DEUTSCHLAND ÜBER ALLES?, di Giuseppe Germinario (2a parte)

DEUTSCHLAND ÜBER ALLES?, di Giuseppe Germinario (1a parte)

LA RIMOZIONE DI UN EVENTO EPOCALE

Entrambi i limiti interpretativi pagano lo scotto di una rimozione o, nel migliore dei casi, di una valutazione del tutto parziale delle implicazioni di un evento politico epocale cruciale: la sconfitta militare, l’occupazione territoriale, la distruzione di un regime istituzionale, per altro odioso, la riduzione e lo smembramento territoriale della Germania.

La dimensione catastrofica di quella resa consentì ai due vincitori, l’URSS e gli USA, di decidere delle sorti di quel paese. Per quel che ci riguarda più direttamente, in quanto forza di occupazione gli Stati Uniti determinarono il carattere federale oltre che parlamentare del regime nella sua parte sud-occidentale, il suo carattere antisovietico, la limitazione drastica delle forze armate, in particolare quelle terrestri e l’infiltrazione e l’organizzazione delle principali istituzioni e sistemi.

Il carattere di occupazione di quella presenza non ancora risolto definitivamente nemmeno dagli accordi che hanno sancito negli anni ‘90 l’unificazione tedesca.

Una modalità di dominio non risolvibile con il controllo di una parte limitata delle élites dominanti del paese sconfitto e con azioni complottistiche tese a determinare direttamente le azioni dei vertici politici; piuttosto una azione altamente sofisticata e persuasiva tesa soprattutto ad orientare ed indurre, addirittura a creare delle dinamiche inerziali capace di attirare e integrare progressivamente in un sistema occidentale le varie formazioni sociali e i vari stati nazionali caduti nella rete dei liberatori. Un sistema fortemente attrattivo, capace nel rispetto delle gerarchie fondamentali, di offrire sviluppo ed una relativa libertà di azione, ma proprio per questo ancora più pervasivo. In questa trama la Germania Federale ha assunto un ruolo importante, superiore alle stesse aspettative delle élites tedesche emerse dalla sconfitta militare, in parte per merito proprio, soprattutto per scelta del vincitore. Accantonate rapidamente le tentazioni, vellicate soprattutto da Francia e Regno Unito, di ridurre il paese ad una condizione preindustriale, senza nulla cedere sulla capacità di controllo, si optò per un rapido sviluppo che stabilizzasse un paese alleato ai confini cruciali della propria zona di influenza, contribuisse economicamente e produttivamente al sostegno della macchina bellica e neutralizzasse le residue ambizioni egemoniche di Francia e Gran Bretagna. Il pegno da pagare in termini di sovranità fu estremamente pesante con un sistema di controllo e infiltrazione particolarmente intricato e insindacabile, per altro sancito, che riguardava non solo l’intelligence e le forze armate, ma anche il sistema politico, amministrativo e comprendente anche, un aspetto del tutto ignorato dai redattori di Limes come da gran parte dei giornalisti e studiosi, gli organi di informazione e le strutture economiche.

In settant’anni le cose possono cambiare; ma non è questo, sostanzialmente, il caso della Germania.

Le tentazioni e qualche timido e sporadico tentativo di affrancamento non sono certo mancati. Durante la guerra fredda il tentativo più coerente fu portato avanti negli anni ‘70 con l’ “oestpolitik”. Si trattò in realtà di una “interpretazione” troppo estensiva del processo di distensione, più che altro un riconoscimento meno precario delle rispettive zone di influenza, inaugurato dalle due superpotenze. Per ricondurre alla mansuetudine nell’ovile della pecorella inquieta, agli americani fu allora sufficiente assecondare i timori francesi di un rigurgito delle ambizioni tedesche e la loro conseguente improvvisa conversione all’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità Europea e innescare una politica di riarmo missilistico. Con la crisi e la caduta del blocco sovietico si presentò un contesto apparentemente più favorevole a vellicare ambizioni più audaci.

SUSSULTI DI EGEMONIA

Il tentativo più organico e strutturato avvenne nella seconda metà degli anni ‘80 quando, percepita la crisi imminente del blocco sovietico e forte dei legami più o meno circospetti stretti con quella parte della loro classe dirigente legata al commercio e al finanziamento del debito estero, una parte dell’establishment tedesco tentò per alcuni anni di organizzare e sostenere il sistema bancario dei paesi dell’Est-Europa per favorire la ristrutturazione economica e salvaguardare buona parte di quella classe dirigente. Fu l’atto e il momento che suscitò, nei confronti dell’élite tedesca, le stesse premure dedicate a quella italiana. Il luogo di raccolta degli accoliti fu diverso; con gli uni si scelse il Panfilo di Sua Maestà, al largo di Roma; con gli altri un più modesto albergo bavarese. Anche il numero di convitati differiva; ben più numeroso sulla prestigiosa imbarcazione, limitato a meno di dieci persone nel gasthof. Non si è trattato, probabilmente, di un mero omaggio alla italica convivialità rispetto alla proverbiale essenzialità teutonica; deve aver influito la diversa funzione che i comprimari, inglesi nell’una e francesi nell’altra, hanno assunto nell’iniziativa; soprattutto, è stata la perdurante e progressiva frammentazione politica ed istituzionale dell’Italia rispetto alla Germania a determinare le diverse caratteristiche dell’iniziativa, i diversi sviluppi e gli esiti opposti pur in una comune riconfigurazione della subordinazione politica all’alleato d’oltreatlantico.

Il tentativo più intraprendente fu posto in atto durante la guerra civile in Jugoslavia conclusasi, al momento, con la frammentazione di quel paese e con una conflittualità latente pronta a riemergere. L’iniziale spinta propulsiva alla divisione fu data soprattutto dalla Germania sino ad essere rapidamente assorbita pur con qualche attrito significativo da quella americana. L’evento bellico rappresenta comunque una svolta significativa che vede il gruppo dirigente egemone in Germania passare da una politica di cooptazione e sostegno delle vecchie classi dirigenti riformate dei paesi del blocco sovietico ad una di progressiva aperta ostilità verso la Russia e tesa a favorire la liquidazione delle stesse nei paesi dell’Europa Orientale e nei Balcani. Una scelta indubbiamente vantaggiosa nell’immediato perché ha consentito di riprendere e perseguire una politica di influenza ed integrazione economica esattamente lungo i corridoi tracciati dai colonizzatori tedeschi nel corso dei secoli sino alla metà del ‘800 senza dover contestare i legami di subordinazione con lo stato egemone americano e indebolendo vistosamente la posizione politica ed economica dei due altri grandi paesi fondatori della UE, la Francia e l’Italia. Una scelta deleteria dal punto di vista strategico nel caso la Germania dovesse aspirare ad una maggiore e decisiva autonomia politica che richiedesse un avvicinamento duraturo e stabile alla Russia di Putin proprio perché troverebbe nei più importanti paesi dell’Europa Orientale e della penisola scandinava i più fieri oppositori a tale svolta con scarse possibilità di un loro ricambio con centri politici più duttili.

I messaggeri in quell’albergo bavarese devono evidentemente essere stati particolarmente persuasivi anche se assecondati dalle circostanze propizie della morte violenta dei due nuovi paladini della ostpolitik, Herrhausen di Deutsche Bank e Rohwedder di Treuhandanstalt.

Da questi due eventi a cavallo della riunificazione si è dipanata la condizione di un paese ormai al centro di attenzioni e sospetti, ma incapace di una politica assertiva capace di aggregare forze e in grado tutt’al più di neutralizzare e fiaccare le forze di potenziali rivali nel campo “amico” europeo.

Negli ultimi venti anni i pochi atti politici autonomi di quella classe dirigente sono consistiti nella non partecipazione ufficiale alle avventure militari, in particolare Libia ed Iraq, salvo garantire efficacemente, ma in modo discreto, i propri servizi logistici e di intelligence come avvenuto in Libia. Per il resto si è rifugiata in annunci velleitari, quali la creazione di una forza militare congiunta e integrata con i francesi, miseramente fallita o nel perseguimento classico di una politica di influenza a rimorchio nel vicinato, come avvenuto in Ucraina, con grave pregiudizio delle relazioni con i russi o nel supporto opportunistico e lucrativo alla destabilizzazione specie nel Grande Medio Oriente. La Germania, infatti, lemme lemme risulta costantemente tra i primi fornitori ufficiali di armi e munizioni dei Sauditi, impegnati in Yemen, dei Giordani e della pletora di governi a supporto delle primavere.

I LIMITI STRUTTURALI

Una fondata e non frettolosa elezione della Germania a protagonista geopolitico e antagonista naturale degli Stati Uniti non può prescindere da una analisi della condizione strutturale del paese.

La particolare struttura federale già dibattuta nelle università americane a partire dagli anni ‘30 e imposta nel regime di occupazione assegna importanti competenze di politica estera ai laender in cooperazione e spesso in conflitto tra loro e con lo stato centrale, indebolendone di fatto coerenza e incisività. Un esempio significativo si può trarre dal ruolo decisivo assunto dal Governo Bavarese nella fomentazione della guerra civile in Jugoslavja e nella capacità di trascinare altre regioni di stati confinanti su questo indirizzo in opposizione alle direttive dei rispettivi stati nazionali. Una organizzazione istituzionale che riesce comunque a mantenere una propria operatività grazie al ruolo unificante delle grandi associazioni verticali entro le quali si compongono gli interessi lobbistici e gli indirizzi di buona parte dei centri decisionali.

A garantire, più che la coerenza, l’incisività di una struttura così articolata fa difetto però l’estrema permeabilità delle strutture di intelligence e degli apparati coercitivi e di controllo, il retaggio più pesante della disfatta militare e del conseguente regime di occupazione. La vicenda delle intercettazioni americane ai danni della Cancelliera ha semplicemente rivelato il livello di integrazione ed infiltrazione dei servizi tedeschi con quelli americani; la susseguente rimozione del responsabile, più che la volontà una riorganizzazione e una depurazione delle strutture, ha rivelato la stizza di un capo politico per la pubblicità imbarazzante di quei segnali di attenzione. Per il carattere di riservatezza insito, i Servizi di Sicurezza sono particolarmente vulnerabili; la permeabilità, comunque, investe un po’ tutti gli apparati coercitivi e sanzionatori dello stato germanico, compreso quello militare ancora particolarmente debole.

Una chiosa a parte merita il sistema di informazione, quasi del tutto allineato all’ortodossia atlantica. Con l’eccezione di alcune testate nazionali a tiratura limitata ed alcune testate locali il livello di controllo del sistema mediatico è impressionante. Una capacità di indirizzo delle testate e di legame diretto con singoli giornalisti. È del resto notoria la meticolosità con cui i vari centri strategici americani curano le relazioni con i media istituzionali. Le campagne giornalistiche e la manipolazione dell’opinione pubblica sono sempre stati strumenti propedeutici al conflitto politico, al condizionamento dei centri e all’eliminazione degli avversari, anche se la diffusione dei network on line ha in parte facilitato la possibilità di centri politici alternativi e ridefinito le modalità di manipolazione dell’informazione. In Germania, nella fattispecie, colpisce il fatto che la componente più orientata ad una politica autonoma con la Russia, un tempo significativa, trovi sempre meno spazio mediatico e non riesca ormai da anni a creare una opinione pubblica favorevole a sostegno delle proprie scelte.

La chiave di lettura determinante per individuare il peso reale della Germania e la sua collocazione nelle dinamiche geopolitiche riguarda però il ruolo dell’economia nello stabilire il peso strategico e la condizione conflittuale di un paese.

DEUTSCHLAND ÜBER ALLES?, di Giuseppe Germinario (1a parte)

I DUE PROTAGONISTI

Di Donald Trump temo che continueremo ancora per mesi se non anni a sorbirci soprattutto i resoconti dettagliati dei suoi difetti o sedicenti tali; dalla maldestra improvvisazione alla ruvidità di modi, dall’affettata eleganza alla volubilità di giudizi, alla rozza ignoranza. Con il nobile intento di salvaguardare l’umanità da questo flagello, i campioni dell’informazione democratica, in particolare il NYT (New York Times) e il WP (Washington Post), dimentichi delle restanti cose del mondo, stanno da tempo concentrando la totalità degli sforzi in questa missione piegando ad essa fatti, realtà e soprattutto deontologia professionale. Con la stessa dedizione, ma con evidente minore fatica, gli innumerevoli corifei dell’informazione europea, pervasi da certezze assolute, non fanno altro che spandere a cuor leggero veline e veleni propinati dai capostipiti. Eppure almeno una caratteristica del Presidente Americano dovrebbe accomunare il giudizio dei pochi fautori e dei tanti detrattori del suo prominente impegno: la capacità di scatenare l’aperto spirito bellicoso anche nelle personalità più prudenti e discrete; tra queste, senza dubbio il Cancelliere tedesco.

Di Angela Merkel, nella vicenda delle intercettazioni americane delle sue conversazioni telefoniche, abbiamo apprezzato la capacità di accettare dal versante amico le peggiori intrusioni e umiliazioni senza alcun pregiudizio dei rapporti, in particolare quelli con Obama e senza apparenti sussulti di orgoglio; nella vicenda del milione di profughi siriani, invece il suo spirito di accoglienza talmente ecumenico da equivocare sulle profferte amorose del branco senza autorizzazione delle interessate, salvo cercare di rifilare con discrezione gran parte degli ospiti ai paesi vicini una volta constatata la loro difficoltà di inserimento e la loro preparazione professionale evidentemente non all’altezza delle aspettative; nella vicenda delle contraffazioni dei dati di emissione degli scarichi delle auto tedesche, abbiamo apprezzato la difesa pur tardiva dello spirito puritano a scapito forse dell’immagine di efficienza del sistema industriale e dei sistemi di controllo tedeschi. Il meglio della sua valenza di amministratrice, almeno sino a pochi mesi fa, è emerso nella vicenda del collasso della Grecia quando con mirabile quadratura è riuscita a conciliare l’aura puritana del rigore contabile con il trasferimento sui bilanci pubblici degli stati europei di gran parte delle esposizioni bancarie tedesche verso quel paese, con il consolidamento dei profitti finanziari delle stesse sul debito restante, con l’acquisizione di buona parte della rete logistica greca e, ciliegina sulla torta, con la vendita a caro prezzo all’esercito ellenico di residuati bellici presenti nei depositi della Bundeswehr. Si sa che le trattative politiche riservano come corollario quasi sempre il lato oscuro della meschinità. Nella graduatoria degli inperturbabili la statista tedesca non detiene certo l’esclusiva, di sicuro è in posizione di ascesa. Tra gli innumerevoli esempi, gli allora Generale Wesley Clark e Segretaria di Stato Madeleine Albright si concessero come bottino della missione umanitaria in Jugoslavja una partecipazione azionaria delle società minerarie del Kosovo; la stessa pletora di funzionari, accademici ed economisti americani e tedeschi accorsi al capezzale della moritura URSS e della nascitura Russia di Boris Eltsin ottenne di scambiare le proprie disinteressate consulenze con una partecipazione attiva al saccheggio di quel paese; per non parlare delle cointeressenze in Ucraina. Anghela, come un re Mida dei nobili principi, è riuscita a trasformare anche la meschinità in rigore risanatorio, sempre però con un profilo dimesso e discreto; da pudico comportamento collaterale a qualità volta al bene pubblico.

UN CONFRONTO PREMATURO

Durante il G7/G20 avviene inopinatamente la sua metamorfosi e la consacrazione da Maria Maddalena del cenacolo europeo ad angelo giustiziere dell’attentatore all’ordine mondiale.

Sono bastati pochi mesi dal gelido saluto al non ancora insediato Presidente Americano, alla imbarazzata visita a Washington per finire con la contrapposizione al G7 per passare da una immagine di capo di governo in verità un po’ dimesso, tutt’al più abile ad agire nell’ombra, a quella di statista orgoglioso in grado di contrapporsi apertamente al neopresidente e, aspetto ben più rilevante, di trasformare la Germania da paese in grado di approfittare in maniera surrettizia delle opportunità della globalizzazione a nazione paladina di questa virtù o in alternativa, secondo le interpretazioni, in grado di contrapporsi, assieme alla Cina, alla prepotenza e all’unilateralismo americano.

Da allora è tutto un fiorire di letteratura e di tesi sul destino manifesto di un paese, inesorabilmente portato a scontrarsi con la nazione egemone; quello che divide i sostenitori riguarda il probabile esito finale dello scontro, ma confronto comunque dovrà essere.

La redazione di Limes, autrice di una per altro pregevole monografia sull’argomento, è la portabandiera più autorevole di questa tesi.

Sono sufficienti pochi atti politici pubblici, concentrati in poche settimane, in aggiunta magari al proposito proclamato di costruzione di un sistema diplomatico e di difesa europei autonomo dagli USA, per promuovere l’attendibilità di una svolta politica così straordinaria?

Già la dinamica e la successione dei recenti eventi da adito a parecchi dubbi.

Intanto il tampinamento postpresidenziale di Obama e l’accoglienza trionfale a lui riservata a Berlino, all’esponente quindi che, assieme a Hillary Clinton, suo successore designato, ha cercato ostinatamente di arginare la tendenza al multipolarismo e di destrutturare gli stati viziati da proprie ambizioni autonome, svelano i legami inestricabili di dipendenza e compromissione con il vecchio establishment nonché le aspettative di ripristino dello “statu quo ante” del cancelliere tedesco. Il veemente appello alla crociata in difesa dell’accordo sul clima di Parigi e del libero mercato globalizzato sventolato al G7 di Taormina, ha mostrato per altro subito la corda al G20 di appena due mesi dopo lasciando in mano alla Merkel un vessillo ridotto ad un cerino consunto con alle spalle truppe scarse e poco convinte a difenderlo. Si potrebbe interpretare come un modo spregiudicato di condurre una danza del quale si possiede il filo conduttore della musica. Più che una condottiera dotata di forza propria in realtà si è rivelata lo strumento di uno schema più grande e complesso giocato per lo più Oltreatlantico. Lo stesso pulpito si è rivelato poco attendibile vista la recente propensione della Germania a limitare le acquisizioni cinesi in Europa rivelando così una evidenza chiara ancora a pochi eletti: il confronto sul libero mercato è una battaglia per determinare regole commerciali più favorevoli ad una o l’altra delle formazioni socieconomiche e ai loro centri dominanti all’interno di logiche geopolitiche operanti all’interno ma non riducibili ad un mero o assolutamente prevalente confronto economico. Una riduttivismo invece che ancora prevale oppure tende a riaffiorare surrettiziamente in gran parte delle tesi, anche nella monografia di Limes.

