SOVRANO È CHI DECIDE SULLO STATO DI ECCEZIONE – di Massimo Morigi (scritto il 2 dicembre 2013)

SOVRANO È CHI DECIDE SULLO STATO DI ECCEZIONE – di Massimo Morigi
“Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione.” (Carl Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio, e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 33). Tutta la costruzione giuridica dell’UE invece di concentrarsi su questo elementare dato di fondo rilevato dal giuspubblicista di Plettenberg, ha preferito muoversi lungo la linea Kelsen di rimozione del problema della sovranità. Si è così ottenuto che il popolo, che è il titolare della sovranità democratica, ha di fatto perso sempre più potere (gli sono state sottratte quote sempre più crescenti di ‘Dominio Repubblicano Diffusivo’ per esprimerci nei termini del Repubblicanesimo Geopolitico), essendo che questo potere era basato su una base giuridica sempre più svuotata (la sovranità, appunto) mentre il potere stesso ha subito una sorta di translatio loci dal popolo alla burocrazia e alla finanza (nazionali e/o transnazionali che siano), la cui azione non è giustificata da una forma defunta di sovranità (quella democratica) ma in base a puri criteri di efficacia. E così, nonostante la sua rimozione dalla dottrina giuspubblicista prevalente, la sovranità si è ricostituita avendo nuovi titolari: la burocrazia e la finanza. Come si è visto nella ultima crisi finanziaria dove a decidere in Europa sullo stato di eccezione (cioè sui provvedimenti da prendere per farvi fronte) non è stata la politica ma questi luoghi in cui era migrata la sovranità. Rispondendo quindi a Stefanini in merito a quale sia l’interesse italiano oggi, si può dire che l’interesse italiano – anche se con maggiore urgenza che nelle altre nazioni europee dove la politica non ha raggiunto l’indecenza del nostro paese – è “ritraslare” il potere e la sovranità verso il popolo. Fra pochi mesi avranno luogo le elezioni per il parlamento europeo. Pur con il dovuto disgusto verso la retorica e la disinformazione “democratica” (di fatto totalmente autoritaria) che da sempre accompagna la costruzione di questa Europa e i suoi appuntamenti elettorali, non sarebbe il caso di pensare di approfittare di questa occasione per uscire dal campo della pura analisi per cominciare ad avventurarci nella prassi? E in Italia non potrebbero essere
protagonisti di questo tentativo coloro che non da ieri ma ancor quando si pensava che questo sistema fosse in grado di dispensare libertà e benessere hanno sempre sostenuto che il potere del nostro paese è meno che altrove in mano al popolo ma di coloro che pretendono di agire in loro nome e loro conto sequestrandone di fatto la sovranità?

2 DICEMBRE 2013

PODCAST nr 2 _ ESCALATION IN COREA, di Gianfranco Campa

Il secondo podcast di Italia e il mondo. Il gioco in Corea. (cliccare sul cursore dell’immagine in basso)

Una partita giocata ormai al rialzo. Se va bene, scopriremo chi tra i due contendenti sta bluffando; uno dei due contendenti, comunque, è destinato ad una rovinosa caduta di immagine e credibilità. Se va male si rischia un conflitto dalle conseguenze imprevedibili nella loro gravità. I motivi contingenti che stanno portando a questo alto livello di tensione sono numerosi, non ultimo la delega in bianco lasciata da Trump ai militari all’interno dello staff presidenziale, senza poter rinunciare alla propria responsabilità politica. Il Presidente, ormai, è destinato a rimanere in ostaggio e il suo destino è in mano ai suoi avversari di appena otto mesi fa. La posta strategica è ancora più decisiva. Si tratta di determinare il livello di autonomia decisionale che, nel bene e nel male, possono avere paesi e potenze regionali, tra questi oltre alla Corea del Nord, Egitto, Turchia ed Iran, i quali aspirano a mantenere un ruolo attivo meno subordinato alle strategie delle grandi potenze, in primis degli Stati Uniti; una autonomia, purtroppo, che dipende sempre più, ormai, anche dalla capacità di deterrenza nucleare. Anche le tensioni regionali spingono di per sé verso questo tipo di riarmo. Ma una grande responsabilità ricade su chi ha chiuso entrambi gli occhi sul riarmo nucleare di paesi alleati, come Israele, osteggiando gli altri; soprattutto ricade sulle potenze che hanno fomentato la destabilizzazione e distruzione di paesi e stati (Iraq, Jugoslavia, Libia, Siria tra questi) sprovvisti di armamento strategico, favorendo e legittimando così i propositi di riarmo di altri. Si vedrà se questa politica in particolare statunitense riuscirà a trovare sponde ed uditori sensibili nelle fila delle altre due potenze di rango, Cina e Russia. Con l’attuale gruppo dirigente russo pare improbabile, perché la Russia ha bisogno di questi paesi per compensare lo scarto di potenza che la separa dagli Stati Uniti e perché con Putin, dal famoso discorso di Monaco nel 2007, ha inaugurato una linea diplomatica di maggior rispetto delle entità statuali. Il gruppo dirigente cinese sembra apparentemente più permeabile alle pressioni americane per tante ragioni, impossibili da enumerare in questo commento. Intanto, però, i cinesi hanno schierato due corpi d’armata (500.000 uomini) alla frontiera nordcoreana e i russi stanno rafforzando a loro volta il loro presidio. Vedremo se questi schieramenti sono rivolti solo contro la coalizione statunitense oppure nascondono qualche gioco più complesso rivolto anche verso i nordcoreani_ Giuseppe Germinario

NATURA MORTA 3a parte, di Giuseppe Germinario

qui la 1a e 2a parte

NATURA MORTA (1a parte), di Giuseppe Germinario

NATURA MORTA 2a parte, di Giuseppe Germinario

 

“Vogliamo essere da stimolo affinché il Partito democratico riprenda questo cammino arrestando la sua deriva neocentrista”, così recita la parte finale del documento fondativo del Movimento dei Democratici Progressisti (http://www.huffingtonpost.it/2017/02/25/movimento-democratico-pro_n_15005420.html ). Una intenzione che rivela lo spirito gregario di una iniziativa lanciata evidentemente di mala voglia, dallo scarso respiro strategico, la cui inerzia connoterà inesorabilmente la precisa funzione del neonato soggetto politico, così come degli altri in via di formazione nella stessa area: quella di mosca cocchiera.

Ogni movimento degno di questo nome per altro indirizza la propria azione costruendosi il proprio Pantheon di numi ispiratori. Massimo d’Alema, l’incubatore del MDP (articolo I Movimento Democratico e Progressista), ancora una volta ci ha illuminati e sorpresi per il suo spirito di accoglienza, già rivelatosi per nulla schizzinoso, sin troppo generoso ed aperto alle novità di fine secolo; nel suo Olimpo in terra, nel tempio degli “illuminati” è riuscito ad assegnare un posto di prestigio niente meno che al Senatore John Mccain, il a suo dire “conservatore illuminato”, acerrimo nemico dell’apprendista stregone neopresidente Donald Trump. La ragione della inopinata ascesa al tempio sono le sue dichiarazioni sulla natura guerrafondaia delle politiche di “the Donald”. Il pulpito dal quale provengono le filippiche non potrebbe essere di certo più credibile. Si tratta proprio di quel McCain immortalato ultimamente, tra le sue innumerevoli peregrinazioni nei vari focolai di guerra nel mondo, in amabile compagnia dei più sanguinari e settari esponenti qaedisti in servizio attivo in Siria ed Iraq, nonché dei più convinti e truculenti esponenti neonazisti impegnati ad alimentare la guerra civile in Ucraina.

