Destini energetici – Parte 7: Giochi finali – La Giacca troppo STRETTA

Destini energetici – Parte 7: Giochi finali – La Giacca troppo STRETTA

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Qui Yves. L’ultima proposta di Satyajit Das mostra, in modo definitivo e deprimente, che non c’è modo di uscire dal nostro pasticcio energetico se non con una dieta di consumo estremo, che sicuramente non avverrà.

Di Satyajit Das, ex banchiere e autore di numerose opere sui derivati e di diversi titoli di carattere generale: Traders, Guns & Money: Knowns and Unknowns in the Dazzling World of Derivatives (2006 e 2010), Extreme Money: The Masters of the Universe and the Cult of Risk (2011), A Banquet of Consequences RELOADED (2021) e Fortune’s Fool: Le scelte dell’Australia (2022)

L’energia abbondante e a basso costo è uno dei fondamenti della civiltà e delle economie moderne. Gli attuali cambiamenti nei mercati energetici sono forse i più significativi da molto tempo a questa parte. I destini dell’energia sono una serie in più parti che esamina il ruolo dell’energia, le dinamiche della domanda e dell’offerta, il passaggio alle energie rinnovabili, la transizione, il rapporto con le emissioni e i possibili percorsi. Le parti 1, 3, 4 e 5 hanno esaminato i modelli di domanda e offerta nel tempo, le fonti rinnovabili, lo stoccaggio dell’energia, l’economia delle rinnovabili, la transizione energetica e l’interazione tra politica energetica ed emissioni. Le ultime due parti delineano l’endgame energetico. Questa parte – la settima – delinea il quadro che darà forma agli eventi. La parte finale esaminerà le possibili traiettorie.

Lo scenario energetico sarà determinato dall’interazione di diverse forze: domanda e offerta di energia, economia, fisica e politica interna e internazionale.

Domanda di energia > Offerta

La domanda è funzione della popolazione e del fabbisogno energetico pro capite.

Si prevede che la popolazione mondiale, attualmente di circa 8 miliardi, continuerà a crescere fino a 8,5 miliardi nel 2030, 9,7 miliardi nel 2050 e 10,4 miliardi nel 2100. Alcuni previsori sostengono che, a causa del calo dei tassi di fertilità, la popolazione raggiungerà il suo picco a metà del XXI secolo per poi diminuire gradualmente.

La densità energetica, funzione del tenore di vita e del clima, si è stabilizzata e persino ridotta nelle economie avanzate, ma continua ad aumentare nei Paesi emergenti. Se i 4 miliardi di persone al mondo con redditi e accesso all’energia limitati aumentano il loro consumo energetico fino a raggiungere solo un terzo del livello pro capite delle economie avanzate, la domanda globale aumenterà di circa due volte il consumo totale degli Stati Uniti o di circa il 30% di tutto il fabbisogno energetico mondiale.

Anche le temperature estreme, che determinano il consumo per il riscaldamento e il condizionamento dell’aria, possono influire sulla domanda. In India, il consumo di condizionatori d’aria di nuova installazione compensa ampiamente l’energia prodotta dai nuovi parchi solari.

La maggior parte degli sviluppi tecnologici, progettati per migliorare lo stile di vita, dipende dall’energia. L’aviazione e la tecnologia dell’informazione illustrano questo aspetto della domanda energetica.

Un miliardo di dollari di aerei prodotti consumerà circa 5 miliardi di dollari di carburante per l’aviazione nell’arco dei 20 anni di vita. Nel 2023, gli ordini di Airbus e Boeing riguarderanno oltre 12.000 aerei commerciali, a testimonianza della domanda di viaggi. Sebbene alcuni di essi sostituiranno aerei più vecchi e meno efficienti dal punto di vista dei consumi, la crescita complessiva del numero di velivoli compenserà la riduzione del consumo di carburante. Sarà difficile soddisfare la richiesta di combustibili sostenibili per l’aviazione, utilizzando rifiuti come l’olio da cucina e le piante, su cui l’industria aeronautica fa affidamento per ridurre le emissioni. Un percorso credibile verso le emissioni nette zero per l’aviazione è difficile.

Allo stesso modo, i centri dati, in cui ogni anno vengono investiti oltre 100 miliardi di dollari, consumano 7 miliardi di dollari di elettricità su un orizzonte temporale simile. Le applicazioni ad alta intensità di dati e calcoli, come l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale o aumentata come quella del metaverso, richiederanno quantità significative di energia.

L’aumento dell’efficienza energetica porta perversamente a un maggiore consumo di energia. Dal 1990, l’efficienza energetica globale è migliorata di circa il 33%, ma il consumo di energia è aumentato del 40%, soprattutto a causa della crescita economica dell’80%.

Il miglioramento delle tecnologie dell’aviazione ha ridotto il consumo di carburante di circa il 70% dalla metà degli anni Novanta, ma l’aumento dei viaggi, dovuto alla riduzione delle tariffe aeree, ha fatto sì che la domanda globale di carburante per l’aviazione sia aumentata di oltre il 50%. Nel 1960, il costo di un volo di sola andata tra New York e Londra era di circa 300 dollari, più o meno lo stesso della tariffa più bassa prima della pandemia, nonostante i livelli generali dei prezzi fossero aumentati di circa il 900% nel periodo. Tra il 1990 e il 2019, il numero di passeggeri che viaggiano in aereo a livello globale è passato da 1 miliardo a 4,5 miliardi. Un volo in classe economica da Londra a Sydney utilizza un quinto della rimanente quota di carbonio pro capite disponibile, mentre in prima classe si esaurirebbe il 60%. Il concetto svedese di flygskam, il volo della vergogna, non è ancora decollato.

Nel campo dell’informatica, il consumo di energia per byte è diminuito di ben 10.000 volte in un periodo analogo, ma la domanda globale di elettricità è aumentata drasticamente a causa della proliferazione dei dispositivi e dell’aumento di oltre 1.000.000 di volte del traffico di dati.

Questo fenomeno è l’effetto Jevon, che prende il nome dall’economista inglese del XIX secolo William Stanley Jevons, secondo il quale il progresso tecnologico o le politiche governative che aumentano l’efficienza nell’uso di una risorsa e ne riducono il costo portano a una crescita della domanda, aumentandone l’uso anziché ridurlo. Oggi i responsabili delle politiche ambientali ed energetiche partono spesso dal presupposto opposto, ovvero che i guadagni di efficienza ridurranno il consumo di risorse.

La maggior parte delle proposte sul clima si basa sul consumo del 25% di energia in meno, un fatto che viene spesso ignorato.

È improbabile che questo obiettivo sia raggiungibile. Non c’è stato un solo periodo di 20 anni in cui la domanda pro capite sia diminuita di più dello 0,1% dal 1965 (il periodo coperto dal set di dati statistici della BP). La domanda di energia è rallentata o diminuita solo in occasione di grandi crisi economiche, come la recessione del 2008 e la pandemia di Covid19 del 2020. La riduzione del 25% ipotizzata dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico nei prossimi 30 anni richiederebbe una forte riduzione dell’attività economica e del tenore di vita.

Negli ultimi 150 anni, i combustibili fossili, principalmente carbone, petrolio e gas naturale, sono stati le principali fonti di energia, fornendo attualmente circa il 70-80% del fabbisogno mondiale. Queste risorse sono limitate. In assenza di nuove scoperte o di migliori tecnologie di estrazione, le riserve di petrolio e gas si esauriranno in circa 50 anni. Le riserve di carbone hanno una vita più lunga, forse 3 volte quella degli idrocarburi. In questo modo si ignora la minaccia per l’ambiente rappresentata dall’uso continuo dei combustibili fossili.

L’attenzione attuale è rivolta alla sostituzione dei combustibili fossili con le fonti rinnovabili, che attualmente rappresentano circa il 20-30% delle fonti di energia. Il cambiamento proposto enfatizza eccessivamente l’elettrificazione.

La conversione dell’intero sistema elettrico statunitense alle energie rinnovabili lascerebbe inalterato circa il 70% del consumo americano di idrocarburi. La sostituzione a livello mondiale delle auto con motore a combustione interna con veicoli elettrici ridurrebbe il consumo globale di petrolio di circa il 15-20%. I trasporti pesanti, l’aviazione e le industrie che consumano molta energia (acciaio, cemento, ammoniaca) dipendono dagli idrocarburi.

Il passaggio alle energie rinnovabili, per sostituire le forniture in diminuzione di combustibili fossili e ridurre le emissioni, richiederebbe l’elettrificazione di molte attività e la capacità di convertire l’elettricità in un combustibile come l’idrogeno in modo economico ed efficiente. Purtroppo, questo processo è complicato dalla fisica dell’energia.

Fisica dell’energia

Ad esempio, in inverno l’ERCOT, che gestisce la fornitura di energia elettrica in Texas, prevede che saranno disponibili 6.000 megawatt dei 31.000 megawatt totali di capacità eolica installata (circa il 20%). Le energie rinnovabili hanno una minore densità energetica, una densità di potenza superficiale e mancano di portabilità.

Per trasformare l’energia rinnovabile in una vera alternativa, piuttosto che in una fonte di energia supplementare, sarà necessaria una generazione di riserva o uno stoccaggio di energia su larga scala. Dal 2000, le aziende elettriche statunitensi hanno aggiunto una notevole capacità di generazione alimentata da combustibili fossili (di solito turbine a gas) per compensare l’incertezza della produzione di energia rinnovabile nella rete, al fine di soddisfare le richieste dei consumatori di energia ininterrotta.

Le principali opzioni di stoccaggio sono l’idroelettrico a pompaggio e le batterie. L’idroelettrico a pompaggio è più economico, ma richiede grandi superfici, una geografia adatta e la ristrutturazione della rete e delle reti di trasmissione. Il progetto australiano Snowy 2.0 è stato progettato per generare altri 2.000 megawatt di capacità di generazione dispacciabile e on-demand e circa 350.000 megawattora di stoccaggio su larga scala, sufficienti ad alimentare tre milioni di abitazioni per circa una settimana. Il progetto, che utilizza uno schema idroelettrico esistente e non un nuovo sito greenfield che avrebbe dovuto rendere il progetto più semplice e meno rischioso, è fuori budget (il costo è aumentato da 2 a 10 miliardi di dollari australiani) e in ritardo (da 4 a 10 anni).

Per quanto flessibile e trasportabile, l’attuale tecnologia delle batterie non è in grado di soddisfare le esigenze di stoccaggio della transizione energetica. L’equivalente energetico di circa 1 chilogrammo (2,2 libbre) di idrocarburi richiede circa 70 chilogrammi (120 libbre) delle migliori batterie attualmente disponibili. Un barile di petrolio (159 litri o 42 galloni) pesa 136 chilogrammi (300 libbre) e può essere immagazzinato in un serbatoio da 20 dollari L’equivalente energetico richiede 9.000 chilogrammi (20.000 libbre) di batterie al litio dal costo di 200.000 dollari. Questo limita applicazioni come i voli a medio-lungo raggio, che richiederebbero batterie ricaricabili che pesano più di un normale jet a doppio corridoio a lungo raggio e costano 60 milioni di dollari.

Negli Stati Uniti, gli attuali banchi di batterie su scala industriale, aumentati dalle batterie dei veicoli elettrici, sono in grado di immagazzinare solo poche ore della domanda nazionale di elettricità. La produzione di batterie sufficienti per 2 giorni di stoccaggio richiederebbe centinaia di anni della produzione totale della Gigafactory di Tesla in Nevada, da 5 miliardi di dollari, attualmente il più grande impianto di produzione di batterie al mondo.

L’uso dell’idrogeno come riserva di energia rinnovabile e carburante richiede miglioramenti nella tecnologia, negli impianti di produzione e nei costi per essere praticabile. Inoltre, richiede notevoli quantità di acqua.

Anche se i progressi tecnologici e produttivi ridurranno i costi, le batterie non potranno soddisfare i requisiti di accumulo di energia di un sistema energetico totalmente alimentato da fonti rinnovabili nel prossimo futuro, a meno di importanti scoperte scientifiche.

Le fonti rinnovabili hanno anche un ritorno energetico sull’energia investita (EROEI) inferiore rispetto ai combustibili fossili e alle centrali nucleari, soprattutto se si tiene conto dello stoccaggio dell’energia. Per fornire lo stesso livello di consumo energetico netto finale sarà necessario utilizzare più energia e materiali, riducendo l’efficienza e aumentando i costi.

L’attuale politica energetica si basa su una fiducia incrollabile nella tecnologia. Sempre più spesso, con l’aumentare delle pressioni, i responsabili politici immaginano un futuro fantascientifico alla Jules Verne, in cui l’innovazione risolverà tutti i problemi e abbasserà i costi per consentire il mantenimento dello status quo all’infinito.

I politici e gli investitori di dubbia cultura scientifica e generale, sotto l’influenza dell’ultimo venditore di olio di serpente, sono innamorati della “disruption”. Un’analogia frequente è il tasso di miglioramento delle tecnologie digitali. Viene citata la legge di Moore, anche se la maggior parte degli utenti non sa se il riferimento è a Gordon Moore di Intel o all’attrice Demi Moore.

Purtroppo, la fisica delle informazioni e dell’energia è diversa. In un commento acre, Mark Mills, un fisico, ha usato un’analogia eloquente per evidenziare le differenze. Se l’energia solare fosse scalabile come i semiconduttori, un singolo impianto solare delle dimensioni di un francobollo alimenterebbe l’Empire State Building e una batteria delle dimensioni di un libro, al costo di tre centesimi, alimenterebbe i voli aerei transcontinentali. Sebbene siano probabili ulteriori efficienze, non esistono guadagni digitali di 10 volte per l’energia solare o eolica a causa dei limiti dei tassi di conversione e di cattura. Dato che l’energia massima teorica del petrolio è superiore del 1.500% in termini di peso rispetto a quella delle sostanze chimiche delle batterie, non esistono guadagni di 10 volte per l’accumulo di energia.

Le sfide pratiche sono esemplificate dalla famosa descrizione dei “reattori accademici” fatta dall’ammiraglio Hyman G. Rickover, che ha diretto lo sviluppo della propulsione nucleare della marina statunitense e le sue operazioni per tre decenni. Le caratteristiche di un reattore accademico sono la semplicità, le dimensioni ridotte, l’economicità, la leggerezza, la rapidità di costruzione, la flessibilità e i minimi requisiti di sviluppo, poiché utilizza componenti generici disponibili. Tale tecnologia, ha rilevato, era sempre in fase di studio piuttosto che di produzione. Al contrario, un reattore pratico, secondo la sua esperienza, aveva caratteristiche diverse: complicato, grande, costoso, pesante e richiedeva grandi quantità di sviluppi anche su elementi apparentemente banali. Attualmente era in produzione, ma in ritardo rispetto ai tempi e al budget.

In assenza di cambiamenti radicali e inaspettati nella scienza dell’energia, che richiederebbero una reinvenzione dei principi fondamentali, le tecnologie rinnovabili non raggiungeranno l’efficienza dei combustibili fossili. Forse, come ricordava il capitano Kirk a Montgomery Scott, ingegnere capo dell’astronave Enterprise di Star Trek: “Non posso cambiare le leggi della fisica, capitano!”.

Economia dell’energia

La sostituzione delle fonti energetiche influisce sul costo dell’energia per gli utenti.

I sostenitori sostengono che i costi delle energie rinnovabili sono ora inferiori a quelli dei combustibili fossili. L’affermazione, che si basa su premesse fuorvianti, è falsa. Se le energie rinnovabili sono così efficaci e a basso costo come si sostiene, non dovrebbero essere necessari sussidi governativi per un’ampia adozione.

Il costo livellato dell’elettricità (LCOE), comunemente utilizzato, si basa sui costi di vita di un impianto energetico divisi per la produzione di energia, ma esclude l’immagazzinamento dell’energia, l’alimentazione di riserva (di solito da combustibili fossili), altre spese come l’espansione della rete energetica e le esternalità.

I costi saranno messi sotto pressione dall’aumento dei prezzi dei materiali critici per la transizione a causa della scarsità delle forniture. Inoltre, con l’utilizzo dei migliori siti geografici per l’energia solare ed eolica, sarà necessario costruire nuovi impianti in aree meno favorevoli. Ciò potrebbe ridurre i già modesti livelli di produzione (circa il 35%). Anche le richieste concorrenti di terreni aumenteranno i costi, con l’aumento dell’opposizione dei cittadini, già evidente nel Renewable Rejection Database.

Il costo delle batterie di accumulo rimane elevato a causa di una combinazione di aumento della domanda e di aumento del costo delle materie prime. Ad esempio, i costi delle batterie per veicoli elettrici potrebbero aumentare fino al 22% entro il 2026.

Le previsioni sul fabbisogno di investimenti mostrano variazioni significative. La società di consulenza McKinsey ha suggerito un costo totale contestato di oltre 275.000 miliardi di dollari entro il 2050, pari a 9.200 miliardi di dollari all’anno. I Campioni di alto livello sul clima delle Nazioni Unite hanno stimato 125.000 miliardi di dollari. La maggior parte delle stime si aggira intorno ai 50.000 miliardi di dollari. Uno studio sostiene che non solo un sistema energetico al 100% rinnovabile è possibile entro il 2050, ma che avrebbe un beneficio economico per l’economia globale compreso tra i 5 e i 15 trilioni di dollari, dopo aver incorporato i benefici economici legati al clima e quelli non legati al clima. Le metodologie utilizzate non sono strettamente comparabili. Ad esempio, vengono ignorati l’impatto degli investimenti incagliati e le probabili perdite sui prestiti bancari. Molte sono chiaramente manipolate da sostenitori di parte di una particolare posizione. A prescindere dalla cifra esatta, sarà senza dubbio sostanziale.

Anche con il 3-5% del PIL mondiale all’anno, non è chiaro se tale cifra possa essere finanziata a causa delle finanze pubbliche tese nelle economie avanzate e della mancanza di risorse nei Paesi in via di sviluppo. A ciò si aggiungono altre richieste di entrate pubbliche per la difesa e i programmi di assistenza sociale, in particolare per la sanità e l’assistenza agli anziani per l’invecchiamento della popolazione. L’aumento dei costi per affrontare e adattarsi a eventi meteorologici estremi, in parte causati, ironia della sorte, dal cambiamento climatico, comporterà crescenti richieste alle finanze pubbliche. La maggior parte delle spese necessarie non è stata finanziata. Ad esempio, la Commissione europea ha stimato che il Green deal costerà 620 miliardi di euro, ma finora ha stanziato 82,5 miliardi di euro (13%).

In generale, la transizione energetica comporterà il passaggio a tecnologie a maggiore intensità di capitale. Man mano che il costo del capitale si normalizzerà dai minimi artificiali dovuti all’inversione del regime di tassi bassi, ciò significa che i costi aumenteranno.

Ciò si tradurrà in un aumento dei costi energetici per i consumatori. Ciò inciderà sui livelli di inflazione, sul reddito disponibile e sul tenore di vita. Gli effetti probabili sono evidenti nelle economie che hanno perseguito politiche energetiche ambiziose. I costi dell’elettricità in California sono i più alti degli Stati Uniti continentali. I costi dell’elettricità in Germania sono tra i più alti al mondo.

Il costo relativo al reddito pro capite influisce sulla capacità di gestire costi energetici più elevati. I tedeschi e gli americani, con un PIL pro capite rispettivamente di circa 51.000 e 70.000 dollari, possono essere in grado di assorbire i costi elevati dell’elettricità, anche se le fasce di popolazione a basso reddito saranno svantaggiate. I Paesi emergenti avranno difficoltà; ad esempio, il PIL pro capite di Cina e India è rispettivamente di 12.000 e 2.250 dollari.

Il problema dell’accessibilità economica è visibile nella domanda di veicoli elettrici. L’85% degli americani non può attualmente permettersi i veicoli elettrici perché sono più costosi delle automobili tradizionali. Questo crea una perversa ridistribuzione della ricchezza, con sussidi che vanno a beneficio delle famiglie ad alto reddito che possono permettersi di acquistare veicoli elettrici a spese dei contribuenti a basso reddito.

La portata del compito è monumentale. Per sostituire i combustibili fossili, le energie rinnovabili dovrebbero espandersi di 90 volte in 20-30 anni. Il lavoro accessorio, come la riconfigurazione del sistema di generazione elettrica americano basato sugli idrocarburi, richiederebbe un tasso di costruzione 14 volte superiore a qualsiasi altro periodo della storia. La scala per la costruzione di un adeguato stoccaggio dell’energia per la transizione alle energie rinnovabili è simile.

Ciò presuppone la disponibilità di materie prime, impianti di produzione, personale qualificato, supporto normativo e una popolazione acquiescente. Queste condizioni possono rivelarsi più difficili da soddisfare in pratica che in teoria.

Abbattimento delle emissioni

I costi più elevati e gli standard di vita più bassi potrebbero essere accettabili se il passaggio alle energie rinnovabili riducesse le emissioni. È tutt’altro che chiaro se le attuali politiche energetiche raggiungeranno questo obiettivo, giustamente considerato una preoccupazione esistenziale.

La riduzione delle emissioni richiesta è molto ampia. Infatti, per raggiungere gli obiettivi di temperatura sarebbe necessario passare immediatamente a emissioni zero, integrate da un’effettiva rimozione di carbonio dall’atmosfera (emissioni negative). Gli accordi attuali, anche nel caso molto dubbio che questi vengano raggiunti, sono inadeguati.

L’abbandono dei combustibili fossili sarà probabilmente lento, nella migliore delle ipotesi, a causa della crescente domanda di energia dovuta all’aumento della popolazione e del tenore di vita. È inoltre incerto se la fornitura di materie prime per la transizione sarà disponibile. Si prevede che la domanda annuale di rame, fondamentale per l’elettrificazione, raggiungerà nel 2050 un livello pari a tutta la produzione consumata nel mondo tra il 1900 e il 2021.

Inoltre, le fonti di energia rinnovabili hanno emissioni inferiori rispetto ai combustibili fossili, ma hanno un’intensità di materiale significativamente più elevata. La transizione energetica proposta, incentrata sull’elettrificazione, sulle fonti rinnovabili e sulle batterie, richiederà una grande quantità di risorse scarse come litio, rame, nichel, grafite, terre rare, cobalto e acqua. Per esplorare e sviluppare le risorse, estrarre e produrre i materiali necessari e trasportarli per l’uso, saranno necessarie quantità significative di energia, principalmente derivata da combustibili fossili.

Molte di queste miniere e impianti che producono materie prime per la transizione energetica si trovano nei Paesi in via di sviluppo. La Cina domina la lavorazione di alcuni minerali critici per la transizione. Il mix energetico di questi Paesi è orientato verso il carbone, il petrolio e il gas e può rappresentare una fonte significativa di emissioni aggiuntive. La Cina, che attualmente produce circa il 70-80% di tutte le batterie utilizzate a livello globale, dipende dai combustibili fossili per il 70% della sua energia, il che significa che i veicoli elettrici che utilizzano batterie cinesi aumenteranno le emissioni di anidride carbonica anziché ridurle. Le emissioni nette potrebbero diminuire meno del previsto o non diminuire del tutto.

Il costo dell’abbattimento aumenta anche perché vengono affrontati processi più difficili da decarbonizzare.

I costi elevati incideranno negativamente sull’economia dell’energia, spingendo a ridurre le iniziative di riduzione delle emissioni.

Una preoccupazione fondamentale è la difficoltà della cooperazione globale per affrontare le questioni climatiche. Gli effetti delle azioni dei singoli Paesi e Stati sono molto variabili. Le emissioni incrementali dei Paesi sviluppati sono in calo strutturale, in parte perché le attività e le industrie ad alte emissioni sono state trasferite nelle economie emergenti, come la Cina e l’India, che stanno installando nuovi e significativi generatori di energia a combustibili fossili. È improbabile che le politiche di grande respiro dei politici e dei cittadini dei Paesi avanzati, ben intenzionati ma ingenui, abbiano l’effetto sulle emissioni spesso proclamato. Lo zar del clima statunitense John Kerry ha ammesso a malincuore che il passaggio degli Stati Uniti a emissioni nette zero potrebbe non avere un impatto apprezzabile sull’aumento delle temperature, a meno che altre nazioni ad alte emissioni non seguano il suo esempio.

È altamente improbabile che i Paesi in via di sviluppo abbandonino i combustibili fossili a causa del notevole fabbisogno energetico in corso. Persino le più ricche Germania e California, che si vantano di essere più ecologiche della maggior parte degli altri Paesi, hanno una significativa dipendenza dai combustibili fossili, nonostante le politiche chiare, gli ampi sussidi, le competenze ingegneristiche di alta qualità e la bassa domanda incrementale dovuta a una crescita demografica più lenta.

Limitare l’aumento della temperatura richiede, ad esempio, una forte riduzione della produzione globale di carbone, di oltre due terzi entro il 2030, e una progressiva completa eliminazione. In realtà, l’uso del carbone è salito a livelli record nel 2022. Alcuni Paesi europei, come la Germania, colpiti dalla perdita delle forniture di gas russo, sono tornati alle centrali elettriche a carbone. La Cina ha aumentato l’uso di centrali elettriche a carbone nella prima metà del 2023 a causa della riduzione della produzione idroelettrica nelle province meridionali dovuta alla siccità. L’uso del carbone potrebbe ridursi di meno di un quinto entro il 2030 – e anche questo potrebbe essere difficile da raggiungere, dato che i Paesi emergenti hanno in programma un numero significativo di centrali elettriche a carbone. L’80% delle riserve di carbone deve rimanere inutilizzato se si vogliono raggiungere gli obiettivi del cambiamento climatico, con un onere significativo per i Paesi e le popolazioni in cui si trovano queste risorse.

La tabella seguente illustra come il carbone continui a essere un’importante fonte di energia, in particolare nelle economie emergenti dove la domanda è in rapida espansione.

La mancanza di coordinamento globale è evidente in cose semplici come la mancanza di standard. L’investimento di oltre 13 miliardi di dollari sostenuto dal governo statunitense nell’infrastruttura di ricarica dei veicoli elettrici è ostacolato dagli esatti requisiti di tensione e dalla lunghezza del cavo necessario per raggiungere la porta di ricarica del singolo veicolo: la Nissan Leaf davanti, la Hyundai Ioniq 5. La Volvo in fondo a sinistra. Volvo in fondo a sinistra.

Influenze politiche

I fattori sociali e politici influenzeranno il futuro dell’energia.

Il contratto sociale tra i politici e le popolazioni si basa implicitamente su un’alimentazione ininterrotta, illimitata e a basso costo, che è alla base del tenore di vita. Nei Paesi più ricchi, la disponibilità di energia per la regolazione del clima (aria condizionata e riscaldamento), la mobilità personale (auto private), i viaggi e l’utilizzo dei dati è data per scontata. Anche la cucina a gas e i forni a carbone o a legna per la pizza sono apparentemente sacrosanti. Non si conoscono le conseguenze di eventuali limitazioni a queste “libertà” o “scelte”. Nei Paesi più poveri, la popolazione aspira a stili di vita occidentali ad alta intensità energetica come parte della promessa di sviluppo. Sarebbe politicamente rischioso cercare di modificare queste aspettative. Come minimo, i cambiamenti nella disponibilità e nell’accessibilità energetica porteranno a una forte frammentazione della politica interna.

La geopolitica nel corso della storia ha ruotato, in parte, intorno all’accesso a risorse vitali. Dalla fine del XIX secolo, l’accesso agli idrocarburi è stato considerato un aspetto importante della politica estera e del potere economico. Il potere della Gran Bretagna si basava sull’accesso al carbone. L’ascesa dell’America è stata sostenuta dall’accesso al petrolio. Le guerre sono state combattute per l’accesso all’energia, che è stata anche un fattore delle azioni del Terzo Reich di Adolph Hitler e del Giappone che hanno portato alla Seconda Guerra Mondiale.

La trasformazione del complesso energetico altererà radicalmente le relazioni esistenti.

Gli attuali esportatori di idrocarburi e carbone, come l’Arabia Saudita, i Paesi del Golfo, la Russia, l’Australia e gli Stati Uniti, si trovano di fronte a scelte interessanti. Le pressioni della decarbonizzazione potrebbero essere percepite come un abbassamento del valore delle loro risorse. Ciò può incoraggiare la sovrapproduzione nel breve periodo per massimizzare i ricavi e, in parte, per abbassare i prezzi e modificare i rapporti di costo tra combustibili fossili e fonti rinnovabili. I ricavi possono essere indirizzati, come in Arabia Saudita, a modificare la struttura industriale per renderla meno dipendente dai ricavi dei combustibili fossili.

Ma data la probabilità che la transizione energetica e i tentativi di ridurre le emissioni non procedano come previsto, la trasformazione può essere più complessa.

Nella fase iniziale, i produttori di idrocarburi potrebbero lottare per l’influenza e il potere. I produttori di materiali critici per la transizione acquisteranno importanza in questo periodo. Ciò riflette la concentrazione dell’offerta di minerali rilevanti in pochi Paesi, come ad esempio la Repubblica Democratica del Congo (cobalto), l’Australia (litio, cobalto e nichel) e il Cile (rame e litio). Altre nazioni ricche di questi minerali sono Perù, Russia, Indonesia e Sudafrica. In questa parte del ciclo, questi Paesi guadagnano in termini economici e politici grazie all’aumento dei proventi delle materie prime. Si spostano al centro di alleanze geopolitiche con le grandi potenze che hanno bisogno di accedere a materie prime critiche.

I produttori di idrocarburi a basso costo registrano ricavi piatti o in calo. L’Arabia Saudita, l’Iran, l’Iraq e la Russia potrebbero espandere la loro quota di mercato grazie ai costi di produzione più bassi, dal 45% attuale al 57% nel 2040. I produttori più costosi e più piccoli, come gli Stati Uniti. Canada, piccoli Stati del Golfo, Nord Africa, Africa sub-sahariana, Europa (Gran Bretagna, Norvegia) sono svantaggiati. Alcuni, come l’America, il Brasile, il Canada e l’Australia, aumentano la produzione di altri minerali per compensare parte dei mancati guadagni derivanti dai combustibili fossili.

A un certo punto, il ciclo potrebbe tornare indietro. Quando i problemi legati alla transizione energetica diventano evidenti, la necessità di assicurarsi l’accesso alle forniture di idrocarburi in via di esaurimento per le attività che non possono essere elettrificate in modo efficiente porta a una rinascita dei produttori. Il conseguente spostamento di alleanze e relazioni richiede un equilibrio tra i fornitori di petrolio e gas e di minerali critici per la transizione.

Il crescente nazionalismo delle risorse influenzerà la disponibilità e i prezzi dell’energia e dei materiali critici per la transizione. Gli Stati possono nazionalizzare risorse vitali, come quelle in esame per il litio in America Latina. Altre misure includono il divieto totale di esportazione o azioni come la restrizione dell’Indonesia sulle vendite all’estero di nichel grezzo (che si prevede di estendere ad altri minerali) per costringere gli investimenti nella raffinazione a terra per aumentare le entrate locali. Altre alternative sono tasse e royalties elevate. L’obiettivo è aumentare le entrate dei singoli Stati e il controllo delle risorse critiche. La posizione sarà complicata dalle crescenti guerre commerciali, dalle sanzioni e dai diritti di proprietà intellettuale che renderanno più difficile la condivisione delle tecnologie.

In effetti, le catene di approvvigionamento industriale globale e le strutture di potere diventeranno più volatili nei decenni a venire, essendo sempre più legate alla necessità di garantire l’accesso all’energia e alle relative materie prime critiche.

I politici riconosceranno il lamento dell’ex primo ministro russo Viktor Chernomyrdim: “Volevamo il meglio, ma è andata come sempre”. Potrebbero dover seguire un’altra delle sue sagge osservazioni: “c’è ancora tempo per salvare la faccia… più tardi saremo costretti a salvare altre parti del corpo”.

© 2023 Satyajit Das All Rights Reserved

 

A version of this piece was published in the New Indian Express.

https://www.nakedcapitalism.com/2023/07/energy-destinies-part-7-endgames-the-strait-jacket.html

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La CBDC russa – Esplorare la verità della Banca centrale russa, di SIMPLICIUS THE THINKER

Recentemente ho ricevuto molte richieste di discutere del nuovo Rublo digitale russo, firmato da Putin il 24 luglio. Il Rublo è stato spesso inserito nella categoria dei “CBDC”, con l’idea che Putin sia una sorta di tirapiedi del WEF che aiuta segretamente a realizzare il programma del “Grande Reset”.

Una rapida digressione per chiarire la questione: ormai sappiamo tutti che la precedente designazione di Putin da parte di Klaus Schwab come “Giovane Leader Globale” era in realtà una menzogna:

Il programma Young Global Leader ha un limite di età di 38 anni, da cui l’appellativo “giovane”. Al momento della fondazione del programma, nel 1993, Putin, nato nel 1952, aveva già 41 anni.

Giorni fa, il candidato repubblicano alla presidenza Vivek Ramaswamy ha vinto una causa contro il WEF per averlo erroneamente etichettato come “Young Global Leader”:

Nel suo video spiega l’indignazione:

E ha persino pubblicato una lettera di scuse inviata dal WEF:

Tulsi Gabbard aveva già sofferto dello stesso problema. Era stata inserita in una lista di “Young Global Leaders” senza il suo permesso o consultazione.

Anche se, a dire il vero, Ramaswamy era un promotore di vaccini, un fatto che ora cerca di nascondere pagando per far cancellare questa informazione dalla sua pagina di wikipedia, e Gabbard era un membro del CFR.

In ogni caso, il punto è che Klaus Schwab, come molti dei suoi simili globalisti, infanga abitualmente le persone includendole nei loro circoli senza permesso. È qualcosa da notare e da tenere d’occhio. Premetto che molte delle informazioni relative alla Russia e alle banche centrali, ai CBDC, al Grande Reset, ecc. assumono un aspetto simile: la Russia viene raggruppata senza scrupoli con molte macchinazioni globaliste di cui in realtà non fa parte.

Putin ha incontrato Schwab a San Pietroburgo nel 2019, ma credo che il compito di Putin, in quanto leader, sia quello di incontrare e comportarsi in modo cordiale, almeno in apparenza, con tutti. Ma questo non significa che sponsorizzi ciò che fanno o che sia in combutta con loro. Putin incontra tutti, compreso Kissinger molte volte in passato. Sapete cosa si dice del tenere gli amici vicini e i nemici più vicini: è il modo migliore per capirli e monitorarli. Senza contare che questo era prima della pandemia; dopo, molte cose sono cambiate.

Ma iniziamo con un confronto tra il sistema bancario centrale russo e quello della Federal Reserve statunitense. I sistemi sono molto diversi. Bisogna innanzitutto capire che la Russia è ora ufficialmente “scollegata” dall’ordine bancario occidentale. Non solo è stata tagliata fuori da SWIFT, ma è stata anche espulsa dalla BRI, o Banca dei Regolamenti Internazionali, che è l’istituzione più potente e il nodo centrale dell’intera rete finanziaria globale occidentale.

La BRI è la banca centrale di tutte le banche centrali del mondo e detiene una percentuale di tutte le loro riserve. In effetti, in un nuovo articolo di RT, le disconnessioni vengono addirittura addotte come motivo per la creazione della CBDC russa, in quanto la aiuta a bypassare ulteriormente il braccio finanziario occidentale:

In passato molti hanno accusato il capo della banca centrale russa Elvira Nabiullina di essere una spia dei globalisti. Il problema è che la banca centrale russa non funziona come la cosiddetta Federal Reserve, e non lascia molto spazio allo stesso tipo di cooptazione sindacale da parte di interessi privati che dilaga nel sistema occidentale.

Il funzionamento della Federal Reserve degli Stati Uniti prevede che la banca centrale della Fed, che ha sede a Washington, sia composta da un gruppo di 12 banche regionali, come la Fed di New York, la Fed di Boston, la Fed di Saint Louis, ecc. A questo livello, il sistema appare ancora “federale” piuttosto che privato. Ma ognuna di queste banche associate è in realtà composta, o meglio posseduta, dalle banche private associate, come JP Morgan, Citigroup, Bank of America e altre, che ne hanno acquistato azioni e hanno il compito di nominare il loro Consiglio di Amministrazione. Per chiarire, il Consiglio di Amministrazione di ognuna delle 12 banche regionali della Federal Reserve è eletto dai potentati bancari privati come JP Morgan e altri. A titolo di esempio, ecco un elenco dei principali azionisti della Fed di New York:

I maggiori azionisti della Fed di New York sono le seguenti cinque banche di Wall Street: JPMorgan Chase, Citigroup, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Bank of New York Mellon. Queste cinque banche rappresentano due terzi delle otto banche di importanza sistemica globale (G-SIB) degli Stati Uniti. Le altre tre G-SIB sono Bank of America, azionista della Fed di Richmond, Wells Fargo, azionista della Fed di San Francisco, e State Street, azionista della Fed di Boston.
Questi potentati bancari privati possiedono di fatto la banca della Federal Reserve e ne nominano persino i direttori, e traggono profitto dai dividendi sulle azioni che detengono nella banca della Fed. Questo crea enormi conflitti di interesse. Per esempio, durante il crollo del 2008, la Fed di New York ha naturalmente salvato i suoi maggiori azionisti nonostante le enormi frodi e gli illeciti commessi da queste mega-banche private. Esborsi della NY Fed alle banche che la possiedono:

In secondo luogo, a livello individuale, ci sono infiniti conflitti di interesse per i membri del consiglio di amministrazione delle banche della Fed. Il caso più eclatante è stato quello di Jamie Dimon, che era amministratore delegato della JP Morgan Chase e al tempo stesso faceva parte del consiglio di amministrazione della Federal Reserve di New York. Ma questo è in realtà normale, in quanto i direttori vengono scelti letteralmente tra gli amministratori delegati e altri pezzi grossi delle grandi aziende. Per esempio, ecco il consiglio di amministrazione dal sito web della Fed di New York:

Si noti come ogni membro del consiglio di amministrazione della Federal Reserve di New York sia un amministratore delegato di un’altra grande azienda (IBM, ecc.) o di una grande istituzione finanziaria o banca. Il presidente di ciascuna delle 12 banche della Fed compone il comitato del FOMC della banca centrale della Fed a Washington, che è uno dei principali organi del Federal Reserve System che supervisiona le operazioni di mercato. Ciò significa che questo ramo della Federal Reserve è gestito direttamente dagli amministratori delegati delle principali società, banche, ecc. che agiscono come “consiglio di amministrazione” parallelo al “consiglio dei governatori” della Fed centrale, guidato dal presidente della Fed.

Un altro esempio è il fatto che nel 2008 Stephen Friedman era presidente della Fed di New York e sedeva nel consiglio di amministrazione di Goldman Sachs. Non sorprende che sia riuscito a far ottenere a Goldman Sachs il titolo di “holding bancaria” (in precedenza era solo un hedgefund e non poteva operare come una banca) che le ha permesso di sottrarre avidamente i prestiti a basso costo della Fed. Ci sono molti altri esempi, soprattutto quelli più vecchi, come le opere di Eustace Mullins sul sistema della Federal Reserve.

Il sistema della banca centrale russa non funziona in questo modo. Infatti, la banca centrale russa non è composta da “filiali” e non ha alcun tipo di proprietà privata o aziendale come la Fed statunitense. Ha semplicemente uffici della sede centrale principale in diverse parti della Russia, ma si tratta solo di uffici amministrativi e nulla più. Inoltre, grazie a questa struttura molto semplificata, la banca è amministrata principalmente da un consiglio di amministrazione molto più trasparente, nominato dal presidente russo e dalla Duma di Stato. E soprattutto, questi direttori non sono coinvolti negli stessi conflitti di interesse che sono possibili e dilaganti negli Stati Uniti, ovvero far parte dei consigli di amministrazione di altri grandi conglomerati globalisti e di banche commerciali private.

In realtà, in Russia si può quasi dire che la situazione bancaria sia inversa a quella degli Stati Uniti nel modo seguente. Negli Stati Uniti, le maggiori banche private controllano il governo e la sua politica monetaria grazie al loro controllo diretto sulla Federal Reserve. In Russia, le maggiori banche del Paese, come Sberbank, VTB, ecc. sono in realtà a maggioranza statale. Il che significa che il governo russo detiene la quota di controllo e la voce in capitolo.

Detto questo, Sberbank è guidata da una delle poche persone in cima alla catena alimentare russa che possiamo dire inequivocabilmente essere un globalista a tutti gli effetti, o per lo più: un certo Herman Gref, etnicamente tedesco e apparentemente tirapiedi del WEF. Ha fatto parte del consiglio di amministrazione del WEF in passato, anche se a quanto pare non ne fa più parte nell’era post-Covida, e ha partecipato ai tentativi di introdurre in Russia molti “cambiamenti” sociali avviati e progettati dal WEF.

Quindi, la Russia non è perfetta e ha alcuni semi cattivi che lavorano attivamente nel suo settore finanziario, ma come ho detto, si tratta della Sberbank, una banca semiprivata, non della Banca di Russia, che è la banca centrale russa. Il mio intento non è quello di scagionare questi soggetti, ma semplicemente di sottolineare le altre grandi differenze che rendono la Russia molto diversa dall’Occidente.

Infatti, ciò che è sorprendente per chi è abituato al clientelismo dell’Occidente, è che se si scorre ogni membro del consiglio di amministrazione della Banca di Russia, si noterà che tutti, tranne uno, sono banchieri statali di carriera, economisti o qualche tipo di impiegato statale di carriera. Ciò significa che per la maggior parte della loro carriera hanno lavorato in varie posizioni all’interno della Banca di Russia o di altre istituzioni statali, piuttosto che in fondi speculativi privati, società di investimento, aziende, ecc. come accade spesso nel sistema della Federal Reserve statunitense, dove i direttori del consiglio sono tutti amministratori delegati di aziende al servizio di interessi aziendali.

Nel sistema russo non c’è nulla del genere. È interessante notare che l’unico membro che ha avuto esperienze precedenti al servizio di interessi semi-privati è Alexey Zabotkin, che ha lavorato per il ramo investimenti della banca VTB, sebbene sia a maggioranza statale/pubblica. E non c’è da sorprendersi: anche lui sembra avere una sfumatura più globalista, visto che ha partecipato a eventi legati al WEF e ha parlato delle CBDC da quella che sembrava una prospettiva occidentale di “controllo”. Come ho detto, ci sono alcuni semi cattivi, ma sono una minoranza rispetto all’Occidente.

Inoltre, alcuni hanno documentato quanto profondamente i sistemi bancari di vari paesi occidentali siano stati penetrati dalle vecchie famiglie che si dice controllino l’intero sistema ai vertici, cioè Rothschild e co. Ogni continente è penetrato da loro, per esempio il Sud America ha molti investimenti Rothschild in coordinamento con il Banco Bice e molte altre istituzioni. Ma la Russia è uno dei pochi Paesi in cui non c’è alcuna presenza seria dei Rothschild, a parte un piccolo ufficio che si limita a essere una sorta di avamposto polveroso.

Come lo sappiamo? Per prima cosa, uno dei rapporti annuali ufficiali di Rothschild può essere visto qui. In esso sono elencate tutte le partecipazioni globali e le attività in crescita nei vari Paesi. Noterete che in ogni continente e paese ci sono operazioni forti e in crescita, persino nuove incursioni annunciate in Cina, anche se questo rapporto è ormai datato. Ma in Russia non c’è nulla.

