaccia russa consente alla Polonia di posizionarsi come perno geopolitico regionale sul fianco orientale della NATO. Le viene assicurato il sostegno degli Stati Uniti per diventare il leader regionale dell’UE e della NATO. Varsavia è coinvolta in molti progetti di difesa con gli Stati Uniti[11], un settore in cui l’UE rimane secondaria nonostante i recenti progressi. L’UE è tuttavia un’organizzazione utile per ottenere finanziamenti – fondi strutturali e di coesione – per le infrastrutture[12].12 La diffidenza nei confronti della Germania si è inoltre cristallizzata in seguito alla messa in funzione del gasdotto Nord Stream I[13], inaugurato nel 2001, che rifornisce Berlino di gas russo attraverso il Mar Baltico e che doveva essere raddoppiato dal Nord Stream II. Questo progetto è stato descritto in modo fuorviante da Varsavia come il “secondo patto Molotov-Ribentrop”. Vecchie rappresentazioni storiche sono state riattivate in questa occasione, illustrando la permanenza delle paure storiche dei Paesi dell’Europa centrale nei confronti delle potenze vicine che li hanno sempre dominati.

LA SINERGIA TRA NATO, PARTENARIATO ORIENTALE DELL’UE, PESCO
E L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

I polacchi sono riusciti a far convergere a loro vantaggio le varie iniziative prese a livello europeo, come il Partenariato orientale dell’UE, ma anche il nuovo programma PESCO[14] lanciato da Bruxelles nel campo della difesa. Il loro obiettivo è attrarre il massimo dei finanziamenti europei per le loro priorità. – La componente principale del programma PESCO è il progetto “Mobilità”[15], che mira a potenziare e sviluppare le infrastrutture per migliorare la mobilità delle forze armate della NATO. Questa priorità è anche un obiettivo dei dipartimenti per le infrastrutture della Commissione europea[16], sottolineato nella Dichiarazione congiunta NATO-UE[17]. Il legame tra l’Iniziativa dei Tre Mari e gli interessi dell’Alleanza Atlantica è quindi evidente. Il generale americano Ben Hodges, ex comandante delle forze americane in Europa (EUCOM), ha dichiarato che l’infrastruttura del progetto PESCO corrispondente alle priorità dell’Iniziativa dei Tre Mari – in particolare la Ferrovia Baltica e la Via Carpatia – era una priorità[18]. Il Partenariato orientale dell’UE è stato concepito dai polacchi e promosso con gli svedesi. Nasce dalla dottrina Sikorski, che mira a creare una zona cuscinetto contro la Russia[20]. Pertanto, il Partenariato orientale, l’Iniziativa dei tre mari e il progetto PESCO fanno parte della strategia di sicurezza di Varsavia nei confronti di Mosca. Il desiderio del governo polacco di ospitare una base militare della NATO sul proprio territorio è un’altra prova della coerenza delle intenzioni polacche. Questa convergenza di progetti a livello regionale permette di percepire che la Polonia sfrutta l’Iniziativa dei Tre Mari come strumento di influenza e sviluppo economico, ma anche come strumento per garantire la propria sicurezza. Varsavia si affida anche agli Stati Uniti, impegnati in una manovra a livello europeo – soprattutto per contenere la Germania e mantenere l’UE sotto la propria influenza – ma anche su scala globale nei confronti di Russia e Cina. Esaminiamo questi aspetti.

LA SINERGIA TRA L’INIZIATIVA DEI TRE MARI E IL PROGETTO GEOPOLITICO STATUNITENSE :
LA RIVALITÀ CON RUSSIA E GERMANIA

Se ci riferiamo alla posta in gioco geopolitica su scala globale, l’Iniziativa dei Tre Mari è un progetto che è anche in linea con le priorità geopolitiche degli Stati Uniti. Il loro coinvolgimento nel progetto, fin dal suo inizio, è coerente con la loro manovra strategica nei confronti dell’Eurasia per contrastare Russia e Cina, ma anche con la loro ambizione di diventare un grande esportatore di gas di scisto.

 


Carte 2

 

L’obiettivo prioritario di Washington è infatti il controllo dell’Eurasia. Questa preoccupazione di lunga data viene ora esplicitamente riaffermata per preservare la propria leadership globale e rallentare l’emergere di un mondo multipolare[21]. 21] Con notevole continuità, la strategia degli Stati Uniti è quindi quella di opporsi alla Russia e di allargare il Rimland (secondo la dottrina geopolitica di Spykman), ma anche di frammentare l’Eurasia (secondo la dottrina di Mackinder) e di staccare l’Ucraina dalla Russia (dottrina di Brzezinski). Questa costante geopolitica è stata riaffermata alla fine della Guerra Fredda con la dottrina Wolfowitz (1992). Egli sottolineò che la missione dell’America nell’era post-Guerra Fredda sarebbe stata quella di garantire che nessuna superpotenza rivale emergesse in Europa occidentale, in Asia o nel territorio dell’ex Unione Sovietica[22]. Anche la rappresentazione strategica di Zbigniew Zbrezinski[23] – che pone come obiettivo la frammentazione geopolitica del continente eurasiatico per realizzare una maggiore integrazione degli Stati dell’Europa occidentale nello spazio euro-atlantico su un asse Parigi-Berlino-Kiev – ha avuto un’importante influenza[24] sull’amministrazione statunitense. Questo obiettivo è stato esplicitamente ripreso da Wess Mitchell, assistente segretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia presso il Dipartimento di Stato sotto il presidente Donald Trump. Egli sostiene un ulteriore consolidamento degli Stati Uniti nel Rimland europeo[25]. 25] Questa strategia, combinata con quella nella regione indo-pacifica, garantisce che gli Stati Uniti circondino il continente eurasiatico. L’Iniziativa dei Tre Mari si inserisce perfettamente in questa visione ed è uno degli strumenti di Washington. Gli Stati Uniti stanno nuovamente reinvestendo nell’Europa centrale e orientale come parte della loro manovra verso l’Eurasia. La Polonia è il punto di riferimento per gli Stati Uniti per mantenere il proprio dominio sul progetto europeo, ed è per questo che gli Stati Uniti stanno cercando di rafforzare il peso di Varsavia nell’UE. Anche l’Ucraina era destinata a diventare più importante nell’ambito dell’Iniziativa dei Tre Mari. In effetti, il collegamento di Kiev con l’Europa occidentale era già nei piani iniziali e conferma il carattere geopolitico di questo progetto. Il ruolo dell’Ucraina è quello di territorio di transito per i corridoi energetici che evitano la Russia attraverso l’asse dell’Asia centrale.

L’intervento russo in Ucraina a partire dal 2023 ha vanificato questi piani, almeno per quanto riguarda l’inclusione di Kiev nel progetto, opzione che rimane dipendente dall’esito del conflitto. È in questo contesto che l’Iniziativa dei Tre Mari è stata sostenuta da Donald Trump durante la sua partecipazione al vertice di Varsavia[26] nel 2017. Il forte sostegno del presidente alla TMI statunitense rientra ovviamente nella rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Russia. Ma è anche legato al desiderio di Washington di esportare il suo gas di scisto, che è diventato un’arma geopolitica per gli Stati Uniti.[27] Questo sostegno può essere compreso anche nel contesto di una rivalità che è diventata esplicita tra Stati Uniti e Germania. La politica “America First!” di Donald Trump – un obiettivo che un tempo era più implicito che esplicito – ha comportato un’intensa pressione politica sulla Germania, dando maggior peso alle critiche della Polonia. Collegando energia e sicurezza[28], Trump ha accusato Berlino di importare gas russo, di aggravare il deficit commerciale degli Stati Uniti e di non contribuire abbastanza finanziariamente alla NATO. Queste pressioni hanno spinto Berlino a importare gas di scisto statunitense e ad aprire un porto per il gas naturale liquefatto (LNG) nel nord della Germania. Tuttavia, Berlino ha continuato a difendere strenuamente il progetto del gasdotto Nord Stream II contro il parere di Washington e Varsavia, fino all’avvio dell’operazione speciale russa nel febbraio 2022.

IL SABOTAGGIO DI WASHINGTON AL NORD STREAM: UN ATTO IN SINERGIA CON GLI OBIETTIVI DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI
DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI

L’arma energetica come strumento geopolitico è particolarmente importante per Washington. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, un’infrastruttura che evitava l’Ucraina ma favoriva la Russia e la Germania, deve essere visto nel contesto dell’attuale conflitto, dove alza la posta in gioco e fa salire la posta in gioco. Lo scoppio del conflitto in Ucraina provocato da Washington e Londra – in particolare a causa del progetto di allargamento della NATO – è stata l’occasione per prendere decisioni radicali per indebolire la Russia e gli Stati europei, in particolare la Germania, ma anche la Francia, allo stesso tempo. Gli Stati Uniti hanno l’ambizione di esportare il loro gas di scisto a scapito delle compagnie energetiche europee coinvolte nell’esplorazione delle risorse in Siberia (Russia) e nel progetto del gasdotto Nord-Stream II. Fin dall’inizio dell’operazione speciale russa in Ucraina, gli Stati Uniti hanno fatto pressione sugli alleati della NATO affinché bloccassero le importazioni di gas dalla Russia attraverso i gasdotti Nord Stream, ma non quelle attraverso i gasdotti che attraversano l’Ucraina, per dare risorse e leva a Kiev. Washington ha ottenuto questo risultato e il sabotaggio del Nord Stream nel settembre 2022 le ha permesso di assicurarsi questo guadagno, chiarendo alla Germania e ai suoi partner che non ci sarebbe stato alcun problema a utilizzare questi gasdotti una volta terminato il conflitto, poiché la Russia ha pianificato di ripararli[29], gli Stati Uniti costringono così gli europei a un radicale riorientamento geopolitico in direzione degli obiettivi dell’Iniziativa dei Tre Mari, che mira in ultima analisi a staccare la Russia dall’Europa occidentale riorientando le infrastrutture energetiche e di trasporto e rendendole più dipendenti dal gas di scisto americano. L’Unione Europea è così ridotta al rango di zona cuscinetto nella manovra americana in Eurasia, di cui sta diventando una periferia sempre più divisa e strumentalizzata da Washington.

COSTRINGERE LA GERMANIA A SCEGLIERE DA CHE PARTE STARE E A STACCARSI DALLA RUSSIA

Vale la pena sottolineare la posizione di Berlino nel progetto. Oggi la Germania è una potenza centrale che persegue la sua espansione verso i Paesi dei Balcani, dell’Europa orientale e delle repubbliche dell’ex URSS (Ostmitteleuropa). L’ideologia che sta alla base di questa espansione è diversa da quella pangermanista della vigilia della Prima guerra mondiale, in quanto viene ora portata avanti in nome dell'”occidentalizzazione” e dell'”europeizzazione” del suo fianco orientale, da cui la crescente rivalità geopolitica con la Russia. Ma se l’ideologia cambia, i tropismi geografici restano. Da un punto di vista geopolitico, la Germania cerca di portare i Paesi dell’Europa centrale e orientale – compresa l’Ucraina – nello spazio euro-atlantico. Il sostegno degli Stati Uniti all’Iniziativa dei Tre Mari, nel contesto di crescenti disaccordi con Donald Trump, ha indubbiamente spinto Berlino a partecipare al TMI per evitare che diventi troppo antitedesco e per contrastare la politica statunitense di sostegno alle iniziative della Polonia. I governi tedeschi che si sono succeduti stanno quindi perseguendo la costruzione di una zona cuscinetto a est, di fronte alla Russia, attraverso il Partenariato orientale dell’UE, che il GTI completa.

Dal punto di vista economico, la Germania conta anche sull’apertura dei mercati dei Paesi del Partenariato orientale, in particolare dell’Ucraina. Berlino si considera responsabile della traiettoria geopolitica di questo Paese e utilizza la narrativa euro-atlantica per raggiungere il suo obiettivo. Tuttavia, fino allo scoppio dell’offensiva russa, la Germania riteneva di aver bisogno del gas e del petrolio russo per mantenere il suo status di potenza economica. Tuttavia, rimane ancora sotto la protezione militare degli Stati Uniti, con l’ombrello nucleare statunitense come ultima difesa del territorio tedesco. Il sostegno al progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari e l’accettazione delle importazioni di gas di scisto dagli Stati Uniti sono stati probabilmente visti da Berlino come il prezzo da pagare per preservare il Nord Stream II e la sua posizione di potenza centrale nell’UE, stando attenta a contenere l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti verso Mosca[30]. Tuttavia, il sostegno della Germania all’ITM non ha cancellato la sfiducia di Varsavia nei confronti di Berlino, molto pronunciata negli ambienti conservatori e filoamericani[31] in Polonia e nella diaspora statunitense. Varsavia si trova quindi di fronte al dilemma di mantenere la presa sull’Iniziativa dei Tre Mari, ma allo stesso tempo di attrarre i finanziamenti dell’UE con il sostegno tedesco.

Con l’aggravarsi della crisi ucraina nel 2022, Washington ha deciso che non avrebbe più tollerato l’equilibrismo tedesco di combinare un’alleanza strategica con la NATO e un’alleanza energetica con la Russia. Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti costringe Berlino a scegliere definitivamente il campo occidentale contro la Russia e ad abbandonare la politica di equilibrio a favore dell’egemonia geostrategica e geoeconomica americana.

Il dominio indiviso di Washington è reso possibile anche dall’incapacità di francesi e tedeschi di trovare un accordo su un’architettura di sicurezza europea che dia all’UE una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti, come sulle questioni energetiche in cui rimangono rivali. La decisione della Germania di abbandonare l’energia nucleare e di affidarsi pesantemente alle importazioni di gas russo, senza consultarsi con la Francia, spiega probabilmente la mancata reazione di Parigi al sabotaggio americano, secondo un sentimento di schadenfreude (“gioire delle disgrazie altrui”), anche se anche gli interessi di Parigi sono colpiti. Anche il campo atlantista francese, che aveva sempre temuto l’asse russo-tedesco, si è rafforzato. La rivalità geopolitica franco-tedesca è una falla del progetto europeo che gli americani hanno sempre sfruttato per indebolirlo e orientarlo a proprio vantaggio.

IL SUCCESSO DELLA STRATEGIA AMERICANA E LO SPOSTAMENTO DEL BARICENTRO DELL’UE

Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti rientra nella strategia geopolitica di frammentare il vecchio continente per silurare qualsiasi accordo europeo – ma anche eurasiatico – e la costituzione di un asse Parigi-Berlino-Mosca. Inoltre, Washington è determinata a continuare il suo accerchiamento dell’Eurasia contro la Russia e la Cina, al fine di preservare la sua supremazia in Europa e nel mondo. L’Iniziativa dei Tre Mari è uno degli strumenti di questa strategia. In questo contesto, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream è un atto di guerra contro la Russia, ma anche contro la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, e un attacco alla loro sovranità. È un atto di ostilità contro l’idea di un progetto europeo indipendente che includa la Russia, secondo la visione gollista di un'”Europa europea” che si oppone all'”Europa americana”.

L’UE è l’ultima area del mondo in cui gli Stati Uniti possono ancora esercitare la loro egemonia senza alcun ostacolo reale. Ma a lungo termine possono mantenere la pressione sulla classe politica del vecchio continente solo terrorizzando gli europei con atti come il sabotaggio dei gasdotti. La politica di Washington, dettata da ideologi neoconservatori spinti a preservare la supremazia americana a tutti i costi, rappresenta una grave minaccia geopolitica per le nazioni europee, in particolare per Francia e Germania. La loro mancanza di reazione si spiega con l’asservimento geopolitico dei loro governi, la cui legittimità si basa unicamente sull’appartenenza al campo atlantista sotto la guida di Washington, a cui hanno giurato fedeltà, e non più sui loro popoli, che sono incapaci di proteggere. Parigi e Berlino sono così impegnate in una corsa a perdifiato che le pone in una situazione di cobelligeranza con la Russia, a tutto vantaggio degli interessi americani e del loro strumento, il regime di Kiev. Le conseguenze prevedibili per gli europei sono una nuova crisi economica, una deindustrializzazione a vantaggio degli Stati Uniti, un abbassamento del tenore di vita e una destabilizzazione duratura del continente attraverso un conflitto militare che potrebbe portare a una terza guerra mondiale.

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari, che attrae sempre più investimenti dall’UE e dalla Germania, sta spostando il baricentro geopolitico dell’Unione Europea verso est. Il consolidamento della Germania in una posizione centrale e la conferma di una spaccatura tra la Russia e un’UE dominata dalle priorità tedesche e polacche, sostenute dagli Stati Uniti, rafforzeranno gli squilibri geopolitici in Europa. Tale sviluppo va a scapito dell’asse franco-tedesco e aggrava la rivalità con la Russia. Tuttavia, il possibile indebolimento economico della Germania – il cui accesso al gas e al petrolio russo a basso costo è ora più limitato – potrebbe ridurre il suo vantaggio geopolitico.

Dopo la riunificazione tedesca e l’allargamento dell’UE in Europa centrale e orientale, sta emergendo una nuova rivalità geopolitica tra Germania e Francia[32]. 32] In effetti, il rafforzamento dello status di potenza centrale della Germania contraddice il progetto d’avanguardia franco-tedesco e il progetto di un’Europa a più cerchi difeso dalla Francia. In passato, Parigi ha cercato di riequilibrare l’UE verso il Mediterraneo per contrastare lo spostamento del suo baricentro geopolitico verso est, provocando a sua volta iniziative come il Partenariato orientale[33] .

La crisi economica può rallentare l’ascesa dell’Iniziativa dei Tre Mari, ma se i flussi energetici dalla Russia si prosciugheranno, il suo obiettivo geopolitico sarà raggiunto. Il suo consolidamento si tradurrà in una politica di compensazione nei confronti della Francia, come è stata praticata dopo la riunificazione tedesca? Secondo i piani di Washington, l’ITM dovrebbe consentire di trasformare gli Stati membri dell’UE in “Stati di facciata” contro la Russia, perché l’Europa sarebbe tagliata fuori dal suo spazio orientale, come durante la Guerra Fredda, il che le impedirebbe di condurre una politica di equilibrio.

Berlino e Parigi oseranno mai reagire al sabotaggio dei gasdotti? La Francia sfiderà finalmente la corsa a capofitto dell’UE verso est? Per quanto riguarda l’Iniziativa dei Tre Mari, non c’è motivo per Parigi di partecipare, attraverso l’UE, al finanziamento di un progetto che porta alla sua emarginazione geopolitica. Se la costruzione di infrastrutture tra i Paesi dell’Europa centrale e orientale è legittima, l’interruzione dei flussi in direzione est-ovest deve essere evitata. È nell’interesse della Francia che gli Stati che partecipano alla GTI si pongano come ponti tra la Russia e l’UE, come l’Ungheria, e non come un sottoinsieme ferocemente opposto a Mosca, che frattura l’Europa.

Nel 2014, la Russia aveva offerto all’Ucraina di aderire al suo progetto di Unione eurasiatica, ma il colpo di Stato a Kiev ha riorientato il Paese verso lo spazio euro-atlantico e un accordo di libero scambio con l’UE. La Russia ha poi sviluppato nel 2016 il progetto della Grande Eurasia, che non era chiuso alla partecipazione dell’UE perché la sua visione era quella di una convergenza di interessi geopolitici comuni a tutto il continente[34]. L’Iniziativa dei Tre Mari, che tende a favorire le relazioni Nord-Sud, è in contraddizione con la visione Est-Ovest che la Russia cerca di mantenere. Dal febbraio 2022 si è diffusa l’isteria di una minaccia russa, che in realtà non esiste per i membri della NATO[35], anche se il conflitto attuale è dovuto principalmente alla mancata considerazione degli interessi di sicurezza della Russia. Mosca reagisce in base alle proprie percezioni, che derivano dal senso di accerchiamento da parte della NATO a causa del suo allargamento, dell’installazione di basi statunitensi in Europa orientale e del nuovo progetto di difesa missilistica. Le crisi georgiana (2008) e ucraina si inseriscono in questo contesto[36].

È necessario un migliore equilibrio geopolitico in Europa per evitare l’egemonia di Washington, che trascina la Francia e gli europei in conflitti contro la Russia e la Cina, a scapito dei loro interessi e ad esclusivo vantaggio dei neoconservatori di Washington e delle burocrazie allineate della NATO e dell’UE. Un confronto a lungo termine con Mosca deve essere evitato, in quanto si ripercuoterebbe su tutta l’Europa e sulla sua vicinanza geografica.

Al termine dell’attuale conflitto, la politica migliore per la Francia sarebbe quella di affermarsi come potenza equilibratrice attraverso un riavvicinamento franco-russo per controbilanciare l’asse euro-atlantico sotto l’egemonia americana. Praticare l’equilibrio non è neutralità, ma permette di controbilanciare il polo troppo dominante con un altro. Sarebbe saggio per la Francia e gli Stati aperti a una ripresa delle relazioni con la Russia – Italia, Spagna, Grecia, Cipro, ma anche Ungheria e Croazia, e auspicabilmente la Germania, se si stacca dalle sue illusioni atlantiste – promuovere un nuovo equilibrio più favorevole ai loro interessi.

Se Mosca rimane in conflitto con quello che chiama “Occidente collettivo”, la cooperazione con i Paesi occidentali – quelli dell’era della Guerra Fredda – rimarrà comunque rilevante, secondo il Cremlino. 37] Su scala globale, la sfida per gli europei è evitare un possibile condominio americano-cinese e la Russia può giocare un ruolo importante in questa prospettiva. Una nuova architettura di sicurezza europea, spesso citata ma mai attuata, che includa la Russia e l’Ucraina, rimane la condizione non solo per la pace in Europa, ma anche per il rilancio del progetto europeo verso un’Europa di nazioni sovrane, alleate e interdipendenti su scala continentale.

 


 

[1] https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

[2] https://www.nytimes.com/2023/03/07/us/politics/nord-stream-pipeline-sabotage-ukraine.html

[3] https://www.reuters.com/world/europe/zelenskiy-aide-kyiv-absolutely-not-involved-nord-stream-attack-2023-03-07/

[4] https://www.youtube.com/watch?v=k93WTecbbks

[5] https://www.epochtimes.fr/la-suede-quitte-lenquete-conjointe-sur-la-fuite-du-nord-stream-et-refuse-de-partager-ses-conclusions-invoquant-la-securite-nationale-2135764.html

[6] « The overarching pillars of the Three Seas Initiative are threefold – economic development, European cohesion and transatlantic ties. The changing nature of global environment calls for their strengthening in order to be able to face new challenges and overcome dynamic threats.

Firstly, the Initiative seeks to contribute to the economic development of the Central and Eastern Europe through infrastructure connectivity, mainly, but not only on the North-South axis, in three main fields – transport, energy and digital.

The second objective is to increase real convergence among EU Member States, thereby contributing to enhanced unity and cohesion within the EU. This allows avoiding artificial East-West divides and further stimulate EU integration.

Thirdly, the Initiative is intended to contribute to the strengthening of transatlantic ties. The US economic presence in the region provides a catalyst for an enhanced transatlantic partnership. » (https://www.three.si/2019-summit).

[7] https://www.bundespraesident.at/aktuelles/detail/drei-meere-initiative-2018

[8] http://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/the-three-seas-summit-a-step-toward-realizing-the-vision-of-a-europe-whole-free-and-at-peace

[9] http://www.atlanticcouncil.org/images/publications/Completing-Europe_web.pdf

[10] Laruelle Marlène, Riviera Ellen, Imagined Geographies of Central and Eastern Europe: The Concept of Intermarium, Institute for Russian European, and Eurasian studies, The Georges Washington University, IERES Occasional Papers, March 2019 (https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/laruelle-rivera-ieres_papers_march_2019_1.pdf).

[11] Montgrenier Jean-Sylvestre, Dubois-Grasset Jeanne, La Pologne, acteur géostratégique émergent et puissance européenne, http://institut-thomas-more.org/2018/06/30/la-pologne-acteur-geostrategique-emergent-et-puissance-europeenne/

[12] https://www.ft.com/content/2e328cba-c8be-11e8-86e6-19f5b7134d1c

[13] https://www.ft.com/content/eb1ebca8-9514-11e5-ac15-0f7f7945adba

[14] « Permanent Structured Cooperation ». Ce projet a pour objectif de rendre la politique de sécurité et de défense européenne plus contraignante. Les États membres s’engagent à mettre en œuvre ensemble des projets de défense sélectionnés.

[15] https://www.consilium.europa.eu/media/32079/pesco-overview-of-first-collaborative-of-projects-for-press.pdf

[16] https://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/news/2018-03-28-action-plan-military-mobility_en

[17] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2016/07/08/eu-nato-joint-declaration/

[18] https://biznesalert.pl/hodges-centralny-port-komunikacyjny-mobilnosc-nato/

[19] https://www.politico.eu/article/dont-put-us-bases-in-poland/

[20] https://wikileaks.org/plusd/cables/08WARSAW1409_a.html

[21] Foucher Michel, La bataille des cartes, Analyse critique des visions du monde, Françoise Bourin, 2011.

[22] https://www.nytimes.com/1992/03/08/world/us-strategy-plan-calls-for-insuring-no-rivals-develop.html

[23] Brzezinski Zbigniew, The Grand Chessboard: American Primacy and its Geostrategic Imperatives, Basic Books, 1997.

[24] Justin Vaïsse, Zbigniew Brzezinski, stratège de l’empire, Odile Jacob, 2016.

[25] Selon Mitchell, l’objectif des Etats-Unis est d’éviter la domination des masses eurasiennes par des puissances hostiles. Ainsi, il précise que « lors de trois guerres mondiales, deux chaudes et une froide, nous avons aidé à unifier l’Occident démocratique pour empêcher nos opposants brutaux de dominer l’Europe et le Rimland à l’ouest de l’Eurasie »[25]. Sans surprise, la Russie et la Chine sont désignées comme les adversaires stratégiques des Etats-Unis alors que la Guerre froide est terminée depuis plus d’un quart de siècle, car ils « contestent la suprématie des USA et leur leadership au XXIe siècle.» On retrouve donc avec constance l’objectif des Etats-Unis de contrôler l’Eurasie afin d’empêcher un rival géopolitique d’y émerger à nouveau et de relativiser leur propre puissance mondiale (https://ee.usembassy.gov/a-s-mitchells-speec).

