Ritorno al futuro – 2 – Formenti, l’Italia e l’Europa: alcune perplessità di Elio Paoloni

 

Ritorno al futuro – 2 – Formenti, l’Italia e l’Europa: alcune perplessità

di Elio Paoloni

 

La lettura del prezioso Il socialismo è morto, viva il socialismo di Carlo Formenti mi aveva spinto a porgli alcune domande, (link a Ritorno al futuro 1). Per brevità non avevo inserito alcuni dubbi che sorgono non solo dalla lettura del testo citato ma da molte sue dichiarazioni. Le riporto come riflessioni.

 

Siamo tutti fermamente convinti, come l’autore, che la UE sia “un mostruoso esperimento istituzionale che tenta di mettere in pratica l’utopia del fondatore del liberismo moderno, von Hayek” e di certo non aderiamo all’utopia di farne un unico Stato. Ma per conservare il pieno rispetto dell’autodeterminazione degli Stati nazione è necessario negare radicalmente ogni forma di sentire europeo, l’idea stessa di Europa? Definendo veritiero il celebre detto che definisce l’Europa come una mera espressione geografica, Formenti sembra dimenticare che la frase originaria riguardava l’Italia, ora ritenuta unanimemente qualcosa di più di una mappa su Google.

 

L’autore ricorda anche che gli stati-continente non si inventano e che quelli esistenti hanno una lunga storia (rammentando giustamente che non si capisce il PCC senza Confucio). E’ curioso; così, all’impronta, pare che una storia più lunga di quella dello stato-continente Europa non esista: se si mettono insieme impero romano, sacro romano impero, impero napoleonico (per quanto effimero) e impero austroungarico riscontriamo la persistenza di un’idea, anzi di una fattuale unità. I tentativi di costruzione di un unico stato europeo risultano numerosi e reiterati, anche se, alla lunga, fallimentari. E sono falliti proprio perché il tratto caratteristico della civiltà europea, è lo Stato-nazione; l’Europa vera – infatti – non potrà che essere una comunità di nazioni, poiché abbiamo lingue, tradizioni e confini propri. Eppure, man mano che gli Stati-nazione dell’Europa sono venuti radicandosi e precisandosi, si è ulteriormente rafforzata l’idea di una identità europea comune. Ricche e possenti sono le tradizioni che la individuano, in particolare le due radici fondamentali, quella greco-romana e quella ebraico-cristiana; e le divisioni sanguinose che hanno scosso il continente non hanno mai potuto cancellare l’affinità dei popoli, l’unità del pensiero. E’ verissimo che fumosi richiami all’unità europea sono utilizzati per puntellare l’attuale disastrosa Unione, ma ritengo che si possa avversare la UE anche – o addirittura meglio – appellandosi a un sano spirito europeo come fanno i firmatari della Dichiarazione di Parigi (1), o come faceva Mario Tronti, che ne Il popolo perduto, citando “un bellissimo testo di Romano Guardini, Europa, realtà e compito”  ricordava che sarebbe stato opportuno riconoscere come il sentire comune del cristianesimo fosse un legame spirituale che univa tutti gli europei.

 

Altre perplessità nascono sul tentativo di distinguere due idee di nazione: Formenti separa quella naturalistica – diciamo, grossolanamente, di destra – “che presume la nazione esistente ben prima della nascita degli stati moderni e delle rivoluzioni borghesi, perché affonda le radici in fattori fisici, climatici, di sangue e suolo ecc.” da quella “di sinistra”, consapevole che la nazione è un prodotto storico della vita politica.

Inizierei dalla presunzione di esistenza in vita: non si darebbe nazione prima della nascita degli stati moderni, delle rivoluzioni borghesi. Dante quindi non avrebbe potuto neppure concepirne l’idea. Ma Antonio Borgese ebbe a scrivere “L’Italia non fu fatta da re o capitani; essa fu la creatura di un poeta: Dante. Non è un’esagerazione dire che egli fu per il popolo italiano quello che Mosè fu per Israele”.