In secondo luogo, Alexandre de Rothschild, capo della divisione Rothschild France, uno dei suoi bracci più potenti, è stato recentemente preso in giro dai comici russi [agenti del GRU] Vovan e Lexus. Nella telefonata in cui fingono di essere Zelensky, Alexandre ammette che la famiglia Rothschild ha un rapporto “fantastico” con il governo ucraino e che lavora fianco a fianco con loro dal 2017. Ma il momento chiave arriva a 1:45, quando “Zelensky” chiede aiuto a Rothschild per raggiungere alcune “élite russe” per i negoziati, e si chiede se Rothschild abbia connessioni di questo tipo in Russia:

Rothschild afferma molto chiaramente di non avere alcun legame in Russia, se non un minuscolo ufficio simbolico, che è stato chiuso all’inizio del conflitto.

“Il nostro coinvolgimento in Russia è stato minimo”.

Direttamente dalla bocca del cavallo.

E, cosa sorprendente, confessa anche che “non abbiamo alcun cliente russo nella nostra divisione di private banking wealth management”.

C’è bisogno di dire altro?

Anche se, a dire il vero, credo che la Russia, come qualsiasi altro Paese, abbia alcuni agenti Rothschild, anche se non realizzano molto o finiscono in esilio. Per esempio, l'”oligarca” Oleg Deripaska era noto per avere legami con Rothschild:

La sua stessa pagina wiki sottolinea quanto sia particolarmente vicino a Nathaniel Rothschild:

Ma Deripaska è il cretino che Putin ha notoriamente paragonato a uno scarafaggio in un video mentre lo umiliava:

Per non parlare dell’ordine di sequestro delle proprietà dell’oligarca dopo l’avvio dell’OMU:

La stampa occidentale, tuttavia, ha continuato a raccontare la presunta vicinanza tra Putin e Deripaska, nonostante Deripaska abbia accusato Putin di “non fidarsi di lui nemmeno con una penna”. In realtà, credo che Putin lo abbia tenuto vicino a volte – pur indebolendolo di fatto, visto che la posizione di Deripaska è scesa dal primo posto tra i più ricchi della Russia durante i giorni di imperversare degli oligarchi, a fuori dalla top 10 – per lo stesso motivo indicato prima: A Putin piace tenere i nemici vicini e le persone più pericolose al guinzaglio; è il modo in cui un manager efficace lavora e monitora il polso di importanti intrighi e correnti sotterranee.

Tornando alle CBDC, molte persone temono le valute digitali per una buona ragione. Io stesso ho scritto un articolo di condanna sulla mia altra newsletter, e sono un antigovernativo/establishment/globalista come pochi. Ma solo gli ignoranti usano generalizzazioni generalizzate per dipingere con un unico pennello ogni espediente apparentemente correlato; ognuno dovrebbe essere esaminato nella sua verità ed essenza.

Il motivo per cui temiamo i CBDC è che vengono usati dal cartello finanziario globalista in un complotto per controllarci, come parte della loro più ampia agenda totalitaria 2030. Ciò avverrebbe, ipoteticamente, in vari modi, consentendo loro di vietare il contante e di utilizzare solo le CBDC tracciabili, nonché di programmare le CBDC in modo da servire gli interessi del capitale finanziario; ad esempio, aumentando la “velocità del denaro” di un sistema bancario, mettendo dei timer sulla valuta, costringendovi a spenderla entro una determinata scadenza anziché accumularla nei vostri risparmi.

Ma ricordate quello che ho appena spiegato: la banca centrale russa non è collegata alle istituzioni finanziarie occidentali e al gigantesco sistema bancario presumibilmente Rothschild del mondo. Il capitale privato e le istituzioni bancarie aziendali non possiedono la banca centrale russa, non hanno alcuna partecipazione o azione in essa, a differenza delle istituzioni occidentali. Pertanto, qualsiasi CBDC creato dalla banca centrale russa serve di fatto solo lo Stato russo. Inoltre, hanno espressamente dichiarato che il Rublo digitale non sostituirà il denaro contante – anche se, è vero, nessuno di noi prende in parola i governi quando si tratta di queste cose, quindi non biasimo nessuno per le sue perplessità.

Ma il governo russo ha una storia di ascolto delle richieste della popolazione migliore di quella occidentale. Per esempio, durante la pandemia il governo si è inizialmente unito al carrozzone delle vaccinazioni e delle relative restrizioni, ma dopo le proteste la maggior parte di esse è stata eliminata. È così che dovrebbe funzionare una sana governance. Nessuno sta suggerendo che i governi debbano essere sempre perfetti e non introdurre mai idee sbagliate, ma ciò che noi cittadini chiediamo è che se le idee sbagliate sono state inventate, dopo aver espresso il nostro rifiuto, vengano rimosse in modo sommario. Il governo russo lo ha fatto finora, almeno per la maggior parte. Rimangono alcune mele marce all’interno della struttura che continuano a spingere certe agende nefaste, che si tratti di vaccinazioni o di certificati digitali, eccetera, ma non si otterrà mai un sistema completamente amichevole a meno che non si istituisca un sistema orwelliano di controllo totale; ci saranno sempre dei cattivi attori.

Ma tornando alla Banca di Russia, alcuni sostengono che nel suo statuto afferma che, come la Federal Reserve degli Stati Uniti, è un’istituzione “indipendente”. È vero, ma la sua definizione di indipendenza è diversa da quella occidentale. Troppe persone inculcate nei paradigmi occidentali cercano di applicarli grossolanamente ai sistemi russi senza comprenderne le sfumature. Lo statuto stabilisce inoltre espressamente che la banca russa è un’istituzione “pubblica” e non privata, ma i detrattori ignorano questa parte. Ricordiamo che la Fed statunitense ammette apertamente di essere “sia privata che pubblica” e di utilizzare un “sistema duale”. Lo potete vedere voi stessi sul loro sito ufficiale: “…una miscela di caratteristiche pubbliche e private”.

Ed ecco il sito ufficiale della Federal Reserve di St. Louis, una delle 12 banche regionali che compongono la Fed statunitense, che dichiara apertamente di essere sia privata che pubblica.

Sulla pagina ufficiale della Banca centrale russa si legge che, pur essendo un’autorità separata, è un’istituzione giuridica pubblica. In realtà, l’articolo 15 della Legge federale sulla Banca centrale stabilisce addirittura che i direttori della BC non possono tenere o aprire conti bancari all’estero.

L’articolo di Forbes dell’inizio di quest’anno sottolinea alcuni dei miei punti, affermando che: “Oggi le banche russe sono per lo più gestite dallo Stato. I maggiori istituti di credito commerciali sono tutti controllati dallo Stato”.

In effetti, l’articolo lamenta il fatto che il capo della Banca di Russia, Elvira Nabiullina, abbia revocato le licenze a un gruppo di banche commerciali “zombie” o le abbia acquistate sotto il controllo dello Stato, consolidando il potere statale russo sul settore bancario.

“Ci sono due grandi banche russe che possono essere definite private – la prima è Alfa Group e l’altra è la Moscow Credit Bank, anch’essa piuttosto grande, ma era ovvio che nessuna di loro sarebbe stata interessata ad acquistare Otkritie o la National Bank Trust che la banca centrale aveva in offerta. Solo le banche controllate dallo Stato sono acquirenti delle banche che la RCB ha rilevato dal 2017”, afferma. “Penso che la situazione sia stabile ora e che Nabiullina possa influenzare le persone del governo russo a non cambiare nulla. La performance di Nabiullina nel salvare il sistema bancario russo è oggetto di dibattito. Lo ha salvato, ma lo ha messo sotto il controllo dello Stato.
Poi c’è questo dato scioccante:

Nel 2014, in Russia c’erano 923 istituti di credito commerciali. L’anno scorso ne sono rimasti in attività circa 370. I dati di RCB mostrano che oltre 600 banche private hanno perso le loro licenze sotto il mandato di Nabiullina.
Leggete con attenzione:

“Nabiullina ha completamente distrutto il sistema bancario privato della Federazione Russa. A causa delle sue attività, è collassato in un grande sistema bancario statale, controllato dalla stessa Nabiullina e dai suoi collaboratori. Ha svolto le sue attività dal 2013, chiudendo costantemente le banche private”, ha dichiarato una fonte del settore finanziario a Mosca.
Interessante, non trovate? E dato che la Nabiullina è la prescelta di Putin, che è stata il suo precedente consigliere economico personale, possiamo solo supporre che si tratti di un’operazione di Putin in tutto e per tutto, per distruggere l’influenza del cartello bancario occidentale sulla Russia e centralizzare il sistema bancario russo sotto lo Stato, come dovrebbe essere. L’articolo menziona persino come Putin abbia “approvato personalmente” una delle grandi vendite bancarie dichiarate, dando credito a questa prospettiva e supportando anche il fatto che Putin stesse supervisionando il lavoro di scure della Nabiullina sull’industria finanziaria di proprietà e investimento occidentale.

Si noti come la Russia abbia raggiunto il picco del numero di “istituti di credito”, cioè di banche private, durante il crollo post-sovietico senza legge, quando la finanza occidentale ha preso completamente il sopravvento e ha sventrato il Paese. Naturalmente, gli istituti bancari occidentali si sono riversati in Russia come in un selvaggio West. Si noti poi come, dopo l’insediamento di Putin, il numero di questi istituti sia gradualmente diminuito. In effetti, il grafico qui sopra si riferisce solo al 2015 e mostra oltre 600 istituti a quel punto. Attualmente, la Russia è scesa a soli 300 istituti. Capite cosa sta succedendo?

Certo, in Occidente si osserva una tendenza al ribasso simile. Ad esempio, gli Stati Uniti avevano qualcosa come circa 20.000 istituzioni finanziarie negli anni ’80, scese a circa 6.000 nel presente. Tuttavia, ciò è avvenuto a causa dei fallimenti delle banche e delle infinite fusioni, in cui i maggiori conglomerati hanno continuato ad accaparrarsi l’un l’altro per diventare sempre più potenti. Per quanto ne so, non è stato il risultato di una campagna deliberata per eliminare le banche come in Russia.

Naturalmente, citando “esperti finanziari”, l’articolo di Forbes deplora queste mosse, caratterizzandole come una sorta di ritorno della Russia a un “sistema bancario primitivo”, destinato a danneggiare in qualche modo la nazione. Eppure il tempo ha dimostrato la sagacia di queste azioni, dato che la Russia ha appena superato ufficialmente la Germania e si è portata al quinto posto nella classifica mondiale del PIL PPP, e ha alcuni dei migliori numeri economici del mondo, per quanto riguarda l’inflazione, la disoccupazione, il saldo dei conti, il debito rispetto al PIL e molti altri indicatori. È chiaro che stanno facendo qualcosa di buono.

Ma torniamo alle CBDC. Se la CBDC russa è destinata a servire qualche tipo di interesse esterno, di chi è esattamente, se la banca centrale russa non ha alcun legame con il sistema occidentale, a parte i regolamenti commerciali obbligatori tra due Stati e le necessarie conversioni di valuta, ecc. È chiaro che l’industria bancaria russa è molto più sotto il giogo dello Stato che in qualsiasi paese occidentale.

Ho stabilito che la banca centrale russa non è più membro della BRI o del sistema SWIFT, i suoi membri non fanno parte di alcuna società “internazionale” come i direttori delle banche centrali occidentali. Quindi perché i loro CBDC dovrebbero servire istituzioni occidentali o internazionali di qualsiasi tipo? In realtà, non esiste alcun meccanismo che consenta loro di farlo, anche se lo volessero. Nel sistema della Federal Reserve statunitense, il denaro arriva direttamente alle banche commerciali associate, che sono gli azionisti diretti del sistema della Federal Reserve. E come tutti sanno, il consiglio di amministrazione di una società è vincolato ai suoi azionisti. Ciò significa che i membri del consiglio di amministrazione della Fed sono chiaramente incentivati a servire gli interessi dei loro clienti. Certo, si pretende di controllare questo aspetto avendo diverse “classi” di consiglieri, con la classe B, per esempio, destinata a “rappresentare il pubblico”. Tuttavia, come si può vedere nel grafico precedente che ho postato, i direttori di classe B sono ancora amministratori delegati di grandi aziende, per non parlare del fatto che sono ancora “eletti” dalle banche che ne fanno parte. La JP Morgan che elegge l’amministratore delegato dell’IBM come “rappresentante pubblico” esemplare è il massimo dell’assurdità e rappresenta una vera e propria presa in giro del popolo.

Poiché sappiamo che il sistema della Federal Reserve è semplicemente un’estensione delle megabanche internazionali, qualsiasi politica che la Fed istituisce, come l’avvio di un potenziale CBDC, è probabilmente per volere e a beneficio di interessi internazionali che non hanno nulla in comune con i cittadini statunitensi. Ciò significa che i controllori stranieri che possiedono e dettano le politiche della JP Morgan, dell’AIG e così via, spingeranno i CBDC perché ciò giova a loro e alle loro istituzioni segrete della massima piramide che non hanno certo sede negli Stati Uniti.

Come funziona? Per esempio: sappiamo che la Federal Reserve degli Stati Uniti è composta da 12 banche membri della Fed, come la Fed di New York. Ognuna di queste banche è composta da una moltitudine di megabanche private, come JP Morgan e altre, che possiedono le azioni della Fed di New York ed eleggono il suo consiglio di amministrazione all’interno del proprio ambito aziendale, il che significa che le banche della Fed sono interamente controllate da loro.

Ma JP Morgan e altri sono banche statunitensi, direte voi. Quindi devono avere in mente gli interessi dei cittadini statunitensi, giusto? Ma chi possiede JP Morgan? Se si guarda ai veri azionisti istituzionali che possiedono le azioni di controllo di JP Morgan, questi sono BlackRock, Vanguard, ecc. BlackRock è una gigantesca “società”, o meglio un gestore di fondi, che apparentemente ha sede negli Stati Uniti, ma è ovviamente una società internazionale globale. Non solo molti dei suoi consiglieri di amministrazione sono stranieri, come due baroni del petrolio dell’Arabia Saudita, un amministratore delegato canadese, ecc. ma anche alcune delle società che detengono quote di controllo di BlackRock sono straniere, come Temasek, con sede a Singapore.

In secondo luogo, tutte le società e i portafogli gestiti da BlackRock – che sono praticamente tutti – sono di portata internazionale, il che rende BlackRock vincolata a loro e ai loro interessi, non solo ai cittadini statunitensi. Inoltre, per la cronaca: BlackRock è una società quotata in borsa mentre Vanguard non lo è, il che significa che gli azionisti privati di Vanguard sono completamente segreti e non possono mai essere rivelati. Quindi la società che detiene la quota di controllo di BlackRock, e quindi possiede la stragrande maggioranza di tutte le principali banche del pianeta, compresa la Federal Reserve, è a sua volta di proprietà di una cabala “segreta” di azionisti.

Non abbiamo modo di sapere chi siano, ma probabilmente possiamo indovinare. Altri ricercatori, come Mullins e Gary Kah, hanno ristretto il campo ad alcune dinastie bancarie dominanti: Rothschild, Warburg, Goldman Sachs, Rockefeller, Israel Moses Seifs, Lehmans e Kuhn Loebs, Lazard, ecc. E tra l’altro, lo scopo del Federal Reserve Act, famoso per essere stato concepito in segreto sull’isola di Jekyll – almeno secondo esperti come G. Edward Griffin, che ne ha studiato la genesi per oltre 70 anni – era proprio quello di creare un sistema di questo tipo, in cui le poche famiglie più importanti possono formare un cartello per controllare l’industria bancaria insieme, proteggendo i loro interessi dalla concorrenza; in breve, un monopolio tra il loro piccolo sindacato di famiglie dinastiche interconnesse e sposate tra loro.

Tornando al nostro argomento, se si ripercorre la storia di queste proprietà, si arriva a un ambito sempre più internazionalista che ha in mente gli interessi della finanza internazionale. Pertanto, quando un sistema come la Federal Reserve statunitense si basa su queste fondamenta, si può presumere che tutti gli strumenti da essa emessi, come le CBDC, siano stati concepiti in funzione di questi interessi.

Ma dato che la Banca di Russia non ha una proprietà di questo tipo, né azionisti di alcun tipo, né legami con società internazionali, ciò significa che nessuna delle argomentazioni di cui sopra riguarda la CBDC russa. Anzi, si può addirittura sostenere che il CBDC della Banca di Russia sia un’arma contro la finanza internazionale, dato che le altre banche commerciali russe – le poche rimaste – si sono già preoccupate del fatto che il CBDC causerà loro gravi perdite di profitti. Il motivo è ovvio: I cittadini russi che scelgono di aprire conti in “rublo digitale” direttamente presso la banca centrale russa rappresenteranno una perdita di potenziali clienti per le banche commerciali che si contendono quegli stessi conti e depositi. Non me lo sto inventando: questa è stata una preoccupazione reale segnalata dalle banche commerciali, al punto che la Banca di Russia ha dovuto persino rassicurarle ricordando che la maggior parte dei clienti preferirà comunque tenere conti anche presso di loro, dato che i conti in Rublo digitale presso la Banca centrale non matureranno interessi come quelli delle banche commerciali. Pertanto, le persone normali che desiderano ottenere un profitto dai propri risparmi dovranno ancora aprire conti presso le normali banche commerciali. Dall’articolo linkato sopra:

Il lancio del rublo digitale potrebbe portare a un deflusso di 4.000 miliardi di rubli dalle banche russe e a un aumento del costo dei prestiti, secondo la più grande banca del Paese. Sberbank ha valutato i rischi del lancio del rublo digitale e prevede che, dopo la sua introduzione, 2-4.000 miliardi di rubli non in contanti saranno trasferiti dalle banche alla valuta digitale russa, ha dichiarato il vicepresidente del consiglio di amministrazione di Sberbank Anatoly Popov in una conferenza stampa.
Quando si rendono nervose e invidiose le banche commerciali, probabilmente si sta facendo qualcosa di buono.

Questo dimostra che ci sono più argomenti a favore del fatto che la CBDC russa danneggi le banche commerciali private e i loro interessi che non il contrario, alla luce di tutto ciò che ho spiegato sopra, in particolare alla luce delle prove che Putin ha utilizzato Nabiullina e la banca centrale per distruggere e limitare gli interessi delle banche commerciali private in Russia. Certo, è probabilmente un’ipotesi molto lontana dal percorso Putin-5D, ma è anche lontanamente possibile che la Banca di Russia CBDC faccia parte di un piano a lungo termine per strappare completamente il controllo della finanza occidentale/londinese e restituirlo al popolo. Ma un simile piano ipotetico funzionerebbe a lungo termine solo in concomitanza con diversi altri sviluppi critici, come la rivoluzione multipolare Russia-Cina che sconvolge l’intera architettura finanziaria del globo, o almeno la loro sfera, e riporta il mondo a valute sostenute da beni reali. Ma questo sarebbe nel regno dell’improbabilità del livello NESARA-GESARA, almeno per il prossimo futuro. Tuttavia, credo che la tendenza sia quella e tutto dipenderà dalla prossima successione in Russia dopo Putin.

Quindi, questo significa che dovremmo amare e fidarci del CBDC russo? Non necessariamente, io stesso rimango ancora sanamente scettico. Il motivo è che, anche se per ora rimane apparentemente innocuo, tutto può cambiare in futuro. Per esempio, un politico filo-occidentale/liberale potrebbe ipoteticamente succedere a Putin e decidere di riorientare completamente la Russia nella direzione del “Grande Reset”, quindi di trasformare i CBDC in tutto ciò che si temeva che fossero.

Questo non vuole nemmeno essere un’approvazione clamorosa del sistema di banche centrali della Russia o di qualsiasi altra banca centrale, se è per questo. In generale, continuo a essere personalmente critico nei confronti di qualsiasi tipo di istituto bancario di stampo usuraio. Ma quella russa sembra certamente la migliore del lotto. E come ho detto, c’è la possibilità che Putin stia conducendo una lunga crociata personale per riformare lentamente l’intero sistema, con l’obiettivo finale di una vera e propria moneta aurea o garantita da asset, utilizzata dall’intera nascente sfera di resistenza/multipolare rappresentata dai BRICS.

In effetti, una piccola ma interessante notizia è passata sotto silenzio solo pochi giorni fa. Putin ha firmato una legge per una serie sperimentale di “banche islamiche” in quattro regioni chiave della Russia, che hanno una maggiore popolazione musulmana: Daghestan, Cecenia, Bashkiria e Tatarstan. Questa sperimentazione durerebbe due anni, fino al 2025, e vieterebbe l’uso della banca per finanziare tabacco, alcol, armi, gioco d’azzardo, ecc. Soprattutto, vieterebbe l’uso di tassi di interesse in qualsiasi prestito o transazione. Avete letto bene: il divieto di usura. Come si fa a prestare denaro senza un tasso di interesse, o meglio, per quale incentivo? Non ne sono sicuro, ma sembra che abbia qualcosa a che fare con questo, dall’articolo sopra linkato:

Esiste una condizione di condivisione del rischio di profitto e perdita tra la parte finanziatrice e il cliente su transazioni e operazioni finanziarie basate su attività effettive o su transazioni con tali attività. È inoltre necessario identificare le attività effettive alla base della transazione.
È chiaro che il cambiamento globale più epocale che potrebbe verificarsi nel corso della nostra vita sarebbe la dissoluzione del sistema bancario fiat occidentale che ha controllato il mondo per centinaia di anni e sul quale sono stati costruiti i pilastri delle forme più tossiche di capitalismo clientelare. Ma anche, nello specifico, il dollaro come valuta di riserva e il suo conseguente “privilegio esorbitante”, che ha alimentato il modello unipolare del mondo per decenni, scatenando un’ondata di imperialismo sfrenato che ha affogato il mondo in via di sviluppo in oceani di sangue, abbattendo paesi e continenti allo stesso modo, trasformandoli in pozzi di schiavi distrutti, impoveriti e senza legge, come ad esempio la Libia e molti altri.

Il CBDC russo potrebbe essere un’incursione tattica contro questo sistema, come sostengono i suoi progenitori, o sarà cooptato dai poteri forti in un altro strumento di controllo della società? È difficile esserne certi, ma per ora conservo una modesta speranza, per le ragioni illustrate in questo articolo.

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UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?_da Minurne ….il piatto vuoto di Meloni_di Elena Basile

Il colpo di stato in Niger è stato accolto in Europa, in Francia in particolare, con un senso di frustrazione e smarrimento dalle élites dominanti e con un anelito liberatorio di emancipazione dal giogo occidentale da parte degli ambienti di opposizione “sovranista” e “terzomondista”. Ancora una volta il riflesso condizionato di cui sono schiave le élites dominanti, ormai però sempre più arroccate, ha tentato di racchiudere l’evento nello schema fuorviante e strumentale della contrapposizione democrazie/dittature totalitarie. Segno che si vuole rimuovere ancora una volta il fatto che l’introduzione dei regimi democratico-liberali, laddove innestati, in un contesto sociale di natura tribale e clanica, non fa che riprodurre con la forza dei numeri il predominio discriminatorio di clan particolari sugli altri su base tribale. E’ il miraggio che ha ingannato in gran parte a suo tempo le nuove classi dirigenti africane a fine secolo sino a farle ricadere paradossalmente nelle logiche tribali. Segno che si continua, nel mondo occidentale, a glissare per interesse ed ottusità sul fatto che la costruzione di una forma statuale moderna in Africa, rappresentativa della composizione sociale, non può prescindere al contrario da un accordo tra queste componenti e dalla iniziativa di gruppi dirigenti e amministrativi, in primo luogo l’esercito, sul quale costruire un minimo di coesione nazionale. E’ quanto è riuscito a comporre a suo tempo con relativo successo Gheddafi, non ha caso brutalmente e tragicamente estromesso dalla coalizione occidentale nel 2011. Quello, però, è stato solo l’episodio più tragico e dirompente di una politica tuttora perseguita in quel continente dai paesi occidentali, compresa la Francia nell’area francofona. I colpi di stato in Mali, Burkina Faso e, ultimamente, in Niger rappresentano soprattutto una reazione a queste politiche, resa possibile dalla presenza nel continente di numerosi nuovi attori geopolitici in aperta competizione con i tradizionali colonizzatori francesi, inglesi e, in forme diverse, statunitensi; tra di essi senza dubbio la Cina e la Russia, ma anche l’India, la Turchia, Israele e i paesi del Golfo Persico. La presenza russa e cinese, in particolare, poggia su fondamenti politici diversi da quelli occidentali, basati pragmaticamente sull’accettazione dello stato di fatto degli equilibri politici nei paesi africani. Un principio che ha comunque prodotto pesanti attriti in quelle aree, specie con la Cina, nella fattispecie sulla gestione del debito, sullo sfruttamento dei terreni agricoli e sulle modalità di costruzione delle infrastrutture civili; attriti, però, al momento gestibili rispetto al livore suscitato dal retaggio coloniale e neocoloniale dei paesi occidentali. Attriti che le due potenze emergenti sono riuscite sinora a gestire e spesso a risolvere. Sono tutti i paesi occidentali a subire al contrario le pesanti conseguenze di questo anelito emancipatorio; soprattutto, però, la Francia. Se i suoi avversari e nemici dichiarati si sono esposti ormai alla luce del sole in queste dinamiche, non va sottovalutato l’atteggiamento sornione e subdolo degli Stati Uniti, desiderosi di stringere la morsa ed annichilire ogni futura velleità di autonomia dei propri alleati, specie in una prospettiva di confronto multipolare o bipolare. Il Niger ospita la principale base statunitense in Africa e, al momento, gli strali più duri della nuova giunta sono indirizzati alla Francia.

La brama di emancipazione e sviluppo tra i paesi africani è comunque indubbia, come pure l’esigenza di stabilizzazione dei regimi e delle società. Trova alimento ed occasioni nella presenza competitiva di numerose potenze emergenti impegnate ed interessate al continente. Può contare sul diverso approccio offerto da queste rispetto al tradizionale impegno occidentale. Sia la Cina che la Russia puntano piuttosto alla accettazione della situazione interna a quei paesi che ad una azione destabilizzatrice. Influisce certamente la tradizione diplomatica e il retroterra culturale di quei paesi, diversi da quelli occidentali a matrice anglosassone e transalpina. Il protrarsi di questa linea di condotta nel futuro prossimo, più che dal bagaglio culturale e dalla tradizione diplomatica, dipenderà dalle dinamiche geopolitiche interne a quel continente, dall’atteggiamento del mondo occidentale e, principalmente, dalla capacità di conduzione di linee politiche autonome ed indipendenti delle élites locali africane.

Queste hanno visto nell’andamento del conflitto ucraino, nella capacità russa di fronteggiare sul campo la NATO e gli Stati Uniti, nell’alternativa economica, ma sempre più politica, della Cina l’esempio di azione e la possibilità di aprire varchi anche con toni insolenti e spavaldi.

I paesi africani hanno già conosciuto questo potente anelito; ma al successo militare contro le potenze coloniali, non ha fatto seguito nella maggior parte dei casi il conseguimento di una effettiva indipendenza politica ed economica e la costruzione di regimi statuali solidi.

Una eccessiva baldanza ed una eccessiva fiducia verso gli agenti esterni, piuttosto che sulle proprie capacità di ricomposizione e di sviluppo rischia di farli ricadere nello stesso errore e ridiventare terreno di contesa di forze esterne.

Al momento sono i paesi occidentali a guida americana ed alcuni paesi arabi a riproporre in Africa politiche di istigazione alla frammentazione e conflittualità clanica e tribale, gli uni sotto la maschera del diritto individuale, gli altri dell’adesione confessionale. E’ giusto, quindi, che siano il bersaglio principale degli strali. Han voglia, anche alcuni ambienti critici francesi, come sottolineato nel secondo articolo, a lamentare l’ingratitudine degli africani ai servigi offerti dalla Francia. Il poco che le élites francesi hanno saputo offrire alle colonie non è stato un atto di generosità e, soprattutto, è venuto meno con la concentrazione degli investimenti e degli interessi economici occidentali verso la Cina, la quale ha saputo par altro farne ottimo uso. Esattamente la stessa dinamica realizzata dagli Stati Uniti con il Messico e l’intero Sud-America.

Il futuro dei paesi africani, delle Afriche, la loro emancipazione dipende dalla capacità di individuare e praticare i propri interessi e le proprie possibilità di sviluppo in un quadro di coesione sociale praticabile, di una politica demografica assennata e di impostare su di essi le indispensabili relazioni internazionali.

L’Italia avrebbe, in realtà, ancora delle carte residue da giocare sull’onda del credito accumulato negli anni ’60/’70 nel Mediterraneo esteso e nel Nord-Africa. Le sue attuali élites, si fa per dire, e l’attuale Governo Meloni, in buona sintonia con i precedenti, avrebbero alternative concrete da seguire. Lo aveva messo sul piatto Trump a suo tempo, lo ha dimostrato sul campo la Turchia di Erdogan.

Giorgia Meloni ha scelto di spendere questo credito residuo come cortina fumogena di disegni altri e in qualità di mosca cocchiera delle strategie avventuriste e guerrafondaie dei neocon-progressisti statunitensi e dei lirici europeisti al seguito.

Il “piano Mattei” di suo conio è un insulto alla memoria di quella figura. Rappresenta l’icona dietro la quale un intero paese sarà trascinato volente o nolente in questo scacchiere. Lo abbiamo ribadito più volte e in tempi non sospetti. Con quale modalità, per fare cosa, con quali conseguenze saranno gli altri a deciderlo; a meno di improbabili sussulti o eventi catastrofici, a questo punto auspicabili, nella “terra madre”.

Nel frattempo il Senato della Nigeria ha respinto l’opzione militare contro il Niger. La posizione non è ancora ben definita, ma è evidente che se vorranno intervenire, dovranno farlo probabilmente senza maschere.  Gli Stati Uniti hanno inviato in Benin già tre giganteschi C17 carichi di materiale e truppe; hanno chiesto già conto al Presidente nigeriano, favorevole all’intervento, dei ritardi organizzativi dell’operazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?
Macron non si è accorto di nulla con il Niger o, come al solito, ha chiuso un occhio?

Editoriale di Gilles La-Carbona: Segretario nazionale del RPF

La repentinità dell’evento potrebbe indurre a pensare che si tratti della prima ipotesi, ma ancora una volta l’evidenza è ingannevole. In realtà, ciò che sta accadendo in Niger è semplicemente la logica prosecuzione di un processo sostenuto da anni da una politica estera deplorevole, ma accelerato dallo stesso Macron e dalla sua arroganza, costante fonte di disastri diplomatici.

Éléments magazine – Bernard Lugan: “La Françafrique è una leggenda!

Il Niger non si è trasformato in un colpo solo, conquistando tutti i presenti al Quai d’Orsay. Il 21 marzo 2023, Bernard Lugan, specialista dell’Africa, aveva previsto a casa di Bercoff quello che è appena successo, e allora perché non gli avete dato retta? Semplicemente perché va controcorrente rispetto alla doxa di Macron. Come spiega molto chiaramente, “se i nostri attuali funzionari, che sono specialisti, facessero più etnografia invece che ideologia, e se leggessero autori antichi, la Francia eviterebbe di commettere errori”. Ma Macron non apprezza le competenze e non si circonda né di intelligenza né di conoscenza.

Il suo tour in Africa è stato un fiasco, come tutto quello che fa, e anche in questo caso i media bugiardi e sovvenzionati lo hanno coperto, preferendo tenere la verità per sé ed evitare analisi approfondite, per non dover dare l’allarme. Sempre per compiacere, per conservare il denaro pubblico che li sostiene, a spese della realtà. Le menzogne sono ovunque e la verità non si trova da nessuna parte, a meno che non venga bollata come tale da queste agenzie statali. L’Africa vuole emanciparsi, ma rimane impantanata nei suoi problemi economici, etnici e religiosi, nella corruzione e nella dipendenza permanente dalla tecnologia e dagli aiuti occidentali. I cinesi e i russi stanno cercando di sostituire i francesi e gli americani sul campo. Tutto questo fa parte di una schizofrenia che vorrebbe che i francesi abbandonassero l’Africa, mentre molti giovani africani sognano di venire in Europa e in particolare in Francia.

Il recente colpo di Stato in Niger potrebbe essere il primo domino a infrangere le illusioni di potere che persistono, soprattutto per la Francia. La decisione di vietare l’esportazione di uranio e oro in Francia dovrebbe essere un test, perché Macron avrà solo due opzioni: ritirarsi in silenzio e rimpatriare i 1.500 soldati, oppure intervenire. Lui, che sogna la guerra, opterà per la seconda, ma a quale scopo? Burkina Faso, Mali e Mauritania hanno già avvertito che entreranno in guerra a fianco del Niger per difendere i suoi interessi in caso di tentativo di intervento armato straniero. Data la nostra forza militare, non abbiamo più riserve di munizioni, poco equipaggiamento perché destinato all’Ucraina, e le nostre capacità di trasporto e di rifornimento delle truppe sono ridotte al minimo, dato che affittiamo aerei cargo dalla Russia per le nostre proiezioni. I nostri 1.500 soldati faranno fatica a sostenere un conflitto che coinvolge quattro Paesi, magari appoggiati da aziende private. E non dimentichiamo che un altro dei nostri fornitori di uranio è la Russia.

Il resto del mondo si sta svegliando di fronte all’arretramento senza precedenti dell’Occidente, che non è più in grado di imporre altro che vincoli e prepotenze infinite alla propria popolazione. Un fallimento militare in Niger sarebbe una doccia fredda per Macron, oltre che un vestito adatto a lui.

Relazioni Africa-Francia: perché la Francia deve affrontare tanta rabbia in Africa occidentale – BBC News Afrique

La Francia viene espulsa ovunque in Africa e dietro questo rifiuto c’è tutta l’Europa. La domanda è: come si è arrivati a questo? Ripetendo che possiamo essere forti solo in alleanza con altri, abbiamo perso la nostra sovranità e il nostro potere. La formula era valida solo finché la coalizione europea rappresentava qualcosa di serio, una paura reale. Ma la guerra in Ucraina ha rivelato le debolezze della NATO. Circa 50 Paesi non sono riusciti a far indietreggiare la Russia, immaginate se fossimo stati da soli. La Francia non poteva più essere soddisfatta di se stessa, non era nulla secondo le nostre politiche, e doveva fondersi in tutta una serie di organizzazioni favolose senza le quali non potevamo esistere. Questo discorso disfattista conteneva i semi della decadenza. I media lo hanno propagato con forza. Il risultato è lì, non ancora accettato dai nostri cacicchi, ma la realtà dovrebbe aprire loro gli occhi. Coloro che in Francia si ostinano a pensare che dobbiamo dipendere dagli altri per far sentire la nostra voce o per sopravvivere, si sbagliano e ripetono inconsciamente la stanca formula di dire che se le cose andavano male in Francia era perché avevamo bisogno di più Europa. Ora dipendiamo totalmente dalla Commissione europea e nulla va per il verso giusto.

La realtà, tuttavia, è che non possiamo perseguire grandi disegni portando avanti le politiche che conosciamo bene, distogliendo le nostre entrate dalle missioni essenziali. Le nostre risorse sono tutte concentrate sul mantenimento di uno Stato obeso ma in crisi, che sperpera denaro in controsocietà di periferia, in coperture sociali malversate, in molteplici sussidi a organizzazioni con missioni e risultati oscuri e in pessimi piani industriali, che non sono altro che trasferimenti mascherati di denaro pubblico a interessi privati.

L’RPF è favorevole a un vero e proprio audit delle finanze pubbliche. È stato stimato che quasi 40 miliardi di euro sono stati spesi per agenzie fasulle che ingrassano gli amici dei politici e non aggiungono alcun valore. Se a questo si aggiungono i milioni regalati alla stampa, i miliardi persi per sostenere la pletora di dipendenti pubblici europei, l’evasione fiscale per oltre 150 miliardi, le frodi sociali per diverse decine di miliardi, i regali di Macron all’Ucraina e ai vari Paesi che ha visitato, i miliardi generosamente elargiti alle società di consulenza, si ottiene una somma sufficientemente grande per riorientare il bilancio dello Stato e smettere di pensare che la Francia sia solo un piccolo Paese che non riesce a farcela da solo. La Svizzera lo fa bene. Questi temi potrebbero essere ripresi dalle opposizioni, che però sembrano più interessate a vietare tutto ciò che potrebbe mettere in discussione la retorica sul cambiamento climatico o la tassazione degli alloggi ammobiliati per le vacanze, che ad affrontare i problemi reali.

Gilles La-Carbona

2/8/2023

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L’AFRICA IN EBOLLIZIONE (Patrick Becquerelle)
Da diversi anni siamo spettatori di conflitti sia nel nostro Paese che all’estero. La Francia sembra essere nel mirino di diversi Paesi africani. Ecco una riflessione di Patrick Becquerelle basata sulla rivolta nigerina.

Françafrique
Questo continente ricco di materie prime è costantemente dilaniato.
Gli africani rimproverano agli occidentali, soprattutto ai francesi, il loro colonialismo.
Il Mali, il Maghreb e ora il Niger, insieme a molti altri, ci odiano.
Eppure tutti questi popoli si dirigono a flusso continuo verso una Francia “egemonica”.
Ma come è possibile che questo continente dalle innumerevoli risorse sia ancora così
in tale disordine?
C’è da chiederselo quando si vede il numero di africani che vengono a studiare soprattutto in Francia e non tornano mai in patria per trasmettere le conoscenze acquisite ai loro paesi.
Medici, avvocati, scienziati, ingegneri, funzionari pubblici, soldati, ecc.
Oggi si alternano per estrometterci con odio dai loro Paesi.
Eppure la Francia ha permesso loro un certo grado di autonomia, fornendo loro ottime infrastrutture e formando dirigenti che purtroppo non hanno alcuna voglia di costruire una bella Africa.
Non perderebbero il loro patriottismo venendo in Francia?
Perché non lottano per sviluppare il loro Paese?
Noi diamo loro i mezzi per farlo.
In segno di gratitudine, preferiscono trasporre il loro spirito guerriero, l’odio per i francesi e il bellicoso comunitarismo, grazie alla vigliaccheria dei nostri politici.
Ancora una volta, l’Africa sarà il bersaglio della barzelletta, ma la colpa sarà solo sua.
Avrà solo se stessa da incolpare
2 attori/predatori stanno arrivando nel loro continente
-la Russia, con i suoi mercenari wagneriani
-la Cina, con le sue notevoli risorse, soprattutto in termini di potenziale umano.
La tanto criticata egemonia francese impallidisce di fronte a questi due giganti, il cui appetito sarà difficile da contenere il loro appetito bellicoso.
Ancora una volta si dirigono verso la colonizzazione, ma questa volta è più invasiva e priva di qualsiasi democrazia.
La Francia deve, con i mezzi diplomatici e mediatici a sua disposizione, far capire loro che questi due Stati non hanno posto nel mondo. Hanno un solo obiettivo, quello di appropriarsi delle loro ricchezze perché non hanno un contrappeso democratico.
Non rispetteranno né i loro costumi né le loro religioni e non tollereranno alcuna immigrazione nei loro territori.
Dobbiamo ricordare loro questo:
-che le loro scelte avranno gravi conseguenze diplomatiche, finanziarie e migratorie.
-Che molti soldati francesi hanno dato la vita per proteggerli e che non è stato solo per loro stessi e che non è stato solo per il proprio bene.
-Che è un’adulta e che dovrà fare le sue scelte!

Patrick Becquerelle

6/8/2023

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PIANO MATTEI, SOVRANISTI FINTI E ALTRE PRESE IN GIRO, di Elena Basile

La parola inglese accountability rende bene il significato di quel che è stato perso nella vita politica italiana. Potrebbe essere tradotta con una perifrasi: “assumersi la responsabilità e dare conto del proprio operato”.
Al cittadino appare chiaro che i politici, le istituzioni, persino i giornalisti e gli operatori culturali sono liberi da un tale fardello essenziale alla civiltà liberale e democratica.
Gli esempi potrebbero essere tanti. I giornalisti che avevano previsto il crollo economico della Russia e un cambio di potere a Mosca pontificano sulla probabile sconfitta militare della Russia, per nulla imbarazzati dalle loro precedenti errate previsioni. Romanzi premiati e pompati dal mercato non rispondono a volte ad alcun requisito letterario, ma le macchine della pubblicità, i critici, le case editrici e gli amichetti continuano indisturbati a distruggere la cultura. Il governo della destra “sovranista” di Meloni attua un programma in politica estera e in Europa che avrebbe potuto essere del Pd e del centrosinistra. Gli elettori restano fedeli nella sconcertante convinzione che la presidente non ha alternative se vuole restare al potere.
Le decisioni sono prese altrove. La finanza, le grandi multinazionali tirano i fili delle marionette politiche. Le indagini sociologiche serie hanno illustrato come il presidente degli Stati Uniti sia eletto grazie all’accordo di tali poteri forti.
Non c’è nulla di automatico e deterministico. L’azione umana è piena di imprevisti. Ma, come l’assenza di partecipazione alla politica se non per interessi settoriali e la stessa astensione dal voto dimostrano, si è rotto quel filo che fino agli anni 80 ha legato società civile e istituzioni.
Prendiamo la politica mediterranea. Diplomatici e nuovi pennivendoli si affannano a illustrare il cosiddetto Piano Mattei. Senza pudore si utilizza un nome mitico. Enrico Mattei si rivolta nella tomba. Il grande imprenditore, che ha pagato con la propria vita il coraggio di perseguire l’interesse nazionale contro quello delle “sette sorelle”, il fine politico che ha creduto nel bene comune di Stati mediterranei e africani, viene strappato alla memoria collettiva e strumentalizzato per le carnevalate odierne. La presidente del Consiglio (ma Draghi o altri di centrosinistra non avrebbero fatto diversamente) si genuflette alle richieste militari ed economiche statunitensi, rinuncia agli interessi commerciali italiani nei rapporti con Pechino, elemosina senza ottenere una politica del Fmi diversa nei confronti della Tunisia, e nomina senza alcun pudore Enrico Mattei per riferirsi al piano energetico tra Italia e l’Africa fornitrice di energia. Nessun giornalista o economista si dà la pena di spiegare come mai decenni di politica mediterranea europea (dal processo di Barcellona 1995 all’Upm 2008) siano falliti nonostante gli sforzi di partnership egualitaria, di codecisione, di approccio olistico e non settoriale. Qualche brillante collega addirittura sostiene che la Nato, data la menzione del Fianco Sud nel prolisso e illeggibile comunicato finale a Vilnius, aprirà le porte a una cooperazione differente con i Paesi nordafricani. Mattei, a partire dal 1958, aveva stipulato con l’Urss accordi energetici favorevoli allo sviluppo economico italiano contro l’oligopolio delle multinazionali. Il governo italiano strumentalizza il suo nome mentre si lega mani e piedi all’energia statunitense venduta a caro prezzo e a frammentate fonti di approvvigionamento con dittature di umore instabile.
Il cittadino ,nel leggere alcuni giornali, prova un terribile senso di presa in giro. Mieli realizza buoni programmi televisivi, recentemente una ricostruzione storica della rivoluzione cubana. Ci propina tuttavia articoli in cui racconta la fine dell’accordo sul grano come una decisione unilaterale del lupo cattivo. Dimentica di elencare le condizioni previste dall’accordo e non realizzate a partire dalla mancata revoca delle sanzioni sui pezzi di ricambio delle macchine agricole russe fino alla negata adesione della banca russa agricola al sistema di pagamenti Swift. Tace sulle percentuali di grano esportate (80% ai Paesi europei, 3% agli africani) che secondo l’Oxfam non risolverebbero i problemi dei Paesi emergenti, ma contribuirebbero a limitare l’inflazione di generi alimentari nei Paesi ricchi.
Quanti intellettuali e rappresentanti istituzionali si prestano a questi giochi in malafede con appelli moralistici a favore dei Paesi emergenti smarrendo la visione oggettiva di quanto accade sulla scena internazionale? La sensazione sconcertante è che le élite al potere in Europa e i loro ‘cani da guardia” abbiano venduto l’anima e che la politica come l’economia e la cultura siano soltanto tecnica. Viviamo ormai in un eterno Barbie, film di visualità sublime privo di contenuti e con uno script demenziale.