UN APPROCCIO EVENEMENZIALE

L’approccio evenemenziale presente in gran parte degli studi e soprattutto nella divulgazione mediatica tende a focalizzare e spettacolarizzare un particolare duello a discapito degli altri e dello sguardo d’insieme. Il tentativo stesso di Trump di reimpostare in maniera bilaterale i rapporti e le relazioni tra gli stati può indurre ad accentuare tale interpretazione particolaristica. Un tentativo che se inteso come strategia può trascinare alla rovina gli Stati Uniti e favorire uno sviluppo caotico e gravido di incognite del multipolarismo, ma con qualche possibilità in più, per le potenze intermedie, di assumere una propria peculiare fisionomia. In realtà l’adozione del modello di relazioni bilaterali è del tutto irrealistico e fuorviante perché prescinde dal naturale gioco di alleanze che si dipana nel conflitto politico e il cui successo presuppone proprio ciò che l’attuale svolta politica sta sentenziando inappellabilmente: l’inesistenza di un centro dominante indiscusso. Esso conduce in pratica alla stessa sterilità di chiavi interpretative del concetto di globalizzazione fondato sul movimento atomistico dei singoli agenti sul mercato e sul declino inesorabile del ruolo degli stati nazionali. Se adottato altrimenti come espediente tattico, come da probabile intendimento di Trump, può servire ad una destrutturazione del sistema attuale di relazioni in vista di una ricostruzione più controllata delle sfere di influenza, ma a determinate condizioni: che gli attori in grado di condurre il gioco siano limitati, che riconoscano una reciproca legittimazione e che abbiano un’idea sufficientemente precisa della delimitazione delle sfere di influenza. In un modo o nell’altro si tratta di un processo ormai irreversibile rispetto al quale la classe dirigente dominante tedesca sembra molto più temere le incognite ed apprezzare le attuali rendite di posizione che cogliere le incerte opportunità.

Profetizzare, come prevede la redazione di Limes, uno scontro aperto tra Stati Uniti e Germania pare quantomeno prematuro se non azzardato. E infatti, ad eccezione dei contributi esterni in realtà molto più cauti, gli articoli dei redattori suffragano la tesi sulla base di stereotipi ormai consunti.

Da una parte cerca di fondare l’ineluttabilità del conflitto sulla base dell’incompatibilità tra le due culture. In realtà la storia offre innumerevoli esempi di conflitti atroci e di durature alleanze tra paesi e centri strategici dalle culture difficilmente compatibili. Gli stessi Stati Uniti hanno combattuto almeno tre guerre aperte con il paese a loro culturalmente più affine, il Regno Unito. Negli Stati Uniti, lo rivela la stessa rivista, la componente più numerosa è appunto quella di origine tedesca e la sua cultura ha impregnato pervasivamente la formazione politica e sociale americana, pur affermando in esse una scarsa capacità lobbistica. Paradossalmente, secondo i redattori, una stessa identità culturale avrebbe quindi contribuito decisivamente a determinare la costruzione di una nazione e della sua classe dirigente e nel contempo l’ineluttabile conflitto con il paese di origine di quel ceppo, costituitosi in stato nazionale. Una tesi, quindi, fuorviante, versione edulcorata del più famoso ed altisonante conflitto di civiltà teorizzato da Huntington.

Dall’altra cerca di spiegare la dinamica inesorabile di questo conflitto attraverso il confronto asimmetrico tra il peso e la forza economica crescente del paese europeo e la pervasività e la forza politica di quello americano. Una dinamica che tenta di spiegare non solo le modalità del conflitto tra i due paesi ma anche la natura del dilemma che dovranno risolvere le classi dirigenti degli altri paesi, in particolare quello dell’Italia, di fronte alla alternativa posta della alleanza strategica con uno o l’altro dei contendenti. Un confronto quindi tra il peso militare, la capacità diplomatica e la pervasività dei servizi di intelligence da una parte e la solidità finanziaria, la capacità produttiva e la potenza commerciale dall’altra.

Una chiave esplicativa più sofisticata della prima, ma altrettanto fuorviante e non priva di evidenti punti oscuri e vere e proprie omissioni.

LA QUESTIONE MIGRAZIONE: LA NECESSITA’ DI LIBERARSI DALLA SERVITÙ DEGLI USA E DELL’UNIONE EUROPEA. di Luigi Longo

UN SENSO

Voglio trovare un senso a questa sera. Anche se questa sera un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa vita. Anche se questa vita un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa storia. Anche se questa storia un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa voglia. Anche se questa voglia un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso. Che se non ha un senso

Domani arriverà…Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento. Non basta mai il tempo

Domani è un altro giorno arriverà…

Voglio trovare un senso a questa situazione. Anche se questa situazione un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa condizione. Anche se questa condizione un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso. Che se non ha un senso

Domani arriverà. Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento. Non basta mai il tempo

Domani è un altro giorno arriverà…

Domani è un altro giorno… ormai è qua!

Voglio trovare un senso a tante cose. Anche se tante cose un senso non ce l’ha

Domani arriverà. Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento. Non basta mai il tempo

Domani è un altro giorno arriverà. Domani è un altro giorno arriverà

Domani è un altro giorno

Vasco Rossi*

Ma, il popolo? Il popolo come sempre segue il fortunato e maledice al caduto, purché

non gli manchino il pane e le feste.

Giovenale**

1. Lo spazio italiano, da non confondere con il territorio, svolge un ruolo determinante nelle strategie USA-NATO sia per la presenza delle infrastrutture militari di altissimo livello (1) sia per l’approntamento delle infrastrutture per la gestione della immigrazione (2).

Ho scritto (lo scavo si mantiene ancora ai primi strati di superfice: occorrono lavori di diversi saperi per capire in profondità i processi), sulle infrastrutture funzionali agli obiettivi militari USA-NATO, obiettivi che riguardano le diverse strategie ( costruzioni di aree di influenze, distruzione di stati, spostamenti di popolazioni, terrorismo, controlli di città, eccetera) dei dominanti statunitensi nelle aree nevralgiche ( Europa, Mediterraneo, Medio Oriente) per il conflitto egemonico mondiale tra la potenza dominante (USA) e le potenze mondiali che iniziano, in questa fase multicentrica, a difendersi dal dominio USA ( declinante e pericoloso visto la incapacità di rilanciare una nuova visione di società, avendo scelto la strada della egemonia sfruttatrice), in particolare la Russia ( lo spettro americano) e la Cina ( la futura potenza marittima) (3).

2. Tratto, in questo scritto, la questione migranti come strumento USA sia per creare squilibri pericolosi territoriali, economici e sociali nelle aree importanti per la nuova strategia USA (Europa), sia per dividere ed ostacolare l’espandersi delle aree di influenza della Russia e della Cina (Medio Oriente, Europa orientale e balcanica, Africa, Mediterraneo): << Sono sedici anni che gli Stati Uniti sono in guerra in Medio Oriente e Nord Africa, spendendo trilioni, commettendo crimini di guerra e mandando milioni di rifugiati in Europa. >> (4).

E’ opportuno precisare che la strategia di fondo degli Stati Uniti è quella di dominare lo spazio europeo attraverso diverse tattiche che, a seconda delle fasi e degli agenti strategici dominanti, comportano soluzioni diverse: gli agenti strategici che hanno espresso presidenti come George H.W. Bush (1989-1993), Bill Clinton (1993-2001), Barack Obama (2009-2017) vedevano il controllo europeo attraverso l’utilizzo di un coordinamento esercitato dal vassallo tedesco ( una sorta di continuazione del progetto Europa da loro ideato, attuato e coordinato nel secondo dopoguerra con l’affermazione della loro egemonia nel mondo occidentale).; gli agenti strategici che hanno espresso Donald Trump (con grandi difficoltà, dovute al conflitto distruttivo tra agenti strategici statunitensi che non riescono a ritrovare una sintesi di visione della potenza mondiale, uno dei tanti sintomi dell’inizio del declino), vedono il controllo dello spazio europeo attraverso accordi bilaterali tra nazioni. Entrambe queste tattiche convergono nella strategia di dominare lo spazio europeo e quello che più preoccupa è che si sta andando nella direzione di una Europa delle Regioni (5) che significa la distruzione delle nazioni con conseguenze sociali e territoriali inimmaginabili. D’altronde gli USA sono maestri in questo. Per questo ritengo che la tattica di Trump acceleri, nella fase multicentrica sempre più incalzante, soprattutto per il dinamismo aggressivo statunitense, il progetto dell’Europa delle Regioni.

3. L’immigrazione, in questa fase multicentrica, è vista come uno strumento di geopolitica e di geostrategia; non è considerata nè nella logica dello sviluppo ineguale del sistema capitalistico che vede i flussi di migranti come una convenienza a migliorare i benefici della economia e della società delle cosiddette nazioni a sviluppo avanzato e maturo (6), né nella logica ( tutta ideale) di un fenomeno di confronto e scambi tra nazioni e continenti, di cultura, storia, sviluppo e formazione sociale diverse, per un reciproco arricchimento della propria idea di società e di relazioni sociali, perché come ci ricorda Guido Barbujani :<< Siamo tutti bastardi [ corsivo mio], tanto biologicamente quanto culturalmente, ma rischiamo di dimenticarcelo […] Sappiamo che le differenze fra le varie popolazioni umane sono sfumature, reali ma minuscole, in una tavolozza genetica in cui ognuno è identico al 99,9% a qualunque sconosciuto. Stiamo studiando come in quell’uno per mille di differenza ci siano fattori che spiegano le nostre diverse tendenze […] E abbiamo capito che il nostro carattere, le nostre scelte e i nostri gusti c’entrano pochissimo con i nostri geni, e molto invece col complesso di situazioni ed esperienze individuali che riassumiamo nella parola cultura [ corsivo mio] >> (7).

Non prenderò in considerazione le seguenti esternazioni del Presidente dell’Inps, Tito Boeri: << […] Gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps […] Proprio mentre aumenta tra la popolazione autoctona la percezione di un numero eccessivo di immigrati, abbiamo sempre più bisogno di migranti che contribuiscano al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale […] Abbiamo calcolato che sin qui gli immigrati ci hanno regalato circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni […] >> (8).

Una domanda si pone: se accogliere i migranti è così vantaggioso perché gli altri paesi europei chiudono i confini? (9). La verità è che Tito Boeri con questo ragionamento tutto interno ai tecnicismi da entrate contributive e agli scenari di previsione (con strane correlazioni delle variabili presenti in essi) dimostra di non conoscere la questione delle migrazioni in relazione al territorio, alla economia, alla società. Una cuoca leniniana, nell’accezione di Luisa Muraro (10), gestirebbe con grande sapienza e inquadrerebbe in maniera corretta l’andamento dei flussi migratori e i relativi conti dell’Inps.

Non tratterò delle assurdità del ministro Marco Minniti che parla di aiuti finanziari per i migranti che scelgono volontariamente di tornare ai propri paesi di origine né delle vacue proposte contenute nelle dichiarazioni di Tunisi (11).

4. E’ difficile essere d’accordo con Massimo Livi Bacci quando sostiene che:<< […] il crescente consenso all’idea che l’immigrazione, per essere utile allo sviluppo, debba essere di “qualità” o – in altre parole – ricca di capitale umano. Solo così può contribuire alla crescita della produttività e quindi allo sviluppo economico. Nel concreto, molti paesi hanno sviluppato politiche migratorie volte ad attrarre migranti con alte qualifiche e buone specializzazioni, con livelli di istruzione relativamente elevati, buona conoscenza della lingua e della cultura del paese ospite.[…] Insomma, in sintesi brutale, meno migranti, ma di migliore qualità. Anche l’Italia finirà col muoversi su questa linea, pur tenendo conto che continuerà a essere sostenuta la domanda di manodopera generica assai richiesta in molti settori dell’economia e della società. Questo implicherà una profonda revisione della politica migratoria e l’adesione convinta al principio che l’immigrazione si governa e si guida, non si subisce [ corsivo mio]. […] E’ comprensibile che l’ondata di rifugiati prodotta dai conflitti e dall’instabilità di vaste regioni che circondano l’Europa appanni la visione circa il futuro dell’immigrazione e che la gestione di questi flussi si presenti come un’assoluta priorità. Ma anche l’eccezionalità di questa fase storica può essere volta a vantaggio del paese e il peso dell’accoglienza trasformata in un’opera di istruzione e formazione dei rifugiati, di investimento per la ristrutturazione di un patrimonio infrastrutturale abbandonato e fatiscente per l’accoglienza stessa, finanche di insediamento nelle tante aree interne in abbandono [ oltre a un ripensamento della questione agraria, mia aggiunta] >> (12).

5. Un governo per guidare e non subire l’immigrazione deve avere una idea di politica migratoria e una idea di relazione territoriale, economica e sociale con altri Paesi. Per esempio, Massimo Livi Bacci, nulla dice sul ruolo infame che ha avuto la classe dirigente italiana ( oggi, è Emmanuel Macron a gestire la questione Libia su indicazione e nella logica delle relazioni bilaterali di Donald Trump, che si innerva con il progetto dell’Europa delle regioni, che significa frantumazione delle nazioni europee) nella distruzione della Libia ( territorio filtro sotto il coordinamento di Mu’ammar Gheddafi) per le strategie di Barack Obama e Hillary Clinton contro i nostri stessi interessi, così come accade con le sanzioni imposte ad altre nazioni ( Russia, Iran, eccetera) (13) << […] La guerra alla Libia nel 2011, con il determinante contributo italiano, è stata diretta dalla Nato attraverso il Jfc Naples ( Joint Force Command, mia specificazione ). Sempre da Napoli sono state condotte operazioni militari all’interno della Siria. Questa è la prima causa del drammatico esodo dei profughi e della “crisi dei migranti che l’Italia sta vivendo quasi in solitudine” >> (14).

Per attuare le politiche migratorie secondo le indicazioni di Massimo Livi Bacci, c’è bisogno di un governo sovrano e autodeterminato, espressione di agenti strategici egemoni che hanno una idea di progetto e di ruolo dell’Italia nell’Europa, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, che sappia allearsi con le potenze mondiali che pensano a un mondo multipolare e non monocentrico. La domanda che si pone è: Abbiamo noi agenti strategici egemoni ( sia tra i dominanti che, ahimè, tra i dominati) capaci di tale strategia?.

Nella sostanza la questione immigrati viene gestita dalle strategie pre-dominanti USA e dal maggiordomo tedesco che di fatto obbliga l’Italia all’accoglienza senza limiti e si accorda con la Turchia per fare da barriera di contenimento dei flussi migratori in condizioni inumane [ << considerate la vostra semenza: fatti non foste a vivere come bruti ma per seguir virtute e canoscenza >>(15)] e selezionare i migranti che servono ai diversi settori delle economie europee.

Con buona pace di Limes che vede la Germania come una nazione in conflitto con gli USA capace di creare una Kerneuropa ( un progetto geopolitico della Germania di costruire uno spazio di influenza europea orientato verso la Russia) e non invece, in una logica subordinata, un progetto contro una parte di essa: il blocco di potere che esprime Donald Trump (16).

Fonte: Limes

In questa assurda gestione dei migranti, trova la sua logica l’accordo del baro Matteo Renzi, che in qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, ha firmato il protocollo dell’operazione Triton ( partita nel 2014 dopo il termine di quella italiana Mare Nostrum) (17) che prevede che tutti gli sbarchi dei migranti avvengano nei porti italiani anche in violazione del trattato internazionale in tema di diritto di asilo ( Convenzione di Dublino e relativo regolamento UE di Dublino III). La logica dell’accordo è basata infatti su queste ragioni: a) maggiore disponibilità finanziaria a disposizione del proprio potere ricavata dai tecnicismi sulla flessibilità al pareggio di bilancio e al debito pubblico concessa dai subdominanti europei; b) maggiori risorse finanziarie, italiane ed europee, alle strutture che gestiscono i migranti per la filiera di potere incardinata attorno alle leghe delle cooperative (rosse e bianche), movimenti e istituzioni religiosi ( Comunione e Liberazione, Caritas), imprese, fondazioni e consorzi onlus (18).

6. Alcune città incominciano a ribellarsi alla ingovernabilità dei flussi migratori e al ruolo di accoglienza assegnato all’Italia con i relativi costi sociali, economici e territoriali a carico della maggioranza della popolazione e con vantaggi economico-finanziari a favore di una ristretta minoranza della suddetta filiera di potere.

Le città ribelli sono il sintomo del malessere e del disagio di chi non ha una idea e un progetto di trasformazione complessiva della questione migranti né ha la forza di incidere sulle reali cause che producono tale malessere: i migranti sono sradicati dai loro territori ( Africa, Medio Oriente, Mediterraneo, Europa orientale e balcanica) e orientati per fini geopolitici, geostrategici e geoeconomici in aree nevralgiche come l’Europa ( continente strategico nei futuri scenari di conflitto mondiale), in questa fase multicentrica, soprattutto per il dinamismo aggressivo degli USA che vuole limitare le aree di influenza e vuole prevenire future cooperazioni tra l’Europa e le potenze emergenti della Russia e della Cina (19).

7. Per sconfiggere la servitù italiana dello spazio a completa disposizione della potenza mondiale statunitense bisogna uscire dalla NATO e smilitarizzare i territori europei. Non è possibile ragionare sulla sovranità delle nazioni avendo sui propri territori infrastrutture militari USA e USA-NATO. E’ un non senso parlare di libertà, di democrazia e di sovranità avendo i territori occupati dalle basi militari (20). Bisogna uscire da questa Europa subordinata alle strategie di dominio mondiale statunitense

per tre ragioni fondamentali:

  1. Il progetto dell’Europa è stato pensato e attuato dagli Stati Uniti per le loro strategie di dominio mondiale a partire dalla seconda guerra mondiale;

  2. Il ri-emergere del progetto dell’Europa delle Regioni comporterebbe la eliminazione delle nazioni ( con conseguenze drammatiche e inenarrabili sulle popolazioni) a favore di microregioni e romperebbe definitivamente qualsiasi progetto di Nazioni sovrane e di una Europa federata (espressione di nazioni sovrane) in relazione con l’Oriente, una cooperazione eurasiatica;

  3. La difficoltà di costruire relazioni con la Russia e la Cina per le continue politiche di contrasto ( che provocano danni e devastazioni ai territori europei) nelle diverse sfere sociali eseguite dai sub-decisori europei su precise strategie dei predominanti statunitensi ( dall’uso delle sanzioni e delle militarizzazioni dei territori, all’impedimento dell’uso delle fonti energetiche e della costruzione delle vie della seta).