 

Secondo Formenti – fin troppo preoccupato, evidentemente, di smarcarsi nettamente da idee di nazione che potrebbero essere considerate “di destra” – i fattori fisici, climatici, di suolo non sarebbero significativi, nell’identificare una nazione. Certo, tutto è prodotto storico, chi ne può dubitare? Infatti la storia è fatta, anche, di “Generale Inverno”, di elefanti che attraversano catene montuose, di proconsoli che attraversano fiumi, di comunità racchiuse dai monti che elaborano norme singolari. Il popolo non preesiste alla nazione, sostiene lo studioso. Ma non sono proprio le caratteristiche di un popolo a determinare la nazione che si costruisce? Le stesse forme religiose sono influenzate dal carattere di un popolo. E, a tal proposito, è pensabile che una cultura, un comune sentire, possano prescindere del tutto dalla religione? Non è con la secolarizzazione che si dà spirito a un’azione – diceva Tronti nell’intervista citata.

 

Insomma, dato per scontato che non sono i caratteri razziali (di certo difficilmente identificabili in Italia, specie nel meridione, dove sarebbe divertente osservare gli specialisti del DNA che si affannano a individuare i geni giusti) a fare un popolo, in tutti gli altri campi non è facile individuare una netta contrapposizione tra due opposte idee di nazione. Quando Formenti sostiene che il patriottismo giusto è quello la cui parola d’ordine non è prima l’Italia ma prima il popolo e la Costituzione italiani, sembra di trovarsi di fronte a un debole giochino di sostituzione semantica.

 

Nazione sarebbe, leggo, “il territorio su cui lavorano, vivono e lottano tutti i soggetti che lo abitano e si riconoscono nell’ordinamento politico che lo controlla e lo governa”. Basta leggere Leopardi, Manzoni, De Roberto, Malaparte, Flaiano, per sincerarsi che il popolo italiano era lo stesso sotto i viceré, sotto i Savoia, sotto il Duce e sotto la Repubblica, prima, seconda e terza. Di certo Formenti vuole intendere che non siamo ancora un popolo proprio perché non ci sentiamo – forse non ci siamo mai, o quasi mai, sentiti davvero – rappresentati da chi governa. Saremo un popolo vero quando ci sentiremo rappresentati dalle nostre istituzioni. Ma prima di giungere a costruirle, queste istituzioni, occorrerà riconoscersi in qualcos’altro, qualcosa che già esiste.

Dobbiamo accingerci a costruire questo popolo “che è tale perché condivide un insieme di diritti e doveri”. Sacrosanto. Come è sacrosanto che non si dia trasformazione radicale della società senza mettere in atto un processo costituente; poiché le costituzioni sono la quint’essenza della sovranità popolare. Ma si può costruire un popolo con un corso intensivo di Educazione Civica? Perché è questa la soluzione che viene in mente se presentiamo la faccenda in questi termini.

 

Per disegnare un grande progetto politico nazionale, una unione tra interessi diversi, non è sufficiente incrociare quattro rivendicazioni sindacali. Non ci sarà nessun popolo, senza un simbolo forte, condiviso, radicato, qualcosa che affondi le radici nella sua storia, che sia, anzi, tutta la sua storia, che lo individui, che lo innervi fortemente. Che lo innervi già, intendo. Certo, ci si può coalizzare riconoscendoci nei fini, in quelle forme di governo, in quelle istituzioni che dovrebbero caratterizzarci in futuro. Ma le alchimie costituzionali – o il semplice richiamo alla piena attuazione della Costituzione esistente (che suonerebbe tristemente simile alle ipocrite esortazioni dei nostri ultimi Presidenti) – non hanno mai eccitato gli animi. Possono davvero farci avvertire la compattezza – e l’orgoglio – di un’appartenenza di patria?

Del resto anche Formenti ha affermato, concordando con Tronti, che le radici della rivoluzione stanno nel passato, più che nell’esaltazione del futuro.