[26]  Le Président Donald Trump a déclaré lors du sommet de l’Initiative des trois mers le 6 juillet 2017 à Varsovie que « L’Initiative des Trois Mers transformera et reconstruira l’ensemble de la région et veillera à ce que vos infrastructures, tout comme votre engagement en faveur de la liberté et l’état de droit, vous lient à toute l’Europe et, en fait, à l’Occident. (…) L’Initiative des trois mers permettra non seulement à vos peuples de prospérer, mais aussi à vos nations de rester souveraines, sûres et libres de toute coercition étrangère. Les nations libres d’Europe sont plus fortes et l’Occident l’est aussi. Les États-Unis sont fiers de constater qu’ils aident déjà les pays des trois mers à atteindre la diversification énergétique dont ils ont tant besoin. L’Amérique sera un partenaire fiable et sûr dans la production de ressources et de technologies énergétiques de haute qualité et à faible coût. »

[27] Le Financial Times a souligné que « Donald Trump est en train d’opérer un changement radical dans la politique énergétique américaine en utilisant les exportations de gaz naturel comme un instrument de politique commerciale, en se faisant le champion des ventes à la Chine et à d’autres régions d’Asie dans le but de créer des emplois et de réduire les déficits commerciaux américains. Dans une tentative de libérer les ressources énergétiques américaines, M. Trump essaie de promouvoir davantage d’exportations de gaz naturel liquéfié et pas seulement d’utiliser le GNL comme une arme géopolitique visant des nations telles que la Russie, comme c’était la position de son prédécesseur Barack Obama. ». « Trump looks to lift LNG exports in US trade shift », Financial Times, June 22, 2017 (https://www.ft.com/content/c5c1958c-5761-11e7-80b6-9bfa4c1f83d2).

[28]https://www.euractiv.com/section/energy/news/kremlin-accuses-trump-of-trying-to-bully-europe-into-buying-us-lng/

[29] https://www.lalibre.be/economie/conjoncture/2022/10/14/nord-stream-une-grande-section-du-tuyau-doit-etre-coupee-et-remplacee-G6ROQC3BGZF4RLFWETGX7NQ6Q4/

[30] Les sanctions allemandes contre la Russie étaient toujours calibrées afin de ne pas mettre en danger les intérêts fondamentaux de sa puissance économique, tout en satisfaisant les Etats-Unis mais aussi les pays d’Europe centrale et orientale, méfiants vis-à-vis de Moscou. Il s’agissait à la fois d’une politique d’équilibre, de réassurance, et d’endiguement de la Russie sur le plan géostratégique.

[31] https://www.tysol.pl/a23593-Najnowszy-numer-%E2%80%9ETygodnika-Solidarnosc%E2%80%9D-Po-co-Niemcom-Trojmorze-

[32] Thomann Pierre-Emmanuel, Le couple, franco-allemand et le projet européen, représentations géopolitiques, unité et rivalités, L’Harmattan, Paris, 2015.

[33] Le partenariat oriental avait été promu par la Pologne et la Suède pour contrer le tropisme euro-méditerranéen de la France, dans le contexte de la crise provoquée par le projet d’Union méditerranéenne de Nicolas Sarkozy en 2007/2008. L’Allemagne a toujours soutenu le partenariat oriental, mais en agissant dans les coulisses de l’Union européenne. Berlin a bloqué le projet d’Union méditerranéenne de la France pour éviter une division de l’UE et contrer l’émergence de Paris comme chef de file des pays méditerranéens en contrepoids de l’Europe allemande, afin d’éviter une fragmentation de l’Europe en alliances variables, et maintenir la France et les pays du sud de l’Europe dans le giron de l’UE.

[34] Glaser Kukartseva, M. et Thomann, P.-E., “The concept of “Greater Eurasia”: The Russian “turn to the East” and its consequences for the European Union from the geopolitical angle of analysis”, Journal of Eurasian Studies13(1), 3-15, 2022, (https://doi.org/10.1177/18793665211034183).

[35] Aucun État membre de l’OTAN protégé par l’article V n’a pourtant eu de différend militaire avec la Russie.

[36] Thomann Pierre-Emmanuel, « Guerre Russie-Géorgie : première guerre du monde multipolaire », Défense nationale, n°10, octobre 2008 (http://www.ieri.be/fr/node/329).

[37] Vladimir Putin Meets with Members of the Valdai Discussion Club. Transcript of the Plenary Session of the 19th Annual Meeting, october 27, 2022

https://valdaiclub.com/events/posts/articles/vladimir-putin-meets-with-members-of-the-valdai-club/

https://cf2r.org/tribune/sabotage-de-nord-stream-un-acte-de-guerre-contre-la-russie-et-leurope-dans-linteret-de-washington-et-de-linitiative-des-trois-mers/?fbclid=IwAR3FBpQos8PBHZ4c_XXbMi4jE30ZDTTD00jGgXv6DZEJuXWF5Haq6Kj7yqc

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Trittico da Russian Today_a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto i tre articoli di riferimento del testo di Andrew Korybko pubblicato sabato 13 maggio. Buona lettura, Giuseppe Germinario

https://italiaeilmondo.com/2023/05/13/e-prematuro-concludere-che-la-polonia-abbia-sostituito-il-ruolo-della-germania-nella-guida-della-politica-estera-dellue_di-andrew-korybko/

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Andrey Sushentsov: come i “nuovi” membri orientali dell’UE hanno preso il controllo del blocco

Un’espansione mal concepita è costata alla Germania la precedente leadership dell’organizzazione e ha lasciato che la coda scodinzolasse al cane
Andrey Sushentsov: How the EU’s ‘new’ Eastern members have taken control of the bloc

Fyodor Lukyanov: 20 years after Bush declared ‘mission accomplished,’ it’s clear that Iraq was the graveyard of American ambition

Leggi tutto Fyodor Lukyanov: 20 anni dopo che Bush ha dichiarato “missione compiuta”, è chiaro che l’Iraq era il cimitero delle ambizioni americane
In questo contesto, la situazione della Germania, uno dei motori strategici dell’Europa nell’era uscente, è rivelatrice. Berlino ha perso l’iniziativa in politica estera. L’industria e i cittadini tedeschi sono stati condannati a spendere per l’energia tre volte di più rispetto al passato. A questo si aggiunge il fatto che i tedeschi hanno a lungo ritardato la crescita dei salari reali nella loro economia.

In realtà, è stata l’energia russa a basso costo a rendere l’economia tedesca il principale beneficiario dell’integrazione nell’UE. Ora queste basi sono minacciate, perché non è più disponibile. Quindi, presto non sarà più possibile mantenere bassi i salari. Dovranno essere aumentati per evitare un aumento massiccio del malcontento sociale. E questo mette in discussione la sostenibilità del modello economico tedesco.

La crisi ucraina ha portato a una situazione in cui la voce dei Paesi dell’Europa orientale, e della Polonia in particolare, comincia a definire le priorità della politica estera dell’Europa occidentale. Questa situazione è unica nella storia moderna. Molti storici hanno definito l’Europa orientale come “il crocevia dell’Europa”, rendendola un campo di battaglia permanente per gli imperi in competizione. Oggi, i Paesi dell’Europa orientale non solo stanno guadagnando influenza strategica, ma si stanno spostando in prima linea nella politica europea.

L’attuale priorità di Varsavia è quella di trasformarsi nel più grande esercito dell’UE e di creare un importante contrappeso alla Russia sul territorio polacco in caso di sconfitta dell’Ucraina. La Polonia sta creando punti di tensione per la Russia lungo i suoi confini: esercitazioni militari al confine con la regione di Kaliningrad e manovre vicino al confine con la Bielorussia. Tutto ciò dimostra che Varsavia vuole prendere l’iniziativa strategica nell’UE e potrebbe potenzialmente diventarne l’attore principale se il conflitto dovesse andare oltre il territorio dell’Ucraina.

Il dispiegamento di armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia è una mossa congiunta di Mosca e Minsk che ha un carattere di deterrenza e mira a dissipare le illusioni di Varsavia sul fatto che la Russia non sia determinata a mantenere un equilibrio di minacce. È possibile che in futuro l’attuale crisi con l’Occidente inizi ad assomigliare agli anni maturi della Guerra Fredda, con il suo sistema di deterrenza militare reciproca.

Fyodor Lukyanov: come il Partito Verde ha trasformato la Germania in un paese dell’Europa orientale

Un tempo Berlino era un pilastro pragmatico dell’Europa occidentale, ma ha compiuto un’inversione di 180 gradi nella sua politica estera ed economica, che è incredibile da osservare
Fyodor Lukyanov, caporedattore di Russia in Global Affairs, presidente del Presidium del Consiglio per la politica estera e di difesa e direttore di ricerca del Valdai International Discussion Club.
Fyodor Lukyanov: How the Green Party has turned Germany Eastern European
Fyodor Lukyanov: Finland may come to regret joining NATO when everyone sobers up

LEGGI ANCHE: Fyodor Lukyanov: la Finlandia potrebbe pentirsi di aver aderito alla NATO quando tutti si saranno calmati Questa è la base pragmatica di ciò che sta accadendo dal punto di vista dei Verdi.Il sistema occidentale generale rimane intatto, ma c’è una differenza fondamentale rispetto ai tempi passati. In passato, in cambio della cessione di tutti i diritti e i privilegi in materia di sicurezza al suo partner principale, gli Stati Uniti, la Germania era autorizzata a gestire la propria sfera d’influenza commerciale e a perseguire l’espansione economica verso est. Ora, in cambio della promessa di Washington di mantenere l’ombrello di sicurezza, Berlino è disposta ad abbandonare la sua precedente concezione del pragmatismo, a cambiare radicalmente il suo sistema economico in una direzione favorevole agli Stati Uniti e ad assumersi una quota maggiore del carico militare. Di conseguenza, gli sforzi per educare l’élite tedesca ai principi dell’atlantismo incondizionato, in cui sono stati investiti enormi sforzi per decenni, stanno ora dando i loro frutti al 200%. Se a questo si aggiunge che Berlino sta diventando il principale centro della diaspora russa anti-Cremlino, per ragioni sia oggettive che soggettive, si ha un quadro perfetto di una svolta a 180 gradi. O, per usare la terminologia del ministro degli Esteri dei Verdi Annalena Baerbock, di 360 gradi.

Timofey Bordachev: Gli Stati Uniti stanno umiliando la Germania e i russi sono profondamente delusi per la mancanza di spina dorsale delle élite berlinesi

Questo “divorzio” sembra politicamente motivato e artificiale, e un giorno le cose probabilmente cambieranno
Timofey Bordachev: The US is humiliating Germany, and Russians are deeply disappointed at the spinelessness of Berlin’s elites

Timofey Bordachev: Here’s why Macron’s call to break away from US control is just meaningless posturing

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Timofey Bordachev: Ecco perché l’appello di Macron a staccarsi dal controllo degli Stati Uniti è solo una postilla senza senso
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I russi e i tedeschi sembrano andare d’accordo. Durante diversi secoli di vicinanza, a partire dalla metà del XVI secolo, abbiamo collaborato in modo piuttosto proficuo. Detto questo, siamo anche inclini a combatterci e negli ultimi cento anni ci sono stati due conflitti violenti. La prima volta, la guerra è stata causata dallo sviluppo di un sistema di imperi europei che erano destinati a scontrarsi prima o poi. La seconda volta Mosca ha dovuto combattere contro Berlino, quando i tedeschi sono impazziti collettivamente in seguito alla sconfitta e all’umiliazione subita nel 1918 e, con la consueta diligenza, si sono lanciati nelle più orribili atrocità della storia umana.

Il riluttante passaggio alla competizione tra Russia e Germania è il risultato dell’attuale scisma, un fenomeno accidentale causato da circostanze particolari. Entrambi sanno che la cooperazione è in ultima analisi nel loro interesse vitale. Ciò non significa, tuttavia, che il conflitto, che ora si sta approfondendo, sarà di breve durata; potrebbe anche durare per una generazione. Ma le due potenze non sono certo condannate a un confronto perpetuo.

Il sentimento principale nelle relazioni russo-tedesche è attualmente quello della delusione. Siamo profondamente delusi da quanto i tedeschi si siano dimostrati privi di spina dorsale di fronte all’influenza americana negli affari europei. Da Berlino ci si aspettava molto di più e la forza economica del Paese costituiva una base molto concreta per queste aspettative. Ora le autorità tedesche non solo hanno distrutto le basi delle relazioni economiche con la Russia, ma stanno gradualmente diventando uno dei più importanti sponsor dell’Ucraina.

Fyodor Lukyanov: How the Green Party has turned Germany Eastern European

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Fyodor Lukyanov: Come il Partito Verde ha trasformato la Germania in Europa orientale
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Da parte sua, la Germania è arrabbiata perché la Russia ha involontariamente messo l’ultimo chiodo nella bara del pacifico dominio di Berlino sul resto dell’Europa occidentale. Questo stava già diventando sempre più problematico con il ritiro della Gran Bretagna dall’Unione Europea, il rafforzamento della posizione politica della Polonia e il sabotaggio di una Francia sempre più debole. Gli Stati Uniti sapevano di avere un’occasione d’oro per attivare tutte le loro risorse europee e spingere i tedeschi nelle grinfie della piena responsabilità della NATO, da cui avevano cercato di sfuggire dalla fine della Guerra Fredda.

In entrambi i casi, la ragione fondamentale dell’irritazione reciproca è la distruzione del quadro ideale del futuro dal punto di vista di ciascuno degli attori. La questione è quanto durerà il raffreddamento e quali cambiamenti potrebbero verificarsi nel frattempo. Pochi Paesi al mondo sono così idealmente adatti l’uno all’altro come la Russia e la Germania, o più precisamente il popolo russo e quello tedesco. In termini di geopolitica eurasiatica, queste due comunità sociali si bilanciano al centro del vasto continente, con la Cina e la Gran Bretagna (più gli Stati Uniti) alla periferia.

Dal punto di vista economico, la popolazione e la densità industriale della Germania sono ideali per le esportazioni di energia della Russia. Culturalmente, russi e tedeschi sono gli opposti che si attraggono. Non è una coincidenza che così tanti nativi tedeschi si siano ritrovati nella funzione pubblica, nella vita culturale e nel mondo degli affari della Russia zarista.

La moderazione tedesca è esattamente ciò che manca alla sconfinata natura russa. Negli ultimi decenni è diventato normale vedere un manager tedesco che lavora pazientemente da qualche parte a Urengoy. Per i tedeschi, noi siamo quelli che non li guardano con l’arroganza dei francesi o degli anglosassoni.

Kirill Strelnikov: Western ‘experts’ thought they would destroy Russia’s economy. They failed

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Kirill Strelnikov: Gli “esperti” occidentali pensavano di distruggere l’economia russa. Hanno fallito
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Storicamente, la Russia e la Germania sono industrializzatori tardivi, molto indietro rispetto a Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e al loro “hub” logistico e finanziario costituito dai Paesi del Benelux. Ecco perché il XX secolo è stato così crudele per entrambe le grandi potenze: ha consolidato la leadership dei principali Paesi capitalisti e ha portato gli altri sull’orlo della sopravvivenza. La Russia ne è uscita con maggior successo. Solo l’impero è andato perduto, ma abbiamo mantenuto la piena sovranità e il controllo sul nostro territorio. La Germania è stata meno fortunata e, in seguito agli eventi del secolo scorso, è stata di fatto privata del diritto di determinare il proprio destino e sottoposta al controllo degli Stati Uniti. Tuttavia, fino a poco tempo fa, l’élite tedesca poteva decidere sulle relazioni economiche con l’estero, ma ora anche questo “privilegio” le viene tolto.

La crisi generale dell’economia mondiale e l’arretramento dell’Occidente dalla sua posizione di dominio globale incondizionato che dura da 500 anni richiedono una ristrutturazione interna. O, per lo meno, lo costringono a cercare nuovi formati. Chiunque sia alla guida della Germania dovrebbe essere in grado di farlo, ma il Cancelliere Scholz è un leader debole e i suoi socialdemocratici sono in una delle loro peggiori condizioni come forza politica. Gli altri due partiti sono i Verdi e i Liberaldemocratici.

Secondo autorevoli esperti russi di affari interni tedeschi, i Verdi sono un insieme di moralisti esaltati per i quali la lotta contro la Russia e l’amicizia con gli Stati Uniti sono una questione di fede. Personalmente, trovo questo punto di vista difficile da accettare. Penso che l’irresponsabilità di Baerbock, ad esempio, non sia altro che il prodotto di un puro carrierismo da parte di un politico che non è sostenuto da nessuno dei gruppi conservatori con chiari interessi economici. Ma forse mi sbaglio e c’è davvero posto per la pura ideologia nella politica tedesca.

 

‘Truth is our most potent weapon’ – ex-US Navy technician behind pro-Russian ‘Donbass Devushka’ collective

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La verità è la nostra arma più potente”: l’ex tecnico della Marina statunitense dietro il collettivo filorusso “Donbass Devushka”.
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Tanto più che la dimensione della “classe creativa” che non produce beni pubblici è significativa anche in Germania. La politica dei Verdi è ora diretta contemporaneamente contro il modello economico tedesco classico – con la sua dipendenza dalle risorse energetiche russe – e contro Mosca stessa come simbolo di solidarietà con l’agenda globale dell’Occidente. L’allontanamento dalla Russia e l’avvicinamento all’Atlantico sono decisivi, ma allo stesso tempo le possibilità di autosufficienza stanno diminuendo. Solo pochi giorni fa, l’ultima centrale nucleare in Germania è stata chiusa con una cerimonia.

Allo stesso tempo, gli elettori del Paese sono silenziosi come quelli della tragedia di Alexander Pushkin “Boris Godunov”. I cittadini tedeschi comuni non vogliono essere coinvolti in un conflitto con la Russia, il che significa che il divario tra l’élite e la popolazione sta crescendo. La forma emergente del rapporto della Germania con il suo grande vicino orientale ha un carattere decisamente politico e artificiale.

In Russia, i tedeschi in quanto tali non sono universalmente antipatici. A differenza dei polacchi o degli inglesi, per esempio. Non possiamo quindi dire quanto durerà l’attuale deterioramento delle relazioni. Ma non ho particolari dubbi che a una nuova svolta della storia Russia e Germania si incontreranno di nuovo e torneranno ad essere amiche.

https://www.rt.com/news/575383-us-is-humiliating-germany/

https://www.rt.com/news/575253-green-party-germany-economic-policy/

https://www.rt.com/news/575972-eastern-europeans-have-taken-control/

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IL SIGNORAGGIO DEL SISTEMA FINANZIARIO. UNA RIFLESSIONE, di Luigi Longo

IL SIGNORAGGIO DEL SISTEMA FINANZIARIO. UNA RIFLESSIONE

di Luigi Longo

La finanza è un’arma, la politica è sapere

quando tirare il grilletto.

don Vito Lucchesi*

Ho trovato utile lo scritto Signoraggio e green transition di Marco Della Luna, apparso sul suo sito www.marcodellaluna.info il 26/2/2023, perché stimola una riflessione sul ruolo del denaro a partire da un campo delicato ma non fondamentale come il sistema finanziario che viene utilizzato dagli agenti strategici dominanti e sub-dominanti per le loro strategie di potere e di dominio (qui il denaro è inteso come rapporto sociale la cui accumulazione e appropriazione seguono diverse strade nelle ineguali sfere costituenti la società economica, politica, culturale, sociale).

Lo scritto fa riflettere, inoltre, sulla egemonia del sistema finanziario basato sulla valuta del dollaro (USA) che viene messa in discussione dall’avanzare di altri sistemi finanziari basati sulle valute dello yuan, del rublo, della rupia (che esprimono altri modelli di sviluppo ancora da capire bene) del costruendo polo asiatico che ha dato una svolta decisiva, a seguito dell’aggressione Usa alla Russia via Nato-EU-Ucraina, alla fase multicentrica mondiale. Pepe Escobar, riportando una sintesi dell’intervista a Sergey Glazyev (ministro incaricato per l’Integrazione e la Macroeconomia dell’Unione Economica dell’Eurasia nonché noto politico ed economista russo), così scrive << In sostanza, secondo Glazyev, la Russia, pesantemente sanzionata, non assumerà un ruolo di leadership nella creazione di un nuovo sistema finanziario globale. Questo ruolo potrebbe spettare all’iniziativa di sicurezza globale della Cina. La divisione in due blocchi sembra inevitabile: la zona dollarizzata – con l’eurozona incorporata – in contrasto con la maggioranza del Sud globale che utilizzerà un nuovo sistema finanziario e una nuova valuta commerciale per gli scambi internazionali. A livello interno, le singole nazioni continueranno a fare affari nelle loro valute nazionali. >> (1). Sulla efficacia relativa delle sanzioni, nei confronti della Russia da parte degli USA-NATO, e sul non sense del considerare un indicatore economico come il PIL (Prodotto Interno Lordo) per misurare la forza di una nazione riporto una interessante osservazione di Giorgio Ardeni e Francesco Sylos Labini:<< Il Pil totale della Federazione Russa, valutato in termini reali a prezzi 2017 a parità di potere d’acquisto […] tra il 1990 e il 2021 è cresciuto di pochissimo, passando dai 3.180.000 ai 4.080.000 miliardi di dollari. Il Pil pro capite, dopo il crollo degli anni Novanta, è invece passato dai 12.358 dollari del 1998 ai 27.960 del 2021, a metà circa tra quello cinese e quello europeo, quindi. Il Pil totale di Russia e Bielorussia, però, rappresenta appena il 3,3% del Pil occidentale o dei Pca (Paesi capitalistici avanzati, mia precisazione) (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud). Inoltre, una delle maggiori entrate per la Russia era rappresentata dall’esportazione di gas e petrolio verso l’Europa. Per questo motivo, allo scoppiare della guerra, si era convinti che la Russia, con l’imposizione delle sanzioni, sarebbe stata schiacciata economicamente. Tuttavia, il rublo ha guadagnato l’8% rispetto al dollaro e il 18% rispetto all’euro dalla vigilia dell’ingresso in guerra. L’economia russa non solo ha retto bene il peso delle sanzioni, ma è stata capace di rivolgersi verso altri Paesi per l’esportazione di materie prima e l’importazione di tecnologia (quello che era un tempo l’accordo con la Germania, energia a basso costo in cambio di tecnologia) mentre l’industria bellica, fino ad ora, è riuscita a rifornire l’esercito. Come spiegare questa dinamicità economica se il Pil è così modesto? (corsivo mio, LL).

La guerra diventa un test dell’economia politica, è il grande rivelatore: ci si chiede come questo Pil insignificante possa affrontare la guerra e continuare a produrre missili. Todd fa notare che il motivo è che il Pil è una misura fittizia della produzione (corsivo mio, LL), soprattutto per un Paese con grandi risorse di materie prime come la Russia: «Se si sottrae dal Pil americano metà delle sue spese sanitarie sovrafatturate, poi la “ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più affollate del mondo, poi da un’intera economia di servizi scarsamente definiti tra cui la “produzione” dei suoi 15-20.000 economisti con uno stipendio medio annuo di 120 mila dollari, ci rendiamo conto che una parte importante di questo Pil è solo vapore acqueo. La guerra ci riporta all’economia reale, rende possibile capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, la capacità produttiva e quindi la capacità di guerra. Se torniamo alle variabili materiali, vediamo l’economia russa. Nel 2014, abbiamo messo in atto le prime importanti sanzioni contro la Russia, ma essa ha da allora aumentato la sua produzione di grano, che va da 40 a 90 milioni di tonnellate nel 2020. Mentre, grazie al neoliberismo, la produzione americana di grano, tra il 1980 e 2020, è passata da 80 a 40 milioni di tonnellate. La Russia è anche diventata il primo esportatore di centrali nucleari. Nel 2007, gli americani hanno spiegato che il loro avversario strategico era in un tale stato di decadimento nucleare che presto gli Stati Uniti avrebbero avuto una capacità di primo colpo atomico su una Russia che non avrebbe potuto rispondere. Oggi i russi sono in superiorità nucleare con i loro missili ipersonici. La Russia ha quindi un’autentica capacità di adattamento. Quando vuoi prendere in giro le economie centralizzate, sottolinei la loro rigidità, mentre quando fai l’apologia del capitalismo, ne vanti la flessibilità. Giusto. Affinché un’economia sia flessibile, prendi ovviamente il mercato dei meccanismi finanziari e monetari. Ma prima di tutto, hai bisogno di una popolazione attiva che sappia fare delle cose. Gli Stati Uniti hanno ora più del doppio della popolazione della Russia (2,2 volte nelle fasce di età degli studenti). Resta il fatto che con proporzioni da parte di coorti comparabili di giovani che fanno istruzione superiore, negli Stati Uniti, il 7% sta studiando ingegneria, mentre in Russia è il 25%. Ciò significa che con 2,2 volte meno persone che studiano, i russi formano il 30% di più ingegneri. Gli Stati Uniti colmano il buco con studenti stranieri, ma che sono principalmente indiani e ancora più cinesi. Questa risorsa di sostituzione non è sicura e già diminuisce. È il dilemma fondamentale dell’economia americana: può affrontare la concorrenza cinese solo importando forza lavoro qualificata cinese. Propongo qui il concetto di bilanciamento economico. L’economia russa, da parte sua, ha accettato le regole operative del mercato (è persino un’ossessione per Putin quella di preservarle), ma con un ruolo grandissimo dello Stato (corsivo mio, LL). E si tiene anche la sua flessibilità della formazione di ingegneri che consentono gli adattamenti, sia industriali che militari». Sulla produzione di armi Todd aggiunge:<< Una delle cose sorprendenti in questo conflitto, e questo lo rende così incerto, è che pone (come qualsiasi guerra moderna) la questione dell’equilibrio tra tecnologie avanzate e produzione di massa. Non vi è dubbio che gli Stati Uniti abbiano alcune delle tecnologie militari più avanzate, che a volte sono state decisive per i successi militari ucraini. Ma quando si entra nella durata, in una guerra di logoramento, non solo dalla parte delle risorse umane, ma anche di quelle materiali, la capacità di continuare dipende dal settore della produzione di armi più basso. E troviamo, vedendolo ritornare dalla finestra, la questione della globalizzazione e il problema fondamentale degli occidentali: abbiamo trasferito una proporzione tale delle nostre attività industriali che non sappiamo se la nostra produzione di guerra può proseguire. Il problema viene ammesso. La Cnn, il New York Times e il Pentagono si chiedono se l’America riuscirà a rilanciare le catene di produzione di questo o quel tipo di missile. Ma non sappiamo se i russi saranno in grado di seguire il ritmo di un tale conflitto. Il risultato e la soluzione della guerra dipenderanno dalla capacità dei due sistemi di produrre armamenti» >>. (2).

Dopo questa lunga e interessante considerazione, riprendo la mia riflessione. Leggere il denaro come rapporto sociale permette di capire come si configurano gli agenti strategici egemonici (sia nelle diverse sfere sociali sia nell’insieme della società) che decidono le sorti delle rispettive potenze mondiali di appartenenza, delle loro aree di influenza e dell’equilibrio/squilibrio nelle diverse fasi del sistema mondiale (monocentrica, multicentrica e policentrica).