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SITREP 8/5/23: Proiezione del futuro intermedio, di SIMPLICIUS THE THINKER

Non ci sono ancora molti aggiornamenti significativi sul campo di battaglia, quindi ho voluto dedicare questo tempo a proiettare il futuro a medio termine sulla base dei piani dell’Ucraina e dell’Occidente per i prossimi 6 mesi e oltre.

Ma prima, riassumiamo a grandi linee lo stato delle cose, in particolare rispetto alla grande “offensiva” estiva, in modo da essere tutti sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda la situazione narrativa del conflitto.

All’inizio di quest’anno, l’Ucraina ha iniziato ad attrezzare due distinti “corpi d’armata” di brigate di manovra specificamente per l’imminente “controffensiva”. Si tratta del IX Corpo e del X Corpo. Il 9° Corpo doveva essere quello più armato e addestrato dalla NATO, come è stato notoriamente rivelato dalle fughe di notizie del Pentagono. Era composto dalle 9 brigate di manovra denominate 116ª, 47ª, 33ª, 21ª, 32ª, 37ª, 118ª e 117ª.

Di queste, la 47ª era considerata la più elitaria, composta da tutti i “volontari” che si erano arruolati appositamente da altre unità e che erano stati addestrati nel Regno Unito e armati con 99 M2A2 Bradley e M109 Paladin americani per l’artiglieria.

Il ruolo dei due corpi d’armata era che il 9° doveva essere la brigata di sfondamento che raggiungeva la prima “linea di difesa principale”, quella famigerata con i denti di drago che la Russia aveva impiegato mesi a costruire. Una volta raggiunta questa linea, il 10° Corpo doveva essere la forza di “sfondamento” che avrebbe preso il posto del 9°, riversando altre 9-12 brigate fresche attraverso il varco per creare un’apertura inarrestabile.

Yaakov Kedmi spiega perché gli istruttori occidentali non hanno insegnato nulla alle forze armate ucraine: “Né gli inglesi né i francesi, nessuno ha mai addestrato e provato a sfondare i sistemi di difesa a livelli. Non sanno come farlo, non l’hanno mai fatto. Quindi è improbabile che possano insegnarlo. Sì, ci sono alcune unità nell’esercito americano – unità corazzate. La divisione corazzata americana si è esercitata a sfondare una linea difensiva a schiera. Ma non l’hanno mai fatto in nessuna guerra, nemmeno nella Seconda Guerra Mondiale. Combattono in modo diverso. Per sfondare la difesa a scaglioni della Russia, bisogna gettare nella breccia almeno una divisione e dopo un po’ sostituirla con un’altra. Perché nelle prime fasi dello sfondamento sarà tutto distrutto, essendo avanzato solo in una o due linee. Più avanti ne servono sempre di più! Non possono farlo. In primo luogo, non hanno così tanta forza. In secondo luogo, qualsiasi tentativo di concentrare grandi formazioni prima di attaccare le rende un ottimo bersaglio per l’artiglieria e gli attacchi aerei. Gli eserciti occidentali non sono pronti per il tipo di guerra, il tipo di azioni militari che si stanno combattendo in Ucraina oggi e che si combatteranno domani. Non sono pronti per le moderne e serie operazioni militari di grandi formazioni contro l’esercito russo”.
Il 9° ha subito perdite catastrofiche dall’inizio dell’offensiva del 4 giugno in poi, come tutti sappiamo. Si dice che intere brigate siano state spazzate via, come ad esempio questo strano titolo sulla 32ª (una delle 9 del IX Corpo) che pare sia stata “misteriosamente” spedita in un fronte morto:

O questo, che descrive in dettaglio come diverse brigate del IX Corpo d’Armata sembrassero completamente mancanti in azione:0

L’aspetto interessante è che, come per la 32esima brigata di cui sopra, ieri sono trapelati online alcuni nuovi documenti che sembrano mostrare che la 32esima è stata rimandata a causa della diserzione/mutilazione di massa e del rifiuto di seguire gli ordini:

Inoltre, sono state diffuse online notizie da parte di presunti cari e parenti dei soldati della 32esima che un intero battaglione è stato completamente “distrutto”:

Secondo i documenti acquisiti e confermati dai messaggi sui social media dei familiari sconvolti, un intero battaglione della 32ª Brigata separata di fucili dell’esercito ucraino è stato spazzato via.
Così il 9° Corpo non è stato in grado di raggiungere la prima linea di difesa della Russia e le brigate sono apparse troppo degradate per proseguire, molte delle quali sono state ritirate per essere riallestite/ricostituite nelle retrovie. Il 10° Corpo d’Armata è stato quindi iniettato prematuramente per prendere il sopravvento, ed è questo il senso di questa nuova “seconda fase” dalla fine di luglio.

Si tenga presente che nessuno sa con certezza cosa sia il 10° Corpo, ma quanto sopra è stato il racconto principale non solo dei giornalisti del NYTimes che per primi hanno dato la notizia, ma anche di Rob Lee e Kofman che hanno ora certificato questo racconto dell’assunzione del comando da parte del 10° Corpo.

Un po’ di contesto: Secondo le notizie trapelate dal Pentagono, l’Ucraina disponeva di circa 34 brigate di manovra, con altre 27 brigate TDF (Forze di Difesa Territoriale) probabilmente in grado di tenere per lo più le trincee e senza molte armi pesanti o blindati, e 9 brigate di artiglieria in totale rimaste in guerra. Si tratta di 61 brigate totali di fanteria/armatura che dovrebbero tenere un fronte lungo 1.300 km. La media è di 1300/61 = 21 km per brigata. Si noti che nella dottrina sovietica una brigata dovrebbe tenere qualcosa come non più di 2-3 km al massimo e un’intera divisione dovrebbe tenere 10 km. Per non parlare del fatto che le brigate ucraine sono composte al massimo da 4000 uomini, mentre dovrebbero essere 5000, la maggior parte sono 3000 e, a quanto pare, anche secondo gli articoli del MSM che le trattano, alcune sono 2000.

Qualcuno si chiederà come sia possibile che la Russia non stia sopraffacendo l’AFU con linee così sottili e brigate così malconce. Ricordiamo che la Russia sta combattendo questa guerra solo con una percentuale delle sue forze armate. L’esercito russo ha sempre avuto un contratto tra il 50-65% e il 50-35% di coscritti e, come sapete, il Ministero della Difesa non permette ai coscritti di combattere qui. Ciò significa che la Russia sta usando solo circa il 60% della sua forza totale di baionette, mentre l’Ucraina sta usando tutti – tutte le truppe ucraine sono coscritti mobilitati a forza direttamente dalla strada.

Senza contare che ci sono ancora centinaia di migliaia (numero ufficiale 340k) di “Guardia Nazionale” che la Russia non sta utilizzando, mentre l’Ucraina usa tutta la sua Guardia Nazionale, le forze di polizia e tutto ciò che c’è in mezzo come prima linea d’assalto. La Russia ha tipicamente utilizzato solo piccole “forze speciali” specializzate della Rosgvardia, come la FSVNG, piuttosto che la stessa Guardia Nazionale regolare. Pertanto, la Russia sta combattendo l’intera guerra come una forza militare professionale esclusivamente a contratto, lasciando centinaia di migliaia di truppe non impegnate. L’Ucraina, invece, sta impegnando tutto il possibile.

Questo ci porta alla sezione successiva. Per chi ha seguito i miei recenti rapporti, noterà che ho tenuto traccia della “mobilitazione stealth” in corso da parte della Russia. A giugno, Putin ha tenuto una tavola rotonda con i giornalisti in cui ha risposto su una potenziale mobilitazione futura: riporto qui la sua risposta:

Vladimir Putin: È necessaria un’ulteriore mobilitazione? Non seguo da vicino la questione, ma alcuni personaggi pubblici dicono che abbiamo urgentemente bisogno di raccogliere un altro milione, due milioni. Dipende da cosa vogliamo. Alla fine della Grande Guerra Patriottica, avevamo quasi 5 milioni di uomini nelle forze armate, dipende dallo scopo. Le nostre truppe erano a Kiev. Dobbiamo tornare indietro o no? La mia è una domanda retorica, è chiaro che lei non ha una risposta. Posso rispondere solo io. Ma a seconda degli obiettivi che ci poniamo, dobbiamo decidere sulla questione della mobilitazione. Oggi non ce n’è bisogno: abbiamo iniziato a lavorare dal gennaio di quest’anno – abbiamo reclutato oltre 150.000 militari a contratto. E insieme ai volontari – 156 mila. E la nostra mobilitazione è stata di 300 mila unità. In queste condizioni, il Ministero della Difesa riferisce che, ovviamente, oggi non c’è bisogno di mobilitazione.
In primo luogo, si noti che dice che al momento non c’è bisogno di mobilitazione, lasciando la porta aperta per il futuro. Questo perché la Russia ha condotto la mobilitazione stealth che, un mese dopo, a luglio, Shoigu ha detto che ha visto 1.336 adesioni al giorno in Russia, cioè poco più di 40.000 al mese. Shoigu ha notoriamente detto: “Questo è sufficiente per completare un reggimento al giorno”.

Shoigu aveva anche dichiarato in precedenza:

“In effetti, entro la fine di giugno, completeremo la formazione di un esercito di riserva e nel prossimo futuro completeremo la formazione di un corpo d’armata”. Anche cinque reggimenti sono stati formati per oltre il 60%. In questo caso, parlo di personale ed equipaggiamento”, ha sottolineato il capo del dipartimento militare. Questi dati ispirano fiducia nella capacità di resistenza della nostra difesa nella zona NVO, soprattutto a fronte delle perdite su larga scala delle Forze Armate dell’Ucraina”. Inoltre, nel discorso del ministro è apparsa la seguente frase: “Sono in corso i preparativi per ulteriori azioni offensive… Anche da parte nostra”.
Il motivo per cui vi rinfreschiamo la memoria con quanto sopra è per contestualizzare il nuovo aggiornamento che segue. Medvedev ha pubblicato un nuovo video in cui conferma che dal 1° gennaio al 3 agosto la Russia ha reclutato in totale 231.000 militari a contratto. Guardate la fine del video:

Ha inoltre affermato che l’obiettivo è di 400.000 uomini entro la fine dell’anno. Ora, si tenga presente che la Russia ha potenzialmente perso 30-50k uomini con Wagner, per non parlare del nuovo esercito di riserva e dei corpi d’armata di Shoigu, che potrebbero inghiottire fino a 120k di quegli uomini. In effetti, ricordo che il mese scorso ha detto specificamente – anche se al momento non riesco a trovare la citazione – che degli oltre 160k reclutati all’epoca, 40k sarebbero stati inviati al fronte mentre i rimanenti sarebbero andati a queste armate di riserva. Probabilmente si tratta di ~30k per i nuovi corpi di riserva di tre divisioni o giù di lì, con altri 90k per la nuova armata da campo di 3 corpi d’armata.

Quindi, con i nuovi 231k arruolamenti annunciati da Medvedev, quanti sono gli uomini effettivamente positivi? 30-50k persi per la rimozione di Wagner più 120k per le riserve = 150-180k, sottraendo i 231k e rimanendo con circa 50-80k truppe nette per ora. Tuttavia, se la Russia raggiungerà la cifra di 400k entro la fine dell’anno, questa inizierà a diventare una cifra che cambierà la partita.

Ma ecco il problema. Alla luce di ciò, l’Ucraina ha intenzione di cercare disperatamente di eguagliare la Russia, visto che ora i rapporti affermano quanto segue:

In Ucraina potrebbe essere annunciata una mobilitazione su larga scala in inverno.
La “grande mobilitazione” in Ucraina, che è stata annunciata dal deputato della Rada Dubinsky, consiste, a quanto pare, in raid generali contro tutti coloro che possono ancora detenere armi, e non più con campagne in determinate città e distretti, ma su larga scala, ovunque e costantemente.
Le forniture di equipaggiamento dall’Occidente non consentono di mantenere il livello di armamento richiesto alle unità esistenti. Se il numero di queste unità aumenterà, ciò significherà molto probabilmente la comparsa di diverse decine di altre brigate TrO, dove per 3-4 mila persone in una brigata ci sarà al massimo una compagnia di carri armati, una batteria di obici e un reparto di mortai. Tali brigate non saranno in grado di fare altro che “assalti di carne” o di stare in una difesa cieca. Un certo numero di unità con un equipaggiamento più o meno normale, naturalmente, rimarrà – e probabilmente funzionerà come brigate di fuoco. È possibile reclutare decine di migliaia di coscritti di età compresa tra i 40 e i 55 anni. È più difficile capire chi controllerà queste truppe sul campo di battaglia. La carenza di personale di comando junior e senior è iniziata molto prima dell’inizio dell’offensiva dell’AFU, e questo problema non è ancora stato risolto. (Più vecchio dell’Edda)
Ciò è supportato da recenti dichiarazioni, come quella di un veterano ucraino, che afferma che l’intera popolazione maschile dell’Ucraina dovrebbe prepararsi a un’eventuale mobilitazione. Egli prevede che il 90% dei maschi alla fine combatterà (e probabilmente morirà, possiamo dedurre):

Ricordiamo che quest’anno il tempo sta per scadere per l’AFU. Molti esperti ritengono che agosto e settembre siano gli ultimi mesi realmente praticabili prima dell’arrivo della seconda mini-Rasputitsa, con condizioni di pioggia e fango simili a quelle di inizio primavera. Zelensky teme di perdere l’ultimo residuo di sostegno da parte dell’Occidente e in effetti, secondo alcune voci, alcuni Paesi chiave – tra cui la Germania – avrebbero già ridotto il loro sostegno in previsione di una conclusione scontata. Per esempio, nonostante sia il secondo fornitore globale di Kiev, la Germania ha ritardato alcune spedizioni critiche, come i nuovi Leopard 1, e molti altri articoli promessi:

La Germania continua a ritardare le armi promesse all’Ucraina per un ammontare di 2,4 miliardi di euro. L’elenco delle consegne previste comprende 110 carri armati Leopard-1, 20 veicoli da combattimento per la fanteria Marder, 18 carri armati Gepard, 4 cannoni antiaerei Iris-T e 26.350 munizioni per l’artiglieria. Erano stati promessi anche droni da ricognizione, radar, autocisterne e camion. Kyiv ha ricevuto solo 10 Leopard-1, un radar di sorveglianza aerea, 12 Gepard e 850 proiettili d’artiglieria, oltre a 8 ambulanze. La Germania ha inoltre fornito 11.000 razioni, tre sensori per droni senza pilota e cinque ponti metallici per il veicolo blindato Beaver.

Quindi ora Zelensky sta intensificando l’azione per indurre la Russia a reagire in modo eccessivo, il che riattiverà l’interesse della NATO. Non solo Kiev ha intensificato i veri e propri atti di terrorismo, come colpire con i droni i palazzi degli uffici di Mosca:

E l’attacco di ieri a una petroliera civile russa da parte di un drone navale ucraino.

Ma ora si dice che Zelensky intenda intensificare la sua guerra del terrore a nuovi livelli. Si ritiene che gli attacchi dei droni di Mosca fossero solo attacchi di prova per testare le difese russe e che si stia pianificando un raid su larga scala entro poche settimane:

Kiev sta preparando un massiccio raid di droni su MoscaIl Wall Street Journal avverte di un attacco su larga scala da parte degli UAV ucraini sulla capitale russa.Gli autori riferiscono che grazie agli ultimi attacchi su Mosca, l’APU ha sondato le debolezze della difesa aerea della capitale per inviarvi decine di droni in futuro.La pubblicazione è sicura che la città sarà attaccata in più direzioni contemporaneamente. La data rossa del possibile sabotaggio è considerata il 24 agosto (l’immaginario giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina), come conferma la vignetta minacciosa che si è recentemente diffusa sui social network.
L’obiettivo sarebbe ovvio: costringere la Russia a reagire in qualche modo in modo eccessivo, con un uso della forza insolitamente avventato, che potrebbe evidenziare la “brutalità” della Russia e strappare simpatia e ulteriore sostegno all’Ucraina da parte delle nazioni occidentali. Ad esempio, uno degli obiettivi sarebbe quello di indurre la Russia a rispondere con un attacco “tit-for-tat” contro edifici civili a Kiev, che verrebbe iper-riflesso dai media occidentali, nascondendo completamente gli attacchi di Kiev contro obiettivi civili russi. Questo fatto verrebbe poi utilizzato in una nuova campagna di pubbliche relazioni per ottenere ulteriori aiuti in armi dall’Occidente, con Zelensky che lo userebbe come esempio del perché Kiev ha bisogno di tonnellate di nuovi missili Patriot e cose del genere.

Ovviamente, si tratta di pura disperazione. È il motivo per cui non parlo quasi mai degli attacchi dei droni alle navi, ai grattacieli, ecc. perché sono del tutto irrilevanti e a malapena degni di nota, non avendo alcun effetto apprezzabile sulle dinamiche e sugli sviluppi del campo di battaglia. Sono solo segni della massima disperazione, gli artigli frenetici di un animale morente che schiuma dalla bocca dopo essere stato investito.

C’è anche una seconda dimensione. Rappresenta le azioni indisciplinate di un bambino disobbediente che si ribella ai genitori. L’Ucraina vuole che l’accordo sul grano venga ripreso, perché sta perdendo enormi quantità di denaro a causa della sua interruzione. Così, superando le “linee rosse” delimitate dall’Occidente – ad esempio, per quanto riguarda il colpire il territorio russo, eccetera – l’Ucraina si sta “ribellando” ai propri padroni per costringerli ad agire, idealmente per costringerli a fare più pressione sulla Russia affinché torni al tavolo dell’accordo sul grano.

Per riassumere, ecco cosa ha detto il consigliere dell’ex presidente ucraino sulle prospettive di Zelensky:

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy rischia la guerra civile se continua a detenere illegalmente il potere nel Paese. L’ex consigliere di Leonid Kuchma, Oleh Soskin, ha dichiarato su YouTube: “Se la legge marziale non viene cancellata e si tengono le elezioni, questo potere sarà considerato illegittimo. E poiché è illegittimo, è fuori legge e qualsiasi ucraino, nel quadro del quinto articolo della Costituzione, può distruggere i ribelli”, ha affermato Soskin, secondo cui la decisione annunciata il 26 luglio di estendere la legge marziale dimostra la paura di Zelenskyy di perdere le elezioni. L’esperto ha anche osservato che la politica fallimentare del presidente ucraino è stata la ragione per cui molte sfere dello Stato, comprese quelle economiche e militari, sono state quasi completamente distrutte: “Il regime di Kiev non ha alcun sostegno popolare. Non appena il sostegno esterno verrà meno, tutto crollerà in un colpo solo”, ha detto il politico.
In breve, l’Ucraina si trova ad affrontare un sostegno sempre più debole da parte dell’Occidente ed è costretta a ricorrere a “espedienti” sempre più escalativi, come gli attacchi di massa con i droni contro Mosca, sulla falsariga della fase terminale della Wehrmacht nella Seconda Guerra Mondiale, che lanciava razzi V1/V2 contro Londra in modo vendicativo. Non è altro che un animale in fin di vita, che si dimena per emettere i suoi ultimi rantoli.

Nel frattempo, la Russia è sulla buona strada per avere 400.000 nuovi militari entro la fine di quest’anno, con una produzione di tutti i tipi in continuo aumento. Entro la prossima primavera, credo che assisteremo a un lento avvolgimento dell’AFU da ogni direzione. Probabilmente non si tratterà di una massiccia campagna di grandi frecce, ma di un continuo collasso su ogni singolo fronte, dove l’AFU ha completamente esaurito tutto il potenziale di combattimento, in particolare di tipo offensivo, e sta disperatamente cercando di mantenere il terreno. La diga si romperà lentamente in più direzioni e le loro posizioni saranno invase ovunque. Il prossimo anno assomiglierà probabilmente alla Germania dell’inizio del 1945.

Tenete presente che ho già dichiarato in passato che questo conflitto potrebbe durare 3-5 o addirittura 10 anni. Ma negli ultimi mesi abbiamo ricevuto molti nuovi dati e un’analisi intelligente richiede una costante e onesta rivalutazione di fronte alle nuove informazioni. Allo stato attuale, a meno di circostanze impreviste, vedo la situazione descritta sopra. La guerra potrebbe durare ancora un anno o due, ma solo con una difesa accanita e una costante ritirata da parte dell’AFU, ad esempio a ovest del Dnieper, che costringerebbe la Russia a una lunga pausa per riorientare le sue truppe, ecc.

Il problema principale e irrisolvibile per Kiev è soprattutto il fatto che la produzione russa di droni è destinata a un’esplosione esponenziale:

Aumento del militarismo nell’uso dei “Lancet” al fronte: secondo i dati occidentali, la scala dell’uso delle munizioni vaganti “Lancet” sta crescendo. Il numero dei loro lanci raggiunge almeno 20-25 unità al giorno. Per la prima volta si osserva l’uso di “Lancet” contro trincee, postazioni e gruppi di fanteria: ogni giorno vengono utilizzati almeno 50-60 droni FPV e 20-30 lancette, che decine di elicotteri con bombe da 40 o 60 mm sganciano su trincee e obiettivi fissi, soprattutto nel Donbass e a Kherson. Se tra gli obiettivi ci sono anche postazioni di fanteria e genieri, allora il numero di Lancet inviati al fronte è aumentato e alle unità è stata data libertà d’azione in termini di utilizzo. Se i nuovi modelli di Lancet si fanno avanti più attivamente, nei prossimi mesi potremo assistere a un rapido aumento fino a 50 e forse 100 lanci al giorno, poiché c’è un drammatico aumento della produzione e il suo utilizzo potrebbe aumentare di diverse volte.
Molte fonti dicono che nei prossimi mesi l’Ucraina annegherà nei Lancet. E sono in arrivo nuovi modelli con testate termobariche per l’abbattimento delle truppe piuttosto che testate anti-corazza di tipo HEAT, ora più utilizzate. Ciò significa che presto i Lancet abbatteranno trincee e schieramenti di truppe lungo l’intero fronte. Di certo stiamo assistendo a una marea di video quotidiani che mostrano quasi solo successi di Lancet. Il collo di bottiglia sarà probabilmente presto, se non lo è già, l’operatore stesso.

Inoltre, le informazioni britanniche affermano che una nuova fabbrica di droni Geran sta per essere completata in Tatarstan e che produrrà un numero massiccio di droni. L’Ucraina sarà sommersa da attacchi di sciami di droni su base giornaliera.

Secondo l’intelligence britannica, la Russia ha completato all’80% la fabbrica di droni Geran 2. La sua capacità consentirà di produrre fino a 5.000 droni suicidi all’anno.- Fonte ResidentUA

Ricordiamo i precedenti rapporti dei MSM occidentali secondo cui la Russia sta già costruendo e acquistando 45-50k droni di sorveglianza e FPV più piccoli al mese.

Questo fa parte di qualcosa che ho già scritto in precedenza, ovvero che la Russia sta usando i suoi droni Geran principalmente per esaurire completamente i costosissimi sistemi di difesa aerea occidentali. Ricordo che avevo affermato che a Kiev non c’è nulla di rilevante da colpire. Non è che l’Ucraina vi insedi le truppe. La Russia si limita a inviare sciami di german per far sì che la difesa aerea ucraina si spenga, in modo da costringerla a prendere i missili AD da altri fronti, esaurendo così completamente l’AD dove conta di più.

Gli ucraini riferiscono che i droni che sorvolano l’Ucraina stanno ancora una volta utilizzando tattiche “strane”. I canali di monitoraggio ucraini riferiscono di stranezze nell’uso dei droni Geranj-2. Una parte di essi sta volteggiando sopra le presunte zone di servizio del sistema di difesa aerea delle Forze Armate dell’Ucraina, mentre l’altra parte dei droni si trova a una distanza considerevole dagli obiettivi e attende l’attivazione dell’AD.
Ora, c’è stata una conferma di ciò sotto forma di un thread molto informativo di questo reporter occidentale che ha intervistato un tenente colonnello del comando di difesa aerea ucraino. La rivelazione scioccante che ha fatto è che la città di Kiev è stata molto vicina ad essere interamente evacuata lo scorso dicembre, a causa della forza dello sbarramento missilistico della Russia – tutti gli oltre 2 milioni di persone. Lo scambio è pubblicato in questo articolo:

https://archive.li/DYuMF

Ignorate la fantasia sull’abbattimento dei missili Kinzhal, si tratta solo di una fatua menzogna volta a convincere i funzionari occidentali a consegnare altri Patriot. La vera informazione interessante viene dopo:

“Non si può pianificare una guerra con una produzione annuale di 150-160 missili Patriot. Li abbiamo sparati in un mese”, ha detto, lanciando l’allarme che i suoi uomini stavano finendo le munizioni. “Se aspettiamo l’autunno, fino a metà ottobre, colpiranno di nuovo le infrastrutture energetiche. È una certezza. Questo inverno sarà ancora più difficile di quello precedente”.
Ciò che rivela correttamente è che la capacità produttiva annuale degli Stati Uniti per i missili Patriot è di appena 150 unità. Kiev ne spara di più in un solo mese. Si stima che gli Stati Uniti abbiano probabilmente solo circa 3000-5000 missili Patriot in totale, in termini di munizioni. Può sembrare un numero elevato, ma circa 2-3.000 di essi sono caricati nei 500-1.000 lanciatori attivi degli Stati Uniti.

Poi è arrivata la notizia bomba:

Ha rivelato che a dicembre le autorità ucraine erano state sul punto di ordinare l’evacuazione completa di Kiev a causa dell’intensità degli attacchi aerei russi. “Non molti lo sanno, ma Kiev era sull’orlo dell’evacuazione”, ha detto. C’è stata una battaglia che, a mio parere, ha determinato il destino di Kyiv e della campagna russa per distruggere il nostro settore energetico, quando sono stati lanciati 49 missili da crociera su Kyiv”. “In un quarto d’ora disperato, il 16 dicembre, l’Ucraina ha sparato decine di missili dai suoi sistemi S-300 di epoca sovietica, dai Nasam americani e dagli Iris-T tedeschi per salvare la città da un blackout totale a causa delle temperature gelide”. “Se avessimo permesso a questo attacco di avere successo, Kyiv avrebbe dovuto essere evacuata. Ed è molto difficile evacuare due milioni e mezzo di persone”, ha detto il colonnello.
Il punto è illustrare che il prossimo inverno sarà particolarmente difficile per l’Ucraina, poiché la produzione russa di missili e droni è aumentata molto dall’anno scorso, per non parlare del prossimo anno. Se lo scorso dicembre erano vicini all’evacuazione di Kiev, quale sarà la situazione il prossimo dicembre?

Tutto questo fa parte del lento collasso che ho delineato: la Russia si rafforza di mese in mese. L’anno prossimo sarà una partita completamente diversa e l’Ucraina sarà appesa a un filo, ridotta all’osso non solo per quanto riguarda i veicoli blindati e l’artiglieria, ma anche per i cruciali missili del sistema AD.

Mentre scriviamo, è in corso una nuova massiccia serie di attacchi contro obiettivi ucraini, in particolare il campo di aviazione di Starokostiantyniv, nell’Ucraina occidentale, dove si dice siano alloggiati gli aerei Su-24M che lanciano Storm Shadow. Si tratta di un attacco particolarmente ampio, con più di 15 Tu-95 in volo, oltre ai Mig-31K che trasportano Kinzhal. In quasi tutti gli attacchi, i missili russi Kh-101 avrebbero seguito percorsi estremamente tortuosi, dove “girano intorno” al Paese, cambiando frequentemente direzione e mettendo completamente fuori gioco i sistemi di monitoraggio e le difese ucraine.

Starokonstantinov si è recato al campo di volo militare intorno alle 19:00. Le esplosioni sono state udite intorno alle 8. Qualcosa sta andando a fuoco.

Nel frattempo, il generale ucraino in pensione Serhiy Krivonos ritiene che la Russia sia sull’orlo di una grande offensiva nei prossimi mesi che potrebbe “prendere Kiev”:

“Prima di Kiev in 12 ore”: l’ex generale delle Forze armate dell’Ucraina avverte dell’imminente offensiva dell’esercito russo “Nei prossimi mesi, le Forze armate dell’Ucraina sono in attesa dei “peggiori scenari””, ha detto il maggiore generale delle Forze armate dell’Ucraina, in pensione Serhiy Krivonos. A suo avviso, Kiev sottovaluta chiaramente la potenza dell’esercito russo, il che porterà a conseguenze terribili, tra cui la cattura lampo della capitale. L’ex ufficiale è sicuro che dopo il fallimento della controffensiva, le forze armate della RF colpiranno l’Ucraina e saranno in grado di catturare Kiev in 12 ore. OstashkoNews
Non so da dove abbia preso la tempistica delle 12 ore, ma molti credono che la Russia si stia preparando per una propria offensiva nel prossimo futuro. Ad esempio, l’analista Yuri Podolyaka ha nuovamente espresso l’opinione che la Russia lancerà un’offensiva prima di Rasputitsa. Personalmente, non credo che questo accada necessariamente perché, date le prospettive a lungo termine dell’AFU, non vedo una grande urgenza attuale per la Russia di “precipitarsi” in una serie di offensive quest’anno.

È possibile, ma solo per ragioni opportunistiche. Quando si gioca in “difesa attiva”, come piace alla Russia, bisogna sempre essere pronti a sfruttare le debolezze del nemico in una determinata area. Quindi, se i comandanti russi sentono l’odore del sangue su un particolare fronte, allora è possibile. Ma al momento sembra più logico aspettare un altro inverno per permettere alle forze aerospaziali di degradare l’Ucraina dal punto di vista economico, militare, morale, ecc. prima di attaccare un nemico molto più debole in una luce molto più favorevole l’anno prossimo.

Nel frattempo, però, nel vuoto lasciato dall’esaurimento del potenziale di combattimento dell’Ucraina, si potrebbero creare molti intrighi. Questo includerà il vettore Polonia-Bielorussia-Wagner.

Le Forze Armate dell’Ucraina non possono vincere, di fronte a problemi intrattabili al fronte vicino ad Artyomovsk, – Wall Street JournalIl successo della controffensiva ucraina è in dubbio a causa della stanchezza dei soldati delle Forze Armate dell’Ucraina nella direzione di Artyomovsk e delle gravi perdite.Attualmente, le truppe russe utilizzano molti più droni di prima. Inoltre, il sistema di comunicazione è diventato più avanzato, il che impedisce all’APU di intercettare i messaggi. “Ci sono battaglie feroci, abbiamo bisogno di più soldati e armi. Siamo stanchi”, dice il medico ucraino.
Prima ho parlato di possibili “circostanze impreviste” che potrebbero verificarsi. Come altri hanno affermato, la Polonia andrà alle elezioni entro la fine dell’anno ed è improbabile che si verifichino azioni importanti prima di allora. In effetti, diversi rapporti fa, se ricordate, ho detto che una “grande” azione improvvisa è del tutto improbabile. Ho spiegato che il quadro per l’acquisizione polacca dell’Ucraina occidentale sarebbe stato più in linea con uno ibrido, come quello della Turchia a Idlib e nel nord della Siria, ecc.

Putin ha confermato il mio pensiero in una nuova dichiarazione. Guardate la fine del video in cui spiega come le unità polacche potrebbero essere portate nell’Ucraina occidentale sotto la veste di “forze interne” o guardia nazionale per “garantire la sicurezza”:

Come ho detto nel precedente rapporto, questo sarebbe simile all’acquisizione della Crimea da parte della Russia con gli “omini verdi”. E poiché la Bielorussia ha ora alzato la retorica e ha minacciato la Polonia a questo proposito, è ancora più probabile che la Polonia opti per un’eventuale acquisizione più sottile e in stile ibrido. Ma non vedo questa opzione attivata fino a quando non si arriverà al prossimo anno, quando il regime di Kiev inizierà finalmente a cedere al punto che la Polonia vedrà l’opportunità di sfruttare un’amministrazione politicamente neutrale e disperata.

Persino Medvedev ora dice allegramente che l’Ucraina occidentale “cadrà nelle mani della Polonia” in futuro:

Il colonnello MacGregor ha anche una teoria interessante: la Polonia potrebbe usare il pretesto della creazione di una “enclave” in Ucraina allo scopo di rimpatriare i rifugiati ucraini come un modo per entrare nella porta ed effettuare esattamente questo tipo di acquisizione “furtiva” che ho descritto sopra e a cui Putin ha accennato:

Ora la situazione si sta evolvendo, poiché i funzionari polacchi hanno iniziato a usare lo schieramento della Wagner al confine come pretesto per condizionare l’opinione pubblica su possibili escalation future.

La PMC “Wagner” ha già tentato di entrare nel territorio polacco dalla Bielorussia, ha dichiarato il viceministro degli Affari interni polacco Paweł Jabłoński alla CNN, secondo il quale “la minaccia della Bielorussia è molto concreta” e Varsavia sta prendendo in considerazione varie misure, tra cui la chiusura completa del confine. “Stiamo prendendo in considerazione tutte le misure che saranno necessarie per proteggere il nostro territorio, proteggere i nostri cittadini, tra cui il completo isolamento della Bielorussia, la completa chiusura del confine. Ci aspettiamo nuovi attacchi al nostro confine, forse nuovi tentativi di violazione del nostro spazio aereo”, ha dichiarato Jabłoński. In precedenza, l’opposizione polacca ha accusato le autorità del Paese di gonfiare la minaccia dei “wagneriti” a fini elettorali.
Giorni fa, la Polonia ha addirittura affermato che un elicottero bielorusso avrebbe attraversato il confine polacco, scatenando un’altra serie di allarmismi e un nuovo dispiegamento di truppe polacche al confine con la Bielorussia.

Nel frattempo, Zelensky continua a cercare di elaborare piani disperati per trascinare la Polonia e quindi la NATO nel conflitto:

Ukro media: “L’ufficio del presidente ritiene possibile trascinare Varsavia nella guerra in Ucraina in caso di provocazione o di attacchi da parte di UAV sconosciuti contro le forze armate polacche “Sembra che gli “UAV sconosciuti” siano già sulle rampe di lancio….
L’SBU ha persino dichiarato di ritenere che la Russia stia usando Wagner per spronare segretamente la Bielorussia a entrare nel conflitto, utilizzando agenti di Wagner per istigare una falsa bandiera nel Paese che possa essere attribuita all’Ucraina. Questo potrebbe essere il segnale di una provocazione pianificata da parte dell’SBU, che potrebbe tentare di attaccare la Bielorussia nel tentativo di farla entrare in guerra, il che a sua volta sarebbe un doppio tentativo di far sì che la Polonia risponda alla “minaccia della Bielorussia” ed entri anch’essa in guerra.

Ricordiamo che Lukashenko ha minacciato la Polonia perché la sua presenza al confine meridionale della Bielorussia può essere considerata una minaccia alla sicurezza nazionale. Ma allo stesso modo, possiamo dedurre che la Polonia potrebbe considerare la presenza della Bielorussia sul proprio confine sud-orientale come una minaccia simile. Quindi, l’SBU potrebbe forse sognare di attirare la Bielorussia in una trappola per attivare la Polonia, e poi la NATO, ecc.

Non credo che lo scenario di cui sopra sia probabile, ma sto solo delineando le possibilità, dati questi nuovi sviluppi e voci.

E come ultimo aggiornamento, che si aggiunge alla crescente lista di problemi, anche le speranze dell’Ucraina di avere una Wunderwaffe di F-16 sono state deluse a causa della mancanza di piloti di lingua inglese:

Scrive Politico: Il basso livello di inglese dei piloti ucraini si è rivelato un ostacolo per l’inizio del loro addestramento sui caccia F-16, per cui i corsi di lingua che si terranno nel Regno Unito inizieranno prima del programma di addestramento. Al momento, solo 8 piloti sono pronti ad addestrarsi per il caccia.

In breve, non c’è nulla di buono o di ottimistico in arrivo per l’AFU. L’esercito russo continua a diventare più forte, più grande, più avanzato, più esperto, mentre l’Ucraina cresce nella direzione opposta, con le spedizioni di armi in calo e nessuna “wunderwaffe” all’orizzonte a salvarli.

In quasi tutte le direzioni immaginabili, la Russia sta risolvendo problemi su base giornaliera e migliora, aumentando la sua sofisticazione; solo per citarne alcuni dei principali:

Si dice che i sistemi di comunicazione russi stiano diventando sempre più avanzati. L’AFU lamenta che le forze russe su ogni fronte hanno aggiornato le loro apparecchiature di comunicazione, anche con una migliore crittografia che non consente più all’AFU di intercettare gran parte delle comunicazioni.
Nuovi sistemi anti-drone russi continuano a essere sviluppati e avvistati con crescente regolarità sui fronti e nelle trincee.
Nuova potente capacità di disturbare le stazioni Starlink su un fronte più ampio, di cui un importante comandante dell’AFU “Magyar” ha recentemente iniziato a lamentarsi la scorsa settimana: “i russi hanno imparato a disturbare Starlink a “zero”” – ha detto il comandante ucraino Magyar.
“Ora questa tecnologia viene testata e preparata per la produzione su scala industriale”. Starlink sul fronte ha permesso ai nostri militari di coordinare e controllare la situazione operativa.

All’inizio dell’invasione, la Federazione Russa aveva un’intelligence radio e una soppressione delle comunicazioni molto più forti, ma questo è cambiato dopo l’arrivo di Starlink”.

Questo include un nuovo progetto di zapper per droni FPV in fase di test sui carri armati, una piccola unità posizionata sul retro dei carri armati e dei veicoli corazzati che disabilita i droni FPV in 4 canali e li neutralizza prima che possano stabilire un contatto.
Complesso da carro armato per la soppressione dei droni FVP “Triton” del Laboratorio PPShSecondo lo sviluppatore, il prodotto è progettato per sopprimere i canali di controllo e la trasmissione dati dei droni FPV nelle bande 868\915\1300\2400 MHz (4 bande di soppressione)La gestione avviene tramite il pannello portatile per la massima sicurezza dell’operatore. Sono possibili sia il funzionamento autonomo dalla batteria incorporata sia l’alimentazione dalla rete di bordo del veicolo.Potenzialmente, con l’aiuto di questi sistemi sarà possibile proteggere i veicoli blindati da una delle minacce più letali sul campo di battaglia.

Per non parlare del crescente uso di disturbatori cinesi sui carri armati russi per lo stesso scopo:

Il nemico ha già pubblicato la foto di uno dei disturbatori cinesi, che alcuni equipaggi dei nostri carri armati installano artigianalmente sulle loro attrezzature. Tali sistemi consentono di creare una cupola di interferenza intorno al carro armato, che non permette ai droni FPV di volare liberamente verso di esso. Tuttavia, tali disturbatori presentano dei fori nella zona di protezione e non sono completamente integrati nella rete di bordo del carro armato, per cui l’esercito ha bisogno di un progetto industriale di serie installato su ogni carro armato direttamente dalla fabbrica.Informatore militare
Questo include un nuovo sviluppo per i “droni ibernati”:

Si dice che questi droni FPV possano essere collocati in posizioni avanzate e “ibernati” per settimane. Poi, quando inizia un’offensiva nemica, possono essere sollevati istantaneamente, riducendo notevolmente il tempo di volo, per colpire proprio l’area in cui sta passando l’armatura nemica. In questo modo c’è pochissimo preavviso o possibilità di reagire.

Kuzyakin ha spiegato che lo strumento di ibernazione riduce al minimo il tempo di preparazione del dispositivo per un attacco. “Si risparmia tempo di volo. Tra l’accensione del drone e l’attacco passano pochi secondi, il che non lascia alcuna possibilità di lanciare sistemi di contromisura. Un pilota FPV può posizionare e poi ‘svegliare’ e utilizzare in sequenza fino a 15 ‘droni dormienti'”, ha detto.
Il drone o i droni vengono posizionati su “altezze dominanti e tetti di edifici o altre strutture elevate come preposizioni per gli attacchi dei droni”. “Quando arriva il momento di lanciare l’attacco, il drone non deve percorrere la distanza che lo separa dall’obiettivo, perché è già posizionato. Questo dispositivo consente di ridurre al minimo il tempo di preparazione dell’attacco: tra la riattivazione del drone e l’attacco passano solo pochi secondi, senza che l’avversario abbia la possibilità di lanciare sistemi anti-drone”, ha aggiunto il rapporto.
Per non parlare del fatto che l’intelligence britannica lamenta che la Russia continua a ricevere le ultime partite di Ka-52M aggiornati che ora possono sparare il missile Izdel. 305 LMUR a guida televisiva.

Questo aggiunge un’enorme capacità di “fuoco e furtività” agli elicotteri d’attacco russi.

David Wu, ex stratega di Wall Street e del Fondo Monetario Internazionale, dottore in economia alla Columbia University, riassume molto bene la situazione che si prospetta:

Passiamo ora ad alcuni ultimi elementi disparati.

Uno dei principali sviluppi correlati è la situazione in Niger. Riassumerò rapidamente gli sviluppi per ora:

Si sostiene che il generale della ‘giunta’ del Niger Mody stia chiedendo l’aiuto immediato e il dispiegamento delle forze Wagner, attraverso i canali del Mali:

Normalmente si tratterebbe di voci non confermate, ma oggi è apparso un filmato che mostra un aereo militare russo da trasporto pesante che atterra nella capitale del Niger, Niamey, e che afferma l’arrivo di forze Wagner:

RT has also now covered it.

Il Senato nigeriano ha posto il veto al dispiegamento di forze armate contro il Niger, ma non so quanto questo conti, visto che i Paesi dell’ECOWAS continuano ad assumere una posizione aggressiva e a minacciare un intervento militare. Gli schieramenti stanno prendendo sempre più forma. Il Senegal ha espresso il suo pieno sostegno all’intervento militare, mentre l’Algeria ha dichiarato che questo sarebbe una minaccia per la sua sicurezza nazionale e ha implicato un appoggio militare al Niger.

“L’intervento militare in Niger è una minaccia diretta all’Algeria e noi la rifiutiamo completamente e categoricamente”, ha sottolineato il capo di Stato. “I problemi vanno risolti pacificamente”, ha proseguito, parlando degli eventi in corso in Niger, “c’è stato un colpo di Stato [in Niger]. E noi abbiamo confermato che siamo per la legalità costituzionale. È necessario tornare a questa legalità. Siamo pronti ad aiutarli”, ha aggiunto Tebboune.
Nel frattempo, il rappresentante permanente americano presso le Nazioni Unite avrebbe dichiarato che qualsiasi coinvolgimento o attacco di Wagner in Niger sarebbe “considerato un attacco della Federazione Russa”.