8. Vi è la necessità di non sottostare più al potere degli agenti subdominanti europei che ci fissano i parametri della vita: dalla lunghezza dei prodotti agricoli (che nasconde la distruzione economica delle piccole aziende agricole soprattutto quelle delle aree interne), alla identità sessuale ( che vela la rottura dei fondamentali legami di relazione tra madre-figlio/a e tra la natura umana e madre natura), all’esperimento del controllo sociale tramite le vaccinazioni di massa ( che cela l’indebolimento del sistema immunitario, la creazione di futuri malati e la verifica di pratiche di reazione popolare agli obblighi imposti) (21). Dice Marco Della Luna:<< Il contratto di appalto per la fornitura dei vaccini obbligatori non è ancora stato reso pubblico, ma se è come gli ultimi, è illegittimo, è un abuso. Il problema di fondo con i vaccini è che i politici (italiani) si vendono per professione e soprattutto che vendono gli interessi nazionali a quelli stranieri, coi vaccini come con le banche, con l’euro, col fiscal compact, coi migranti […] quindi non possono essere mai credibili, quando impongono qualcosa in cui qualcuno guadagna somme. Finché rubano i risparmi in banca è un conto, ma quando per profitto ti entrano nel corpo, è un altro conto >> (22).

Questo è degrado umano individuale e sociale a livello nazionale, europeo e mondiale.

Vi è la necessità di uscire da questa Europa e pensare ad una Europa federata tra nazioni sovrane (23) perché non ha senso stare nella austerità degli investimenti pubblici; nella privatizzazione dei servizi e delle infrastrutture; nel patto del bilancio europeo; nel pareggio di bilancio; nella riduzione del debito pubblico; nella deflazione salariale quale unica forma consentita per la competitività europea che fa bene all’economia del maggiordomo tedesco e alle strategie dei dominanti USA che puntano a disintegrare l’Europa con le sue nazioni per renderla sempre più debole, divisa e strumento di aggressione alla Russia e alla Cina(24).

Bisogna trovare, per dirla con Antonio Gramsci, il sistema di vita originale e non di marca americana, per far diventare libertà ciò che oggi è necessità (25).

9. E’ possibile pensare ad una idea e ad un progetto di nazione capace di recuperare la distruzione storica ( la memoria, l’identità, la tradizione, la cultura ), economica ( le nostre industrie strategiche e la nostra degna industria manifatturiera), sociale ( i servizi fondamentali che incidono sulle condizioni reali ), territoriale ( le risorse, le città, il paesaggio, le infrastrutture ) e geografica ( la posizione strategica mediterranea ); è possibile guardare, nel lungo periodo, alle nazioni e alle potenze mondiali che lottano per un mondo multipolare. Per fare questo e avere un Paese mediamente protagonista nella scena mondiale occorrono gli agenti strategici dominanti capaci di dare un ruolo, una visione, una idea alla nazione Italia; gli agenti strategici dominati possono solo, in attesa di epoche rivoluzionarie fuori dal capitale inteso come rapporto sociale, appoggiare e allearsi ai suddetti agenti strategici dominanti (26).

10. Restano alcune domande a cui la storia italiana contemporanea, soprattutto del secondo dopoguerra, deve dare risposte. Perché l’Italia esprime degli agenti strategici subdominanti così servili e mediocri che non hanno il senso dello sviluppo dell’intero Paese? Perché gli agenti strategici, dal secondo dopoguerra, fatta qualche eccezione che comunque conferma la regola, sono stati espressione di potere (derivante dalla sfera sociale di appartenenza, per esempio, quella economica della famiglia Agnelli) e non di dominio (27) che non hanno pensato allo sviluppo e alle relazioni europee e mondiali della nazione? Perché lo stato, inteso come luogo di una architettura istituzionale di una nazione dove il conflitto per l’egemonia è la norma non l’interesse generale, è stato usato, diretto, gestito da agenti strategici di potere e non di dominio?. Il problema è di egemonia degli agenti strategici che dominano l’insieme della società: è come se gli agenti strategici economici e di altre sfere sociali fossero proiettati allo sviluppo del Paese, ma non riescono ad esprimere egemonia politica.

E’ da rivedere la storia del periodo della ricostruzione e del cosiddetto boom economico italiano come nuovo modello di penetrazione americana in Italia e in Europa che già si differenziava dalla logica coloniale e neocoloniale. Eppure, già il giovane Georg Wilhelm Friedrich Hegel avvertiva il limite di affidarsi alle strategie dei singoli potenti o famiglie di potenti:<< […] La storia insegna quanto la sproporzionata ricchezza di alcuni cittadini sia pericolosa anche per la più libera forma costituzionale, e quanto sia in grado di distruggere la stessa libertà: ci sono gli esempi di un Pericle ad Atene, dei patrizi a Roma-la decadenza della quale invano i Gracchi ed altri, premendo minacciosamente, cercano di bloccare con la proposta di leggi agrarie-, dei Medici a Firenze; e sarebbe importante ricercare in qual misura sarebbe necessario sacrificare il rigido diritto di proprietà per avere una stabile forma di repubblica. >> (28).

11. Attualmente l’Italia è una nazione bordello :<< Ahi, serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello >> (29). Occorre pulire il bordello da rubagalline, imbroglioni, mistificatori e da bari e ridurre la stupidità e l’imbecillità ( ontologicamente intesi) (30): basta pane e feste; bisogna creare un senso da dare alla realtà da trasformare, con un timoniere in grado di guidare nella tempesta mondiale ( multicentrica e policentrica) la nave Paese; in attesa di epoche storiche capaci di esprimere le formazioni sociali autodeterminate (sovrane) e gli agenti strategici dei dominati, in grado di rivoluzionare la realtà verso gli interessi della maggioranza della popolazione. La realtà, come insegna Gyorgy Lukacs nella sua grande Ontologia dell’essere sociale, è da intendere come qualcosa da trasformare e non semplicemente da manipolare e gestire:<< […] Per quanto rilevanti siano le diseguaglianze e profonde le contraddizioni che contribuiscono a determinare il cammino, le fasi del processo complessivo, è certo che il genere umano non potrebbe mai realizzarsi completamente, non potrebbe mai staccarsi dal mutismo ereditato dalla natura, se negli individui non si avesse in modo socialmente necessario una tendenza verso il proprio essere-per-sé: solo essere umani consapevoli di se stessi come individui ( non più singoli che si diversificano solo nella loro particolarità in-sé) sono in grado mediante la loro coscienza, mediante le loro azioni guidate dalla coscienza, di convertire in prassi umano-sociale, cioè in essere sociale, la genericità autentica. Nonostante tutte le ineguaglianze e contraddizioni, lo sviluppo della società su scala storico-universale spinge parallelamente verso la nascita della individualità essente-per-sé nell’uomo singolo e verso il costituirsi di una umanità che nella sua prassi è consapevole di sé come genere umano. >> (31).

Le citazioni in epigrafe sono tratte da:

*Vasco Rossi, Un senso, www.angolotesti.it;

**Concetto Marchesi, Giovenale, A.F. Formiggini editore in Roma, 1921, pag.66

NOTE

1.L’ultima infrastruttura NATO è la trasformazione del Comando NATO di Napoli in Hub per il Sud ( con notevole esborso finanziario a carico dell’Italia), formato dal Comando NATO, dalle Forze navali USA per l’Europa e dalle Forze navali USA per l’Africa, agli ordini dell’ammiraglio statunitense Michelle Howard. I tre comandi di Napoli, sempre agli ordini dell’ammiraglio statunitense nominato dal Pentagono, hanno una “area di responsabilità” che abbraccia l’Europa, l’intera Russia, il Mediterraneo e l’Africa si veda Manlio Dinucci, Per il Sud niente investimenti ma un Hub di guerra, il Manifesto del 18/7/2017; Idem, Pentagono: top secret la dislocazione delle atomiche in Italia, il Manifesto del 22/7/2017.

2.Sulle diverse tipologie delle strutture del sistema di accoglienza italiana si rimanda ai siti del Ministero dell’Interno: www.interno.gov.it/it/temi/immigrazione-e-asilo/sistema-accoglienza-sul-territorio e www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/pubblicazioni/rapporto-annuale-sprar .

3.Luigi Longo, Gli Stati Uniti e lo spettro della Russia in www.italiaeilmondo.com, maggio 2017; sulla Cina come futura potenza marittima in Maurizio Blondet, La Cina intanto diventa grande potenza navale, www.maurizioblondet.it, 8/7/2017; sulla strategia conflittuale tra le potenze di terra e le potenze di mare si legga la bella sintesi storica di Carl Schmitt, Terra e Mare, Adelphi, Milano, 2002.

4.Paul Craig Roberts, Washington è in guerra da 16 anni: perché?, www.comedonchisciotte.org, 3/7/2017.

5.Paolo Perulli-Angelo Pichierri, a cura di, La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi, Torino, 2010.

6.Massimo Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni, il Mulino, Bologna, 2014; Enrico Allasino, Le radici sociali dell’immigrazione in Paolo Perulli-Angelo Pichierri, a cura di, op.cit., pp.305-339; per una analisi storica delle forme di migrazioni in Jean-Pierre Raison, Migrazione in Enciclopedia Einaudi, Volume nono, Einaudi editore, Torino, 1980, pp.285-311; per l’analisi della totalità degli aspetti dell’immigrazione in Maria Immacolata Macioti- Enrico Pugliese, Gli immigrati in Italia, Laterza, Bari, 1991.

7.Guido Barbuyani, Cultura, razze, confini in www.eddyburg.it, 28/5/2017. Per un approfondimento si rimanda a Guido Barbuyani, L’invenzione della razza. Capire la biodiversità umana, Bompiani, Milano, 2008.

8.Audizione di Tito Boeri alla Camera dei Deputati del 20/7/2017 in www.webtv.camera.it/evento11618; Relazione annuale del Presidente INPS, 4 luglio 2017 in www.inps.it. Sono molte le critiche e le riflessioni suscitate dall’intervento di Tito Boeri ne segnalo alcune significative: Francesco Forte, Quanti danni fa il teorema degli immigranti salva-pensione, www.ilgiornale.it, 21/7/2017; Eugenio Benetazzo, Soli con loro, www.eugeniobenetazzo.com, 20/7/2017; Alessandro Visalli, Tito Boeri e l’immigrazione: l’assenza di spiazzamento, www.tempofertile.blogspot.it, 26/7/2017; Ennio Abate, Appunti politici: Visalli e i migranti, www.poliscritture.it, 21/7/2017.

9. La domanda mi è venuta leggendo l’articolo di Michele Rallo, Migranti: se sono un “arricchimento” perché gli altri non li vogliono?, www.ildiscrimine.com, 16/7/2017.

10.Luisa Muraro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, Roma, 2011.

11. Ministero dell’Interno: Immigrazione, Minniti: Europa e Africa devono lavorare insieme e Dichiarazione di Tunisi: Seconda Riunione ministeriale del Gruppo di Contatto sulla rotta della migrazione nel Mediterraneo centrale (24 luglio 2017) in www.interno.gov.it.

12.Per una lettura geodemografica e del ruolo della demografia nello sviluppo dell’Italia supportato da dati e da analisi interessanti anche se non inquadrate in una logica geostrategica e geopolitica del conflitto mondiale si rimanda a Massimo Livi Bacci, La demografia prima di tutto in Limes n.4/2017, pp.46-47; Idem, All’Italia servono persone prima che braccia in Limes n.7/2016; Germano Dottori, Non sarà l’immigrazione a rilanciare l’Italia in Limes n.7/2016.

13.Sulla distruzione della Libia si invia a Luigi Longo, Che ci fa l’Islamic State (IS) in Libia? Perché non lo chiediamo agli USA, www.conflittiestrategie.it, 2/3/2015; sugli scenari economici che si aprono in Libia si veda Rosanna Spadini, Fincantieri: a volte sei il parabrezza e a volte sei l’insetto, www.comedonchisciotte.org, 29/7/2017; sulle sanzioni USA contro la Russia per le interferenze nelle elezioni americane del 2016 e per le aggressioni militari in Ucraina e Siria (SIC) e i conseguenti danni alle aziende soprattutto tedesche e francesi si veda Maurizio Blondet, Saprà la Merkel gestire in modo razionale l’inevitabile Italexit?, www.maurizioblondet.it, 26/7/2017; Idem, Le nuove sanzioni USA ci rovineranno e l’Europa può farci poco, www.maurizioblondet.it, 27/7/2017; Marco Valsania, Sanzioni alla Russia via libera della Camera USA. Trump “commissariato” in Il Sole 24 Ore del 26/7/2017.

14. Manlio Dinucci, Per il Sud niente investimenti, op.cit.

15.Dante Alighieri, La Divina Commedia. Inferno, Canto XXVI, versi 118-120, BUR, Milano, pp.529-530.

16..Limes n.4/2017, in particolare: Editoriale, pp.7-27; Dario Fabbri-Federico Petroni, Il limes germanico ferita e destino d’Italia, pp.31-39; Dario Fabbri, Spaccata e ideologica. L’Italia tra Germania e Stati Uniti, pp. 75-83; si legga anche l’analisi della situazione europea in relazione agli USA di Gianfranco La Grassa, Dagli USA al mondo: incertezze e imprevedibilità, www.conflittiestrategie.it, 24/7/2017; Idem, Europa unita=Europa sottomessa, www.conflittiestartegie.it, 30/3/2017.

17.Sulle operazioni Mare Nostrum, Triton e Frontex si rinvia al sito del ministero dell’interno (www.interno.gov.it ). E’ stata Emma Bonino a parlare ( perché proprio ora?) dell’accordo di Matteo Renzi. Tale accordo è stato confermato anche da Marco Minniti, si veda rispettivamente Redazione, Migranti in Italia in cambio di flessibilità. L’accusa della Bonino al Governo, www.quifinanza.it, 7/7/2017; Redazione, Immigrazione, Marco Minniti conferma la ricostruzione di Emma Bonino: l’invasione l’ha voluta Matteo Renzi, www.liberoquotidiano.it, 20/7/2017.

18. Prossimamente tratterò il caso di studio del CARA di borgo Mezzanone, un borgo della città di Manfredonia in Puglia, per capire le ragioni e le funzioni delle strutture di gestione dei flussi migratori a livello nazionale come conseguenza delle strategie statunitensi ed europee. Una sorta di intreccio tra sistema locale e sistema europeo e una possibile costruzione della filiera del potere ( non del dominio) della questione migrazioni. Cioè capire le responsabilità dei predominanti USA ( il dominio), la responsabilità dei subdominanti europei ( il potere) e la responsabilità dei servi subdominanti italiani ( il sotto potere).

19.Per una analisi storica delle città ribelli si rimanda, con una lettura critica, a David Harvey, Città ribelli. I movimenti urbani dalla comune di Parigi a Occupy Wall Street, il Saggiatore, Milano, 2013, soprattutto pp. 141-181; sui flussi migratori si veda Gianfranco La Grassa, Chi conduce il gioco e chi dovrà condurlo, www.conflittiestrategie.it , 5/7/2017.

20.Sul regime di servitù nazionale e militare italiana nei confronti degli Stati Uniti si veda l’interessante articolo del Generale Fabio Mini, USA-Italia. Comunicazione di servizio in Limes n.4/2017.

21.Italia 2014 Renzi a Bari promette alle Pharma “ Noi vi garantiamo un progetto di lungo-periodo, invitiamo le università, le imprese a investire i territori a credere nel settore farmaceutico perché il made in Italy non deve significare solo food e fashion ma anche settore farmaceutico” e poco dopo il ministro Beatrice Lorenzin si reca da Barack Obama dove l’Italia viene incensata come capofila della GHSA: l’Italia guiderà nei prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo. E quanto deciso al Global Health Security Agenda (GHSA) che si è svolto alla Casa Bianca. Il nostro Paese, rappresentato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, accompagnata dal Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) prof. Sergio Pecorelli, ha ricevuto l’incarico dal Summit di 40 Paesi cui è intervenuto anche il Presidente Barack Obama. “E’ un importante riconoscimento scientifico e culturale per l’Italia, soprattutto in questo momento in cui stanno crescendo atteggiamenti ostili contro i vaccini-ha dichiarato il prof. Sergio Pecorelli. Dobbiamo intensificare le campagne informative in Europa, dove sono in crescita fenomeni anti vaccinazioni” in Emanuela Lorenzi, Fanta-epidemia e veri sciacalli, www.comedonchisciotte.org, 26/6/2017.

22.Marco Della Luna, Vaccini: proposta di legge, www.marcodellaluna.info, 9/7/2017.

23.Una Europa federata tra nazioni sovrane significa, come la storia europea dimostra, che non può esserci nessuna nazione egemone all’interno della nuova configurazione, si veda Ludwig Dehio, Equilibrio o egemonia. Considerazioni sopra un problema fondamentale della storia politica moderna, il Mulino, Bologna, 1988.

24.Luigi Longo, L’uscita dall’euro non è un problema prioritario. Priorità è la sovranità nazionale ed europea, www.conflittiestrategie.it, 16/1/2015.

25.Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2178-2179.

26.Sull’aspetto delle alleanze per una fase di miglioramento avendo sullo sfondo un progetto altro della società ( due progetti, due tempi) si veda Pierluigi Fagan, L’eterno ritorno della servitù volontaria. Riprendendo in mano l’intuizione di Etienne de La Boètie, www.pierluigifagan.wordpress.com, 24/7/2017.

27.La capacità di egemonia di agenti strategici come espressione della sintesi nazionale degli agenti strategici di potere delle diverse sfere sociali ( economiche, politiche, culturali, eccetera).

28.Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti politici, a cura di Claudio Cesa, Einaudi, Torino, 1972, pp.344-345.

29.Dante Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, Canto VI, versi 75-78, BUR, Milano, 1975, pp. 125-126.

30.Maurizio Ferraris, L’imbecillità è una cosa seria, il Mulino, Bologna, 2016.

 31.Gyorgy Lukacs, Ontologia dell’essere sociale, Volume II, Editori Riuniti, Roma, 1981, pp.278-279.