 

Formenti sostiene che Mélenchon può impunemente sventolare il tricolore perché la Francia ha una lunga storia politica nazionale. Ma proprio per questo, proprio perché da noi non ce ne è stata abbastanza – di storia nazionale – ritengo che dovremmo sventolare ancor più in alto il nostro tricolore (con la sua inevitabile dose di enfasi, di demagogia, di equivoci) invece di tenerlo a mezz’asta per timore dell’accusa di fascismo, anzi, di populismo di destra.

 

 

 

la costruzione storica del sovranismo, a cura di Luigi Longo

IL SOVRANISMO NON E’ UN DATO STORICO MA E’ UNA COSTRUZIONE STORICA

a cura di Luigi Longo

 

Propongo la lettura dello scritto di Marco Della Luna apparso sul sito www.marcodellaluna.info del 22 /8/2019 con il titolo Il sovranismo della serva Italia. Non lo condivido in toto ma lo ritengo utile per una eventuale discussione critica.

Mi preme evidenziare le seguenti tre questioni:

La prima di breve periodo. Il governo giallo-verde non è mai stato antisistemico, piuttosto è da destrutturare il suo essere sistemico. Per favore lasciamo perdere le categorie populiste, sovraniste finalizzate a creare confusione e a velare la realtà: si parla di etica quando è stata svuotata di senso, si critica la UE quando si rispettano i suoi dettami, si difende la Costituzione quando è stata distrutta e non tutela nessuna autonomia nazionale, ci si affida al Presidente della Repubblica per gli equilibri dei giochi di potere quando egli è il garante, in ultima istanza, della servitù volontaria verso la Nato-Usa, si discute di infrastrutture per lo sviluppo quando esse servono per la crescita subordinata alle strategie della Nato, si costruisce il Fondo Monetario Europeo senza denunciare il tentativo di controllo da parte di Francia e Germania sulle economie di tutta l’area europea…

Basta andare un po’ oltre la superfice della crisi aperta dalla Lega per capire che la vera ragione della crisi è la costruzione della Macroregione Alpina che sembra destinata a diventare realtà (nel 2016 il Parlamento europeo ha dato il via libera alla costituzione della macroregione). “La Macroregione Alpina, che coinvolge 48 Regioni (tra cui Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta) di 7 Paesi (Italia, Austria, Francia, Germania, Slovenia, Svizzera e Liechtenstein) che sono il cuore pulsante dell’economia europea, è un progetto davvero importante e lungimirante sul quale noi della Lega Nord siamo stati tra i primi a credere […] Il riconoscimento ufficiale della Macroregione Alpina, che coinvolge un territorio che conta circa 80 milioni di cittadini, consentirà alle nostre Regioni di interfacciarsi direttamente con le Istituzioni Europee e di gestire, in modo autonomo e coordinato, i numerosi finanziamenti UE per progetti comuni relativi all’Ambiente, al Turismo, ai Trasporti, all’Energia. Insomma, un’occasione straordinaria per il Veneto e per tutte le Regioni coinvolte che diventano le vere e principali protagoniste della realizzazione di misure politiche e amministrative comuni in un territorio sovranazionale che rappresenta il motore economico dell’Europa […]. Un progetto, quello della strategia macroregionale EUSALP (EU Strategy for the Alpine Region), che saprà essere un nuovo straordinario strumento di sviluppo economico e di governance per i nostri territori”(https://www.leganord.org/notizie/le-news/15552-macroregione-alpina-via-libera-ufficiale-dal-parlamento-europeo).

Il concretizzarsi della Macroregione Alpina fa esplodere le enormi contraddizioni della Lega che da una parte si dice sovranista e anti Unione Europea e dall’altra parte mette in atto l’Europa delle regioni a regia dei sub-dominanti della UE (Comidad, La Bavarian connection spiega il tradimento di Salvini e L’incubo di un fondo monetario europeo in www.comidad.org, rispettivamente del 15/8/2019 e 22/8/2019).