Nelle società occidentali e orientali (non interessa in questo scritto evidenziare le loro differenze storiche), basate sul modo di produzione capitalistico, il lavoro, la natura, le risorse, le materie prime sono merci e vengono utilizzate tenendo conto di un solo parametro che è quello della razionalità strumentale (minimo costo e massimo risultato) senza curarsi delle conseguenze sociali (nelle diverse articolazioni che compongono i popoli) e naturali (nelle diverse declinazioni ambientali, paesaggistiche, ecologiche e territoriali). << Il disvelamento, ormai indispensabile, dell’ideologia che predica la predominanza della razionalità del minimo mezzo (o massimo risultato) implica la comprensione che quest’ultima è invece puramente strumentale […] ed è dunque subordinata all’azione strategica, alle sue finalità di conflitto per conseguire una supremazia. Questo conflitto è politico in qualsiasi sfera sociale (economica, politica, ideologico-culturale) si esprima (corsivo mio, LL), pur se viene svolto con modalità particolari (e con diverse “ampiezze d’orizzonte”) nelle differenti sfere >> (3).

Pertanto la transizione ecologica (la green transition), che presuppone una rivoluzione dentro il capitale in termini di produzione e riproduzione della vita e delle sue forme territoriali (dalle città alle campagne), così come viene avanzata, a prescindere dal suo reale utilizzo e coordinamento mondiale, ha come obiettivo non un modello sociale basato sul benessere individuale e sociale dentro gli equilibri della natura ma un modello che produce la distruzione economica, politica e sociale di Paesi che, non avendo la forza per uno sviluppo autodeterminato (a partire dagli interessi della maggioranza della popolazione), sono sottoposti alle scelte strategiche delle potenze mondiali che impongono (con il consenso e con la coercizione) il loro modello di sviluppo egemone, basato su tecnologie e risorse rinnovabili, non mature, credendo di affrontare così gli squilibri sociali e naturali prodotti da uno sviluppo ineguale!: è solo pura ideologia nell’accezione marxiana del termine. Si pensi, per esempio, al processo di americanizzazione del territorio europeo, campo ancora poco esplorato e studiato.

Così Marco della Luna: << E’ controverso quanto delle alterazioni climatiche in atto sia naturale e quanto di origine antropica; ma è evidente che, senza profondi e rapidi mutamenti, una catastrofe per via climatica o di esaurimento delle risorse o di inquinamento è inevitabile e imminente – salvo forse ricorrere a complottistiche azioni di depopolamento rapido.

L’Occidente e l’Unione Europea in particolare stanno imponendo misure molto costose di green transition, dalla fine dei motori termici e delle caldaie di riscaldamento ai cappotti per le case. Centinaia di miliardi solo per l’Italia. Tali misure sono ancora allo stadio della speculazione politico-ideologica, perché non ha senso che ci imponiamo onerose restrizioni mentre il resto del mondo continua come prima, facendoci concorrenza; e anche perché esse materialmente non sono realizzabili, dato che, per alimentare tutte le automobili elettriche e le pompe di calore la produzione di elettricità dovrebbe essere ventuplicata in 12 anni (80 centrali termonucleari nella sola Italia). Ma presto, se non sopravverrà prima la catastrofe, e se Cina, India etc. si lasceranno coinvolgere, sarà giocoforza fare una conversione seria e molto costosa preparata da una adeguata ricerca tecnologica, che questo mondo, indebitato per un multiplo della somma dei PIL, non può sostenere. Se la catastrofe invece sopravverrà, bisognerà poi finanziare la ripartenza, e anche questo richiederà molto denaro. >> (4).

Il denaro (5), sia inteso come processo di accumulazione del capitale (la marxiana formula di D-M…P…M’-D’) (6), sia inteso come creazione dal nulla (7) da parte dello Stato (considerato come strumento nei rapporti sociali della società storicamente e territorialmente data), viene gestito come mezzo del conflitto tra gli agenti strategici delle diverse sfere sociali (economica, finanziaria, politica, culturale, eccetera), in particolare da quelli della sfera finanziaria che va vista come parte di un blocco politico egemone teso alle strategie, alla gestione e alla esecuzione del potere e del dominio. L’espansione finanziaria (8) rappresenta sia le crisi profonde e sistemiche delle società cosiddette capitalistiche dei singoli Paesi, sia le fasi di transizione (crisi d’epoca) caratterizzate dal conflitto tra potenze per il dominio mondiale come questa che stiamo vivendo. Secondo Fernand Braudel:<< [Ogni] sviluppo capitalistico di tale portata sembra annunciare, entrando nello stadio dell’espansione finanziaria, una sorta di maturità: [è] il segnale dell’autunno >> (oggi decadenza del ciclo egemonico statunitense) (9).

Pertanto, per dirla con Domenico de Simone, << In questo sistema i valori monetari nascondono ricchezza reale che viene sottratta a chi la produce per essere distribuita in maniera ineguale nel mercato finanziario sulla base dei rapporti di forza e non di capacità produttive. Le emissioni monetarie ed i titoli del debito pubblico sono gli strumenti a mezzo dei quali viene operata questa indebita appropriazione di ricchezza.>> (10). La destrezza nell’uso degli strumenti finanziari serve alla lotta tra gli agenti strategici per la conquista della loro egemonia sia nella sfera di appartenenza (economica, finanziaria, politica, culturale, eccetera) sia nell’insieme della società (11). Vedere la sfera della finanza in maniera autonoma ed egemonica, invece di considerarla come parte del conflitto nelle strategie politiche, è fuorviante perché non fa capire il conflitto strategico tra gruppi dominanti per il potere (nelle diverse sfere sociali) e per il dominio (nell’insieme della società) sia a livello nazionale sia a livello mondiale. In questa logica il processo di de-dollarizzazione (12) in atto è la messa in discussione di un ordine mondiale coordinato dagli USA (la fine della fase monocentrica) basato sul sistema finanziario del dollaro che è l’espressione di un modello di sviluppo economico, sociale e politico, di un modo di intendere la produzione e riproduzione della vita. La ricerca di un nuovo ordine (il nuovo nomos schmittiano) (13) avanzato dalle potenze che stanno configurando il polo asiatico, presuppone la nascita di un sistema finanziario basato sulle diverse monete (negli scambi Paese-Paese e mondiali) che sarà espressione di un nuovo modello, di una nuova idea di società (tutta da capire) in un mondo multicentrico dove l’equilibrio dinamico tra le potenze sarà garantito da una condivisione basata sul rispetto, sull’autodeterminazione, sulla democrazia, sulla sovranità e sul vantaggio reciproco nelle relazioni tra i Paesi.

Sullo sfondo si giocano due diversi modi di intendere le relazioni mondiali: da una parte, gli USA, come espressione di una egemonia assoluta dell’Occidente (modello monocentrico) e dall’altra, Cina e Russia (in particolare), come espressione di una egemonia relativa dell’Oriente in cui la diversità storica, territoriale e sociale sia mezzo di confronto, di crescita e di stimolo (modello multicentrico) (14). Spero che si affermi il modello multicentrico!

Marco Della Luna però non aiuta a capire come si configurano gli agenti strategici egemoni che sono dati dal conflitto in tutte le diverse sfere della società, che possono avere pesi specifici diversi (il marxiano fascio di luce che illumina) nelle differenti fasi della storia nazionale e mondiale, quando sostiene che :<< […] tutto il denaro, tranne quello metallico, viene creato (dalle banche centrali e da quelle ordinarie) senza una copertura aurea (o di altro genere), ossia dal nulla e a costo pressoché nullo, e prestato (agli stati e ai soggetti privati) contro interesse. Il denaro legale è costituito dalle banconote delle banche centrali. Il restante denaro è denaro contabile o scritturale, generato in piccola parte dalle banche centrali, e per il 90% circa dalle altre dalle banche, mediante semplice scritturazione contabile (ripeto: senza copertura in oro o altro valore). La Banca d’Italia, nei suoi bollettini, attesta che le banche italiane creano così ogni anno mediamente 1.000 miliardi di euro – che vanno a debito dei prestatari. La moneta contabile o scritturale non preesiste al prestarla, non viene prelevata da una riserva o altra voce di bilancio, bensì (per quanto suoni lontano dal pensiero comune) viene creata con l’atto di prestarla, digited into existence and lent into circulation. Orbene, mentre le leggi prevedono e regolano la creazione e immissione della moneta legale (banconote), niente dicono della moneta contabile o scritturale, la quale, giuridicamente, sia che si concreti come saldo attivo di conto corrente, che come importo di un assegno circolare o altro, costituisce una promessa di pagamento/ricognizione di debito di moneta legale (banconote) da parte della banca emittente verso il titolare del conto corrente o il legittimo portatore dell’assegno. Solo che l’aggregato di tale moneta è circa il decuplo dell’aggregato della moneta legale esistente, la quale per giunta è quasi interamente detenuta dai cittadini – sicché i depositi bancari e gli assegni circolari sono scoperti al 998 per mille circa – ma non è questo il problema, almeno finché non parte un bank rush, ossia una corsa al ritiro dei depositi! Il problema centrale è che la potestà di creazione ed emissione della moneta contabile-scritturale, che è il sangue dell’economia, non è prevista né disciplinata dalle leggi, anche se le leggi bancarie (ad es. TUB art. 10) non autorizzano le banche a creare moneta, ma solo a intermediarla – quindi, in realtà, questa potestà è negata, esclusa dalla legge (con la conseguenza giuridica che tutta l’attività di creazione monetaria in questione è illecita, quindi sono illeciti i contratti di mutuo, etc. etc.). Essa è però detenuta ed esercitata di fatto (e non di diritto), sotto le mentite spoglie di “esercizio del credito”, in regime di cartello, dai titolari di licenza bancaria, ossia dalla comunità bancaria, creando ed emettendo questa moneta contabile, che non può essere la moneta legale “Euro”, col nome abusivo di “Euro”. E’ esercitata privatamente, senza rendere conto all’interesse generale delle sperequazioni, dei danni, degli abusi, stante che le banche centrali, che dovrebbero sorvegliare sull’esercizio del credito, sono controllate dagli stessi titolari delle licenze bancarie, i quali hanno un potere condizionante sulla politica, data anche la loro capacità di dare il rating al debito pubblico.>>.

La domanda che si pone, a questo punto, è: chi detiene il potere della creazione del denaro dal nulla e quale ruolo assume questo capitale finanziario sia nella messa a valore dei differenti sistemi di sviluppo territoriali nazionali sia nell’allargamento delle aree di influenza delle nazioni-potenze? (15).

La ricchezza come mezzo di potere degli agenti strategici per il dominio nella società è illimitata (già Aristotele parlava della crematistica come produzione della ricchezza senza limiti) (16) e non è condizionata, se interpreto correttamente Marco Della Luna, dal fatto che:<< il sistema monetario moderno è compatibile solo con un’economia in continua espansione, perché si basa sulla moneta indebitante: il money supply è generato mediante prestiti (allo stato, ai privati) gravati di interessi composti, che, matematicamente, nel tempo, aumentando il capitale dovuto, ossia la base per gli interessi che via via maturano, richiedono che il sistema crei nuova moneta, sempre a debito, per pagare gli interessi e rimborsare eventualmente il capitale. La moneta emessa a debito crea dunque, macroeconomicamente, una necessità di continua crescita del fatturato come condizione per evitare il default >>, perché il limite infinito del processo di accumulazione del capitale è una conditio sine qua non della sua esistenza come modello di produzione e riproduzione della società storicamente e territorialmente data (17). David Harvey sostiene che << Il capitale […] crea un paesaggio fisico e relazioni spaziali adeguati ai suoi bisogni e ai suoi scopi (sia nella produzione che nel consumo) in un certo punto del tempo, solo per scoprire che ciò che ha creato diventa antagonista ai suoi bisogni in un punto futuro nel tempo. Fa parte della dinamica dell’accumulazione capitalistica la necessità di “costruire interi paesaggi e relazioni spaziali solo per farli a pezzi e ricostruire di nuovo in futuro” […] I regimi di valore regionali possono essere annidati a scale diverse. Sono identificabili negli Stati. […] I regimi di valore regionali sono configurazioni instabili e fluttuanti di influenza e di potere che esistono e hanno manifestazioni potenti anche se non hanno una definizione materiale chiara. Abbiamo iniziato questa esplorazione dello spazio e del tempo entro cui le leggi del moto del valore si impongono, con l’affermazione, più che plausibile, che è nella natura del capitale stesso conquistare e costruire il mercato mondiale. Ora, dopo aver percorso il terreno contraddittorio su cui queste leggi devono operare, vediamo che è nella natura del capitale anche frantumare l’uniformità, l’omogeneità e la razionalità sovrasensibile del mercato mondiale, in così tanti frammenti potenzialmente pericolosi e incompatibili di eterogeneità, differenza e sviluppo geografico disuguale, indipendentemente da tutti gli errori irrazionali umani che macchiano di sangue e fango la storia collettiva dell’umanità. Che tutto questo si trasformi in lotte geopolitiche fra blocchi di potenze sulla scena mondiale è questione di grande rilievo. La storia geopolitica del capitalismo è stata una faccenda piuttosto sgradevole (e continua a esserlo minacciosamente). Considerazioni che derivano dalla creazione di regimi di valore distinti nello spazio e nel tempo hanno un ruolo delicato in quella geografia storica.>> (18).

Il problema che si pone, in conclusione di questa riflessione, a partire dal sistema di signoraggio finanziario, è quello di capire qual è il ruolo che gli agenti strategici svolgono, sia attraverso il processo di accumulazione del capitale sia attraverso la creazione dal nulla della moneta, nel determinare il sistema di sviluppo territoriale sia a livello delle nazioni sia a livello mondiale (con relative aggregazioni territoriali: grandi aree, macroregioni, altro). La sovranità e l’autodeterminazione dei sistemi territoriali non va inquadrata nella logica economicistica ma nella logica dell’insieme delle sfere che compongono la società cosiddetta capitalistica. La comprensione di quanto fin qui sostenuto se fosse agito dai nuovi soggetti sessuati (19) che hanno consapevolezza dell’interezza della vita vissuta (che dà un senso alla esistenza) porterebbe alla trasformazione della realtà sociale storicamente e territorialmente data con la costruzione di un nuovo ordine sociale (20).

Intanto la fase multicentrica è decisamente avviata e le potenze mondiali in ascesa (il costituendo polo asiatico allargato) (21) sono decisamente determinate a mettere in discussione quello che Marco Della Luna definisce << […] il signoraggio monetario, come strumento di dominio globale, sia in via di affiancamento col signoraggio biologico, iniziato con le sementi ogm terminator, con le quali multinazionali come Monsanto mettono gli agricoltori in condizione di dipendenza rigida da esse per la fornitura sia dei semi che della chimica, senza di cui non possono produrre. Iniziato così anni or sono, oggi continua con farmaci modificanti il DNA e l’RNA dell’uomo, e con cose come la carne sintetica. Credo che stiamo passando da un sistema finanziario basato sulla moneta indebitante e che si regge sull’espansione consumistica di beni e servizi ad alto impatto ambientale (come l’automobile), quindi insostenibile, a uno sempre basato sulla moneta indebitante e sull’espansione consumistica, ma di beni e servizi medico-farmaceutici, a basso impatto ambientale, quindi eco-sostenibile. La popolazione, sempre più immuno-depressa e malata (o che si percepisce malata), spenderà il reddito disponibile per curarsi (con farmaci più o meno efficaci e tossici). Questo sistema agevolerà anche la soluzione del problema ecologico per via demografica, incidendo sulla fertilità e sulla durata media della vita, che già si sono ridotte. […] esiste anche, ed è importantissimo per gli equilibri geopolitici, il signoraggio monetario internazionale, attuato dagli USA dal ’44 in poi, e soprattutto dal 1971, ossia da quando Nixon liberò il Dollaro dalla convertibilità aurea, così da permettere a Washington di comperare da tutto il mondo a costo zero, semplicemente stampando carta (o digitando numeri) e imponendo la sua accettazione e il suo uso come moneta obbligatoria di riserva e per i pagamenti internazionali, soprattutto delle materie prime. Imposizione attuata mandando ora la CIA, ora le forze armate, in giro per il mondo a eliminare i governi (Indonesia, Cile, Iraq, Libia…) che, tentando di usare altre valute, minacciavano questo dominio del Dollaro, dal quale dipende anche la capacità degli USA di operare globalmente come estrattore (predatore) ‘imperiale’ di ricchezze prodotte da altri e di mantenere il loro enorme apparato militare e alti livelli di consumismo interno anche dopo il trasferimento all’estero di gran parte della loro capacità produttiva.

Da tempo si parla di crisi di questo signoraggio internazionale del Dollaro, di un processo in corso di de-dollarizzazione globale – processo che è il fulcro della proxy war in Ucraina >>.

*L’epigrafe è tratta dal film di Francis Ford Coppola, Il Padrino. Trilogia dei Corleone, parte terza, 1990.

NOTE

1. Pepe Escobar, Sergey Glazyev: “la strada verso il multipolarismo finanziario sarà lunga e irta di ostacoli”, www.comedonchisciotte.com, del 15/3/2023. Per un approfondimento su questi temi si rimanda a Pepe Escobar, Lo zar russo della geoeconomia Sergey Glazyev introduce il nuovo sistema finanziario globale, www.comedonchisciotte.com, del 22/4/2022 e a Sergev Glazvev, L’ultima guerra mondiale, Knizhny Mir, Mosca, 2016, (traduzione russo-inglese).

2. Pier Giorgio Ardeni-Francesco Sylos Labini, Mondo senza pace la responsabilità delle grandi potenze e la necessita di un nuovo equilibrio-economico, www.left.it, 30/3/2023, pp.7-9; si veda anche Patricia Adams e Lawrence Solomon, L’ascesa della Russia, www.maurizioblondet.it, 17/4/2023.

3. Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008, pag.19; per una maggiore comprensione della differenza tra razionalità strumentale e razionalità strategica si legga tutta la parte Per una nuova indipendenza, pp.25-102.

4. Su questi temi intrecciati con la guerra scatenata dagli Usa (via Nato-Europa-Ucraina) contro la Russia si veda anche F.William Engdahl, L’agenda verde a zero emissioni di carbonio è impossibile sotto tutti i punti di vista, www.comedonchisciotte.org, 13/4/2023; Stefano Fantacone-Demostenes Floros, Crisi o transizione energetica? Come il conflitto in Ucraina cambia la strategia europea per la sostenibilità, Diarkos, Santarcangelo di Romagna (RN), 2022; Valeria Poletti, Il costo sociale della guerra, www.ariannaeditrice.it, 9/5/2023.

5. Sul termine denaro per distinguerlo da quello di moneta si rinvia a Carlo Boffito, Teoria della moneta, Einaudi, Torino, Parte terza, 1973; Suzanne De Brunhoff, La moneta in Marx, Editori Riuniti, Roma, 1973; Andrea Fumagalli, Suzanne De Brunhoff, Karl Marx e il dibattito sulla moneta, www.sinistrainrete.info, 19/4/2023. Così Alfred Sohn-Rethel:<< E’ il denaro e proprio il denaro nella sua forma monetaria, prodotta per la prima volta nel 680 a.C. nella Ionia, il termine di mediazione che stabilisce il nesso tra la realtà sociale e l’identità concettuale delle stesse astrazioni formali. Infatti l’astrattezza dello scambio delle merci si manifesta solo nel denaro coniato. Finché il denaro si presenta ancora nella sua rozza forma metallica come oro, o argento o rame ecc. e deve essere diviso, pesato, esaminato nel suo titolo in ogni traffico, viene trattato ancora nella sua forma naturale in modo non diverso dagli altri oggetti d’uso. Solo quando un’autorità monetaria assume in suo potere questi atti fisici garantendoli in maniera credibile, è possibile stampare sui pezzi di metallo che essi servono solo per lo scambio, ponendoli in contrasto esplicito con gli oggetti d’uso […] >>, in Alfred Sohn-Rethel, Il denaro, l’apriori in contanti, Editori Riuniti, Roma, 1991, pag. 9 e oltre pp. XI-55.

6. Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975 [si rimanda alle parti che riguardano a) la teoria del valore del denaro (Libro primo); b) il finanziamento della produzione capitalistica (Libro secondo); c) le strutture del credito (Libro terzo).

7. Sulla creazione della moneta dal nulla in regime di monopolio si vedano gli scritti di Fabio Bonciani pubblicati sul sito www.comwdonchisciotte.org, a mò di esempio segnalo Fabio Bonciani, Cenerentola, Biancaneve e i bilanci in rosso delle banche centrali! www.comedonchisciotte.org, 4/4/2023.

8. Sulle fasi storiche dell’espansione finanziaria si rimanda a Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Bruno Mondadori, Milano, 2003.

9. Citato in Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010, pag.146.

10. Domenico de Simone, Un milione al mese a tutti: subito! Edizioni Malatempora, Roma, 1999, pag. 30; Domenico de Simone Per un’economia dal volto umano, Edizioni Malatempora, Roma, 2002; Domenico de Simone, Un’altra moneta, Edizioni Malatempora, Roma, 2003.

11. Si vedano: le tre storie emblematiche sulla finanza e sulle frodi mercantili raccontate da Carlo Maria Cipolla, Tre storie extra vaganti, il Mulino, Bologna, 1994; il gioco sui titoli di Stato da parte della potente famiglia dei Rothschild per le loro strategie di arricchimento e di potere in Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, Italia oscura, Sperling&Kupfer, 2016, pp.233-258; il conflitto degli agenti strategici tramite le banche raccontato da Lodovico Festa, Guerra per banche. L’Italia contesa tra economia, politica, giornali e magistratura, Boroli Editore, Milano, 2006.

12. Sul processo di de-dollarizzazione si veda Manlio Dinucci, Si allarga la ribellione all’impero del dollaro, www.voltairenet.org, 24/4/2023; Domenico Moro, Le conseguenze di breve e lungo periodo della guerra, www.comedonchisciotte.org, 27/4/2023; Pepe Escobar, La de-dollarizzazione ingrana la quarta, www.maurizioblondet.it, 29/4/2023. Sugli aspetti finanziari all’interno della ciclicità della storia si legga Federico Dezzani, Geopolitica, credito, mercati e cicli, www.federicodezzani.altervista.org, 4/4/2023; Qiao Liang, L’arco dell’impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, a cura del Generale Fabio Mini, Leg edizioni, 2021, soprattutto pp. 116-173.

13.Carl Schmitt, Il nomos della terra, Adelphi Edizioni, Milano, 2003; Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi Edizioni, Milano, 2006; Luigi Garofalo, Intrecci schmittiani, il Mulino, Bologna, 2020.

14. Radhika Desai e Michael Hudson, La Russia abbandona l’occidente neoliberale per unirsi alla maggioranza mondiale, www.italiaeilmondo.com, 19/4/2023.

15.Su questi temi si rimanda per approfondimenti a Qiao Liang, L’arco dell’impero, op. cit., pp.175-200; Giovanni Arrighi Caos e governo, op.cit., pp. 43-112; Pietro Ratto, I Rothschild e gli altri. Dal governo del mondo all’indebitamento delle nazioni: i segreti delle famiglie più potenti, Arianna Editrice, Bologna, 2015.

16.Sulla crematistica si legga Aristotele, La politica, Editori Laterza, Bari, 1966; sul concetto del limite interpretato come l’insieme della società nelle diverse fasi della storia umana si veda Remo Bodei, Limite, il Mulino, Bologna, 2016. Su questi temi si rimanda, inoltre, a Costanzo Preve-Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci, Petite Plaisance editrice, Pistoia, 2005.

17. Si veda Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, Libro terzo, terza sezione, pp.299-373.

18.David Harvey, Marx e la follia del capitale, Feltrinelli, Milano, 2018, pp. 135-136 e pag. 172.

19.Ricordo, con Costanzo Preve, che le grandi masse popolari non possono vivere a lungo senza più nessuna chiave interpretativa della riproduzione sociale (produzione e riproduzione dell’intera vita individuale e sociale), pena la caduta in sindromi di demenza generalizzata in Costanzo Preve, La demenza generalizzata del popolo italiano. Un enigma storico da decifrare, www.ariannaeditrice.it, 27/12/2011; si veda anche Costanzo Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente edizioni, Napoli, 2006.

20.Maria Zambrano, La confessione come genere letterario, Bruno Mondadori, Milano, 1997; John Berger, Paesaggi, il Saggiatore, Milano, 2019.

21.Sul ruolo che potrebbe avere l’India (altra potenza in ascesa) nel polo asiatico si veda Andrew Korybko, Foreign affairs ha pubblicato un’analisi straordinariamente perspicace sulle relazioni tra India e Stati Uniti, www.italiaeilmondo.com, 9/5/2023.

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Il grande errore dell’Ucraina, di Natylie Baldwin

Il grande errore dell’Ucraina

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Articolo di notevole interesse riguardo alle dinamiche e allo stato attuale della condizione politico-sociale dell’Ucraina, al netto però di alcune affermazioni di carattere generale a mio avviso fuorvianti. In particolare l’attribuzione della responsabilità di fondo della attuale condizione alla scelta del “capitalismo”.  Come dovrebbe essere ormai evidente, il capitalismo è una forma di rapporto sociale di produzione assolutamente predominante ed ormai presente nei vari angoli del globo terrestre, sia nelle aree sviluppate che in quelle depresse. Può essere una delle cause generali delle varie polarizzazioni che caratterizzano le dinamiche sociopolitiche, ma non delle particolari dinamiche di singole formazioni sociali. Tant’è che lo stesso autore riconosce le condizioni similari di partenza delle due formazioni in conflitto emerse dall’implosione della Unione Sovietica, in realtà più favorevoli economicamente alla Ucraina rispetto alla Russia, la stessa drammatica condizione di crisi negli anni ’90 e l’esito finale opposto di questa crisi. Evidentemente i fattori che hanno determinato questo esito opposto sono altri, molto più legati alle condizioni particolari, economiche e soprattutto politiche, dei due paesi. Di fatto, è lo stesso autore a riconoscerlo. Se questo riconoscimento è utile ed opportuno alla comprensione delle cause, non è assolutamente sufficiente a consentire l’individuazione dei soggetti, dei mezzi e degli obbiettivi di fondo necessari a sovvertire la situazione in Ucraina, a cominciare dal proletariato organizzato. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Dalla criminalità durante la Perestrojka alle privatizzazioni, fino al problema dell’appellativo di “guerra imperialista” della Russia, Natylie Baldwin discute un’ampia gamma di argomenti con l’autore di La catastrofe del capitalismo ucraino.

Khreshchatyk Street in winter, Kiev, 2009. (Mstyslav Chernov, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)

By Natylie Baldwin
Covert Action

Renfrey Clarke è un giornalista australiano. Negli anni ’90 ha lavorato da Mosca per il Green Left Weekly di Sydney. È autore di The Catastrophe of Ukrainian Capitalism: How Privatisation Dispossessed & Impoverished the Ukrainian People, pubblicato da Resistance Books nel 2022. Ecco la mia recente intervista con lui.