PERCHÉ LA CHIESA CATTOLICA VIENE ATTACCATA DALL’ONU Di MASSIMO MORIGI

Prosegue la pubblicazione delle varie riflessioni di Massimo Morigi riguardanti il “repubblicanesimo geopolitico”. Anche questo breve scritto è preceduto da un lungo commento odierno dell’autore

Repubblicanesimo Geopolitico e  Katargēsis Messianica

di Massimo Morigi

«[19] Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio. [20] Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato. [21] Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; [22] giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: [23] tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, [24] ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. [evidenziazione dal versetto 21 al versetto 24 del redattore] [25] Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, [26] nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. [27] Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede[28] Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. [evidenziazione dal versetto 27 al versetto 28  del redattore] [29] Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! [30] Poiché non c’è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. [31] Rendiamo allora inoperante [katargoumen: rendiamo inoperante, rendiamo inefficace, annulliamo, aboliamo, distruggiamo, superiamo, ndr] la legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la legge. [evidenziazione del verseto 31 del redattore]  »: Rm 3, vv. 19-31.

 

In  Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu  pubblicato sul “Corriere della Collera” il 9 febbraio 2014 (all’URL https://corrieredellacollera.com/2014/02/09/perche-la-chiesa-cattolica-viene-attaccata-dallonu-di-massimo-morigi/ e ora anche su WebCite agli URL http://www.webcitation.org/6sJ58D0JY e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2014%2F02%2F09%2Fperche-la-chiesa-cattolica-viene-attaccata-dallonu-di-massimo-morigi%2F&date=2017-07-28), dopo aver indicati i motivi geopolitici e di politica internazionale (in estrema sintesi: l’opporsi, per difendere la presenza cristiana nell’area, alla polverizzazione politica e statuale mediorientale operata dalla politica del caos statunitense) a causa dei quali la Chiesa cattolica, attraverso l’accusa di ogni nequizia sessuale possibile ed immaginabile stava subendo (e tuttora sta subendo) un possente attacco dei grandi centri strategici internazionali (stranamente, tanto per fare un esempio, l’Arabia Saudita, con la sua “singolare” visione del rapporto fra i sessi non ha dovuto subire mai nulla di simile; altrettanto singolare poi che la punta di lancia di queste accuse provenisse da quella pia organizzazione internazionale, le Nazioni unite, che è il consesso internazionale dove hanno possibilità di veto proprio quegli stati che spingendo un bottone possono distruggere l’umanità e che storicamente e tutt’oggi s’ingegnano a compiere i maggiori massacri in giro per il mondo), chiudevo le mie brevi considerazioni con queste parole: «Ed è altrettanto evidente che nel contrastare questo vuoto culturale e politico la Chiesa cattolica non solo non deve essere lasciata sola ma deve essere affiancata anche da apporti che se, apparentemente, hanno più a che fare con quello che deve essere dato a Cesare piuttosto che a Dio, cionondimeno affondano le loro radici, come il Repubblicanesimo Geopolitico, in una concezione di vita e di cultura che è nata nello stesso terreno sul quale ha prosperato la religione che ha dato forma alla civiltà occidentale.». Lo scopo dell’articoletto, la denuncia delle vere ragioni per le quali si tentava (e si tenta tutt’ora) di far apparire la Chiesa cattolica come la sentina di ogni vizio morale e sessuale non rendevano opportuna l’occasione, tranne il mero ma non ulteriormente precisato passaggio  sulle molte comuni radici fra la Chiesa cattolica ed il Repubblicanesimo Geopolitico, per diffondersi sull’argomento. La rinnovata cortese ospitalità dell’ “Italia e il Mondo” per i primi vagiti del Repubblicanesimo Geopolitico nonché la necessità –  oltre a rinnovare la difesa della Chiesa cattolica sempre e comunque sotto attacco –  di pubblica chiarificazione delle sue fonti teoriche, nella fattispecie delle presenti  considerazioni sotto l’aspetto della sua ‘teologia politica’, ci fornisce allora l’occasione per chiarire il senso delle impegnative considerazioni conclusive di Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu .

Tutti conoscono la frase di Gesù e riportata dai tre vangeli  sinottici laddove il Figlio di Dio afferma “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” e da parte dei zelanti – ma ahimè non proprio molto scaltriti –  sostenitori della tesi  dell’assoluta non ingerenza della Chiesa cattolica nella vita dello stato (più o meno) laico (quasi che la politica attuale effettuale di una antichissima  istituzione possa essere giudicata alla luce delle parole attribuite da più di  duemila anni  al  suo Messia) e dei polemisti contro l’Islam (quasi che la Chiesa non abbia mai storicamente voluto imporre una sua propria particolare sharia), questa frase viene incessantemente citata per indicare il rapporto assolutamente libero ed autonomo della Chiesa stessa rispetto alla legge civile. In effetti, anche se non proprio per le ragioni indicate dalla maggior parte degli zelanti sostenitori della Chiesa cattolica (ragioni, fra l’altro, molto spesso condivise, anche da parte di coloro che si qualificano come laici, i quali pur non riconoscendo alla Chiesa cattolica attuale alcun disinteresse verso la legge civile, molto volentieri concedono al Figlio di Dio una corretta impostazione “laica” del problema, e a questo punto non si sa più se ridere o piangere a vedere come si è ridotto il c.d. “pensiero laico”), la frase e sì importantissima per delineare l’intima disposizione che per più di duemila anni ha animato il cristianesimo – e nello specifico – la Chiesa cattolica verso la legge civile ma il punto è che si tratta di una Stimmung  che non ha proprio nulla a che fare con l’angelico disinteresse verso la legge civile che ci consegnerebbero le parole di Cristo. In breve. Chiunque non voglia piegare (anche in perfetta buonafede, per carità!) il “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” ad esigenze “politiche” s’accorge immediatamente della loro inequivocabile ambiguità di fondo. Ora il sopracitato (rozzo) pensiero laico, risolve questa ambiguità con un “semplicismo” di stampo pseudostorico affermando che, qualsiasi fossero le recondite intenzioni per cui Gesù Cristo pronunciò quelle parole e le concrete condizioni che lo indussero ad esprimersi in questo modo,  fino ai nostri giorni tutti i tentativi della Chiesa cattolica sono stati indirizzati a piegare la legge civile ai dettami della religione finalizzandola, quando le condizioni storiche lo rendevano possibile, alla costruzione di uno stato teocratico. Invece un pensiero, come il Repubblicanesimo Geopolitico, non proprio intenzionato ad essere l’ottuso cantore del “Brave New World”, del mondo liberal-liberista, della democrazia di massa e rappresentativa e dei formidabili diritti dell’uomo oltre a notare l’intima contraddittorietà delle parole di Cristo riconosce in questa parole una contraddizione che è anche la propria trattandosi di un “crampo del pensiero” che è proprio di ogni pensiero autenticamente rivoluzionario che pur volendo generare una propria incontestabile legalità ha con la legge positiva (e, conseguentemente,  anche con la futura legge rivoluzionaria) un rapporto non proprio molto sereno (anche se, come vedremo) dialetticamente molto profondo. E che nel cristianesimo delle origini e nella futura Chiesa cattolica il rapporto con la legge civile fosse dialetticamente assai poco risolto, ben lo vediamo dalla lettera di S. Paolo ai Romani –  come da noi mostrato  in Rm 3, vv. 19-31 posto in esergo al presente  commento a Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu   – dove al versetto 31, dopo un irrisolto ragionamento in merito al rispetto della legge civile chiedendosi «Rendiamo allora inoperante  [katargoumen: rendiamo inoperante, rendiamo inefficace,  annulliamo, aboliamo, distruggiamo, superiamo, sospendiamo, ndr] la legge mediante la fede?» scioglie la domanda con un contraddittorio «Nient’affatto, anzi confermiamo la legge.», contraddittorio perche ai vv. 21-24 aveva appena affermato «Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù.». Sul problema della  katargēsis messianica della legge civile  in  Rm 3, vv. 19-31 (ma noi  con non forzata analogia possiamo ben parlare del problema della katargēsis  rivoluzionaria rispetto alla legge, cioè del problema mai risolto della rivoluzione rispetto non solo alla legge che l’ha preceduta ma anche rispetto alla legge “rivoluzionaria” prossima ventura) si è magistralmente espresso Giorgio Agamben in il Tempo che resta e in Homo Sacer , opere entrambe da cui traiamo ora  ampie citazioni e commentando le quali potremmo cominciare a formulare le nostre conclusioni riguardo le comuni radici fra ogni autentico pensiero rivoluzionario, fra i quali deve essere annoverato anche il Repubblicanesimo Geopolitico, e l’irrisolto rapporto che il cristianesimo e la Chiesa cattolica hanno intrattenuto fin dagli inizi con la legge. Scrive quindi Agamben a proposito della katargēsis messianica: «Come dobbiamo pensare lo stato della legge sotto l’effetto della katargēsis messianica? Che cos’è una legge che è, insieme, sospesa e compiuta? Per rispondere a queste domande, non trovo nulla di più istruttivo che far ricorso a un paradigma epistemologico che sta al centro dell’opera di un giurista che ha posto la sua concezione della legge e del potere sovrano sotto una costellazione esplicitamente antimessianica –  ma che, proprio per questo, in quanto «apocalittico della controrivoluzione»  – non può evitare di introdurre in essa dei  theologoumena genuinamente messianici. Secondo Schmitt – avrete capito che è a lui che mi riferisco –  il paradigma che definisce la struttura e il funzionamento proprio della legge non è la norma, ma l’eccezione: “Il caso d’eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale. Qui la decisione si distingue dalla norma giuridica e (per formulare un paradosso) l’autorità dimostra di non aver bisogno del diritto per creare diritto … L’eccezione  è più interessante del caso normale. Quest’ultimo non prova nulla, l’eccezione prova tutto; non solo esso conferma la regola: la regola stessa vive solo dell’eccezione. (Schmitt 1921, 41) [nell’ultima edizione italiana : Carl Schmitt, Teologia politica, in Id., Le categorie del politico, trad. it, Bologna, 1972 (ed. 2013), p.41, ndr]”. È importante qui non dimenticare che, nell’eccezione, ciò che è escluso dalla norma non è, per questo, senza rapporto con la legge; al contrario, questa si mantiene in relazione con l’eccezione nella forma della propria autosospensione. La norma si applica, per così dire, all’eccezione, disapplicandosi, ritirandosi da essa. L’eccezione è, cioè, non semplicemente un’esclusione, ma un’esclusione inclusiva, un’ex-ceptio nel senso letterale del termine: una cattura del fuori. Definendo l’eccezione, la legge crea e definisce nello stesso tempo lo spazio in cui l’ordine giuridico-politico può avere valore. Lo stato di eccezione rappresenta, in questo senso, per Schmitt la forma pura e originaria della vigenza della legge, a partire dalla quale soltanto essa può definire   l’ambito normale della sua applicazione. » (Giorgio Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani,Torino: Bollati Bolinghieri, 2000, pp. 98-99), una   katargēsis  messianica che sembra letteralmente esplodere sotto il peso delle sue contraddizioni: «Di qui l’ambiguità del gesto di Rm. 3, 31, che costituisce la pietra d’inciampo di ogni lettura della critica paolina della legge: “Rendiamo dunque inoperante [katargoumen] la legge attraverso la fede? Non sia! Anzi, teniamo ferma [histdnomen] la legge”. Già i primi commentatori avevano notato che l’apostolo sembra qui contraddirsi (contraria sibi scribere: Origene 1993, 150): dopo aver dichiarato più volte che il messianico rende inoperosa la legge, qui sembra affermare il contrario. In verità è proprio il significato del suo terminus technicus che si tratta qui per l’apostolo di precisare, riportandolo al suo etimo. Ciò che è disattivato, fatto uscire dall’ enérgeia, non è, per questo, annullato, ma conservato e tenuto fermo per il suo compimento.» (Ibidem, p. 94).

Per Agamben, quindi, mettendoci la katargēsis messianica  di fronte ad una legge  sospesa e compiuta  al tempo stesso, per ricostruire la vera genealogia della Gestalt dello stato di eccezione schmittiano, la cui intima natura espressiva è la messa al mondo della legge stessa ma contraddittoriamente facendola precedere in importanza gerarchica ed operativa  proprio dal  suo annullamento e/o negazione, lo stato di eccezione appunto, dobbiamo ricorrere alla lettera di S. Paolo ai  Romani. Riprendiamo più per esteso la citazione schmittiana del Tempo che resta: «Il caso d’eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale. Qui la decisione si distingue dalla norma giuridica e (per formulare un paradosso) l’autorità dimostra di non aver bisogno del diritto per creare diritto. […] Solo una filosofia della vita concreta non può ritrarsi davanti all’eccezione e al caso estremo, anzi deve interessarsi ad esso al più alto grado. Per essa l’eccezione può essere più importante della regola, e non in base ad una ironia romantica per il paradosso, ma con tutta la serietà di un punto di vista che va più a fondo delle palesi generalizzazioni di ciò che comunemente si ripete. L’eccezione è più interessante del caso normale. Quest’ultimo non prova nulla, l’eccezione prova tutto; non solo essa conferma la regola: la regola stessa vive solo dell’eccezione. Nell’eccezione, la forza della vita reale rompe la crosta di una meccanica della ripetizione. » ( Carl Schmitt, Teologia politica, in Id., Le categorie del politico, trad. it, Bologna, 1972 (ed. 2013), pp. 40-41).

Questo è il luogo di tutta la produzione schmittiana dove meglio comincia a prendere forma quel concetto definito in sede di elaborazione teorica del Repubblicanesimo Geopolitico  come  ‘stato di eccezione permanente’ , uno ‘stato di eccezione permanente’ che troverà la sua completa forma stilistico-espressiva (anche se non la sua compiuta definizione lessicale, la cui responsabilità risale interamente allo scrivente, sull’argomento cfr. Massimo Morigi, Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico: Lo Stato di Eccezione in cui Viviamo è la Regola ed anche Idem, La Democrazia che Sognò le Fate (Stato di eccezione, Teoria dell’Alieno e del Terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico) ) all’ VIII tesi di Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin: «La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di eccezione’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di eccezione; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.».

Attraverso questo e altri luoghi benjaminiani è stato del tutto naturale per il Repubblicanesimo Geopolitico una reinterpretazione di Walter Benjamin alla luce del concetto di ‘iperdecisionismo’, un iperdecisionismo benjaminiano che va addirittura oltre  il  decisionismo del giuspubblicista fascista Carl Schmitt risolto in funzione katechontica e non  rivoluzionaria come invece in Benjamin (cfr ancora  Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico: Lo Stato di Eccezione in cui Viviamo è la Regola e La Democrazia che Sognò le Fate (Stato di Eccezione, Teoria dell’Alieno e del Terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico) ) e ‘stato di eccezione permanente’ e ‘iperdecisionismo’ benjaminiani assunti in pieno  dal Repubblicanesimo Geopolitico che nella Stimmung del loro contraddittorio e dialettico rapporto con la legge (qualsiasi movimento rivoluzionario sviluppa sempre un contradditorio rapporto con la legge: proprio come nella  katargēsis  paolina vorrebbe, attraverso un diktat originario e ad legibus solutus, cioè assoluto, abolire la vecchia legge ma, al tempo stesso, conservarne i suoi principi ordinatori in una nuova legge, ma da negarsi nel momento stesso che viene resa vigente) ben si riflettono nel tortuoso e tormentato precedere della lettera di S. Paolo ai romani.

«In his interpretation […], Kurt Weinberg has suggested that one must see the figure of a “thwarted Christian Messiah” in the shy but obstinate man from the country (Kafka’s Dichtungen, pp. 130-31). The suggestion can be taken only if it is not forgotten that the Messiah is the figure in which the great monotheistic religions sought to master the problem of law, and that in Judaism, as in Christianity or Shiite Islam, the Messiah’s arrival signifies the fulfillment and the complete consummation of the Law [evidenziazione nostra]. In monotheism, messianism thus constitutes not simply one category of religious experience among others but rather the limit concept of religious experience in general, the point in which religious experience passes beyond itself and calls itself into question insofar as it is law (hence the messianic aporias concerning the Law that are expressed in both Paul’s Epistle to the Romans and the Sabbatian doctrine according to which the fulfillment of the Torah is its transgression)  [evidenziazione nostra]. But if this is true, then what must a messiah do if he finds himself, like the man from the country, before a law that is in force without signifying? He will certainly not be able to fulfill a law that is already in a state of suspension, nor simply substitute another law for it (the fulfillment of law is not a new law) [evidenziazione nostra]. […]  This is precisely the situation that, in the Jewish tradition (and, actually, in every genuine messianic tradition), comes to pass when the Messiah arrives. The first consequence of this arrival is that the Law (according to the Kabbalists, this is the law of the Torah of Beriah, that is, the law in force from the creation of man until the messianic days) is fulfilled and consummated [evidenziazione nostra]. But this fulfillment does not signify that the old law is simply replaced by a new law that is homologous to the old but has different prescriptions and different prohibitions (the Torah of Aziluth, the originary law that the Messiah, according to the Kabbalists, would restore, contains neither prescriptions nor prohibitions and is only a jumble of unordered letters). What is implied instead is that the fulfillment of the Torah now coincides with its transgression. This much is clearly affirmed by the most radical messianic movements, like that of Sabbatai Zevi (whose motto was “the fulfillment of the Torah is its transgression”). From the juridico-political perspective, messianism is therefore a theory of the state of exception – except for the fact that in messianism there is no authority in force to proclaim the state of exception; instead, there is the Messiah to subvert its power [evidenziazione nostra].» (Giorgio Agamben, Homo sacer. Sovereign Power and Bare Life, Stanford University Press-Stanford, 1998, pp.37-38). Con  quest’ultima citazione agambeniana veniamo allora a chiudere rapidamente il nostro discorso sulla longue durée delle vere ragioni del perché la Chiesa cattolica oggi come ieri ha un rapporto conflittuale con i grandi agenti strategici che dominano la politica internazionale (oltre naturalmente i già accennati contrasti geopolitici contingenti velocemente riassunti nella presente comunicazione come in Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu ) . Detto brutalmente: oggi come ieri i grandi agenti strategici non potranno mai accettare una grande organizzazione spirituale ma anche secolare in cui una parte così fondamentale del suo essere la principale, se non l’unica,  agenzia di senso etico e comportale presente sullo scenario geopolitico derivi direttamente dalla  paolina  katargēsis messianica col suo dialetticamente rivoluzionario (rivoluzionario anche al di là della consapevolezza che ne ha la Chiesa) rapporto con la legge, proprio quella legge sulla quale i grandi agenti strategici, mentre ne operano lo svuotamento di fatto, vorrebbero operare, a scopo di continuazione dei rapporti di forza a loro favorevoli, una sua deificazione e mummificazione per l’eternità ( e l’esempio più clamoroso e chiaro di questa deificazione e mummificazione sono le retoriche sullo stato di diritto, la democrazia rappresentativa e i diritti umani). E  quelle dottrine che, come il Repubblicanesimo Geopolitico, sono basate  su una loro katargēsis rivoluzionaria che mai accetterà un rapporto morto e reverenziale con la legge sono destinate, proprio come la Chiesa cattolica, ad una eterna lotta contro questi agenti strategici conservatori. Il Repubblicanesimo Geopolitico si propone quindi come il primo grande agente strategico che storicamente opera a favore di una dialetticamente consapevole katargēsis rivoluzionaria. L’irrisolto rapporto con la legge ha connotato i duemila anni di vita del cristianesimo come in ultima istanza, oltre ad essere l’innesco delle rivoluzione stesse,  ha minato alle basi i tentativi rivoluzionari che dal XVIII secolo fino ad oggi sono stati uno dei principali motori (pur se fallimentari nel loro esito) della storia umana (se la rivoluzione non ossifica e deifica la legge, seppur rivoluzionaria, viene subito spazzata via; se invece lo fa forse sopravvive ma nega le sue stesse ragioni e poi, alla fine, sparisce lo stesso sotto il peso delle sue contraddizioni). Chiaramente non possiamo pretendere che il successo possa arridere solo in virtù della consapevolezza della presenza di una ineliminabile contraddizione ma, come la storia della Chiesa e quella dei movimenti rivoluzionari ben dimostra, questa sensibilità sulla presenza del “thwarted Christian Messiah” – conscia o inconscia, chiaramente o confusamente espressa  non importa –  ha impedito che il discorso rivoluzionario, religioso, culturale o sociale che fosse, cadesse per sempre nel ridicolo e in un definitivo oblio. E al Repubblicanesimo Geopolitico questo al momento basta e avanza.