Verrebbe da chiedersi il motivo di cotanto spirito d’accoglienza.

Certamente al nostro Leader Maximo non difetta il realismo politico; ne consegue l’accettazione tra le proprie fila dei nemici, secondo il noto principio di Clausewitz, del suo nemico Trump, il capostipite dei populisti e dei reazionari dell’universo-mondo. Si comprende anche, dopo oltre venti anni di imbarazzi e di contorsioni sempre più inverosimili, il sollievo determinato da una situazione che consente di riproporre finalmente il vecchio schema di una sinistra democratica mondiale fautrice di diritti e di pace contrapposta ad una nuova destra razzista, divisiva e militarista. Un buon viatico per garantirsi la sopravvivenza politica ancora per qualche tempo al prezzo però della disinvolta rimozione dei misfatti bellicisti democratico-progressisti degli ultimi trenta anni. Una rimozione certamente resa più disinvolta dall’attitudine e dallo spessore della scorza acquisita nella prima mutazione del nostro dal passato originario nel Partito Comunista. A queste qualità proattive, “diciamo”, fa probabilmente però da retroterra motivazionale alle scelte politiche, una certa inguaribile provinciale sudditanza psicologica di chi ha costruito la propria ascesa politica sulla partecipazione ad una sola guerra, quella contro la Federazione Jugoslava, condotta per di più dall’alto, costruita anch’essa sulla menzogna, tanto propedeutica alla costruzione del sodalizio tedesco-americano quanto nefasta per la federazione jugoslava e deleteria per gli italici interessi; sudditanza psicologica, quella di d’Alema, al cospetto di un personaggio come McCain, al quale deve essere sfuggito persino il novero dei focolai di guerra sino ad ora fomentati. Più prosaicamente deve spingerlo all’azione politica contingente anche il rischio di rottura dello stretto sodalizio con i democratici di Clinton che tanto ha contribuito, assieme ai benefici politici legati alle privatizzazioni degli anni ’90, al successo della sua fondazione;  una incognita determinata dall’esito delle elezioni presidenziali americane e dal possibile conseguente declino della famiglia sconfitta.

Basterebbe questa sintetica rappresentazione a qualificare un movimento politico destinato a raccogliere ormai consensi residuali nel paese.

Il problema è che questa residualità potrà consentire a queste formazioni comunque di ritagliarsi un proprio peso nel processo di frammentazione politica in atto e ritardare se non pregiudicare definitivamente un qualche sviluppo di positiva maturazione politica di una parte sia pure ridotta dei suoi quadri dirigenziali e della gran parte dei militanti di questa area in via di formazione.

Da qui la necessità di sviluppare una critica più puntuale delle tesi adottate non solo dal MDP (Articolo 1 MDP), ma anche dalla costellazione di formazioni interne al PD (mozione Orlando e marginalmente mozione Emiliano), esterne ad esso ma propedeutiche alla ricostituzione del centro-sinistra (MDP di D’Alema, Bersani e Speranza; Campo Progressista di Pisapia); esterne ma intenzionalmente alternative al PD (SI- Sinistra Italiana di Fratoianni e Fassina).

Ad eccezione della mozione Emiliano, conglomerato più che altro destinato ad alimentare formazioni politiche su base civica e territoriale in particolare del Centro-Sud, il resto delle formazioni politiche citate poggia, come si vedrà dai documenti e dagli interventi prodotti, su fondamenti ed analisi politiche comuni, ma su posizionamenti politici diversi frutto di contingente opportunismo.

Ad offrire gli spunti di discussione è sempre d’Alema.

Le sue linee portanti sono le seguenti:

  • Il processo di globalizzazione non ha portato ad una spontanea condizione di pace e di sviluppo omogeneo e ad una estinzione del ruolo degli stati. Le erronee aspettative alimentate in tal senso hanno penalizzato soprattutto le sinistre
  • La globalizzazione ha accentuato le disuguaglianze e favorito quindi l’emergere del potere finanziario, l’emarginazione o la sottomissione della funzione politica a questo potere e una reazione di difesa dei ceti emarginati strumentalizzate da forze antiestablishment (antisistema) piuttosto che populiste
  • Il recupero delle prerogative degli stati nazionali e la riproposizione del nazionalismo sono un lusso consentito alle formazioni e ai paesi più grandi. In quelli medi e piccoli, come quelli europei, si risolvono in una caricatura velleitaria ed impotente
  • Il processo di globalizzazione va quindi governato; per i paesi europei rimane fondamentale ed imprescindibile costruire entità sovranazionali per assumere un ruolo politico significativo
  • La sinistra democratica e progressista deve recuperare una certa radicalità e la capacità di difesa degli interessi dei soggetti deboli assumendo come parola d’ordine il principio di uguaglianza

Inutile ricercare nei suoi interventi una qualche autocritica coerente di posizioni sostenute da lui stesso sino a pochi mesi fa.

Rimane, tra le righe, un approccio che impedisce di valutare adeguatamente la permanenza del ruolo degli stati nazionali, la composizione dei centri strategici che determinano le strategie politiche nei vari ambiti, compreso quello economico e finanziario; che nella permanenza dell’equivoco del predominio delle forze economiche consente di riproporre la solita logica di divisione tra destra e sinistra, soprattutto tra democrazia e dittatura, funzionale al mantenimento degli attuali legami di subordinazione politica nell’agone internazionale; che nella proclamata pretesa di difesa a se stante dei ceti deboli non si fa che riproporre una divisione tra destra e sinistra che assegna a quest’ultima al meglio un ruolo subordinato di redistribuzione di risorse e alla prima la funzione determinante delle scelte produttive e di organizzazione economica funzionali alle strategie geopolitiche e di controllo delle formazioni sociali. Al peggio rimane il ruolo assunto nel determinare l’attuale condizione del nostro paese.

L’analisi dei documenti congressuali consentirà un maggior approfondimento di questi spunti.

Quelle espresse da d’Alema non sono solo debolezze e carenze di analisi, delle semplici incongruenze. Sono anche l’espressione consapevole di una strategia politica da sconfiggere senza remore, oggetto di una battaglia politica. La seguente intervista lascia intravedere di cosa si tratta e di come il personaggio sia parte del meccanismo ( http://www.huffingtonpost.it/2017/04/24/massimo-dalema-spiega-ad-huffpost-la-lezione-francese-una-sin_a_22053364/  )

RICAPITOLANDO, di Antonio De Martini (tratto da https://www.facebook.com/antonio.demartini.589?fref=nf&pnref=story)

Se mettiamo assieme i dati degli attentati dell’ultimo anno compiuti in Europa, appare chiaro che gli “estremisti islamici” vengono chiamati in causa, dai soliti commentatori, a sproposito.
Le erinni dei partiti populisti chiedono la chiusura delle frontiere o dicono che noi italiani siamo messi male mentre ci sono stati attentati in tutta Europa tranne che da noi.