L’autonomia differenziata? E’ solo un cavallo di Troia!

La seconda di medio periodo. La necessità di una forza politica non ribellistica e impotente ma razionale e sistemica in grado di difendere gli interessi nazionali a partire dalla eliminazione reale della servitù volontaria( sia verso i sub-dominanti europei sia verso i pre-dominanti statunitensi) che significa renderla coerente con la Costituzione (cioè coincidenza tra forma e realtà), essendo la Costituzione il luogo istituzionale garante, tramite il Presidente della Repubblica, sia della sudditanza alla UE che è un progetto Usa terminato, utile nella fase monocentrica (si vedano le revisioni della Costituzione che hanno profondamente mutato titolarità e forme di esercizio della sovranità), sia della sudditanza alla Nato (ovverosia gli Stati Uniti) con il progetto delle macroregioni europee (rimando ai miei scritti pubblicati su questo blog: Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica e Contro l’Europa delle regioni per l’Europa federata delle nazioni sovrane protagonista nella fase multicentrica).

Intendo una forza politica (la cui articolazione è tutta da costruire) nazionale ed europea, pensata a partire dai singoli Paesi. Sarà poi nel fare teorico e pratico, in maniera innervata, che si costruiranno saperi e prassi politica condivisi a diverse scale territoriali, tenendo presente che << Quando si “salta di scala” (come amano dire i geografi), cambia drasticamente la natura del problema […] e cambiano le prospettive di trovare una soluzione. Quello che appare un buon metodo per risolvere problemi a una scala non vale per un’altra. Cosa anche peggiore, soluzioni dimostratesi assolutamente valide a una determinata scala (diciamo quella “locale”) non necessariamente si sommano ascendendo (o a cascata discendendo) traducendosi in buone soluzioni per una scala diversa (ad esempio, quella globale) >> (David Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, Milano, 2013, pag.92).

Sarebbe auspicabile per cominciare creare una rete coordinata dei vari blog critici sparsi nello spazio virtuale, a mò di laboratorio pensante (che oggi non esiste… perchè?)

 

La terza di lungo periodo. La possibilità di una forza politica capace di pensare una strategia in grado di de-americanizzare sia l’Italia sia l’Europa e contemporaneamente costruire un’altra Europa autonoma (libertà di vivere con le proprie leggi, a prescindere da chi fa le leggi e articola il proprio dominio attraverso il gioco della separazione dei poteri che non esiste) e riorganizzata in diverse macro aree secondo le peculiarità storiche dei Paesi.

Una Europa così pensata deve guardare a Oriente perché le Potenze lì delineatesi sono per una egemonia mondiale multicentrica; al contrario degli Usa, che sono una potenza mondiale egemone in irreversibile declino, che ha una concezione di dominio monocentrica, foriera di guerra.

Qui intendo una forza politica che rivoluzioni i rapporti sociali storicamente dati al di là delle aperture di finestre storiche conseguenza del conflitto tra agenti strategici dominanti delle Potenze per la egemonia mondiale. Solo in questa direzione si può immaginare che il popolo (con i suoi agenti strategici della rivoluzione) diventi un soggetto di cambiamento.

 

IL SOVRANISMO DELLA SERVA ITALIA

di Marco della Luna

 

Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla I GM ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’Euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica.

E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero. L’euro e le sue regole sono uno strumento essenziale a questo fine (vedi i miei Euroschiavi, Tecnoschiavi, Cimiteuro, Traditori al Governo, Oligarchia per popoli superflui). L’Italia neanche se unita e neanche se guidata da autentici statisti -quali oggi non esistono né in Italia né altrove in Occidente- potrebbe battere il liberal-capitalismo finanziario imperante, e affrancarsi da tale programma: gli strumenti finanziari, monetari, mediatici e giudiziari in mano agli interessi dominanti sono troppo forti; prima bisognerebbe che il loro apparato di potenza fosse abbattuto da un rivolgimento perlomeno continentale. Soprattutto sotto leaders modesti come Salvini, Di Maio, Renzi, con certezza non si raggiunge la libertà. I tentativi di affrancamento, come quello, vago e timido, del governo gialloverde, non possono che fallire e ricadere in danno agli italiani.