 

Massimo Morigi – 29 agosto 2017

 

PERCHÉ LA CHIESA CATTOLICA VIENE ATTACCATA DALL’ONU 

Di MASSIMO MORIGI del 9 aprile 2014

La Chiesa cattolica è la più antica – e ormai unica – “agenzia di senso” globale ancora in dotazione ed operativa in un mondo in cui tutte le narrazioni politiche della modernità hanno fallito e stanno lasciando un panorama di autentica devastazione. In questo quadro, per quanto riguarda il perimetro delle (post)liberaldemocrazie occidentali, si cerca di riempire lo spazio geopolitico dell’ ideologia con quelle che viene definita “noopolitik” (politica di conquista a livello planetario delle menti e delle intelligenze: la propaganda di vecchia memoria ma enormemente potenziata rispetto al passato dalla nascita di internet e da più scaltrite conoscenze della psicologia delle masse), la cui apparente ragione sociale è la difesa dei diritti umani, una difesa che in realtà non è altro che la copertura per l’aggressione prima mediatica (ed eventualmente, in seguito, anche militare) di quei paesi che non si vogliono piegare al Washington consensus. Papa Francesco ha poi, da parte sua, avuto il coraggio di opporsi con tutte le sue forze – e con successo – all’aggressione alla Siria e alla “strategia del caos” che gli Stati uniti volevano applicare anche su questo paese mediorientale, sempre con la scusa della difesa dei diritti umani. E, a questo punto, fa la sua comparsa la ridicola commissione dell’ONU che non solo accusa la Chiesa di ogni possibile nequizia sessuale ma che anche vorrebbe imporre alla Santa Sede una sua particolare ideologia “politically correct” in materia di morale sessuale. Al di là delle considerazioni che si potrebbero fare in merito ad un tentativo di delegittimazione di stampo mafioso-totalitario contro la Santa Sede, rimanendo su un piano più asettico, c’è solo da notare che anche da questo episodio emerge in tutta evidenza che tutto l’impianto politico, ideologico ed infine anche istituzionale che ha retto a livello interno ed internazionale le cosiddette liberaldemocrazie dopo il secondo conflitto mondiale ha definitivamente cessato non solo diciamo di essere efficace ma anche minimamente credibile. Ed è altrettanto evidente che nel contrastare questo vuoto culturale e politico la Chiesa cattolica non solo non deve essere lasciata sola ma deve essere affiancata anche da apporti che se, apparentemente, hanno più a che fare con quello che deve essere dato a Cesare piuttosto che a Dio, cionondimeno affondano le loro radici, come il repubblicanesimo geopolitico, in una concezione di vita e di cultura che è nata nello stesso terreno sul quale ha prosperato la religione che ha dato forma alla civiltà occidentale.

LA MEDIAZIONE FRANCESE SULLA LIBIA AI LIMITI DELL’UMORISMO di Antonio de Martini

tratto da www.corrieredellacollera.com

Intrigante l’interesse suscitato dalle prime azioni pubbliche  del Presidente francese Emmanuel Macron che ha inizato il suo mandato con una serie di azioni di politica estera incontrando Trump. Putin e chiunque altro  fosse disposto a fare una gita a Parigi.

I francesi, più smaliziati di noi, lo hanno sanzionato togliendogli immediatamente dieci punti percentuali di popolarità nel solo primo mese di governo. Hanno capito di aver preso un granchio e lo hanno classificato come Hollande: un arrivista che li ha giocati grazie a una buona comunicazione.

Gli unici a prenderlo sul serio sono stati ” Il Corriere della Sera” e “il Messaggero” che cercano di darsi arie da esperti di politica estera assieme al giovane ambizioso francese che pare voler frequentare più Versailles che Parigi.

Si grida alla “marginalizzazione” dell’Italia nelle vicende libiche, si invocano interventi riparatori , ci si strappa le vesti.  La materia del contendere è presto detta: Macron, ha invitato i due pretendenti al dominio della Libia a Parigi per un fine settimana perché si parlino e magari facciano miracolosamente pace. Per dare una impronta internazionale si è invitato anche il rappresentante delle Nazioni Unite Ghassan Salamé. L’Ordine del giorno era aperto: vogliatevi bene e mostratelo alle telecamere.

Non era la prima volta che i due si incontrano. Era già accaduto a maggio in quel di Abu Dahbi,  senza risultati apparenti.

Il rappresentante del GUN ( Governo di unità nazionale) Fayez Serraj  – governo che siede a Tripoli  e gode del riconoscimento delle Nzioni Unite-  si è incontrato con il comandante dell’Armata Nazionale Libica  ( ANL Khalifa Haftar .

A solennizzare l’evento, la presenza di Ghassan Salamé, uomo politico franco-libanese che dal 2003 vaga tra le crisi mediorientali  come rappresentante del Segretario Generale dell’ONU, senza risultati apprezzabili.

A Parigi, rappresentava sopratutto “un successo della diplomazia francese” reduce dal fiasco di una mancata candidatura alla guida UNESCO . Insomma, un premio di consolazione vivente all’orgoglio francese.

Cosa chiede la Francia ( a nome dell’Europa , degli USA e del Mondo non escluso Putin?): quisquilie come la tenuta delle elezioni presidenziali ( Haftar vorrebbe  piuttosto una monarchia), le lezioni legislative ( che portino la pace tra Cirenaica e Tripolitania) e la ripresa della guerra contro l’ISIS.

La materia del contendere con l’Italia è che qualcuno voleva che fosse Roma la sede di questa riunione, mentre Yves Le Drian – ministro della Difesa con Hollande , sbarcato agli esteri con Macron, ha battuto sul tempo il nostro Angelino Alfano e ha fatto l’invito per primo.

Nei fatti, entrambi questi ministri ” des affaires etrangeres , etrangers aux affaires” mostrano di non aver chi.ara la situazione in loco.

Ormai la Libia è divisa in quattro parti e non più in due. Nell’interno, verso l’Africa,, le tribu e i clan beduini hanno ripreso la loro libertà di azione e si sono divisi il territorio in die macro areee.

la parte costiera, invece  è divisa tra Cirenaica ( governata da Haftar anche se esiste un parlamento regolarmente eletto e inefficace) e la Tripolitania ( governata da un sistema consociativo incoraggiato dalla ” comunità internazionale” e presieduto da Serraj che ormai non gode del rispetto nemmeno del suo autista).

Questo assetto si è ormai stabilizzato al punto che alcune entità statali del tempo si Gheddafi si sono organizzate e tendono all’autonomia:  A Misurata,” l’ente porto”, chiamiamolo così, ( Misurata fin dal tempo dei romani è sempre stata il porto commerciale più attivo) ha assunto una serie di iniziative semi sovrane compresa la costruzione dell’Ospedale che si affianca all’ospedale da campo italiano operante in loco. L’ospedale è gestito da una società americana e curerà malati e feriti di ambo le parti ( ISIS incluso ovviamente). Gli stipendi dei dipendenti statali ( dell’epoca di Gheddafi) operanti in entrambi i campi…..

In pratica , sulle cose essenziali, il paese si è riunificato per conto nelle questioni essenziali: Sanità e proventi del petrolio. Pensate che il petrolio viene estratto in Cirenaica, i fondi vengono versati in Tripolitania e gli stipendi vengono distribuiti ai dipendenti statali operanti in entrambe le regioni…

Intanto un paio di venduti allo straniero – entrambi ampiamente sputtanati –  giocano alla democrazia a Parigi tra la goduria dei Macron e l’invidia degli Alfano che sospira all’idea che avrebbe potuto ospitarli in Sicilia facendo un favore a un albergatore amico. Tutti voti persi.

Tragicomiche, a cura di Roberto Buffagni

In calce il testo tradotto della lettera che i Presidenti dei paesi del gruppo di Visegrad hanno inviato al Capo del Governo Italiano. Non è escluso che l’iniziativa goda del placet dei paesi capofila dell’Unione Europea. La nostra classe dirigente si è costruita un recinto nel quale è facile entrare, ma dal quale è sempre più difficile uscire. Deve aver smarrito le proprie chiavi dei cancelli e deve aver consegnato troppe copie di esse in giro_Giuseppe Germinario

Gentile Signor Primo Ministro,

seguiamo con attenzione e simpatia gli sforzi eccezionali che l’Italia sta facendo per affrontare l’attuale pressione migratoria.

Ci teniamo ad assicurarLe, signor Primo Ministro, che i nostri Governi sono come sempre pronti a contribuire, nei limiti dei loro mezzi, agli sforzi che Italia ed Europa sostengono allo scopo di fermare  le partenze dalla Libia e da altre località dell’Africa Settentrionale, e per arginare i flussi d’immigrazione irregolare verso l’Europa, e in particolare verso l’Italia.

Il nostro orientamento complessivo è che dovremmo affrontare con incisività le cause di fondo  delle migrazioni, e adottare politiche adeguate al fatto che la larga maggioranza dei compositi flussi migratori è composta da migranti economici.

Siamo persuasi che i richiedenti asilo autentici dovrebbero essere identificati prima di entrare nel territorio dell’Unione Europea. Le nostre frontiere esterne vanno protette. La UE e i suoi Stati membri dovrebbero mobilitare risorse, finanziarie e d’altra natura, per creare condizioni sicure e umane in centri di raccolta (hotspots) o strutture di accoglienza esterne al territorio UE. In spirito di solidarietà, i paesi del Gruppo di Vysegrad sono pronti a dare un significativo contributo, finanziario e d’altra natura, a tutti gli sforzi europei e nazionali volti ad alleviare il peso gravante su Stati Membri che, come l’Italia, si trovano in prima linea,  in conformità al il nostro orientamento complessivo e nei limiti delle nostre capacità nazionali, con l’esclusione di azioni e strumenti che possano creare ulteriori e più forti fattori d’incremento della pressione migratoria, quali, in particolare,  i riallocamenti e il meccanismo obbligatorio e automatico di ridistribuzione. Sulla base delle necessità identificate, i paesi del Gruppo di Vysegrad offrono il loro contributo in particolare nelle seguenti aree:

  1. Contributo, dietro richiesta, alle attività UE alla frontiera meridionale della Libia,
  2. Contributo all’allestimento, protezione, creazione di umane condizioni di vita in centri di raccolta (hotspots) situati all’esterno del territorio UE,
  3. Contributo all’addestramento della Guardia Costiera libica,
  4. Contributo al rafforzamento delle capacità dell’EASO[1],
  5. Contributo al Codice di Condotta delle ONG.

Ci si consenta di reiterare il nostro sostegno al vostro Paese e di proporre un dialogo volto a identificare i contributi più necessari.

Distinti saluti,

Beata Szydlo, Primo Ministro della Repubblica di Polonia

Bohuslav Sobotka, Primo Ministro della Repubblica Ceca

Robert Fico, Primo Ministro della Repubblica Slovacca

Viktor Orbàn, Primo Ministro d’Ungheria.

Copia per conoscenza: Membri del Consiglio d’Europa

[1] https://www.easo.europa.eu/, European Asylum Support Office [N.d.T.]

MARCO TULLIO CICERONE E TAJIP ERDOGAN. DEMOCRAZIE GEMELLE CON SUGGERIMENTI PER NOI. di Antonio de Martini

Tratto dal blog www.corrieredellacollera.com, con la notazione, per altro implicitamente evidenziata anche dall’autore, che tale politica trova adepti convinti tra gli alleati soprattutto europei

Marco Tullio Cicerone, nel pieno della confusione creata dalla congiura di Catilina, prese una decisione “antidemocratica” che oggi farebbe rabbrividire quei campioni di ipocrisia anglosassone di Amnesty International.

Diede ordine, in spregio alla legge romana, di strangolare i senatori Lentulo e Cetego che si sapeva essere la quinta colonna di Catilina in città.

Questo gesto fece capire ai romani che non si trattava più di politica ma di sopravvivenza e  Catilina capì  che la Repubblica gli aveva tagliato le unghie ed era pronta a combattere.

Erdogan ha licenziato tutti gli appartenenti alla numerosa ( 60.000) congrega diFetullah Gulen che operava silenziosamente per sabotare la Repubblica Turca su mandato – o sotto lo sguardo benevolo- del governo USA. Non si capisce perché non avrebbe dovuto, visto che la Germania democratica , riunificandosi, ha licenziato tutti gli impiegati statali della Repubblica Democratica Tedesca, senza che nessuno fiatasse. Un milione e mezzo di individui.

Lo scopo recondito, ma sempre più evidente, è quello di ridurre le dimensioni di ogni protagonista della vita politica mediterranea in maniera da rendere meno pericolose eventuali crisi per la ridotta capacità militare di ciascuno.

La Jugoslavia è spaccata in quattro, il Sudan in tre, la Libia in tre, la Siria in tre ( operazione in corso), lo Yemen in tre. Con l’Algeria ci hanno provato con dieci anni di guerra civile, come pure nella Russia mussulmana ( Cecenia).

Si vuole privare la Turchia del kurdistan ( paese mai esistito come nazione indipendente, proprio come il Kosovo o la Repubblica di Macedonia) , dividere in due l’Irak, minacciare – per ora solo politicamente – la Spagna e l’Italia con la secessione rispettivamente della Catalogna e del Lombardo Veneto.

Gli stessi fremiti disgregatori interni alla Unione Europea, sono alimentati dagli Stati Uniti e la secessione inglese è emblematica di quanto dico.

I paesi più riottosi verso l’Unione. Sono i più amichevoli verso gli USA ( gruppo di Visegrad) e i più aiutati ( Bulgaria e Romania).

Si analizzano con pretesti sociologici le diversità ( religiose, di lingua etc) e si finanziano individui ambiziosi che i media mondiali si incaricano di rendere famosi e intoccabili per minacciare prima e provocare poi spaccature e secessioni vere e proprie con l’aiuto di ONG tutte finanziate da ” fondazioni” nate e cresciute in America. La difesa è non tener conto delle cosidette regole democratiche che  sono loro i primi a violare quando gli conviene ( in patria – con le pantere nere- e all’estero, ormai ovunque)

La reazione, in nome del principio unitario è legittima, doverosa e giusta e deve giungere alle logiche conseguenze.

Come è avvenuto per gli agitatori ” egiziani” e ” siriani” tutti dotati anche di passaporti USA, dei nove cittadini tedeschi detenuti oggi in Turchia per attività pseudo democratiche, quattro hanno la doppia cittadinanza. Chiedono cose che negli USA, ai neri, costano ancor oggi la vita.

La Turchia è stata subappaltata alla Germania come Libia e Siria alla Francia.

La ragione è di fingere l’ amicizia USA vista la superiore necessità strategica di contenere la Russia nel fianco sud della NATO.

La Turchia reagisce, per ora, punzecchiando, come ad esempio facendo rivelare alla Agenzia Anadolu la posizione di due basi segrete USA in territorio siriano.

Diventa sempre più necessaria una nuova politica estera italiana e la creazione di una struttura statuale in grado di resistere a questo nuovo tipo di guerra, rafforzare la solidarietà europea e limitare drasticamente le attività delle fondazioni, ONG , Think Tank e tutti gli altri strumenti di sovversione miranti- nei fatti- a disgregare il nostro stato. La Patria è finita a puttane da un bel pezzo.

Ne riparleremo dopo averli cacciati.