Natylie Baldwin: All’inizio del suo libro lei sottolinea che nel 2018 l’economia ucraina è diminuita in modo significativo rispetto alla posizione raggiunta alla fine dell’era sovietica nel 1990. Può spiegare quali erano le prospettive dell’Ucraina nel 1990? E come apparivano poco prima dell’invasione della Russia?

Renfrey Clarke: Durante le ricerche per questo libro ho trovato uno studio della Deutsche Bank del 1992 che sosteneva che, tra tutti i Paesi in cui l’URSS era appena stata divisa, era l’Ucraina ad avere le migliori prospettive di successo. Alla maggior parte degli osservatori occidentali, all’epoca, ciò sarebbe sembrato indiscutibile.

L’Ucraina era stata una delle parti più industrialmente sviluppate dell’Unione Sovietica. Era tra i centri chiave della metallurgia sovietica, dell’industria spaziale e della produzione di aerei. Aveva alcuni dei terreni agricoli più ricchi del mondo e la sua popolazione era ben istruita anche per gli standard dell’Europa occidentale.

Aggiungendo le privatizzazioni e il libero mercato, si pensava che nel giro di pochi anni l’Ucraina sarebbe stata una potenza economica e la sua popolazione avrebbe goduto di livelli di benessere da primo mondo.

Nel 2021, l’ultimo anno prima dell'”Operazione militare speciale” della Russia, il quadro dell’Ucraina era fondamentalmente diverso. Il Paese era stato drasticamente de-sviluppato, con grandi industrie avanzate (aerospaziale, automobilistica, navale) sostanzialmente chiuse.

I dati della Banca Mondiale mostrano che, in dollari costanti, il Prodotto Interno Lordo dell’Ucraina nel 2021 è diminuito del 38% rispetto al livello del 1990. Se utilizziamo la misura più caritatevole, il PIL pro capite a parità di prezzo d’acquisto, il calo è stato ancora del 21%. Quest’ultima cifra si confronta con un aumento corrispondente per il mondo nel suo complesso del 75%.

Per fare alcuni confronti internazionali specifici, nel 2021 il PIL pro capite dell’Ucraina era all’incirca uguale a quello di Paraguay, Guatemala e Indonesia.

Cosa è andato storto? Gli analisti occidentali tendono a concentrarsi sugli effetti dei retaggi dell’era sovietica e, in tempi più recenti, sull’impatto delle politiche e delle azioni russe. Il mio libro riprende questi fattori, ma mi sembra ovvio che siano in gioco questioni molto più profonde.

A mio avviso, le ragioni ultime della catastrofe ucraina risiedono nel sistema capitalistico stesso e, in particolare, nei ruoli e nelle funzioni economiche che il “centro” del mondo capitalistico sviluppato impone alla periferia meno sviluppata del sistema.

Semplicemente, per l’Ucraina prendere la “strada del capitalismo” è stata una scelta sbagliata.

Baldwin: Sembra che l’Ucraina abbia attraversato un processo simile a quello avvenuto in Russia negli anni ’90, quando un gruppo di oligarchi è emerso per controllare gran parte della ricchezza e dei beni del Paese. Può descrivere come si è svolto questo processo?

Clarke: Come strato sociale, l’oligarchia sia in Ucraina che in Russia ha le sue origini nella società sovietica dell’ultimo periodo della perestrojka, a partire dal 1988 circa. A mio avviso, l’oligarchia è nata dalla fusione di tre correnti più o meno distinte che, negli ultimi anni della perestrojka, erano tutte riuscite ad accumulare ingenti capitali privati. Queste correnti erano gli alti dirigenti delle grandi imprese statali, le figure statali ben posizionate, tra cui politici, burocrati, giudici e procuratori, e infine la malavita, la mafia.

Una legge del 1988 sulle cooperative ha permesso ai singoli di formare e gestire piccole imprese private. Molte strutture di questo tipo, solo nominalmente cooperative, sono state prontamente create da alti dirigenti di grandi imprese statali, che le hanno utilizzate per stivare i fondi sottratti illecitamente alle finanze aziendali. Quando l’Ucraina divenne indipendente nel 1991, molte figure di spicco delle imprese statali erano anche importanti capitalisti privati.

I nuovi proprietari di capitale avevano bisogno di politici che facessero leggi a loro favore e di burocrati che prendessero decisioni amministrative a loro vantaggio. I capitalisti avevano anche bisogno di giudici che si pronunciassero a loro favore in caso di controversie e di pubblici ministeri che chiudessero un occhio quando, come accadeva di frequente, gli imprenditori operavano al di fuori della legge. Per svolgere tutti questi servizi, i politici e i funzionari si facevano pagare le tangenti, che consentivano loro di accumulare il proprio capitale e, in molti casi, di fondare le proprie imprese.

Infine, c’erano le reti criminali che avevano sempre operato all’interno della società sovietica, ma che ora vedevano moltiplicate le loro prospettive. Negli ultimi anni dell’URSS, lo stato di diritto divenne debole o inesistente. Questo creò enormi opportunità non solo per i furti e le frodi, ma anche per gli uomini di scorta criminali. Se eravate un operatore commerciale e dovevate far rispettare un contratto, il modo in cui lo facevate era assumere un gruppo di “giovani con il collo grosso”.

Per rimanere in affari, le aziende private avevano bisogno del loro “tetto”, i racket di protezione che le avrebbero difese dagli artisti della truffa rivali – per una quota maggiore dei profitti dell’impresa. A volte il “tetto” veniva fornito dalla polizia stessa, dietro adeguato compenso.

Questa attività criminale non produceva nulla e soffocava gli investimenti produttivi. Ma era enormemente redditizia e ha dato il via a più di qualche impero commerciale post-sovietico. Il magnate dell’acciaio Rinat Akhmetov, per molti anni il più ricco oligarca ucraino, era il figlio di un minatore che aveva iniziato la sua carriera come luogotenente di un boss della criminalità di Donetsk.

“Questa attività criminale non ha prodotto nulla e ha soffocato gli investimenti produttivi. Ma… ha dato il via a più di qualche impero commerciale post-sovietico”.

Nel giro di pochi anni, a partire dalla fine degli anni ’80, i vari flussi di attività corrotta e criminale iniziarono a fondersi in clan oligarchici incentrati su particolari città e settori economici. Quando negli anni Novanta le imprese statali iniziarono a essere privatizzate, furono questi clan a finire generalmente con i beni.

Dovrei dire qualcosa sulla cultura imprenditoriale nata negli ultimi anni dell’Unione Sovietica, che oggi in Ucraina rimane nettamente diversa da quella occidentale.

Firma dell’accordo per la creazione della Comunità degli Stati Indipendenti l’8 dicembre 1991. Il Presidente ucraino Leonid Kravchuk è seduto, secondo da sinistra. (Archivio RIA Novosti, U. Ivanov, CC-BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)

Pochi dei nuovi dirigenti d’azienda sapevano molto di come avrebbe dovuto funzionare il capitalismo, e le lezioni dei testi delle scuole di economia erano per lo più inutili in ogni caso. Ci si arricchiva pagando tangenti per attingere alle entrate statali, oppure mettendo all’angolo e liquidando il valore creato nel passato sovietico. La proprietà dei beni era estremamente insicura: non si sapeva mai quando si arrivava in ufficio e lo si trovava pieno di guardie di sicurezza armate di un rivale in affari, che aveva corrotto un giudice per permettere un’acquisizione. In queste circostanze, l’investimento produttivo era un comportamento irrazionale.

Baldwin: Ho sentito dire che una fonte di opposizione alla decentralizzazione politica – che sembrerebbe essere stata una possibile soluzione alle divisioni dell’Ucraina prima della guerra – è che la centralizzazione avvantaggia gli oligarchi. Pensa che sia vero?

Clarke: Non c’è una risposta semplice. Dal punto di vista politico e amministrativo, l’Ucraina dall’indipendenza è uno Stato relativamente centralizzato. I governatori delle province non vengono eletti, ma nominati da Kiev. Questo ha rispecchiato i timori di Kiev per l’insorgere di tendenze separatiste nelle regioni. In questo caso, ovviamente, dobbiamo pensare al Donbass.

Nonostante sia centralizzata, la macchina statale ucraina è piuttosto debole. Gran parte del potere reale risiede nei clan oligarchici a base regionale. A differenza di quanto accade in Russia e Bielorussia, nessun singolo individuo o gruppo oligarchico è stato in grado di raggiungere un dominio ineguagliabile e di limitare il potere dei magnati dell’economia, cronicamente in guerra tra loro. L’Ucraina non ha mai avuto il suo [presidente russo] Putin o [presidente bielorusso] Lukashenko.

Vladimir Putin, left, and Alexander Lukashenko, during a friendly ice hockey match, Feb. 7, 2020. (President of Russia)

Il sistema ucraino può quindi essere descritto come un pluralismo oligarchico altamente fluido, con il controllo del governo di Kiev che si sposta periodicamente tra raggruppamenti instabili di individui e clan. Nel complesso, gli oligarchi nel corso dei decenni sembrano essersi accontentati di questa situazione, poiché ha impedito l’ascesa di un’autorità centrale in grado di disciplinarli e di ridurre le loro prerogative.

Baldwin: Lei parla di come la separazione economica forzata tra Ucraina e Russia sia stata dannosa per l’economia ucraina. Può spiegare perché?

Clarke: Sotto la pianificazione centrale sovietica, Russia e Ucraina formavano un’unica distesa economica e le imprese erano spesso strettamente integrate con i clienti e i fornitori dell’altra repubblica. In effetti, la pianificazione sovietica aveva spesso previsto un solo fornitore di un particolare bene in un’intera area dell’URSS, il che significava che il commercio transfrontaliero era essenziale per non interrompere intere catene di produzione.

Comprensibilmente, la Russia rimase di gran lunga il principale partner commerciale dell’Ucraina durante i primi decenni dell’indipendenza ucraina. Nonostante problemi come l’irregolarità dei tassi di cambio delle valute, questo commercio presentava notevoli vantaggi. Le barriere doganali erano assenti e gli standard tecnici, ereditati dall’URSS, erano per lo più identici. I modi di fare affari erano familiari e le trattative potevano essere condotte comodamente in russo.

Forse il fattore più importante è un altro: i due Paesi si trovavano a livelli di sviluppo tecnologico sostanzialmente simili. La produttività del lavoro non differiva di molto. Nessuna delle due parti rischiava di vedere interi settori industriali spazzati via da concorrenti più sofisticati con sede nell’altro Paese.

Ciononostante, uno dei truismi del discorso liberale, sia in Ucraina che nei commenti occidentali, era che gli stretti legami economici con la Russia stavano frenando l’Ucraina. Si diceva che fosse urgente che l’Ucraina voltasse le spalle alla Russia, identificata con il passato sovietico, e si aprisse all’Occidente. In questo scenario, il commercio dell’Ucraina con la Russia doveva essere sostituito da un “libero scambio profondo e completo” con l’Unione Europea.

“Uno dei truismi del discorso liberale, sia in Ucraina che nei commenti occidentali, era che gli stretti legami economici con la Russia stavano frenando l’Ucraina”.

Questa controversia ha avuto ampie ramificazioni ideologiche, politiche e persino militari. In breve, nel 2014 l’opposizione all’interno dell’Ucraina è stata superata ed è stato firmato un accordo di associazione con l’UE. Nel 2016 gli scambi commerciali tra l’Ucraina e la Russia si erano ridotti drasticamente, al punto da essere di gran lunga inferiori a quelli con l’UE.

Il passaggio all’integrazione con l’Occidente, tuttavia, non ha portato all’Ucraina l’impennata di crescita economica promessa. Dopo un grave crollo all’indomani degli eventi di Maidan del 2014, il PIL ucraino ha registrato solo una debole ripresa tra il 2016 e il 2021. Nel frattempo, la bilancia commerciale del Paese con l’UE è rimasta fortemente negativa. L’integrazione con l’Occidente stava facendo molto più bene all’Occidente che all’Ucraina.

Pro-EU protesters in Kiev, December 2013. (Ilya, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)

Baldwin: Lei ha fatto un commento interessante sui liberali filo-occidentali sia in Russia che in Ucraina (compresi i manifestanti/sostenitori di Maidan): “Come le loro controparti in Russia, i membri di questi strati medi “occidentalizzanti” tendono a essere ingenui sulle realtà della società occidentale e su ciò che l’incorporazione nelle strutture economiche del mondo sviluppato significa in pratica per i Paesi le cui economie sono molto più povere e primitive”. (p. 9). Può descrivere gli effetti reali delle politiche scaturite dal Maidan e dalla firma dell’Accordo di associazione all’UE? Sembra un caso di “attenzione a ciò che si desidera”.

Clarke: Se volete spezzare il cuore dell’intellighenzia liberale ucraina, ricordate loro che la crescita economica nell’Unione Europea è stagnante e le società europee in crisi.

L’Ucraina ha ora un accordo di integrazione economica con l’UE, che consente ampie aree di libero scambio. Ma l’Ucraina non è integrata nel capitalismo europeo come parte del “nucleo” del sistema ad alta produttività e salari elevati. Dopotutto, perché i Paesi dell’UE dovrebbero volersi dare un concorrente in più?

Presentation of the EU membership questionnaire on April 8, 2022, by the European Commission President Ursula von der Leyen and Ukraine’s President Volodymyr Zelensky. (President.gov.ua, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

Presentazione del questionario di adesione all’UE l’8 aprile 2022, da parte della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky. (President.gov.ua, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

Il ruolo assegnato all’Ucraina è invece quello di mercato per le manifatture occidentali avanzate e di fornitore all’UE di beni generici a tecnologia relativamente bassa, come le billette d’acciaio e i prodotti chimici di base. Si tratta di beni a basso profitto che i produttori occidentali tendono ad abbandonare in ogni caso, soprattutto perché le industrie interessate possono essere altamente inquinanti.

In epoca sovietica, come ho spiegato, l’Ucraina era un centro di produzione sofisticato, a volte di livello mondiale. Ma nel caos della privatizzazione, i livelli di investimento sono crollati, l’innovazione è praticamente cessata e i prodotti sono diventati poco competitivi nei mercati del mondo sviluppato. Nei sogni dei teorici liberali, i capitalisti stranieri avrebbero dovuto attraversare il confine, acquistare le imprese industriali in rovina, riattrezzarle e, sulla base dei bassi salari, realizzare interessanti profitti dalle esportazioni in Occidente. Ma l’Ucraina aveva un’economia criminalizzata gestita da oligarchi. Piuttosto che nuotare con gli squali, i potenziali investitori stranieri hanno scelto in larga misura di starne alla larga.

Si prevedeva che l’abbattimento delle tariffe d’importazione dell’UE avrebbe ribaltato la situazione, rendendo irresistibili le attrattive degli investimenti in Ucraina per i capitali occidentali. Nel frattempo, gli investitori stranieri avrebbero dovuto superare la concorrenza degli oligarchi e imporre riforme alla macchina statale corrotta e ostile alle imprese.

Ma nulla di tutto ciò è realmente accaduto. Gli investimenti stranieri sono rimasti esigui. Allo stesso tempo, il libero scambio con l’UE ha fatto sì che i produttori occidentali, con una produttività più elevata e una gamma di offerte più attraenti, siano stati in grado di conquistare ampie fette del mercato interno ucraino e di far fallire i produttori locali.

A titolo di esempio, potrei citare l’industria automobilistica ucraina. Nel 2008 il Paese ha prodotto più di 400.000 autoveicoli. L’ultimo anno di produzione importante è stato il 2014. Poi, nel 2018, una riduzione delle tariffe ha portato a un enorme aumento delle importazioni di auto usate dall’UE e la produzione di autovetture in Ucraina è di fatto cessata.

Autobus urbano Bogdan di produzione ucraina a Lviv, Ucraina, 2010. (Anatoliy-024, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)

Baldwin: Su una nota correlata, non posso fare a meno di osservare che l’Ucraina sembra essere caduta vittima di politiche corporative neoliberali che avvantaggiano le potenze esterne più potenti – il tipo di politiche che un tempo erano criticate e contrastate dal movimento anti-globalizzazione degli anni Novanta. La sinistra riconosceva queste politiche economiche, quando venivano imposte ai Paesi più deboli, come una forma di neocolonialismo. Ora sembra che la sinistra – almeno negli Stati Uniti – si sia ridotta a un capriccio spaventato ossessionato da una forma caricaturale di politica identitaria e a rigurgitare l’ultima propaganda bellica. Secondo lei, cosa è successo alla sinistra?

Clarke: A mio avviso, la maggior parte dei settori della sinistra occidentale non è riuscita a dare una risposta adeguata alla guerra in Ucraina. Fondamentalmente, vedo il problema come radicato nell’adattamento agli atteggiamenti e alle abitudini di pensiero liberali e nell’incapacità di educare un’intera generazione di attivisti alle tradizioni distintive, comprese quelle intellettuali, del movimento di lotta di classe.

Stand With Ukraine, protesta a Londra, 26 febbraio. (Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles, Flickr, CC BY-NC-ND 2.0)

Oggi, molti membri della sinistra semplicemente non hanno l’attrezzatura metodologica per comprendere la questione ucraina – che è, a dire il vero, diabolicamente complessa. Qui vorrei fare due osservazioni. In primo luogo, è di fondamentale importanza per la sinistra comprendere chiaramente se la Russia attuale sia o meno una potenza imperialista. In secondo luogo, nell’affrontare questa domanda, la sinistra non può permettersi di basarsi sul pensiero del Guardian e del Washington Post. La nostra metodologia deve provenire dalla tradizione di pensatori di sinistra come [Rosa] Luxemburg, [Vladimir] Lenin, [Nikolai] Bukharin e [György] Lukács.

L’empirismo liberale del Guardian vi dirà che la Russia è una potenza imperialista, come “dimostrato” dal fatto che la Russia ha invaso e occupato il territorio di un altro Paese. Ma anche negli ultimi decenni, diversi Paesi palesemente poveri e arretrati hanno fatto proprio questo. Questo significa che dovremmo parlare di “imperialismo marocchino” o “imperialismo iracheno”? È assurdo.

Nell’analisi classica della sinistra, l’imperialismo moderno è una qualità del capitalismo più avanzato e ricco. I Paesi imperialisti esportano capitali su vasta scala e svuotano di valore il mondo in via di sviluppo attraverso il meccanismo dello scambio ineguale. In questo caso la Russia semplicemente non rientra nella categoria. Con la sua economia relativamente arretrata, basata sull’esportazione di materie prime, la Russia è una vittima su larga scala dello scambio ineguale.

“I Paesi imperialisti esportano capitale su vasta scala e svuotano il mondo in via di sviluppo di valore attraverso il meccanismo dello scambio ineguale. In questo caso la Russia semplicemente non ci sta”.

Per la sinistra, unirsi all’imperialismo e attaccare una delle sue vittime dovrebbe essere impensabile. Ma è quello che molti esponenti della sinistra stanno facendo.

Dall’inizio degli anni ’90, la NATO si è espansa dalla Germania centrale fino ai confini della Russia. L’Ucraina è stata reclutata come membro di fatto del campo occidentale ed è stata dotata di un grande esercito ben armato e addestrato dalla NATO. Le minacce e le pressioni imperialiste contro la Russia si sono moltiplicate.

L’imperialismo deve essere contrastato. Ma questo significa che la sinistra dovrebbe sostenere le azioni di Putin in Ucraina? Dovremmo riflettere sul fatto che un governo operaio in Russia avrebbe contrastato l’imperialismo in prima istanza attraverso una strategia molto diversa, incentrata sulla solidarietà internazionale della classe operaia e sull’agitazione rivoluzionaria contro la guerra.

Ovviamente, questo è un percorso che Putin non seguirà mai. Ma la decisione della Russia di resistere all’imperialismo con metodi che non sono i nostri significa forse che dovremmo denunciare il fatto stesso della resistenza russa?

Ancora una volta, questo è impensabile. Dobbiamo stare dalla parte della Russia contro gli attacchi dell’imperialismo e della classe dirigente ucraina. Naturalmente, la politica di Putin non è la nostra, quindi il nostro sostegno alla causa russa deve essere critico e sfumato. Non siamo obbligati a sostenere le politiche e le azioni specifiche dell’élite capitalista russa.

Detto questo, la posizione della sinistra liberale, che cerca la vittoria dell’imperialismo e dei suoi alleati in Ucraina, è profondamente reazionaria. In ultima analisi, può solo moltiplicare le sofferenze incoraggiando gli Stati Uniti e la NATO a lanciare attacchi in altre parti del mondo.

“Il nostro sostegno alla causa russa deve essere critico e sfumato. Non siamo obbligati a sostenere le politiche e le azioni specifiche dell’élite capitalista russa”.

Baldwin: La guerra è stata un disastro anche dal punto di vista economico per l’Ucraina. Nell’ottobre dello scorso anno Andrea Peters ha scritto un articolo approfondito su come la povertà sia salita alle stelle nel Paese dopo l’invasione. Tra le cifre che ha citato ci sono:

*aumento di 10 volte della povertà

*35% di tasso di disoccupazione

*50% di riduzione degli stipendi

*debito pubblico pari all’85% del PIL

Sono sicuro che ora la situazione è ancora peggiore. Sembra che a questo punto gli Stati Uniti e l’Europa stiano sovvenzionando quasi completamente il governo ucraino. Può parlarci di ciò che sa delle attuali condizioni economiche dell’Ucraina?

Clarke: L’economia ucraina è stata distrutta dalla guerra. I dati governativi mostrano che il PIL dell’ultimo trimestre del 2022 è diminuito del 34% rispetto al livello dell’anno precedente e la produzione industriale di settembre ha subito un calo analogo. A marzo di quest’anno il costo dei danni diretti agli edifici e alle infrastrutture è stato stimato in 135 miliardi di dollari e, secondo quanto riferito, oltre il 7% delle abitazioni è stato danneggiato o distrutto. Enormi aree di terreno coltivato non sono state seminate, spesso perché i campi sono stati minati.

Serhiy Marchenko, Minister of Finance of Ukraine. (CC0, Wikimedia Commons)

La leva militare ha tolto il lavoro a un gran numero di lavoratori qualificati. Altre persone altamente qualificate sono tra gli ucraini che hanno lasciato il Paese, secondo quanto riferito da almeno 5,5 milioni di persone. Si stima che circa 6,9 milioni di persone siano state sfollate all’interno dell’Ucraina, con ripercussioni anche sulla produzione.

Secondo il Ministro delle Finanze Serhii Marchenko, solo un terzo delle entrate del bilancio ucraino proviene da fonti nazionali.

La differenza deve essere compensata da prestiti e sovvenzioni dall’estero. Questi aiuti sono stati sufficienti a mantenere l’inflazione annuale a un livello relativamente gestibile di circa il 25%, ma i lavoratori vengono raramente compensati per gli aumenti dei prezzi e il loro tenore di vita è crollato.

In molti casi, gli aiuti occidentali non sono sotto forma di sovvenzioni ma di prestiti. Secondo i miei calcoli, a gennaio il debito estero dell’Ucraina era pari a circa il 95% del PIL annuale. Quando e se tornerà la pace, l’Ucraina dovrà sacrificare i suoi guadagni in valuta estera per decenni per ripagare questi prestiti.

Baldwin: il primo ministro ucraino Denys Shmyhal ha dichiarato che solo per il 2023 l’Ucraina avrà bisogno di 38 miliardi di dollari per coprire il deficit di bilancio e di altri 17 miliardi per “progetti di ricostruzione rapida”. Sembra che per l’Occidente non sia sostenibile (politicamente o economicamente) fornire questo tipo di denaro per un periodo di tempo così lungo. Cosa ne pensate?

Clarke: La cifra che ho a disposizione per la spesa militare totale prevista dagli Stati Uniti nel 2023 è di 886 miliardi di dollari, quindi i Paesi della NATO possono permettersi di mantenere e ricostruire l’Ucraina se vogliono. Il fatto che stiano mantenendo l’economia ucraina a un livello relativamente basso – e peggio, chiedendo che molti degli esborsi vengano ripagati – è una scelta consapevole che hanno fatto.

C’è una lezione da trarre per le élite dei Paesi in via di sviluppo che sono tentate di agire come procuratori dell’imperialismo, come hanno fatto deliberatamente i leader dell’Ucraina dopo il 2014. Quando le conseguenze vi mettono in difficoltà, non aspettatevi che siano gli imperialisti a pagare il conto. In definitiva, non sono dalla vostra parte.

Ukraine’s Prime Minister Denys Shmyhal with U.S. President Joe Biden at the White House in April 2022. (White House/Public domain, Wikimedia Commons)

Baldwin: L’Oakland Institute ha pubblicato un rapporto nel febbraio di quest’anno su un aspetto specifico delle politiche neoliberali influenzate dall’Occidente in Ucraina: i terreni agricoli. Una delle prime cose che [il presidente ucraino Volodymyr] Zelensky ha fatto dopo il suo insediamento nel 2019 è stata quella di far approvare un’impopolare legge di riforma agraria. Può spiegare in cosa consisteva questa legge e perché era così impopolare?

Clarke: Nel 2014 i terreni agricoli dell’Ucraina erano stati quasi tutti privatizzati e distribuiti tra milioni di ex lavoratori agricoli collettivi. Fino al 2021 è rimasta una moratoria sulle vendite di terreni agricoli. Questa moratoria è stata molto apprezzata dalla popolazione rurale, che diffidava della burocrazia degli uffici fondiari e temeva di essere derubata delle proprie aziende. Avendo a disposizione solo piccole superfici e non disponendo di capitali per sviluppare le proprie attività, la maggior parte dei proprietari terrieri ha scelto di affittare le proprie aziende e di lavorare come dipendenti di imprese agricole commerciali.

Il risultato è stato descritto come una “rifeudalizzazione dell’agricoltura ucraina”. Gli imprenditori con accesso al capitale – spesso oligarchi affermati, ma anche interessi societari statunitensi e sauditi – hanno accumulato il controllo di vaste proprietà in affitto. Con gli affitti dei terreni a buon mercato e i salari minimi, i nuovi baroni della terra avevano pochi motivi per investire nell’aumento della produttività, che rimaneva bassa nonostante la ricchezza del suolo.

A questa situazione, già profondamente retrograda, il Fondo Monetario Internazionale e altri finanziatori istituzionali portarono la saggezza del dogma neoliberista. Per molti anni, i programmi di aggiustamento strutturale allegati ai prestiti del FMI hanno insistito sulla creazione di un libero mercato dei terreni agricoli. I governi ucraini, consapevoli dell’ostilità di massa nei confronti di questa iniziativa, l’avevano tirata per le lunghe. Alla fine è stato Zelensky a rompere la resistenza. Dalla metà del 2021 i cittadini ucraini possono acquistare fino a 100 ettari di terreno agricolo, che saliranno a 10.000 ettari dal gennaio 2024.