È chiaro che questa situazione rappresenta un nuovo potenziale punto di infiammabilità che può esplodere in qualsiasi momento. Ecco un nuovo articolo di Grayzone/Klarenberg sul corrotto presidente nigeriano, presidente dell’ECOWAS e leccapiedi degli Stati Uniti che sta guidando la spinta per l’intervento militare in Niger.

A prescindere da ciò che accadrà, gli africani si stanno svegliando ed è l’inizio della fine del colonialismo occidentale e dei giri gratis:

Il prossimo:

Continuano ad essere innovate nuove tecniche per la stima delle perdite ucraine. Questa studia l’espansione di nuovi cimiteri ucraini dallo spazio:

Non si può dire quanto sia accurata, quindi prendetela con un granello di sale, ma è un’aggiunta interessante al calcolo mentale. Di certo, anche i principali account filo-ucraini hanno recentemente lamentato le perdite senza precedenti, che sono state così ingenti negli ultimi mesi da non riuscire a nasconderle sotto il tappeto con le solite tecniche:

L’altra grande notizia che mette un timbro su tutte le mie previsioni per il futuro è che sono arrivate le nuove stime della Worldbank e la Russia è ufficialmente tornata al quinto posto nella classifica delle principali economie mondiali per PIL PPP, soppiantando la Germania:

I dati ufficiali sono disponibili qui: https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.PP.CD

La cosa più sorprendente è che la Russia è solo un pelo dietro al Giappone. Ricordate il mio articolo su questo argomento, in cui ho illustrato come la Russia sia il Paese più sanzionato del pianeta e nonostante ciò riesca a superare di poco il Giappone per il quarto posto. Quest’ultima notizia conferma le mie conclusioni. Invito tutti a rivedere questo articolo:

The Truth About Russia’s Economic Power: Is It Really as Small and Weak as the West Claims?

·
APR 3
The Truth About Russia's Economic Power: Is It Really as Small and Weak as the West Claims?
Prefazione: Il seguente articolo si basa su quello che ho pubblicato in precedenza sulla Saker proprio in occasione di questo anniversario, che ritengo sia sempre più importante nel clima odierno. Ho quindi deciso di rivederlo e aggiornarlo pesantemente con i dati più recenti, triplicandone la lunghezza, per renderlo il più possibile attuale. Credo che questo sia…
Read full story https://simplicius76.substack.com/p/the-truth-about-russias-economic?utm_source=substack&utm_medium=email

Immaginate se l’Occidente giocasse pulito e la Russia non fosse sotto il più grande attacco terroristico economico di qualsiasi altro Paese al mondo? L’ho detto nell’articolo precedente e lo ripeto: se così fosse, la Russia sarebbe probabilmente la terza economia del pianeta dopo la Cina e gli Stati Uniti, e tornerà a occupare quella posizione in futuro. Probabilmente supererà il Giappone nei prossimi 3-5 anni. La fine di questa guerra manderà in frantumi molte illusioni e l’Occidente tornerà a rispettare e ad avere soggezione della potenza militare ed economica che è la Russia.

Il prossimo:

Un post ucraino che evidenzia alcuni dei principali rifiuti in corso nelle forze armate e quanto drastici siano diventati:

POST UCRAINO SULLA CONTROFFENSIVA Mi sono chiesto a lungo perché la nostra offensiva non stesse andando da nessuna parte. Il motivo principale, ovviamente, è che la nostra leadership, chissà perché, ne ha parlato in tutte le direzioni. Strano, eh? Non c’è da stupirsi che abbiamo ricevuto un’accoglienza così calorosa.Ma questo non è l’unico problema. Il problema è che i nostri difensori, e non parlo specificamente della 93ª brigata motorizzata separata, preferirebbero di gran lunga starsene a casa a rilassarsi durante l’offensiva.Mi spiego! Dopo l’ATO [Operazione antiterrorismo] e la JFO [Operazione delle forze congiunte], le tangenti ai comandanti per non andare in battaglia e restare a casa sono diventate una pratica standard. Oggi, se un carro armato viene disattivato dall’equipaggio stesso, bisogna pagare al comandante 1.500 dollari e lui chiuderà un occhio, e il veicolo da combattimento, insieme all’equipaggio, andrà nelle retrovie per le riparazioni. Non sto dicendo questo dal nulla. Il mio amico in una base di riparazione vicino a Bakhmut mi ha detto che in pochi giorni di luglio sono arrivati quattro carri armati e sei veicoli blindati per le riparazioni. Dopo aver analizzato i guasti, i ragazzi hanno scoperto che due carri armati e uno dei veicoli blindati erano stati messi fuori uso di proposito. Cioè, il guasto era intenzionale ed era ovvio che l’equipaggio ne fosse responsabile. Tutto questo ha un senso! I ragazzi hanno semplicemente paura per la loro vita, soprattutto quando il comando li manda in battaglia su veicoli non equipaggiati al meglio. Questo è il punto successivo della nostra controffensiva “di successo”: la verità è che l’incompetenza, la corruzione e il semplice disprezzo per le persone portano a un numero considerevole di perdite non in combattimento. Dalla stessa fonte ho appreso che almeno 3 carri armati si sono incendiati dall’interno perché il sistema di spegnimento mancava di un reagente speciale, che si dà il caso abbiamo in abbondanza nei nostri magazzini.Onestamente non so quale di questi fattori sia stato decisivo, ma so che non vinceremo la guerra in questo modo.Un’ultima cosa! A tutto ciò, aggiungete altre tangenti per “bonus” e “congedi per malattia”. Non c’è da stupirsi che un numero così elevato di soldati assenti sia dovuto a questi stessi schemi. I ragazzi danno metà della loro indennità ai comandanti e se ne stanno a casa. La mia ipotesi è confermata dal fatto che un’altissima percentuale di rapporti di assenza dal servizio non viene inviata dai comandanti al DBR (State Bureau of Investigation) e ad altri organismi. Non c’è da stupirsi che un’intera commissione per le assenze ingiustificate abbia fatto visita alla nostra 93ª brigata.UPD: Mentre questi combattenti, esperti in termini di “evasione”, se ne stanno a casa, il comando recluta ragazzi grezzi e inesperti e li manda in battaglia. Ma sono sicuro che il 30% di loro che rimane dopo la prima battaglia diventa anche ESPERTO (. È un circolo vizioso.@HolodniyYar
Il prossimo:

Sia il generale Teplinsky che Seliverstov del VDV sono apparsi in nuovi video in onore dei paracadutisti durante la Giornata dei paracadutisti, che celebra la fondazione del 2 agosto 1930 dell’aviazione russa.

Ecco Seliverstov:

E Teplinsky:

Ricordiamo che questi sono i due generali che sono stati “epurati da Putin” da un gruppo di fanatici e blogger dilettanti 2D per spingere una narrazione ridicola. Ora, come ogni altra figura “epurata”, vengono visti ancora in servizio e al comando delle loro forze. Considerate questa narrazione completamente sfatata e dissipata.

E a proposito di persone che si dice siano state epurate, Shoigu ha visitato il fronte del “Gruppo di centro” per incontrare il generale Mordvichev – per inciso, anche lui si dice sia stato “ucciso” e ora miracolosamente risorto. Shoigu non solo ha premiato le truppe con pistole speciali personalizzate (MP-443 Grach 9x19MM, secondo una fonte), ma ha anche ispezionato l’IFV svedese CV-90 catturato e i suoi enormi proiettili Bofors da 40 mm:

Nel secondo video qui sopra, chiede se hanno catturato qualche Leopardo e poi dice: “Beh, gli altri ragazzi ne stanno distruggendo così tanti che potreste non vederne nessuno qui”.

Nel frattempo, il reclutamento negli Stati Uniti sta andando così male che Military.com ha chiesto con urgenza una nuova leva limitata per rimpolpare le forze armate:

La cosa più divertente è che, dopo aver preso in giro per tanto tempo il sistema “duale” di leva/contratto della Russia, ora lo propongono per gli Stati Uniti.

Ma dopo due decenni di guerre – entrambe concluse senza successo – e un basso tasso di disoccupazione, molti esperti ritengono che la forza di volontari abbia raggiunto un punto di rottura. Il modo più rapido ed efficace per risolvere questa crisi di reclutamento è cambiare il modo in cui reclutiamo. Invece di un modello “o una forza interamente volontaria o una forza completamente di leva”, propongo una soluzione “sia” che “sia”. Dovremmo fare in modo che i nostri reclutatori militari arruolino nuove truppe per 11 mesi all’anno, e poi fare in modo che il Servizio Selettivo arruoli il delta tra il fabbisogno dell’esercito e il numero totale di reclutati.
Nel frattempo, ecco come si presenta l’ultima classe di reclute del Corpo dei Marines degli Stati Uniti:

Si ride di gusto.

La Russia dovrebbe avere paura di questo? Avete visto come sono fatte le truppe russe in guerra?

Il prossimo:

Come probabilmente molti avranno già sentito, sembra che Gonzalo Lira non abbia mai attraversato il confine ungherese, sia stato infatti fermato dai servizi ucraini e sia ora “scomparso”, forse per sempre.

Per coloro che continuano a lamentarsi del fatto che Gonzalo ha sbagliato a pubblicare video mentre era in fuga, ricordiamo che ha impostato il video su un ritardo temporizzato per il rilascio 6 ore dopo averlo registrato. Quando il video è stato pubblicato sul web, avrebbe dovuto essere già da tempo oltre il confine. Non stava pubblicando il video mentre era ancora in Ucraina.

Vi lascio con questa ripresa aerea dell’area della diga di Kakhovka per dare un’idea dell’aspetto del bacino idrico in questi giorni, anche se tenete presente che si trova un po’ a monte dell’impianto ZNPP:

E una vista ravvicinata di un altro dei tanti M2 Bradley distrutti:


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RITORNA IL FANTASMA DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA: SERVE ALLA NATO O ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA E POLITICA? _ a cura di Luigi Longo

RITORNA IL FANTASMA DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA: SERVE ALLA NATO O ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA E POLITICA?

a cura di Luigi Longo

Il decreto-legge 31 marzo 2023 n.35, recante << Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria >>, approvato in via definitiva nella seduta del Senato del 24 maggio 2023, formalmente dà il via all’approntamento del ponte sullo Stretto di Messina (si veda anche il dossier del 5 aprile 2023, a cura del Servizio Studi del Senato e della Camera, su “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. A.C. 1067- D.L. 35/2023”, https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/DOSSIER/0/1375835/index.html?part=). L’iter di realizzazione del progetto del Ponte contiene le date di inizio dei lavori (2024) e di fine dei lavori (2030), così come fu configurata, nel 2008, dal governo di Silvio Berlusconi che fissava nel 2010 l’inizio dei lavori e nel 2016 la fine dei lavori; sarà, in sostanza, considerata la stessa durata temporale della realizzazione del Ponte, un progetto copia e incolla (della serie il tempo passa invano! Sic).

La storia si ripete, ma in maniera diversa. Vediamo come. Nella relazione di Governo del 31 marzo scorso, di accompagnamento al citato decreto-legge, si sottolinea che l’opera è «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale». Per la prima volta, a mia conoscenza, viene detto con chiarezza che il Ponte è una infrastruttura fondamentale per la Nato, meglio per gli Usa e le loro strategie di conflitto per il dominio mondiale nella fase multicentrica.

E’ questa chiarezza di servitù volontaria del Governo che non convince, così come non convincono le pressioni per la realizzazione del Ponte da parte sia dell’Unione Europea (un soggetto politico inesistente: una espressione geografica di metternichiana memoria), sia della Nato (uno strumento delle strategie di potenza degli Usa).

Non vi è nessuna ragione, né di un sapere critico, né di un sapere sistemico razionale (militare, economico, territoriale, ambientale, sismico, ingegneristico, fisico, storico, eccetera) che sostenga la fattibilità e l’utilità del Ponte; mentre diventa forte la convinzione che si tratti di una speculazione finanziaria che la storia del progetto del Ponte di Messina dimostra (un costo previsto oltre i 10 miliardi di euro, una previsione della Webuild SpA la società leader del settore costruzioni nata nel 2014 dalla fusione delle imprese Salini ed Impregilo. La previsione di un anno mezzo fa non tiene conto ovviamente del terremoto dei prezzi generato dalla guerra Russia-Ucraina e dalle conseguenti speculazioni sui mercati finanziari, specie relativamente alle due componenti chiave del Ponte, cemento e acciaio. Cfr. Antonio Mazzeo, Ponte sullo Stretto: il mostro è riemerso, www.antoniomazzeoblog.blogspot.com, 4/12/2022) e di una ulteriore militarizzazione del territorio (case matte militari sparse sul territorio), utile alle strategie statunitensi, di cui i servitori italiani ed europei sono a conoscenza (per quello che debbono eseguire) ma debbono ubbidire tacendo.

E si sa che le forme legislativa e giuridica, espressioni dei dominanti e dei sub-dominanti, velano i processi reali: i veri rapporti di potere non si mostrano!

Concludo ricordando la prefazione di Umberto Santino al libro di Antonio Mazzeo (I padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina, Edizioni Alegre, Roma, 2010): << C’è da chiedersi se il cantiere per costruire un ponte culturale, sociale e politico, lanciato verso un futuro diverso, sia aperto e operante o faccia parte di un desiderio destinato a rimanere tale >>.

Propongo, nella logica di svelare alcuni aspetti della realtà intorno al Ponte sullo stretto di Messina (quale cavallo di Troia), la lettura dei seguenti tre scritti: 1) Giorgia Audillo, Gli interessi militari dietro al Ponte sullo Stretto di Messina, apparso sul sito www.osservatoriorepressione.info il 27/7/2023, 2) Karim El Sadi, a cura di, Intervista a Antonio Mazzeo: il Ponte opera insostenibile spinta dal governo per collegare basi Nato, pubblicato sul sito www.antimafiaduemila.com il 8/6/2023; 3) Luigi Longo, Le infrastrutture militari nella fase multicentrica, diffuso sul sito www.italiaeilmondo.com il 19/1/2018.

PRIMO SCRITTO

GLI INTERESSI MILITARI DIETRO AL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

Anche la Nato preme per costruire il ponte sullo Stretto, l’infrastruttura servirà a collegare le basi di Sigonella e Napoli

di Giorgia Audiello

A chi serve davvero il ponte sullo stretto di Messina? Il tema è tornato al centro dell’attenzione dopo che il governo ha deciso di riprendere il progetto infrastrutturale per collegare la Sicilia alla Calabria e sono emerse le forti pressioni dell’ambito militare – in particolare della Nato – per la realizzazione dell’opera. Più che attuare la costruzione dell’infrastruttura per migliorare la mobilità civile, infatti, l’investimento – lievitato oggi a 13,5 miliardi dai cinque del 2001 – servirebbe a migliorare la mobilità e i collegamenti delle basi militari del sud Italia, dove l’Alleanza atlantica gestisce le principali operazioni americane nel Mediterraneo. Per questo, l’opera è richiesta a gran voce dall’UE e dalla Nato, ossia da organizzazioni extranazionali che detengono cospicui interessi nel Paese e che – di fatto – decidono la linea da seguire grazie all’influenza determinante che esercitano sul governo di Roma. Nello specifico, l’opera dovrebbe rientrare nel Trans-European Transport Network, progetto europeo nato per migliorare la mobilità all’interno dell’Unione anche in un’ottica militare e di cui in Italia fa parte anche la Tav Torino-Lione.

A fugare ogni dubbio circa l’impiego e l’ottica prevalentemente militare del progetto, c’è una relazione presentata il 31 marzo dal governo Meloni – smaccatamente europeista e filo-Nato – in cui si specifica che il ponte sullo stretto rappresenta «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale» [grasseto mio, LL]. Da tempo, l’Alleanza atlantica evidenzia le lacune delle infrastrutture italiane: ponti che non reggono il peso dei mezzi militari, paesi con scarsi collegamenti interni, opere obsolete e scartamenti delle linee ferroviarie diversi rallentano il dispiegamento di mezzi e truppe in tempi rapidi. Nasce da queste esigenze la vera motivazione dietro al progetto del ponte sullo stretto, non certo dai bisogni della popolazione civile. Le necessità di ammodernamento ed efficientamento delle infrastrutture a scopi militari sono state naturalmente amplificate dai recenti avvenimenti in Ucraina.

Le aziende coinvolte nel progetto

Anche le aziende coinvolte nella costruzione del ponte hanno stretti legami col mondo bellico, a cominciare da WeBuild, società a cui già vent’anni fa lo Stato italiano aveva affidato l’esecuzione dell’opera e che ora chiede alla presidenza del Consiglio danni per 700 milioni di euro. L’azienda, oltre ad essere azionista per il 45% di Eurolink – consorzio a cui il governo vuole riaffidare l’incarico per la realizzazione del ponte – ha anche al suo attivo importanti lavori per il riammodernamento di infrastrutture militari: dall’aeroporto militare di Capodichino alla costruzione della tratta dell’alta velocità Novara-Milano al passante autostradale di Mestre. Questi ultimi due lavori sono volti a migliorare i collegamenti delle basi americane nel nord est italiano. Altra azienda coinvolta nel consorzio è la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna (CMC) che si è occupata già, tra le altre cose, del potenziamento infrastrutturale di Sigonella e delle strutture per ospitare i militari americani nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza. Anche la Società Italiana Condotte d’Acqua è parte del progetto e ha anch’essa esperienze pregresse nel settore militare, tra cui la realizzazione di un hangar e fabbricati nella base elicotteri dell’Aviazione dell’esercito di Lamezia Terme.

Il caso Eurolink e la debolezza italiana

Un altro aspetto che lega il ponte alla Difesa è la nomina, da parte di WeBuild, di Gianni De Gennaro a presidente di Eurolink. De Gennaro è ex capo della Polizia e direttore della Direzione investigativa antimafia, nonché ex presidente della maggiore azienda attiva nei settori della difesa a compartecipazione statale, Leonardo. La sua nomina a capo del consorzio indica la natura prettamente militare del progetto nonché la volontà di mettere in sicurezza i cantiere oltre che di gestire i movimenti di protesta contro l’infrastruttura. Il movimento “No ponte”, ad esempio – che aveva ottenuto una vittoria nel 2012, quando il governo aveva predisposto lo stop al progetto, dopo una partecipatissima mobilitazione popolare – è tornato a far sentire la sua voce per impedirne o ritardarne la costruzione. Eventuali ritardi danneggerebbero non solo gli interessi delle aziende e del governo, ma della stessa Nato.

A ciò si aggiunge l’importante tema della “sovranità nazionale” rivendicata proprio dai partiti di centrodestra che in realtà sono stati i primi a tradirla accettando pesanti ingerenze negli affari interni, a partire proprio dall’esecuzione delle direttive Nato sul territorio nazionale. Un caso emblematico è quello del ministro dei Trasporti Matteo Salvini che, contrario all’opera fino a pochi anni fa, ha compiuto una giravolta politica in grande stile, pur di allinearsi al volere dominante degli enti sovranazionali che di fatto governano la penisola. Così, lo scorso maggio, Camera e Senato hanno dato il via libera a quella che viene considerata “la madre di tutte le grandi opere in Italia”.

L’insostenibilità e i rischi dell’opera

Secondo diversi esperti, tra cui il giornalista antimilitarista Antonio Mazzeo, l’opera non solo è irrealizzabile dal punto di vista ingegneristico ed economico, ma comporterebbe gravi rischi per l’Italia meridionale, tra cui una maggiore militarizzazione del territorio, il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e la sottrazione di fondi dai bisogni reali del territorio. «Il Ponte sullo Stretto è irrealizzabile come lo era dieci anni fa ma questa volta ci sono alcuni attori che stanno spingendo per avviare quest’opera. […] Un’opera di questa rilevanza non potrà non richiedere – e lo dicono le forze armate – una serie di interventi: batterie missilistiche (una sola batteria costa 800 milioni di euro, ndr), cacciabombardieri, il pattugliamento costante dei sottomarini. Questa è ovviamente un’ulteriore militarizzazione del territori», ha spiegato Mazzeo. Per quanto riguarda il pericolo di infiltrazioni mafiose, invece, il giornalista ha asserito che «Il rischio è che oggi, di fronte agli anticorpi di una cultura mafiosa, chi si promuove come realizzatore del ponte, fosse anche un mafioso, dovrebbe guadagnare una legittimità. Le grandi organizzazioni mafiose potrebbero legittimarsi come un grande elemento: prima abbiamo messo le bombe e fatto le stragi oggi facciamo il ponte e ci perdonate». Ne emerge, dunque, un quadro dove intorno alla costruzione dell’infrastruttura orbita una rete di interessi che coinvolge diversi ambiti, da quello politico-militare a quello mafioso, e che va a scapito non solo delle esigenze del territorio locale, ma di tutta la nazione, sottomessa ai voleri di Nato, Ue e Stati Uniti e destinata ad essere sempre più militarizzata e subordinata al volere di organizzazioni e stati stranieri.

SECONDO SCRITTO

ANTONIO MAZZEO: IL PONTE OPERA INSOSTENIBILE SPINTA DAL GOVERNO PER COLLEGARE BASI NATO

Intervista a cura di Karim El Sadi

Dopo oltre dieci anni lo spettro del ponte sullo Stretto è tornato ad occupare sedute parlamentari, pagine di giornale ed assemblee sindacali. La vittoria del movimento “No Ponte” – avvenuta nel 2012 quando il consiglio dei Ministri aveva varato lo stop al progetto dopo una partecipatissima mobilitazione popolare – è solo un ricordo lontano ora che il governo Meloni ha ripescato quel progetto edilizio utopico e privo di senso per portarlo a compimento entro il 2030. Nei giorni scorsi anche Camera e Senato hanno dato il loro via libera a quella che viene considerata come “la madre di tutte le grandi opere in Italia” (sarebbe il ponte a campata unica più lungo al mondo), con i lavori che dovrebbero cominciare nel 2024. Ma sarà un’impresa infattibile perché realizzarla significherebbe andare contro le leggi della fisica, dell’ingegneria, e persino contro le leggi dell’economia (non è stato messo neanche un mattone e già alle casse dello Stato è costato mezzo miliardo di euro). Da quando il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini che fino a qualche anno fa ripudiava l’idea del ponte tra Messina e Reggio Calabria – ha iniziato a far girare le “betoniere burocratiche”, il movimento “No Ponte” è tornato in campo per impedire la costruzione di questa follia ingegneristica. All’interno di questa realtà popolare ci sono sindacati, studenti, politici, ingegneri e giornalisti. Tra questi c’è anche Antonio Mazzeo, giornalista e saggista antimilitarista che da quarant’anni racconta e denuncia il coinvolgimento dell’Italia e soprattutto della Sicilia nei vari teatri di guerra internazionali. Lo abbiamo intervistato a Palermo in occasione della presentazione del suo fumetto-inchiesta “Sigonella, le guerre alle porte di Casa” (La Revue Dessinée Italia) realizzato insieme al fumettista Lelio Bonaccorso e Deborah Braccini.

Il Ponte sullo Stretto irrealizzabile come lo era dieci anni fa ma questa volta ci sono alcuni attori che stanno spingendo per avviare quest’opera. Non la realizzazione del ponte, ma una serie di opere, giustificate col ponte, che ovviamente permetteranno il trasferimento di risorse che verranno sottratte ai bisogni reali del territorio”, ha detto Mazzeo ai nostri microfoni”. “Penso alla messa in sicurezza: noi abbiamo un area dissestata dal punto di vista idrogeologico”. Secondo Mazzeo, rispetto al 2012 “questa volta l’avversario è la volontà di iniziare a bucare il territorio”. Sullo sfondo, infatti, c’è la militarizzazione della Sicilia e la guerra in Ucraina per la quale l’isola rappresenta un territorio fondamentale viste le varie basi NATO già presenti: da Sigonella, a Niscemi, fino a Trapani o ad Augusta.

Se iniziassero i lavori non possiamo che aspettarci un incremento della presenza militare sul territorio”, ha spiegato il giornalista. “Verranno create caserme, sarà più forte la presenza dell’esercito e della marina militare. Lo abbiamo visto già in Val di Susa con la No Tav, dove c’è stata una pressione enorme dal punto di vista militare e una riduzione enorme degli spazi di agibilità democratica”. Secondo Antonio Mazzeo quello che si prefigura “è la vendibilità del ponte”.

Un’opera di questa rilevanza non potrà non richiedere – e lo dicono le forze armate – una serie di interventi: batterie missilistiche (una sola batteria costa 800 milioni di euro, ndr), cacciabombardieri, il pattugliamento costante dei sottomarini”. “Questa – ha ragionato ancora il giornalista – è ovviamente un’ulteriore militarizzazione del territori”. Ma ciò che è ancora più grave, a detta di Antonio Mazzeo, “è la giustificazione che il governo dà oggi per realizzare quest’opera”. “Abbiamo scoperto che il governo la definisce di importanza geostrategica fondamentale per mettere in collegamento le basi NATO del Sud Italia con le basi NATO della Sicilia. Viene quindi giustificato il ponte come elemento fondamentale di rafforzamento militare della mobilità militare. Questa è una fandonia dal punto di vista tecnico ma ci preoccupa perché può essere utilizzata come cavallo di Troia per giustificare la necessità di iniziare a operare perché in un mondo di guerra, in un territorio di guerra è fondamentale per la guerra”. Non solo incremento della militarizzazione della Sicilia, ma il ponte ingolosisce l’appetito delle mafie, nello specifico le due mafie delle due regioni combacianti Cosa Nostra in Sicilia e ‘Ndrangheta in Calabria. Sul tema, Antonio Mazze aveva scritto un libro 13 anni fa: “I padrini del ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina” (Edizioni Alegre).

Tredici anni fa individuammo come le grandi organizzazioni mafiose internazionali volevano investire su quest’opera per legittimarsi”, ha raccontato Mazzeo. “Il rischio – ha avvertito il giornalista – è che oggi di fronte agli anticorpi di una cultura mafiosa, chi si promuove come realizzatore del ponte, fosse anche un mafioso, dovrebbe guadagnare una legittimità. Le grandi organizzazioni mafiose potrebbero legittimarsi come un grande elemento: prima abbiamo messo le bombe e fatto le stragi oggi facciamo il ponte e ci perdonate”.

TERZO SCRITTO

Le infrastrutture militari nella fase multicentrica

di Luigi Longo

Non gli animali, ma senz’altro gli uomini e soltanto

gli uomini conducono gli uni contro gli altri << guerre

terrestri e marittime >>. Sempre, quando l’ostilità tra

grandi potenze ha raggiunto il culmine, la contrapposi=

zione bellica si svolge contemporaneamente sia nell’uno

che nell’altro ambito, sicché da entrambe le parti la guerra si trasforma in << guerra terreste e marittima >> […] Se poi si aggiunge l’aria come terza dimensione, la guerra si trasforma per entrambi i contendenti anche in guerra aerea.

Carl Schmitt*

L’esercito, nel proprio paese, avrà bensì linee di comunicazioni proprie, organizzate a tal fine, ma non è affatto obbligato a valersi di esse sole; e può, in caso di necessità, scostarsene e scegliere qualsiasi altra strada esistente […] Le strade principali attraversanti le città più ricche e le province più importanti sono le migliori linee di comunicazioni. Esse meritano la preferenza anche se producono percorsi molto maggiori e hanno, nella maggior parte dei casi, carattere determinante per lo schieramento dell’esercito.

Clausewitz**

1. Le potenze mondiali, gli Stati Uniti (potenza egemone in relativo declino), la Russia e la Cina (potenze emergenti in relativo consolidamento), protagoniste in questa fase multicentrica che sta diventando sempre più visibile e determinata, vengono attraversate da conflitti interni tra gli agenti strategici delle sfere sociali per la configurazione, in equilibrio dinamico, del blocco egemone dominante (emblematico è l’esempio in questa fase del conflitto interno statunitense). All’interno di questo conflitto assumono rilevanza i comandanti della sfera militare che hanno un peso specifico nelle decisioni sugli investimenti per le infrastrutture militari e civili finalizzate alle diverse strategie territoriali sia nelle nazioni alleate sia nelle varie aree o regioni di influenza per preparare il campo [terreste, acquatico e aereo (1)] del conflitto per il dominio mondiale che non necessariamente deve passare per la fase policentrica (la guerra) anche se la storia mondiale dimostra la inevitabilità della guerra (2). Quindi i suddetti comandanti formano, insieme agli agenti strategici delle altre sfere sociali (politiche, economiche, istituzionali, culturali, eccetera), il blocco egemone dominante di ogni singola potenza mondiale con una propria visione politica del mondo: dominio assoluto gli USA, dominio multicentrico la Russia e la Cina. In sintesi, per quanto suddetto, introduco il seguente schema del conflitto strategico che ha come punto di partenza il nascente paradigma di Gianfranco La Grassa (approfondirò lo schema nel prossimo scritto su Il conflitto strategico e la mossa del cavallo).

Macro schema

 

RAPPORTI SOCIALI

SFERE SOCIALI

RELAZIONI SOCIALI DI POTERE

AGENTI STRATEGICI SFERE SOCIALI

AGENTI STRATEGICI DOMINANTI

Nell’attuale fase multicentrica gli USA, consapevoli di essere una potenza egemone in relativo declino, ri-lanciano la loro sfida per il dominio mondiale assoluto poggiandosi prevalentemente sulla indiscussa (ancora per molto, ahinoi) supremazia mondiale della forza militare (3) e non su una diversa visione dello sviluppo e delle relazioni sociali mondiali perché hanno la fissazione storica di essere la nazione indispensabile per mandato divino [il Popolo Eletto (4)] per assicurare la libertà, la pace, la democrazia, i diritti sulla Terra. In virtù di tale fissazione << gli Stati Uniti avanzavano la pretesa di decidere, al di là della distinzione tra emisfero occidentale ed emisfero orientale, sulla liceità o illiceità di ogni mutamento territoriale in tutta la terra. Tale pretesa riguardava l’ordinamento spaziale della terra. Ogni avvenimento in qualsiasi punto della terra poteva riguardare gli Stati Uniti >>(5). << Nel settembre 2000, nel condurre la campagna elettorale che l’avrebbe portato alla presidenza, George W. Bush enunciava un vero e proprio dogma: “la nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo”. E’ un dogma ben radicato nella tradizione politica statunitense. Bill Clinton aveva inaugurato il suo primo mandato presidenziale, con una proclamazione ancora più enfatica del primato degli USA e del diritto-dovere a dirigere il mondo “La nostra missione è senza tempo”. Si direbbe che alla white supremacy sia subentrata la western supremacy ovvero l’American supremacy […] >> (6). Nella continuità della fissazione storica, Donald Trump sostiene che è fondamentale per << mettere l’America al primo posto perché sia sicura, prospera e libera >> avere << la forza e la volontà di esercitare la leadership Usa nel mondo >> (7).

Le basi aeree, le basi navali, le basi dell’esercito degli USA hanno circondato la Terra: guardate con coscienza dell’occhio (8) le carte seguenti ben sapendo che la cartografia sacrifica le relazioni sociali o il corpo vivente della terra, dello spazio, del territorio ed evidenzia i segni e i simboli del dominio (9).

E’ sulla Terra che si vivono i rapporti sociali, lo spazio aereo li sorvola, lo spazio acquatico li limita, lo spazio nucleare li estingue. Essi sono spazi fondanti per le strategie degli agenti dominanti delle potenze mondiali per la egemonia e per la configurazione o ri-configurazione dei nuovi rapporti sociali e territoriali storicamente dati. Stiamo entrando in una fase storica di esplosione degli spazi che distrugge e costruisce un nuovo ordine mondiale. Per dirla con Neil Brenner << […] Nelle condizioni geografiche e storiche attuali, tuttavia, il processo di urbanizzazione si struttura sempre più su scala mondiale. L’urbanizzazione non si riferisce più solo all’espansione delle “grandi città” (Friedrich Engels) del capitalismo industriale, all’estendersi di centri di produzione metropolitani, alle configurazioni di reticoli di insediamenti suburbani e di infrastrutture regionali tipiche del capitalismo fordista-keynesiano, o all’anticipata espansione lineare della popolazione umana nelle megalopoli mondiali che finisce per creare un “pianeta di slum”. Invece […] questo processo si sviluppa oggi sempre di più attraverso lo sviluppo ineguale [ corsivo mio]di un “tessuto urbano” composto da diversi tipi di strutture d’investimento, di spazi di insediamento, di matrici di uso del suolo e di reti di infrastrutture, attraverso l’intera economia mondiale […] Noi stiamo assistendo, in breve, all’intensificazione e all’estensione dei processi di urbanizzazione su tutte le scale spaziali e attraverso l’intera superficie dello spazio planetario >> (10).

Fonte: Limes n.11/2016

Fonte: Limes n9/2016

Fonte: Limes n.11/2016

Gli Stati Uniti, parafrasando Tacito letto da Concetto Marchesi, appena diventati Nazione dopo un lungo periodo storico che va dalla guerra di indipendenza (1775-1783) alla guerra di secessione (1861-1865) (11), sono costretti a combattere per vivere; poi seguitano a combattere per accrescere il loro dominio e la loro ricchezza. La guerra è per loro prima una necessità di vita, poi una incessante necessità di grandezza e di arricchimento (12). E’ attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale.

2. Tratterò, in estrema sintesi, le suddette infrastrutture militari e civili in Europa, attraverso la PeSCO (Permanent Structured Cooperation, Cooperazione Strutturata Permanente) del campo della difesa UE, non come conseguenza di scelte politiche di un soggetto unitario ed autonomo, che non c’è e che non è mai esistito storicamente, ma come un continente che per la prima volta nella storia non sarà protagonista mondiale del conflitto ma sarà campo di battaglia e spazio importante per le strategie statunitensi, con conseguenti trasformazioni, modificazioni, ri-configurazioni, organizzazioni e ruoli di territori e di aree.

Inoltre tratterò degli investimenti che il Pentagono sta realizzando, a spese nostre, sul territorio italiano nelle basi militari e nelle infrastrutture civili ad esse collegate, soprattutto ferroviarie [alta velocità (AV) e alta capacità(AC)] e stradali (corridoi nazionali ed europei) (13).

Infine, un accenno ai ruoli importanti che potrebbero avere le due città della Puglia, Taranto e Foggia [già protagoniste nella seconda guerra mondiale con le loro infrastrutture militari e civili (14)] nelle strategie statunitensi nel Mediterraneo, nel Vicino Oriente e nei Balcani.

3. Riporto una sintesi chiara sulla nascita e sul ruolo della PeSCO avanzata da Manlio Dinucci << Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri.

Che cosa sia lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Partecipando al Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea, egli sottolinea «l’importanza, evidenziata da tanti leader europei, che la Difesa europea debba essere sviluppata in modo tale da essere non competitiva ma complementare alla Nato [corsivo mio]».

Il primo modo per farlo è che i paesi europei accrescano la propria spesa militare: la Pesco stabilisce che, tra «gli impegni comuni ambiziosi e più vincolanti» c’è «l’aumento periodico in termini reali dei bilanci per la Difesa al fine di raggiungere gli obiettivi concordati». Al budget in continuo aumento della Nato, di cui fanno parte 21 dei 27 stati della Ue, si aggiunge ora il Fondo europeo della Difesa attraverso cui la Ue stanzierà 1,5 miliardi di euro l’anno per finanziare progetti di ricerca in tecnologie militari e acquistare sistemi d’arma comuni. Questa sarà la cifra di partenza, destinata a crescere nel corso degli anni.

Oltre all’aumento della spesa militare, tra gli impegni fondamentali della Pesco ci sono «lo sviluppo di nuove capacità e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari». Capacità complementari alle esigenze della Nato che, nel Consiglio Nord Atlantico dell’8 novembre, ha stabilito l’adattamento della struttura di comando per accrescere, in Europa, «la capacità di rafforzare gli Alleati in modo rapido ed efficace».

Vengono a tale scopo istituiti due nuovi comandi. Un Comando per l’Atlantico, con il compito di mantenere «libere e sicure le linee marittime di comunicazione tra Europa e Stati uniti, vitali per la nostra Alleanza transatlantica». Un Comando per la mobilità, con il compito di «migliorare la capacità di movimento delle forze militari Nato attraverso l’Europa» [ corsivo mio].

Per far sì che forze ed armamenti possano muoversi rapidamente sul territorio europeo, spiega il segretario generale della Nato, occorre che i paesi europei «rimuovano molti ostacoli burocratici». Molto è stato fatto dal 2014, ma molto ancora resta da fare perché siano «pienamente applicate le legislazioni nazionali che facilitano il passaggio di forze militari attraverso le frontiere». La Nato, aggiunge Stoltenberg, ha inoltre bisogno di avere a disposizione, in Europa, una sufficiente capacità di trasporto di soldati e armamenti, fornita in larga parte dal settore privato.

Ancora più importante è che in Europa vengano «migliorate le infrastrutture civili – quali strade, ponti, ferrovie, aeroporti e porti – così che esse siano adattate alle esigenze militari della Nato» [corsivo mio]. In altre parole, i paesi europei devono effettuare a proprie spese lavori di adeguamento delle infrastrutture civili per un loro uso militare: ad esempio, un ponte sufficiente al traffico di pullman e autoarticolati dovrà essere rinforzato per permettere il passaggio di carrarmati.

Questa è la strategia in cui si inserisce la Pesco, espressione dei circoli dominanti europei che, pur avendo contrasti di interesse con quelli statunitensi, si ricompattano nella Nato sotto comando Usa quando entrano in gioco gli interessi fondamentali dell’Occidente messi in pericolo da un mondo che cambia [neretto mio]. Ecco allora spuntare la «minaccia russa», di fronte alla quale si erge quella «Europa unita» che, mentre taglia le spese sociali e chiude le sue frontiere interne ai migranti, accresce le spese militari e apre le frontiere interne per far circolare liberamente soldati e carrarmati >> (15).

4. Riprendo gli interventi del Pentagono (Dipartimento della Difesa degli USA) sulle strutture militari presenti sul territorio italiano da una descrizione puntuale di Manlio Dinucci << Grandi opere sul nostro territorio, da nord a sud. Non sono quelle del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui tutti discutono, ma quelle del Pentagono di cui nessuno discute. Eppure sono in gran parte pagate con i nostri soldi e comportano, per noi italiani, crescenti rischi.

All’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) parte il progetto da oltre 60 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la costruzione di infrastrutture per 30 caccia Usa F-35, acquistati dall’Italia, e per 60 bombe nucleari Usa B61-12.

Alla base di Aviano (Pordenone), dove sono di stanza circa 5000 militari Usa con caccia F-16 armati di bombe nucleari (sette dei quali sono attualmente in Israele per l’esercitazione Blue Flag 2017), sono stati effettuati altri costosi lavori a carico dell’Italia e della Nato.

A Vicenza vengono spesi 8 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la «riqualificazione» delle caserme Ederle e Del Din, che ospitano il quartier generale dell’Esercito Usa in Italia e la 173a Brigata aviotrasportata (impegnata in Europa orientale, Afghanistan e Africa), e per ampliare il «Villaggio della Pace» dove risiedono militari Usa con le famiglie.

Alla base Usa di Camp Darby (Pisa/Livorno) inizia in dicembre la costruzione di una infrastruttura ferroviaria, del costo di 45 milioni di dollari a carico degli Usa più altre spese a carico dell’Italia, per potenziare il collegamento della base con il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa, opera che comporta l’abbattimento di 1000 alberi nel parco naturale. Camp Darby è uno dei cinque siti che l’Esercito Usa ha nel mondo per lo «stoccaggio preposizionato» di armamenti (contenente milioni di missili e proiettili, migliaia di carrarmati e veicoli corazzati): da qui vengono inviati alle forze Usa in Europa, Medioriente e Africa, con grandi navi militarizzate e aerei cargo.

A Lago Patria (Napoli) il nuovo quartier generale della Nato, costato circa 200 milioni di euro di cui circa un quarto a carico dell’Italia, comporta ulteriori costi a carico dell’Italia, tipo quello di 10 milioni di euro per la nuova viabilità attorno al quartier generale Nato.

Alla base di Amendola (Foggia) sono stati effettuati lavori, dal costo inquantificato, per rendere le piste idonee agli F-35 e ai droni Predator statunitensi, acquistati dall’Italia.

Alla Naval Air Station Sigonella, in Sicilia, sono stati effettuati lavori per oltre 100 milioni di dollari a carico di Stati uniti e Nato, quindi anche dell’Italia. Oltre a fornire appoggio logistico alla Sesta Flotta, la base serve a operazioni in Medioriente, Africa ed Europa orientale, con aerei e droni di tutti i tipi e forze speciali. A tali funzioni si aggiunge ora quella di base avanzata dello «scudo anti-missili» Usa, in funzione non difensiva ma offensiva soprattutto nei confronti della Russia: se fossero in grado di intercettare i missili, gli Usa potrebbero lanciare il first strike nucleare neutralizzando la rappresaglia.

A Sigonella sta per essere installata la Jtags, stazione di ricezione e trasmissione satellitare dello «scudo», non a caso mentre, con il lancio del quinto satellite, sta per divenire pienamente operativo il Muos, il sistema satellitare Usa che ha nella vicina Niscemi una delle quatto stazioni terrestri.

Il generale James Dickinson, capo del Comando strategico Usa, in una audizione al Congresso il 7 giugno 2017 ha dichiarato: «Quest’anno abbiamo ottenuto l’appoggio del Governo italiano a ridislocare, in Europa, la Jtags alla Naval Air Station Sigonella».

Era al corrente il Parlamento italiano di una decisione di tale portata strategica, che porta il nostro paese in prima linea nel sempre più pericoloso confronto nucleare? Se ne è almeno parlato nelle commissioni Difesa? >> (16).

5. In Puglia, due città, Taranto e Foggia, stanno subendo trasformazioni territoriali finalizzate all’approntamento di una rete di infrastrutture che apparentemente nulla hanno a che fare con il loro utilizzo ai fini militari. In realtà esse sono ben velate sotto l’uso civile delle infrastrutture (logistica, ferroviarie, aeroportuali, portuali) per lo sviluppo economico dei territori e delle città, ma nella sostanza esse sono fondanti come nodi di una rete nazionale (ed europea) che fa dell’Italia una espressione geografica al servizio delle strategie statunitensi.

Taranto, una città storicamente rilevante per la funzione militare e strategica sin dalla più remota antichità fino ai giorni nostri (17), è attraversata, dal 2012 anno di intervento della Magistratura tarantina, da una fase complessa di trasformazione da polo siderurgico a polo strategico della Nato (18). Un polo Nato che incorporerà città e territori interscalari (dal mondiale al locale con differenza qualitativa in relazione “alla specificità storica delle morfologie scalari associate ai processi sociali e alle forme istituzionali”) riconfigurandoli e riorganizzandoli alle esigenze di uno sviluppo imperniato sulle strategie USA-Nato. Un territorio logistico che formalmente è progettato per diventare un hub dell’area mediterranea destinato ad aggregare iniziative nazionali ed internazionali a sostegno della ricerca, sviluppo, sperimentazione e certificazione di soluzioni integrate tra trasporto aereo e industria aerospaziale, ma sostanzialmente piegato alle esigenze del conflitto USA-Nato per contrastare le emergenti potenze mondiali (Russia e Cina). E’ qui che si sta realizzando un progetto tra USA ed Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) per l’utilizzo di Droni con una compressione di tempo e di spazio impressionante: si parla di 100 minuti da Los Angeles a Roma attraverso un corridoio nella stratosfera (19), ovviamente per il trasporto merci di uno sviluppo pacifico e non di uno sviluppo finalizzato agli scenari di guerra. Tutto questo a partire dal 2012 (l’anno serve solo per indicare il punto di svolta dei processi sociali storicamente dati) in un luogo istituzionale di medio potere, quale è la regione Puglia, con un Presidente, Nichi Vendola, l’uomo della famosa risata servile verso i poteri dell’ILVA (20).