Dai tempi dell’occupazione longobarda, e poi franca, normanna, francese, spagnola, austriaca, la gran parte dei politici italiani aspira a collaborare coi padroni stranieri aiutandoli a sfruttare l’Italia, perché aiutandoli si eleva verso di essi e sopra i comuni italiani. E’ un tratto culturale storicamente consolidato. In Italia, fare il Quisling non è un titolo di demerito, ma all’opposto di nobiltà; questo va ricordato a coloro che hanno dato del Quisling al Quirinale: non è un vilipendio, è un encomio.

Da tutto quanto sopra consegue che agli italiani conviene un governo non ribelle agli interessi stranieri, specificamente franco-tedeschi, piuttosto che uno ribellista ma impotente, che attira ritorsioni su di loro. Un governo sottomesso ma dialogante, che attenui la violenza del processo di spolpamento, espropriazione ed invasione afroislamica, e lo diluisca nel tempo, dando modo alla popolazione generale di vivere decentemente qualche anno in più, e alla parte più valida di essa di emigrare e trasferire aziende e patrimonio all’estero.

Agli intellettuali antisistema non conviene farsi partito politico, sia perché non vi è spazio per l’azione politica, sia perché verrebbero attaccatati dai magistrati politici e dall’apparato mediatico.

L’azione antisistema, di critica e controproposta al regime tecnofinanziario, sebbene impossibile sul piano governativo, potrebbe invece parallelamente continuare sul piano culturale e informativo: la critica intelligente e competente potrebbe costituire un’associazione internazionale di ricerca scientifica socio-economica, geostrategica e storica, meglio se con sede all’estero (fuori della portata della giustizia nostrana), indipendente da ogni ente pubblico e dal capitale privato, avente lo scopo di mettere in luce la verità, gli inganni e i meccanismi monetari-finanziari che essi nascondono.

 

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Ora qualche nota sulla crisi di governo in atto.

Salvini l’ha aperta in un momento scelto razionalmente, forse non il migliore, ma verosimilmente l’ultimo possibile (non voglio pensare l’abbia aperta confidando nelle assicurazioni di Zingaretti, che non si sarebbe alleato coi grillini ma avrebbe spinto per le elezioni: se Salvini si fosse fidato di tali dichiarazioni, ignorerebbe l’abc della politica, ossia che menzogna e dissimulazione sono parte essenziale del metodo politico). Poi l’ha gestita male, con tentennamenti, incertezze, contraddizioni, e scarse analisi economico-giuridiche. Al Senato non si è difeso efficacemente dalle stroncature di Conte: ha replicato usando argomenti deboli mentre ne aveva a disposizione di ben più forti; non ha ribattuto sul piano giuridico-costituzionale; è apparso in pallone, impacciato, patetico nei suoi appelli alla Madonna e nel suo offrirsi come bersaglio. La sua difesa è stata fatta molto meglio dalla sen. Bernini di Forza Italia, che ha smascherato l’ipocrisia e le contraddizioni di Conte. Salvini è un buon comunicatore, ha un buon fiuto, non è stupido, è ben sopra la media dei politici nostrani, ma adesso tutti hanno potuto vedere che non ha la saldezza né la preparazione culturale dello statista. E’ o è stato un leader carismatico, e i leaders carismatici perdono il carisma allorché appaiono perdenti. Però Salvini può ancora rinquartarsi e recuperare, specialmente se la Lega va all’opposizione e fa opposizione dura e aggressiva nelle piazze, o anche se ricuce con il partito della Casaleggio & Associati, perlomeno al fine di proteggersi dagli attacchi giudiziari stando al governo. Però in ogni caso dovrebbe colmare le sue lacune in diritto costituzionale ed economia internazionale.