In teoria, un gran numero di piccoli proprietari terrieri venderà la propria terra, si trasferirà in città e si dedicherà alla vita dei lavoratori urbani, mentre l’aumento del valore dei terreni costringerà gli agricoltori commerciali a investire per aumentare la propria produttività. Ma questi calcoli sono quasi certamente utopici. La disoccupazione nelle città è già alta e gli alloggi sono limitati. È improbabile che i piccoli agricoltori rischino di ipotecare la loro terra per migliorare le loro attività, mentre i profitti restano esigui, i tassi di interesse elevati, le banche predatorie e i funzionari corrotti a tutti i livelli.

La vera logica di questa “riforma” è rafforzare la presa sull’agricoltura degli oligarchi e dell’agrobusiness internazionale.

Baldwin: La Banca Mondiale ha recentemente pubblicato un rapporto in cui si afferma che la ricostruzione dopo la fine della guerra costerà almeno 411 miliardi di dollari. Una volta terminati i combattimenti, che tipo di politiche ritiene possano dare all’Ucraina le migliori possibilità di costruire un’economia più stabile ed equa nel lungo periodo?

Clarke: Come finiranno i combattimenti? Al momento, sembra improbabile che le forze russe vengano sconfitte, almeno dagli ucraini. Nel frattempo, più vicina è la vittoria russa, maggiore è la prospettiva di un intervento militare imperialista su larga scala.

Supponiamo, però, che Zelenskij si sieda a un tavolo con i negoziatori russi e concluda un accordo di pace. Realisticamente, ciò richiederebbe il riconoscimento da parte dell’Ucraina che il Donbass e la Crimea sono stati persi, insieme alle province di Zaporizhzhia e Kherson. I neofascisti dovrebbero essere epurati dall’apparato statale e le loro organizzazioni messe fuori legge. L’Ucraina dovrebbe rompere i suoi legami con la NATO e le sue forze armate dovrebbero essere ridotte a un livello che il Paese possa permettersi.

Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg, di spalle alla telecamera, incontra il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky nel settembre 2021. (NATO)

Se si raggiungesse un tale accordo, ovviamente, gli ultranazionalisti ucraini farebbero la fila per assassinare Zelensky. Se, cioè, la CIA non lo prendesse prima.

Supponendo che ci possa essere un “dopo guerra”, come potrebbe essere? Dobbiamo ricordare che l’Ucraina è oggi una delle parti più povere del mondo capitalista in via di sviluppo. Per i Paesi che si trovano in questa situazione generale, non può esistere un futuro economico veramente “stabile ed equo”. Tale futuro è concepibile solo al di fuori del capitalismo, delle sue crisi e del suo sistema internazionale di saccheggio.

Ma supponiamo che in qualche modo emerga un’Ucraina indipendente, che sia in pace e che sia in grado di perseguire un qualche tipo di percorso economico razionale. In primo luogo, questo percorso comporterebbe un’attenta demarcazione dell’economia dall’Occidente avanzato. L’ideale sarebbe che l’Ucraina continuasse ad avere ampi scambi commerciali con l’UE. Ma questo non può avvenire a costo di permettere alle importazioni senza restrizioni di soffocare industrie e settori che hanno il potenziale per raggiungere i moderni livelli di sofisticazione e produttività.

Le relazioni commerciali dell’Ucraina devono basarsi principalmente su scambi con Stati che condividono il livello generale di sviluppo tecnologico del Paese, in modo che la concorrenza commerciale prometta stimoli e non l’annientamento. Questo cambiamento comporterebbe il ripristino di una fitta rete di relazioni economiche con la Russia. Sarebbe inoltre caratterizzato da un’espansione degli scambi commerciali, già molto estesi (nel 2021), con Stati come la Turchia, l’Egitto, l’India e la Cina.

“Le relazioni commerciali dell’Ucraina devono basarsi principalmente su scambi con Stati che condividono il livello generale di sviluppo tecnologico del Paese, in modo che la concorrenza commerciale prometta stimoli e non annientamenti”.

In termini politico-economici, il futuro dell’Ucraina non risiede nell'”integrazione con l’Occidente” – una fantasia distruttiva – ma nel fatto che …. prenda posto tra gli Stati membri di organizzazioni come i BRICS, l’iniziativa Belt and Road e l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Per le sue esigenze di finanziamento, l’Ucraina deve ripudiare il FMI e rivolgersi a organismi come la Banca asiatica per gli investimenti nelle infrastrutture.

Si tratta di cambiamenti necessari, che migliorerebbero notevolmente le prospettive dell’Ucraina. Ma in definitiva, un futuro “stabile ed equo” necessita di trasformazioni molto più profonde. Sarà necessario estromettere gli oligarchi del crimine dal controllo dell’economia del Paese.

In circa 30 anni, e nonostante gli aiuti occidentali, i riformatori liberali ucraini hanno fatto pochi progressi su questo fronte. Gli “strati medi” della società del Paese non sono semplicemente in grado o inclini a portare a termine un simile rovesciamento. Hanno uno scarso peso sociale e non sono una forza indipendente. Quelli di loro che non lavorano direttamente per gli oligarchi sono invischiati, in molti casi, nella macchina statale corrotta che gli oligarchi controllano.

L’unica forza sociale in Ucraina che ha i numeri per porre fine al potere oligarchico è il proletariato organizzato. A differenza degli “strati intermedi”, i lavoratori del Paese non hanno alcun interesse a preservare l’oligarchismo e hanno il potenziale per agire indipendentemente da esso.

Baldwin: Negli anni ’90 lei ha lavorato da Mosca per il giornale Green Left. Come è nata questa iniziativa e che cosa le è rimasto più impresso del suo periodo in Russia?

La camera alta del Soviet Supremo nella sua ultima sessione, che vota l’estinzione dell’URSS, 24 dicembre 1991. (Archivio RIA Novosti/Alexander Makarov / CC-BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)

Clarke: Essendo russofono, nel 1990 fui inviato dal giornale a Mosca – allora capitale dell’URSS – per riferire sui progressi della perestrojka. Mi aspettavo di rimanere lì per circa due anni, ma ho acquisito una famiglia russa e sono rimasto per nove.

Avevo solo un piccolo reddito dal giornale. Mia moglie e io vivevamo meglio dei vicini, ma non di molto. Ho osservato e riferito che lavoratori altamente qualificati venivano gettati nell’indigenza. I loro salari non pagati, i loro risparmi di decenni cancellati dall’inflazione, vendevano gli oggetti di casa fuori dalle stazioni della metropolitana e vivevano con le patate scavate nei loro orti.

L’esperienza più sgradevole è stata osservare le persone che cercavano di far fronte a una drastica inversione di credenze e valori. Dove la società sovietica aveva messo un meno, ai russi fu improvvisamente ordinato di mettere un più. Comportamenti che prima erano stati considerati spregevoli (il traffico, le speculazioni) ora venivano elogiati dai media.

Tra le persone che conoscevo, sospetto che i più traumatizzati fossero gli intellettuali di orientamento occidentale che per anni avevano desiderato che l’Unione Sovietica morisse e che il capitalismo la sostituisse. Ora il capitalismo era arrivato, ed era un incubo.

In queste circostanze, non pochi russi persero completamente l’orientamento morale. Tutto sembrava permesso. Ricordo di essere uscito una mattina per portare mio figlio all’asilo. Sul marciapiede, non lontano dal nostro edificio, incontrammo un cadavere appena assassinato.

Nel frattempo, un tornado di storia vorticava intorno a noi. Come giornalista mi trovavo alla “Casa Bianca russa”, l’edificio del parlamento che sorge lungo il fiume Mosca dal Cremlino, durante i colpi di stato del 1991 e del 1993. Nel 1998 ho raccontato che il governo si è dichiarato in bancarotta, non rispettando i suoi obblighi di debito. A quel punto, il 40% dell’economia era evaporato.

Ricordo però quegli anni come i più ricchi e gratificanti della mia vita.

Natylie Baldwin è autrice di The View from Moscow: Understanding Russia and U.S.-Russia Relations. I suoi scritti sono apparsi in varie pubblicazioni, tra cui The Grayzone, Consortium News, RT, OpEd News, The Globe Post, Antiwar.com, The New York Journal of Books e Dissident Voice.

Questo articolo è tratto dalla rivista Covert Action.

La guerra in Ucraina e la sicurezza europea, di Zachary Paikin

La guerra in Ucraina e la sicurezza europea: quanto è duratura la strategia americana?
QUINCY BRIEF NO. 39
25 APRILE 2023 23 min lettura

SCRITTO DA
Zachary Paikin
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Sintesi
Introduzione
I rischi della previsione
Sanzioni – a quale scopo?
Definire la vittoria
Il posto della Russia in Europa
Conclusioni e raccomandazioni
Sintesi
A più di un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il morale degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali appare alto.1 Spronati all’azione dall’atto di aggressione di Mosca, la NATO appare più unita, l’UE sembra essere diventata un attore geopolitico più importante e l’Ucraina ha resistito e respinto l’assalto russo in una misura che pochi inizialmente pensavano possibile. L’amministrazione Biden è finora riuscita lodevolmente a incrementare l’assistenza a Kiev senza confrontarsi direttamente con Mosca.

Se l’attuale politica degli Stati Uniti nei confronti della Russia e dell’Ucraina può essere sostenibile per qualche tempo, ciò non significa che non finirà mai la strada.

Tuttavia, anche se l’attuale politica degli Stati Uniti nei confronti della Russia e dell’Ucraina può essere sostenibile per qualche tempo, ciò non significa che non finirà mai la strada. Le sanzioni contro la Russia – una delle principali economie globali – sono state aumentate a un livello mai visto prima, ma non sono state efficaci nel costringere Mosca a cambiare rotta. Gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno ancora trovato un accordo su quello che ritengono un finale di guerra accettabile. Grande potenza o meno, la Russia rimarrà un attore popoloso, potente e potenzialmente dirompente in Europa. Senza proporre in modo chiaro e credibile politiche in grado di abbassare la temperatura, e senza iniziare a prevedere come potrebbe essere un futuro ordine di sicurezza europeo, gli Stati Uniti rischiano di prolungare il conflitto, con conseguenze potenzialmente imprevedibili se la stanchezza popolare per la guerra continuerà a crescere.

Oltre al continuo sostegno all’Ucraina, proposte diplomatiche accuratamente elaborate possono rendere più prevedibile l’esito della guerra, ridurre il rischio di escalation e stabilizzare la rivalità tra Stati Uniti e Russia. Anche se la finestra per perseguirle potrebbe non aprirsi prima della fine dell’anno, il momento per iniziare i preparativi è adesso. In particolare, l’amministrazione Biden dovrebbe

– Segnalare la propria disponibilità a rivitalizzare il principio della sicurezza indivisibile nell’area euro-atlantica, per garantire che le preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti gli attori regionali siano ascoltate in modo equo.

– Coordinarsi con gli alleati per comunicare proposte di alleggerimento delle sanzioni in cambio di un disimpegno graduale delle forze russe a seguito di un cessate il fuoco, che porterebbe a un processo politico a più lungo termine per risolvere l’integrità territoriale dell’Ucraina, creando al contempo lo spazio necessario per concentrarsi sulla discussione delle garanzie di sicurezza per tutte le parti.

– Costruire la fiducia sviluppando proposte ad hoc per il controllo degli armamenti nel continente, per controbilanciare l’attuale dinamica di aumento della produzione militare-industriale per un’era di nuova guerra interstatale in Europa.

Introduzione
Un anno fa, gli Stati Uniti e i loro alleati europei si sono uniti per attuare sanzioni coordinate e di ampia portata in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Da allora, la storia che gli Stati Uniti hanno potuto raccontare a se stessi è stata in gran parte positiva. La NATO ha riscoperto il suo scopo dopo decenni di incertezza post-Guerra Fredda sul suo ruolo in un ambiente internazionale cambiato. A marzo, gli alleati di Washington e i partner dell’UE hanno adottato la loro Bussola strategica, che rappresenta la prima valutazione collettiva della minaccia intrapresa dagli Stati membri dell’organizzazione. A giugno si è verificata una pietra miliare con l’offerta dello status di Paese candidato all’UE all’Ucraina e alla Moldavia, cosa che non sarebbe avvenuta se non ci fosse stata la guerra. Lo scorso autunno, grazie alla crescente assistenza militare occidentale, le forze ucraine hanno lanciato una controffensiva di successo contro l’esercito russo e hanno riconquistato Kherson.

Ma un anno dopo, la domanda persistente è quanto a lungo gli Stati Uniti potranno sostenere questa strategia. L’attuale percorso sembra abbastanza robusto da resistere alle pressioni per un certo periodo di tempo in almeno tre aspetti – l’imposizione di sanzioni economiche, la definizione di una partita finale accettabile e la risoluzione delle questioni in sospeso relative alla sicurezza paneuropea – ma a un certo punto potrebbe esaurirsi. L’insieme di questi ostacoli suggerisce che un’opportunità per introdurre dinamiche più de-escalatorie nel conflitto potrebbe e dovrebbe essere trovata prima della fine del 2023 – se gli Stati Uniti decideranno di agire in tal senso.

I rischi della previsione
Alcuni dei fattori che determinano la sostenibilità dell’approccio statunitense all’Ucraina si basano su eventi che sono pericolosamente difficili da prevedere. L’esito di una guerra si basa non solo sull’equilibrio delle forze, sugli armamenti e sulla strategia, ma anche su fattori più intangibili come lo slancio e la determinazione. Può darsi che l’Ucraina abbia già acquisito uno “slancio irreversibile”, come afferma il generale americano in pensione Ben Hodges.2 In alternativa, la parziale mobilitazione militare della Russia può contribuire a impedire ulteriori sostanziali guadagni ucraini e a gettare le basi per un’inversione di tendenza.

Anche la situazione interna di tutte le parti coinvolte è difficile da prevedere. Nessuno può dire se o quando si raggiungerà un punto di svolta nel sostegno popolare all’attuale politica statunitense. Tale punto di svolta potrebbe essere il risultato della “stanchezza da Ucraina”, oppure potrebbe arrivare a causa di sfide geopolitiche più pressanti che emergono in altri teatri. Le tendenze recenti indicano che gli americani sono sempre più divisi sulla guerra, con il sostegno bipartisan degli elettori che si è chiaramente eroso dall’inizio della guerra3.

Nel caso della Russia, si potrebbe far riferimento ai costi crescenti della guerra in termini di perdite militari e danni economici e quindi immaginare che il sostegno a Putin possa crollare, se non nella popolazione in generale, almeno all’interno dell’élite. Ma anche in questo caso, individuare o calcolare quando ciò possa accadere è estremamente difficile. Nell’estate del 1991 il crollo completo dell’Unione Sovietica nelle sue 15 repubbliche costitutive nel giro di pochi mesi non era considerato l’esito più probabile. Anche oggi la situazione potrebbe cambiare rapidamente: Putin potrebbe sparire entro l’anno prossimo, oppure potrebbe rimanere al potere per molti anni a venire.

La difficoltà di fare previsioni favorisce la continuazione di una dinamica nelle relazioni tra Russia e Occidente che è in gioco da molti anni: Ovvero, ciascuna parte crede che il tempo sia dalla sua parte e sottovaluta la potenziale resistenza dell’altra. Anche se non ha creato questa dinamica, la guerra è servita solo a rafforzarla. Molti in Occidente si sono profondamente convinti che non ci potrà essere un ordine di sicurezza cooperativo in Europa finché Putin resterà al Cremlino, così come Putin ha chiaramente affermato di considerare l’Occidente sovranazionale e decadente come destinato a fallire a causa delle sue presunte anomalie politiche e culturali4.

Ciascuna delle due parti ritiene che il tempo sia dalla sua parte e sottovaluta la potenziale capacità di recupero dell’altra.

Riporre le proprie speranze in un cambiamento di regime in Russia come panacea è una scommessa altamente incerta. Mentre alcuni in Occidente fantasticano sulla caduta di Putin o addirittura sul collasso della Russia stessa, lo scenario più probabile è che la Russia continuerà a esistere governata da Putin o da un successore all’interno del regime, il cui spazio di manovra sarà limitato da fattori politici interni o, peggio, che potrebbe essere più naturalmente predisposto ad abbracciare il nazionalismo e il revanscismo di Putin.

Ma il Cremlino non può pensare automaticamente di poter semplicemente aspettare gli Stati Uniti. Un nuovo inquilino della Casa Bianca potrebbe cercare di cambiare rotta, allontanandosi dai problemi dell’Europa e concentrandosi invece sulla sfida di una Cina in ascesa. Ciò avverrebbe soprattutto se una guerra prolungata che si protrae fino al 2024 diventasse una questione politica nelle prossime elezioni presidenziali. Tuttavia, un cambio del presidente in carica non produrrà necessariamente un cambiamento radicale nella politica statunitense, dati i vari disaccordi tra Washington e Mosca che esistevano durante l’amministrazione Trump su questioni come il trattato INF e la Siria.

Gli Stati Uniti hanno combattuto diverse lunghe guerre nella storia recente, tra cui Vietnam, Afghanistan e Iraq. Sebbene la stanchezza accumulata da queste guerre possa favorire una politica estera statunitense più contenuta, le forze americane non stanno combattendo direttamente in Ucraina e l’economia statunitense non è stata colpita in modo particolare da questa guerra. E dato che la politica estera degli Stati Uniti nel periodo successivo alla Guerra Fredda è stata orientata verso una forma di supremazia globale (vale a dire, il mantenimento dello status di Washington come potenza preminente in tutti i principali teatri geostrategici del pianeta), è più probabile che un presidente “America first” cerchi di sfruttare la crescente dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti piuttosto che abbandonarla per perseguire un più completo pivot verso l’Asia. L’insieme di questi fatti suggerisce che la strategia statunitense è notevolmente resistente – e probabilmente lo rimarrà se rimarrà concentrata sugli sviluppi sul campo di battaglia e sulla formazione delle scelte di politica estera della Russia, piuttosto che sulla determinazione degli eventi all’interno della Russia stessa.

Detto questo, nell’approccio statunitense alla Russia permangono tre debolezze specifiche, ognuna delle quali minaccia di manifestarsi più chiaramente – e più pericolosamente – con il protrarsi della guerra. Si tratta della capacità del regime di sanzioni occidentali di influenzare le azioni della Russia, della sfida di produrre un endgame adeguato sul campo di battaglia e della difficoltà di trovare un posto per Mosca nel tessuto di sicurezza continentale dopo la guerra.

Sebbene queste tre tendenze non incidano immediatamente sulla capacità di Washington di mantenere l’attuale rotta, esse rischiano comunque di provocare una pericolosa escalation del conflitto nel peggiore dei casi. Nel migliore dei casi, renderanno più difficile costruire qualcosa che si avvicini a un ordine di sicurezza europeo stabile una volta che la polvere di questa guerra si sarà posata. Un’Europa perennemente instabile minaccia la libertà di manovra degli Stati Uniti nel lungo periodo, quando si tratta di elaborare una grande strategia agile, rendendo meno probabile che le azioni occidentali in Ucraina servano a scoraggiare non solo la Russia oggi, ma anche la Cina domani.

Sanzioni – a che scopo?
La prima questione riguarda la logica alla base della campagna di sanzioni occidentali contro la Russia.

I primi cicli di sanzioni imposti dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si sono spinti più in là di quanto molti si aspettassero, prendendo di mira persino la banca centrale russa. Putin probabilmente si aspettava che una rapida vittoria in Ucraina, abbinata a una gestione economica esperta in patria e all’avversione al rischio di un’economia tedesca dipendente, avrebbe risparmiato alla Russia la maggior parte delle sofferenze economiche.

La guerra di Putin non è andata secondo i piani e i Paesi occidentali hanno dimostrato maggiore unità e determinazione di quanto alcuni osservatori si aspettassero. Di conseguenza, l’impatto delle sanzioni occidentali sull’economia e sulla macchina da guerra russa è stato significativo. Mentre la Russia consuma le sue scorte di armi, i divieti di esportazione sui semiconduttori e sui beni a doppio uso hanno almeno in parte indebolito lo sforzo industriale russo per sostenere le sue truppe, con un impatto diretto sulla situazione sul campo di battaglia.6 A prescindere dalla capacità della Russia di aumentare la produzione e di mettere la sua economia in condizioni di guerra, si può presumere che l’acquisizione di droni iraniani o di munizioni nordcoreane non fosse in cima alla lista dei desideri di una presunta grande potenza all’inizio di questa guerra.

Detto questo, nonostante la loro crescente forza per tutta la durata della guerra, le misure restrittive dell’Occidente non sono riuscite a cambiare il comportamento della Russia in politica estera o a scoraggiare Mosca dal continuare a perseguire i suoi obiettivi militari in Ucraina, come in effetti è avvenuto dall’intervento iniziale della Russia nel 2014. Sebbene le sanzioni rappresentino indubbiamente un onere per il bilancio statale russo – e quindi possano costringere il regime a ridurre le politiche sociali popolari – non hanno rappresentato lo scenario economico apocalittico che molti avevano previsto, con l’economia russa che si è contratta solo del 3 o 4 percento circa nel 20227.

Nonostante la loro crescente forza per tutta la durata della guerra, le misure restrittive dell’Occidente non sono riuscite a cambiare il comportamento della Russia in politica estera o a scoraggiare Mosca dal continuare a perseguire i suoi obiettivi militari in Ucraina.

Un approccio basato sul bastone e non sulla carota ha in definitiva ridotto l’influenza di Washington, a prescindere dall’impressionante livello di coordinamento e unità degli alleati. Una volta imposte, le sanzioni possono essere estremamente difficili da revocare: basti pensare all’emendamento Jackson-Vanik del Congresso, approvato nel 1974 e rimasto in vigore fino al 2012 nonostante la transizione politica post-sovietica della Russia.

La chiara definizione delle condizioni di revoca delle sanzioni (ad esempio, se la Russia soddisfa determinate condizioni nel contesto di un accordo negoziale) è fondamentale per la loro efficacia. Di conseguenza, anziché limitare le opzioni di Putin, il modo in cui è stata portata avanti la campagna di sanzioni ha incoraggiato la Russia a intensificare il conflitto. Nell’attuale clima politico, è difficile immaginare che i sostenitori di una riduzione della campagna di massima pressione avranno molto successo. Questo è vero non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa: Sebbene basti un solo Stato membro dell’UE per porre il veto al rinnovo delle sanzioni, i governi euroscettici come quello ungherese sembrano più interessati a usare la mera minaccia di un veto per assicurarsi il mantenimento dell’accesso ai fondi strutturali dell’UE.8 L’attuale assenza di un’uscita realistica dalla campagna di sanzioni complicherà senza dubbio gli sforzi, per quanto graduali, per costruire un nuovo ordine di sicurezza europeo dopo la guerra.

Inoltre, a prescindere dal fatto che le sanzioni riusciranno a indebolire l’economia e le capacità militari della Russia nel medio-lungo termine, esse fanno ben poco per affrontare la pericolosa e imprevedibile scala di escalation che si sta verificando in questo momento. Per esempio, in reazione alle perdite sul campo di battaglia, la Russia potrebbe ricorrere a capacità che finora sono rimaste in disparte, rendendo la vita più difficile all’Ucraina e forse anche prendendo di mira o interdicendo beni statunitensi e alleati. Dato che le sanzioni richiedono diversi mesi o addirittura anni per essere pienamente applicate, una strategia che ha privilegiato l’imposizione dei costi rispetto a un sostegno più attivo per una via d’uscita diplomatica nei primi mesi della guerra ha contribuito a una logica che favorisce uno stallo prolungato.

Se le sanzioni non sono riuscite a dissuadere l’aggressione russa e i loro effetti più importanti non si faranno sentire per qualche tempo, è difficile evitare la deduzione che uno dei loro obiettivi più immediati sia stato quello di destabilizzare il sistema di élite della Russia – se non il regime russo stesso. Quest’ultima opzione presenta evidentemente un rischio di escalation significativo (anche se non conoscibile), data la posta in gioco esistenziale per Putin. Sanzionare l’élite russa, da parte sua, non è una panacea. Il comune ritornello occidentale secondo cui la Russia è una cleptocrazia – una “stazione di servizio mascherata da Paese”, per citare il defunto senatore statunitense John McCain – si presta a far credere che sanzionare l’élite economica possa indurre Putin a subire immense pressioni e a cambiare il suo comportamento in politica estera.9 La logica di questa affermazione è palesemente assurda: non si può credere che la Russia ritiri le sue forze dall’Ucraina e modifichi radicalmente i suoi obiettivi geostrategici solo a causa delle restrizioni imposte a una manciata di uomini ricchi.10

Contrariamente a quanto si crede, il potere politico in Russia non è principalmente appannaggio degli uomini d’affari. L’influenza di quest’ultimo gruppo è stata deliberatamente ridotta – anche se il loro potere economico è rimasto intatto – come mezzo per stabilizzare la scena politica russa dopo i caotici anni Novanta.11 Tagliare loro l’accesso all’Occidente li rende più dipendenti dal Cremlino, soprattutto perché si contendono i beni lasciati dal ritiro occidentale dal mercato russo.

Le speranze iniziali che lo sforzo bellico russo si rivelasse massicciamente impopolare in patria sono state in gran parte deluse, nonostante la persistenza di varie sacche di malcontento. Il lungo impegno militare in Ucraina, unito alla percezione che il popolo russo sia stato ingiustamente preso di mira per azioni militari di cui non era responsabile, ha creato le condizioni in cui il regime può favorire l’effetto “raduno intorno alla bandiera”.

La chiara articolazione delle condizioni di revoca delle sanzioni (ad esempio, se la Russia soddisfa determinate condizioni nel contesto di un accordo negoziale) è fondamentale per la loro efficacia.

Anche se occasionalmente hanno prodotto successi politici come il JCPOA, le sanzioni massicce e le campagne di isolamento non hanno indotto cambiamenti politici in Iran, Corea del Nord, Venezuela e Cuba; questo rende difficile vedere come le sanzioni potrebbero influenzare un cambiamento profondo in Russia. Proprio come la Russia, gli Stati presi di mira dalle sanzioni negli ultimi anni hanno dimostrato la volontà di assorbire i costi per perseguire quelli che considerano i loro interessi fondamentali. Sebbene si possano ancora compiere sforzi per massimizzare l’impatto delle sanzioni esistenti, almeno un aspetto fondamentale dell’approccio statunitense (e occidentale) nei confronti della Russia potrebbe aver raggiunto il limite della sua efficacia, soprattutto per quanto riguarda la capacità di plasmare le percezioni e le azioni della Russia. Si può sanzionare l’avversario solo fino a un certo punto e, una volta colti i frutti più bassi, ulteriori misure possono avere un rendimento decrescente.