Gli attentatori sono cittadini europei nati e cresciuti in Europa.
Quelli francesi si sono rivelati anche criminali comuni che si sono approvvigionati di armi presso la mala.

Nessuno di loro si è rivelato frequentatore di moschee, mentre tutti avevano un precedente contatto – o addirittura frequentazioni pagate- con la polizia.

Di alcuni si è scoperto che avevano poco prima degli attentati spedito alle famiglie o a parenti ingenti cifre di denaro, ma non è esagerato affermare che tutti sono mercenari prezzolati.
Disperati in cerca di sopravvivenza e soggetti psichicamente disturbati.

L’ultimo, dovrei dire il penultimo, spacciato per attentatore a Dortmund, è risultato addirittura che lo ha fatto per cercare di compiere un aggiotaggio in borsa sui titoli della squadra di calcio.

Il fatto che l’ISIS faccia rivendicazioni infondate è dimostrato anche dall’ultima comunicazione in cui il rivendicatore ha sbagliato nome, provenienza e nazionalità del reo, dato che la polizia non ha rivelato subito queste informazioni come di consueto.
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In comune hanno tutti un passato di cattive cure psichiatriche ( anche numerosi attentatori degli USA), e il fatto di essere tutt senza eccezionei stati uccisi, mentre ormai ogni reparto antiterrorismo del mondo ha i suoi tiratori scelti e tra narcotici e proiettili con sonniferi si addormentano anche gli orsi. Finora l’unico sfuggito alla morte ( il francese rifugiatosi in Belgio) è risultato un confidente delle autorità.

Ammazzano gli attentatori per non interrogarli? La domanda è legittima anche se dolorosa.

Altra domanda: chi può disporre di un’anagrafe tanto vasta di soggetti labili dal punto di vista nervoso, patologicamente bisognosi di sovvenire alle famiglie e con un passato burrascoso di ex galeotti? Chi è il basista, insomma? Chi segnala questi sventurati agli istigatori-reclutatori?

I sospetti appartengono a due categorie: le moschee e le autorità di polizia. Ma i soggetti, lo dicono in molti , non frequentavano le moschee….

Chi ha accesso agli schedari dell’antiterrorismo? Nessuno cerca la Talpa. Nessuno previene gli attentati. Molti attentati (l’ultimo di Londra e di Parigi in specie) giungono a proposito per assecondare le svolte della opinione pubblica desiderate da elementi dirigenziali del paese.

Si fanno inchieste parlamentari su tutto ma non sul terrorismo. E’ un buon segno non riescono a mettere assieme una venina di parlamentari disposti alla complicità.

Il progetto messianico degli USA e la deriva del nostro Paese, a cura di Luigi Longo_ 3a parte

Passo al terzo punto dopo aver ripresentato il prologo

A Giuseppe Germinario, responsabile del blog “ItaliaeilMondo”.

 

Chiedo la pubblicazione dei seguenti tre interventi che riguardano:

1.Gli scenari che si aprono con la fine della brevissima apertura multipolare di Trump segnata dall’aggressione alla Siria. Un multipolarismo tattico, appunto, non strategico, perché gli USA amano dominare il mondo in maniera unilaterale per adempiere il loro Progetto Messianico ( << di avere una missione speciale da compiere e di essere pertanto l’unica nazione indispensabile del mondo >>). Questo significa prendere l’iniziativa di riallineare l’architettura del potere globale, nonostante l’epoca del grande giocatore (allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente) stia ormai per finire.

E’ uno scritto di Paul Craig Roberts, Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?, www.libreidee.org, 9 aprile 2017.

 

2.Il ruolo importante che assume il territorio italiano nelle strategie USA nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. L’Italia è stato lo spazio di coordinamento USA per l’aggressione alla Siria: Napoli ( Comandi: quartiere generale Napoli-Capodichino e Napoli Lago Patria), Gaeta (base Sesta Flotta), Sigonella ( base aeronavale), Niscemi (Sistema Muos).

E’ uno scritto di Manlio Dinucci, Dall’Italia l’attacco USA alla Siria, www.voltairenet.org, 11 aprile 2017.

 

  1. Il ruolo del G7; dello scritto mi interessa far rilevare le trasformazioni delle città italiane (aree urbane e rurali) in hotspot (centri decisi dalla UE per la detenzione, identificazione ed espulsione manu militari dei richiedenti asilo), in centri disumani di immigrati e in città strategiche per i comandi USA-NATO.

E’ uno scritto di Antonio Mazzeo, Il vertice G7 di Taormina, in www.sbilanciamoci.org, 10 aprile 2017.

 

Grazie                                                                                   Cordialità

 

Luigi Longo

Terzo. Nella fase multipolare le città e i territori si militarizzano sempre di più.

 

Antonio Mazzeo, Il vertice G7 di Taormina.

 

La Sicilia ha assunto un ruolo chiave nelle strategie di guerra mondiali a partire dall’installazione a Niscemi del terminale terrestre del Muos, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare delle forze armate Usa.

Un territorio duramente segnato dal dissesto idrogeologico, le frane dopo ogni temporale, la progressiva erosione delle coste. Si presenta così il comprensorio ionico compreso tra le città di Messina e Catania, per lungo tempo una perla del turismo per le sue straordinarie bellezze paesaggistiche e il patrimonio storico-culturale, da alcuni anni vittima della crisi di un modello economico insostenibile e dell’incapacità o inettitudine delle classi politiche e di governo locali. Gli investimenti per la messa in sicurezza dei territori o per il rilancio di attività socio-culturali ed economiche ecocompatibili sono inesistenti, così per uscire illusoriamente dalla crisi, il governo Renzi prima, quello Gentiloni poi, hanno pensato bene di “rilanciare” internazionalmente l’immagine di Taormina elevandola a sede del prossimo G7, il vertice dei capi di stato delle sette maggiori potenze economiche, politiche e militari occidentali (Usa, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Italia). Il 26 e 27 maggio 2017 il comune siciliano ospiterà più di mille delegati, tremila persone fra security, intelligence e fornitori, 2.500 giornalisti, 6.400 tra poliziotti, carabinieri e appartenenti alle forze armate. L’ennesimo “grande evento” che come ormai accade puntualmente in Italia non potrà non avere devastanti impatti socio-ambientali, con ricadute pari a zero in termini occupazionali, mentre di contro enormi flussi di denaro pubblico andranno alle aziende private dei soliti noti.