Ad ogni modo, la carica sovranista e antisistema dei capi grillini e leghisti era da tempo andata scemando e riducendosi a poche banalità pressoché inoffensive e a denunce sterili.

Ben diversamente, Grillo era partito, prima che fosse fondato il M5S, da una vera critica antisistema, che metteva in luce il fattore centrale del potere e dell’iniquità, che spoglia della loro sovranità i popoli: la privatizzazione della sovranità monetaria, il monopolio privato della produzione e allocazione della moneta e del credito. Poi, divenendo capo di una formazione partitica assieme alla Casaleggio e Associati, aveva smesso di parlare di queste cose, troppo autenticamente disturbanti per il sistema, e ciò era giustificato, ad usum imbecillium, asserendo che si tratterebbe di cose che la gente non capisce. Era passato alla dottrina del vaffa, più alla portata della classe cui si rivolgeva, e ben tollerabile per il sistema.

Tuttavia, ancora nei due anni precedenti le elezioni politiche del 2018, alcuni esponenti grillini, segnatamente Villarosa (attuale sottosegretario alle finanze), Pesco e Sibilia, si erano interessati e avevano approfondito con impegno la materia monetaria e bancaria, richiedendo e ricevendo la collaborazione mia e di altri studiosi di questo campo, organizzando eventi pubblici e promettendo iniziative concrete una volta al governo. Ma, al contrario, una volta accomodatisi sulle poltrone governative, i predetti non solo non hanno preso alcuna concreta e visibile iniziativa, ma hanno addirittura rifiutato ulteriori contatti con noi. Evidentemente avevano ricevuto ordini di scuderia e calcolato la loro convenienza. Si sono allineati al sistema, con tutto il Movimento, il quale si è rivelato e confermato uno strumento per raccogliere il dissenso antisistema e poi neutralizzarlo, anzi portarlo al sistema convertendolo in consenso ad esso, a braccetto col partito dei finanzieri detto PD, e con la risibile mascheratura di contentini demagogici, rumorosi e dannosi come il c.d. reddito di cittadinanza, il salario minimo, una riforma giacobina e incompetente del processo penale. E dopo hanno votato Ursula von der Leyen, falco finanziario germano-rigorista, gettando completamente la maschera: servono interessi opposti a quelli dichiarati. Ancor prima, Movimento e Lega erano entrambi passati da posizioni critiche verso l’Euro, spavaldamente contemplanti la possibilità di uscirne senza danno (Borghi, Bagnai) in caso di rifiuto di opportune e strutturali riforme dell’apparato europeo, a posizioni di definitiva accettazione dell’Euro e di arrendevolezza a Bruxelles. Ma ciò non è bastato ad evitare l’isolamento e la marginalizzazione dell’Italia in sede europea, né a ottenere più margini di spesa pubblica.

Insomma, come governo antisistema il governo gialloverde era fallito prima di cadere, o più precisamente prima di nascere. Non abbiamo perso molto. Anzi, abbiamo guadagnato in chiarezza.

 

 

 

 

 

 

Lumi sul Vicino Oriente, di Antonio de Martini

IL FLUIDO QUADRO STRATEGICO TURCO

IL bombardamento che ha bloccato il progredire del convoglio di rinforzi turchi all’avamposto di MOREK, non è rimasto senza conseguenze.

Già la settimana scorsa i turchi hanno abbattuto un aereo siriano lasciando nella indeterminatezza la sorte del pilota.

Subito dopo, Erdogan ha emesso un comunicato ufficiale annunziando di non riconoscere l’annessione russa della Crimea, dove era stato più volte in visita per incontrare Putin.

Non mi è chiaro se questa dichiarazione sia un episodio di baruffa tra innamorati o un secondo movimento di ritorno alla casa atlantica, dopo la commissione mista che studia i futuri pattugliamenti nella zona di sicurezza.

Aspettiamo l’esito della terza mossa che è la ripresa dell’attività diplomatica verso i comprimari della crisi siriana.