Le varie misure che oggi esistono per navigare in canali a prova di sanzioni, se combinate con l’interesse personale che Putin ha investito in questa guerra, suggeriscono che le sanzioni hanno dei limiti quando si tratta di costringere gli avversari.12 Ciò solleva la questione di quale sia il finale della guerra che queste sanzioni mirano a facilitare.

Definire la vittoria
Ufficialmente, la posizione degli Stati Uniti è quella di sostenere l’Ucraina “fino a quando sarà necessario” – esternando di fatto a Kiev la decisione su quando i combattimenti dovranno cessare.13 L’espressione “fino a quando sarà necessario” è evidentemente vaga, e nasconde la misura in cui gli interessi statunitensi e ucraini possono divergere. Tuttavia, mentre Washington potrebbe essere disposta a calibrare il livello di assistenza che fornirà a Kiev in futuro, non ha ancora mostrato il desiderio di prevedere una data di fine delle ostilità14.

L’Ucraina è comprensibilmente preoccupata che la Russia possa essere rafforzata da qualsiasi concessione territoriale. Un cessate il fuoco non implicherebbe certo la risoluzione delle relazioni politiche tra Russia e Ucraina, ma c’è il rischio, per quanto basso, che se la Russia subisse una significativa battuta d’arresto militare, Putin inasprirebbe ulteriormente il conflitto, magari utilizzando anche armi non convenzionali. Un atto del genere costringerebbe probabilmente gli Stati Uniti e i loro alleati a rispondere in qualche modo, sia con un massiccio attacco informatico sia con un attacco convenzionale diretto alle forze russe, dato che un nuovo ciclo di sanzioni si rivelerebbe evidentemente insufficiente. Ne deriverebbe probabilmente un confronto diretto tra la NATO e la Russia, cosa che gli Stati Uniti cercano attualmente di evitare.

Se da un lato l’Ucraina vuole evidentemente il massimo sostegno occidentale possibile per ripristinare la propria integrità territoriale e rafforzare la propria posizione in vista di futuri negoziati, dall’altro gli Stati Uniti e i loro alleati devono preoccuparsi della propria sicurezza. Una vittoria russa in questa guerra, comunque definita, metterebbe certamente a rischio le norme consolidate dell’ordine di sicurezza europeo. Ma anche una vittoria ucraina inequivocabile comporta rischi per la sicurezza. Un conflitto prolungato, da parte sua, rischia di coinvolgere Washington in un conflitto militare su due fronti se le relazioni tra Stati Uniti e Cina continueranno a deteriorarsi.

Ad oggi, gli Stati Uniti non hanno articolato una precisa strategia finale, consentendo loro di mantenere un certo grado di flessibilità al mutare delle condizioni sul campo di battaglia. Questo ha permesso a Washington di aumentare la pressione contro Mosca nella misura in cui lo ritiene sicuro e necessario. Tuttavia, questa mancanza di chiarezza può anche essere problematica. Sostenuta dai successi iniziali dell’Ucraina nel resistere all’assalto russo, l’amministrazione Biden ha inquadrato questo conflitto in termini massimalisti, sostenendo che è in gioco non solo la sovranità ucraina, ma anche l'”ordine internazionale basato sulle regole” in generale.15 La logica deduzione è che qualsiasi cosa al di sotto della liberazione di tutto il territorio ucraino sovrano – o, per lo meno, di tutto il territorio detenuto prima del 24 febbraio 2022 – rappresenterebbe una sconfitta inaccettabile.

Lasciando da parte termini come “ordine internazionale basato su regole”, che possono essere deliberatamente opachi, la realtà è che attualmente sono in discussione diverse norme distinte.16 Queste includono la sovranità dell’Ucraina, la sua integrità territoriale e il suo diritto all’autodeterminazione nazionale (alcuni potrebbero interpretare quest’ultimo come l’aspirazione ad aderire a organismi occidentali come la NATO e l’UE).

Forse questa guerra non avrebbe potuto essere evitata, data l’ossessione di Putin per l’Ucraina.17 Ma qualsiasi accordo teorico che Mosca e le capitali occidentali avrebbero potuto concordare per evitare la guerra avrebbe preservato la sovranità dell’Ucraina, limitando al contempo la sua capacità di entrare a far parte delle istituzioni occidentali (la sua integrità territoriale sarebbe rimasta intatta, ad eccezione della Crimea e del Donbas orientale). L’Ucraina ha vinto la lotta per la propria sovranità nelle prime settimane dell’invasione su larga scala da parte della Russia. Detto questo, l’integrità territoriale dell’Ucraina è stata ulteriormente compromessa e la sua adesione alla NATO appare improbabile nel prossimo futuro. E sebbene all’Ucraina sia stato riconosciuto lo status di Paese candidato all’adesione all’UE, la piena adesione rimane lontana anni, se non decenni.

Se l’Ucraina non è in grado di riprendere tutto il suo territorio con la forza, forse la vittoria dell’Ucraina non dovrebbe essere vista in termini territoriali, ma piuttosto in relazione alla possibilità di sopravvivere come Stato sovrano e vitale, in grado di tracciare un percorso verso un futuro “europeo”. Anche se non si tratta di un parallelo perfetto, data la diversa situazione geopolitica dell’Europa all’epoca, la Finlandia ha mantenuto la propria sovranità dopo la Seconda guerra mondiale ed è diventata una democrazia prospera e ben posizionata per entrare nell’UE, nonostante sia stata costretta a cedere il territorio all’URSS. Lo sviluppo di un elevato tenore di vita e di una governance democratica sono stati i fattori critici che hanno permesso a Helsinki di entrare a far parte della comunità occidentale, il che suggerisce che per Kiev la lotta più importante è quella per garantire lo stato di diritto, promuovere istituzioni statali funzionali e perseguire riforme chiave piuttosto che riconquistare tutto il territorio. Questi compiti essenziali diventeranno tanto più difficili quanto più a lungo persisterà la guerra.

Se l’Ucraina non può riconquistare tutto il suo territorio con la forza, forse la vittoria per l’Ucraina non dovrebbe essere vista in termini territoriali, ma piuttosto rispetto alla possibilità di sopravvivere come Stato sovrano e vitale, in grado di tracciare un percorso verso un futuro “europeo”.

Oggi ci sono poche basi per una soluzione negoziata. La Russia continua a insistere sulla capitolazione dell’Ucraina alle sue richieste (certamente amorfe e mutevoli), mentre l’Ucraina crede di poter riprendere militarmente tutto il suo territorio. Ognuno ritiene che la posizione dell’altro sarà alla fine minacciata per puro esaurimento di uomini, risorse o volontà politica – e che il tempo è quindi dalla sua parte. Tuttavia, se diventa chiaro che nessuna delle due parti sarà in grado di realizzare pienamente i propri obiettivi politici e militari, l’integrità territoriale dell’Ucraina potrebbe dover essere risolta attraverso un processo politico differito.18 Se l’attuale ritmo degli eventi non porta ai risultati desiderati per nessuna delle due parti, e nessuna delle due è disposta ad accettare una situazione di stallo a causa della retorica esistenziale presente da tutte le parti, allora potrebbe prospettarsi una scala di escalation pericolosa e forse incontrollabile. Questo non solo metterebbe a rischio la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei, ma complicherebbe anche gli sforzi per stabilizzare la situazione fino a un punto in cui un nuovo ordine di sicurezza europeo possa essere gradualmente – anche se imperfettamente – costruito.

Anche per quanto riguarda la dimensione globale del conflitto, la vittoria non è assicurata per l’Occidente. In effetti, la risposta dell’Occidente alla guerra potrebbe perversamente ridurre il sostegno globale per l'”ordine basato sulle regole” che sostiene di difendere. Questo va al di là del fatto che gli Stati non occidentali si risentono del fatto che le preoccupazioni dell’Occidente siano considerate universali, quando la stessa cortesia non viene estesa a loro.19 Potenze come la Cina, che temono di diventare le prossime vittime delle sanzioni occidentali, potrebbero non essere dissuase dal perseguire i loro obiettivi strategici fondamentali (ad es, La confisca dei beni privati dei cittadini russi, sebbene forse moralmente giustificata, potrebbe anche indurre alcuni a mettere in dubbio l’imparzialità del sistema giuridico occidentale.

Inquadrare la guerra come una lotta senza quartiere tra democrazia e autoritarismo (piuttosto che come uno sforzo contingente per difendere la sovranità di un Paese) ha incoraggiato molti Paesi del Sud globale a rimanere in disparte, favorendo al contempo un atteggiamento occidentale non sufficientemente attento all’impatto deleterio della guerra sui Paesi non occidentali. Di conseguenza, non solo l’Occidente non è riuscito a riunire una coalizione globale per vincere la lotta contro la Russia, ma l’apparente non allineamento di gran parte dell’Asia in questo conflitto suggerisce che anche l’esito della lotta a lungo termine contro la Cina rimane incerto.

Un’alleanza transatlantica militarmente rafforzata, se associata a una relativa perdita di influenza in gran parte del mondo in via di sviluppo, non rappresenta nel complesso una chiara vittoria a lungo termine per l’Occidente quando si tratta di plasmare il futuro dell’ordine globale. Se questo si aggiunge solo alle spinte esistenti che ci portano verso un mondo multipolare, in cui il potere degli Stati Uniti è in qualche modo controllato da altri Stati, solleva la questione a lungo termine del ruolo che gli Stati Uniti e i loro alleati sono disposti a riconoscere alla Russia nell’ordine di sicurezza europeo.

Il posto della Russia in Europa
Il posto della Russia nell’ordine di sicurezza europeo è rimasto irrisolto dalla fine della Guerra Fredda. I tentativi di creare “spazi comuni” da Lisbona a Vladivostok o di produrre una revisione del Trattato di sicurezza europeo sono tutti falliti.21 Il consolidamento dell’ordine continentale europeo post-Guerra Fredda attorno alla NATO e all’UE ha lasciato la Russia senza un ruolo in un sistema di sicurezza condiviso che possa ritenere commisurato al suo status rivendicato e in sintonia con i suoi interessi vitali dichiarati.

Un’alleanza transatlantica militarmente rafforzata, se associata a una relativa perdita di influenza in gran parte del mondo in via di sviluppo, non rappresenta nel complesso una chiara vittoria a lungo termine per l’Occidente quando si tratta di plasmare il futuro dell’ordine globale.

La questione del posto della Russia in Europa è al centro dell’attuale guerra – e non solo perché è iniziata con la richiesta di Mosca di garanzie di sicurezza all’interno dell’architettura di sicurezza europea.22 La narrazione convenzionale è che questa guerra riguardi l’Ucraina e il suo diritto di rimanere un Paese sovrano in un percorso verso la democrazia liberale e le istituzioni occidentali. In realtà, però, questa guerra riguarda più la Russia, in particolare il suo impegno a rimanere una potenza imperiale convinta del proprio eccezionalismo. Questo, a sua volta, tocca forse la questione fondamentale che ha afflitto le relazioni tra la Russia e l’Occidente nell’era post-Guerra Fredda, ovvero il fatto che ciascuna parte ha cercato di trasformare l’altra.

La Russia è uscita dalla Guerra Fredda con il sincero desiderio di unirsi all’Occidente, anche se solo a condizioni ritenute accettabili. Per Mosca, il prezzo delle relazioni amichevoli era che l’Occidente avrebbe dovuto qualificare la sua struttura radicata di leadership statunitense per creare un tipo completamente diverso – e più inclusivo – di comunità politica e di sicurezza europea, anche se l’aspetto di tale comunità era incerto.23 L’approccio occidentale, al contrario, presumeva che la convergenza nel regno dei valori (e l’effettiva sottomissione alle agende strategiche ed economiche occidentali) fosse il segno più sicuro di una Russia amichevole.24 L’incapacità di ciascuna parte di aderire alle aspettative dell’altra ha esposto sia la Russia che i Paesi occidentali alla delusione.

Questa tendenza a sperare che l’altra parte si trasformi è presente anche nell’attuale guerra: Il cambio di regime in Russia e la scomparsa di una politica estera liberale internazionalista in Occidente restano il probabile risultato preferito da ciascuna parte. Ma questa dinamica è precedente alla guerra. Se rimane intatta, suggerisce non solo che i tentativi di raggiungere un equilibrio stabile nel dopoguerra saranno estremamente fragorosi, ma anche che gli sforzi per uscire dal prolungato e pericoloso stallo odierno saranno estremamente difficili. Più la guerra in Ucraina si protrae, più il dividendo della pace europea degli ultimi decenni appare irrecuperabile.

Alcuni potrebbero sostenere che se la Russia fosse sconfitta in Ucraina questi problemi sarebbero risolti, con Mosca costretta ad accettare l’allineamento dell’Ucraina con l’Occidente. Ma una sconfitta militare potrebbe avere l’effetto opposto: Invece di porre fine allo sciovinismo e all’imperialismo russo, potrebbe inaugurare un nuovo periodo di revanscismo. Il successore di Putin, chiunque esso sia, erediterà questa guerra o la sua eredità e, dato il clima attuale, avrà difficoltà a prenderne le distanze in una misura che gli Stati Uniti e i loro alleati possano ritenere politicamente sufficiente. Una parte della classe politica russa può ritenere che l’invasione dell’Ucraina sia stata un errore, ma le preoccupazioni per la sicurezza dell’élite riguardo all’espansione della NATO rimangono pervasive e l’inquadramento discorsivo delle relazioni Russia-Occidente come ostili si è radicato. A questo punto potrebbero vedere una vittoria militare come una questione di prestigio nazionale.25

Non si può nemmeno augurare alla Russia di allontanarsi nella speranza che il suo futuro sia a est. A prescindere dal discorso eurasiatista promosso negli ultimi anni nei circoli politici russi, uno dei principali vantaggi del partenariato sino-russo per Mosca è quello di de-securizzare un teatro di secondaria importanza (l’Asia centrale) per poter dedicare maggiori risorse alla rivalità con l’Occidente.26 La Russia rimarrà sia occidentale che orientale. Persino Pietro il Grande, a cui Putin si è paragonato l’anno scorso, è ricordato come un occidentalizzatore, sebbene abbia condotto guerre di espansione territoriale in Europa27.

Grande potenza o meno, la Russia conserva un significativo potere dirompente e una notevole partecipazione al sistema di sicurezza europeo.

Grande potenza o no, la Russia conserva un significativo potere dirompente e una notevole partecipazione al sistema di sicurezza europeo. Ci si può accontentare dell’idea che la Russia finirà per avvicinarsi alla prospettiva dell’Occidente una volta diventata una democrazia liberale, per quanto improbabile sia questa prospettiva – e per quanto problematica, dato che presuppone che a una grande potenza si possa dire quali sono i suoi interessi. Ma un giorno del genere è ancora molto lontano. L’esito più probabile è che la Russia si ricostituisca dopo la guerra come una potenza di qualche tipo, così come è più probabile che gli Stati occidentali mantengano le loro attuali posizioni strategiche piuttosto che acconsentire alle preferenze normative di Mosca su come organizzare la sicurezza europea.

Pertanto, la sfida strutturale di trovare un posto adeguato per una Russia eccezionale e distinta in un’Europa di Stati nazionali ordinari rimane all’ordine del giorno della storia. Dato che le rimostranze sul posto della Russia nell’ordine di sicurezza europeo hanno avuto un ruolo di primo piano nel periodo che ha preceduto l’invasione su larga scala dell’Ucraina, le dinamiche del conflitto ucraino e dell’ordine continentale sono profondamente interconnesse. Così come un conflitto prolungato in Ucraina rende più difficile il raggiungimento di un nuovo ordine di sicurezza continentale, se gli Stati Uniti non si dimostrano aperti alla costruzione di un nuovo patto continentale, la guerra continuerà, minando ulteriormente le prospettive di sicurezza dell’Ucraina.

Il rapporto della Russia con l’Ucraina è complesso, sia per le tendenze post-coloniali che per le percezioni legate alla sicurezza. Discutere i futuri contorni di un ordine di sicurezza europeo in modo da rispondere alle legittime preoccupazioni sia di Mosca che di Kiev potrebbe non alleviare del tutto la sindrome post-imperiale (o addirittura imperiale) della Russia, così come una completa vittoria ucraina non la garantisce. Ma rappresenta comunque un’alternativa migliore rispetto a una continua e potenzialmente incontrollabile spirale di violenza con un punto finale che nessuno può prevedere.

Conclusioni e raccomandazioni
La strategia statunitense in Ucraina ha finora registrato successi significativi. Kiev è stata in grado di invertire la tendenza della guerra in una misura che pochi inizialmente ritenevano possibile, mentre l’amministrazione Biden ha giustamente trovato un cauto equilibrio tra l’assistenza all’Ucraina e il mantenimento delle forze statunitensi fuori dai combattimenti.

Tuttavia, più la guerra si protrae, maggiore è il rischio che Washington diventi un co-belligerante di qualche tipo, in termini pratici se non legali.28 L’affermazione di Mosca secondo cui non sta combattendo contro l’Ucraina, ma piuttosto contro la NATO sul territorio ucraino, può avere uno scopo politico, ma più la Russia subisce battute d’arresto, più è probabile che questa narrazione sia davvero creduta. Né si può prevedere con certezza il grado di sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina oltre il 2023. Pertanto, un conflitto prolungato può offrire alcune opportunità, come l’indebolimento delle forze armate russe a basso costo, ma presenta anche rischi significativi. E, come sottolineato in precedenza, ci sono limiti alla capacità di Washington di modellare il comportamento della Russia e di indirizzare il conflitto verso un esito accettabile senza affrontare le questioni che affliggono l’ordine di sicurezza dell’Europa.

Nonostante la parziale mobilitazione militare della Russia volta a stabilizzare le sue linee, non si possono escludere ulteriori guadagni ucraini. Se Mosca continuerà a insistere su termini effettivamente massimalisti, i colloqui volti a produrre un cessate il fuoco saranno probabilmente infruttuosi. Ma dopo le nuove offensive ucraine in primavera e in estate, potrebbe essere possibile determinare con maggiore sicurezza la misura in cui Kyiv può fare progressi sostenuti e significativi verso il recupero del territorio occupato. A quel punto, potrebbe essere diventato evidente sia per Mosca che per Kiev che realizzare la totalità dei loro obiettivi militari è impraticabile, almeno entro i confini dell’attuale guerra.

Dopo le nuove offensive ucraine della primavera e dell’estate, potrebbe essere possibile determinare con maggiore sicurezza la misura in cui Kyiv può compiere progressi sostenuti e significativi verso il recupero del territorio occupato.

Pertanto, l’autunno del 2023 potrebbe segnare un momento in cui gli alleati transatlantici possono sviluppare e proporre una visione condivisa della fine dell’attuale fase delle ostilità e delle condizioni per un cessate il fuoco o per una soluzione negoziata parziale che sia Kiev che Mosca potrebbero accettare. Questo, a sua volta, potrebbe spostare gradualmente il discorso popolare negli Stati Uniti e in Europa dalle attrezzature e dalle misure di cui l’Ucraina ha bisogno per vincere al compito più cruciale di ricostruire il Paese.

Pur mantenendo il sostegno all’Ucraina, l’amministrazione Biden dovrebbe iniziare a sviluppare proposte politiche da mettere in atto nel corso dell’anno. Queste proposte potrebbero essere di tre tipi e dovrebbero essere finalizzate a persuadere Mosca che può garantire alcuni dei suoi interessi fondamentali attraverso mezzi diplomatici piuttosto che militari.

In primo luogo, l’amministrazione Biden dovrebbe dichiarare esplicitamente la propria volontà di rinnovare e reinterpretare il principio della sicurezza indivisibile nella regione euro-atlantica, sia in ambito bilaterale che in sede OSCE. Questa mossa dimostrerebbe la capacità dell’amministrazione di mostrare empatia strategica, dal momento che le principali rimostranze della Russia nell’era post-Guerra Fredda hanno riguardato principalmente il suo status percepito come di secondo livello nell’ordine di sicurezza europeo. Più che la stabilità strategica e il controllo degli armamenti, si tratta della questione di quali principi fondamentali debbano informare tale ordine. Come misura di buona fede e di rafforzamento della fiducia reciproca, gli alti funzionari russi dovrebbero comunicare chiaramente che l’interesse principale del loro Paese è quello di ottenere garanzie di sicurezza piuttosto che estinguere la nazionalità ucraina.

Mentre lo spazio per raggiungere un consenso tra Russia e Occidente sullo status dell’Ucraina si è decisamente ridotto dall’inizio della guerra, il principio della sicurezza indivisibile offre maggiori promesse. Nell’interpretazione di Mosca, la sicurezza indivisibile implica che nessuno Stato dell’area euro-atlantica dovrebbe aumentare la propria sicurezza a spese di un altro Stato.29 Segnalare il desiderio di sviluppare intese condivise sulla natura di questo principio potrebbe quindi aprire la strada a discussioni più dettagliate sulle garanzie di sicurezza sia per la Russia che per l’Ucraina. Ciò contribuirebbe anche ad alleviare la percezione russa della natura esistenziale di questa guerra, dato che l’interpretazione occidentale prevalente del principio è incentrata sull’inseparabilità delle preoccupazioni di sicurezza umane e statali, che è servita da pretesto per le critiche occidentali a quelli che la Russia considera i suoi affari interni.

In secondo luogo, gli Stati Uniti dovrebbero avviare consultazioni con i loro alleati europei su proposte di revoca di alcune delle misure economiche adottate contro la Russia, se Mosca accetta di soddisfare alcune condizioni in cambio. Ad esempio, le sanzioni sui beni statali russi potrebbero essere parzialmente rimosse in cambio di un ritiro graduale della Russia dal territorio occupato e dell’inserimento di una forza di interposizione riconosciuta a livello internazionale. Ulteriori misure di buona fede potrebbero essere accompagnate dal ripristino di altri legami economici, con il riconoscimento che l’interdipendenza con le armi è ancora preferibile all’assenza di interdipendenza – poiché quest’ultima opzione lascia essenzialmente a Mosca la minaccia della forza come unico mezzo rimasto per esercitare influenza in Europa, dove ha ancora interessi significativi.

Sebbene la revoca delle sanzioni avverrebbe solo dopo che la Russia avrà adempiuto a determinate misure, per motivi di credibilità l’amministrazione Biden deve indicare che è aperta a questa possibilità. Finché Mosca riterrà che le prospettive di alleggerimento delle sanzioni siano scarse, non avrà alcun incentivo a scendere a compromessi sui suoi obiettivi militari, il che non fa che alimentare la logica dell’escalation. Le voci nel Congresso degli Stati Uniti, tra i membri più falchi dell’UE e nell’establishment della sicurezza russa potrebbero cogliere l’opportunità di disaccoppiare economicamente e consolidare una dinamica permanente di confronto. Quanto più a lungo si protrarrà l’attuale stato di guerra, tanto minore sarà l’incentivo a ristabilire i legami economici – una delle poche aree in cui è persistito una sorta di spazio comune europeo nonostante la crescente divergenza dei sistemi politici del continente. È giunto il momento che i funzionari dalla mentalità sobria diano prova di leadership, riconoscendo il fatto che tutte le parti dovranno imparare a condividere lo spazio euro-atlantico che chiamano casa.

Anche se la revoca delle sanzioni avverrebbe solo dopo che la Russia avrà adempiuto a determinate misure, per motivi di credibilità l’amministrazione Biden deve indicare che è aperta a questa possibilità.

Infine, con la Russia che sta mettendo la sua economia sul piede di guerra e i Paesi occidentali che cercano di ripristinare la loro capacità di aumentare la produzione militare-industriale, l’amministrazione Biden dovrebbe lanciare una task force transatlantica per sviluppare proposte per accoppiare i miglioramenti delle capacità militari occidentali con le salvaguardie multilaterali est-ovest. Sebbene il raggiungimento di accordi tradizionali per il controllo degli armamenti si sia rivelato eccezionalmente difficile dopo la firma del New START e l’approfondimento della struttura di potere multipolare del mondo, gli sforzi persistenti per individuare accordi ad hoc aiuterebbero a evitare una corsa al ribasso. E dato che un cessate il fuoco o un accordo in Ucraina potrebbe eventualmente comportare una componente di controllo degli armamenti per quanto riguarda le limitazioni al posizionamento di forze e missili, questa task force potrebbe avere un effetto positivo sugli sforzi per prevenire nuove ostilità tra Mosca e Kiev.

Nessuna di queste proposte costringerebbe gli Stati Uniti ad abbandonare quelli che attualmente percepiscono come i loro principali obiettivi e interessi di politica estera. Esse offrono semplicemente l’opportunità di sviluppare un approccio più sostenibile e lungimirante alla gestione delle relazioni con gli avversari americani. Questa strategia riconoscerebbe i limiti della compellenza senza un’equivalente dose di rassicurazione, riconoscendo al contempo la necessità di gestire i quadri di sicurezza regionale con una mentalità inclusiva in assenza di prospettive per un ordine di sicurezza pienamente cooperativo.

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Zachary Paikin
Zachary Paikin è ricercatore presso il Centre for European Policy Studies (CEPS) di Bruxelles e ricercatore non residente presso l’Institute for Peace & Diplomacy, un think tank nordamericano attivo sia a Ottawa che a Washington.

https://quincyinst.org/report/the-ukraine-war-european-security-how-durable-is-americas-strategy/?mc_cid=1e91486550&fbclid=IwAR1Z1tgNHvq3Xnrn8ngc6yGzkZJI4yALk7lo66UiBAL4xI8Mo-EecwUAm_0

Non sorprende che le fughe di notizie del Pentagono abbiano affermato che il Sud globale si stia multiallineando, di ANDREW KORYBKO

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ANDREW KORYBKO
30 APR 2023
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L’ultimo rapporto del Washington Post sulle fughe di notizie del Pentagono dimostra che al giorno d’oggi esistono limiti reali all’influenza degli Stati Uniti sul Sud globale, il che scredita l’aspettativa di poter costringere ogni Paese a schierarsi contro Russia e Cina. Comunque sia, la situazione strategica non è così disastrosa come si temeva, dato che gli Stati Uniti hanno ancora una notevole influenza in Pakistan e in Brasile, per bilanciare quella relativamente minore nelle Repubbliche dell’Asia centrale e la totale assenza di influenza sull’India.