In vista del G7 di Taormina, il governo ha stanziato 45 milioni di euro “per l’attuazione degli interventi relativi all’organizzazione e allo svolgimento del vertice”: di questi, 30 andranno per la gestione diretta dell’evento e “solo” 15 milioni per le opere infrastrutturali nella località ospitante. Ancora una volta le modalità per la scelta delle opere prioritarie e della gestione dei bandi di gara sarà quella “emergenziale”, così da poter bypassare le procedure previste dalle normative di legge in materia di appalti e prevenzione dell’infiltrazione mafiosa. Il prefetto Riccardo Carpino è stato nominato commissario straordinario per l’evento con delega alle infrastrutture e solo da poco più di un mese è stata messa in moto la macchina organizzativa vera e propria con l’affidamento dei primi lotti di gara. A Taormina si è dato il via agli interventi che più preoccupano per i loro effetti ambientali e paesaggistici, due grandi eliporti per i decolli e gli atterraggi delle delegazioni dei capi di stato (lavori affidati all’Aeronautica militare) e l’allestimento “scenico” del teatro Greco. Affidati pure i lavori di “manutenzione ordinaria e straordinaria” di alcune strade interne al territorio comunale (in verità appena 991mila euro nonostante il grave degrado in cui versa la rete viaria locale), mentre a giorni andrà in gara il lotto per “l’abbellimento floreale” e il “miglioramento del decoro e dell’arredo urbano”, come suggerito dalla sottosegreteria Boschi nel corso della sua recente visita in Sicilia. Di ben altro spessore la tranche riservata ai “servizi” del G7 (pasti, alberghi, servizi, trasporti, ecc.), oltre 25 milioni di euro che la Consip – come denunciato in due speciali de L’Espresso e della Gazzetta del Sud – sono già stati divisi “in gran parte tra imprese e imprenditori extra-collaudati da anni di rapporti con la politica”. Come riporta il giornalista Sebastiano Caspanello, tra i vincitori dei lotti di gara “ci sono il catering ufficiale di Eataly, già saggiato nelle cene di raccolte fondi del Pd, e l’agenzia di comunicazione che ha gestito budget milionari all’Expo; ci sono l’azienda monopolistica dei grandi eventi (il G8 di Genova e L’Aquila) e con consolidate amicizie nei salotti della Capitale e il gruppo di società organizzatrici di meeting, con più di un volto noto gravitante nell’orbita del famoso giglio magico”.

Intanto cresce in tutta l’isola la mobilitazione dei soggetti e delle realtà che si oppongono al modello economico dominante e alle politiche di guerra e di devastazione dell’ambiente perpetuate dai governi G7. La parola d’ordine è di ritrovarsi tutti a Taormina il 26 e 27 maggio per manifestare contro i “Sette Grandi” e contro il “pensiero unico” che legittima alcune transnazionali a decidere sulla vita e sulla morte di 8 miliardi di abitanti della terra. “Il vertice G7 formalizza annualmente le misure di austerità neoliberiste da applicare internazionalmente o gli interventi di guerra planetaria sempre più spesso subappaltate all’organizzazione della NATO”, si legge in un appello condiviso durante le due giornate di mobilitazione internazionale Fora u G7, tenutosi a Palermo a fine febbraio.

Secondo le prime indiscrezioni, il summit di Taormina affronterà alcuni dei conflitti più sanguinosi scatenati nell’area mediterranea e mediorientale (in primis Siria, Libia, Yemen, ma con un occhio anche ai conflitti in corso nel continente africano) e l’immancabile “lotta al terrorismo (islamico)”. Altro tema caldo sarà quello delle relazioni-pressing sulla Russia dove si confronteranno due visioni opposte: da una parte chi chiede d’intensificare l’accerchiamento militare contro Mosca e suoi principali alleati nell’Est Europa e nel Caucaso (Germania e altri paesi chiave Ue); dall’altra chi vorrebbe riagganciare al G7 la potenza guidata da Putin (le lobby politiche energetiche dominanti in Italia e alcuni settori della nuova amministrazione Trump). Il G7 di Taormina sarà importante anche per comprendere chi e come avrà la guida dei comandi NATO, mentre è probabile che i nuovi piani di riamo nucleare globale e di rafforzamento delle componenti di guerra più moderne (droni, unità navali e terrestri del tutto automatizzate, cyber war, ecc.) saranno “socializzati” a tutti i paesi G7 e ai loro più stretti alleati.

In agenda poi il tema delle “emergenze” prodotte dalle migrazioni mondiali, in vista di un rafforzamento delle alleanze politico-militari per contrastare la fuga di milioni di persone dalle guerre e dai crimini socio-ambientali. Scelte scellerate che avranno innanzitutto ricadute dirette sulla vita e le libertà dei cittadini dei paesi membri del G7: dalla ipermilitarizzazione di punti strategici interni (aree metropolitane di interesse finanziario e culturale, porti, aeroporti, punti di confini) ad una sempre maggiore restrizione dei diritti di espressione e utilizzo di social network, media-strumenti informatici (è in atto una vera e propria campagna globale che enfatizza la cosiddetta cyber security, nuova frontiera del capitale finanziario e del complesso militare-industriale).

La decisione di svolgere in Sicilia il G7 non è del resto casuale. L’Isola ha assunto ormai un ruolo chiave nelle strategie di guerra mondiali: l’installazione a Niscemi del terminale terrestre del MUOS, il nuovo sistema di telecomunicazione satellitare delle forze armate USA; la trasformazione della grande base di Sigonella in uno dei maggiori centri per la operazioni dei droni USA, NATO e UE; l’uso costante degli scali aerei di Trapani-Birgi e Pantelleria per i bombardamenti e le attività di spionaggio top secret in Nord Africa; i devastanti processi di militarizzazione che hanno investito Augusta (hub navale Usa e NATO), Lampedusa, ecc., testimoniano la portata altamente distruttiva delle infrastrutture belliche realizzate e ampliate in Sicilia negli ultimi anni. A ciò si aggiunge il ruolo di vera e propria fortezza assunto dalla Sicilia per conto dell’Unione europea e della famigerata agenzia di controllo delle frontiere esterne Frontex nelle politiche di contrasto delle migrazioni, con l’uso dei porti e degli aeroporti da parte dei mezzi militari Ue-NATO impegnati a far la guerra ai migranti nel Mediterraneo o la trasformazione di sempre maggiori aree urbane ed extraurbane in hotspot e centri-lager dove detenere in condizioni disumane chi è scampato ai naufragi e ai bombardamenti (a Trapani-Milo, Lampedusa, Pozzallo e presto anche a Messina e Mineo). “Pseudo modalità di accoglienza che rispondono esclusivamente a logiche di controllo sicuritario e che contribuiscono a dilapidare sempre più ingenti risorse pubbliche, alimentando gli affari di grandi e piccoli operatori economici (che sempre più spesso si intrecciano con i circuiti dell’economia criminale) e la precarietà per i lavoratori”, denunciano i No G7 siciliani.

Il progetto messianico degli USA e la deriva del nostro Paese, a cura di Luigi Longo_ 2a parte

Passo al secondo punto dopo aver ripresentato il prologo

A Giuseppe Germinario, responsabile del blog “ItaliaeilMondo”.

 

Chiedo la pubblicazione dei seguenti tre interventi che riguardano:

1.Gli scenari che si aprono con la fine della brevissima apertura multipolare di Trump segnata dall’aggressione alla Siria. Un multipolarismo tattico, appunto, non strategico, perché gli USA amano dominare il mondo in maniera unilaterale per adempiere il loro Progetto Messianico ( << di avere una missione speciale da compiere e di essere pertanto l’unica nazione indispensabile del mondo >>). Questo significa prendere l’iniziativa di riallineare l’architettura del potere globale, nonostante l’epoca del grande giocatore (allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente) stia ormai per finire.

E’ uno scritto di Paul Craig Roberts, Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?, www.libreidee.org, 9 aprile 2017.