Mevut Cavusoglu , il Ministro degli Esteri che riesce a resistere ai cambiamenti di rotta più repentini, è appena rientrato da Beirut dove ha cercato appoggi.

La grande debolezza militare del Libano, ne ha fatto un interlocutore obbligato ad avere rapporti amichevoli con tutti i protagonisti dello scenario.il veicolo ideale.

Gli interessi in comune sono numerosi: il Libano ospita il secondo, per importanza, numero di sfollati siriani sul suo territorio ( Turchia 3,6 milioni; Libano 2,3).

A fronte di Cipro che gode della protezione israeliana grazie a una convenzione militare trilaterale coi Greci, il Libano ( che ha la sua quota di concessioni gaspetrolifere in mare), potrebbe volersi appoggiare alla Turchia dato che ha in contenzioso i limiti con Israele e Trump sta vanificando l’appoggio offerto da Obama ai libanesi.

I siriani hanno catturato alcuni militari turchi e per liberarli vogliono indietro il loro pilota.

Abbas Ibrahim, il capo dell’intelligence libanese ha relazioni eccellenti con tutto il Vicino Oriente, ma eccezionalmente buone coi siriani e potrebbe essere il veicolo negoziale ideale per un accordo Siro-Turco che renderebbe anche superflua la presenza militare russa al confine sud di Ankara .

Una mossa pacificatrice del genere sarebbe una vendetta verso i russi e, al contempo, un favore agli USA e un alleggerimento per i siriani, nonché un diminuito allarme per i curdi.

Un “ en plein” regionale.

Per atti ostili verso la Siria, i turchi avrebbero potuto rivolgersi più proficuamente verso la Giordania o l’Arabia Saudita, dunque la mossa verso il Libano mostra che Erdogan vuole stabilizzare la sua frontiera ed è più interessato a posizionarsi come potenza regionale.

Al posizionamento globale mostra sempre meno interesse.
E non è il solo.

KHAN CHEIKHUN: UOVO, GALLINA, FRITTATA.

Khan Cheikhun é il nome della località della provincia di Idleb (Siria) conquistata pochi giorni fa dall’esercito governativo siriano.

La provincia in questione é stata finora occupata dalla branca siriana di Al Kaida che ora ha cambiato nome in “Haya Tahrir el Sham “ per poter godere di assistenza e rifornimenti occidentali e della « protezione politica » della Turchia.

Lo SM turco ha, nella provincia, alcuni « punti di osservazione” il più avanzato dei quali è Morek, che in realtà è un caposaldo.

Dopo l’occupazione/liberazione di Khan Cheikhoun da parte siriana, i turchi si erano premurati di rifornire in armi e munizioni il loro “ punto di osservazione” più esposto a un attacco.

Numerosi media hanno informato l’Occidente di un bombardamento di un convoglio di rifornimento in marcia verso Morek ( 50 camion e 5 carri e alcuni VTT) inviato prevedendo una ulteriore avanzata siriana.

Il bombardamento potrebbe, ragionano i media, essere cagione del possibile deterioramento dell’intesa russo-turca del settembre 2018 costituente una zona di sicurezza congiunta in quell’area.

Il bombardamento, dicono gli analisti, non può essere stato realizzato nella ignoranza dei russi.

È la speranza di vedere uno screzio tra Russia e Turchia ( sempre i benedetti S400!) che ha indotto i media a dare, eccezionalmente, notizia di una vittoria di Assad.

Putant quod cupiunt.

L’artiglieria siriana e l’aviazione russa sono entrambe intervenute ma con distinte – politicamente raffinate – modalità di intervento.

I siriani hanno usato l’artiglieria provocando al convoglio 3 morti e 12 feriti civili (del MIT il servizio segreto turco?).

L’aeronautica russa ha invece effettuato una incursione davanti al convoglio distruggendo la strada ancora da percorrere ( ma nel contempo offrendo copertura aerea ai siriani per impedire agli F16 turchi ogni attacco),senza mirare ai turchi.