Geopolitica contemporanea

Il Washington Post (WaPo) ha pubblicato sabato l’ultimo rapporto sulle fughe di notizie del Pentagono, intitolato “Le nazioni più importanti si tirano fuori dallo stallo degli Stati Uniti con la Russia e la Cina, come dimostrano le fughe di notizie”. Nessun osservatore serio dovrebbe essere sorpreso, tuttavia, dal fatto che Stati del Sud globale come il Pakistan, l’India, le Repubbliche dell’Asia centrale (RCA) e il Brasile si stiano allineando alla nuova guerra fredda invece di schierarsi decisamente dalla parte degli Stati Uniti. In questo pezzo si critica il resoconto del WaPo sulle politiche di questi Paesi e si condividono anche alcune sintetiche informazioni su di essi.

Il Pakistan

Iniziando dal Pakistan, per gli Stati Uniti è sempre stato un sogno irrealizzabile aspettarsi che questo Paese prendesse le distanze dalla Cina, dal momento che le sue prospettive economiche future dipendono dal commercio e dagli investimenti con la Repubblica Popolare. La sua decisione di astenersi dalle risoluzioni antirusse dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite può essere compresa in questo senso, poiché prendere le parti degli Stati Uniti su questa questione globale avrebbe suscitato i sospetti della Cina sulle grandi intenzioni strategiche del regime golpista postmoderno nella nuova guerra fredda.

Nonostante la politica estera ufficiale del Pakistan non sia cambiata dopo il cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti, ma superficialmente “democratico”, contro Imran Khan un anno fa, Washington è riuscita comunque a far deragliare la traiettoria geostrategica di questo Stato dell’Asia meridionale. Le crisi a cascata che hanno seguito la sua estromissione hanno paralizzato il Pakistan proprio nel momento in cui doveva concentrarsi sulla ricerca del proprio posto nell’ordine mondiale emergente, nel contesto di un’accelerazione senza precedenti della transizione sistemica globale verso il multipolarismo.

Alla luce di ciò, si può concludere che gli Stati Uniti hanno ottenuto un grande ritorno dal loro investimento in quell’evento, poiché la cosiddetta “Dottrina Wolfowitz” è stata attuata senza problemi. Tale concetto predica la necessità per gli Stati Uniti di ostacolare in modo proattivo l’ascesa di qualsiasi Paese che possa potenzialmente rappresentare una minaccia per i propri interessi regionali, cosa che è stata indiscutibilmente realizzata nel caso del Pakistan, che potrebbe non essere più in grado di riconquistare lo slancio multipolare perduto dopo la sconfitta dell’ultimo anno storico.

L’India

La situazione geostrategica del Pakistan è in netto contrasto con la rapida ascesa dell’India come Grande Potenza di rilevanza globale nello stesso periodo. La sua politica pragmatica di neutralità di principio nella dimensione russo-statunitense della Nuova Guerra Fredda ha raccolto grandi dividendi strategici, consentendo a Delhi di posizionarsi perfettamente tra questi due protagonisti della transizione sistemica globale. L’esempio dell’India ha ispirato altri Stati del Sud globale a seguirne l’esempio, conferendole così un’influenza unica all’interno di questo gruppo di Paesi.

L’affermazione del Pentagono secondo cui il consigliere per la sicurezza nazionale Doval avrebbe detto al suo omologo russo che Delhi non si opporrà a Mosca nelle sedi multilaterali corrisponde a questa politica. Prendere le parti degli Stati Uniti contro la Russia in questi eventi, specialmente quelli del G20 che ospiterà quest’anno, avrebbe catalizzato una reazione a catena che sarebbe culminata con la subordinazione dell’India agli Stati Uniti come il suo più grande Stato proxy di sempre, abbandonando così la sua politica di multi-allineamento che ha ispirato l’intero Sud globale.

Sebbene il WaPo abbia presentato questa politica in modo scettico rispetto agli interessi degli Stati Uniti, è anche vero che l’India rimane molto vicina agli Stati Uniti, nonostante il suo rifiuto di assecondare le sue richieste a somma zero contro la Russia. Questi due Paesi hanno interessi comuni quando si tratta di gestire l’ascesa della Cina, ma tuttavia anche questa importante comunanza tra loro non significa che l’India sia alleata degli Stati Uniti contro la Repubblica Popolare né che abbia interesse a integrare le sue forze con quelle della NATO come stanno facendo i suoi partner Quad.

Le repubbliche dell’Asia centrale

Dando credito a ciò che è dovuto, le fughe di notizie del Pentagono hanno colto nel segno per quanto riguarda i calcoli strategici delle RCA nella Nuova Guerra Fredda e il loro palese opportunismo. È vero che sono “desiderosi di lavorare con chiunque offra i risultati più immediati, che per ora è la Cina”, al fine di ridurre quella che le loro leadership percepiscono come la cosiddetta dipendenza dalla Russia. Queste motivazioni creano aperture per gli Stati Uniti che mettono a disagio Mosca, che teme l’invasione militare regionale americana.

È con queste preoccupazioni che il ministro della Difesa russo Shoigu ha detto ai suoi omologhi della SCO a Delhi, la scorsa settimana, che il suo Paese sta “aumentando la prontezza di combattimento delle sue basi in Kirghizistan e Tagikistan in mezzo ai tentativi degli Stati Uniti e dei loro alleati di ripristinare la loro presenza militare in Asia centrale”. È evidente che il Cremlino è a conoscenza delle trame regionali del Pentagono e vuole sventarle in modo proattivo, comprese quelle non convenzionali che riguardano il sostegno degli Stati Uniti a vari gruppi terroristici in loco.

Nessuna RCA accetterebbe mai di ospitare l’ETIM o l’ISIS, per esempio, ma alcuni, come il Tagikistan, membro della CSTO, e l’Uzbekistan, recentemente allineato alla Russia, potrebbero essere tentati dalle proposte di cooperazione creativa degli Stati Uniti per espandere le loro relazioni con le sue forze armate. Detto questo, i loro crescenti legami economici con la Cina potrebbero potenzialmente dissuaderli dal farlo, se Pechino si sentisse a disagio con questo scenario, come lo è attualmente Mosca a causa del deterioramento dei suoi legami con Washington, che le fa temere l’accerchiamento degli Stati Uniti.

Brasile

L’ultima parte del rapporto del WaPo sulle fughe di notizie del Pentagono che vale la pena di criticare riguarda la politica estera del Presidente brasiliano Lula e in particolare la sua proposta del cosiddetto “club della pace” per mediare la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina. Come già analizzato a suo tempo, “L’approvazione della retorica di pace di Lula da parte della Russia non sorprende”, poiché l’ottica di una sua parziale attribuzione di responsabilità all’Occidente per questo conflitto – per quanto insincera – va contro gli interessi di soft power di quest’ultimo.

Ciononostante, il leader del più grande Paese dell’America Latina, recentemente rieletto e ormai tre volte, è ancora politicamente allineato con gli Stati Uniti contro la Russia nel conflitto geostrategicamente più importante dalla Seconda Guerra Mondiale, come dimostra la posizione ufficiale del suo governo nei confronti di questa guerra per procura, documentata qui. Anche il principale consigliere di Lula per la politica estera ha confermato la suddetta valutazione in una lunga intervista, seguita dalla dichiarazione del suo capo che non visiterà la Russia se questa non riprenderà i colloqui di pace con Kiev.

Le tre analisi qui, qui e qui illustrano nel dettaglio la grande strategia di Lula, che può essere semplificata come il suo desiderio di de-dollarizzarsi con la Cina e contemporaneamente di fare proseliti con il “wokeismo” in tutto il mondo attraverso la rete di influenza globale che, secondo quanto riferito, ha proposto di creare con i Democratici statunitensi durante il suo viaggio a Washington. Le relazioni con la Russia sono considerate sacrificabili se sono necessari sacrifici unilaterali per mantenere la fiducia dei suoi alleati ideologici, per questo gli Stati Uniti non dovrebbero leggere troppo a fondo nella superficiale retorica pacifista di Lula.

Pensieri conclusivi

Come dimostrato dall’ultimo rapporto del WaPo sulle fughe di notizie del Pentagono, oggi esistono limiti reali all’influenza degli Stati Uniti sul Sud globale, il che scredita l’aspettativa che essi possano costringere ogni Paese a schierarsi contro Russia e Cina. Comunque sia, la situazione strategica non è così disastrosa come quella paventata, poiché gli Stati Uniti hanno ancora un’influenza considerevole in Pakistan e in Brasile per bilanciare la loro influenza relativamente minore nelle RCA e la loro totale mancanza sull’India.

https://korybko.substack.com/p/its-not-surprising-that-the-pentagon

https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3219290/china-says-its-stand-ukraine-war-has-not-changed-after-un-vote?module=perpetual_scroll_0&pgtype=article&campaign=3219290

La Cina afferma che la sua posizione sulla guerra in Ucraina “non è cambiata” dopo il voto delle Nazioni Unite

  • La scorsa settimana Pechino ha appoggiato una risoluzione che descriveva il conflitto come “aggressione da parte della Federazione Russa”
  • Ma la missione della Cina alle Nazioni Unite afferma che il suo voto era sull’intero testo e non era un’approvazione di quel paragrafo

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Immagini di Sofia e Alina, due bambine uccise da un attacco missilistico russo, sono state viste sabato nella città di Uman, nella regione di Cherkasy in Ucraina.  Foto: Reuters
Immagini di Sofia e Alina, due bambine uccise da un attacco missilistico russo, sono state viste sabato nella città di Uman, nella regione di Cherkasy in Ucraina. Foto: Reuters

La Cina ha affermato di non approvare la descrizione del conflitto ucraino come “aggressione da parte della Federazione Russa” votando a favore di una risoluzione delle Nazioni Unite la scorsa settimana.

“La posizione della Cina sulla questione ucraina non è cambiata e la posizione di voto non ha nulla a che fare con la telefonata tra i due capi di stato”, ha dichiarato martedì la Missione permanente della Cina presso le Nazioni Unite in una risposta via e-mail alle domande.

La missione si riferiva al voto della Cina su una risoluzione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 26 aprile e a una conversazione tra il presidente cinese Xi Jinping e il leader ucraino Volodymyr Zelenksy lo stesso giorno.

Il voto della Cina ha attirato l’attenzione poiché la risoluzione descriveva la Russia come l’aggressore nel conflitto – linguaggio che Pechino non ha usato. La Cina non ha mai condannato l’attacco della Russia all’Ucraina ed è stata criticata dall’Occidente per la sua posizione sulla guerra.

Anche la tempistica del voto – poche ore dopo che Xi e Zelensky si sono parlati per la prima volta dall’invasione russa – ha sollevato interrogativi su quella posizione.

Il capo della politica estera dell’Unione europea Josep Borrell ha twittato mercoledì che il blocco ha accolto con favore la risoluzione e che è stata sostenuta dal suo Gruppo dei 20 partner tra cui Cina, Brasile, India e Indonesia.

Ma la missione di Pechino alle Nazioni Unite ha negato che ci sia stato alcun cambiamento nella posizione della Cina.

“Il voto ‘sì’ è stato un voto sull’intero testo della risoluzione e non può essere considerato un’approvazione di quel paragrafo”, ha affermato la missione.

La Cina si era astenuta da una precedente votazione sull’opportunità di mantenere il paragrafo nel preambolo secondo cui l’Europa doveva affrontare sfide senza precedenti a seguito dell’aggressione russa contro Ucraina e Georgia.

Il paragrafo chiedeva anche il tempestivo ripristino della pace e della sicurezza “basato sul rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di qualsiasi stato” e che tutti i responsabili di violazioni del diritto internazionale fossero ritenuti responsabili.

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27 aprile 2023

La bozza di risoluzione è incentrata sul sostegno alla cooperazione tra le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, un organismo internazionale da cui la Russia è stata espulsa settimane dopo l’invasione.

L’Assemblea Generale ha adottato la risoluzione non vincolante – contenente il paragrafo a cui la Russia si è opposta – con 122 voti a favore, 18 astensioni e 48 Stati membri non votanti. I cinque paesi che si sono opposti alla risoluzione sono stati Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua e Siria.

La missione ha affermato che non è la prima volta che la Cina sostiene una risoluzione delle Nazioni Unite che si riferisce all’aggressione russa contro l’Ucraina, indicando un voto del 21 novembre. Quella risoluzione riguardava la promozione della cooperazione tra le Nazioni Unite e l’Iniziativa centroeuropea.

Pechino ha votato a favore di quella risoluzione ma si è astenuta da un voto separato sull’opportunità di mantenere i riferimenti all’”aggressione russa”.

Courtney Fung, professore associato presso la Macquarie University di Sydney, ha affermato che l’astensione della Cina dal voto sul paragrafo la scorsa settimana riflette la sua posizione di sicurezza e priorità sull’amicizia “senza limiti” con la Russia.

Questa partnership è stata annunciata quando Xi e il leader russo Vladimir Putin si sono incontrati a Pechino nel febbraio dello scorso anno, settimane prima che la Russia invadesse l’Ucraina.

Un anno dopo, la Cina ha pubblicato un documento di posizione sulla guerra in cui affermava che i colloqui di pace erano l’unico modo per fermare i combattimenti. È stato criticato dall’Occidente per non aver chiesto alla Russia di ritirare le sue truppe, mentre gli sforzi di Pechino per essere un pacificatore sono stati accolti con scetticismo visti i suoi stretti legami con Mosca.

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2 maggio 2023

“La Cina spende risorse diplomatiche per modificare la lingua e raccogliere voti che siano almeno più vicini alle proprie posizioni”, ha detto Fung, che è anche un membro associato del Lowy Institute, un think tank di Sydney. Ha detto che la Cina era in buona compagnia astenendosi con dozzine di altre nazioni nel Sud del mondo, il che “diffonde qualsiasi costo reputazionale per la Cina”.

La Cina si è per lo più astenuta dalle risoluzioni delle Nazioni Unite che condannano l’invasione della Russia invece di seguire la Russia ei suoi sostenitori – Corea del Nord, Siria e Bielorussia – con un voto negativo.

Fung ha affermato che votare contro una risoluzione che chiede la cooperazione sulla pace e la sicurezza internazionale “mina [la Global Security Initiative] con il messaggio che la Cina sta concettualizzando la sicurezza solo per gli stati forti”.

Xi ha promosso l’iniziativa – un vago quadro – come alternativa all’ordine di sicurezza internazionale guidato dall’Occidente dall’aprile 2022.

Li Lifan, uno specialista della Russia presso l’Accademia delle scienze sociali di Shanghai, ha affermato che è troppo semplicistico considerare la posizione della Cina sul conflitto sulla base di un voto delle Nazioni Unite.

“La chiave è guardare come la Russia ha reagito al voto”, ha detto Li. “La Russia agisce per i suoi interessi nazionali e non usa mezzi termini per difenderli, ma non ha criticato la Cina per come ha votato”.

Ha detto che la Cina si è astenuta dal votare sulla maggior parte delle risoluzioni che condannano l’invasione poiché la maggior parte dei paesi non si opporrebbe. L’astensione è stata anche un modo per gestire le sue relazioni con i principali partner commerciali come l’UE.

Jack Lau

Jack Lau

Jack è entrato a far parte del Post nel 2020 dopo aver studiato giornalismo all’Università di Hong Kong. Prima di allora, ha studiato giurisprudenza a Londra e Hong Kong, dove ha collaborato con la ricerca nelle istituzioni legali cinesi e la risoluzione delle controversie civili.

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  • La conversazione ha segnalato che Pechino è disposta ad assumere un ruolo più attivo come mediatore tra Ucraina e Russia, affermano gli analisti
  • Ma molti in Europa e negli Stati Uniti, aggiungono, credono che mentre la Cina è neutrale in superficie, rimane predisposta nei confronti di Mosca

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La posizione della Cina come potenziale mediatore è aumentata dopo che il presidente cinese Xi Jinping (a destra) ha parlato con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, hanno detto gli analisti. Foto: AFP

La telefonata di mercoledì tra il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky è stata un colpo di stato diplomatico per Pechino, ma la Cina deve ancora affrontare sfide formidabili nel mediare qualsiasi pace tra Ucraina e Russia, hanno detto gli analisti.

La conversazione di un’ora, accolta con cautela dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei, ha segnalato che la Cina è disposta ad assumere un ruolo più attivo come pacificatore nei conflitti regionali, hanno affermato gli analisti.

Dimostra anche che i leader cinesi ora credono che il paese sia in grado di assumersi maggiori responsabilità come potenza globale e che tali sforzi potrebbero aiutare a ricucire i suoi legami con l’Europa e rafforzare la sua influenza diplomatica, specialmente con i suoi vicini e in Asia centrale, hanno aggiunto.

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Sulla secessione e la guerra civile, di SIMPLICIUS THE THINKER

Leggete Simplicius ed ascoltate sul nostro sito il Gianfranco Campa degli ultimi sei anni. Giuseppe Germinario

Sulla secessione e la guerra civile

Will there be breakup by 2030?

Ci sarà una rottura entro il 2030?

SIMPLICIUS THE THINKER
30 APR 2023
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Questo è il primo pezzo che ho scritto in cui mi sono reso conto che sarebbe stato adatto sia a questa pubblicazione che a quella di Dark Futura. Perciò, per la prima volta, lo pubblicherò su entrambe le testate, in modo da raggiungere entrambi i pubblici, dato che le due testate si sono ormai separate nel tempo e ci sono molte persone che sono abbonate solo a una e non all’altra. Pertanto, mi scuso con chi è abbonato a entrambi e riceve una doppia e-mail, poiché si tratterà di un evento raro su un argomento che riguarda entrambe le pubblicazioni.

Spesso parlo della mia previsione di lunga data, secondo cui prevedo che gli Stati Uniti si trasformeranno in una guerra civile o in una secessione entro l’anno 2030. Sentendo questo, molti mi hanno chiesto di esporre a lungo il mio pensiero, il perché e il modo in cui lo vedo svolgersi. Ho quindi deciso di trattare finalmente l’argomento in modo più approfondito di quanto non permetta la solita risposta ai commenti.

I.
La verità è che questa è una previsione popolare per molte persone di “destra/alt-destra”, ma pochi delineano effettivamente i meccanismi specifici con cui può accadere. Ed è qui che credo di poter fare luce sull’esatto processo, già in atto, che credo porterà a questi scenari.

Per prima cosa, definiamo alcuni termini di base, in modo da essere in sintonia con il contesto. Proprio come molte persone dicono eufemisticamente “terza guerra mondiale” quando in realtà intendono “guerra nucleare”, quando in realtà la terza guerra mondiale non ha una relazione diretta e intrinseca con la guerra nucleare di per sé, in quanto può essere semplicemente un conflitto convenzionale globale simile alla seconda guerra mondiale, allo stesso modo qui, molte persone invocano vagamente la “guerra civile” senza capire cosa il termine possa effettivamente implicare.

Soprattutto nel clima culturale odierno, quando evocano la “guerra civile”, molte persone si riferiscono inconsciamente a una sorta di conflitto in stile genocidio del Ruanda tra i due schieramenti opposti dei liberali e dei conservatori, in cui i civili veri e propri hanno preso le armi e stanno combattendo per le strade. Questa nozione di “guerra civile” è alimentata da infiniti meme postati da entrambe le parti che raffigurano cose come antifa armati di sinistra contro miliziani conservatori che si affrontano in un campo di battaglia distopico di periferia, forse simile alla “zona autonoma” CHAZ di Seattle.

Tuttavia, il precedente storico della “guerra civile”, almeno per come è conosciuta negli Stati Uniti, è più sinonimo di secessione, nel senso che si trattava di due forze governative contrapposte, sostenute da eserciti permanenti convenzionali, che si impegnavano in un vero e proprio combattimento militare, piuttosto che di un gruppo di cittadini armati di coltelli da cucina e pistole calibro 22 nel parco cittadino.

In realtà, per confondere ulteriormente le idee, la guerra civile americana non era concettualmente diversa da una guerra rivoluzionaria, come quella del 1776. E molti hanno fatto notare che la stessa Guerra di Rivoluzione fu in realtà una Guerra Civile, il che significa che in un certo senso gli Stati Uniti sono già passati attraverso due guerre civili, per fare un’osservazione retorica.

Tutto questo per sottolineare che ciò su cui mi concentrerò non è il conflitto di tipo ruandese che i troll di Twitter immaginano come modello di “guerra civile”, ma piuttosto l’altra varietà.

Quella in stile ruandese ha meno possibilità di verificarsi perché presuppone una sorta di “free-for-all” stocastico e de-centralizzato in cui le persone prendono le armi contro gli altri. Certo, ci saranno sporadici conflitti armati a livello regionale, a causa delle crescenti divisioni razziali e politiche nel Paese. Ma non esiste un vero e proprio meccanismo formalizzato con il quale le due parti possano anche solo coalizzarsi in una parvenza di esercito organizzato e contrapposto, con un comando centrale, strutture di staff, ecc. Questa è per lo più una considerazione giovanile, almeno per il futuro semi-vicino di cui stiamo parlando. Si potrebbe forse immaginare uno scenario del genere molto più in là nel tempo di quanto sia possibile prevedere: una sorta di strano futuro post-apocalittico senza legge e distopico in stile Mad-Max nell’anno 2100, o qualcosa del genere. Ma per i nostri scopi, questo è irrealistico e non merita una seria riflessione.

II.
C’è una terza opzione a cui alcuni si riferiscono quando invocano la guerra civile: quella del “popolo contro il governo”. La tratterò brevemente da sola, perché qui ci sono alcune considerazioni importanti.

In primo luogo, quest’idea ha guadagnato terreno in quanto numerosi politici americani hanno brandito questo randello come minaccia contro gli americani ribelli che potrebbero desiderare le loro possibilità in una rivolta. Lo stesso Biden ha osservato in almeno due o tre occasioni diverse che “gli americani hanno bisogno di F-15 e non di AR15 per combattere contro il governo”, sottintendendo che i cittadini statunitensi non potranno mai sconfiggere il governo a meno che non siano armati con armi strategiche di alto livello, invece che con semplici armi leggere.

https://twitter.com/i/status/1564706079036116994

Il democratico Eric Swalwell ha tristemente minacciato gli americani di usare le armi nucleari se si fossero opposti alle politiche di confisca delle armi da lui promosse.

Tecnicamente, una simile circostanza non rientrerebbe nella “guerra civile”, ma piuttosto in una semplice rivoluzione o rivolta armata. In definitiva, si tratta solo di cavilli semantici. Tuttavia, ne parlo per far notare che la maggior parte delle persone che usano questi termini o discutono di questi argomenti non sono nemmeno sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda la coerenza. Ho quindi voluto delineare i vari concetti in modo da poterli affrontare a turno e da permettere ai lettori di seguire ciò che sto dicendo.

Per quanto riguarda l’opzione del popolo contro il governo, dirò la seguente cosa: i detrattori più accaniti di questa possibilità sono tipicamente gli anti-diritti delle armi di sinistra, che usano la scusa del “non si può vincere contro gli F-15” come un modo per screditare la necessità del 2° Emendamento. Di solito dipingono uno scenario in cui un gruppo di civili armati di AR15 si scontra con un esercito americano completamente armato con la sua panoplia completa di jet da combattimento, missili, carri armati, ecc.

Ma la sfumatura critica che sfugge a questa ipotesi errata è la seguente domanda: chi è che rifornisce questa potente forza militare con tutte le sue armi di lusso? Chi la rifornisce di carburante? Ricordiamo che nell’attuale discorso sulla disastrosa situazione delle forniture di munizioni in Ucraina, ci sono stati mostrati segmenti della CNN di operai americani che lavoravano nelle ultime fabbriche americane rimaste in grado di produrre tali munizioni.

Queste persone contrarie alle armi credono forse che l’esercito stesso produca queste armi, e la loro benzina, il carburante, eccetera? Il punto è che sono le infrastrutture civili a costituire la spina dorsale della capacità militare degli Stati Uniti. Senza il gas, il carburante, le munizioni e così via, la potente macchina da guerra statunitense va in tilt. Cosa faranno i carri armati Abrams quando i civili che gestiscono le raffinerie le chiuderanno tutte e i civili che trasportano il carburante ai depositi si ribelleranno? I civili costruiscono tutti gli F-15, gli F-22 e i bombardieri B-2 che il governo americano brandisce altezzosamente come una sciabola. Se si trattasse di una vera battaglia “civili contro governo”, dove si procurerebbe il governo tutto l’equipaggiamento? Anche le fabbriche di armi leggere sono gestite da lavoratori civili.

Chi pensate che stia costruendo quegli HIMAR e quei lanciatori M270?
In breve, il governo e la sua “potente forza militare” non resisterebbero in un vero conflitto prolungato contro la popolazione degli Stati Uniti. Naturalmente, tutto dipende da quante persone sarebbero dalla parte della rivolta in questo scenario ipotetico. Ma non dimentichiamo che gli Stati Uniti hanno circa 400 milioni di armi, e 393 milioni di queste sono in mano ai civili. Si dice che ci siano qualcosa come 70-100+ milioni di possessori di armi. L’esercito americano ha circa 800.000 truppe di terra in totale. Anche con tutti gli aerei e i carri armati del mondo, possono 800.000 soldati andare contro 100.000.000? Si potrebbe sostenere che non sono riusciti a sconfiggere nemmeno i Vietcong, che erano meno di 1 milione, figuriamoci 100 milioni. Per non parlare del fatto che la maggior parte degli americani è armata molto più pesantemente dei tipici Vietcong e dei loro fucili a otturatore.Ma come ho detto, queste sono solo ipotesi un po’ assurde per mettere alcune cose in prospettiva; in realtà, questo non è il tipo di scenario che mi aspetto si verifichi. Si tratta semplicemente di due centesimi buttati nel dibattito per confutare la tipica cantonata della sinistra secondo cui le forze armate statunitensi sono invincibili, quando in realtà si affidano completamente al settore civile per funzionare.III.
Mentre ci avviciniamo agli scenari reali che ritengo abbiano una forte possibilità di verificarsi, gettiamo le basi finali esaminando prima l’attuale clima socio-politico del Paese:

Tra tutti i cittadini statunitensi, il 43% ha dichiarato che la guerra civile è almeno in parte probabile. Tra i democratici forti e gli indipendenti la percentuale era del 40%. Ma tra i repubblicani forti, il 54% ha dichiarato che la guerra civile è almeno in qualche modo probabile.

 

È innegabile che una parte crescente del Paese stia iniziando non solo a credere nell’inevitabilità di una “guerra civile”, ma anche a sperarla.

Questi sono i risultati di uno studio dell’Università di Chicago:

Il rapporto mostra che almeno un quinto degli americani concorda, al di là delle linee di partito, sul fatto che sarà necessario “prima o poi” prendere le armi contro il governo. La percentuale sale al 45% tra i forti sostenitori repubblicani.

La CNN ha pubblicato un articolo su uno studio che mostra come gli Stati Uniti si stiano dirigendo verso una forma di guerra civile. Un ricercatore dell’Università della California ha utilizzato un sistema di metriche progettato per valutare la vicinanza e la probabilità di una guerra civile per altri Paesi stranieri, ma ha applicato gli stessi calcoli agli Stati Uniti.