Foggia, una città storicamente rilevante per la posizione geografica (un nodo di collegamento tra la via Adriatica, la via Tirrenica e la via interregionale) sin dai tempi di Federico II fino ad oggi (21). Il territorio logistico è in fase di progettazione: una riconversione dello storico aeroporto “Gino Lisa” (22) (è stato nel periodo tra le due guerre mondiali una scuola per piloti di importanza mondiale, qui si sono formati i primi piloti statunitensi comandati dal Maggiore Fiorello La Guardia) in sede della Protezione Civile regionale che è il cavallo di troia per nascondere il vero obiettivo di un aeroporto di merci e mezzi militari (unica ragione per tenere in vita un aeroporto economicamente insostenibile); una riconfigurazione della base Amendola come base di fatto a comando USA-Nato così come da interventi progettati dal Pentagono; una grande area logistica ingiustificata tenendo conto del basso livello dello sviluppo economico della città e del territorio; un collegamento stradale e ferroviario tra area logistica, nodi territoriali e aerea portuale di Manfredonia ( antico porto di scambi con l’altra sponda adriatica) (23); una rete ferroviaria ad alta capacità in fase di realizzazione di collegamento tra Roma-Bari, facente parte della rete Scandinavia-Mediterraneo (Helsinki-Valletta) una delle linee strategiche europee e uno degli obiettivi della programmazione a lungo termine per lo sviluppo del settore ferroviario (24).

Posso dire con Ennio Flaiano che la situazione politica in Italia è grave ma non è seria se si pensa che la struttura del Libro Bianco del Ministero della Difesa (25) è tutta interna alla logica funzionale Nato ad egemonia USA. Tutto questo la dice lunga sull’autonomia e sul ruolo della sfera militare italiana frammentata e incapace di esprimere agenti strategici per un disegno, per una idea di una nazione autonoma e sovrana nelle relazioni mondiali (26).

6. Io non vedo nessun ruolo che l’Italia possa avere nel Mediterraneo così come non vedo nessun ruolo che la Francia e la Germania possano avere per un processo di costruzione di autonomia europea.

La divisione del lavoro tra una Francia (leader militare) e una Germania (leader economica) per costruire un asse su cui pensare una futura Europa è una utopia irrealizzabile (27).

Il problema vero è l’assenza di agenti strategici autonomi in tutte le nazioni europee (a diverse sfumature considerata la storia e la cultura peculiari di ogni singolo popolo) in grado di liberarsi dalle strategie e dalla occupazione militare statunitensi sul continente Europa. L’autonomia e le relazioni tra nazioni sono processi storici che non si costruiscono nel breve periodo.

Se non si avvierà questa costruzione di soggetti di trasformazione non dati dalla Storia ma costruiti nella Storia che pensano un progetto di coordinamento europeo per rilanciare un ruolo significativo del continente Europa tra Occidente e Oriente e soprattutto nuove relazioni con le potenze mondiali che lottano per un mondo multicentrico, dispiace dirlo scivoleremo tutti in quella che Gyorgy Lukacs ha definito :<< La stupidità e la disonestà si manifestano anzitutto nell’adattamento dei sentimenti e delle idee alla infamia della realtà sociale [ad egemonia statunitense, mia aggiunta]>> (28).

EPIGRAFI

* Carl Schmitt, Dialogo sul potere, Adelphi, Milano, 2012, pp. 58-59.

**Clausewitz, Dalla guerra, Mondadori, Milano, 2011, pp. 429 e 432.

NOTE

1. Ad ulteriore conferma del ruolo importante dei comandanti militari nelle relazioni internazionali si legga Manlio Dinucci, Italia-Israele: la << diplomazia dei caccia >> in www.voltairenet.org, 14/12/2017; sulle rivoluzioni spaziali mondiale si veda Carl Schmitt, Dialogo sul nuovo spazio in Carl Schmitt, Dialogo sul potere, op.cit., pp. 49-93; Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi, Milano, 2006; Matteo Vegetti, L’invenzione del globo. Spazio, potere, comunicazione nell’epoca dell’aria, Einaudi, Torino, 2017.

2. Il termine comandante è riferito non solo alla sfera militare, ma può essere allargato anche alle altre sfere sociali perché è da intendere come espressione di dominio della gerarchia del mondo << Per i greci il mondo era fatto soltanto di rapporti di forza, di gerarchie, di livelli di autorità. Il mondo era composto da chi stava sopra e da chi stava sotto, da chi comandava e da chi ubbidiva. >> in Franco Farinelli, L’invenzione della terra, Sellerio, Palermo, 2016, pag. 38.

3. Sugli Stati Uniti come prima potenza militare oltre ai rapporti SIPRI (www.sipri.org) si rimanda a Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pp.272-312; Manlio Dinucci, Geopolitica di una <<guerra globale>> in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, pp. 11-112; Wesley K. Clark, Vincere le guerre moderne, Iraq, terrorismo e l’impero americano, Bompiani, Milano, 2004. A mio avviso, non sono convincenti le analisi di The Saker (per esempio, Pensi che la sua valutazione sia accurata ?, www.sakeritalia.it, 9/11/2017) e di Paul Craig Roberts (per esempio, Un giorno non ci sarà un domani, www.comedonchisciotte.org, 28/10/2017) sulla debolezza della sfera militare USA.

4. Sul popolo eletto si rimanda a Costanzo Preve, La quarta guerra mondiale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2008, pp.156-160.

5. Cal Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello << jus pubblicum europaeum >>, Adelphi, Milano, 1991, pag.407.

6. Domenico Losurdo, Rivoluzione d’Ottobre e democrazia, www.marx21.it, 30/8/2017.

7. Donald J. Trump, National Security Strategy of the United States of America in www.whitehouse.gov./…/NSS-Final-12-18-2017-0905.pd; Si legga anche Manlio Dinucci, Il vero libro esplosivo è a firma di Trump, www.ilmanifesto.it, 9/1/2018.

8. Richard Sennet, La coscienza dell’occhio, Feltrinelli, Milano, 1992.

9. Franco Farinelli, L’invenzione, op.cit., pp. 55-62; si legga il capitolo secondo dell’interessante libro di Matteo Vegetti, L’invenzione del globo, op.cit., pp.31-76. 10.Neil Brenner, Stato, spazio, urbanizzazione, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 2016, pp.35-36.

11. Per la guerra di indipendenza si rimanda a Gino Luzzatto, L’evoluzione economica e sociale mondiale negli ultimi due secoli, Storia Universale, vol. VII, Casa Editrice Francesco Vallardi, 1970, pp.3-116; per la guerra di secessione si veda Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR-Rizzoli, Milano, 2013.

12. Concetto Marchesi, Tacito, Casa editrice Giuseppe Principato, Milano-Messina, 1942, pp.129-170.

13. Per un primo svelamento sull’uso della infrastrutture, tramite la Nato e l’Unione Europea, in funzione delle strategie degli Stati Uniti di penetrazione ad Est dell’Europa per contrastare soprattutto la potenza mondiale emergente come la Russia, si rimanda a Luigi Longo, Tav, Corridoio V, Nato e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 23/12/2012.

14. Mario Gismondi, Taranto: La notte più lunga. Foggia: la tragica estate, Dedalo, Bari, 1968.

15.Manlio Dinucci, Nasce la Pesco costola della Nato, www.voltairenet.org, 28/11/2017; si veda anche Alessandro Marrone, UE: difesa, parte Pesco, cooperazione strutturata permanente, www.affarinternazionali.it, 14/11/2017.

16. Manlio Dinucci, Le grandi opere del Pentagono a spese nostre, www.voltairenet.org, 5/12/2017.

17.G.C.Speziale, Storia militare di Taranto. Negli ultimi cinque secoli, Laterza, Bari, 1930.

18. Luigi Longo, Dalla trappola capitale/lavoro – capitale/ambiente al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 7/8/2012; Idem, Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della Nato, www.conflittiestrategie.it, 20/7/2013.

19. Franco Giuliano, Aerei senza pilota la Puglia è nel futuro, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 15/4/2014.

20. Domenico Palmiotti, La Puglia investe nell’aerospazio, www.ilsole24ore.com, 20/4/2014; Marolla, L’aeroporto di Grottaglie piattaforma logistica dell’area mediterranea, www.impresametropolitana.it, 16/3/2016; Leo Spalluto, Taranto, smontare aerei e navi nuovo spazio per le imprese, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 15/6/2017; Redazione Repubblica, Aeroporto di Taranto-Grottaglie, iniziati lavori potenziamento infrastrutture, https://finanza,repubblica.it/News/2017/12/27/aeroporto_di_taranto_grottaglie_iniziati_lavori_infrastrutture-161/, 27/12/2017.

21. Macry Paolo, L’area del Mezzogiorno in Storia d’Italia, Volume Sesto, Atlante, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1976; J.-M. Martin-E. Cuozzo, Federico II. Le tre capitali del Regno di Sicilia: Palermo-Foggia-Napoli, Procaccini Editore, Napoli, 1995.

22. Luigi Iacomino, L’aeronautica militare a Foggia e in Capitanata, Edizioni del Rosone, Foggia, 2002; Idem, Storia dell’aviazione in Capitanata, Grenzi Editore, Foggia, 2006;.

23. Si veda il Piano Strategico di area vasta “Capitanata 2020” in www.capitanata2020.eu.

24. RFI, Audizione senato, VIII Commissione permanente, Lavori Pubblici, Comunicazione, Contratto di Programma 2012-2016, Parte Investimenti, Aggiornamento 2015, www.senato.it/…commissione/…/Memoria_RFI-Audizione_del_24_maggio_2016.

25. www.difesa.it/Primo_Piano/Documents/2015/04_Aprile/LB_2015.pdf

26. Fabio Mini, Usa-Italia comunicazione di servizio, Limes n.4/2017; Gianfranco La Grassa, La nostra italietta, www.conflittiestrategie, 3/1/2018.

27. Il ruolo dell’Eni e dell’Invitalia che emerge dalle interessanti analisi di Alberto Negri non può essere condiviso perché ignora il fatto che dietro alle grandi imprese (sia pubbliche sia private) non esiste uno Stato, inteso come luogo di potere degli agenti sub-sub-dominanti italiani, in grado di proteggere il loro ruolo e le loro strategie di penetrazione nelle aree di interesse (la Libia, l’Egitto, l’Iran, solo per fare alcuni esempi, non insegnano niente?). Così dicasi per un ruolo ancora più di peso, impegnativo e qualificato quale quello di un intervento nell’area Mediterranea avanzato da Fabio Falchi e da Pierluigi Fagan. Si vedano: Alberto Negri, L’Italia alla conquista del gas, è l’unica arma per contare nel mondo, www.tiscali.it, 17/12/2017; Alberto Negri, L’Italia fa grandi affari con l’Iran e se ne infischia delle sanzioni di Trump. Cinque miliardi di euro sono solo l’inizio, www.tiscali.it, 12/1/2018; Fabio Falchi, L’Italia, il Mediterraneo e il futuro dell’Europa, www.eurasia.com, 1/12/2017; Pierluigi Fagan, Propositi per il nuovo anno: torniamo a pensare un piano B per l’Europa, www.pierluigifagan.wordpress.com, 2/1/2018.

28.Gyorgy Lukacs, Tolstoj e l’evoluzione del realismo, www.gyorgylukacs.wordpress.com, 30/8/2016.

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Destini energetici: Parte 5: Transizione energetica – Destinazione misteriosa di Satyajit Das

Destini energetici: Parte 5: Transizione energetica – Destinazione misteriosa

Il commento di un lettore

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Ciò che Das descrive in modo così eloquente non è un problema, piuttosto un dilemma o una situazione difficile, cioè non c’è soluzione. Sta descrivendo l’attuale realtà futura dell’energia nel modo più accurato possibile. I contorni del dilemma sono stati ben compresi dalla fine degli anni ’50. Opere come “Man’s Role In Changing the Face of the Earth” di Lewis Mumford, “The Closing Circle” di Barry Commoner e “Global 2,000 Report”, commissionato da Jimmy Carter sono solo alcuni dei tanti colpi di avvertimento ignorati dall’élite del potere. La realtà di un futuro prossimo con un accesso radicalmente ridotto all’energia e alle risorse minerarie e con crescenti vincoli ecologici è difficile da accettare, figuriamoci affrontare in modo significativo.
Giovanni Steinbach

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Energia abbondante ed economica è uno dei fondamenti della civiltà e delle economie moderne. Gli attuali cambiamenti nei mercati dell’energia sono forse i più significativi da molto tempo. Ha implicazioni per la società nel senso più ampio. Destini energetici è una serie in più parti che esamina il ruolo dell’energia, le dinamiche della domanda e dell’offerta, il passaggio alle energie rinnovabili, la transizione, la sua relazione con le emissioni e i possibili percorsi. Le parti 1, 2, 3, e 4  hanno esaminato i modelli di domanda e offerta nel tempo, le fonti rinnovabili, lo stoccaggio di energia e l’economia delle rinnovabili. Questa parte esamina la transizione energetica.

Una transizione energetica si riferisce a un importante cambiamento strutturale nei sistemi energetici. Ci sono state diverse transizioni storiche di questo tipo: dai biocarburanti, come il legno, all’energia idrica ed eolica e poi ai combustibili fossili. Nel suo uso attuale, è usato per descrivere il tentativo di sostituire i sistemi di produzione e consumo di energia basati sui combustibili fossili con fonti energetiche rinnovabili. Questa trasformazione è incorniciata dalla necessità di mitigare le emissioni per controllare i cambiamenti climatici.

L’ arco della storia dell’energia è rappresentato di seguito.

In Energy Transitions, il professor Vaclav Smil fornisce la prova che una nuova fonte di energia ha impiegato in genere tra i 40 ei 60 anni per guadagnare una quota di mercato significativa negli periodi precedenti. Le attuali proposte presuppongono che l’energia rinnovabile produrrà guadagni comparabili in un periodo molto più breve .

Ciò sottovaluta la complessità dell’attuale transizione energetica:

  • La scala è senza precedenti e richiede la riorganizzazione dei sistemi energetici per oltre 8 miliardi di persone e alti livelli di domanda industriale e domestica.
  • In generale, le transizioni energetiche comportano il passaggio a fonti di energia più efficienti. L’attuale processo inverte la tendenza con uno spostamento verso fonti meno efficienti con EROEI inferiore, minore densità energetica, minore densità di potenza superficiale e grandi requisiti di stoccaggio.
  • A differenza delle modifiche precedenti, è probabile che il costo dell’energia aumenti anziché diminuire.
  • Anche l’urgenza del cambiamento dovuta alla necessità di contenere le emissioni è senza pari.
  • I precedenti cambiamenti negli accordi energetici sono stati intrapresi prima delle moderne strutture normative, in particolare nei paesi avanzati, che dovranno adattarsi rapidamente a cambiamenti su larga scala all’interno di standard ambientali, di sicurezza e di concorrenza contrastanti.
  • Anche la probabile interruzione degli accordi sociali e geopolitici è potenzialmente maggiore rispetto alle trasformazioni precedenti.

Una transizione incompleta

L’attuale transizione energetica, così come concepita, è fortemente sbilanciata verso l’elettrificazione incentrata sull’utilizzo di fonti rinnovabili a basse emissioni per produrre elettricità in sostituzione dei combustibili fossili.

Gli attuali piani di transizione prevedono una grande espansione della produzione globale di elettricità di un fattore da due a tre volte, senza utilizzare combustibili fossili.

Ma l’elettricità, sulla base della maggior parte delle stime, costituisce meno del 20 percento dell’attuale mix energetico .

Le alte temperature, il fabbisogno di potenza e densità energetica dell’industria pesante (manifattura, acciaio, cemento, ammoniaca, plastica), del trasporto merci e dell’aviazione favoriscono i combustibili fossili che dovranno essere elettrificati o riprogettati per utilizzare combustibili alternativi che potrebbero rivelarsi difficili senza significativi progressi della scienza e delle tecnologie di produzione.

Ci sono barriere scoraggianti. Le tecniche di riduzione diretta per la produzione di acciaio possono consumare 15 volte più elettricità rispetto all’attuale approccio di cokefazione equivalente. Richiede minerale di ferro più puro per sciogliersi completamente in fornaci alimentate a idrogeno per eliminare i contaminanti. Anche la sostituzione dei combustibili fossili nella produzione di cemento e in altri processi industriali è una sfida.

La fattibilità tecnica dell’elettrificazione, l’uso di biocarburanti o altri metodi sono in fase di sviluppo e probabilmente saranno molto più costosi dei metodi attuali. Si stima che la decarbonizzazione della produzione di alluminio coerente solo con un percorso net-zero o 1,5°C richieda un investimento cumulativo di circa 1 trilione di dollari, principalmente nell’alimentazione e nelle fonderie .

L’elettrificazione, in ogni caso, non è sufficiente per eliminare le emissioni di carbonio da molte industrie pesanti a causa della chimica dei processi. Circa la metà dell’anidride carbonica nella produzione di cemento proviene dalla conversione del calcare in clinker. Nell’acciaio, la trasformazione dell’ossido di ferro in ferro puro richiede lo stripping degli atomi di ossigeno che si combinano con il carbonio per produrre anidride carbonica. La modifica della chimica è necessaria per ridurre queste emissioni.

I problemi di peso della batteria, capacità di potenza e durata rimangono vincoli nell’elettrificazione del trasporto pesante. Lo spazio necessario per i serbatoi di idrogeno sufficienti per alimentare l’aviazione a medio e lungo raggio limita i carichi utili che incidono in modo significativo sull’economia di queste forme di trasporto.

L’elettrificazione completa o addirittura sostanziale come percorso verso la decarbonizzazione può rivelarsi sfuggente.

Intensità materiale

I macchinari della transizione energetica – pannelli solari, turbine eoliche, accumulo di energia, impianti di riserva, linee e reti di trasmissione riconfigurate, veicoli elettrici – richiedono grandi quantità di metalli, minerali ed energia, ironia della sorte, dai combustibili fossili. Le rinnovabili sostituiscono l’intensità delle emissioni con l’intensità dei materiali.

Ad esempio, i veicoli elettrici richiedono fino a sei volte più minerali rispetto alle auto convenzionali alimentate da motori a combustione interna.

I veicoli elettrici pesano in media 340 chilogrammi (750 libbre) in più. Il peso aggiuntivo influisce sul fabbisogno energetico e sull’efficienza poiché la maggior parte dell’energia in qualsiasi forma di trasporto veicolare viene utilizzata per spingere il suo peso.

Le turbine eoliche richiedono acciaio (66-79 percento della massa totale della turbina); fibra di vetro, resina o plastica (11-16 percento); ferro o ghisa (5-17 percento); rame (1 percento); e alluminio (0-2 percento). Le terre rare sono gli ingredienti chiave dei potenti magneti richiesti. Le stime suggeriscono che sono necessarie circa 500 tonnellate di acciaio e 1.000 tonnellate di calcestruzzo per megawatt di energia eolica.

Ogni modulo batteria Tesla da 80 chilowattora a lungo raggio da 450 chilogrammi (1.000 libbre) è composto da 6.000 singole celle, ciascuna contenente 10 chilogrammi (25 libbre) di litio, 36 chilogrammi (60 libbre) di nichel; 18 chilogrammi (44 libbre) di manganese; 14 chilogrammi (30 libbre) di cobalto; 80 chilogrammi (200 libbre) di rame; e oltre 250 chilogrammi (550 libbre) di alluminio, acciaio, grafite, plastica e altri materiali. Se ridimensionati in base al tipo di stoccaggio che potrebbe essere richiesto a livello statale o nazionale, gli importi necessari sono sbalorditivi. Complessivamente, l’utilizzo di moduli batteria per sostenere il fabbisogno di elettricità estivo di punta di New York per 45 minuti richiederebbe 3.750 tonnellate di litio, 9.000 tonnellate di nichel, 6.600 tonnellate di manganese, 4.500 tonnellate di cobalto, 30.000 tonnellate di rame e 82.500 tonnellate di altro materiali.

Poiché i metalli e le altre sostanze necessarie richiedono una notevole quantità di energia per essere prodotti, l’effetto netto complessivo sulle emissioni (minore produzione dalle fonti di energia aggiustata per la maggiore quantità di materiali richiesti) non è chiaro.

Le emissioni del ciclo di vita dei veicoli elettrici, la quantità totale di gas serra emessi durante l’esistenza di un prodotto, compresa la sua produzione, utilizzo e smaltimento, sono rivelatrici. Utilizzando misure standardizzate (tonnellate metriche di CO2 equivalente (tCO2e)) di gas serra, è possibile ricavare le emissioni comparative dei veicoli elettrici, ibridi e ICE di medie dimensioni :

I veicoli elettrici hanno le emissioni del ciclo di vita più basse, ma le emissioni di produzione sono circa il 40% superiori a quelle dei veicoli ibridi e convenzionali, principalmente dall’estrazione e dalla raffinazione di materie prime come litio, cobalto e nichel. La maggior parte dei vantaggi in termini di emissioni sono in fase di utilizzo. Questi confronti si basano su 16 anni di utilizzo e una distanza di 240.000 chilometri (150.000 miglia). Laddove il veicolo ha una vita più breve o viene utilizzato in modo meno intensivo (il che è probabile poiché i veicoli elettrici sono più adatti a distanze di viaggio più brevi), le elevate emissioni di produzione indicano che le emissioni del ciclo di vita del veicolo elettrico si avvicinano a quelle dei tradizionali veicoli a combustione interna.

Le affermazioni di minore intensità di materiale dei veicoli elettrici presuppongono spesso anche la capacità di riciclare i componenti , il che, in realtà, non è dimostrato. Anche se possono essere progettati per utilizzare meno materie prime, molte sono le richieste di terre rare che necessitano di processi di produzione tossici. L’analisi presuppone che i veicoli elettrici siano alimentati esclusivamente da elettricità proveniente da fonti energetiche rinnovabili, il che non è la situazione attuale.

Ciò significa che il passaggio alle energie rinnovabili potrebbe non ridurre le emissioni del quantum dichiarato e, forse, per niente in alcuni casi.

Materiali critici per la transizione

Le principali materie prime necessarie per la transizione energetica sono riassunte di seguito:

Di seguito si riporta l’applicazione e la relativa domanda di tali materie prime.

In generale, gli analisti si concentrano su due gruppi di materie prime: primo rame, nichel e cobalto e secondo litio e terre rare. In pratica dovrebbero essere prese in considerazione tutte le materie prime richieste.

Disponibilità delle risorse

Si presuppone la disponibilità delle materie prime richieste a un costo accettabile. Senza l’approvvigionamento necessario, la transizione energetica sarà, nella migliore delle ipotesi, ostacolata e, nella peggiore, non sarà possibile. Gli elementi chiave della disponibilità includono:

  • Sufficienza della risorsa.
  • Fattibilità di estrazione e produzione.

Non è chiaro se attualmente esistano quantità sufficienti di materie prime essenziali. La quantità di molti metalli necessari è maggiore di quanto inizialmente creduto, gli attuali livelli di produzione sono insufficienti e, forse la cosa più critica, le riserve minerarie note per alcuni materiali potrebbero essere inferiori alle quantità necessarie. Ulteriori investimenti possono espandere la produzione e l’esplorazione può scoprire nuove riserve, ma ci sono difficoltà nel superare le carenze soprattutto nel breve periodo.

Di seguito è riportata una stima delle riserve note di molte materie prime essenziali:

Simon P. Michaux , Professore Associato di Ricerca dell’Unità di Geometallurgia Lavorazione dei Minerali e Ricerca sui Materiali, Geological Survey of Finland, ha confrontato la produzione richiesta con le riserve conosciute concludendo che i metalli totali richiesti per una generazione di tecnologia per eliminare gradualmente i combustibili fossili sono insufficienti per molte sostanze.

 

Metallo Produzione richiesta (tonnellate) Riserve conosciute(tonnellate) Copertura di riserva(Percentuale di requisiti)
Rame 4.575.523.674 880.000.000 20 percento
Nichel 940.578.114 95.000.000 10 percento
Litio 944,150,293 95.000.000 10 percento
Cobalto 218.396.990 7.600.000 3 per cento
Grafite 8.973.640.257 320.000.000 4 percento
Vanadio 681.865.986 24.000.000 4 percento

Lo studio ha rilevato che c’erano riserve sufficienti di alcuni materiali:

 

Metallo Produzione richiesta (tonnellate) Riserve conosciute(tonnellate) Copertura di riserva(Percentuale di requisiti)
Zinco 35.704.918 250.000.000 700 percento
Manganese 227.889.504 1.500.000.000 658 percento
Silicio (metallurgico) 49.571.460 Relativamente abbondante Adeguato
Argento 145.579 530.000 3.641 percento
Zirconio 2.614.126 70.000.000 2.678 percento

Le stime della domanda e delle riserve sono inesatte e oggetto di febbrili controversie. Tuttavia, l’entità delle potenziali carenze deve essere attentamente considerata nei piani di transizione energetica.

Estrazione e produzione

Anche se esistono riserve, sorgono problemi di estrazione e produzione. La scala è impegnativa. L’entità dell’espansione della produzione richiesta per alcune materie prime chiave non è da prendere alla leggera.

La qualità dei giacimenti minerari che devono essere sfruttati è rilevante. I gradi sono diminuiti a causa dell’esaurimento naturale delle miniere già esistenti che sono, comprensibilmente, le più facilmente accessibili e a basso costo. Nel caso del rame, il grado medio delle miniere è diminuito da circa il 2,5% di 100 anni fa a circa lo 0,5% di oggi. Ci sono poche miniere di rame oggi che hanno un contenuto di rame superiore all’1% della roccia. La qualità media del rame cileno , uno dei maggiori produttori, è scesa del 30% negli ultimi 15 anni allo 0,7%. Alcune altre materie prime richieste si trovano naturalmente a concentrazioni inferiori. Nichel, litio, cobalto e rame costituiscono dallo 0,002% allo 0,009% della crosta terrestre. Al contrario, i metalli più abbondanti come il ferro e l’alluminio costituiscono rispettivamente il 6% e l’8%.

I gradi inferiori e la relativa scarsità aumentano i costi di esplorazione, sviluppo, estrazione e lavorazione, nonché il fabbisogno energetico e le emissioni di carbonio. Nel caso del rame, qualità inferiori significano che per produrre la stessa quantità di rame occorre utilizzare circa 16 volte più energia rispetto a 100 anni fa.

La convinzione che i miglioramenti nella tecnologia di esplorazione e produzione possano colmare le carenze è fuorviante. Le tecniche di esplorazione variano tra le materie prime. La tecnologia per la ricerca di giacimenti minerari, come il rame, è complicata dal fatto che i depositi sono spesso dispersi su vaste aree. Tecniche come il test sismico, che è un mezzo efficiente per la ricerca di idrocarburi, sono meno efficaci. Deve essere utilizzata la perforazione esplorativa, un processo lento.

Anche le aree che possono essere sfruttate sono diverse. L’estrazione della maggior parte dei metalli è concentrata in poche aree a causa dell’economia. Al contrario, la produzione di petrolio e gas a volte può essere intrapresa su scala ridotta. Oggi, molta esplorazione di idrocarburi è nell’oceano.

Esistono piani ambiziosi per l’estrazione in acque profonde di cobalto, nichel, manganese e rame . Ma ci sono difficoltà significative nell’operare in acqua salata corrosiva, a temperature vicine allo zero e sotto migliaia di libbre di pressione per pollice quadrato. I superamenti dei costi di capitale e operativi sono frequenti. Il costo del progetto del gas Gorgon al largo della costa dell’Australia nord-occidentale è aumentato dal budget di $ 11 miliardi a $ 54 miliardi.

I rapporti tra riserva e produzione spesso sovrastimano la quantità di minerali che possono essere estratti. Il tempo dall’esplorazione alla produzione è lungo. Ci vogliono anni per passare dall’esplorazione alla produzione di petrolio e gas. Al contrario, una miniera di rame greenfield può richiedere decenni per essere messa in funzione, anche se in genere hanno una vita più lunga che si estende fino a centinaia di anni. Ciò significa che anche se, come probabile, i prezzi aumentano bruscamente, è improbabile che l’offerta aggiuntiva di materiali richiesti per la transizione divenga rapidamente disponibile poiché presentano un’elasticità dei prezzi relativamente limitata .

Vincoli ambientali

È probabile che la produzione delle materie prime necessarie eserciti una pressione significativa su altre risorse come l’acqua e la terra.

La produzione di molte materie prime richiede grandi quantità di acqua . L’estrazione del rame richiede molta acqua. Ciò è complicato dal fatto che il 50% della fornitura mondiale di rame proviene dal Cile, dal Perù e dalla fascia africana del rame, tutte regioni con problemi di scarsità d’acqua. Le tecniche comuni per la produzione di litio sono ad alta intensità idrica, con aree come l’alto altopiano andino dove esistono grandi riserve che sono tra i luoghi più aridi della terra. La produzione di idrogeno richiede l’accesso a grandi quantità di acqua.

Ci sono richieste di terra scarsa che potrebbero essere necessarie per le popolazioni e la produzione alimentare. I biocarburanti richiedono grandi quantità di acqua e terra. Le materie prime da biomassa per l’energia alternativa estraggono efficacemente il terriccio. A livello globale, è probabile che fino al 90 percento del suolo superficiale della Terra sarà a rischio entro il 2050. Con un minimo di 15 centimetri (6 pollici) necessari per coltivare in modo efficiente, la perdita di terriccio si sta avvicinando a livelli critici. Strutture solari nei deserti che richiedono la demolizione di aree che distruggono l’ecosistema naturale e rilasciano anche una grande quantità di carbonio immagazzinato sottoterra in terreni desertici.

Altri effetti collaterali includono inquinamento e danni ambientali dovuti all’estrazione delle materie prime necessarie.

In effetti, le esternalità negative significative sono generalmente trascurate e non incorporate nei calcoli dei costi. Il consumo di energia e le emissioni di questi effetti collaterali sono spesso ignorati.

Vincoli di investimento

Gli investimenti sono essenziali per garantire la sufficienza dell’offerta. Negli ultimi decenni, il livello di investimento in materiali critici di transizione è aumentato (sebbene l’opacità dei dati delle società minerarie, in particolare le major diversificate, renda difficile identificare con precisione le aree interessate).

Dato che saranno necessari oltre 3 miliardi di tonnellate di minerali e metalli per raggiungere un risultato inferiore a 2°C e che la produzione di minerali, come grafite, litio e cobalto, dovrà aumentare di quasi il 500% entro il 2050, è discutibile se gli investimenti esistenti siano adeguati.

Ci sono diverse ragioni per un investimento inadeguato:

  • Ciclicità delle merci.
  • Prezzi reali bassi.
  • I grandi requisiti patrimoniali dei progetti.
  • Consolidamento e maggiore avversione al rischio all’interno di grandi gruppi di risorse.

La pressione degli attivisti sulle società di risorse per la decarbonizzazione, particolarmente esposte a combustibili fossili o ad alte emissioni, è sempre più un fattore. Con la maggior parte dei gestori patrimoniali e degli investitori desiderosi di migliorare la propria performance ESG (Environment, Social, Governance), c’è stata una riluttanza da parte degli enti pubblici a investire nella produzione di materie prime. Un’ulteriore influenza è la natura apparentemente fuori moda delle risorse relative alle industrie tecnologiche ad alta crescita, che ironicamente non possono sopravvivere senza i materiali che devono essere estratti. Le materie prime non possono essere richiamate con un’app da uno smartphone.

Senza investimenti sostanziali e le relative emissioni, è probabile la carenza di alcuni materiali .

I problemi con l’aumento delle fonti primarie hanno incoraggiato a concentrarsi sull’approvvigionamento secondario, come rottami e materiale riciclato. I tassi di riciclaggio per la maggior parte dei materiali critici per la transizione sono attualmente bassi. Ciò riflette le barriere ingegneristiche , nonché il materiale adatto limitato e l’utilità del materiale riciclato per le applicazioni. I prezzi storicamente bassi sono un altro fattore che crea disincentivi e incide sulla fattibilità finanziaria di alcuni tipi di riciclaggio. L’attuale scopo di soddisfare la domanda dalla fornitura riciclata è limitato.

La corsa verde

Le questioni relative alla sufficienza degli investimenti sono, in realtà, più profonde. Le spese in conto capitale sono inadeguate ma anche non adeguatamente mirate.

La transizione energetica si è evoluta in una “corsa verde” finanziaria speculativa. L’entusiasmo per le nuove tecnologie energetiche è ignaro di semplici fatti e la pianificazione di base è assente. Anche una volta completati, gli impianti rinnovabili non possono essere collegati alla rete a volte per diversi anni. In casi estremi, i progetti non vengono perseguiti a causa di queste carenze. Il Lawrence Berkeley National Laboratory ha trovato quasi 2.000 gigawatt di energia solare, di stoccaggio ed eolica negli Stati Uniti in attesa nelle code di interconnessione della rete di trasmissione.

Aggiunta del sostegno del governo, l’euforia degli investitori è cresciuta. Gli investimenti in titoli e fondi legati alle energie rinnovabili hanno raggiunto nuove vette. Le valutazioni delle azioni dei veicoli elettrici, come Tesla, i produttori di batterie e le società legate all’idrogeno sono aumentate notevolmente. La maggior parte ha un prezzo elevato a multipli di utili, vendite e valori patrimoniali. Nel 2020, gli SPAC (Special Purpose Acquisition Vehicles) di energia verde hanno raccolto 40 miliardi di dollari con il mandato di acquisire asset di energia pulita non ancora identificati.

I fondi sono spesso affluiti ad aziende con tecnologie non testate, piani irrealistici o semplici fronzoli e ciarlataneria. C’è una malsana mancanza di concentrazione sull’essenziale scienza di base sottostante a favore degli espedienti. Gran parte di questo investimento può essere completamente ammortizzato con le rapide e grandi perdite di capitale che lasciano meno denaro disponibile per bisogni reali.

Ad esempio, l’attuale interesse per l’economia dell’idrogeno smentisce i precedenti fallimenti degli investimenti. Nel 1997, l’entusiasmo dei media per l’energia a idrogeno traboccò appena prima della fine di quel boom. Un articolo recente che ha stimolato la “nuova” economia dell’idrogeno ha razionalizzato il fallimento dell’ondata degli anni ’90 come risultato dell’assenza di un mercato chiaro per il carburante e di un sostegno statale e aziendale limitato. Il sottotitolo del pezzo era significativamente qualcosa che la maggior parte delle persone ha imparato a temere: ‘Questa volta è diverso’. Un’analisi storica ha rilevato che i tentativi seriali di guidare un’economia globale dell’idrogeno sono stati in gran parte guidati dall’entusiasmo e resta da vedere se l’ondata attuale è diversa.

La frenesia speculativa distoglie fondi dalle imprese energetiche tradizionali. L’ industria energetica ha investito poco , nelle rinnovabili e negli idrocarburi. Dal picco del 2014, gli investimenti nell’energia tradizionale (petrolio e gas) sono diminuiti del 57% determinando una riduzione di oltre il 30% degli investimenti globali in energia primaria, da 1,3 trilioni di dollari nel 2014 a 0,8 trilioni di dollari nel 2020. Parallelamente, gli investimenti totali in energia sono diminuiti di circa il 22% dal picco di $ 2,0 trilioni nel 2014 a $ 1,5 trilioni nel 2020, anche se ora si sta invertendo.

La focalizzazione degli investimenti sulle rinnovabili non è sufficiente a compensare i minori investimenti nell’energia tradizionale, soprattutto in considerazione della scala ridotta e della maggiore intensità di capitale per unità di energia prodotta. Alla base di questo modello c’è la convinzione dell’imminente fine dell’era degli idrocarburi. Ciò è stato rafforzato da una marea di analisi che prevedevano il picco della domanda mondiale di petrolio e il calo di circa un terzo del consumo entro il 2040. È interessante notare che ciò è incoerente con le proiezioni del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti secondo cui la domanda americana aumenterà leggermente, e non diminuirà entro 2050.

Le aziende energetiche tradizionali hanno registrato investimenti minimi nonostante i comprovati record di attività e asset base. Le valutazioni sono contenute, ignorando i profitti record dovuti all’impennata dei prezzi del petrolio e del gas conseguente alla guerra in Ucraina.

C’è bisogno di spese in conto capitale per l’energia attraverso fonti nuove ed esistenti, che saranno necessarie per molto tempo a venire, così come le relative infrastrutture e materie prime. L’eccessivo affidamento sull’introduzione delle energie rinnovabili, la mancanza di investimenti nei combustibili fossili e i vincoli sui materiali critici per la transizione creano la possibilità di significative carenze energetiche future.

Vincoli politici

La transizione energetica deve affrontare ostacoli politici.

Mentre la maggior parte dei cittadini è a favore di un allontanamento dai combustibili fossili, l’intrusione da parte di impianti di energia rinnovabile e attività minerarie per estrarre risorse essenziali potrebbe non essere universalmente supportata. Alcuni minerali saranno inevitabilmente estratti in cattive condizioni di lavoro nei mercati emergenti, tra cui una sicurezza sul posto di lavoro inadeguata, l’utilizzo di lavoro minorile, nessuna salvaguardia ambientale e i proventi utilizzati per finanziare i conflitti. Ciò può rivelarsi problematico sia in base alle leggi esistenti che eticamente. Come minimo, ciò rallenterà la fornitura dei necessari materiali di transizione.

Dal punto di vista geopolitico, la richiesta di determinati minerali creerà tensioni. I petrostati esistenti rischiano di perdere finanziariamente e in termini di influenza. Allo stesso tempo, i produttori di materiali essenziali acquisiranno importanza. Il grafico sottostante illustra le nazioni che producono e possiedono riserve di quattro metalli di transizione chiave. L’ampia rappresentanza di paesi in via di sviluppo non necessariamente favorevoli alle agende occidentali è notevole.

Nota : le etichette dei dati nella figura utilizzano i codici paese dell’Organizzazione internazionale per la standardizzazione (IOS). Pr = produzione; r = riserve.

Una questione centrale è il predominio della Cina nella fornitura e lavorazione di minerali critici di transizione. La Cina ha quasi il monopolio su alcuni minerali; ad esempio, il 90 percento degli elementi di terre rare lavorati. È tra i più grandi processori di litio. La Cina fornisce oltre il 60% di tutta la grafite naturale e la maggior parte dell’equivalente sintetizzato necessario per gli anodi delle batterie al litio. Il problema principale è l’elaborazione. Molti materiali richiesti si trovano in basse concentrazioni che richiedono la lavorazione di grandi quantità di minerale e metodi metallurgici spesso inquinanti. I processi sono complessi, ad alta intensità energetica, pericolosi e costosi.

Questa situazione non è casuale. La pianificazione a lungo termine della Cina ha dato la priorità a queste industrie per decenni. Gli acquirenti occidentali hanno acconsentito mentre i trasformatori cinesi, supportati da sussidi statali e standard ambientali minimi, hanno abbassato i costi.

I piani per ridurre la dipendenza dalla Cina sono, nel migliore dei casi, probabilmente lenti o, nel peggiore dei casi, quasi impossibili nei tempi previsti. Le attuali strategie per la gestione della catena di approvvigionamento di queste materie prime includono il friend-shoring per creare fornitori alternativi, costruire scorte e capacità di lavorazione di riserva. È improbabile che sia facile e sarà costoso. Sovvenzioni altamente condizionate (come quelle contenute nell’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti), finanziamenti, opposizione locale per motivi ambientali e riduzione dei prezzi da parte dei fornitori cinesi esistenti hanno finora rallentato diversi progetti. Crescente riconoscimento della posizione si riflette nel notevole cambiamento di linguaggio dal ‘disaccoppiamento’ al ‘de-risking’ in relazione al rapporto con la Cina. Qualunque sia il risultato, la disponibilità e il costo di queste materie prime essenziali limiteranno il passaggio a nuove fonti di energia.

Il controllo di alcune forniture è già un’arma economica. A seguito delle prime scaramucce, a metà del 2023, la Cina ha limitato le esportazioni di composti di gallio e germanio (utilizzati nei semiconduttori e nell’elettronica ad alta velocità), entrambi tra i minerali classificati dal governo degli Stati Uniti come critici per la sicurezza economica e nazionale. Molto probabilmente era una rappresaglia per i divieti statunitensi sugli acquisti cinesi di tecnologie avanzate.

Gli effetti di tali importanti riallineamenti di potere globale sono imprevedibili, specialmente in un periodo come quello attuale in cui sono evidenti varie tensioni.

Per arrivarci, non partirei da qui!

La transizione energetica è fondamentale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra ma anche per integrare la fornitura in calo di combustibili fossili. Ma ci sono dubbi sulla fattibilità di una tale trasformazione dei sistemi energetici mondiali.

L’attuale focalizzazione ristretta sull’elettrificazione è limitante poiché l’elettricità è solo una piccola parte degli attuali sistemi energetici. I requisiti delle applicazioni industriali, dei trasporti pesanti e dell’aviazione richiederebbero che un’ampia varietà di questi processi fosse prima elettrificata o convertita in tecnologie con celle a idrogeno. Anche l’ approvvigionamento di materie prime essenziali per la transizione energetica non è assicurato . Le emissioni e le esternalità derivanti da una maggiore intensità materiale potrebbero non modificare sostanzialmente i livelli complessivi di produzione di gas serra. Gli attuali livelli di investimento sono inadeguati.

Alla fine, la transizione ha ‘hopium’ incorporato. Si trova sulla credenza micawberiana che qualcosa – scientifico o tecnologico – salterà fuori. Sono possibili scoperte che migliorino l’efficienza produttiva, riducono gli inquinanti o consentono la sostituzione di materiali critici per la transizione con alternative migliori, ma non ci si può fare affidamento.

Nella migliore delle ipotesi, qualsiasi transizione energetica potrebbe rivelarsi più lenta e più costosa di quanto si pensi attualmente. Nel peggiore dei casi, la transizione energetica potrebbe rivelarsi impossibile, almeno nella misura attualmente prevista con una sostanziale dipendenza residua dalle riserve di combustibili fossili in diminuzione.

Nel valutare i progressi, la formulazione dell’ex primo ministro russo Viktor Chernomyrdim sembra appropriata: “abbiamo completato tutti i punti: da A a B “.

_________________________

Autore: Satyajit Das, ex banchiere e autore di numerose opere sui derivati ​​e diversi titoli generali: Traders, Guns & Money: Knowns and Unknowns in the Dazzling World of Derivatives  (2006 e 2010), Extreme Money: The Masters of the Universe and the Cult of Risk (2011), A Banquet of Consequences RELOADED (2021) e Fortune’s Fool: Australia’s Choices (2022).