PER PRECISARE ANCORA MEGLIO IL CAMPO DEL NEMICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO, di Massimo Morigi

Proseguono le spigolature a proposito del “repubblicanesimo geopolitico” con un commento attuale DELL’AUTORE al testo 

SEMBRA POCO, MA FORSE È MOLTO, VERAMENTE MOLTO

Di MASSIMO MORIGI

 

«Diventa sempre più necessaria una nuova politica estera italiana e la creazione di una struttura statuale in grado di resistere a questo nuovo tipo di guerra, rafforzare la solidarietà europea e limitare drasticamente le attività delle fondazioni, ONG , Think Tank e tutti gli altri strumenti di sovversione miranti –  nei fatti – a disgregare il nostro stato. La Patria è finita a puttane da un bel pezzo. Ne riparleremo dopo averli cacciati.»: agli URL https://corrieredellacollera.com/2017/07/22/marco-tullio-cicerone-e-tajip-erdogan-democrazie-gemelle-con-suggerimenti-per-noi-di-antonio-de-martini/, http://www.webcitation.org/6s8qrEbxM e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2017%2F07%2F22%2Fmarco-tullio-cicerone-e-tajip-erdogan-democrazie-gemelle-con-suggerimenti-per-noi-di-antonio-de-martini%2F&date=2017-07-22.  In sede di commento di “PER PRECISARE ANCORA MEGLIO IL CAMPO DEL NEMICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO”  ora sull’ “Italia e il Mondo” avendo evidentemente fiducia sulle potenzialità prassistiche del Repubblicanesimo Geopolitico e a fine gennaio 2015 sul “Corriere della Collera” (agli URL https://corrieredellacollera.com/2015/01/29/italia-lelezione-del-presidente-della-repubblica-affidata-a-cricche-il-grande-baratto-ci-privano-della-sovranita-politica-in-cambio-della-indulgenza-individuale-come-nei-paesi-dellest-degli-an/, http://www.webcitation.org/6s8qXhvlw e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2015%2F01%2F29%2Fitalia-lelezione-del-presidente-della-repubblica-affidata-a-cricche-il-grande-baratto-ci-privano-della-sovranita-politica-in-cambio-della-indulgenza-individuale-come-nei-paesi-dellest-degli-an%2F&date=2017-07-22),  penso che non vi possa essere miglior incipit della citazione  della chiusa dell’articolo di Antonio de Martini appena pubblicato dallo stesso De Martini sempre sul “Corriere della Collera” e che invito tutti  ad andare a leggere nella sua interezza perché accanto a considerazioni di filosofia politica (che sottoscrivo in pieno e  che sono riassunte nelle ultime parole citate) contiene anche considerazioni di geopolitica mediorientale che fanno da coerente quadro alla visione filosofico-politica che con queste brevi parole intendo sviluppare. In effetti, sulle ragioni teoriche esposte in “PER PRECISARE ANCORA MEGLIO IL CAMPO DEL NEMICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO” molto poco o molto ci sarebbe da aggiungere. Molto poco sul piano fattuale perche la politica italiana e la politica internazionale hanno mostrato sul piano fattuale, nonostante siano passati pochi mesi dall’articolo,  una ulteriore violentissima e travolgente deriva verso quella politica di inflazione dei diritti messa in atto dalle classi dirigenti liberaldemocratiche per gabbare quei poveri “agenti omega-strategici” ai quali vengono sempre più sottratti diritti sostanziali e spazi reali e concreti di possibilità di azione pubblica e personale (spazi vitali sostanziali e concreti di azione che per il Repubblicanesimo Geopolitico, che può essere definito anche “Lebensraum Repubblicanesimo”, sono l’unico vero indicatore non metafisico ragionando sul quale ha senso parlare di libertà), per non menzionare il “trascurabile” dettaglio che la retorica sui diritti umani è proprio quell’elemento che non permettendo una reale e seria lotta contro il “terrorismo”,  la criminalità organizzate e,  per ultimo ma fondamentale,  la squilibrata distribuzione delle risorse fra la popolazione risulta così essere, de facto, la miglior formula per comprimere questi residui spazi di libertà degli “agenti omega-strategici” perché impedendo questa retorica la possibilità di mettere in atto politiche repressive e/o di proiezione geopolitica veramente violente ed efficaci (oltre, al contrario di quelle che vengono messe oggi in atto dalle moderne democrazie, con obiettivi concreti di azione sociale e non fantasmatici tipo la difesa della democrazia interna ed internazionale), rende possibile, accanto alla diuturna  ripetizione ad nauseam  del mantra su sacri principi scaturiti dalla rivoluzione francese, l’instaurazione di uno stato di eccezione permanente vista l’inefficacia (voluta) di queste farlocche risposte politiche (inefficaci per combattere il “terrorismo” ma, ovviamente, molto efficaci attraverso lo “stato di eccezione permanente” per consolidare il potere delle classi dirigenti liberaldemocratiche). Molto, al contrario, ci sarebbe da dire sul piano teorico, perché un pensiero che si proponga concretamente di tracciare le mappe degli amici e dei nemici della Weltanschauung  liberaldemocratica non dovrebbe assolutamente fare a meno di tutta una serie di autori, segnatamente i pensatori controrivoluzionari, vedi Joseph-Marie de Maistre, Louis de Bonald, Juan Donoso Cortés per finire con Charles Maurras, molti dei quali ebbero una importanza fondamentale nello sviluppo del pensiero realista del giuspubblicista fascista Carl Schmitt e autore al quale il Repubblicanesimo Geopolitico, pur respingendo la sua Katechontica  visione reazionaria e dialetticamente monca – e anzi presentandosi, in veste di “acceleratore” benjaminiano, come la sua polare antitesi –,  deve importantissime suggestioni nella sua inedita visione realista. E per chiudere l’ancora molto non detto teorico sul Repubblicanesimo Geopolitico e sul tracciamento delle sue “amity lines”, mi limiterò ad aggiungere che in “GLOSSE AL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO” di prossima pubblicazione un autore controrivoluzionario viene in verità citato. Si tratta di Edmund Burke. Le ragioni di questa ruolo di primazia riservato a Burke è dato dal semplice dato di fatto che in sede di iniziale costruzione teorica del Repubblicanesimo Geopolitico (e siamo tuttora in questa fase) e nella elaborazione del suo pensiero rivoluzionario era sì  necessario scegliere autori anche antirivoluzionari ma la cui natura katechontica contro i venti della rivoluzione dell’ ’89 non fosse sostanzialmente toccata da nessuna venatura di tipo mistico che avrebbe inevitabilmente “intorpidito”, almeno a livello di recezione del messaggio,  l’impostazione realistica e dialettica del Repubblicanesimo Geopolitico (dialettica che, al contrario di quando crede l’ingenuo realismo, essendo basata su un radicale immanentismo, è l’assoluto rifiuto del misticismo). Lasciandoci quindi alle spalle i problemi teorici e le sue apparenti – o reali ? –  contraddizioni (ma come, nelle “GLOSSE” di prossima pubblicazione si è ancora in una fase teoricamente meno avanzata rispetto a queste parole che le precedono e che, in aggiunta, si limitano ad indicare un futuro svolgimento rispetto alle future “Glosse” ma non lo sviluppano ?), torniamo allora alle proposte concrete di De Martini sottoscritte da noi in pieno su come effettualmente combattere i nemici che il Repubblicanesimo Geopolitico – ma, ancor meglio, su come  un elementare buon senso politico animato da un autentico amor di Patria deve intendere la futura azione politica. Ed  è quindi allora venuto il momento di dire a chiare lettere che fra i grandi agenti interni ed internazionali politici ed economici che restringono sempre più i residui spazi di azione degli agenti omega-strategici  basandosi sulla tronfia retorica dei diritti umani e politici (che riducono, insomma, il Lebensraum di azione dei “poveracci” dal punto di vista economico e del potere politico, e per non avere l’impressione di volersi tirar fuori da questa torma di disgraziati, anche della classe intellettuale e per una trattazione più approfondita di questi agenti omega-strategici si rimanda volentieri alla nostra “TEORIA DELLA DISTRUZIONE DEL VALORE”) ci sono anche le ONG che solo un deficiente (politico, per carità) non capirebbe che sono strumenti in mano agli agenti alfa-strategici (grande potenza imperiale occidentale con relativi reggicoda emersi più o meno vittoriosi dalla seconda guerra mondiale,  grande finanza, politici asserviti al sistema liberaldemocratico) per distruggere i popoli e quel poco che rimane ancora dei loro  spazi di libertà (la libertà, per intenderci, come pensata dal Repubblicanesimo Geopolitico o Lebensraum Repubblicanesimo e non certo la libertà mitologica liberaldemocratica, capostipite Benjamin Constant). C’è nello scenario politico italiano ed internazionale qualcuno che non in preda a misticismi reazionari o al delirium tremens del “terrorismo” (funzionale alla permanenza dello status quo) che intenda far sua questa consapevolezza di riscrittura ab imis delle categorie (e dell’azione) del politico? Aspettando allora lo scioglimento (o meglio, l’ulteriore sviluppo) di tutti i nodi e le  contraddizioni teoriche segnalate anche in questo articolo, la migliore prospezione di una feconda unione fra pensiero e azione è stata allora indicata anche  dall’autore citato all’inizio inizio di queste parole e che per non eccedere in piaggeria non nomino per l’ennesima volta. Sembra poco ma forse è molto, veramente molto … 

Massimo Morigi – 22 luglio 2017

QUI SOTTO IL TESTO DI RIFERIMENTO

Per precisare ancora meglio, per porre la base per un futuro dibattito e per perimetrare il campo del nemico del Repubblicanesimo Geopolitico: la costituzione materiale dell’Italia si esprime attraverso un regime di libera ed autorizzata conflittualità fra diversi gruppi oligarchici totalmente irresponsabili e in cui questa irresponsabilità viene dissimulata attraverso l’uso ideologico del concetto di ‘democrazia’, un uso ideologico che trova il momento di sua massima espressione nelle contese elettorali formalmente libere ma sostanzialmente del tutto inutili nel mettere in discussione l’irresponsabilità dei gruppi dirigenti.
Sotto questo punto di vista, la “democrazia” italiana ha profonde analogie con la “democrazia” degli ex paesi del socialismo reale, nella quale l’ideologia della dittatura del proletariato e la sua pratica – ed antinomica – traduzione nella cosiddetta democrazia popolare era solo un feticcio per nascondere gli scontri fra i vari gruppi di potere operanti all’interno del partito unico comunista (in certi casi era anche consentito un vero e proprio pluripartitismo ma senza possibilità teorica e pratica di contestare il sistema oligarchico e ciò configura ancor più profonde analogie col sistema italiano e, più in generale con le democrazie elettoralistiche occidentali) e, come nel sistema italiano, rispondenti solo verso il loro interesse di gruppo ed irresponsabili rispetto al soggetto – il proletariato nei sistemi socialisti, il popolo senza aggettivazione di classe sociale nelle democrazie rappresentative – in nome e per conto del quale esercitavano il potere pubblico.
A differenza che nei paesi del socialismo reale, in Italia esiste ancora una certa libertà di espressione politica e, soprattutto, nell’esercizio dei diritti afferenti alla sfera personale (attenzione questa libertà di per sé non significa affatto democrazia, un dispotismo illuminato può ben permettere lo ius murmurandi ed anche una notevole tolleranza rispetto a stili di vita non omologabili a quelli della maggioranza della popolazione).
É peraltro di empirica evidenza che anche questa libertà – e in questo aspetto la situazione italiana segue un trend del tutto analogo alle altre più consolidate e tradizionali democrazie elettoralistico-rappresentative dei paesi maggiormente sviluppati – sta subendo nel nostro paese un singolare fenomeno: una forte contrazione a livello di esercizio dei diritti politici e una apparente espansione per quanto riguarda i diritti afferenti alla sfera personale (un aumento e una sempre più marcata sottolineatura politico-ideologica dei cosiddetti diritti alla “diversità”).
Insomma, disvelando il trucchetto delle oligarchie irresponsabili potremmo sintetizzare: nella democrazia dei postmoderni vi togliamo sempre maggiori quote di potere (democrazia puramente elettoralistica e, in Italia, ancora peggio che altrove, dove non si scelgono i propri rappresentanti e dove la maggiore carica dello stato è fornita attraverso una elezione di secondo grado) e in, cambio, vi riempiamo di chiacchiere in merito a fantomatici diritti alla diversità, che, apparentemente, significano maggiore democrazia ma, in realtà, di per sé sono solo in grado di definire una situazione di dispotismo illuminato, dove i moderni despoti, le oligarchie irresponsabili, sono ben felici di concedere al popolo alcuni infantili divertimenti e trasgressioni fra le lenzuola (e qualche sollievo dagli ingenui sensi di colpa derivanti dalle strutture di dominio che si giustificavano e poggiavano sulla polarizzazione sessuale e non ancora, come oggi, sul totale nascondimento, attraverso l’ideologia democratica, delle oligarchie e degli agenti strategici dominanti).
Massimo Morigi – 29 gennaio 2015

Gli Stati Uniti e lo spettro della Russia, di Luigi Longo (versione integrale)

Chi governa l’Europa orientale comanda la zona centrale [ la Russia, il cuore della terra, ndr]; chi governa la zona centrale comanda la massa euroasiatica; chi governa la massa euroasiatica comanda il mondo intero.

Halford Mackinder*

 

Chi controlla il Rimland ( ossia il territorio costiero dell’Eurasia) governa l’Eurasia; chi governa l’Eurasia controlla i destini del mondo.

Nicholas John Spykman**

 

 

L’inizio del declino e il bivio storico

Il declino di una potenza mondiale egemone inizia a presentarsi quando esplodono le contraddizioni interne (conflitti tra agenti strategici delle diverse sfere sociali, fratture sociali e territoriali, degrado totale, eccetera); tale declino è altresì in relazione alle dinamiche di crescita di altre potenze sia regionali sia mondiali che mettono in discussione quella egemonia dominante(1).

Gli strateghi USA, potenza mondiale egemone, sono consapevoli di questo processo, così Zbigniew Brzezinski: << Come la sua epoca di dominio globale finisce, gli Stati Uniti hanno bisogno di prendere l’iniziativa di riallineare l’architettura del potere globale […] La prima di queste verità è che gli Stati Uniti sono ancora l’entità politicamente, economicamente e militarmente più potente del mondo, ma, dati i complessi cambiamenti geopolitici negli equilibri regionali, non sono più la potenza imperiale globale […] quell’epoca sta ormai per finire […] >> (2). Il declino USA è relativo perché è ancora decisiva la sua egemonia in tutte le istituzioni mondiali. La sua capacità di dominio, attraverso il soft power e l’hard power, è ancora grande in rapporto alle potenze mondiali emergenti, come la Russia e la Cina, in questa fase di multicentrismo (3).

Gli statunitensi si trovano ad un bivio storico dove lo spazio-tempo della decisione si fa sempre più stretto e dovranno scegliere quale strada intraprendere. Questa diramazione prospetta paesaggi mondiali diversi: 1. Una potenza mondiale che rivendica la sua egemonia (G7, FMI, BM, NATO, ONU, WTO) e il suo dominio con la supremazia militare indiscussa (4), ma nel ri-lanciare il suo dominio mondiale monocentrico non si preoccupa delle contraddizioni strutturali interne né, ricerca un nuovo modello di sviluppo o una nuova visione di società; 2. Una potenza mondiale che ri-vede il suo modello sociale, fa i conti con le sue contraddizioni strutturali che rischiano di accelerare il declino e ri-lancia la sua egemonia confrontandosi con le altre potenze.

La prima strada accelera la fase multicentrica e prepara la fase policentrica: il conflitto mondiale; la seconda strada ritarda la fase policentrica e rimane in una fase multicentrica che potrebbe portare ad una condivisione e ad un rilancio di nuove relazionali mondiali nel rispetto delle diversità ( storiche, culturali, sociali, politiche, territoriali, eccetera): parafrasando Karl von Clausewitz si può dire che la guerra cessa di essere la continuazione della politica con altri mezzi.

E’ mia opinione che prevarrà la prima strada, per le seguenti ragioni.

La prima. Gli USA credono di essere la nazione indispensabile e hanno la cultura monocentrica del dominio mondiale. Vale per tutti il seguente pensiero di Henry Kissinger. << La sfida in Iraq non era solo vincere la guerra quanto [mostrare] al resto del mondo che la nostra prima guerra preventiva è stata imposta dalla necessità e che noi perseguiamo l’interesse del mondo [ corsivo mio], non esclusivamente il nostro […] La responsabilità speciale dell’America [ USA, mia specificazione], in quanto nazione più potente del mondo, è di lavorare per arrivare a un sistema internazionale che si basi su qualcosa di più della potenza militare, ovvero che si sforzi di tradurre la potenza in cooperazione […] Un diverso atteggiamento ci porterà gradualmente all’isolamento e finirà per indebolirci. >> (5).

La seconda. La piramide sociale statunitense non reggerà più, la base sta scricchiolando e si arriverà alla implosione della nazione e con essa alla fine dell’idea della grande nazione imperiale. Si stanno indebolendo la struttura e il legame sociale della società, che sono il fondamento della potenza imperiale. Gli agenti strategici dominanti sono incapaci di una nuova visione, di un nuovo modello di sviluppo sociale, di nuovi rapporti sociali che potrebbero emergere dalla cosiddetta società capitalistica. Gli strateghi delle sfere egemoniche ( politica, militare, istituzionale, economica-finanziaria,), portatori della visione classica della logica di funzionamento imperiale, agiscono con la convinzione che il dominio, con la coercizione ( la forza militare imperiale) e il denaro ( il dollaro imperiale), sia l’unica strategia per continuare a mantenersi, come grande nazione imperiale, sulle spalle del resto del mondo (le economie dei diversi capitalismi).

Alcuni strateghi, soprattutto delle sfere militare e politica, con i loro gruppi di pensiero (think tank) e i loro centri e istituti di ricerca strategica, si sono resi conto della strada di non ritorno del declino USA, una strada, per dirla con David Calleo, di egemonia sfruttatrice (6), e hanno cercato di deviare, invano (si vedano le elezioni che hanno portato Trump alla Casa Bianca), verso una visione del Paese incentrata sull’economia reale, sul legame sociale da rafforzare, sulla ri-definizione dei rapporti sociali sistemici, sull’apertura di una fase multicentrica; ma realizzare tutto questo significava derogare alle regole della potenza mondiale, cioè ri-collocare gli USA quale potenza mondiale di confronto e condivisione con altre potenze mondiali emergenti: non più come la grande nazione imperiale.

La terza. La lezione della storia, a prescindere dal modo di produzione e riproduzione del legame sociale della società storicamente data, è questa: schiacciando esseri umani sessuati e natura, oltre il limite strutturale sociale e naturale, si rischiano grossi guasti. La forbice tra ricchezza illimitata e povertà assoluta non può divaricarsi all’infinito. Non è un discorso pauperistico del limite superato, ma un ragionamento di modello di sviluppo, di una idea nuova del legame sociale e del rapporto sociale ( sia dentro sia fuori il Capitale, ovviamente inteso come relazione sociale) e di rottura dell’equilibrio dinamico del blocco egemone degli agenti strategici dell’insieme delle sfere sociali del Paese (7).