La professoressa Barbara Walter spiega di aver studiato le guerre civili per trent’anni e di aver lavorato negli ultimi anni per una task force della CIA che utilizza queste metriche per prevedere “dove si verificherà la prossima guerra civile” nel mondo.

Il conduttore riassume: “Ciò che è notevole è che la ricerca non si basa sul sentimento (o sull’ideologia politica), ma sulle metriche e sui marcatori, sui segni e sui fatti che gli Stati Uniti usano per determinare lo stato delle democrazie degli altri Paesi e la loro vicinanza alle rivolte”.

Il professor Walter spiega che, se rivolti contro gli stessi Stati Uniti, questi stessi calcoli proprietari rivelano che gli Stati Uniti si trovano al limite di ciò che la CIA considererebbe la cuspide delle categorie “RISCHIO” e “ALTO RISCHIO”. Normalmente, un Paese ad “alto rischio” verrebbe inserito in una speciale lista di controllo della CIA, in quanto lo sconvolgimento sarebbe considerato imminente.

Walter, secondo il Post, conclude che gli Stati Uniti sono passati attraverso fasi di “pre-insurrezione” e “conflitto incipiente” e potrebbero ora essere in “conflitto aperto”, a partire dalla rivolta del Campidoglio.

Citando le analisi del Center for Systemic Peace, Walter afferma che gli Stati Uniti sono diventati una “anocrazia” – “a metà tra una democrazia e uno Stato autocratico”.

Questi risultati, tuttavia, risalgono già a più di un anno fa e probabilmente il Paese è scivolato ancora di più nella zona di pericolo. Ora, alcuni politici di spicco, come Marjorie Taylor Green, hanno addirittura iniziato a lanciare appelli a favore di una “scissione nazionale”, che per certi versi può essere considerata solo un sicuro eufemismo per dire guerra civile.

Anche il rappresentante della Carolina del Nord Madison Cawthorn è stato visto invocare lo spettro della guerra civile, affermando di sperare che non si verifichi, ma di essere sicuro che i conservatori vincerebbero:

Il fatto che molti Stati americani abbiano alimentato movimenti secessionisti in crescita, che negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante, è passato inosservato in queste discussioni.

C’è CalExit o “Yes California”. La loro pagina spiega:

Introduzione a Pacifica
La misura elettorale CalExit 3.1 istituisce il Paese di Pacifica nell’area della baia di San Francisco e lungo la costa centrale della California. Avrà una popolazione di circa 9 milioni di persone, di cui più del 75% sono democratici e il 61% di razza minoritaria.

Nel 2017, secondo un sondaggio Reuters, il 32% dei californiani era favorevole alla CalExit. Da allora, però, il dato è calato, perché il governo, una volta intuita la pericolosità del movimento, è entrato subito in azione per stroncarlo con la contro-propaganda. Ma ci sono molti altri movimenti.

Il più forte è quello del Texas.

Proprio il mese scorso, nel marzo 2023, il rappresentante del Texas Bryan Slaton ha presentato la legge “TEXIT”:

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Oggi ho depositato HB 3596, che è comunemente noto come “Texas Independence Referendum Act” o TEXIT Se approvato, indirà un referendum sulla votazione durante le prossime elezioni generali, consentendo al popolo del Texas di votare se lo Stato debba o meno indagare sulla possibilità dell’indipendenza del Texas e presentare potenziali piani alla legislatura. La costituzione del Texas è chiara che tutto il potere politico risiede nelle persone. Dopo decenni di continui abusi dei nostri diritti e libertà da parte del governo federale, è giunto il momento di far sentire la propria voce al popolo del Texas. In questo 187° anniversario della caduta di Alamo sono orgoglioso di presentare questo disegno di legge per consentire al popolo del Texas di votare sul futuro del nostro Stato. Il Texas è nato dal desiderio di libertà e autogoverno, e quel desiderio continua a bruciare nei cuori di tutti i texani. Firma la petizione qui sotto:

La versione ufficiale può essere letta qui sotto: https://capitol.texas.gov/tlodocs/88R/billtext/html/HB03596I.htm

La parte principale afferma che nelle elezioni generali del 7 novembre, gli elettori texani saranno autorizzati a votare un referendum sulla questione se il Texas debba riaffermare il suo status di nazione indipendente.

SEZIONE 1. (a) Alle elezioni generali che si terranno il 7 novembre 2023, gli elettori potranno votare un referendum sulla questione se questo Stato debba riaffermare il suo status di nazione indipendente. (b) L’avviso dell’elezione sarà dato con l’inclusione della proposta nella proclamazione del governatore che ordina un’elezione su qualsiasi proposta di emendamento costituzionale alla Costituzione dello Stato e nell’avviso di tale elezione dato da ogni giudice di contea, oppure, se non viene proposto un emendamento costituzionale, il governatore ordinerà e ogni giudice di contea darà l’avviso per un’elezione che proponga il referendum richiesto da questa sezione.

La sezione 2 del disegno di legge descrive tutte le azioni che entrerebbero immediatamente in vigore il 7 dicembre 2023, solo se la risoluzione fosse approvata a maggioranza dal referendum popolare.

Il progetto di legge può essere seguito qui: https://fastdemocracy.com/bill-search/tx/88/bills/TXB00063968/

Tuttavia, va notato che i precedenti tentativi di proposte di legge simili sono falliti, a causa del rifiuto dell’assemblea statale del Texas di metterla ai voti. Ora il disegno di legge è stato presentato e non si sa se l’assemblea statale lo voterà o meno; sembra che il processo sia piuttosto arbitrario. Tuttavia, se voteranno e la legge passerà, si aprirà il referendum per la secessione che si terrà il 7 novembre di quest’anno.

Il sondaggio SurveyUSA ha rilevato che un numero enorme di texani e di meridionali in generale è favorevole alla secessione:

Ognuno dei sei sondaggi sugli Stati del Sud iniziava con la domanda agli intervistati se sarebbero stati favorevoli a che il loro Stato diventasse pacificamente un Paese indipendente insieme ad altri Stati conservatori. Mentre la maggioranza dei texani è favorevole all’idea, con il 60% di sì (il 32% dice “decisamente sì”, il 28% dice “sì”), i risultati negli altri Stati sono meno positivi. Gli abitanti della Louisian sono equamente divisi: il 50% dice sì, il 49% no; negli altri quattro Stati, la maggioranza si oppone, con il “no” e il “decisamente no” in testa di 6 punti in Alabama, di 8 in Mississippi, di 10 in Florida e di 13 punti in South Carolina.

Ciò significa che se il referendum si tenesse il 7 novembre in Texas, probabilmente passerebbe e lo Stato secederebbe. Tuttavia, i giochi politici delle figure di opposizione dell’establishment lavorano attivamente per sabotare il progetto di legge preliminare che stabilisce il referendum.

Il Texas ha persino avviato un procedimento per la creazione di una propria moneta aurea, come reazione ai CBDC federali e come azione preventiva per proteggersi esattamente dal tipo di sovvenzionamento assistenziale di Stati blu molto più deboli. Questo tipo di azione è solo il primo colpo d’arco dei molti movimenti tettonici che vedremo nei prossimi anni verso l’indipendenza.

IV.

Ora che abbiamo finito di gettare le basi e stabilito l’attuale clima socio-politico, possiamo estrapolare ciò che probabilmente accadrà.

Sappiamo, ad esempio, che negli ultimi anni si è verificata un’enorme ondata di “fuga dagli Stati blu”. Gli Stati blu stanno perdendo la loro base di contribuenti produttivi, il loro capitale umano a causa della fuga dei cervelli e la loro popolazione in generale. È stato chiamato in tutti i modi, dall’esodo alla “crisi della sinistra”.

 

I nuovi dati del Censimento mostrano che nel 2022 circa la metà degli Stati ha registrato un aumento netto della popolazione e l’altra metà una perdita netta, grazie alla cosiddetta migrazione interna. I vincitori sono stati quasi interamente Stati rossi, i perdenti Stati blu. Se la coglieranno, i conservatori avranno un’opportunità enorme. -Fonte

 

La mappa qui sopra mostra gli Stati con perdite nette e quelli con guadagni migratori netti. Come si può notare, la maggior parte degli Stati rossi registra grandi guadagni netti, mentre quelli blu subiscono le perdite nette più ingenti. I numeri possono sembrare piccoli all’inizio, ma proiettateli su dieci anni o più. New York può sopportare perdite di 300.000 persone all’anno per dieci anni? Sarebbero 3 milioni di persone in meno in uno Stato con 19 milioni di abitanti, pari al 16%. E se il fenomeno dovesse accelerare e diventare ancora più rapido? I decenni sono veloci: possono sopportare tali perdite per due decenni di fila? Cosa succederebbe se in due decenni perdessero 6 milioni di persone su 19, il che equivarrebbe a quasi un terzo della popolazione?

Estrapolando questo dato per anni, si arriva a uno scenario in cui gli Stati blu sono stati estremamente indeboliti dal punto di vista finanziario e demografico e sono costretti a fare sempre più affidamento sui sussidi del governo federale. Ma da dove provengono questi sussidi? Dalla base imponibile dell’intero Paese.

Ciò significa che gli Stati rossi saranno sempre più costretti a sovvenzionare quelli blu che stanno morendo. I cittadini degli Stati rossi si risentiranno sempre di più, perché in pratica pagheranno tasse elevate con i loro soldi guadagnati duramente per tenere a galla le grottesche città democratiche che sono scese a livelli distopici di disperazione e degrado senza legge.

A questo si aggiungerà una crescente ostilità da parte degli Stati blu e del governo federale gestito dai blu, che eserciterà sempre più pressioni e restrizioni sugli Stati rossi al fine di prosciugarli per mantenere a galla i decrepiti Stati blu. Vedete, agli Stati rossi non può essere permesso nemmeno di avere l'”ottica” del successo o della prosperità, perché questo smaschera la truffa di ciò che sono gli Stati blu.

Ciò significa che, man mano che la disparità cresce nel tempo, gli Stati rossi dovranno essere completamente sabotati dal governo federale per “ridimensionarli”, secondo la famigerata regola assiomatica dell’equità, in modo da non fare il giro degli Stati blu. Ciò avverrà sotto forma crescente di mandati iniqui contro gli Stati rossi, alcuni dei quali sono già stati intravisti nel recente passato.

Per esempio, durante la “crisi” del Covid, il governo federale ha tristemente iniziato a confiscare gli anticorpi monoclonali e altre “terapie” anti-covid agli Stati rossi semplicemente perché avevano troppo successo, e agli Stati rossi non poteva essere permesso di curare le loro popolazioni dalla malattia truffaldina, perché ciò avrebbe smascherato la menzogna. Permettere che la disparità tra rossi e blu diventi evidente sulla scena nazionale sarebbe pericoloso per la classe dirigente.

Questa disparità di trattamento e il vero e proprio intralcio agli Stati rossi aumenteranno di ritmo nei prossimi anni, creando una spirale di risentimento da parte degli Stati rossi nei confronti degli azzurri e del governo federale, che allo stesso modo contribuirà ad accelerare il ritmo del sentimento secessionista.

Il governo ha persino minacciato in precedenza di “sanzionare” gli Stati rossi nello stesso modo in cui sanziona le nazioni ostili, il che includerebbe cose come il blocco del trasporto/consegna di alcuni prodotti critici, non dissimili dall’episodio degli anticorpi monoclonali. Si estenderebbe a contratti sfavorevoli per vari progetti infrastrutturali e, in ultima analisi, potrebbe persino portare a colpire specifici rappresentanti di Stato con sanzioni personali. Non è davvero una forzatura da parte di chi ha messo al bando e impeachment il presidente degli Stati Uniti e lo ha trascinato attraverso varie procedure legali alla pari delle “sanzioni”.

Tutto questo per dire che, man mano che le due parti si rafforzano sempre di più, e la spirale di ostilità continua a radicalizzare entrambe fino a livelli sempre maggiori di risentimento reciproco, e insieme al fatto che gli Stati blu morenti diventeranno in effetti delle sanguisughe vampiriche, che succhiano gli Stati rossi, i livelli storici di insoddisfazione, risentimento e vera e propria inimicizia tra rossi e blu aumenteranno. I rossi vedranno gli Stati blu nel loro insieme come regine degenerate del benessere che succhiano i loro soldi guadagnati con fatica, derubandoli di fatto. E man mano che le questioni nazionali diventeranno sempre più spinose, in particolare su linee di demarcazione fondamentali come l’aborto, la LGBT, il transgenderismo e così via, i rossi non vedranno altra via d’uscita se non quella di staccarsi o di avere, come si continuerà a chiamare tranquillamente per ora, un “divorzio nazionale”.

Prima ho parlato del Texas perché sembra lo Stato più adatto a dare il via al processo, dato che i suoi movimenti sono i più avanzati. Ma non mi sorprenderebbe se molti altri Stati del Sud si unissero al Texas, creando un effetto domino.

Si dimentica quanto siamo stati vicini a un potenziale punto di non ritorno durante il ciclo elettorale del 2020. Per il momento, quell’energia rivoluzionaria è stata spenta e messa da parte. Ma ha ricominciato a crescere e promette di arrivare a un nuovo punto di svolta.

Anche se all’inizio può sembrare una cosa di poco conto, negli ultimi anni si sono sentite voci tranquille di un’unione degli Stati del Sud, dal momento che molti dei principali Stati “vecchi confederati” hanno sempre più spesso stretto alleanze su questioni chiave.

Questi sono gli stessi Stati che si sono uniti nel tentativo di contestare i brogli elettorali e i loro interessi ideologici si sono lentamente allineati in un’unità politica.

Considerate anche l’accelerazione della de-dollarizzazione che sta prendendo piede in tutto il mondo. Cosa pensate che accadrà quando il dollaro crollerà fino all’iperinflazione, causando così un’ulteriore accelerazione del sequestro forzato da parte del governo federale degli Stati Uniti dei fondi degli Stati forti per sostenere gli Stati blu in crisi? Questo porterà a un’ulteriore spinta da parte degli Stati forti e indipendenti a creare le proprie valute, seguendo l’esempio del Texas, e a sganciarsi gradualmente dall’autorità centrale. L’era digitale moderna semplificherà loro questo compito, in quanto potranno creare la propria moneta digitale senza bisogno di complesse presse di conio centralizzate, almeno all’inizio. Quando questi Stati inizieranno a sviluppare, e persino a effettuare transazioni, le proprie valute, saprete che la fine è vicina.

V.
Ma la grande domanda che tutti si pongono è: se il Texas, la Florida e/o altri Stati secedessero, cosa succederebbe? Sicuramente non gli verrebbe permesso di farlo e il governo federale interverrebbe, in una riedizione della Guerra Civile del 1861?

Certamente, questo è ciò che potrebbe accadere. Naturalmente, a seconda di chi esattamente secede, bisogna ricordare che gran parte delle più importanti infrastrutture produttive e manifatturiere degli Stati Uniti, in particolare quelle militari, risiedono in Stati a rischio di secessione. Il Texas, ad esempio, possiede la maggior parte degli impianti di produzione di petrolio del Paese. Molti dei più importanti armamenti high-tech dell’esercito americano sono prodotti o stazionati negli Stati del Sud: che si tratti dell’F-35 in Georgia o delle fabbriche di munizioni critiche in Mississippi e Louisiana, compresa questa:

Inoltre, l’hardware vero e proprio risiede nelle basi di questi Stati. Ad esempio, la base di Tyndall, in Florida, è il luogo in cui vengono addestrati tutti i piloti di F-22 e in cui è ospitato il più grande contingente di F-22 americani, circa 60 dei circa 180 esemplari totali.

L’economia del Texas rispetto ad altri leader mondiali.In definitiva, dipende da come si presenta la scena politica al momento dell’ipotetica secessione. Se il governo federale è ancora forte e unito, certamente c’è una forte possibilità che cerchi di intervenire militarmente e di reprimere rapidamente qualsiasi tentativo di disgregazione, in particolare se si tratta di un solo Stato che tenta da solo. Tuttavia, se si formasse una coalizione, o una cascata di Stati in rapida successione, allora potrebbe precludere al governo la possibilità di agire, rischiando una pericolosa guerra intestina.L’altro fattore è: supponiamo che in un ipotetico anno 2030, gli Stati Uniti si siano degradati in modo esponenziale al punto che la divisione nella società e all’interno del governo sia ancora peggiore di quella attuale, e che si stiano manifestando così tanti altri problemi geopolitici che il governo centrale ha le mani completamente legate. Per esempio, forse a quel punto la crisi Taiwan-Cina (tra le altre) è al suo apice, l’esercito americano è in qualche modo coinvolto e completamente occupato, con la maggior parte delle sue forze impegnate all’estero – non necessariamente in un conflitto cinetico, ma svolgendo un importante ruolo di deterrenza intorno a Taiwan e altrove.

È possibile che uno Stato forte come il Texas possa far scattare la secessione a quel punto, quando il governo è al massimo della distrazione e non sarebbe realisticamente in grado di fare nulla. Soprattutto se a questo seguisse una rapida cascata di Florida e altri Stati, si formerebbe rapidamente una coalizione abbastanza forte da dissuadere il governo federale degli Stati Uniti nominali anche solo dal minacciare di agire.

E la verità è che, se si guarda a molti dei sondaggi sulla secessione e alle relative risposte, molti dei commenti da parte della sinistra/democratica sono pienamente a favore della secessione degli Stati rossi. Dopotutto, l’idea del “divorzio nazionale” è un’idea entusiasticamente ripresa da molti esponenti della sinistra, un ampio contingente dei quali preferirebbe in realtà vedere gli Stati rossi abbandonare la “loro” preziosa unione.

Inoltre, bisogna considerare come sarebbero la presidenza e il Congresso in questo frangente teorico. Ci sono scenari potenziali in cui il Paese si è trasformato in un pantano tale che gli Stati stanno cercando di secedere, ma il Congresso (e forse anche la Presidenza) è abbastanza diviso, o addirittura ha una maggioranza rossa, in modo tale che qualsiasi azione federale contro gli Stati secessionisti sia impantanata in un controverso disaccordo congressuale, che impedirebbe o precluderebbe al Congresso di svolgere qualsiasi forma di azione decisiva, come l’ipotetica risposta “militare” contro gli Stati secessionisti.

Si può facilmente immaginare una “tempesta perfetta” di questi scenari, in cui un Congresso fortemente diviso è ostacolato da un esercito statunitense impantanato in conflitti all’estero (Taiwan, ecc.) e incapace di agire contro gli Stati che improvvisamente decidono di gettare il cappello e uscire dall’Unione.

Non dimentichiamo che, se questo scenario dovesse verificarsi, gli Stati secessionisti potrebbero firmare accordi di sostegno con alcuni degli avversari dell’Unione, come la Cina e forse la Russia, per ricevere assistenza. Se l’esercito nominale degli Stati Uniti sta a quel punto aiutando a condurre una guerra contro la Cina nei confronti di Taiwan, allora perché la Cina non dovrebbe allo stesso modo garantire assistenza militare al Texas per salvaguardarlo da qualsiasi potenziale attacco dell’Unione?

Ci sono infinite iterazioni di come questo potrebbe precipitare. Ma l’idea generale è che entro il 2030 e oltre, c’è la possibilità concreta che gli Stati Uniti “in fase di tardo impero”, fortemente indeboliti e guidati da politiche MIC disastrose, siano maturi per una rottura di questo tipo. In particolare, se la tendenza delineata in precedenza, che vede gli Stati rossi crescere economicamente e demograficamente più forti, continuerà a seguire il percorso previsto, si potrebbe assistere a un’ascesa politica ed economica della Florida, del Texas e così via, disposta a opporsi a un’autorità centrale disastrosamente indebolita e in preda alla guerra.

Senza considerare il caso in cui gli Stati Uniti dovessero effettivamente impegnarsi in un conflitto regionale su larga scala con la Cina, che non sfocerebbe in un conflitto nucleare ma vedrebbe la distruzione di una grande percentuale della flotta e delle capacità navali degli Stati Uniti. Uno Stato così rovinato, umiliato e indebolito non avrebbe molto da opporre a un Texas rinascente e ascendente, e così via. Per certi versi, uno scenario del genere sarebbe parallelo alla rivoluzione russa del 1917 contro un’autorità decrepita e in crisi, impantanata in una guerra impopolare (la Prima Guerra Mondiale), ma questa volta sotto forma di secessione piuttosto che di rovesciamento del governo, anche se, naturalmente, anche questa è una possibilità.

In ultima analisi, la maggior parte delle cose si riduce all’economia. In particolare, la situazione socioeconomica della maggior parte degli Stati blu è un fatto compiuto che non può essere invertito, almeno a breve. Ciò significa necessariamente che l’America Blu continuerà il suo declino – o il vero e proprio collasso – e una confluenza di fattori geopolitici ed economici globali non farà che accelerare questo processo.

Il fatto che il mondo stia entrando in una mini-epoca buia di recessione globale, stagnazione, stagflazione e malessere generale causato dal disaccoppiamento dell’Occidente dall’Oriente, a sua volta provocato dal disperato tentativo degli Stati Uniti di fermare l’ascesa di Russia e Cina, significa che non ci sarà un elisir facile (e nemmeno uno difficile) per gli Stati blu degli Stati Uniti. La criminalità continuerà ad aumentare costantemente, i fattori socioeconomici continueranno a degenerare; tutto ciò non farà altro che portare a un ulteriore deflusso di popolazione.

Questo porterà necessariamente e deterministicamente a un aumento della pressione governativa sugli Stati rossi, lasciandoli con le mani in mano e facendo un doppio dovere ingiusto per sovvenzionare gli Stati blu in crisi. In particolare, ciò ricadrà più duramente sugli Stati più forti, di successo e indipendenti: ovviamente, il Texas e la Florida stanno attualmente portando la fiaccola. Non ci sarà modo di uscire da questa spirale. Il governo sarà costretto a rubare a questi Stati forti e di successo, e a ridurli in modo ingiusto per consentire agli azzurri morenti di competere. Questo può portare logicamente solo a una possibile fine, descritta sopra.

VI.
Come si può vedere, i tempi hanno inavvertitamente generato una generazione di candidati sempre più vocali e “radicalizzati”, come MTG, Matt Gaetz, il già citato Cawthorn, ecc. Queste figure sono destinate a diventare sempre più numerose e la tendenza continua. Tra qualche anno, molti degli Stati con mentalità indipendente saranno pieni di marchi di fuoco populisti e incendiari senza precedenti, che faranno apparire Trump e MTG del tutto addomesticati. Questa nuova era di politici condizionerà vocalmente le masse ad accettare le nozioni di divorzio nazionale in modo ancora più forte rispetto alle sottigliezze e agli eufemismi attualmente utilizzati, portando senza dubbio a un aumento delle richieste pubbliche affinché gli Stati offesi si allontanino semplicemente da una situazione che entrambe le parti identificano come chiaramente inconciliabile.

C’è da immaginare che, al di là delle varie questioni socio-economiche e politiche descritte sopra, le divisioni culturali continueranno a crescere. Si può davvero pensare che l’attuale ondata isterica di transgenderismo/LGBT/politiche identitarie si plachi presto? Al contrario, l’intensità non potrà che aumentare. La spinta a prendere di mira i bambini in questa guerra culturale, mentre si ristruttura completamente il sistema educativo del Paese verso l’asservimento al codice LGBT/transgenderismo, si rafforzerà allo stesso modo, rendendo la situazione assolutamente inconciliabile per gli Stati bastione che accolgono i rifugiati di sinistra in fuga.

Ricordiamo che, come ho scritto qui, l’era delle politiche identitarie è appena entrata nel suo secondo decennio. Le sue radici nell’era Obama non sono maturate del tutto fino al movimento “Occupy” del 2010-2011, che ha gettato le élite nel panico e nella ricerca di una bomba di neutroni culturale che potesse cancellare la loro complicità nell’imminente collasso del sistema finanziario fraudolento cambiando rapidamente discorso. Solo dopo il 2011-2013 le cose hanno cominciato ad accelerare, ma la loro attuale gravità ci fa sentire come se avessimo sopportato questa follia per secoli.

Ora immaginate un altro decennio e più. Quanto è cambiato nella nostra società da quegli anni cruciali di Obama, quel fugace decennio o decennio e mezzo di tempo? Immaginate la stessa drastica scala di cambiamenti all’inizio del 2030, o addirittura nel 2035. A quel punto, la guerra culturale raggiungerà livelli insondabili di sconvolgimento, follia insostenibile e dissoluzione della società. In prospettiva, è facile immaginare che gli Stati bastione decidano finalmente di staccare la spina dalle differenze inconciliabili tra gli Stati sani di mente rimasti e quelli colpiti dal virus mentale della sinistra.

C’è qualche speranza di evitare questi eventi o sono inevitabili? È difficile immaginare che la sinistra/democratica possa mai scendere a compromessi sugli imperativi culturali disastrosi che le vengono ordinati dall’alto; hanno raddoppiato il loro impegno per portare a termine questa cosa fino in fondo. Il motivo è che la piccola cabala di controllori globalisti che detta la loro politica non vede altra via d’uscita. La marea culturale che cresce contro di loro è semplicemente troppo forte. Fare anche la più piccola concessione significherebbe rischiare il collasso totale della loro narrativa e della loro iniziativa di guerra culturale. E poiché la guerra culturale in sé è solo una facciata, un proxy del più grande conflitto del sistema finanziario globale, perdere la guerra culturale significherebbe perdere il controllo su tutta l’umanità che la cabala bancaria ha coltivato fin dai primi giorni delle prime banche centrali.

L’unico modo che vedo per uscire da questa situazione è che una vera figura “svuota paludi” prenda il comando del Paese. Ma le possibilità che ciò accada sono sempre più scarse, dato che il controllo delle élite sul processo elettorale è quasi totale. Alcuni pensavano che le elezioni del 2020 avrebbero aiutato a “smascherare” le forze nefaste che hanno in pugno il sistema elettorale, ma al contrario sono servite solo a rafforzarle e radicarle ulteriormente. Lo ha dimostrato il recente “accordo” tra Dominion Systems e FoxNews, che ha portato a enormi ripercussioni dietro le quinte, compresa la defenestrazione della loro figura più importante. Ora che hanno ottenuto la loro grande vittoria in tribunale, probabilmente non potrete più sfidarli, almeno non da questo punto di vista. Quindi non vedo come un candidato veramente anti-establishment possa vincere di nuovo. Il che significa solo che la polarizzazione crescerà senza sosta, seguirà una maggiore divisione e la rottura temuta per tanto tempo sarà inevitabile.

https://simplicius76.substack.com/p/on-secession-and-civil-war?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=117699282&isFreemail=false&utm_medium=email

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