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La fantasia vaticana di Strelkov si è realizzata: Preso in custodia, di SIMPLICIUS THE THINKER

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La fantasia vaticana di Strelkov si è realizzata: Preso in custodia

Oggi Igor Girkin, alias Strelkov, è stato arrestato ai sensi dell’articolo 280, sezione 2, per “incitamento pubblico all’estremismo”.

Poco dopo, anche il suo braccio destro Pavel Gubarev è stato arrestato per aver organizzato un picchetto illegale per il rilascio di Strelkov, anche se si dice che Gubarev sia stato rapidamente rilasciato con una semplice citazione:

Gubarev avrebbe gestito il Club dei patrioti arrabbiati per conto di Strelkov. Si tratta di una nuova startup nata all’inizio di quest’anno che si batte contro il governo russo e la sua percepita “debolezza” nella gestione della guerra, oltre ad altre varie mancanze.

Sono personalmente felice di vedere Strelkov arrestato? Ad essere sincero, sono agnostico su Strelkov. Non mi piace né mi è particolarmente antipatico. Rispetto ciò che ha fatto molto tempo fa e lo considero una sorta di patriota fuorviato che è lentamente sprofondato nell’oscurità e nella depravazione – le due cose forse sono collegate, poiché sembrava che la cattiveria dei suoi attacchi aumentasse in modo inversamente proporzionale all'”oscuramento della sua stella” e al graduale declino della sua rilevanza pubblica.

Tuttavia, pur non nutrendo un forte sentimento di avversione nei suoi confronti, mi rifiuto di guardare oltre la natura grossolana e dannosa della sua ultima ondata di propaganda. Per un rapido aggiornamento, ecco uno dei suoi ultimi post, che ha fatto il giro di vari organi di stampa:

“Per 23 anni, il Paese è stato guidato da un uomo di bassa lega che è riuscito a ‘soffiare polvere negli occhi’ di una parte significativa della popolazione. Ora è l’ultima isola di legittimità e stabilità dello Stato”, si legge nel post. Ma il Paese non sarà in grado di sopportare altri sei anni di questa vile mediocrità al potere”, si legge nel post.”

Piccola correzione: qui sopra si dovrebbe leggere Gorby il Giuda, non l’ebreo – colpa dell’autotraduttore.

Allora, perché Strelkov è stato preso adesso? Si tratta di speculazioni. Gli editorialisti dei 5/6 sosterranno che fa parte di una “epurazione” in corso di tutti coloro che ostacolano Shoigu. L’unico problema di questa teoria è che la grande narrazione della “purga” sembra essere basata su speculazioni completamente fuorvianti o del tutto fraudolente.

Per esempio, ci è stato fatto credere che più di 5-7 grandi generali russi “anti-Shoigu” sono stati recentemente epurati: Popov, Teplinsky, Surovikin, Seliverstov, Kornev, e probabilmente uno o due altri che potrei aver tralasciato in cima alla mia testa.

Un piccolo problema: ognuno di questi casi è stato finora sfatato.

Popov: Ho recentemente riferito che ci sono notizie contrastanti, una che afferma che è stato mandato in Siria, un’altra che afferma che non è stato affatto rimosso, o piuttosto “reinserito” dopo la fiammata iniziale e ora continua il suo lavoro. Il fatto è che al momento nessuno ha prove precise e definitive al 100% della sua attuale posizione, ma sembra che il malinteso sia stato risolto e che possa essere stato reintegrato.

Per quanto riguarda gli altri, proprio ieri sera i canali ufficiali del 76° e 98° VDV Airborne russo hanno pubblicato quanto segue:

Non si fermano i tentativi del CIPSO ucraino di diffondere false notizie informative, appiccicate sul ginocchio. Che si inseriscono logicamente nell’agenda informativa anti-russa che stanno promuovendo attivamente negli ultimi giorni. Lo scopo di questi eventi è ovvio: sullo sfondo di voci estremamente vaghe sulla sorte di un certo numero di generali russi che sono scomparsi dallo spazio informativo dopo eventi ben noti, così come le recenti dimissioni di alto profilo del comandante del 58A generale Popov e lo “scarico” del suo messaggio audio al personale dell’esercito, approfittare della situazione e cercare di causare discordia nei ranghi delle Forze aviotrasportate, che svolgono con successo missioni di combattimento nelle loro aree di responsabilità assegnate nella zona della NMD. Non molto confusi, gli TsIPSOshniks gettano la loro creatività in rete per la visione generale. Recentemente, il comandante della 7ª Divisione aviotrasportata è stato già licenziato, dopo essersi assicurati una debole reazione alle loro pubblicazioni, hanno iniziato a licenziare il comandante della 106ª divisione, ma anche loro non rispondono. E ora, per essere sicuri, hanno deciso di licenziare e, secondo alcuni rapporti, addirittura “uccidere”, per mano del massimo dirigente militare del Paese, il Comandante delle Forze aviotrasportate. Come abbiamo scritto sopra, il loro lavoro è fatto maldestramente in ginocchio e non può provocare altro che un leggero sorriso. Inoltre, canali come “Ax 18+”, “Operazione Z”, “Moscow Calling”, “Anatoly Nesmiyan”, “Kremlin Snuffbox”, “Evgeny Prigozhin in Telegram”, ecc. vengono da loro utilizzati come fonti primarie di informazione. il più delle volte, essendo chiusi all’accesso del pubblico, si sono assicurati da tempo una cattiva reputazione nel segmento russo dei media o, per dirla più semplicemente, sono discariche di rifiuti filo-ucraine che sono sotto il controllo dei servizi speciali ucraini.Tornando al tema delle Forze aviotrasportate, abbiamo informazioni affidabili. A nome degli ufficiali competenti delle due formazioni, possiamo dichiarare ufficialmente che il comandante della 7ª Divisione di fanteria delle Guardie (g), il maggiore generale Kornev A.V. era in vacanza programmata, ma un paio di giorni fa l’ha lasciata e ha iniziato a guidare la formazione nella zona NVO. Il Comandante della 106ª Divisione aviotrasportata delle Guardie, il Maggiore Generale Seliverstov V.V., dopo essere stato continuamente a contatto con il personale, è partito per una vacanza programmata, ma allo stesso tempo riceve dai comandanti di reggimento rapporti giornalieri sullo stato delle cose nelle unità e impartisce ordini appropriati; dopo la fine delle vacanze intende tornare e continuare a schiacciare il nemico. Per quanto riguarda il comandante, anche in questo caso non c’è motivo di farsi prendere dal panico: egli, secondo la sua abitudine, è con le sue guardie in prima linea e guida personalmente le truppe. A causa della mancanza di tempo libero, è molto raramente sotto lo sguardo dei media russi, che spesso vengono utilizzati dal nemico, rilasciando dichiarazioni contraddittorie a suo favore. Non ci sono motivi di preoccupazione e panico, la Russia è sotto una protezione affidabile. I paracadutisti ai posti di combattimento, distruggono il nemico e liberano la terra russa.Fidatevi solo delle fonti ufficiali, i cui link sono tradizionalmente fissati qui sotto:

Così, i paracadutisti ufficiali di Ivanovo e Pskov dichiarano che i famosi generali del VDV, che si diceva fossero stati “epurati” di recente, sono in realtà ancora lì e non sono stati licenziati in alcun modo.

Sopra ho evidenziato un aspetto interessante, ovvero il canale “Evgeny Prigozhin in Telegram”: si tratta di un falso, che finge di essere Prigozhin. Il motivo per cui è degno di nota è che lo stesso Strelkov è recentemente caduto nella falsa propaganda ucraino-hasbara di questo canale e l’ha amplificata per guidare la sua narrazione dannosa:

Igor Strelkov segue ancora una volta la pubblicità truffaldina dei canali Telegram, scambiandola per vere pubblicazioni di notizie. Non c’è stato alcun incontro tra Prigozhin e Putin, così come non c’è alcuna “registrazione dei negoziati con il presidente”, e il link nel post porta al canale “Prigozhin su Telegram”, che non ha nulla a che fare con Yevgeny Prigozhin e le sue strutture. In realtà, Strelkov ha inserito gratuitamente nel suo canale pubblicità truffaldina“.
Questo è in realtà solo il caso più recente; Strelkov è caduto ripetutamente in falsi negli ultimi mesi, cercando qualsiasi piccolo boccone di propaganda da utilizzare per alimentare il suo programma.

Ma ora torniamo al perché. Innanzitutto, un medico di Wagner di nome Dmitry Petrovsky ha rilasciato un audio in cui dichiara di aver presentato una denuncia all’ufficio del procuratore su Strelkov solo pochi giorni fa, a causa del fatto che Strelkov avrebbe raccolto “grandi donazioni” di denaro senza alcuna verifica o responsabilità sulla destinazione dei fondi:

🇷🇺

Un medico del PMC “Wagner” ha confessato di aver scritto una dichiarazione contro Strelkov. L’ex deputato comunale Dmitry Petrovsky ha rivelato ai media di averlo fatto quattro giorni fa. L’ex deputato municipale Dmitry Petrovsky ha rivelato ai media di averlo fatto quattro giorni fa: “Si presume che raccolga grandi donazioni per aiutare i nostri ragazzi, ma non fornisce alcuna responsabilità per le spese”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, naturalmente, sono state le parole di Strelkov sul nostro Presidente Vladimir Putin. Credo che insultare il capo dello Stato sia un crimine”, ha dichiarato Petrovsky.Nel frattempo, i media riportano anche altre ragioni per la detenzione di Igor Strelkov. Inoltre, un residente di Novosibirsk ha presentato una dichiarazione contro l’ex Ministro della Difesa della Repubblica Popolare di Donetsk, chiedendo di indagare su Strelkov per aver tentato di screditare le Forze Armate russe.
Ci sono alcune cose da spiegare, quindi abbiate pazienza.

In primo luogo, l’uomo sottolinea il fatto che c’è qualcosa di strano nell’incarico di Strelkov negli ultimi anni. Non ha avuto un vero e proprio “lavoro” o una posizione, eppure ha uno studio completamente finanziato da cui filma i suoi discorsi, un appartamento, eccetera. Alcuni hanno “suggerito” in passato che Strelkov sia sovvenzionato da qualche oligarca o figura occidentale anti-russa/ONG/apparato di intelligence, ecc.

È vero che qualcuno paga e sovvenziona interamente le operazioni e il “movimento” di Strelkov, ma nessuno sa esattamente chi sia. In passato sono state elaborate teorie più complesse, da parte di persone molto più competenti di me in materia, ma è inutile entrare nel merito ora, poiché la mia intenzione non è quella di fare un’immersione profonda in tutti gli scheletri nell’armadio di Strelkov, ma semplicemente di fornire un’ampia ed equilibrata panoramica contestualizzante della situazione.

Ora, tenete presente che non mi è sfuggita l’ironia della denuncia del “medico Wagner” nei confronti di Strelkov. Ecco che Wagner, reduce da uno dei più grandi tentativi di ribellione della storia recente della Russia, accusa Strelkov di sedizione; la classica pentola e il bollitore. Inoltre, almeno in superficie, sembra esserci un’ingiustizia notevole nel fatto che Prigozhin sia stato lasciato libero senza punizioni mentre Strelkov è ora detenuto.

Ma si deve notare che Prigozhin si è premurato di non portare mai il suo caso apertamente o apparentemente contro Putin; non ha mai nemmeno menzionato il suo nome durante i suoi discorsi. Così, quando ha compiuto queste azioni, ha dato loro il carattere di essere più un bisticcio tra generali/comandanti, piuttosto che un vero e proprio colpo di stato contro il Cremlino o la presidenza. Strelkov, invece, ha iniziato a chiedere apertamente la destituzione o il rovesciamento di Putin, utilizzando un linguaggio sempre meno eufemistico.

In secondo luogo, Prigozhin è stato responsabile di alcuni dei più grandi trionfi russi sul campo di battaglia degli ultimi tempi, mentre Strelkov è visto come uno che è scappato da Slavyansk. In questo modo si acquista una certa quantità di valuta politica e di protezione che – che lo si voglia o no – può contribuire in modo significativo al perdono. In breve: se ti presenti adornato di gloria tangibile, sarai considerato utile e le tue argomentazioni avranno più peso di quelle di uno scantinato che vomita vetriolo infondato e che non ha realizzato nulla in quasi un decennio.

Questo assolve completamente Prigozhin? No, sono solo i fatti di realpolitik di come funziona il mondo.

Inoltre, va detto che il destino di nessuno dei due è ancora segnato, quindi tutto è solo una speculazione. Prigozhin potrebbe ancora avere la sua rivincita e Strelkov stesso potrebbe cavarsela con una leggera ammonizione. Le cose sono ancora in movimento e si stanno svolgendo.

Lo stesso Strelkov ha notoriamente emesso una cruda profezia all’inizio di quest’anno: se dovesse arrivare il giorno del suo arresto, significherebbe che lo scenario peggiore si è attivato e che la Russia perderà certamente la guerra e crollerà subito dopo. Naturalmente, il fatto che la profezia sia convenientemente ancorata alla legittima punizione delle sue stesse malefatte è destinato a essere liquidato come una semplice coincidenza.

Non dobbiamo nemmeno dimenticare che Strelkov è stato un maestro della profezia, alla stregua di Jim Cramer; in questo senso, qualsiasi cosa egli preveda, sarebbe saggio scommettere sul fatto che il fattore opposto si verifichi effettivamente.

Nel 2015, dopo tutto, Strelkov ha notoriamente previsto che Assad sarebbe caduto, che la potenza aerea russa sarebbe stata troppo debole per trattenere i ribelli e che, dopo aver perso catastroficamente in Siria, la Russia sarebbe crollata, portando alla cacciata di Putin (è ossessionato dal rovesciamento di Putin, o cosa?).

Controllare la data dell’articolo qui sotto:

All’inizio di quest’anno, aveva previsto che la Russia non avrebbe catturato Bakhmut e, dopo averla conquistata, aveva anche previsto che non avrebbe potuto tenerla e che sarebbe presto ricaduta nelle mani dell’AFU:

Il blogger militare russo Igor Girkin ha minimizzato l’importanza delle notizie secondo cui le truppe russe avrebbero accerchiato Bakhmut e ha espresso il dubbio che la città di Donetsk possa essere tenuta da Mosca.
E per coloro che sono stati avvelenati dalla propaganda della quinta colonna, che sostiene ripetutamente che Strelkov è considerato un eroe ovunque vada, rendendo così la sua parola pura e virtuosa, vi presento il famoso combattente del Donbass Russell “Texas” Bentley, che ha messo a ferro e fuoco Igor Girkin, un video intitolato “Texas Takes Strelkov To The Woodshed” (Il Texas porta Strelkov nella baracca) prima che venisse rimosso senza tanti complimenti da YouTube:

Concludo ribadendo ancora una volta che, nonostante abbia gettato su di lui un po’ di polvere giustificata, non ho in realtà un’ascia di guerra contro Strelkov. Una parte di me pensa che possa essere mentalmente malato, dato il suo lungo isolamento e la sua reputazione in calo nel corso degli anni. Di certo, quando ho visto i video di oggi, non sembrava una persona mentalmente “a posto”, e penso che anni di rancori personali e di dover riconciliare il fallimento della sua visione del mondo lo abbiano colpito, corroso e forse creato un uomo distrutto, risentito e dispettoso che, nonostante le molte buone intenzioni, ha iniziato ad appoggiarsi troppo pesantemente su espedienti per attirare l’attenzione al fine di massaggiare il suo ego.

Chiunque l’abbia seguito fin dall’inizio, come me, noterà il lento ma marcato declino e la strana impennata dei suoi comportamenti più attentivi, quelli a basso costo e a valore d’urto, che fanno quasi pensare a una vera e propria malattia mentale. Per esempio, chi si ricorda di questo video dello scorso Natale in cui Strelkov ha fatto il botto, sostenendo assurdamente che Putin non è reale, è un clone o una controfigura:

Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i video di questo tipo, in cui il giornalista è apparso sempre più scombussolato. Nel video di cui sopra, fa direttamente il gioco di Budanov e del marchio di propaganda dell’SBU, quasi a suggerire una sorta di sottile coordinamento con le forze atlantiste per screditare Putin. Forse gli anni in cui si è predetto il suo rovesciamento erano in realtà una forma di wishful thinking e un tentativo di realizzare una profezia che si autoavvera?

Che altro si può dire?

Non avevo intenzione di fare un aggiornamento sugli altri sviluppi della SMO oggi, ma visto che siamo già qui, perché non aggiornarci su alcune delle cose più urgenti?

La cosa più interessante di oggi sono state le osservazioni di Putin sulla situazione polacca, in cui ha ripreso molto di ciò che ho scritto di recente. In breve, la situazione sta diventando critica: la “carne” ucraina si sta esaurendo e la carne polacco-lituana sarà il prossimo piatto del menu per quanto riguarda il piano di gioco della NATO:

Questo mi colpisce solo perché sembra essere la prima volta che Putin stesso affronta la questione in modo così schietto e diretto. Il fatto che Putin stesso lo affronti così apertamente ora, dopo mesi di allusioni da parte dell’SVR e di altri funzionari di livello inferiore, significa che le cose stanno davvero precipitando in questa direzione.

Si noti che, nelle osservazioni di Putin di cui sopra, sembra esserci una “minaccia” non tanto sottile nei confronti della Polonia, alla quale ha ricordato che alcune delle sue terre sono state di fatto generosamente donate da Stalin, con la chiara implicazione: il signore dà e il signore toglie.

Date le parole molto decise di Putin, il riposizionamento delle truppe di Wagner in Bielorussia e le recenti dichiarazioni del presidente della commissione Difesa della Duma sullo scopo di Suwalki Gap di Wagner danno una nuova dimensione a questi sviluppi.

In linea con il video di cui sopra, di seguito una sintesi dei punti principali del discorso di Putin:

▪️I responsabili occidentali di Kiev non nascondono la loro delusione per i risultati della cosiddetta controffensiva. L’Ucraina sta esaurendo le sue risorse di mobilitazione. Le scorte di armi occidentali sono esaurite e le capacità tecnologiche sono limitate. Il comando dell’operazione speciale dimostra professionalità, i soldati e gli ufficiali compiono coraggiosamente il loro dovere e le attrezzature occidentali “invulnerabili” bruciano perfettamente sul campo di battaglia. L’opinione pubblica ucraina sta gradualmente cambiando e la popolazione sta “gradualmente rinsavendo”, e anche gli atteggiamenti in Europa stanno cambiando. Trascinare il conflitto ucraino è vantaggioso per le élite statunitensi. L’indipendenza della Polonia dopo la Seconda guerra mondiale è stata in gran parte ripristinata grazie alla partecipazione dell’URSS. I territori occidentali dell’attuale Polonia sono un regalo di Stalin ai polacchi. La Russia vede che il regime di Kiev è pronto a usare qualsiasi mezzo per “preservare la sua natura corrotta”. I traditori in Ucraina sono pronti ad “aprire le porte” alle forze straniere influenti in Occidente e a vendere nuovamente il Paese. Sembra che i leader polacchi stiano cercando di formare una coalizione sotto l’ombrello della NATO per intervenire nel conflitto in Ucraina e prendere una grande porzione di territorio per sé. Putin ha incaricato il capo dei servizi segreti esteri, Naryshkin, di monitorare i piani della Polonia per l’Ucraina. La Polonia si è impadronita di parte della Lituania, ha sottratto alla Russia le sue terre storiche e ha partecipato alla divisione della Cecoslovacchia, approfittando della guerra civile. La Russia reagirà con tutti i mezzi disponibili in caso di aggressione occidentale alla Bielorussia.
Ed ecco il giornalista francese Jean-Dominique Marchais che alla TV francese afferma che la Polonia si sta preparando a prendere l’Ucraina occidentale:

💥💥💥French journalist Jean-Dominique Marchais – on Poland’s preparations to invade western Ukraine: I confirm that there are reflections, particularly in Poland and in the Baltic States, about the creation of one of the multinational divisions, let’s say including Ukrainian forces, Polish forces, if Russia could break through the front and resume the offensive there. I think there would indeed be such a division, as Poland and others, they would send troops outside of NATO.

Jean-Dominique Merchet cites many official sources. This is not the first time this possibility has been mentioned. A few weeks ago Anders Fogh Rasmussen, the former head of NATO, already confirmed this with our Guardian colleagues: ‘We know that Poland is very committed to supporting Ukraine, and I don’t rule out that Poland will be more involved on a national basis and that the Baltic states will follow with a possible ground troop intervention’.”💥💥💥

Recall my recent exegeses on this very topic and how the Polish-Lithuanian situation has been developing under the surface. Recall the main points about how Ukraine has run out of big ‘milestones’ to look forward to in order to save the AFU in some way, whether it’s new wunderwaffen, key NATO summits, falseflag opportunities, etc.

That means as Russia ratchets up the pressure in the near future, and the AFU begins to collapse, the forces of which Putin is talking about, will begin to truly ramp up toward a potential major escalation. One interesting thing Putin noted was that there are particular ‘traitors’ in Ukraine who are acting as the ‘postern gate openers’ to let in Polish forces.

One possibility I can see—which is in line with my earliest predictions from the very first two or three reports I made here—is that once Russia captures the Donbass or everything east of the Dnieper, if at that point the AFU still has the morale and wherewithal to continue the fight, they could retreat to the right bank and make a bastion of it there. Then, Poland can enter in the west of the country under a special deal with the collapsing Ukrainian government which will basically quid pro quo trade sovereignty of the western lands for ‘Polish protection’.

Note that there were already rumors months ago which I reported on that Poland could offer to “temporarily” take some of the western territories under its full governmental protection ostensibly to prevent Russia from ‘attacking’ them. This is one of the oldest tricks in the book used by the likes of Erdogan in Idlib and North Syria, for instance, to actuate a full annexation of a desired land under the guise of some sort of ‘temporary’ protectorate. This is the most likely way that Poland would enter the conflict in the medium term future, at least initially—then it could develop from there depending on how Russia reacts to this and other exigencies.

This comes on the heels of the following news, as well:
Poland to move military formations from the west to the east of the country due to possible threats related to the Wagner group, Poland’s press agency reports – Reuters

Now, a few quick updates on the grain deal corridor situation.

Russian UN representative Polyansky re-iterated that vessels traveling toward Odessa will be regarded by Russia as potentially carrying weaponry to the Kiev regime:

Il deputato della Duma russa Petr Tolstoj ha dichiarato in modo promettente:

Petr Tolstoj, deputato della Duma di Stato della Russia: “Il ritiro dall’accordo sul grano è un grande passo avanti per la Russia. Ora dobbiamo assumere il pieno controllo dell’intera costa settentrionale del Mar Nero, privando l’Ucraina del suo accesso. Dobbiamo colpire non solo il porto, ma anche le infrastrutture militari, senza guardare all’ululato che si è levato a ovest dei nostri attacchi missilistici. Questo è solo rumore grigio”.
Alcuni hanno espresso la preoccupazione che l’Ucraina possa semplicemente trasportare il grano su rotaia fino al porto rumeno di Galati, e questo è vero fino a un certo punto. Tuttavia, oggi ho visto che questo dimezzerebbe le esportazioni mensili di grano dell’Ucraina. Potrebbero esserci anche altri ostacoli, ancora più grandi, che lo impediscono.

Per quanto riguarda gli attacchi, ieri sera la Russia ha effettuato una nuova serie di attacchi con missili Onyx e altri. Sono stati segnalati dei colpi, come questo confermato da un membro della rete clandestina/partigiana di Nikolayev, che avrebbe colpito una base di mercenari con molte vittime:

Oggi si è continuato a colpire obiettivi in tutto il Paese, compresa questa spettacolare esplosione a Zhitomir, che sarebbe stata causata da un drone di Geran:

If you look closely you can see a huge amount of sparkling secondaries, which some have astutely pointed out could be the new shipments of American cluster munitions going off in the fire.

Also, Russia has been using a lot of Onyx missiles in the last few strikes, which Ukrainian airforce spokesman admitted are un-interceptable for the AFU, given their extreme near-Mach 3 speed:

🇷🇺⚔️🇺🇦

Se si guarda da vicino, si può notare un’enorme quantità di secondi scintillanti, che alcuni hanno astutamente fatto notare potrebbero essere le nuove spedizioni di munizioni a grappolo americane che esplodono nel fuoco.

Inoltre, la Russia ha utilizzato molti missili Onyx negli ultimi attacchi, che il portavoce dell’aeronautica ucraina ha ammesso essere inaccettabili per l’AFU, data la loro estrema velocità vicina al Mach 3:

La Difesa aerea ucraina non è in grado di intercettare i missili russi “Oniks” utilizzati negli attacchi a Odessa e Nikolaev della scorsa notteYuriy Ignat, portavoce delle Forze armate ucraine, ha dichiarato che la Difesa aerea ucraina non sarà in grado di abbattere i missili russi “Oniks”, utilizzati nei recenti attacchi a Odessa e Nikolaev. “I missili ‘Oniks’ sono originariamente progettati per colpire le navi di superficie, con una velocità superiore ai 3000 km/h. Lo stesso vale per i missili “X-22″, che viaggiano a una velocità superiore ai 4.000 km/h”.
La cosa più ridicola è che poco prima hanno affermato di essere in grado di abbattere i missili russi Kinzhal, che si dice viaggino a più di 10 Mach.

.

Quindi, hanno abbattuto “13 Kinzhal” a Mach 10, ma non possono abbattere un singolo P-800 Onyx a Mach ~2. Solo in Ucraina!

Inoltre, va notato che l’ex generale russo Evgeny Buzhinsky ha dichiarato che gli attacchi di Odessa erano in realtà già pianificati prima dell’attacco al ponte di Kerch, e che i veri attacchi di rappresaglia sono ancora in fase di definizione e avranno luogo nel prossimo futuro:

A parte questo, ci sono stati altri video della distruzione di massa dei blindati ucraini su ogni fronte, compreso questo cimitero di M2 Bradley:

E ancora:

Inoltre la colonna di corazzati ucraini è stata decimata da ogni lato vicino al fianco meridionale di Bakhmut:

Continuano ad essere catturati anche molti prigionieri di guerra ucraini:

A proposito di munizioni a grappolo – che gli Stati Uniti occidentali hanno ora ammesso che l’Ucraina ha iniziato a usare pienamente:

Compreso questo notiziario britannico sul loro arrivo al fronte:

I rapporti affermano quanto segue a nome della Russia:

Ecco a voi….Canale telegram ucraino “Residente”: “L’MI-6 ha trasmesso nuove informazioni all’Ufficio del Presidente e allo Stato Maggiore dell’Ucraina, secondo le quali il Cremlino ha deciso di utilizzare pienamente il suo arsenale di munizioni a grappolo in Ucraina. L’esercito russo ha iniziato a spedire bombe/missili/gusci a grappolo al fronte”.
Nel frattempo, le foto da Fort Moore (ex Fort Benning) mostrano i soldati statunitensi che si allenano a scavare trincee:

Infine, un piccolo riassunto delle notizie occidentali per avere un’idea dei sentimenti attuali:

Un istruttore americano descrive la tripla perdita di soldati ucraini e l’uso improprio di costose attrezzature occidentali, che causano insoddisfazione tra gli sponsor. “L’Ucraina si trova di fronte a una finestra di opportunità che si sta chiudendo per evitare una ‘guerra perpetua’ con la Russia”, ha detto un veterano delle forze speciali statunitensi che ora addestra le truppe di Kiev. Il direttore e cofondatore dell’Ukraine Defense Support Group, con sede a Kiev, Eric Kramer, ha detto in un’intervista da Kiev che le forze di Mosca sono ben radicate e che espellerle sarà un progetto lungo e costoso per le forze ucraine. “Molti dei miei ragazzi lavorano al punto di raccolta dei feriti. E stanno vedendo il triplo delle vittime rispetto a qualche mese fa. È piuttosto terribile”, ha detto Kramer .Via Ukraina_RU
Non solo la finestra si sta chiudendo, ma il numero delle vittime è triplicato rispetto a mesi fa. Il che la dice lunga, considerando che mesi fa c’era il tritacarne di Bakhmut, dove le perdite ucraine erano ai massimi storici.

Non sorprende che siano emerse sempre più notizie sullo sviluppo dei problemi cimiteriali in Ucraina. Per esempio:

L’entità del fallimento della controffensiva promessa all’Occidente, che avrebbe dovuto liberare non solo le regioni di Kherson e Zaporozhye, ma anche la Crimea, può essere stimata dalle tombe dei militari ucraini morti. Dobbiamo seppellire così tanto che non ci sono abbastanza posti nei cimiteri.
A Charkiv, i posti nel cimitero Bezlyudovsky, così come nei cimiteri n. 17 e n. 18, sono esauriti. Nei cimiteri di Lviv si stanno scavando vecchie tombe e al loro posto si stanno preparando tombe per i soldati caduti. Ma la parte più difficile è a Kiev e nella regione. Solo nel cimitero Bykovnyansky, vicino a Kiev, nella primavera di quest’anno sono stati assegnati 50 mila posti per la sepoltura dei caduti, che si è conclusa a metà luglio. Nel distretto di Obukhov, nella regione di Kiev, le autorità locali sono addirittura costrette a procurarsi vecchi documenti per rifiutare ufficialmente ai residenti di seppellire i loro parenti defunti nel cimitero.
Inoltre, il ministro ucraino per gli Affari dei veterani ha rivelato una spaventosa cifra prevista per il numero di veterani di questa guerra attesi per l’Ucraina:

“Una cifra spaventosa”: 4 milioni è esattamente il numero di veterani che ci saranno in Ucraina dopo la fine della guerra”, ha dichiarato Y. Laputina. “La cifra che abbiamo previsto dopo la vittoria è che ci saranno almeno 4 milioni di persone di questo tipo”.
Questo potrebbe indicare che l’Ucraina sta effettivamente utilizzando e perdendo molti più uomini di quanto si possa immaginare.

L’illustre “Richard Kemp” di cui sopra, tra l’altro, è lo stesso “oracolo” responsabile, nel corso dell’ultimo anno, di gemme come la seguente:

Come cambiano i tempi.

La nuova direttiva prevede che gli alleati si orientino maggiormente verso la “riparazione” dei veicoli ucraini piuttosto che la fornitura di nuovi:

Suppongo che sia un modo per ammettere che non hanno più nulla da inviare.

La Russia continua a fare trucchi satellitari con la NATO, ora dipingendo finti aerei sulle piste per ingannare l’ISR:

Infine, nel suo ultimo video, Yuri Podolyaka afferma di ritenere che, dopo che gli assalti alla carne dell’Ucraina si esauriranno presto, la Russia lancerà una sua grande offensiva intorno ad agosto:

Trovo questo particolarmente interessante, visto il video precedente che ho postato, in cui il presidente del Comitato per la Difesa della Duma di Stato, Andrei Kartapolov, afferma che Wagner ha un ulteriore scopo nel trovarsi in Bielorussia. Egli ha indicato come scopo la riconquista del Corridoio di Suwalki. Tuttavia, dato che lo scontro potenzialmente previsto con la Polonia potrebbe essere ancora lontano, Wagner potrebbe essere utilizzato prima di una tale escalation.

È interessante notare che, se ricordate, Prigozhin ha ripetutamente affermato che Wagner tornerà a combattere il 5 agosto. Dato che ora abbiamo la conferma della presenza di Wagner in Bielorussia, con nuove foto satellitari che sembrano mostrare i campi militari che si stanno riempiendo, questo ci porta a concludere che un potenziale fronte settentrionale di Wagner potrebbe essere ancora in gioco.

⚡️⚡️⚡️

Il campo della PMC di Wagner vicino a Osipovichi si espande ogni giorno. Al momento, almeno 10.000 combattenti sono stati dispiegati o saranno trasferiti nel territorio della Repubblica di Bielorussia.
Ricordiamo che i funzionari ucraini non hanno mai smesso di lamentarsi della formazione da parte della Russia di un invincibile pugno d’attacco di 100.000 uomini nella regione nord-orientale di Kharkov-Svatove. Consolidando questi sviluppi, si può dedurre che potrebbe esserci la possibilità di un’offensiva russa più ampia in quella regione con un’incursione di qualche tipo da parte di Wagner da nord.

Il campo della PMC di Wagner vicino a Osipovichi si espande ogni giorno. Al momento, almeno 10.000 combattenti sono stati dispiegati o saranno trasferiti nel territorio della Repubblica di Bielorussia.
Ricordiamo che i funzionari ucraini non hanno mai smesso di lamentarsi della formazione da parte della Russia di un invincibile pugno d’attacco di 100.000 uomini nella regione nord-orientale di Kharkov-Svatove. Consolidando questi sviluppi, si può dedurre che potrebbe esserci la possibilità di un’offensiva russa più ampia in quella regione con un’incursione di qualche tipo da parte di Wagner da nord.

Tenete presente che per ora la considero ancora un’estrapolazione di bassa affidabilità, fino a ulteriori informazioni/sviluppi, ma mi limito a menzionare la possibilità. La cosa più probabile è la continua espansione delle operazioni russe nella regione di Svatove-Kremennaya e la graduale ramificazione da lì, ma vedremo se ci saranno nuovi indizi che indicheranno qualcosa di più grande.

Un ultimo paio di elementi disparati:

L’ultima volta ho parlato della nuova versione russa di Starlink, il cui primo satellite è attivo e funzionante. Questa volta ho una versione meglio sottotitolata e alcune nuove informazioni contestualizzanti sui suoi progressi:

Tre satelliti di comunicazione nazionali in orbita bassa lanciati dal cosmodromo di Vostochny, sviluppati dalla società russa Bureau 1440, hanno trasmesso la prima connessione a Internet. Ora la velocità di trasferimento dei dati al dispositivo è di 12 Mbps e il ritardo è di 41 millisecondi. L’obiettivo del progetto è creare un servizio commerciale di accesso a Internet a banda larga via satellite che operi in orbite basse, ad alta velocità e con ritardi minimi. A partire dal 2025, è previsto il lancio in orbita di 10-12 razzi all’anno, con circa 15 satelliti collocati in un razzo. In totale, entro il 2035 saranno creati e lanciati in orbita più di 900 satelliti domestici a bassa orbita. Essi forniranno Internet satellitare ad alta velocità ai residenti di tutta la Russia. I piani prevedono di fornire servizi di accesso a banda larga utilizzando i veicoli spaziali russi in 75 Paesi del mondo.
Il prossimo:

Un capitano ucraino della 72esima brigata meccanizzata racconta alcune esperienze molto interessanti vissute durante i combattimenti contro Wagner a Bakhmut, in particolare i trucchi usati da Wagner contro le sue forze, come i cani d’attacco addestrati per assaltare le trincee, tra le altre cose:

E infine, un’altra nuova visione chiara delle bombe radenti russe UMPC “JDAM ortodosso” sganciate dai Su-34:

 

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Destini energetici – Parte 2: Energia rinnovabile – Carenze caratteriali di Satyajit Das

nella prima parte l’autore ha esaminato il ruolo svolto dall’energia nell’ascesa delle società moderne e nei modelli di domanda e offerta nel tempo. Questa parte esamina le fonti di energia rinnovabile, in particolare il potenziale degli impianti solari ed eolici per sostituire i combustibili fossili.

Niente di nuovo sotto il sole

La ricerca di fonti energetiche alternative non è nuova. Storicamente, ha ruotato intorno a:

  • Disponibilità : le nazioni prive di grandi riserve di combustibili fossili hanno cercato di compensare questa debolezza, inclusa la dipendenza dai fornitori o dalle rotte di trasporto.
  • Costo : gli utenti di energia si sono concentrati su fonti di combustibile a basso costo.
  • Sviluppi scientifici : i miglioramenti nella fisica e nella chimica dell’energia hanno incoraggiato l’uso di alternative.

Negli ultimi tre decenni, la ricerca di alternative è stata motivata dal desiderio di ridurre le emissioni di combustibili fossili. Questo è particolarmente vero nelle nazioni avanzate una volta che sono emersi combustibili più puliti come il gas naturale e i derivati ​​del petrolio, che alleviano gli aspetti evidenti dell’inquinamento atmosferico. Ma dovrà anche superare le carenze dovute alla diminuzione delle forniture di combustibili fossili.

Tipi di fonti energetiche alternative

Le alternative possono essere raggruppate in:

  • Nucleare : c’è stato un crescente interesse per l’energia nucleare dopo la seconda guerra mondiale come fonte di elettricità di base a causa delle sue dimensioni e della promessa di elettricità ” troppo economica per essere misurata “. Era attraente soprattutto per i paesi privi di grandi riserve di combustibili fossili a basso costo come Giappone, Francia e Germania.
  • L’acqua idroelettrica è una fonte di energia storicamente importante (mulini ad acqua). Le dighe, promosse da agenzie di sviluppo come la Banca mondiale, hanno combinato generazione di energia, irrigazione, controllo delle inondazioni e collegamenti di trasporto (di fatto come un ponte). Il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru ha proclamato le dighe come i “templi dell’India moderna” che integrano lo sviluppo agricolo e l’economia del villaggio con la rapida industrializzazione e la crescita dell’economia urbana.
  • Rinnovabili moderne – principalmente al solare e all’eolico.

L’energia nucleare è caduta in disgrazia dopo i gravi incidenti (Three-Mile Island; Chernobyl; Fukashima), la diffusa opposizione pubblica e la preoccupazione per la proliferazione delle armi nucleari. I danni ecologici e lo spostamento delle popolazioni hanno ridotto il fascino delle dighe nel corso degli anni, anche se la tecnologia idroelettrica esistente, a causa della sua lunga vita, è probabile che continui a rimanere una fonte di energia. Diventerà anche sempre più importante per l’accumulo di energia.

L’obiettivo attuale è l’energia rinnovabile , derivata da fonti naturali, reintegrata a un tasso superiore a quello consumato e che crea emissioni inferiori rispetto ai combustibili fossili. È un mix di vecchie e nuove tecnologie.

Le forme tradizionali di energia rinnovabile basate su una tecnologia matura includono:

  • Hydro: gli usi dell’energia dell’acqua che si sposta da quote più alte a quote più basse per generare elettricità attraverso turbine.
  • Geotermico: l’uso di energia termica dall’interno della Terra utilizzando pozzi o altri mezzi per generare elettricità o fornire riscaldamento. È disponibile solo in luoghi con serbatoi idrotermali accessibili (vicini alla superficie), naturalmente sufficientemente caldi e permeabili.
  • Biomassa: la bioenergia è prodotta da materiali organici, principalmente legno, e colture agricole, sotto forma di biocarburanti liquidi. I moderni sistemi a biomassa includono colture o alberi dedicati, residui dell’agricoltura e della silvicoltura e vari flussi di rifiuti organici.

Queste fonti tradizionali sono sempre più integrate da tecnologie più recenti, tra cui:

  • Solare: la radiazione solare viene convertita in energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici o tramite specchi che concentrano la radiazione solare. Anche se non tutti i paesi sono ugualmente dotati, l’energia solare intercettata dalla Terra è circa 10.000 volte superiore al tasso di consumo attuale, rendendola una risorsa molto consistente.
  • Vento: il movimento dell’aria è stato utilizzato per millenni per alimentare l’industria (mulini a vento) o il trasporto (navi a vela). L’iterazione moderna sfrutta l’energia cinetica utilizzando grandi turbine eoliche situate sulla terraferma (onshore) o nei mari vicino alla costa (offshore). I progressi tecnologici (turbine più alte e diametri del rotore maggiori) consentono di aumentare il potenziale di generazione di elettricità. Sebbene la disponibilità di energia eolica sia variabile (la velocità media del vento varia a seconda della località), il potenziale tecnico teorico dell’energia eolica supera l’attuale produzione globale di elettricità.
  • L’energia oceanica: l’energia cinetica e termica del mare o dell’acqua dolce — onde, flussi di marea o correnti — può generare elettricità simile all’energia idroelettrica. Mentre la tecnica è nascente, il potenziale teorico per l’energia oceanica può superare l’attuale fabbisogno energetico umano.

Una serie di altre tecnologie emergenti di energia rinnovabile sono teoricamente fattibili:

  • Raffreddamento radiativo diurno passivo: utilizza la freddezza dello spazio esterno per il raffreddamento diurno degli spazi interni, la mitigazione dell’isola di calore urbana esterna e il miglioramento dell’efficienza delle celle solari.
  • Radiazione termica infrarossa terrestre: cerca di convertire il flusso di radiazione termica infrarossa verso lo spazio esterno freddo in elettricità. In teoria, questa tecnologia potrebbe essere utilizzata durante la notte quando l’energia solare non viene generata.
  • Combustibili di alghe: utilizza alghe ricche di olio o grassi per produrre biocarburanti.
  • Vapore acqueo: utilizza le cariche di elettricità statica delle gocce d’acqua sul metallo per generare energia.

L’idrogeno a volte viene erroneamente citato come fonte di energia rinnovabile. È un potenziale deposito di energia che può essere utilizzato come il petrolio o il gas. Richiede energia generata da combustibili fossili o fonti rinnovabili per alimentare un elettrolizzatore per convertire l’acqua in idrogeno gassoso. Il gas a zero emissioni di carbonio inodore, incolore e leggero che può quindi essere immagazzinato, trasportato e utilizzato quando necessario.

La capacità delle fonti energetiche rinnovabili di sostituire sostanzialmente i combustibili fossili è influenzata da alcune caratteristiche. Sebbene ci sia qualche disaccordo tra gli esperti, le energie rinnovabili ottengono un punteggio basso sul ritorno energetico sull’energia investita (EROEI). Ci sono altri problemi come l’intermittenza, la co-ubicazione, la densità di energia e la densità di potenza superficiale. Anche l’enfasi esagerata sulle minori emissioni di anidride carbonica delle rinnovabili non è così incontestabile come spesso viene presentato. Questi fattori insieme alle esternalità influenzano l’utilità e il costo economico delle rinnovabili.

Intermittenza

Idealmente, la disponibilità di energia è immediatamente disponibile così come la fornitura è stabile e ininterrotta.

La domanda, in particolare per l’elettricità, è spesso suddivisa in livelli quali:

  • Carico di base: domanda minima relativamente costante e coerente.
  • Carico di picco: domanda massima, durante un periodo come un giorno o in circostanze insolite, come una giornata insolitamente calda in cui tutti accendono i condizionatori d’aria.

I modelli di disponibilità richiesta variano. La domanda nel suo complesso è in aumento e i picchi sono più difficilmente prevedibili e accentuati, talvolta protraendosi per periodi più lunghi a causa, anche, degli effetti delle condizioni meteorologiche estreme. I carichi di punta possono, in alcuni casi, essere il doppio del carico di base.

La produzione oraria di elettricità negli Stati Uniti mostra la variabilità.

Il sistema energetico richiede una significativa capacità tampone per soddisfare le esigenze di punta. Di seguito sono riassunti un tipico stack di potenza corrente e fonti di generazione di elettricità :

In sostanza, la necessità è di disponibilità immediata (spesso definita potenza dispacciabile); ad esempio, la possibilità di accendere luci, climatizzazione, macchinari e accedere a opzioni di trasporto immediate (tramite veicoli tradizionali alimentati da motori a combustione interna). L’assenza di interruzioni impreviste e stabilità è fondamentale per le applicazioni industriali che spesso richiedono lunghe procedure di avvio e spegnimento.