 

2.Il ruolo importante che assume il territorio italiano nelle strategie USA nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. L’Italia è stato lo spazio di coordinamento USA per l’aggressione alla Siria: Napoli ( Comandi: quartiere generale Napoli-Capodichino e Napoli Lago Patria), Gaeta (base Sesta Flotta), Sigonella ( base aeronavale), Niscemi (Sistema Muos).

E’ uno scritto di Manlio Dinucci, Dall’Italia l’attacco USA alla Siria, www.voltairenet.org, 11 aprile 2017.

 

  1. Il ruolo del G7; dello scritto mi interessa far rilevare le trasformazioni delle città italiane (aree urbane e rurali) in hotspot (centri decisi dalla UE per la detenzione, identificazione ed espulsione manu militari dei richiedenti asilo), in centri disumani di immigrati e in città strategiche per i comandi USA-NATO.

E’ uno scritto di Antonio Mazzeo, Il vertice G7 di Taormina, in www.sbilanciamoci.org, 10 aprile 2017.

 

Grazie                                                                                   Cordialità

 

                                                                                               Luigi Longo

 

Secondo. Quando parliamo di sovranità del Paese di cosa parliamo?

 

Manlio Dinucci, Dall’Italia l’attacco USA alla Siria.

 

Dopo l’attacco missilistico Usa alla Siria, il ministro degli esteri Alfano ha dichiarato che l’Italia è preoccupata della «sicurezza e stabilità della regione mediterranea». In che modo vi contribuisce lo dimostrano i fatti.

Le due navi da guerra statunitensi, la USS Porter e la USS Ross, che hanno attaccato la base siriana di Shayrat, fanno parte della Sesta Flotta la cui base principale è a Gaeta in Lazio. La Sesta Flotta dipende dal Comando delle forze navali Usa in Europa, il cui quartier generale è a Napoli-Capodichino. Il Comando, che ha diretto da Napoli l’attacco deciso dal presidente Trump, è agli ordini dell’ammiraglia Michelle Howard, la quale comanda allo stesso tempo la Forza congiunta della Nato con quartier generale a Lago Patria (Napoli). L’operazione bellica è stata appoggiata dalle basi Usa in Sicilia: quella aeronavale di Sigonella e la stazione di Niscemi del sistema Muos di trasmissioni navali, affiancate dalla base di Augusta dove le navi della Sesta Flotta e quelle Nato vengono rifornite di carburante e munizioni, compresi missili da crociera Tomahawk, gli stessi usati contro la Siria.

La USS Porter e la USS Ross sono dotate di lanciatori verticali Aegis con missili intercettori, installati anche nella base terrestre di Deveselu in Romania e in un’altra che si sta costruendo in Polonia. Fanno parte del cosiddetto «scudo antimissili» schierato dagli Usa in Europa in funzione anti-Russia. Ma i lanciatori Aegis —documenta la stessa Lockheed Martin che li costruisce— possono lanciare «missili per tutte le missioni, tra cui missili da crociera Tomahawk». Questi possono essere armati anche di testate nucleari. Le quattro navi lanciamissili Aegis, dislocate nella base spagnola di Rota sull’Atlantico, vengono inviate a rotazione dal Comando di Napoli nel Baltico e Mar Nero a ridosso della Russia. La USS Porter aveva partecipato a una esercitazione nel Mar Nero, prima dell’attacco alla Siria. Il ministro Alfano l’ha definito «azione militare proporzionata nei tempi e nei modi, quale deterrenza verso ulteriori impieghi di armi chimiche da parte di Assad».

Ha quindi convocato oggi a Lucca, collateralmente al G7 esteri, «una riunione speciale per rilanciare il processo politico sulla Siria, allargata ai ministri degli esteri di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Turchia e Giordania», ossia quei paesi che, nel quadro di una rete internazionale organizzata dalla Cia, hanno fornito miliardi di dollari, armi, basi di addestramento e vie di transito ai gruppi terroristi, compreso l’Isis, che da anni attaccano la Siria dall’interno.

Proprio mentre stava fallendo tale operazione, cui l’Italia partecipa tramite gli «Amici della Siria», e si stava per aprire un negoziato per mettere fine alla guerra, il governo siriano è stato accusato di aver fatto strage di civili, compresi molti bambini, con un deliberato attacco chimico.

Un’ampia documentazione —riportata dal Prof. Michel Chossudovsky nel sito GlobalResearch [1]— dimostra invece che è stato il Pentagono, a partire dal 2012, a fornire tramite contractor armi chimiche e relativo addestramento a gruppi terroristi in Siria. Questi le hanno usate, come ha provato nel 2013 la Commissione d’inchiesta Onu guidata da Carla Del Ponte.

Prove ignorate dall’Italia che, per «rilanciare il processo politico sulla Siria», convoca coloro che sono più impegnati a demolire lo Stato siriano attaccandolo dall’interno. Mentre l’ammiraglia Howard, dopo aver diretto dal quartier generale di Napoli —ponte di comando della portaerei Italia— l’attacco missilistico alla Siria, lo definisce «esempio della nostra forza e capacità di proiettare potenza in tutto il globo».

PODCAST

Con questa registrazione avviamo un nuovo servizio a disposizione dei lettori. Dieci minuti di registrazione di un intervento o di un filmato dedicato ad un argomento preciso imposto dall’attualità. Il contenuto è fruibile digitando sull’immagine. Digitando sul pulsante PODCAST del menu orizzontale posto sotto il titolo del sito sono fruibili i filmati via via prodotti. La registrazione è fruibile direttamente su computer. Per l’utilizzo su tablet e cellulari occorre scaricare l’apposito software che appare al tentativo di apertura. Buon ascolto

L’utilizzo della GBU-43/B  Massive Ordnance Air Blast (MOAB), apre nuovi scenari nello scacchiere geopolitico mondiale. L’incontro fra Trump e Xi Jinping porta all’isolamento di Pyongyang. Di Gianfranco Campa 

 

 

Il progetto messianico degli USA e la deriva del nostro Paese, a cura di Luigi Longo_ 1a parte

A Giuseppe Germinario, responsabile del blog “ItaliaeilMondo”.

 

Chiedo la pubblicazione dei seguenti tre interventi che riguardano:

1.Gli scenari che si aprono con la fine della brevissima apertura multipolare di Trump segnata dall’aggressione alla Siria. Un multipolarismo tattico, appunto, non strategico, perché gli USA amano dominare il mondo in maniera unilaterale per adempiere il loro Progetto Messianico ( << di avere una missione speciale da compiere e di essere pertanto l’unica nazione indispensabile del mondo >>). Questo significa prendere l’iniziativa di riallineare l’architettura del potere globale, nonostante l’epoca del grande giocatore (allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente) stia ormai per finire.

E’ uno scritto di Paul Craig Roberts, Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?, www.libreidee.org, 9 aprile 2017.

 

2.Il ruolo importante che assume il territorio italiano nelle strategie USA nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. L’Italia è stato lo spazio di coordinamento USA per l’aggressione alla Siria: Napoli ( Comandi: quartiere generale Napoli-Capodichino e Napoli Lago Patria), Gaeta (base Sesta Flotta), Sigonella ( base aeronavale), Niscemi (Sistema Muos).

E’ uno scritto di Manlio Dinucci, Dall’Italia l’attacco USA alla Siria, www.voltairenet.org, 11 aprile 2017.