 

La fase di transizione

Quando dico che la grande nazione imperiale USA è in fase di declino non intendo assolutamente che essa smette di lottare per il mantenimento o per una rinnovata supremazia mondiale ( intesa come centro di coordinamento per un nuovo ordine mondiale), per la semplice ragione che è ancora lunga la fase di transizione di egemonia mondiale verso una nuova potenza o una rinnovata egemonia: << Il nostro confronto delle passate egemonie mostra che il ruolo di nuove potenze aggressive nell’affrettare i crolli sistemici è diminuito di transizione in transizione, mentre è cresciuto il ruolo giocato dalla dominazione sfruttatrice esercitata dalla potenza egemone in declino […] Non ci sono nuove potenze aggressive credibili che possono provocare il crollo del sistema mondiale imperniato sugli Stati Uniti, ma, rispetto alla Gran Bretagna un secolo fa, gli Stati Uniti hanno possibilità anche maggiori di trasformare la loro potenza egemonica in declino in una dominazione sfruttatrice. Se alla fine il sistema crollerà, sarà principalmente per la refrattarietà degli Stati Uniti all’adattamento e alla conciliazione.>> (8).

Affinchè ci siano le condizioni di passaggio di egemonia da una potenza in declino ad un’altra occorrono le seguenti condizioni. << […] i paesi emergenti devono essere rispetto alla potenza in declino:

  1. più larghi e diversificati geograficamente;

  2. più efficienti economicamente e organizzativamente;

  3. più capaci di governare, tramite appropriate agenzie, mercato mondiale e sistema interstatale;

  4. più inclusivi socialmente all’interno;

  5. più capaci di rappresentare gli interessi sociali generali presenti nel sistema-mondo, da quelli più direttamente borghesi [ funzionari del capitale, mia specificazione lagrassiana] a quelli dello forze organizzate del lavoro subalterno.

Sono punti che pur investendo tutti i processi di transizione egemonica, vengono meglio esemplificati dall’ultima delle transizioni verificatesi, quella dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. In questo caso, gli Stati Uniti hanno offerto al processo accumulativo:

  1. un territorio, uno spatial fix per dirla con Harvey (9) [ il termine spatial fix è di difficile traduzione e, perciò, si preferisce mantenere la dicitura inglese, anche se potrebbe essere impropriamente tradotto con soluzione spaziale così il traduttore Michele Dal Lago (9), mia precisazione ], più vasto e vario, senza perdere il carattere insulare di quello inglese;

  2. un modello di impresa, la multinazionale, più profittevole economicamente e più efficiente organizzativamente della manifattura inglese;

  3. un quadro di agenzie di regolazione del mercato e del sistema interstatale più complesso e stratificato ( dall’Fmi all’Onu) di quello inglese, basato su gold standard e concerto europeo;

  4. un patto sociale, il New Deal, più aperto di quello inglese alla soddisfazione degli interessi dei lavoratori;

  5. un New Deal globale, non fondato sul colonialismo e sulla conservazione degli equilibri dati fra i diversi paesi capitalistici, ma capace di elevare il livello di ricchezza di tutte le classi capitalistiche e di porzioni significative del proletariato mondiale.

Al caos sistemico che accompagna le transizioni egemoniche succede quindi una riorganizzazione sistemica, che è storicamente ogni volta diversa per ciascuna transizione egemonica. >> (10).

Le due potenze emergenti mondiali, Russia e Cina, non sono in grado di creare le condizioni per la sostituzione della potenza mondiale egemone, ammesso e non concesso che esse aspirino ad un dominio mondiale e non semplicemente, come lascia pensare la loro storia, ad una fase multicentrica ( che ritardi o annulli la fase policentrica del conflitto mondiale) nella quale confrontarsi su una visione diversa delle relazioni internazionali a partire dalla propria autonomia nazionale, dalla propria cultura, dal proprio legame sociale e dalla propria peculiarità territoriale.

Gli strateghi statunitensi non vogliono perdere il loro ruolo di grande nazione imperiale e temono il formarsi e il consolidarsi di poli, di aree, di regioni aggreganti intorno alle due potenze emergenti, in grado di mettere in discussione il loro dominio mondiale. Per questa ragione avendo scelto la strada di egemonia sfruttatrice, gli Stati Uniti sono la potenza mondiale più spregiudicata e pericolosa per l’intera umanità considerato, il livello di strategia atomica avanzata e radicale raggiunto. Alain Badiou, non molto tempo fa, sosteneva che:<< La potenza imperiale americana nella rappresentazione formale che fa di se stessa, ha la guerra come forma privilegiata, se non addirittura unica, di attestazione della sua esistenza.>> (11).

Gianfranco La Grassa dichiara che:<< L’eccezionalità del “mondo bipolare”, durato abbastanza a lungo, ha assicurato nella parte “centrale” del mondo (quella più sviluppata) un periodo di pace, legato però alla subordinazione di molti paesi all’uno o all’altro polo. Adesso siamo entrati in una fase molto diversa, che per di più va cambiando a sua volta “pelle” in periodi successivi e con il tentativo del predominante di uno dei due poli (il sopravvissuto) di avere il completo controllo della situazione. Tale tentativo non è per nulla favorevole al mantenimento di un minimo di equilibrio; da qui il disordine crescente attuale. Quindi, quel predominante (evidentemente gli Usa) deve essere contrastato e si deve arrivare al punto che esso si trovi nella situazione di rischiare tantissimo insistendo sulla sua prepotenza e arroganza. Non si ottiene questo risultato se non con l’unione degli sforzi di alcuni altri paesi, in cui si verifichi la presa del potere da parte di forze politiche capaci di decisa autonomia e di collegarsi fra loro in funzione anti-predominante>> (12).

Gli Stati Uniti si preoccupano, nel medio periodo, soprattutto della Russia (13) sia perché è stata la storica nemica del “mondo bipolare”, sia perché è la nazione centrale tra Asia e Europa ( il cuore della terra, l’immenso territorio bicontinentale), sia perché è stata la nazione dove è avvenuto un evento storico di grande importanza: la rivoluzione dei dominati che a partire dall’atroce macelleria della prima guerra mondiale hanno sperato in un mondo migliore. La lezione storica della rivoluzione russa indica che la maggioranza della popolazione se si organizza, pensa e progetta, può cambiare l’ordine costituito e pensare un nuovo legame sociale e nuovi rapporti sociali e questo a prescindere dal giudizio storico sulla rivoluzione russa del 1917.

Lo spettro della Russia

La paura degli agenti strategici statunitensi nei riguardi della Russia (14) scaturisce, oltre che dalla forza militare ( soprattutto nucleare), dal ruolo centrale che la potenza emergente può avere nella formazione di un polo aggregante ( una sorta di polarizzazione di blocchi tra potenze mondiali) che pone dei limiti all’arroganza egemonica sfruttatrice di una superpotenza in declino.

 

La strategia di Kissinger

 

Henry Kissinger, un protagonista delle strategie di dominio statunitensi, aveva capito l’importanza della centralità della Russia, sia come nazione vettore tra i due continenti, Asia e Europa, sia come nazione strategica per l’egemonia mondiale, sin dai tempi del tentativo di apertura delle relazioni sino-americane, alla fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta del Novecento. L’apertura della collaborazione tra USA e Cina si inseriva allora nel conflitto acuto tra URSS e Cina ed era indirizzata formalmente alla costruzione di “un ordine internazionale più pacifico”, mentre nella sostanza mirava a contrastare l’URSS, ritenuta, forse, già allora un gigante militare-nucleare con i piedi di argilla. Questa apertura tattica avrebbe potuto accelerare il processo storico di implosione del sistema del socialismo irrealizzato e la fine del mondo bipolare. Il tentativo non riuscì per il conflitto interno agli strateghi statunitensi nel quale prevalse la continuazione della logica del mondo bipolare (15).

Oggi Henry Kissinger ri-lancia, nella logica del tutto torna ma in maniera diversa, per la seconda volta, la politica estera degli Stati Uniti verso una coevoluzione ( una sorta di comunità pacifica sulla scia della comunità atlantica) delle relazioni sino-americane in modo da contrastare la eventuale nascita di un polo Russia-Cina, in questa fase di loro collaborazione soprattutto nella sfera economico- finanziaria ( le nuove vie della seta cinese, gli accordi di area, il sistema bancario alternativo, eccetera), che metterebbe in seria difficoltà gli USA e ne accentuerebbe, nel medio-lungo periodo, il declino (16).

In una recente intervista, apparsa su “La Stampa” del 27/3/2017 a cura di Paolo Mastrolilli, Henry Kissinger ribadisce sia la logica di contenimento della Russia (la Russia non ha diritto a stare in Medio Oriente) sia la logica di apertura verso la Cina ( un negoziato diretto tra Washington e Pechino per raggiungere un accordo di sicurezza dell’intera regione dell’Estremo Oriente a partire dalla questione della Corea del Nord).

 

La strategia di Brzezinski

 

Zbigniew Brzezinski, un altro importante protagonista delle strategie di dominio degli Stati Uniti, ritiene la Russia una nazione centrale, nel breve e medio periodo, per la nascita di poli di potenze mondiali in grado di sfidare l’egemonia USA che riconosce in declino e che rilancia con una architettura del dominio mondiale fondata nella sostanza sul monocentrismo statunitense. Egli è talmente ossessionato dalla Russia che  già nel 1997, anno di pubblicazione del suo libro “La grande scacchiera”, scriveva sulla divisione della Russia:<< Una confederazione composta da una Russia europea, una repubblica siberiana e una dell’Estremo Oriente, potrebbe sviluppare con maggior facilità rapporti economici più stretti con l’Europa, come pure con i nuovi Stati dell’Asia centrale e con l’Oriente.>>, ovviamente all’interno di << una comunità internazionale fondata su una reale cooperazione, che assecondi le antiche aspirazioni e garantisca i fondamentali interessi dell’umanità. Ma, nel frattempo, è assolutamente indispensabile che non emerga alcuna potenza capace d’instaurare il proprio dominio sull’Eurasia e di sfidare per ciò stesso l’America >> (17).

Zbigniew Brzezinski pensa l’Europa e la Nato ( non più solo militarizzazione del territorio europeo ma anche coesione economica, sicurezza dei territori e delle città, eccetera) come teste di ponte contro la Russia, mentre ritiene importante una intesa con la Cina nel rispetto della suddetta coevoluzione delle relazioni sino-americane. Sono importanti la Nato e la UE ( per il dominio statunitense non conta il suo l’asservimento unitario o fondato su relazioni tra stati) per la espansione ad Est ( vedasi la questione Ucraina) e nel Medio Oriente ( vedasi la questione Siria). E’ un attacco alla Russia molto pericoloso perché mira al suo contenimento e alla perdita della sua sovranità inviolabile, sia attraverso il blocco degli accessi al mediterraneo ( in Ucraina c’è la base navale di Sebastopoli, in “affitto” a Mosca fino al 2042, più una serie di caserme, poligoni e porti usati dalla Russia; in Siria c’è la base navale di Tartus, la base aerea di Humaymim e la stazione di ascolto di Lataqia), sia attraverso la riduzione delle risorse energetiche strategiche della Russia con la realizzazione del gasdotto del Qatar verso l’Europa (che taglierebbe la quota russa del mercato europeo), sia con la costruzione da parte della Turchia di un hub energetico ( che ne ridurrebbe la dipendenza dal gas russo) nell’Europa meridionale (18).

Gabriel Galice così analizza:<< […] L’Eurasia è centrale, l’America deve esservi presente per dominare il pianeta, l’Europa è la testa di ponte della democrazia in Eurasia, la Nato e l’Unione europea devono di conseguenza estendere la propria influenza in Eurasia, gli Stati Uniti devono giocarsi simultaneamente la Germania e la Francia ( carte delle rispettive zone di influenza alla mano), alleati fedeli anche se ciascuno a modo suo, irrequieti e capricciosi.>> (19).

Concludendo queste brevi riflessioni si può sostenere ragionevolmente che l’obiettivo della strategia USA è quello di impedire la formazione di un polo di potenza mondiale tra la Russia e la Cina in grado di metterne in discussione l’egemonia. Il giocatore più pericoloso, nel breve-medio periodo, in questa lotta per contrastare l’egemonia mondiale assoluta statunitense e per pensare un mondo multicentrico, è la Russia. E’ la nazione che va combattuta e ridimensionata con ogni mezzo. E’ lo spettro degli agenti strategici dominanti statunitensi.

 

 

En Passant

 

 

I sub-sub-dominanti italiani hanno subito rinnovato con l’amministrazione Trump le catene della servitù volontaria per un mondo monocentrico americano. Hanno le facce da servi di gaberiana memoria.

L’Europa va rifondata a partire dalla demolizione del progetto Europa tanto caro ai suoi padri fondatori, esecutori di un progetto pensato e attuato dagli USA per le loro strategie di dominio mondiale: fatto noto ma non conosciuto.

Ritengo che sia ancora valido quanto scriveva Costanzo Preve:<< Un’Europa delle nazioni, e nello stesso tempo delle nazioni eguali, ed in più delle nazioni amiche della Russia e della Cina, e infine disposte anche ad essere amiche degli Stati Uniti, se questi ultimi rinunceranno saggiamente alla pretesa di impero universale basato su di un dominio militare soverchiante e sull’imposizione di un’unica cultura linguistica anglosassone.>> (20).

Un nuovo progetto Europa: con chi? con quale pensiero? con quale organizzazione? con quale progetto di società? con quale relazione sociale? con quale prassi politica?

Sono domande che scaturiscono dalla grande lezione storica della rivoluzione russa.

 

Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da:

*Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998, pag.55.

**Davide Ragnolini, Geopolitica ed euroasiatismo nel XXI secolo. Intervista a Claudio Mutti, www.eurasia-rivista.com, 7/3/2017.

 

 

NOTE

 

 

  1. Su questi temi rinvio a Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, il Saggiatore, Milano, 1996; Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo, Bruno Mandadori, Milano, 2003; Gianfranco La Grassa, Gli strateghi del capitale, Manifestolibri, Roma, 2005; Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008.
  2. Zbigniew Brzezinski, Toward a global realignmente in “ The American Interest” ( www.the-american-interst.com) , n.6/2016. Stralci dell’intervista sono compresi anche nell’articolo di Mike Whitney, La scacchiera spezzata. Brzezinski rinuncia all’impero americano, www.megachip-globalist.it, 28/8/2016.
  3. Joseph S. jr Nye, Fine del secolo americano?, il Mulino, Bologna, 2016; con una lettura critica si veda anche Etienne Balibar, Populismo e contro-populismo nello specchio americano, www.ariannaeditrice.com, 27/4/2017.
  4. Per un’analisi storica, geopolitica, militare, finanziaria si rimanda alla rivista “Limes”, n.2/2017, “Chi comanda il mondo”, in particolare gli articoli di Dario Fabbri (La sensibilità imperiale degli Stati Uniti è il destino del mondo), di Alberto De Sanctis (Gli Stati Uniti tengono in pugno il tridente di Nettuno), Giorgio Arfaras (Il dollaro resta imperiale). Per un’analisi del consolidamento delle potenze mondiali emergenti e delle transizioni egemoniche si veda Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di, Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010. Per un’analisi sulla supremazia militare si rimanda ai lavori puntuali di Manlio Dinucci pubblicati sul sito www.voltaire.org e sul quotidiano “il Manifesto” e ai Rapporti SIPRI ( e non solo) ( www.sipri.org) . E’ interessante sottolineare quanto detto da Noam Chomsky in una recente intervista concessa a “il Manifesto” del 20/4/2017:<< L’Atomic Bulletin of Scienctists nel marzo scorso ha pubblicato uno studio sul programma di ammodernamento dell’arsenale nucleare messo in atto con l’amministrazione Obama ed in mano ora di Trump, dal quale risulta che il sistema dell’arsenale atomico statunitense ha raggiunto un livello di strategia atomica avanzata e radicale, tale da poter annientare la deterrenza dell’arsenale atomico russo. Questo non è all’oscuro di Mosca. Ma con l’intensificarsi della tensione diretta, specialmente nei paesi Baltici ai confini della Russia, determina il rischio di un confronto nucleare diretto con la Russia >>.
  5. La citazione del pensiero di Henry Kissinger è tratta da Robert Kagan, Il diritto di fare la guerra, il potere americano e la crisi di legittimità, Mondadori, Milano, 2004, pp. 59-60.

6.Così David Calleo:<< [il] sistema internazionale crolla non solo perché nuove potenze non controbilanciate e aggressive cercano di dominare i loro vicini, ma anche perché le potenze in declino, invece di adattarsi e cercare una conciliazione, tentano di cementare la loro vacillante predominanza trasformandola in una egemonia sfruttatrice >>. La citazione è tratta da Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, op. cit., pp.335-336.

  1. Utilizzo il termine dominio per delineare una egemonia sociale ( nell’accezione gramsciana, cioè consenso e coercizione) da parte degli agenti strategici dominanti o sub-dominanti costituitosi in blocco sociale come supremazia sugli agenti strategici delle diverse sfere sociali. La filiera del potere è diversa nelle singole sfere sociali e il dominio dell’insieme sociale di una nazione è diverso, è altro dal potere delle sfere sociali. Le sfere sociali sono astrazioni che ci costruiamo per interpretare la realtà che sta sempre avanti. Le sfere sociali possono essere diverse a seconda delle ipotesi di ragionamento per costruire il campo di stabilità. Per esempio Gianfranco La Grassa ne utilizza tre ( politica, economica e culturale), David Harvey ne utilizza sette, eccetera. Nelle sfere sociali è ipotizzabile parlare di potere non di dominio. Cfr il mio, La nazione e lo stato: una grande illusione dei popoli. La rottura teorica del conflitto strategico. Tempo e spazio della ricerca, www.conflittiestrategie.it, 5/7/2016 e www.italiaeilmondo.com, 26/12/2016.

  2. Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, op.cit., pag. 336.

    9. David Harvey, The geopolitics of capitalism in Social relations and spatial structure, a cura di, D. Gregory e J. Urry, Londra, Mcmillan, 1985, pp.128-163, ora in Giovanna Vertova, a cura di, Lo spazio del capitale. La riscoperta della dimensione geografica nel marxismo contemporaneo, Editori Riuniti, Roma, 2009, pp. 97-147.

    10. Giorgio Cesarale, Le lezioni di Giovanni Arrighi in Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, op. cit., pp.19-20; sulla riorganizzazione sistemica statunitense si veda anche Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, op.cit., pp.41-43.

    11. La citazione di Alain Badiou è tratta da Alain de Benoist, L’impero del “bene”. Riflessioni sull’America d’oggi, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2004, pag. 107.