Un problema ben documentato con le rinnovabili è l’intermittenza. Questo assume due forme:

  • Intermittenza prevedibile: si riferisce ai cicli naturali giorno-notte o stagionali che influenzano la generazione di energia solare, eolica, idroelettrica e delle maree.
  • Intermittenza imprevedibile: si riferisce a eventi imprevisti come condizioni meteorologiche fuori stagione, ad esempio copertura nuvolosa, vento debole o forte o assenza di precipitazioni.

L’intermittenza imprevedibile è particolarmente impegnativa. Gli esempi includono il fenomeno della calma globale o della siccità del vento . La forza del vento che soffia attraverso il nord Europa è diminuita in media del 15% , probabilmente a causa dei cambiamenti delle condizioni meteorologiche.

L’intermittenza è un ostacolo in quanto la società e le economie moderne non sono strutturate attorno a un’offerta continua e affidabile. Le interruzioni di corrente influenzerebbero il trasporto a causa del guasto dei sistemi di trasporto di massa alimentati elettricamente e persino dei semafori. Le famiglie richiedono una fornitura costante e ininterrotta; ad esempio, il guasto della refrigerazione dovuto a interruzioni di corrente porterebbe al deterioramento del cibo e la vita in un grattacielo diventerebbe difficile dove il rischio di rimanere intrappolati in un ascensore non è banale.

Il problema potrebbe essere sottostimato Le fluttuazioni della velocità del vento hanno un effetto importante sulle prestazioni . Se la velocità del vento scende della metà rispetto ai 30 chilometri (20 miglia) ideali all’ora, la potenza disponibile diminuisce di un fattore otto. Se la velocità del vento raddoppia, la potenza erogata aumenta di otto volte e la turbina deve essere girata per evitare guasti. La capacità di generazione nominale installata nell’Unione Europea e nel Regno Unito nel 2021 era di 236 gigawatt, ma la produzione giornaliera più alta era di soli 103 gigawatt. L’inaffidabilità è maggiore per l’energia eolica generata in mare aperto.

Come minimo, l’intermittenza richiede un accumulo di energia su larga scala o meccanismi supplementari, tra cui la generazione di energia da combustibili fossili o nucleare, per soddisfare la necessità di energia dispacciabile.

Requisiti di infrastruttura

Una fonte di energia vicino al punto di utilizzo è utile. Le centrali a carbone, a gas e nucleari possono essere posizionate convenientemente vicino ai consumatori. I combustibili fossili (carbone) e i liquidi (petrolio, gas) possono essere trasportati alla rinfusa o tramite oleodotti. Il trasporto di gas su lunghe distanze dove i gasdotti sono impraticabili richiede costose strutture dedicate per la liquefazione e la rigassificazione, nonché navi specializzate (note come “treni”). Il combustibile nucleare è facilmente trasportabile anche se i rischi per la sicurezza e le radiazioni devono essere gestiti.

Al contrario, molte fonti di energia rinnovabile sono specifiche della geografia, spesso lunghe distanze dalla popolazione e dai centri industriali. Le migliori fonti solari si trovano nelle regioni più calde con una copertura minima di alberi e nuvole, come le regioni desertiche o aride. Le posizioni migliori per l’energia eolica, come l’offshore, sono spesso remote.

Ciò richiede investimenti nello stoccaggio, linee di trasmissione più lunghe e una significativa riconfigurazione della rete che si aggiunge ai costi e alle esigenze infrastrutturali.

Un primo problema è la scala richiesta. In parte, ciò riflette il fatto che l’elettricità fornita attraverso la rete è storicamente solo uno dei diversi modi per accedere all’energia. Altre opzioni, come benzina e gas, hanno scavalcato la rete. Il passaggio all’utilizzo di più elettricità, implicito nelle energie rinnovabili, richiede un’espansione su larga scala.

La rete elettrica è attualmente realizzata attorno a generatori situati in prossimità del punto di utilizzo. Le fonti di combustibile vengono trasportate agli impianti e l’energia viene distribuita agli utenti in genere all’interno di un’area compatta. L’uso delle rinnovabili altera questi accordi:

  • L’energia può essere generata a una certa distanza da dove è necessaria, richiedendo nuovi sistemi di trasmissione.
  • Lo stoccaggio dell’energia è necessario per gestire le intermittenze di fornitura.
  • In alcuni contesti gli utenti diventano anche fornitori di energia (surplus di abitazioni, aziende agricole e industriali) richiedendo modifiche alla rete da unidirezionale a bidirezionale o da uno-a-molti a molti-a-molti. In un sistema con accumulo su larga scala, è richiesta la capacità di accedere all’elettricità immagazzinata e di immagazzinare l’energia di rete in eccesso utilizzando la stessa connessione di trasmissione.
  • In caso di utilizzo di più fonti di energia, la gestione della rete deve essere adattata. In tutta onestà, questo problema è presente anche se in forme diverse all’interno del sistema elettrico esistente.
  • Potrebbero esserci problemi con la coerenza dell’elevata qualità dell’energia necessaria per garantire stabilità ed efficienza, affidabilità e costi della rete. I problemi includono disturbi di frequenza, armoniche di tensione/corrente, basso fattore di potenza, variazione di tensione, inerzia della rete, distorsione di coppia (per l’energia eolica) e passaggi delle linee di trasmissione.

Potrebbero essere necessarie reti transnazionali o addirittura transcontinentali che utilizzano un voltaggio ultra elevato per accogliere un elevato livello di energie rinnovabili. I sistemi esistenti che impiegano corrente alternata (AC) diventano meno efficienti con la distanza. A tensioni più elevate richieste per spingere ulteriormente la corrente, l’AC impiega (e quindi spreca) una quantità sempre crescente di energia nel compito di spremere le sue alternanze attraverso la linea. Su distanze transcontinentali, la corrente continua (CC) è superiore, il che significa un’importante revisione potenziale della struttura della rete, forse utilizzando connettori a corrente continua ad altissima tensione (UHVDC), che sono più stabili.

Il tempo, la spesa e il coordinamento necessari per creare l’infrastruttura per il passaggio a più fonti rinnovabili sono sottovalutati.  Secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti , il paese avrà bisogno di 47.300 gigawatt-miglia di nuove linee elettriche entro il 2035 per ospitare ulteriore capacità di energia rinnovabile, pari a un’espansione del 57% della rete esistente, oltre a sostanziali aggiornamenti delle infrastrutture. Il mondo potrebbe aver bisogno di raddoppiare la lunghezza delle linee di trasmissione in funzione a 152 milioni di chilometri (90 milioni di miglia) per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050.

La spesa necessaria è notevole. Nel 2020, il costo della costruzione di milioni di miglia di nuove linee di trasmissione e infrastrutture associate per far fronte all’aumento dei siti eolici e solari è stato stimato a $ 14 trilioni nel periodo di 30 anni tra il 2020 e il 2050. A partire dal 2023, questo era aumentato a 21 trilioni di dollari. Gli investimenti di capitale nelle reti sono diminuiti a livello globale tra il 2017 e il 2020, recuperando solo ai livelli del 2016 ($ 330 miliardi) nel 2022. Gli investimenti annuali globali nelle reti elettriche, nello stoccaggio di energia e nelle relative strutture dovranno raggiungere quasi $ 550 miliardi all’anno entro il 2030. Gran parte di questo costo saranno trasmessi ai consumatori di energia.

I punti di ricarica per veicoli elettrici di cui i consumatori verdi si preoccupano sono solo una piccola parte dei problemi infrastrutturali che ci attendono.

Densità di energia

La densità di energia misura la quantità di energia immagazzinata in un dato sistema, sostanza o regione dello spazio. Di solito è espresso in energia per massa o volume. Un’elevata densità di energia equivale a una maggiore quantità di energia immagazzinata per unità di massa o volume. È particolarmente importante per applicazioni come il trasporto.

Esistono diverse stime delle densità energetiche comparative di diverse fonti energetiche. Le densità di energia possono essere espresse in unità di joule per metro cubo .

Ciò implica che 3,8 litri (1 gallone) di benzina contengono circa quaranta megajoule di energia chimica che divisa per volume produce una densità energetica di dieci miliardi di joule per metro cubo. La benzina è dieci quadrilioni di volte più densa di energia della radiazione solare e un miliardo di volte più densa di energia dell’energia eolica e idrica.

La densità energetica per una varietà di combustibili comuni in peso (megajoule per chilogrammo) è indicata di seguito.

I calcoli della densità energetica devono essere trattati con cautela. È comunemente citato che l’uranio235 (utilizzato nell’energia nucleare) può produrre 83.140.000 megajoule per chilogrammo. Ciò lo renderebbe quasi 3 milioni e 2 milioni di volte più ricco di energia rispettivamente del carbone e del petrolio. Questo è fuorviante . Il combustibile di uranio utilizzato per la produzione di energia è a bassi livelli di purezza (circa il 4%). Deve essere bruciato in un processo batch a un ritmo lento per evitare il rilascio di energia esplosiva (come nelle armi atomiche). Un’energia significativa, rispetto ad altre fonti energetiche, viene spesa per separarla e arricchirla dal minerale dove si presenta a bassi livelli di concentrazione. Ciò riduce sostanzialmente la sua densità energetica, sebbene sia ancora molte volte più potente dei combustibili fossili.

In sintesi, i combustibili fossili e l’energia nucleare mostrano una densità energetica notevolmente più elevata, il che significa che è necessario meno carburante per produrre l’energia richiesta, che è importante per determinate applicazioni.

La densità di energia misurata in peso e volume di diverse comuni fonti di energia per il trasporto mostra variazioni significative.

La densità energetica relativa evidenzia la sfida di sostituire il petrolio o il gas naturale compresso come carburante soprattutto per i trasporti senza grandi progressi tecnologici.

I veicoli elettrici (EV) illustrano il problema. I veicoli devono trasportare il loro carburante. Poiché la benzina o il diesel hanno una densità energetica molto elevata rispetto alle migliori batterie attuali, i veicoli elettrici sono più pesanti di quelli alimentati a combustibili fossili. La semplicità meccanica e l’efficienza dei motori elettrici non possono compensare completamente questa penalità di peso.

Sebbene questo non sia un problema sostanziale per le autovetture e i veicoli leggeri, per i trasporti pesanti, come i trasporti a lungo raggio, la spedizione o l’aviazione, questa penalità di peso è difficile da superare. Ad esempio, 1 chilogrammo (2 libbre) di carburante per aerei contiene 70 volte più energia della migliore batteria agli ioni di litio esistente. Nel caso degli aeroplani, il peso delle batterie necessarie o lo spazio necessario per trasportare l’idrogeno necessario per i voli più lunghi ridurrebbero il carico utile dei passeggeri e delle merci, alterando l’economia.

I vantaggi della densità energetica dei combustibili fossili sono un fattore della loro potenza EROEI (ritorno energetico sull’energia investita) rispetto ai combustibili concorrenti. La minore densità energetica delle rinnovabili limita, in assenza di importanti scoperte scientifiche, la sua capacità di sostituire i combustibili esistenti, soprattutto per alcune applicazioni. Storicamente, la società si è spostata successivamente verso fonti con densità energetica crescente. Il carbone ha fornito il 50-100% di energia in più rispetto al legno che ha sostituito. Petrolio e gas fornivano 3-6 volte più energia in peso rispetto al carbone. Il passaggio alle rinnovabili invertirebbe questa tendenza.

Densità di potenza superficiale

La densità di potenza superficiale (a volte abbreviata in densità di potenza), identificata dal professor Vaclav Smil, misura il tasso di produzione di energia per unità di superficie terrestre. È generalmente calcolato come la quantità di potenza ottenuta per unità di superficie terrestre utilizzata dal sistema energetico, comprese tutte le infrastrutture di supporto, la produzione, l’estrazione di combustibile (se applicabile) e lo smantellamento. L’elevata densità di potenza superficiale significa che è possibile prelevare quantità maggiori di energia da fonti di alimentazione che occupano un’area relativamente piccola. Basse densità di potenza superficiale indicano che una produzione di energia equivalente richiede aree di terra più grandi.

La densità di potenza superficiale mediana delle diverse fonti di energia è indicata di seguito.

I combustibili fossili e l’energia nucleare hanno un’elevata densità di potenza. Le fonti di energia rinnovabile hanno una densità di potenza inferiore di diversi ordini di grandezza.

L’energia solare ed eolica richiede più spazio da dedicare alla produzione di energia. Le moderne centrali elettriche a carbone o a gas utilizzano circa 121 ettari (300 acri) per generare 600 megawatt. Ciò esclude le aree di terra necessarie per l’estrazione mineraria o l’estrazione e il trasporto. Un parco eolico equivalente richiederebbe oltre 20.000 ettari (50.000 acri). Un pannello solare per fornire quantità simili di energia potrebbe richiedere fino a 2.400 ettari (6.000 acri). L’impianto a carbone o a gas avrebbe anche una maggiore affidabilità fornendo energia quasi all’80-100 percento rispetto a circa il 20-50 percento dell’opzione rinnovabile a causa dell’intermittenza. Per fornire la stessa potenza della centrale nucleare di Hinkley Point C nel Regno Unito – 3.200 milioni di watt – sarebbero necessari 5,5 milioni di metri quadrati di superficie spazzata dalle turbine.

I biocarburanti illustrano il problema della bassa densità di potenza superficiale. La quantità di mais necessaria per creare etanolo sufficiente per riempire un serbatoio SUV da 95 litri (25 galloni) alimenterebbe un individuo per un anno. Il grano necessario per alimentare tutte le auto statunitensi equivale a una quantità che potrebbe sfamare circa 400 milioni di persone.

Una minore densità di potenza superficiale crea potenziali conflitti sull’uso del suolo . A meno che non si trovino in aree a bassa densità di popolazione o utilizzino terreni inadatti ad altre applicazioni, l’espansione delle energie rinnovabili si scontra con le esigenze dell’agricoltura e delle popolazioni umane. Questa tensione è evidente in Germania, dove le richieste concorrenti di terreni si sono rivelate un limite nell’attuazione dell’Energiewende, la transizione in corso da parte della Germania verso un approvvigionamento energetico a basse emissioni di carbonio, rispettoso dell’ambiente, affidabile e conveniente basato sulle energie rinnovabili.

Difetti caratteristici

Il sistema energetico esistente, sviluppato nel corso di due secoli, comporta l’accesso e il trasporto della fonte di combustibile, la produzione di energia, nonché la trasmissione e la distribuzione. Gli utenti di energia sono orientati ai tipi di energia prevalenti, in particolare per i trasporti e le applicazioni industriali. Le strutture dei prezzi e del trading sono stabilite e sono state perfezionate nel tempo. Esistono accordi di finanziamento a lungo termine, spesso poco flessibili.

Il passaggio alle energie rinnovabili richiede una massiccia modifica dell’intero sistema energetico così come esiste attualmente. Ciò comporterebbe cambiamenti non solo nell’approvvigionamento energetico, ma anche nel modo in cui viene utilizzato, compreso l’adeguamento di attività come l’industria pesante e la mobilità. Le caratteristiche intrinseche delle fonti energetiche rinnovabili — intermittenza, esigenze infrastrutturali, densità, densità superficiale — hanno effetti sfavorevoli sulla disponibilità e sul costo dell’energia. Questi fattori li rendono potenzialmente inadatti a sostituire in modo sostanziale i combustibili fossili o il nucleare, come ormai frequentemente ipotizzato, almeno nei tempi previsti.

Come sapeva Josh Billing “per quanto la verità sia scarsa, l’offerta è sempre stata in eccesso rispetto alla domanda “. L’attuale dibattito sulle rinnovabili è viziato dalla tendenza a confondere ciò che è con ciò che vorremmo che fosse. La fede in ciò che pensiamo sia un fatto quando purtroppo non è corretto, non risolverà nulla.

Fonte: nakedCapitalism, 22 giugno 2023

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ORDINE E NORME NEL CONCETTO DI GUERRA GIUSTA, di Teodoro Klitsche de la Grange

ORDINE E NORME NEL CONCETTO DI GUERRA GIUSTA

(tratto dalla rivista Nova Historica 2003)

Introduzione – La guerra giusta – Erosione dello justus hostis e mutamento della justa causa – Segue – Intervento e non intervento – Kant e S. Agostino – Conclusione

La guerra recentemente conclusasi in Irak ha riproposto una serie di questioni sulla legittimità del ricorso alla forza, molte delle quali occasionate da esigenze di propaganda, altre da dubbi sinceri. Tale conflitto ha sostanzialmente rispettato due delle condizioni individuate dalla Tarda Scolastica per lo justum bellum: di essersi svolto tra justi hostes, anche se la partecipazione dei peshmerga curdi ha offuscato tale requisito; e il debitus modus dato che gli anglo-americani hanno cercato di risparmiare la popolazione civile e, in generale, vite umane, e, forse sorprendentemente (stante la motivazione della guerra), lo stesso Saddam ha evitato di usare i “mezzi di distruzione di massa” – cioè, in concreto, i gas – di cui quasi sicuramente disponeva, posto che per fabbricarli non occorre una tecnologia particolarmente sofisticata. Dubbi sussistono tuttavia sulla justa causa, mentre solo il futuro potrà sciogliere quelli sulla recta intentio. Il dibattito è così connotato da una prevalenza delle scelte (aprioristiche) di campo, dal richiamo agli idola (fori et theatri) – specialmente in una sinistra alla ricerca di se stessa, dopo il crollo dell’89 – e dai luoghi comuni, oltre alle usuali forzature e mistificazioni – distribuite tra i due campi – della propaganda.

In questo quadro di irragionevolezza, o di falsa ragionevolezza (che è il pregiudizio sommato all’ipocrisia) è utile rivisitare le concezioni dei pensatori cristiani, in particolare della tarda Scolastica e i principi del diritto internazionale classico che tanto deve al loro pensiero. Il cui merito principale è di aver limitato ed umanizzato la guerra, come prova la storia europea dell’età moderna, coniugando ideali umanitari e realismo politico.

I

Guerra e diritto non sono alternativi. Sia nel senso che dove c’è guerra c’è diritto; sia, nell’inverso che nel diritto, sia astrattamente che concretamente inteso, è intrinsecamente presente l’idea (e la possibilità reale) della guerra, o quanto meno del conflitto. Le espressioni più varie testimoniano questo rapporto: da justum bellum, che coniuga la guerra con la giustizia, a ne cives ad arma ruant, a vim vi repellere licet, la connessione tra i due ambiti ha generato una serie di brocardi, che costituiscono la sintesi (estrema) delle riflessioni di tanti pensatori, convergenti nel ritenere che la guerra non è necessariamente illecita (antigiuridica) nei soggetti, nelle ragioni, negli scopi, nei modi e (soprattutto) nei risultati e, di converso, che il diritto non è irenico nei presupposti e (soprattutto) nelle conseguenze, perché una rivendicazione giuridica può essere polemogenetica. La guerra è anzi, solitamente, nomogenetica, forse ancor più di quanto sia polemogenetico il diritto. A S. Agostino dobbiamo l’affermazione – al limite del paradosso – che anche una banda di malfattori fa la guerra per realizzare la pace, o meglio un ordine: per cui il fine della guerra è la pace1. Giudizio ch’è accostabile alla (più celebre) delle definizioni di Clausewitz della guerra: d’esser la continuazione della politica con altri mezzi. Nella quale, qualificandola come mezzo, e della politica, esclude che possa essere un fine per sé.

A S. Tommaso e ai teologi-giuristi (epigoni dell’Aquinate) della Tarda Scolastica è ascrivibile il merito di aver distinto bellum justum (et injustum)2, e di aver identificato tre condizioni o requisiti (quattro secondo altri, tra cui S. Roberto Bellarmino) perché lo fosse: con ciò limitando (i danni conseguenti) la guerra. Ai teorici successivi del diritto internazionale aver proseguito su quella strada, mai del tutto abbandonata, anche se modificata da molti in misura più o meno grande.

La contraria tesi, che guerra e diritto siano incompatibili ed escludentesi a vicenda, appare frutto a un tempo di una confusione e di un’aspirazione (e, spesso, è solo una strumentalizzazione): così l’alternativa correttamente posta da de Maistre tra decisione e conflitto: “ou il n’y a pas sentence, il y a combat” (ché guerra e decisione sovrana sono alternative, come stato civile e stato di natura), è stata – erroneamente – trasposta in quella.Per cui si trasferisce al diritto la capacità reale di ordinare la società pertinente al potere sovrano.

L’ aspirazione – riconducibile ai sogni utopici di “uscita” alla politica – consiste nel pensare di aver trovato una forma pacifica, se non consensuale, di regolazione dei conflitti: che c’è, ma è il Sovrano (la sentence) e non il diritto. La strumentalizzazione, infine, è intrinseca al consenso suscitato nel sostenere tesi gradite all’uditorio (con il corrispettivo – in termini di popolarità e di potere – che comporta).

In effetti è abbastanza semplice notare al riguardo che, senza un apparato di coazione e repressione, il diritto rimane inapplicato, e che, essendo un’attività pratica, il reale problema consiste nel farlo osservare: nel suscitare cioè sufficiente consenso ed esercitare una congrua coazione perché sia rispettato. Problema essenzialmente politico. Tant’è che certe concezioni, nate nell’utopia del diritto, finiscono, talvolta, nella realtà dei Tribunali (dei vincitori), come capitato spesso nel secolo scorso.

Ma, oltre all’uso – innovativo – di Tribunali per processare i vinti c’è stato anche un correlativo “rilancio” della guerra giusta.

II

Il concetto di guerra giusta, al proprio ingresso nel pensiero medievale, richiedeva determinate condizioni (o requisiti). Per S. Tommaso l’autorità di condurla (l’essere cioè justus hostis), che spetta solo al “superiorem non recognoscens”, la justa causa (cioè il motivo legittimo, come la riparazione di un torto); la retta intenzione (di promuovere il bene o evitare il male)3. Tutto presupponeva che non essendovi un’autorità in grado di far rispettare il diritto delle (e tra le) parti, la guerra fosse un mezzo per ottenere tale scopo.

Per Francisco Suarez la risposta alla quaestio “Utrum bellum sit intrinsece malum” è che “bellum simpliciter nec est intrinsece malum, nec christianis prohibitum”. Ma perché si promuova guerra “honeste” cioè legittimamente occorre rispettare tre condizioni, due delle quali coincidono con quelle dell’Aquinate, e la terza delle quali è il “debitus modus gerendi bellum4. Per S. Roberto Bellarmino (conforme in questo all’opinione di altri teologi) le condizioni diventano quattro, dato che somma le “terze” condizioni di S. Tommaso e di Suarez (intentio e modus)5.

Nel pensiero degli Scolastici perché una guerra sia giusta (o almeno lecita) devono essere osservate tutte. Tuttavia, come nota Schmitt, nell’evoluzione successiva del diritto internazionale lo justus hostis, cioè il soggetto cui è riconosciuto il legittimo esercizio dello jus belli, ha prevalso sulle altre condizioni, in particolare sulla justa causa.

Così lo justum bellum diveniva il conflitto tra due justi hostes: due Stati sovrani (giuridicamente) uguali; la justa causa (e l’intentio) sono state (del tutto o quasi) espunte. Le considerazioni di giustizia (oggettiva: diritto o torto sostanziale) contenute nel concetto di justa causa non erano più considerate, anche perché uno Stato che muoveva guerra senza justa causa era pur sempre justus hostis, e comunque era solo lo Stato sovrano a decidere se ricorresse o meno una justa causa belli6.

Tale sistematica presupponeva ed aveva un significato determinato e coerente se applicata a un sistema di relazioni internazionali incentrato sugli Stati (e sul concetto relativo). Non una generica unità politica può essere presa a fondamento di un tale ordine, ma solo la species Stato (pensata e) formatasi nei secoli XVI e XVII, con le differenze e propria peculiari che la distinguono dagli altri tipi riconducibili allo stesso genere (imperi, poleis, tribù e così via). Tra queste le principali sono la “chiusura”, la sovranità (nel significato moderno) e il monopolio della violenza legittima.

Quanto alla “chiusura” (di uno spazio politico ordinato e impenetrabile) – resa possibile sia dalla nuova organizzazione in Stati sovrani, sia dalla diffusione delle armi da fuoco – costituisce un carattere spesso trascurato, anche se riveste un’importanza fondamentale, consistente nella distinzione tra interno ed esterno e nella delimitazione tra tali aree, cioè il confine. Interno ed esterno, intra o extra moenia, non costituiscono soltanto una divisione spaziale, né si limitano a determinare l’ambito d’esercizio dell’imperium dello Stato, ma sono la distinzione tra due diversi “ordinamenti”, fondati su principi e presupposti diversi. All’interno, lo spazio della sovranità statale, dell’imperium basato sul principio che “il sovrano nello Stato ha verso i sudditi soltanto diritti e nessun dovere (coattivo)”7, la volontà sovrana è, per definizione, irresistibile e non condizionabile con limiti e controlli giuridici.

Corollario di questa illimitatezza è che non vi è alcun potere esterno o diverso che possa influire, in modo decisivo, all’interno (dei confini) dell’unità politica. Mentre all’esterno il diritto internazionale si basa su una società di Stati simili e pari, componenti l’ordinamento globale: per cui, di converso, nessuno può dettar legge all’altro, ma i rapporti tra gli stessi sono a carattere, in linea di principio, paritario.

La sovranità (intesa nel senso classico, che ha avuto da Bodin in poi, cioè di potere irresistibile e inopponibile) valeva a escludere qualsiasi altro potere (sia temporale che spirituale) all’interno dell’unità politica. Conseguenza ne era l’indifferenza dell’ordinamento interno dello Stato rispetto alle vicende dei rapporti tra Stati; così come la non-responsabilità di singoli funzionari rispetto a Stati stranieri, perchè il solo responsabile era lo Stato (il Sovrano) medesimo, unico competente a giudicare dei propri cittadini (e funzionari).

Quanto al monopolio della violenza legittima radicava, in una con la sovranità, la responsabilità esclusiva internazionale dello Stato: un’entità sovrana e dotata di quel monopolio è l’unica responsabile di quanto succede nello spazio interno all’unità politica.

III

Questo insieme coerente cominciò ad essere scosso dalla Rivoluzione francese: con il decreto La Révellière-Lépeaux della Convenzione, sull’esportazione dei principi rivoluzionari, l’ “indifferenza” delle vicende belliche rispetto all’ordinamento interno degli Stati coinvolti cominciò ad essere scossa. Parimenti, a iniziare dalle insorgenze anti-rivoluzionarie ed anti-napoleoniche si affacciò nella storia moderna un nuovo “tipo” politico: il combattente (e il movimento) partigiano. Un giurista così sensibile ai dati reali come Santi Romano notava come la disciplina giuridica dei rapporti con gli “insorti” tendeva a derogare dalle regole del diritto interno, per assumere connotati ed istituti di quello internazionale8 la cui ragione indicava “nell’impotenza dello Stato nel quale scoppia l’insurrezione a dominare col suo ordinamento gli autori di esso”, che si riflettono anche sui (possibili) rapporti tra insorti e Stati terzi. Il giurista siciliano, può sintetizzarsi, riconduceva all’insufficiente chiusura e al venir meno del monopolio della violenza il riemergere, all’interno dell’unità politica statale di istituti e norme di diritto internazionale; causa e ragione dei quali era in sostanza, un difetto di “potenza” cioè una circostanza “fattuale” cui si (dovevano) ricondurre i mutamenti giuridici.

In sostanza accanto allo Stato si configura così un altro “tipo” di hostis, che, injustus di principio, di fatto tende a diventare justus, già dal momento in cui, a di esso favore, si prendono ad applicare norme di diritto internazionale e si deroga a quello interno: con ciò attuando una forma, atipica e “minore”, di “riconoscimento”. La circostanza che questa prassi nasca di fatto non toglie nulla alla sua giuridicità, dato che situazioni “fattuali” sono alla base di buona parte degli istituti di diritto internazionale (e non solo). Lo justus hostis tende così a perdere i connotati tipici e formali (cioè statali) che lo definivano nel periodo “classico”: ed è lo stesso Santi Romano che, nel descrivere i caratteri della rivoluzione (e del movimento rivoluzionario), ne sottolinea – di converso – la giuridicità, perché costituisce pur sempre un ordinamento: “Una rivoluzione che sia veramente tale, e non un semplice disordine, una rivolta o sedizione occasionale, è sempre un movimento organizzato, in modo e in misura che naturalmente variano secondo i casi. In generale può dirsi che si tratta di un’organizzazione, la quale, tendendo a sostituirsi a quella dello Stato, consta di autorità, di poteri, di funzioni più o meno corrispondenti e analoghi a quelli di quest’ultimo: è un’organizzazione statale in embrione, che, a mano mano, se il movimento è vittorioso, si sviluppa sempre più in tale senso. Comunque essa si traduce in un vero e proprio ordinamento sia pure imperfetto, fluttuante, provvisorio” e prosegue “E non importa se questo ordinamento, per la sua stessa natura e in quanto non si travasa in seguito nel nuovo ordinamento statale che può derivarne, ha una durata e una stabilità transitoria. Finché vive e opera è un ordinamento che non può non prendersi in considerazione come tale”9. Proprio per la sua precarietà, tuttavia, l’ordinamento rivoluzionario non gode appieno di nessuna delle tre ( ricordate) caratteristiche dello Stato: non la chiusura, non la sovranità, non il monopolio della violenza legittima: in sostanza la situazione rivoluzionaria è ben rappresentata dall’ espressione impiegata da Trotsky per denotare il periodo tra le rivoluzioni russe di febbraio e ottobre 1917: del dualismo dei poteri10. Ma dove i poteri sono due (e conflittuali) nessuna di quelle caratteristiche può riconoscersi appieno a ciascuno di essi.

Il monopolio statale dello jus belli (e l’essere unico justus hostis) era con ciò eroso dal “basso” da movimenti allo stato “nascente”; e, del pari, lo justus hostis tendeva, a sfumare, se non a perdere, quei connotati formali che avevano assicurato a questo “requisito” d’essere il principale tra quelli della guerra giusta: perché venuto meno il carattere formale, viene ridotta anche la ragione che, secondo Schmitt, l’aveva fatto preferire: riconoscere in modo univoco e convincente la guerra “giusta” ancorandola alla qualità di Stato dei contendenti. Se è vero che è enormemente più facile individuare “cosa” è Stato rispetto a chi ha ragione in una controversia, è anche vero che se si allenta la “griglia” della forma, in definitiva lo justus hostis diventa non chi ha i caratteri di Stato, ma colui che di fatto riesce a condurre la guerra (civile o con un altro Stato), indipendentemente dal (pieno) possesso di quelli. E così determinare lo (justus) hostis diventa problematico come (o quasi come) decidere da che parte sta la justa causa. E’ appena il caso di notare, a tale proposito, che gli attributi individuati da un teorico militare come Sun-Tzu per condurre vittoriosamente la guerra sono altrettanti connotati negativi per il pensiero di un giurista pour cause orientato all’ordine e quindi alla forma11. Non aver forma consente, in guerra, la sorpresa e riduce enormemente la vulnerabilità, ma non averla in un contesto d’ordine significa portare ai minimi termini la possibilità di coesistenza pacifica. Non foss’altro perché non rende possibile individuare con chi trattare la pace.

D’altro canto l’emergere di un nuovo justus hostis, come i movimenti rivoluzionari, aumenta indirettamente il ruolo della justa causa: perché tutti (o quasi) gli insorti si appellano ad un ordine nuovo, la cui realizzazione costituisce la justa causa belli. In fondo uno dei primi documenti che lo testimoniano, in età contemporanea, è proprio la dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti12. Non avendo i caratteri di stabilità, forma e durata degli Stati e non potendo vantare una “legittimità” in base a quelli, l’unica condizione legittimante il bellum justum degli insorti è proprio la justa causa. Dall’aver spesso avuto successo il ruolo di questa è cresciuto progressivamente. Così a una legittimità “storica” e tradizionale (quale quella degli Stati preesistenti) se ne contrappone una nuova, “ideale” e orientata a un progetto (cioè al futuro), giustificante il ricorso alla guerra.

Si noti che, tale prospettiva è (in parte) diversa da come i tardo-scolastici ritenevano legittima la seditio. Suarez, come Mariana, distingue tra tyrannus quoad dominium et potestatem” (cioè l’usurpatore) e quello “solum quoad regimen”. Contro il primo (privo di “titolo” a governare) è ammessa anche la guerra d’aggressione; contro il secondo no, perché verus est dominus. E contro lo stesso occorre pertanto che agisca “tota respublica quia… tota respublica superior est rege13. Quando però per “tota respublica” si intende la sola parte secessionista (territorialmente – per lo più – determinata) la rivoluzione consiste già nella dichiarazione di separazione, e non nei motivi che potrebbero legittimarla.

Quel che ancor più distingue tali justae causae rispetto a quanto intendevano gli scolastici è che per i primi la justa causa era motivata rispetto a un ordine concreto, fatto di diritti riconosciuti ed osservati, talvolta ab immemorabile, come il “transitus viarum, commune commercium occupatio res alterius”, e così via14; mentre per le justae causae moderne si tratta di diritti fondati non sulla storia e la consuetudine, ma, per lo più, sulla “ragione” o su “principi”. Spesso legittimi, come ne sono le aspirazioni a fondamento, ma con l’inconveniente, rispetto ai primi, di essere incerti e meno verificabili -, e, spesso, meno condivisi o condivisibili.

Parimenti la justa causa non è equiparabile alla violazione di una (o più) norme, secondo un modo di pensare normativistico. È intrinseco invece alla stessa di essere la condizione per reagire alla violazione di un ordine concreto, al fine di ripristinarlo. Basti all’uopo considerare che la violazione di una norma (o di un diritto) non è di per se sufficiente a costituire justa causa belli. “Non quamcumque causam esse sufficientem ad bellum, sed gravem, et damnis belli proportionatam15. Il concetto di gravis iniuria esclude che si possa muover guerra per dei passaporti non rilasciati o dei clandestini non fermati e così via (anche perché in casi del genere è impossibile distinguere tra diritto offeso e pretesto ricercato). Il concetto d’intentio, che Bellarmino specifica nel fine della pace e dell’ordine esclude, analogamente, che si possa promuoverla per un fine diverso dalla riparazione di un torto o dall’attuazione di un diritto, e nei limiti in cui questi sono soddisfatti e realizzati, e non è ammesso strumentalizzare un illecito patito per realizzare scopi diversi. In queste concezioni è assai chiaro come gli Scolastici pensino all’ordine concreto e non a una qualsiasi violazione o disapplicazione normativa. Inerisce al loro pensiero una distinzione analoga a quella di Carl Schmitt per il diritto costituzionale: quella tra Costituzione (come ordinamento concreto dell’unità politica) e leggi (norme) costituzionali16. L’ordine internazionale sta alle relative norme (consuetudinarie o pattizie) in modo simile alla Costituzione rispetto alle leggi costituzionali.

Per cui è chiaro che il carattere principale – e differenziale – del pensiero di teologi e giuristi come Vitoria, Suarez, Bellarmino, Ayala, rispetto alla “guerra giusta” contemporanea era di essere orientato (a e su) ordine ed esistenza concreta, e di applicare principi (e modi di ragionare) essenzialmente giuridici.

Per cui la justa causa era – ed è spesso – determinabile ove, nel giudicarla, si abbia riguardo a quei presupposti. Se uno Stato inibisce ad un altro la navigazione (fuori dalle proprie acque territoriali) commette un illecito, quale violazione di un diritto tradizionalmente riconosciuto. Così se lo Stato – parte offesa gli muove guerra, questo è, secondo il pensiero di Suarez e di S. Tommaso, l’unico sistema per ripristinare quel diritto, in assenza di un’autorità cui appellarsi. Tout se tient. Il collegamento della justa causa e dello justum bellum col diritto (“storico” e concreto) evita – o riduce – le conseguenze peggiori e (più) strumentali. Così, ad esempio, si ritiene legittimo muovere guerra per i diritti propri, non per quelli altrui17: un sovrano ha non solo il diritto, ma, di più, il dovere di tutelare gli jura propri e dei propri sudditi, ma non quello di investirsi paladino di ogni pretesa giuridica, anche se fondata18. Anche nel caso della seditio e della tirannide, nessuno di quei pensatori – che ci risulti – si è neppure posto il problema se fosse lecito – in generale – a uno Stato “terzo” far guerra al tiranno, perché, per una mentalità giuridica, la risposta è ovvia e non vale la quaestio. Per cui se è talvolta lecito ai sudditi ribellarsi (e anche uccidere) il tiranno, perché viola loro diritti, non lo è andare in giro per il pianeta a detronizzare tiranni (a causa della violazione dei diritti) degli altri. La saggezza giuridica lo sconsiglia, tra l’altro, perché in tal caso le causae belli si moltiplicherebbero esponenzialmente.

Ma se in luogo di un pensiero orientato a tutelare concrete esistenze politiche e concreto ordine, che la justa causa presuppone, si passa a dichiarazioni astratte di diritti, in effetti svincolate dal pensiero e dalla mentalità giuridica, i limiti e gli inconvenienti della dottrina della justa causa vengono ingigantiti.

È questo il caso della guerra giusta, almeno come si può intenderla negli ultimi decenni. Se al posto delle violazioni dei diritti dello Stato francese o italiano il casus belli è costituito dai “diritti umani” di montanari nepalesi o pastori somali – che spesso non sanno neppure che cosa siano, e forse non ne avvertono la primaria esigenza – le justae causae crescono in numero e in indeterminatezza, per cui diventa assai più difficile distinguere tra legittimo esercizio del diritto e pretesto. E così la justa causa viene dissolta in una fitta nebbia di rivendicazioni, offese e sanzioni scisse da bisogni e soggetti reali delle pretese. Lo justum bellum, pensato come il rimedio lecito per riparare alla perturbazione di un ordine, in funzione del ripristino del medesimo, diviene così, di converso, il grimaldello per scardinarlo. Perché il problema che si pone non è che quei diritti (spesso) debbano essere garantiti e rispettati, ma che per farlo uno Stato (o un’istituzione internazionale) debba muovere guerra, e ne abbia titolo.

IV

C’è peraltro da ricordare, come sopra cennato, che nel pensiero scolastico sullo justum bellum le condizioni dovevano ricorrere tutte insieme, perché fosse tale. Nella successiva evoluzione, per secoli, lo justus hostis ha annichilito la justa causa. Nella fase che stiamo vivendo l’inflazionarsi di justi hostes (da un lato) e la rinnovata importanza della justa causa (e la dilatazione della stessa) sta riducendo al minimo lo spazio dello justus hostis classico, cioè dello Stato. La maggior parte dei conflitti successivi alla seconda guerra mondiale, infatti, non sono stati combattuti tra Stati, ma tra Stati e non Stati, o tra non Stati (tribù, etnie, partiti, gruppi religiosi)19. Ma un gesuita o un domenicano del siglo de oro non avrebbe mai qualificato come justum bellum un conflitto promosso da una tribù (priva dello jus belli), che proceda allo sterminio (o alla “pulizia etnica”) della tribù nemica (senza quindi il modus) per appropriarsi dei pascoli di quella (senza recta intentio), anche se per un motivo (forse) apprezzabile. Una simile moltiplicazione di soggetti e motivi di conflitto è proprio il contrario di quanto si proponevano i teorici della guerra giusta, col determinarne le condizioni: di limitarli sia nel numero che nei danni arrecati.

V

La decadenza dello Stato come justus hostis è accelerata dal fenomeno, diffusosi nel XX secolo di Stati e istituzioni internazionali che pretendono d’avere per una justa causa il diritto d’intervento (o comunque d’intromettersi) all’interno degli altri Stati. Con ciò vengono lesi i tre ricordati tratti distintivi (chiusura, sovranità e monopolio della violenza) o tutti insieme o singolarmente.

È inutile dire che una simile prassi non rientra negli schemi dello justum bellum dei Tardo-scolastici; più ancora essa è apertamente contraria al sistema degli Stati e all’ordine internazionale su questi fondato. Ad esempio, il diritto d’intervento, vantato in questo caso, li lede tutti quanti: al contrario la regola del non-intervento, con i suoi presupposti, corollari e molteplici specificazioni (dall’ “indifferenza” dell’ordinamento interno rispetto al diritto internazionale – e viceversa alle conseguenze: cuius regio ejus religio, e così via) li salvaguarda.

In qualche misura , anche se su presupposti e basi diverse, la stessa aspirazione a leghe di Stati o comunque ad istituzioni internazionali che scongiurino il ricorso alla forza sostituendolo con procedure “giuridiche” (d’ispirazione Kantiana), o meglio para-giudiziarie, concorre ad attenuare la distinzione tra interno ed esterno, ma senza granché dei benefici prospettati: anche perché, a ben vedere, non riescono a portare la pace se non attraverso la guerra, che differisce da una “normale” guerra solo perché a promuoverla e condurla è (apparentemente) una lega di Stati piuttosto che uno Stato singolo. Il caso del Kosovo ne è stata la conferma più chiara, perché occasione (e motivo) dell’intervento non era un’aggressione esterna (come nella guerra all’Irak per l’occupazione del Kuwait), ma la repressione attuata dallo Stato iugoslavo sulla popolazione di etnia albanese residente nel proprio territorio. Con ciò gli si contestava l’esercizio della funzione di “polizia”, connessa a quella di identificare il nemico interno (il ribelle) e anche il criminale. Il principio di non-intervento negli affari interni dello Stato, essenziale alla distinzione tra quelli e gli affari esterni, viene così meno. Conseguenza di ciò non è tuttavia di sostituire il diritto alla guerra, ma di espropriare lo Stato del relativo diritto, trasferendolo ad un’istituzione internazionale, cui compete, nel caso, il potere anche d’esercitare la “violenza legittima” e garantire la pace, non solo tra Stati, ma anche negli Stati20.

A una simile concezione vanno ricondotti, mutatis mutandis, anche altri organismi (come la Corte penale internazionale di cui al recente Statuto di Roma) che, derogando alle regole (per la verità ripetutamente violate nel XX secolo) dell’esclusività statale dell’esercizio della giurisdizione la trasferiscono, in determinati casi, all’istituzione internazionale.

I Tribunali – in qualche modo basantisi su simile concezione – costituiti per giudicare i nemici vinti (anche se, come nel caso di Milosevic, vinti per “mandato” internazionale) hanno tutti la stessa limitazione fondamentale: che sullo scranno dei giudici stanno i vincitori, alla barra degli imputati i vinti. La costanza di tale “posizione processuale” prova come in effetti la decisione sia già avvenuta, non tanto nel senso di certezza della condanna dell’imputato, quanto nel fatto che è la vittoria o la sconfitta nella guerra ad assegnare il posto nel processo, e non la sentenza; la quale, per di più, di fronte a una risoluzione bellica del conflitto (la decisione reale) è sempre inutile (e talvolta maramaldesca). Se un processo (qualsiasi) ha la funzione – importantissima – di impedire ne cives ad arma ruant, a un processo celebrato dopo la conclusione della guerra neppure tale merito può ascriversi.