 

  1. Il ruolo del G7; dello scritto mi interessa far rilevare le trasformazioni delle città italiane (aree urbane e rurali) in hotspot (centri decisi dalla UE per la detenzione, identificazione ed espulsione manu militari dei richiedenti asilo), in centri disumani di immigrati e in città strategiche per i comandi USA-NATO.

E’ uno scritto di Antonio Mazzeo, Il vertice G7 di Taormina, in www.sbilanciamoci.org, 10 aprile 2017.

 

Grazie                                                                                   Cordialità

 

Luigi Longo

 

 

 

Primo. Il Progetto Messianico degli USA e la sua incapacità di ri-lanciare la sua egemonia con una nuova visione di società per un Progetto Relazionale.

Craig Roberts: Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?.

 

«Trump si è arreso. Il prossimo sarà Putin?». Se lo domanda Paul Craig Roberts, uno dei più autorevoli osservatori indipendenti della scena internazionale, all’indomani del raid missilistico sulla Siria ordinato dal capo della Casa Bianca senza prima acquisire prove sulle responsabilità di Assad nell’attacco a Idlib con il gas Sarin. «L’establishment di Washington ha ripreso il controllo», scrive sul suo blog l’ex viceministro di Ronald Reagan. «Prima Flynn e ora Bannon», via le “colombe” che avevano trainato la campagna elettorale di Trump, lasciando intravedere il disgelo col resto del mondo. «Tutto ciò che hanno lasciato nell’amministrazione Trump – afferma Roberts – sono i sionisti e i generali impazziti che vogliono la guerra con la Russia, la Cina, l’Iran, la Siria e la Corea del Nord. E non c’è nessuno, alla Casa Bianca, capace di fermarli». Questo è il «bacio d’addio alla normalizzazione delle relazioni con la Russia: il conflitto siriano è impostato per essere riaperto». Incidente gravissimo, strategico: data «l’assenza di qualsiasi prova» sulle responsabilità di Assad, «è del tutto evidente che l’attacco chimico è un evento orchestrato da Washington».

Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha messo in guardia la Russia: è scattata l’operazione per rimuovere Assad, e purtroppo Trump è d’accordo, continua Craig Roberts. Conseguenza: «La rimozione di Assad permette a Washington di imporre un altro burattino americano su popoli musulmani». Obiettivo sostanziale:«Rimuovere un altro governo arabo con una politica indipendente da Washington, per eliminare un altro governo che si oppone al furto di Israele della Palestina». Per Tillerson, storico patron della Exxon, far cadere il governo siriano significa anche «tagliare il gas russo destinato all’Europa con un gasdotto controllato degli Stati Uniti, che dal Qatar raggiunga l’Europa attraverso la Siria». Brutte notizie per Mosca, che – combattendo seriamente contro l’Isis – sperava davvero, con Trump, di raggiungere una partnership con Washington attraverso uno sforzo comune contro il terrorismo. Speranze che Craig Roberts oggi definisce «del tutto irrealistiche». Un’idea addirittura «ridicola», visto che «il terrorismo è l’arma di Washington». Un’accusa frontale, dunque: sono gli Usa i mandanti diretti dell’Isis, accusa l’ex stratega di Reagan.

Una volta messa fuori gioco la Russia, continua Craig Roberts, «il terrorismo verrà poi diretto contro l’Iran su larga scala». E quando l’Iran dovesse a sua volta cadere, sempre il terrorismo “amico” della Cia, quello che oggi è targato Isis, «inizierà a lavorare sulla Federazione Russa e con la provincia cinese che confina con il Kazakhstan». Possibile? Senz’altro: «Washington ha già dato alla Russia un assaggio del terrorismo sostenuto dagli Usa in Cecenia. E il più è deve ancora arrivare». Craig Roberts rimprovera ai russi una sorta di fatale ingenuità: speravano, davvero in Donald Trump. Per questo, sostiene, hanno evitato di stravincere, dopo aver conquistato il cruciale ovest della Siria, paese che oggi è invece, ancora, a rischio di spartizione, dopo la brutale defenestrazione di Assad. I russi, «ipnotizzati dal sogno di cooperare con Washington, hanno messo la Siria (e se stessi) in una posizione difficile». Avevano «sorpreso il mondo», accettando di difendere la Siria dall’Isis, e allora «Washington era impotente». In pochi mesi, l’intervento russo ha sbaragliato l’Isis. «Poi, all’improvviso, Putin si è fermato: ha annunciato il ritiro, affermando, come Bush sulla portaerei: missione compiuta».

Ma la missione non era compiuta, sottolinea Craig Roberts: la Russia è stata costretta a tornare in campo, «nella vana convinzione che Washington si sarebbe messa finalmente a collaborare con la Russia per eliminare l’ultima roccaforte Isis». Al contrario, invece, «gli Stati Uniti hanno inviato forze militari per bloccare i progressi russi sulla scena siriana». Il ministro degli esteri Lavrov ha protestato, ma – ancora una volta – la Russia «non ha usato il suo potere superiore sulla scena per battere le forze americane e portare a termine il conflitto». Ora Washington dà “avvertimenti” a Mosca, a suon di missili: riuscirà il Cremlino a capire che può scordarsi ogni cooperazione e, semmai, prenotarsi per un ruolo di vassallo? Si avvicina una trappola pericolosa, continua Craig Roberts: «La Russia non permetterà a Washington di rimuovere Assad», ma a Mosca esiste una “quinta colonna” «che è alleata con l’Occidente». Per Putin e l’indipendenza della Russia come potenza sovrana, si tratta del pericolo più insidioso, tale da metter fine al ruolo di Mosca come attore euroasiatico capace di imporre stabilità geopolitica, a cavallo dei due continenti.

Collaboratori infedeli: spesso si è accennato, in quei termini, al gruppo che fa capo all’ex presidente Dmitrij Medvedev. Questa “quinta colonna”, sostiene Craig Roberts, «insisterà dicendo che la Russia potrà finalmente ottenere la collaborazione di Washington solo se “sacrificherà” Assad». Sarebbe un suicidio: l’acquiescenza di Putin «distruggerebbe l’immagine del potere russo», e sarebbe utilizzata «per privare la Russia di valuta estera dalle vendite di gas naturale verso l’Europa». Putin ha detto che la Russia non può fidarsi di Washington? «Si tratta di una deduzione corretta dai fatti», conclude Craig Roberts. E quindi, perché mai la Russia dovrebbe cedere, in cambio del miraggio della mitica cooperazione con Washington, cioè con il potere che sostiene sottobanco i terroristi dell’Isis? «La cooperazione ha un solo significato: significa arrendersi a Washington». Per il grande analista americano, Putin ha “ripulito” la Russia solo in parte: «Il paese rimane pieno di agenti americani, ed è straordinario vedere quanto poco, i media russi, capiscono il pericolo nel quale la Russia si trova». E dunque: «Sarà Putin il prossimo a cadere vittima dell’establishment di Washington, come è appena accaduto a Trump?».