    12. Gianfranco La Grassa, Alcune verità che sembrano dimenticate, www.conflittiestrategie.it, 29/4/2017.

    13. La Cina è sostanzialmente una potenza economica mondiale funzionale alla logica imperiale USA: cosa è l’enorme surplus commerciale cinese pari a 347 miliardi di dollari e il consistente debito pubblico statunitense pari a 1058 miliardi di dollari che detiene se non una relazione “economico-finanziaria” asimmetrica a favore degli Stati Uniti: << Esportatori netti, tali paesi [ Giappone, Cina, India, Russia, eccetera, mia precisazione] sono costretti ad acquistare titoli di stato USA per mantenere apprezzato il dollaro e reinvestire il surplus commerciale nel più stabile luogo della terra, l’unico a non aver mai conosciuto cambi di regime. In nuce: per mantenere il benessere del loro principale acquirente, nonché garante delle vie di comunicazioni. Da qui l’accorato appello di Xi Jiuping per il mantenimento dell’attuale schema a guida americana >> ( Dario Fabbri, op. cit., pag.38). Per non parlare degli investimenti diretti e indiretti all’estero “propulsivi” ( investimenti fissi e azioni) per gli USA e “passivi” per Cina e Russia: << Gli Stati Uniti investono nel resto del mondo in maniera diretta- impianti- o in maniera indiretta-azioni- dieci volte più della Cina e della Russia messi insieme. Intanto che avviene questo, la gran parte delle riserve dei paesi che hanno accumulato avanzi commerciali- come la Cina, la Russia e i paesi produttori di petrolio- è trasformata in riserva in dollari ( e minor misura in euro) […] la maggior ricchezza cumulata da questi due paesi da quando è cambiato il sistema ( dagli anni Ottanta in Cina, dagli anni Novanta in Russia) non ha ancora spinto verso la strada della “dinamicità”. Questi due paesi, che per ora comprano- per bilanciare i propri avanzi commerciali – i buoni Tesoro degli Stati Uniti, potrebbero però- col passare del tempo- diventare dinamici nel campo degli investimenti esteri >>. Per non dire, infine, della moneta come riserva di valore (USA):<< […] si noti che per ora la Cina e la Russia investono all’estero, mentre spingono per l’uso delle proprie monete come mezzo di scambio che però è cosa ben diversa dalla moneta come riserva di valore >> ( Giorgio Arfaras, op. cit., pp.52-53).

    14. Sulla paura americana si rimanda a Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti editore, Roma, 2016, pp.272-312.

    15. Per una minuziosa e interessante ricostruzione della prima fase di apertura delle relazioni sino-americane, soprattutto i colloqui Kissinger-Zhou Enlai-Mao, si rimanda a Henry Kissinger, Cina, Arnoldo Mondadori, Milano, 2011, pp.185-216; si veda anche l’intervista rilasciata da Henry Kissinger allo storico Niall Ferguson e pubblicata, a cura di Alfonso Desiderio, in www.limesonline.com, 4/10/2011; Gianfranco La Grassa, Sul mondo bipolare e la sua “pace”, www.conflittiestrategie.it, 7/4/2015.

    16. Sul rilancio delle relazioni sino-americane improntate alla coevoluzione, alla collaborazione e alla competizione economica-sociale si legga Henry Kissinger, Cina, op. cit., pp.401-473. Henry Kissinger specifica che << L’etichetta adatta a definire le relazioni sino-americane è più “coevoluzione” che “partnership”. “Coevoluzione” significa che entrambi i paesi perseguono i loro imperativi nazionali, cooperando quando possibile e regolando le loro relazioni in maniera da ridurre al minimo i conflitti. Nessuna delle due parti sottoscrive tutti gli obiettivi dell’altra né presuppone una totale identità di interessi, ma entrambe cercano di individuare e sviluppare interessi complementari.>>, ivi, pag. 470; si veda anche Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, Milano, 2015.

  3. 17. Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, op.cit., pag.268 e pag.8. Zbigniew Brzezinski, come riporta lo storico Guy Mettan, << […] inserendosi nella più pura delle tradizioni geo-imperialiste di Mahan, Mackinder e Spykman, e in totale contraddizione con i discorsi di coloro che predicavano la fine degli imperi territoriali e l’obsolescenza della geopolitica occidentale […] pubblica La grande scacchiera. L’America e il resto del mondo, opera in cui riattualizza i concetti dei suoi predecessori applicandoli alla nuova situazione postsovietica. La stessa tesi verrà riaggiornata nel 2004 ( la vera scelta) per poi lasciar posto a un nuovo modello nel 2012 che teneva conto dell’ascesa della potenza cinese >> in Guy Mettan, Russofobia, op. cit., pag.288.
  4.  
    1. 18. Si veda Robert Kennedy jr., I retroscena della politica Usa in Siria che ha portato alla guerra attuale, www.vietatoparlare.it, 28/4/2017; Redazione l’antidiplomatico, La guerra dei gasdotti che brucia sotto la Siria, www.l’antidiplomatico.it, 26/9/2016.
    2. 19.
    3. La citazione di Gabriel Galice è tratta da Guy Mettan, Russofobia, op. cit., pag. 288.
    4. 20.
    5. Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2005, pag.82.

     

I RIMPATRIATI, di Giuseppe Germinario

DELLA MAGNANIMITA’ DELLA NOSTRA CLASSE DIRIGENTE

 

Doveva arrivare Emma Bonino ( https://www.youtube.com/watch?v=Y4En-tVTH2E&feature=youtu.be ), ex ministro degli esteri, a svelare gli arcani che rendessero intelligibili le ragioni dell’attuale gestione dei flussi migratori provenienti dal sud del Mediterraneo. Un protocollo segreto, tutt’ora in vigore e non smentito, gestito in ambito comunitario e sottoscritto dall’allora Governo Italiano stabilisce che, non si sa se per accordo o magnanima disponibilità unilaterale del nostro Bel Paese, i porti italiani garantiscano l’esclusiva dell’accoglienza non ostante l’obbligo di soccorso preveda lo sbarco presso l’approdo più vicino, nella fattispecie Malta o la Tunisia. Non si comprendono le ragioni del vaticinio della nostra sacerdotessa dei diritti umani; verosimile ricondurle alla guerra di successione e di secessione ascrivibile alle trame piddine e al riemergere di antichi eterni rivali ai danni di Renzi, tra i tanti Enrico Letta. La data di sottoscrizione di quel protocollo contribuirebbe ad illuminare il bersaglio degli strali; vista la prossima scadenza elettorale non si dovrà, presumibilmente, attendere troppo.

A corollario di quel protocollo, si precisa con certosina accuratezza, questa volta evidentemente dagli accoglienti di risulta, che l’eventuale ripartizione tra i paesi europei, per altro disattesa, dovesse riguardare i soli profughi di guerra, in particolare siriani, eritrei e libici; la minoranza di un flusso proveniente ormai soprattutto dall’Africa Subsahariana. A condizione che gli immigrati fossero ovviamente censiti e con la possibilità, quindi, di rimpatrio nel paese europeo di primo approdo.

Colpisce certamente il contrasto evidente tra l’italico slancio emergenziale tanto compassionevole quanto refrattario ad una pianificazione degli inserimenti e la presunta chiusura ostile del resto della civiltà europea. Una rappresentazione di sentimenti degna di una sceneggiata napoletana.

La qualità della vita quotidiana di gran parte degli accolti e di quella degli accoglienti occasionali e fortuiti da adito a qualche perplessità sulla genuinità di tale pulsione specie degli accoliti della nostra classe dirigente; è sufficiente trascorrere qualche ora tra i comuni mortali sui treni regionali e nei giardini urbani, specie in prossimità delle stazioni per constatare che alla compassione non seguono adeguate “opere di bene”.

Tutto fa pensare che questo contrasto evidenzi piuttosto le motivazioni e gli aspetti più oscuri e avventati di tali scelte, se non la meschinità più banale dei loro protagonisti.

Di seguito una rassegna certamente non esaustiva:

  • l’insufficiente levatura dei quadri dirigenziali pubblici

nella gran parte dei centri decisionali, compreso il corpo diplomatico, si assiste ormai da alcuni decenni ad uno scadimento della capacità operativa dovuto ad una formazione sempre più aleatoria, ad un collocamento non corrispondente alle competenze possedute e richieste, ad una presenza poco qualificata e autorevole nei luoghi decisivi di formazione e preparazione delle decisioni politiche. Eppure questi centri costituiscono la nervatura essenziale il cui corretto funzionamento e controllo consentono le scelte consapevoli dei decisori politici di ultima istanza

  • la rappresentazione passiva e contingente dell’interesse nazionale dei nostri decisori politici

la gestione dei flussi migratori mette in luce la particolare visione delle dinamiche internazionali e della difesa dell’interesse nazionale di cui soffrono i nostri centri decisionali.

Sono viste come dinamiche ineluttabili sia nella tendenza che nelle modalità di svolgimento; sono dinamiche gestibili da organismi sovranazionali dotati di forza propria,  guidati da un presunto interesse più generale e ai quali gli stati nazionali devono delegare più o meno volontariamente e consapevolmente competenze e poteri.  Si fatica a vederli piuttosto come campi di azione di stati nazionali e tramite di essi di apparati e centri di potere.

Si tratterebbe quindi tutt’al più di rimediare un successo di immagine immediato e contingente, la rappresentazione quindi di un paese aperto ed accogliente; di raccogliere ed approfittare dei benefici finanziari immediati, nella fattispecie i finanziamenti europei; di confidare nell’afflato universalistico, nel buon cuore e nella cecità altrui per la redistribuzione delle “risorse umane”, magari assecondata da qualche furba inadempienza nei censimenti.

Un approccio ancora una volta reso repentinamente inadeguato e controproducente dall’imponenza dei movimenti, dal carattere strutturale dei flussi migratori e dagli effetti scatenanti di grandi decisioni geopolitiche del tutto estranee alla nostra classe dirigente.

 

I VIZI ATAVICI DELLA NOSTRA CLASSE DIRIGENTE

 

La gestione paradossale dei flussi migratori non è, purtroppo, un episodio estemporaneo ed isolato, come pure il mercimonio, l’oggetto di scambio citato dalla Bonino.

È solo l’ultimo ma purtroppo non definitivo atto di una serie di scelte effettuate con le stesse identiche caratteristiche e modalità operative.

Concentrandosi solo sugli ultimi due decenni, l’ingresso nell’Euro, la regolazione del mercato unico europeo, le privatizzazioni, il processo di unione bancaria, il controllo europeo dei deficit di bilancio con annesso l’obbligo di pareggio, il coordinamento delle politiche fiscali, l’adesione alle avventure militari in Jugoslavia e in Libia sono gli esempi, solo i più appariscenti, di accordi frettolosi ed emergenziali i cui termini hanno dovuto essere regolarmente e rapidamente rinegoziati con deroghe ed elusioni pagate a carissimo prezzo nel lungo periodo e nel peso strategico del paese.

A ben vedere si tratta di un vizio di origine dell’Italia repubblicana sorta da una disastrosa sconfitta militare che ha pervaso, salvo brevi momenti, e innervato sempre più l’azione politica della nostra classe dirigente, specie paradossalmente quando, con la caduta del muro di Berlino, avrebbe dovuto venir meno la ragione dei vincoli militari e politici di sudditanza.

Già agli albori della Comunità Europea, la maggiore preoccupazione di De Gasperi fu quella di garantirsi l’esodo di milioni di italiani in Europa e Sudamerica anche rispetto ai progetti di sviluppo industriale.

Da lì nasce la propensione ad acquisire pochi incarichi dalla immagine significativa ma dallo scarso  potere fattuale e di controllo. La nomina della Mogherini al Alto Rappresentante degli Affari Esteri dell’UE rappresenta solo l’ultimo colpo di scena ben riuscito ma dalle conseguenze peregrine nel prosieguo dell’azione politica. Sulla scia di questi “successi” prosegue pervicacemente altrimenti la maniacale attenzione, manifestata già negli anni ‘50, nell’occupare posti di basso rango negli organismi internazionali glissando allegramente sui posti più vicini ai centri decisionali.

Si tratta di un approccio dalle conseguenze deleterie che pregiudicano la stessa possibilità di formazione di una classe dirigente alternativa adeguatamente preparata ad affrontare le dinamiche politiche di un mondo multipolare.

Qualche dubbio deve assillare lo stesso establishment; tant’è che, a cose praticamente fatte, in Banca d’Italia, ad esempio, hanno recentemente deciso di organizzare un corso di formazione sulla conduzione di una trattativa

In un mondo nel quale le connessioni tra centri strategici nello scacchiere planetario sono sempre più strette e pervasive, tale condizione spinge interi ambiti degli apparati, in particolare i loro vertici, a sentirsi esponenti e portatori più dei centri dominanti e dei loro apparati  che del proprio Stato e della propria comunità nazionale oppure, nella maggior parte dei casi induce ad identificare gli interessi di questi ultimi con i desiderata dei primi. I fautori di “podestà stranieri” in Italia sono particolarmente numerosi e sfacciati.

Un rapido sguardo alle carriere e al mutamento dei rapporti politici della gran parte di questi funzionari, compresi quelli militari e dei servizi, concede del resto poco spazio alle illusioni.

Dall’altra  spinge la gran parte del nostro ceto politico nella condizione di ostaggio e complice dei settori più conservatori e parassitari, se non collocati nella loro corretta posizione di ambiti essenziali ma complementari di una formazione sociale che ambisce a scelte consapevoli.

Nella fattispecie della gestione dei flussi migratori, comincia ad affiorare, purtroppo con colpevole e ovvio ritardo, il ruolo pesante che il terzo settore, le ONlUS, le associazioni ormai non più collegate solo al Vaticano, ma a centri altrettanto se non più potenti, svolgono nel determinare tali condotte politiche. E quello dell’immigrazione è solo uno degli ambiti operativi di questi ambienti. Per non parlare poi della fronda  presente ad esempio nelle gerarchie militari, in particolare della Marina e dell’Aviazione Militare al sorgere di un minimo sussulto di ripensamento.

 

A PROPOSITO DI INTERESSE NAZIONALE

Ne deriva, di conseguenza, una visione per così dire alquanto ristretta, precaria, volubile di interesse nazionale.

Tacciare di tradimento questa conduzione politica e di traditori i portatori di essa serve a ben poco se non ad esorcizzare il problema nella propria condizione di impotenza e a ridurre il contenzioso  ad una mera liquidazione e sostituzione del ceto politico con qualche fugace bella figura al tribuno di turno. Le recenti esperienze di Syriza in Grecia e del Front National in Francia dovrebbero indurre a qualche riflessione.

Il termine interesse nazionale induce spesso ad una retorica esacerbata di comunanza indistinta di interessi, di punti di vista e di emozioni che tende a nascondere e perpetuare le ineguaglianze più deleterie, la fragilità di un movimento politico, la ristrettezza di un blocco sociale consenziente e la inconfessabile dipendenza dal sostegno esterno. Non è un caso che la retorica più accesa e vuota si sia affermata ad esempio in quei movimenti come quello slavo nella dominazione ottomana e quello polacco nella componente a dominazione zarista privi di esperienza di gestione del potere e largamente dipendenti dal sostegno di potenze rivali.

Lo stesso termine, però, può servire alla formazione di una comunità capace di una sintesi estesa di interessi, punti di vista, e centri di potere diversificati ed ineguali tale da garantire la coesione solida ed estesa di una formazione sociale dinamica, in grado di sostenere un confronto sempre più complesso e acuto. Una formazione capace quindi di esprimere poteri ed apparati forti, élites determinate e comprensive.

 

La prima strada, prima o poi sarà quella che dovrà imboccare l’attuale classe dirigente o i suoi epigoni, ormai privi di una significativa compiacenza esterna. L’esperimento di costruzione del Partito della Nazione è stato il primo tentativo maldestro, consumatosi rapidamente per la qualità dei promotori e per l’incapacità e l’impossibilità di associare alla riorganizzazione istituzionale un progetto di rinascita del paese. Ne seguiranno altri, dopo una fase di decomposizione, resi probabilmente più credibili dalla condizione più precaria del paese piuttosto che dalle qualità intrinseche dei programmi.

 

In mancanza di alternative, l’attuale classe dirigente nazionale appare interessata a dilaniarsi in attesa che si ridefiniscano le linee e le gerarchie esterne di comando ed indirizzo nel mondo. I barlumi di verità che squarciano la nebbia, comprese le affermazioni della Bonino, sono uno strumento estemporaneo di questo regolamento di conti con scarse probabilità di innescare un dibattito serio sull’argomento. Trascinano il paese in una condizione talmente peregrina da far rifulgere nazioni come la Francia e la Germania, anch’essi in realtà in una condizione di netta sudditanza.

Sia la Francia che soprattutto la Germania hanno rivelato doti di chiaroveggenza nell’attestarsi in condizioni più favorevoli nel contesto internazionale e, soprattutto, nella gestione del processo di integrazione comunitaria. Contrariamente all’Italia, sono state capaci, soprattutto la seconda, di riorganizzarsi a tempo prima e durante il processo di integrazione avviato negli anni ‘90.

Anche questo è un modo particolare di definire l’interesse nazionale.

Merito probabilmente della migliore qualità della loro classe dirigente e della maggiore coesione dei loro apparati istituzionali; merito, soprattutto, del riconoscimento del loro ruolo di interlocutori principali della potenza dominante nella gestione delle “quistioni” continentali che ha consentito loro una parziale pianificazione delle tattiche e delle strategie ai danni degli ultimi gironi danteschi.

Non è un caso che la Germania di Angela Merkel, a suo rischio e pericolo, non abbia esitato a decidere a quale gregge appartenere nel contenzioso americano tra una componente speranzosa di perpetuare e conseguire un dominio unipolare troppo costoso in termini economici e di coesione della propria formazione sociale ed una al contrario più pronta a prendere atto della formazione di nuove potenze e di nuove aree di influenza più marcate e diversificate. La Francia di Macron apparentemente sostiene la fedeltà teutonica al vecchio establishment, ma a costi interni più gravosi e con l’obbligo di appoggiarsi all’ombrello americano per salvaguardare parte dei propri legami africani e nel Pacifico.

L’Italia è lì che aspetta con l’evidente probabilità di continuare ad essere il luogo di attenzione e di spoliazione di più contendenti, priva delle scappatoie del servizio a più padroni di goldoniana memoria concesse sino a poco tempo fa.

Le opportunità che nell’attuale contesto internazionale si stanno aprendo, rischiano di chiudersi nel giro di pochi anni se non di mesi. Noi continuiamo a sorbirci i Calenda, i Renzi, i Gozi, i Berlusconi di turno impegnati a predicare le magnifiche sorti e progressive del mercato e del governo mondiale. Gran parte dei cosiddetti oppositori stanno contribuendo generosamente a mantenerli in auge o a sostituirli in copia conforme.

 

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