D’altra parte, come tante volte notato, la prassi di processare i vinti è invalsa nel XX secolo ed è contraria allo jus publicum europaeum, equiparando il nemico a un criminale (cioè negandogli la qualità di justus hostis). A taluno è apparso che possa (essere giustificata o piuttosto) conseguire, in qualche misura, dalla concezione Kantiana dell’hostis injustus21. Per certi aspetti effettivamente il pensiero di Kant è quasi profetico di certe soluzioni dello scorso secolo. Quando scrive per esempio che contro il nemico ingiusto i vincitori non possono giungere “fino a dividersi tra loro il territorio di quello Stato e a fare per così dire sparire uno Stato dalla terra, perché ciò sarebbe una vera ingiustizia verso il popolo che non può perdere il suo diritto originario a formare una comunità; si può invece imporgli una nuova costituzione, che per la sua natura reprima la tendenza verso la guerra”, questo ricorda assai la costituzione giapponese (“octroyèe”, si dice, da Mac Arthur) la quale sia nel preambolo che nell’art. 9 prescrive la rinunzia alla guerra22. C’è comunque da dire che il filosofo di Königsberg appare contrario a portare la logica insita nel concetto del nemico ingiusto a quelle che potrebbero esserne le conseguenze: né processi ai vinti (nel §58 della Methaphisik der Sitten scrive “risulta già dal concetto di un trattato di pace, che l’amnistia deve esservi compresa”), né debellatio con estinzione dello Stato vinto (v. passo sopra citato). Prassi, invece, invalse nel XX secolo (uno degli esempi della seconda sono stati la spartizione della Polonia o l’ annessione degli Stati Baltici nel 1939, questa senza guerra).

Peraltro il limite della concezione Kantiana appare duplice: da un canto per il rifiuto dello stato di natura, da superare in un nuovo ordine internazionale: “lo stato di natura dei popoli come degli uomini isolati, è uno stato da cui si deve uscire per entrare in uno stato legale”23, cosa che lo distingue da (praticamente tutti) i pensatori “giusnaturalisti” dei secoli XVI – XVIII. Dall’altro il carattere normativistico – e astratto – (quasi da imperativo categorico) di quel criterio (e definizione) dell’hostis injustus. Oltretutto definirlo tale ricavando la norma del di esso agire dalle dichiarazioni del medesimo, potrebbe legittimare addirittura la guerra preventiva alle intenzioni24.

Quanto al primo aspetto il tutto tende a sottovalutare il (realistico) impiego dei mezzi per salvaguardare la pace (possibile) in un contesto pluralistico (il pluriverso degli Stati): alleanze, equilibri di potere, preparazione militare.

Anche se questi mezzi (tradizionali) hanno l’inconveniente della provvisorietà, come scrive Kant, non è detto che siano meno efficaci, perché meno polemogeni, dello “stato legale” (cioè l’unione di Stati), né soprattutto che l’unione vagheggiata non finisca per somigliare all’insegna dell’oste, ricordata dal filosofo, che sotto la scritta “per la pace perpetua” raffigurava un cimitero. D’altra parte la provvisorietà inerisce alla politica, a quella estera e internazionale non meno che a quella interna: al punto che diversi giuristi (e non solo) hanno visto in guerre e rivoluzioni il momento (e l’elemento) dinamico, che tende a riportare l’ordine giuridico all’effettivo rapporto di potenza25. Ciò perché la concezione di Kant parte da presupposti morali (e giuridici) e non politici: e la politica ha a che fare con la potenza assai più che con la morale, con le convinzioni diffuse e profonde degli uomini più che con le norme legalmente in vigore.

Piuttosto la concezione di Kant dell’ hostis injustus appare condivisibile se (corretta e) rapportata non a norme (giuridiche o morali) ma all’ordine concreto. Facendo cioè un passo “indietro” fino a S. Agostino. Infatti se, al posto della “massima” si sostituisce l’ordine e la pace, nel senso che nemico ingiusto sia quello con il quale non esiste la possibilità di pace (concreta) e cioè di un ordine internazionale, la tesi ha una valenza reale e positiva. Occorre infatti riprendere proprio la tesi del Vescovo d’Ippona, che, ovviamente, non parlava di nemico ingiusto, ma determinava assai chiaramente l’aspirazione umana a (e i connotati della) pace: questa è, essenzialmente, “la tranquillità dell’ordine”. E l’ordine è “la disposizione degli esseri uguali e disuguali che assegna a ciascuno il posto che gli conviene”… come, in precedenza, afferma che la pace non può esistere senza un capo26. In S. Agostino, come negli scolastici, il pensiero è orientato (e determinato) dall’ordine concreto (e reale) più che da concezioni “normativistiche”. Da tale presupposto consegue che il nemico ingiusto è quello con il quale non è possibile realizzare (e convivere in) un ordine, per quanto “provvisorio”, ossia concludere la pace; non è la violazione della norma ciò che rende ingiusto il nemico, ma l’impossibilità di coesistere pacificamente, e questo è determinabile solo in base alla possibilità (di durata) di una situazione ordinata e pacifica. Cioè lo justus hostis è, sotto il profilo oggettivo, il soggetto politico i cui caratteri di forma siano tali da poter garantire un ordine, diverso da quello preesistente alla guerra, ma comunque tale. Ciò ci riporta al concetto di ordinamento di Santi Romano e agli elementi di “statalità” che, nel pensiero del giurista siciliano fanno si che anche il movimento rivoluzionario sia “un ordinamento statale in embrione”. Se infatti al nemico mancano quegli elementi – di guisa da non poter essere considerato inseribile in un contesto d’ordine e sicurezza internazionale – con esso trattare e fare la pace non è giusto o ingiusto: è semplicemente inutile (se non impossibile). Un ordine internazionale presuppone e richiede dei soggetti ordinati in se. Se non c’è un ordine interno nei soggetti-componenti, non può esservi neppure quello (complessivo) internazionale. Un nemico cui manchi un collegamento con territorio e popolazione, ma abbia solo un capo e dei seguaci (cioè un embrione di organizzazione) com’è il caso, a quanto pare, di Al Quaeda e di altri gruppi terroristici è “ingiusto” perché non appare determinabile chi rappresenti e in quale “spazio” delimitato o delimitabile; al contrario di altri movimenti che hanno fatto largamente ricorso alla guerra partigiana e al terrorismo (dall’IRA al movimento sionista, dal FLN algerino ai Viet-cong) ma comunque costituito Stati inseriti nell’ordine internazionale e conservato la pace nell’ambito del possibile. A tale situazione può assimilarsi quella dei cosiddetti “Stati falliti”, in cui la “statalità” sia solo un simulacro che mascheri uno stato di guerra civile endemica tra gruppi (a base etnica, religiosa o economica) per cui a una forma legale statale non corrispondano un’effettiva chiusura, una sicura sovranità, e neppure il monopolio della violenza legittima. Il che tuttavia richiede una justa causa, come appariva per l’Afganistan (mentre è tuttora oscura per l’Iraq), data l’ospitalità offerta dai Talebani ad Al-Quaeda.

VI

Il che ci riconduce al problema dello Stato. Se è vero che l’epoca degli Stati, come sembra, è probabilmente al tramonto, assistiamo al crepuscolo di un periodo storico che ha dato lunghi cicli di pace (possibile), essendo riuscito, in larga misura, il tentativo di mettere in “forma” non solo l’unità politica (tutte le quali, comunque, hanno una forma, anche se non accuratamente modellata come quella statale) ma addirittura la guerra. La guerra in “forma”, lo justum bellum dell’epoca nascente degli Stati (e prima ancora, abbozzata nell’epoca precedente, con le limitazioni alle guerre feudali e tra cristiani), con i suoi justi hostes, justae causae, intentiones e modi gerendi è stato il più articolato e elaborato sistema di limitazione ed umanizzazione di conflitti e di costruzione, anche per questo, di stati di pace possibile. Ma tale risultato è stato realizzato perché la guerra in “forma” era il “duello su larga scala” tra soggetti altrettanto in “forma”. Se a questi si sottraggono gli elementi che li costituiscono e caratterizzano non appare possibile che sia “messa in forma” la guerra, e neppure la pace.

Un soggetto politico senza territorio, neppure nell’immagine trozkista delle roccheforti, senza legami con la popolazione e con una struttura di comando “mobile” (e labile) è, a seguire Sun Tzu, il combattente ideale, ma il peggiore contraente della pace. In un sistema di diritto internazionale che meglio sarebbe chiamare interstatale, dato che presuppone gli Stati come soggetti dell’ordine politico di comunità sedentarie (Hauriou), il nemico “senza forma” con cui non può negoziarsi e conservarsi la pace è l’unico nemico “ingiusto” possibile.

Si dirà che, sulla scorta del pensiero di S. Agostino, un nemico del genere non è facile trovarlo (tant’è che il Santo ricorre all’esempio di Caco, tratto dalla mitologia)27; ma se si rapporta il concetto di nemico ingiusto a quello che è – concretamente – un dato ordine internazionale (o meglio le sue linee fondamentali), la incompatibilità con questo non è meramente ipotetica né irreale.

D’altra parte Clausewitz nel distinguere tra guerra “assoluta” (cioè l’ideal-tipo della guerra), con la sua logica dell’ “ascesa all’estremo”28 e guerra reale (cioè concreta, e orientata dallo scopo politico) e la relativa “moderazione” di questa rispetto a quella, descrive, in sostanza, la guerra reale come condotta(e relativizzata) nei secoli XVII – XIX dagli Stati europei: se al posto di quelli i protagonisti sono altri diventa verosimile – come lo è stato, ad esempio, l’11 settembre – che l’atto bellico sia molto più vicino al tipo ideale della “guerra assoluta”, senza confini né regole. Cioè senza alcuna limitazione giuridica.

Il che ci riconduce all’affermazione iniziale che nella guerra – in particolare in quelle reali, cioè effettivamente combattute – è presente il diritto, sia come regola di condotta (diritto internazionale di guerra) sia (e soprattutto) come aspirazione ad un ordine, alla risoluzione di contrasti d’interesse che non distrugga il “quadro” d’insieme di più popoli coesistenti, e, spesso, legati da una comune civiltà.

Il Bellum justum degli scolastici muoveva proprio da questa concezione (e aspirazione), realistica nei presupposti come ideale nelle intenzioni: di fare della guerra limitata nei modi, nei soggetti e negli scopi il mezzo – eccezionale – per l’attuazione del diritto e la conservazione dell’ordine in un sistema di Stati superiorem non recognoscentes. La difficoltà oggettiva di determinare il diritto o il torto non ne offusca i risultati ottenuti, né soprattutto i presupposti e la validità di quelle concezioni orientate realisticamente all’ordine concreto. Sulle quali c’è ancora da riflettere e apprendere nel contesto di una situazione politica così mutata dal periodo in cui fu formulata.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 De Civitate Dei, 19,XII v. anche 19,XIII.

2 La distinzione è precedente e risale (almeno) a S. Agostino. v. Roberto De Mattei Guerra Santa guerra giusta, Casale Monferrato 2002 p. 15 ss. Ma la teoria e il concetto sono quelli di S. Tommaso e dei tomisti che lo hanno elaborato e connotato.

3 Summa Th II, II, q. 40, art. I.

4 De Charitate disp. 13 De Bello.

5 Ora in Scritti politici, Bologna 1950, p. 259 ss.

6 V. Carl Schmitt Der Nomos der erde, trad. It. Milano 1991, p. 182 ss.

7 E’ la definizione di I. Kant in “Die Metaphysik der Sitten”, p. II, sez. I.

8 Corso di diritto internazionale, Padova 1933, p. 73. D’altra parte la questione era stata posta da Vattel (v. E. di Rienzo “Guerra civile e guerra giusta…” in Filosofia politica 3/2002 pp. 380 ss.).

9 Frammenti di un dizionario giuridico, rist. Milano 1983, p. 224.

10 Trotsky riteneva che il dualismo di poteri “è un fatto rivoluzionario e non costituzionale” perché “la parte di potere ottenuta in una situazione del genere da ciascuna delle classi in lotta, è determinata dai rapporti di forza e dalle vicende della battaglia. Per sua natura questa situazione non può essere stabile… il frazionamento del potere non è che un preannuncio di guerra civile… la guerra civile conferisce al dualismo di poteri la sua espressione più visibile, cioè un’espressione territoriale” …con la costituzione di roccaforti di partito e il resto del territorio disputato. Perché “come sempre in una guerra civile, le delimitazioni territoriali siano estremamente instabili”. Questa situazione di dualismo termina con la vittoria di una delle parti (o con la itio in partes del territorio) giacchè “la società ha bisogno di una concentrazione di poteri”, e la decisione tra democrazia borghese (e borghesia) e sistema sovietico (e proletariato) dev’essere risolta in modo militare, con la vittoria di una delle parti. Proporre, come Kautski e Max Adler di combinare la democrazia con il sistema sovietico, equivale a trasformare la guerra civile in una componente della costituzione. Non è possibile – conclude Trotsky – “immaginare un’utopia più curiosa” Storia della rivoluzione russa, P. I, Milano 1967, pp. 164 ss. V. anche l’articolo di Lenin “Il dualismo del potere” sulla Pravda n. 28 del 9(22) aprile 1917, ora in Opere scelte, Roma 1965 p. 719.

11 Sun-Tzu consiglia “ci si assottiglierà più del sottile fino a rendersi privi di forma. Smaterializzarsi più degli spiriti fino a rendersi privi di suono! Soltanto così saremo in grado di diventare gli arbitri del loro destino” e prosegue “Il nemico manifesta una forma e con ciò si rende umano. Io invece sono privo di forma” L’arte della guerra, trad. it., Milano 1980, p. 66

12 La quale fin dalle prime parole “si rende necessario che un popolo rescinda i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro ed assuma tra le altre Potenze della Terra quel posto distinto ed eguale che gli spetta per Legge Naturale Divina…” rende palese che l’invocazione successiva della justa causa (i diritti delle colonie e l’oppressione della madrepatria) è finalizzata a legittimare lo Stato rivoluzionario nascente come justus hostis.

13 V. Suarez, op. cit., Sectio VIII ; v. sul punto S. Tommaso d’Aquino De regimine principum, lib. I, cap. 6, dove l’Aquinate pone il criterium differentiae nel diritto del popolo alla scelta del re; sulla distinzione tra i due tipi di tirannide v. Juan de Mariana De Rege et Regis Institutione, Lib. I°, cap. 6.

14 V. Suarez op. cit. Sectio IV; de Vitoria sostiene che non si possa muovere guerra agli indios perché non sono cristiani né per i loro peccati De indis, I, 2, 20-21.

15 Suarez, op. cit., Sectio IV.

16 V. Verfassungslehre § 1, Berlino 1970, p. 4 ss.; sulla distinzione in particolare § 2,2 p. 13 ss; la distinzione è ripresa più volte da Schmitt nell’opera, v. p. es. § 3,2.

17 V. S. Roberto Bellarmino, op. cit., p. 260, Suarez op. cit., Sectio IVUnde, quod quidam aiunt, supremos reges habere potestatem ad vindicandas iniurias totius orbis, est omnino falsum, et confundit omnem ordinem, et distinctionem iurisdictionum: talis enim potestas, neque a Deo data est, neque ex ratione colligitur”, sul punto v. il dissenso di Baget Bozzo in Panorama dell’11/4/03 p. 50.

18 In modo simile a quella regola del diritto processuale per cui nessuno può agire in nome proprio per i diritti altrui (art. 81 c.p.c.).

19 Secondo H.Munkler Politica e Guerra in Filosofia Politica n. 3/2002 p. 440, solo il 17 % delle guerre successive al 1945 sono guerre tra Stati in senso classico.

20 Tra l’altro l’intervento di potenza “terza” in una situazione di conflitto “interno” costituisce di fatto una legittimazione del movimento rivoluzionario. Kant, nel difendere il principio del non-intervento, lo ammetteva in questa situazione “perché non si Stati si tratta, ma di anarchia”. Togliere il carattere di Stato all’uno equivale, tuttavia, a collocarlo sullo stesso piano dell’altro. V. Per la pace perpetua in Antologia di scritti politici, Bologna 1961, p. 10.

21 V. sul punto Carl Schmitt “Portata alle sue estreme conseguenze, l’identificazione di nemico e criminale avrebbe rimosso anche gli ultimi ostacoli che Kant ancora frapponeva al giusto vincitore, non intendendo egli ammettere che uno Stato scomparisse o che un popolo fosse privato del suo potere costituente” in Der Nomos der erde, trad. it., Milano 1991, p. 205.

22 Non è questa la sola disposizione d’ispirazione “Kantiana” di tale Carta; nel preambolo vi si legge “le leggi della moralità politica sono universali e che l’obbedienza a tali leggi incombe su tutti i popoli che vogliono mantenere la loro sovranità e giustificare le loro relazioni sovrane con gli altri popoli”.

23 Methaphisik der Sitten § 61.

24 Il che in una politica fondata sull’immagine e sui media e con diversi Capitan Fracassa al governo di Stati del pianeta correrebbe il rischio di provocare guerre a ogni piè sospinto.

25 Il tutto confermerebbe l’intuizione alla base dell’insegna: che la pace assoluta, non turbata da guerre, è solo quella della morte.

26 V. S. Agostino, De civitate Dei, 19, XII, e 19, XIII.

27 Si noti che S. Agostino fa discendere la “cattiveria” di Caco dalla totale asocialità del medesimo: “se si fosse preoccupato di mantenere con gli altri quella stessa pace che cercava di conservare nella sua caverna e in se stesso, non sarebbe stato chiamato né cattivo, né mostro”. Ma un uomo del tutto asociale non si è mai visto per cui il Santo prosegue: “Diciamo piuttosto che un tal uomo non è mai esistito, o almeno… non fu tale quale lo descrive la fantasia del poeta”. Op. cit. 19, XII.

28 Vom Kriege, Cap. I, 5 ss.

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La potenza russa di fronte alla guerra, di Victor Violier

Una mappa delle dinamiche di potere interne al regime russo secondo la visione e gli schemi offerti dalla narrazione occidentale, ovviamente ben presenti anche negli ambienti francesi. Una rappresentazione che glissa “elegantemente” sulle dinamiche e sui conflitti ben presenti e ben poco “democratici” tra i centri decisori occidentali. Ignora del tutto le dinamiche circolari che si producono tra le élites e la base popolare indispensabili a conformare le formazioni sociali. Su questo aspetto, la condizione dei paesi occidentali poggia su basi più precarie e su dinamiche di centri decisori sempre più autoreferenziali. Giuseppe Germinario

La potenza russa di fronte alla guerra

8 maggio 2023

 

Mentre la prosecuzione della guerra sembra irrimediabilmente legata al futuro del regime russo e alla capacità di Vladimir Putin di consolidare la sua leadership all’interno dell’élite di potere, quale impatto ha avuto il conflitto e le sue vicissitudini sul potere del Cremlino?

 

Dietro un apparente consenso politico sulla guerra, ci sono sempre più segnali di una possibile diarchia all’interno delle élite e di una ricomposizione degli attori di potere statali e non statali.

 

La fedeltà di un’élite cooptata che si stringe attorno al leader

 

Da quando Vladimir Putin è salito al potere alla fine degli anni Novanta, il sistema politico russo è stato caratterizzato da un “pluralismo politico limitato [e] non rendicontabile” (1), ma l’élite al potere è comunque dilaniata da dibattiti, dissensi e persino conflitti sul futuro del regime e, in particolare, sui modi in cui la classe dirigente dovrebbe garantire il mantenimento della sua posizione e dei suoi privilegi rispetto al resto della popolazione. La traiettoria politica della Russia post-sovietica può quindi essere intesa come il prodotto delle lotte e degli scontri tra i diversi gruppi che la compongono.

 

Questo ex tenente-colonnello del KGB, che è stato paracadutato nella posizione di capo di Stato senza alcun capitale politico, ha dovuto forgiare la propria cerchia e le proprie reti per consolidare il suo potere. Il primo compito è stato quello di mettere in riga gli oligarchi ereditati dall’era Eltsin, particolarmente attivi in politica sotto la sua presidenza. L’affare Khodorkovsky, dal nome dell’ex amministratore delegato della compagnia petrolifera Yukos e sostenitore dei movimenti liberali di opposizione, è il simbolo dell’addomesticamento di questi ricchi uomini d’affari, la cui influenza politica è diminuita notevolmente nel corso degli anni. Se non volevano subire l’ira del governo e rischiare la confisca degli imperi economici e finanziari costruiti durante la transizione a un’economia capitalista, dovevano evitare di immischiarsi nella politica e sostenere il governo ogni volta che ne aveva bisogno. Allo stesso tempo, gli uomini del mantenimento dell’ordine acquisirono un ruolo centrale nella conduzione della politica del Paese e nel sostegno al Presidente della Federazione. Il termine “strutture di forza” (silovye strukrury) si riferisce a tutti i membri dei ministeri e delle agenzie responsabili dell’applicazione della legge e del mantenimento dell’ordine. Il loro numero e la loro influenza sono cresciuti inversamente alla perdita di influenza degli oligarchi, portando alcuni specialisti a descrivere il regime russo come una “militocrazia” (2). Tuttavia, questa affermazione deve essere qualificata, soprattutto perché questi siloviki non sono necessariamente un gruppo perfettamente omogeneo, anche dal punto di vista politico (3). Essi vanno invece considerati come una potente forza politica conservatrice le cui preferenze favoriscono il mantenimento dello status quo nella Russia contemporanea (4). Un altro gruppo dell’élite al potere è costituito da coloro che sono vicini al Capo di Stato e che provengono da San Pietroburgo, dove Vladimir Putin era di stanza all’inizio degli anni Novanta dopo il suo ritorno da Dresda, e sono noti come i “pietroburghesi”. Vladimir Putin ha intessuto rapporti di fiducia con questi uomini prima di salire al potere, tanto da essere presentato dai consulenti politici vicini al settore come un gruppo importante, nonostante il loro numero sia oggi relativamente ridotto (5). Anche in questo caso, sebbene nella prima cerchia del leader russo si possano individuare alcune figure emblematiche, a partire da Dmitri Medvedev, ex presidente, primo ministro e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa dal 2020, non si tratta di un gruppo politicamente omogeneo. Infine, un ultimo gruppo, composto da tecnocrati, spesso più giovani dei precedenti, è emerso come risultato della nuova politica dei quadri del regime (kadrovaja politika) e della creazione di riserve di quadri (kadrovyj reserv) (6).

 

In pratica, questi diversi gruppi possono essere in disaccordo sulle riforme da attuare per quanto riguarda i metodi di modernizzazione dello Stato e della sua amministrazione, l’atteggiamento da adottare nei confronti dei partner occidentali o il grado di intervento dello Stato nell’economia (7). Classicamente, c’è un polo liberale e un polo più conservatore. Ed è sempre su questa linea che emerge il dissenso, nonostante una facciata di unanimità e in situazioni molto specifiche. Ad esempio, di fronte a chi chiede l’inasprimento del conflitto e un massiccio dispiegamento di truppe, il Ministro per lo Sviluppo Digitale, Maksut Chadaïev, ha dato voce alle preoccupazioni della frangia moderata del governo sulle conseguenze economiche della guerra, avanzando la cifra di 100.000 dipendenti che hanno lasciato il settore tecnologico e dell’informazione dall’inizio della guerra, pari al 10% della forza lavoro del settore.

 

Ad oggi, la guerra ha chiarito almeno due aspetti del funzionamento delle élite al potere in Russia. Da un lato, il conflitto ha confermato – per chi ancora ne dubitava – la mancanza di potere reale di coloro che vengono erroneamente definiti “oligarchi”. Il loro potere è limitato alla sfera degli affari e, in pratica, dipende in larga misura dagli arbitrati del potere politico, al quale non hanno altra scelta che sottomettersi. La guerra era ovviamente una cattiva notizia e una fonte di preoccupazione per i ricchi uomini d’affari vicini al governo. Ma in nessun momento sono stati in grado di impedirla o di influenzarne i termini. Ora sono costretti a fare i conti con la guerra e le sue ripercussioni economiche, a partire dalle sanzioni occidentali che li riguardano direttamente. D’altra parte, la strategia del governo di intimidire la frangia liberale dell’élite ha portato a un rafforzamento del potere intorno ai conservatori e ai patrioti. Alcuni membri dell’élite cooptata e rappresentanti dei “liberali sistemici” hanno parlato dei rischi della guerra, in particolare di quelli economici. Tra questi, Herman Gref, presidente della Sberbank, la principale banca del Paese, ed Elvira Nabioullina, governatore della Banca centrale della Russia. Tuttavia, la loro voce non sembra essere stata ascoltata, confermando i nuovi arbitrati del Capo di Stato. Per alcuni liberali di sistema, la mancata fedeltà alla politica guerrafondaia di Vladimir Putin è stata ancora più costosa. È il caso, ad esempio, di Vladimir Maou, il principale economista della Federazione e rettore del più grande istituto scolastico del Paese, che mira a formare l’élite di domani. Finora gli ambienti conservatori lo hanno visto come un feroce avversario e ritenevano che avesse una forte influenza sul Presidente, ma quest’estate è stato molto vicino alla condanna da parte dei tribunali russi per corruzione. Il caso è suonato come un campanello d’allarme per questo fedele sostenitore del regime, colpevole di non aver firmato l’appello dell’Unione dei Rettori a sostegno della guerra. Dopo questa violenta incriminazione, il suo nome è magicamente apparso in calce alla petizione in questione. Un recente dispaccio di Ria Novosti ha riferito che Vladimir Maou non è tornato da un viaggio in Israele dal novembre 2022.

Una congiuntura critica che apre uno spazio di competizione politica per il potere?

 

In modo apparentemente paradossale, in un momento in cui le élite si stanno restringendo e il potere ha eliminato o neutralizzato le frange più liberali dell’élite al potere, la crisi iniziata con l’intervento militare in Ucraina sembra aver aperto uno spazio politico per attori più radicali che in precedenza potevano essere visti come estranei dal resto dell’élite. Seguendo il lavoro di Michel Dobry, che invita i ricercatori a comprendere le crisi come “stati particolari dei sistemi politici interessati” (8), possiamo osservare gli effetti della de-settorializzazione degli spazi sociali e del deterioramento dei confini ideologici. In questa situazione di fluidità politica, due attori in particolare meritano la nostra attenzione.

 

Il primo è il Presidente della Repubblica cecena, Ramzan Kadyrov. È il figlio di Akhmat-Khadji Kadyrov, che è stato presentato nel discorso ufficiale come il primo Presidente della Cecenia, a causa del suo sostegno a Mosca e della sua dissociazione dal campo pro-indipendenza da cui provenivano i suoi due predecessori. Ramzan Kadyrov è stato nominato Presidente della Repubblica cecena da Vladimir Putin nel 2007, dopo aver appena raggiunto l’età minima legale di 30 anni. Da allora, Ramzan Kadyrov ha continuato ad accrescere il suo potere. In cambio della sua fedeltà al governo federale e del mantenimento dell’ordine nell’ex repubblica separatista, Mosca gli ha dato carta bianca in Cecenia, dove si comporta da vero autocrate e regna il terrore attraverso le sue forze di sicurezza, i kadyrovtsy. Dall’inizio della guerra, R. Kadyrov ha rilasciato una serie di dichiarazioni forti e roboanti e in diverse occasioni si è distinto per il suo atteggiamento guerrafondaio. Il giorno successivo all’invasione, il 24 febbraio, il leader ceceno ha annunciato che 10.000 uomini erano stati radunati e inviati da Grozny per sostenere l’esercito russo. A settembre ha criticato pubblicamente i generali russi in un video pubblicato sul suo canale di social network Telegram: “Non sono uno stratega come il Ministero della Difesa. Ma sono stati commessi degli errori. Penso che trarranno delle conclusioni. Quando si dice la verità in faccia, può non piacere. Ma a me piace dire la verità”. Ha persino lanciato una sorta di ultimatum al comando, aggiungendo che “se non verranno apportate modifiche all’operazione militare speciale oggi o domani, [sarà] costretto a [rivolgersi] ai leader del Paese, al Ministero della Difesa, per spiegare la situazione sul campo”. Un mese dopo, ha chiesto l’uso di armi nucleari in Ucraina per smettere di “giocare”. Oggi, alcuni osservatori ritengono che abbia un destino federale, non solo per il ruolo che sta svolgendo nella guerra, a sostegno di Mosca, ma anche per lo status speciale di cui sembra godere e beneficiare.

 

Il secondo di questi attori, particolarmente in vista dall’inizio della guerra, è Evgueni Prigogine. Ex prigioniero di diritto comune durante l’Unione Sovietica, tra il 1990 e il 2000 ha fatto fortuna nel settore della ristorazione, grazie a speciali legami con il governo e a lucrosi contratti pubblici, guadagnandosi il soprannome di “chef di Putin”. Più recentemente, E. Prigogine è noto per essere il fondatore, nel 2014, del gruppo paramilitare privato Wagner. Da allora questa società privata di mercenari è particolarmente attiva non solo in Ucraina, ma anche in Medio Oriente e in Africa, cosa che aveva sempre negato fino alla guerra del 2022. Allo stesso modo, il governo russo, che aveva rifiutato qualsiasi legame con Wagner e si era a malapena degnato di riconoscerne l’esistenza, ha finalmente riconosciuto il suo ruolo nell’operazione in Ucraina. L’uso delle milizie Wagner si spiega con il desiderio di Vladimir Putin, in primo luogo, di rafforzare le forze russe sul terreno senza ricorrere alla mobilitazione e, in secondo luogo, di usarle il meno possibile. In questo senso, Prigogine e i suoi miliziani sono belligeranti a pieno titolo nel conflitto in cui Wagner si vende come truppe d’élite, anche se la compagnia paramilitare privata recluta dalle prigioni russe in cambio della promessa di una seconda vita dopo la guerra. La partecipazione alla guerra di una struttura non statale solleva interrogativi, soprattutto perché la cooperazione tra l’esercito regolare e la compagnia di mercenari spesso lascia il posto alla competizione sul campo e a una guerra di comunicazione per rivendicare la paternità delle vittorie di cui le autorità russe hanno tanto bisogno per salvare la faccia. L’ultimo esempio è la battaglia di Solédar, nel gennaio 2023, per la quale il gruppo Wagner, attraverso l’intermediazione dello stesso E. Prigozhin, si è affrettato a rivendicare la paternità delle vittorie. Prigozhin, si è affrettato a prendersi il merito della vittoria, anche se la città non era completamente sotto il controllo russo, per poi essere smentito dal Ministero della Difesa russo, che ha rivendicato la vittoria due giorni dopo. Come per spegnere il fuoco, il 16 gennaio il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha dichiarato che la Russia “riconosce gli eroi che servono nelle forze armate”, citando in particolare “quelli del gruppo paramilitare Wagner” e assicurando che “questo conflitto esiste solo nello spazio dell’informazione”. Tuttavia, E. Prigojine, che è recentemente uscito allo scoperto, non trascura di comunicare le imprese del suo gruppo mercenario per il proprio tornaconto personale. È anche sempre più critico nei confronti delle autorità e delle élite, accusandole di evitare la mobilitazione. Infine, secondo il sito di notizie indipendente Meduza (9), E. Prigozhin sta progettando di creare un nuovo partito politico conservatore, patriottico e anti-elitario. Prigozhin, che un tempo voleva stringere legami più stretti con il partito nazionalista Rodina (“Patria”) per le elezioni legislative del 2020, spera certamente di convertire la legittimità acquisita sul campo di battaglia nell’arena politica.

Un edificio che potrebbe crollare?

 

Se prestiamo tanta attenzione a ciò che accade nei corridoi del potere, è anche perché la prospettiva di una rivolta della popolazione o anche, semplicemente, di massicce mobilitazioni sociali che costringano il governo a cambiare rotta, sembrano altamente improbabili. Già prima della guerra, il politologo russo Vladimir Gel’man, allora ancora professore all’Università Europea di San Pietroburgo, aveva dichiarato: “Abbiamo a che fare con un regime autoritario inequivocabilmente consolidato – “consolidato” nel senso che non ci sono seri fattori interni che possano cambiare nel prossimo futuro”. (10) Oltre all’importanza della propaganda del governo, ampiamente diffusa dai media, non dobbiamo ovviamente sottovalutare la forza dell’apparato repressivo, che si abbatte su qualsiasi accenno di resistenza da parte della popolazione. Tanto più che gli ultimi media e giornalisti indipendenti sono stati costretti al silenzio o all’esilio. Tuttavia, sebbene sia ragionevole dubitare dell’emergere di mobilitazioni su larga scala, alcuni eventi di questa guerra hanno dato origine all’espressione di alcune tensioni sociali. È il caso, in particolare, della mobilitazione parziale iniziata il 21 settembre 2022, che ha dato vita a manifestazioni in quasi quaranta città russe, duramente represse dalle autorità. Ci sono stati anche tentativi di sabotaggio. Che si tratti di un’espressione di rabbia o di un vano tentativo di fermare la terribile macchina, diverse stazioni della polizia militare sono state date alle fiamme. Va notato, tuttavia, che in seguito sono state rilasciate numerose dichiarazioni pubbliche, in particolare video postati sui social network, da parte di madri e mogli di soldati che chiedevano maggiori risorse per i loro figli e mariti andati a combattere. In altre parole, non chiedevano il ritorno degli uomini, ma l’equipaggiamento per poter combattere in buone condizioni.

 

In questo contesto, la questione che si poneva al regime e alla società russa era quella della lealtà dei quadri intermedi e delle élite di secondo livello. In situazioni di routine, essi sono i relè del potere e le cinghie di trasmissione del suo dominio sulla società. In questi tempi critici, devono sempre più prendere decisioni impopolari e garantirne l’attuazione, nonostante il malfunzionamento non solo dell’apparato militare, ma anche dello Stato e della sua amministrazione, nonché le difficoltà incontrate dall’economia russa. La stragrande maggioranza delle élite intermedie sembra disposta a rispettare le direttive dall’alto, minimizzando i rischi per se stessa di disobbedire o anche semplicemente di non raggiungere gli obiettivi, come ad esempio le quote di mobilitazione. Tuttavia, dall’inizio della guerra si sono levate alcune voci contro le autorità russe. Un diplomatico della Missione permanente russa presso le Nazioni Unite a Ginevra si è dimesso il 23 maggio. Da allora, Boris Bondarev, che ha lavorato per il Ministero degli Esteri russo per 20 anni, ha costantemente criticato le autorità e denunciato la codardia dell’entourage di Vladimir Putin, a partire dal suo ex capo, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov. I deputati del comune di Smolninskoye (un distretto di San Pietroburgo) hanno accusato il Presidente di essere responsabile della “morte di uomini russi abili al lavoro, del declino economico nazionale, della fuga di cervelli dalla Russia e dell’espansione della NATO verso est” e hanno chiesto alla Duma (il parlamento federale) di rimuoverlo dalla carica per “alto tradimento” sulla base dell’articolo 93 della Costituzione (11). A Mosca, un gruppo di deputati del distretto di Lomonossov ha inviato una lettera a Vladimir Putin, certo meno veemente ma altrettanto chiara nella sua richiesta: “Le chiediamo di dimettersi”. Più discretamente, il sindaco di Mosca si è distinto dichiarando, prima della scadenza, che la quota di coscritti era già stata raggiunta. Questo era senza dubbio un modo per tranquillizzare i cittadini della capitale e allentare la pressione sulla popolazione.

 

Radicalizzazione delle élite sotto la pressione dei fautori dello scontro

 

Di fronte all’impossibilità virtuale di mobilitarsi per i cittadini comuni e alle rare ma coraggiose prese di posizione delle élite intermedie, sembra che un’ondata di entusiasmo stia suscitando molto più scalpore nella società russa, con patrioti, ultranazionalisti e guerrafondai di ogni tipo che diventano sempre più visibili e vocali. Questo movimento non è nuovo, ma mentre le sue figure principali hanno finora operato ai margini della politica russa, facendo comodamente passare Vladimir Putin per un “moderato”, la guerra e l’escalation della retorica bellicista e dell’odio verso l’Ucraina e l’Occidente gli hanno permesso di formare una vera e propria opposizione pro-guerra al Cremlino (12). La retorica utilizzata dal governo russo per giustificare l’aggressione militare contro l’Ucraina attinge a piene mani dalla retorica imperiale e neo-eurasiatica, che fantastica su un “mondo russo” – di cui l’Ucraina farebbe parte – minacciato e umiliato dall’Occidente. Aleksandr Dugin, un ideologo spesso erroneamente presentato come il “Rasputin” di Putin, è un pensatore influente nei circoli estremisti russi. Le sue opinioni sono penetrate ulteriormente nella società russa a seguito della guerra e del fatto che molte delle sue tesi sono state riprese dal governo nei suoi discorsi ufficiali. Le dichiarazioni di Vladimir Putin, come il discorso alla nazione del 21 settembre 2022, danno credito alla negazione dell’esistenza di una civiltà ucraina, o addirittura di un popolo o di una cultura ucraini distinti dalla civiltà russa. Dugin è stato a lungo un sostenitore dell’annessione della Crimea alla Russia e dall’inizio della guerra si è dichiarato a favore dell’annessione di tutto il territorio ucraino. Commentando la guerra il 1° ottobre sul canale televisivo Tsargrad, ha dichiarato: “Questo non è un evento ordinario, (…) è l’inizio dell’ultima battaglia tra luce e tenebre che è stata definita oggi.

Tra i leader di questo partito di guerra, i blogger militari svolgono un ruolo centrale. Questi esperti militari sono a capo di comunità di diverse centinaia di migliaia di iscritti sul social network russo Telegram. Qui si lasciano andare a critiche virulente nei confronti dei vertici militari, ma in genere sono attenti a risparmiare la testa del Cremlino. Ciò è avvenuto anche in seguito al bombardamento di Makiïvka la notte di Capodanno. Mosca ha ammesso 89 morti. Kiev rivendica un bilancio più alto, con 300 morti e 400 feriti. La rabbia dei blogger militari si è subito indirizzata contro il comando militare, accusato sia di non avere sufficiente autorità sui suoi uomini per privarli dei telefoni (cosa che li avrebbe portati a essere individuati) sia di aver organizzato lo stoccaggio delle munizioni in un edificio adiacente, aggravando così la portata e il bilancio delle vittime dell’esplosione. Questi esperti hanno così contrastato il tentativo del Ministero della Difesa di scaricare la colpa sui soldati e sulla loro negligenza. Igor Girkin, noto come “Strelkov” (tiratore), è uno dei pochi oppositori di estrema destra alla guerra che si è permesso di criticare direttamente Vladimir Putin. In un lungo video postato sul suo canale Telegram a dicembre, ha affermato che “la testa del pesce [era] completamente marcia”, ripetendo il proverbio secondo cui “il pesce marcisce sempre dalla testa”. Un’ipotesi per spiegare questa libertà di toni è che sia un membro del GRU, il servizio segreto militare russo. È anche probabile che le autorità non siano riuscite a mettergli le mani addosso. Infine, Igor Girkin conserva una certa popolarità per il ruolo svolto nell’annessione della Crimea e poi nelle prime fasi della guerra nel Donbass nel 2014. In ogni caso, i suoi commenti sulla guerra in corso forniscono agli osservatori e alle autorità russe una visione senza dubbio più vicina alla realtà dei combattimenti rispetto ai rapporti compiacenti che risalgono al Cremlino.

 

La posizione di V. Putin è stata rafforzata dal rafforzamento dell’élite al potere intorno al suo leader. Tuttavia, egli deve affrontare l’ascesa al potere di attori le cui ambizioni non può più controllare completamente. Sebbene Vladimir Putin sia all’apice della struttura di potere, che opera come un groviglio di reti informali e di alleanze personali piuttosto che come il “potere verticale” millantato dal discorso ufficiale, egli non è l’unico artefice. Al contrario, Vladimir Putin deve arruolare il sostegno e l’appoggio di tutti i gruppi d’élite e le reti informali che compongono il potere russo e che dipendono dal suo potere tanto quanto lo limitano (13). Inoltre, nonostante la natura autoritaria del potere, non bisogna dimenticare che il regime deve costruire il consenso e il sostegno a un progetto che si riduce sempre più a una guerra assurda e criminale. In questo contesto, il partito della guerra e le forze conservatrici e patriottiche forniscono certamente sostegno alle politiche di Vladimir Putin, ma esercitano anche un’ulteriore pressione sulla capacità del governo di trovare una via d’uscita che possa essere vista come una vittoria e quindi evitare una crisi per il regime.

Notes

(1) Juan J. Linz, « An Authoritarian Regime : The Case of Spain », in E. Allard et Y. Littunen (dir.), Cleavages, Ideologies, and Party Systems : Contributions to Comparative Political Sociology, Helsinki, The Academic Bookstore, 1964, p. 291-341.

(2) Olga Krychtanovskaïa et Stephen White, « Putin’s militocracy », Post-Soviet Affairs, vol. 19, n° 4, octobre-décembre 2003, p. 289-306.

(3) Victor Violier, « The Militarization Theory in Post-Soviet Russia : Dispelling the Pathological Look at Political and Administrative Elites », Research in Political Sociology, vol. 24, p. 191-213, 2017.

(4) Brian D. Taylor, « The Russian Siloviki & Political Change », Daedalus, vol. 146, no 2, 2017, p. 53-63.

(5) Régis Genté, « Cercles dirigeants russes : infaillible loyauté au système Poutine ? », Russie.NEI.Reports, n° 38, IFRI, juillet 2022.

(6) Victor Violier, « Façonner l’État, former ses serviteurs : les reconfigurations de la politique des cadres de la fin de l’Union soviétique à la Russie de Vladimir Poutine », thèse de doctorat en science politique sous la direction de Béatrice Hibou et Frédéric Zalewski, Université Paris Nanterre, 2021.

(7) Olga Gille-Belova, « Les débats sur la “modernisation autoritaire” sous la présidence de Dmitri Medvedev », Revue internationale de politique comparée, vol. 20, no 3, 2013, p. 133-151.

(8) Michel Dobry, Sociologie des crises politiques, Paris, Presses de Sciences Po, 2009.

(9) « “He grasps things very quickly” Evgeny Prigozhin’s covert bid for power in an unstable Russia — and what he has learned from Alexey Navalny », Meduza, 15 novembre 2022 (https://​rb​.gy/​7​q​g​dv9).

(10) « “I don’t know what will happen with Putin’s daughters” Political scientist Vladimir Gelman explains how Russia’s political regime consolidated and the country became “badly governed” », Meduza, 6 janvier 2020 (https://​rb​.gy/​x​k​f​g9t).

(11) « Deputies in St. Petersburg suggest State Duma charge Putin with high treason », The Insider, 8 septembre 2022 (https://​rb​.gy/​w​w​x​ldj).

(12) Jules Sergei Fediunin, « Why does the Putin regime tolerate its radical conservative critics ? », Russia​.post, 15 décembre 2022.

(13) Alena Ledeneva, Can Russia Modernize ? – Sistema, Power Networks and Informal Governance, Cambridge, Cambridge University Press, 2013.

Photo ci-dessus : Le 24 juin 2022, le président russe Vladimir Poutine assiste à la parade militaire marquant le 75e anniversaire de la victoire sur le nazisme. Selon le Centre indépendant Levada, la cote de popularité du président russe était en chute de 6 points entre les mois d’août et septembre 2022, mais se situait toujours au-dessus de 75 %. En mars 2022, le pourcentage de Russes « approuvant » l’action du maitre du Kremlin était remonté à 83 %, après être longtemps resté sous la barre des 70 % pendant l’épidémie de Covid-19. (© Kremlin​.ru)

https://www.areion24.news/2023/05/08/le-pouvoir-russe-face-a-la-guerre/

 

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