«Trump si è arreso. Il prossimo sarà Putin?». Se lo domanda Paul Craig Roberts, uno dei più autorevoli osservatori indipendenti della scena internazionale, all’indomani del raid missilistico sulla Siria ordinato dal capo della Casa Bianca senza prima acquisire prove sulle responsabilità di Assad nell’attacco a Idlib con il gas Sarin. «L’establishment di Washington ha ripreso il controllo», scrive sul suo blog l’ex viceministro di Ronald Reagan. «Prima Flynn e ora Bannon», via le “colombe” che avevano trainato la campagna elettorale di Trump, lasciando intravedere il disgelo col resto del mondo. «Tutto ciò che hanno lasciato nell’amministrazione Trump – afferma Roberts – sono i sionisti e i generali impazziti che vogliono la guerra con la Russia, la Cina, l’Iran, la Siria e la Corea del Nord. E non c’è nessuno, alla Casa Bianca, capace di fermarli». Questo è il «bacio d’addio alla normalizzazione delle relazioni con la Russia: il conflitto siriano è impostato per essere riaperto». Incidente gravissimo, strategico: data «l’assenza di qualsiasi prova» sulle responsabilità di Assad, «è del tutto evidente che l’attacco chimico è un evento orchestrato da Washington».

Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha messo in guardia la Russia: è scattata l’operazione per rimuovere Assad, e purtroppo Trump è d’accordo, continua Craig Roberts. Conseguenza: «La rimozione di Assad permette a Washington di imporre un altro burattino americano su popoli musulmani». Obiettivo sostanziale:«Rimuovere un altro governo arabo con una politica indipendente da Washington, per eliminare un altro governo che si oppone al furto di Israele della Palestina». Per Tillerson, storico patron della Exxon, far cadere il governo siriano significa anche «tagliare il gas russo destinato all’Europa con un gasdotto controllato degli Stati Uniti, che dal Qatar raggiunga l’Europa attraverso la Siria». Brutte notizie per Mosca, che – combattendo seriamente contro l’Isis – sperava davvero, con Trump, di raggiungere una partnership con Washington attraverso uno sforzo comune contro il terrorismo. Speranze che Craig Roberts oggi definisce «del tutto irrealistiche». Un’idea addirittura «ridicola», visto che «il terrorismo è l’arma di Washington». Un’accusa frontale, dunque: sono gli Usa i mandanti diretti dell’Isis, accusa l’ex stratega di Reagan.

Una volta messa fuori gioco la Russia, continua Craig Roberts, «il terrorismo verrà poi diretto contro l’Iran su larga scala». E quando l’Iran dovesse a sua volta cadere, sempre il terrorismo “amico” della Cia, quello che oggi è targato Isis, «inizierà a lavorare sulla Federazione Russa e con la provincia cinese che confina con il Kazakhstan». Possibile? Senz’altro: «Washington ha già dato alla Russia un assaggio del terrorismo sostenuto dagli Usa in Cecenia. E il più è deve ancora arrivare». Craig Roberts rimprovera ai russi una sorta di fatale ingenuità: speravano, davvero in Donald Trump. Per questo, sostiene, hanno evitato di stravincere, dopo aver conquistato il cruciale ovest della Siria, paese che oggi è invece, ancora, a rischio di spartizione, dopo la brutale defenestrazione di Assad. I russi, «ipnotizzati dal sogno di cooperare con Washington, hanno messo la Siria (e se stessi) in una posizione difficile». Avevano «sorpreso il mondo», accettando di difendere la Siria dall’Isis, e allora «Washington era impotente». In pochi mesi, l’intervento russo ha sbaragliato l’Isis. «Poi, all’improvviso, Putin si è fermato: ha annunciato il ritiro, affermando, come Bush sulla portaerei: missione compiuta».

Ma la missione non era compiuta, sottolinea Craig Roberts: la Russia è stata costretta a tornare in campo, «nella vana convinzione che Washington si sarebbe messa finalmente a collaborare con la Russia per eliminare l’ultima roccaforte Isis». Al contrario, invece, «gli Stati Uniti hanno inviato forze militari per bloccare i progressi russi sulla scena siriana». Il ministro degli esteri Lavrov ha protestato, ma – ancora una volta – la Russia «non ha usato il suo potere superiore sulla scena per battere le forze americane e portare a termine il conflitto». Ora Washington dà “avvertimenti” a Mosca, a suon di missili: riuscirà il Cremlino a capire che può scordarsi ogni cooperazione e, semmai, prenotarsi per un ruolo di vassallo? Si avvicina una trappola pericolosa, continua Craig Roberts: «La Russia non permetterà a Washington di rimuovere Assad», ma a Mosca esiste una “quinta colonna” «che è alleata con l’Occidente». Per Putin e l’indipendenza della Russia come potenza sovrana, si tratta del pericolo più insidioso, tale da metter fine al ruolo di Mosca come attore euroasiatico capace di imporre stabilità geopolitica, a cavallo dei due continenti.

Collaboratori infedeli: spesso si è accennato, in quei termini, al gruppo che fa capo all’ex presidente Dmitrij Medvedev. Questa “quinta colonna”, sostiene Craig Roberts, «insisterà dicendo che la Russia potrà finalmente ottenere la collaborazione di Washington solo se “sacrificherà” Assad». Sarebbe un suicidio: l’acquiescenza di Putin «distruggerebbe l’immagine del potere russo», e sarebbe utilizzata «per privare la Russia di valuta estera dalle vendite di gas naturale verso l’Europa». Putin ha detto che la Russia non può fidarsi di Washington? «Si tratta di una deduzione corretta dai fatti», conclude Craig Roberts. E quindi, perché mai la Russia dovrebbe cedere, in cambio del miraggio della mitica cooperazione con Washington, cioè con il potere che sostiene sottobanco i terroristi dell’Isis? «La cooperazione ha un solo significato: significa arrendersi a Washington». Per il grande analista americano, Putin ha “ripulito” la Russia solo in parte: «Il paese rimane pieno di agenti americani, ed è straordinario vedere quanto poco, i media russi, capiscono il pericolo nel quale la Russia si trova». E dunque: «Sarà Putin il prossimo a cadere vittima dell’establishment di Washington, come è appena accaduto a Trump?».

L’UOMO Ω, di Gianfranco Campa

L’UOMO OMEGA, di Gianfranco Campa

Mentre i figli di Ivanka Trump e Jared Kushner cantavano una canzoncina al presidente Cinese Xi Jinping a Mar-A-Lago in Florida, 59 missili Tomahawk colpivano la base militare aerea Siriana di al-Shayrat sancendo la fine di una distensione mai iniziata e l’inasprirsi di una tensione con la Russia dai connotati oscuri e pericolosi. Il giorno dell’attacco è significativo e sconcertante allo stesso momento: esattamente cento anni prima nello stesso giono, più o meno alla stessa ora, gli Stati Uniti entravano nel calderone della prima guerra mondiale.

Questo attacco sanciva anche la negazione, la sconfitta, di un uomo; quell Donald Trump che per tutta la campagna elettorale aveva auspicato una distensione e un rapporto con la Russia più amichevole e convergente. Una politica nazional-populista incentrata prima di tutto sugli interessi di coesione interna piuttosto che sugli impulse verso l’estero, meno guerrafondaia e più incentrata sulla tessitura di rapporti piuttosto che sulla loro distruzione a livello internazionale; ora Trump si ritrova decostruito, ristrutturato e impacchettato in una nuova versione, quella di Neocon.

Un cammino relativamente breve. Ci sono voluti all’establishment esattamente 21 settimane e 3 giorni per completare la trasformazione di un uomo che si è ritrovato assediato e accerchiato senza quella capacità e quella necessaria forza  mentale e fisica da contrapporre all’incessante tambureggiamento di un sistema politico luciferino che ci sta spingendo verso un abisso dal quale, al momento, non si vedono all’orizzonte personaggi capaci di sottrarci.

Il giorno dopo l’attacco, gli arcinemici neocons e neoliberals del Presidente, si sono trasformati in cantori di lodi e inni celebrativi. I media si sono associate almeno per il momento al coro di lodi verso questo uomo “nuovo”. Fareed Zakaria sulla CNN ha detto che Donald Trump è diventato presidente questa notte (la notte del bombardamento). Fino al giorno prima gli sputava in faccia, il buon Zakaria; il giorno dopo era lì a leccargli il sedere. Brian Williams sulla MSNBC celebrava le immagini dei missili lanciati dalle navi della marina americana come “una bellissima visione celeste”, rischiando di farsela addosso dall’emozione. La MSNBC con la giornalista Rachel Maddow per mesi è stato la grancassa di questo neomaccartismo versione XXI secolo.

I vari John McCain, Lindsey Graham, Marco Rubio e compagnia assortita si sono come camaleonti trasformati da cecchini a salvatori di Trump, dichiarandosi orgogliosi del Presidente. E’ chiaro che costoro non si accontenteranno di una semplice sortita e spingeranno affinché il presidente continui e espanda l’intervento militare.

E così un uomo solo e ingabbiato è diventato tutto d’un colpo l’eroe della giornata, l’equivalente del leader di quella classe politica che lo aveva eretto a nemico numero uno, crocifiggendolo ogni volta che starnutiva o scorreggiava. Alla fine Trump sollecitato dalle vipere presenti nel suo entourage, si è venduto, come il musicista Robert Johnson,  l’anima al diavolo, liberandosi momentaneamente, in un colpo solo, di quei nemici che lo avevano assediato.

Sembra che la mossa sia stata di successo; l’indice di gradimento verso Trump da parte degli americani è passato dal 35% a oltre il 50 % nel volgere di una notte. Vorrei ricordare però a Trump che Bush aveva il 73% di gradimento prima della guerra in Iraq ma alla fine del suo mandato ne conservava solo il 32%. Una vittoria di Pirro che costerà a Trump più di quel che crede.

In ogni caso i poveri bambini siriani gridavano vendetta e vendetta è stata verso quel “mostro” di Assad. Nessun atto è stato messo in opera per incoraggiare la gente ad aspettare. Almeno una inchiesta dell’ONU; l’evidenza del precedente caso nel 2013 di uso di armi chimiche, prima associato frettolosamente ad Assad per poi essere, dopo le indagini dell’U.N. Independent International Commission of Inquiry on Syria, attribuito ai ribelli, unici responsabili, secondo il giudice Carla Del Ponte, dell’uso di armi chimiche. A nulla è servito ricordare che prima della guerra in Iraq, ci avevano assicurato che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa.

La tempistica dell’attacco agli innocenti civili Siriani è a dir poco sospetta, appena qualche giorno prima della visita a Mosca di Tillerson, già programmata da molto tempo. All’apparenza si potrebbe pensare ad una mossa brillante di Trump. Pretende di colpire la Siria di Assad alleata di Putin togliendosi davanti tutte quelle accuse di essere un pupazzo di Putin e della Russia. Distogliendo l’attenzione anche dalla pressione incessante dell’FBI, la quale sta conducendo un’inchiesta su presunti rapporti tra alcuni ex-collaboratori di Trump, principalmente Carter Page, Paul Manafort, Roger Stone ed esponenti politici Russi. Rapporti che i tre non hanno mai negato ma che hanno sempre considerato collocabili nei parametri della legalità. Ormai è chiaro che ogni cosa associata alla Russia è suscettibile di essere screditata dall’apparato di potere con il supporto, l’appoggio e l’azione delle nuove guardie pretoriane, i servizi di Intelligence.

Io comunque a tutta sta brillantezza di Trump non credo neanche un po`. Primo perché ha mostrato molta approssimazione nella gestione delle politiche estere ma anche interne; ma soprattutto perché, se di brillantezza si è trattato, mi viene allora difficile spiegare la dichiarazione della Clinton la quale la mattina stessa nel giorno dell’attacco aveva, durante un discorso in uno dei tanti incontri con gruppi di femministe, che alle parole di Clinton hanno fatto seguire applausi scroscianti che la dice lunga sulle reali priorità` di questi gruppi, suggerito una azione diretta ai posti da dove si presume siano partiti gli aerei responsabili dell’attacco ai civili siriani.

Un genio quello Trumpista, ma solo a metà; perché un lampo “creativo” da condividere con quella pacifista dura e pura di Hillary che ha anticipato l’iniziativa  del presidente di qualche ora. Trump ha completato la sua trasformazione da nazional-populista a guerrafondaio neocons, una versione maschile della pericolosa Clinton in pantaloni e peluche arancione.

La trasformazione di Trump non è comunque avvenuta nel giro di una notte; è proseguita nel corso di mesi e settimane, sotto la gestione brillante dell’uomo Omega, Mike Pence e del suo compare, Jared Kushner.

Trump era all’apparenza l’uomo Alpha; il primo, il comandante di nuovo corso, Ora è diventato un Bush versione 2.0. Mike Pence è invece l’uomo Omega, perché paladino dei neocons; con quell sorriso sornione sarà l’ultimo a restare in piedi se Trump dovesse essere rimosso con le buone o con le cattive. E’ chiaro che se la capitolazione ideologica di Trump dovesse completarsi senza possibilità di resipiscenza allora risulterebbe inutile la sua rimozione dall Casa Bianca, almeno fino alla scadenza del mandato.

Pence, come avevo scritto in precedenti articoli, è stato l’entità responsabile dell’abbattimento di Flynn e del suo gruppo di advisors, messi da parte da McMaster e rimpiazzati con i soliti membri dei gruppi Think Tank tornati al potere dopo nemmeno più di tre mesi di esilio. McMaster ha reclutato tra gli altri Fiona Hill, una studiosa della Brookings Institution e tradizionalmente un falco anti-russo, una McCain in gonella. Fiona Hill sarà senior director per gli affari di Russia e Europa. Origianariamente, Flynn aveva scelto Tim Shea, un personaggio molto più mite e propositivo verso la Russia.

Dopo la dipartita di Flynn, Pence è volato a Monaco a Febbraio per partecipare al Munich Security Conference della NATO dove con il suo solito sorriso affabile e sornione ha tranquillizato i membri NATO attaccando la Russia per la suo atteggiamento aggressivo e mandando il chiaro messaggio che con Trump non sarebbe cambiato nulla.

Se il siluramento di Flynn non è bastato, se le dichiarazioni di Pence a Monaco non sono state sufficienti, allora l’emarginazione di Steve Bannon dovrebbe rendere chiaro una volta per tutte chi ora comanda a Washington. I neocons sono tornati grazie a Pence, l’uomo Omega, l’ultimo a sorridere, l’ultimo a parlare, l’ultimo a rimanere in piedi.

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