Si è trattato, a mio avviso, di una chiara messa in guardia a Erdogan e al suo Stato Maggiore: se volete a sud una zona di sicurezza con noi e a est un’altra con gli USA, state sognando.

Al contempo, la Russia sta mantenendo l’impegno coi siriani a difendere l’indipendenza e l’integrità del territorio nazionale.

Se i turchi cedono a Idlieb, Putin ha mantenuto la promessa alla Siria.

Se invece fermano la nuova fascia di sicurezza con gli USA, Putin ha messo un’altra zeppa nel rapporto Trump-Erdogan.

Non è – come affermato dagli analisti- la Russia che ha violato le intese di pacificazione di Astana : è la Turchia che ha creato una situazione nuova con la “ fascia di sicurezza” a pattugliamento congiunto turco-americano ( ancora in fieri) e ha incassato un “ caveat” dai russi.

Ora la Turchia deve scegliere tra l’uovo di oggi ( assieme agli alleati di sempre di Tahrir El Sham) della zona di Idleb e la gallina di domani ( in mezzo ai nemici curdi di sempre) verso Mossul.

Anche i russi han difeso il loro uovo siriano senza troppo turbare la gallina turca che potrebbe dare uova d’oro.

Temo proprio che la frittata la farà la commissione mista turco-americana incaricata di definire limiti e regole di ingaggio della “ zona di sicurezza” lungo la frontiera verso Hassake e Mossul.
Let’s wait and see.

Ritorno al futuro – 1- Intervista a Carlo Formenti di Elio Paoloni

 All’intervista seguiranno alcune considerazioni di Elio Paoloni_Giuseppe Germinario

Ritorno al futuro – 1- Intervista a Carlo Formenti

di Elio Paoloni

 

 

 

Non è di sinistra, Carlo Formenti: “Non vogliamo “rifare” la sinistra, non solo per motivi di opportunità linguistica, visto che la maggioranza del popolo disprezza ormai questa parola, ma perché riteniamo che il binomio destra/sinistra, da quando essere di sinistra non significa più nutrire la speranza in un cambio di civiltà, rappresenti unicamente un gioco delle parti fra le caste politiche che gestiscono gli affari correnti del capitale”.

E’ socialista. Non duro e puro (perché si impongono duttilità e abbandono di vecchi schemi marxiani) ma verace. Resta difficile perciò ai suoi avversari de sinistra triturarlo come hanno fatto con Costanzo Preve, al quale Formenti dedica un capitolo del suo ultimo libro, Il socialismo è morto, viva il socialismo, testo a parer mio imprescindibile per chi vuole davvero comprendere il presente, un testo di cui raccomando in ogni occasione la lettura e la diffusione. Difficile triturarlo, dicevo, non solo per il suo passato di dirigente della sinistra del sindacato unitario dei metalmeccanici, per il decennio in cui è stato caporedattore di Alfabeta, per il suo impegno di ricercatore – nell’università e fuori – sui temi dell’uso capitalistico delle nuove tecnologie, per l’attività di blogger sulle pagine di MicroMega e per la costante, approfondita rilettura di Gramsci.

Alla analisi acuta – ma per noi non nuovissima – della falsa sinistra, unisce una conoscenza approfondita dei fenomeni populisti (una tecnica di comunicazione, si badi bene, non un’ideologia) rivalutati come ‘grado zero’ della nuova lotta di classe e una notevole dimestichezza con la realtà cinese, indispensabile per sbaragliare i luoghi comuni sull’impossibilità di governare l’economia, la finanza, l’iniziativa privata. Quella ‘manifesta impossibilità’ che viene di continuo avanzata con coloriture tra il biblico e il parascientifico per castrare ogni velleità di ribellione.

Per un ex intellettuale dell’area dell’autonomia operaia, il richiamo ai principi fondativi dello Stato nazione può suonare strano, ma non si tratta di nostalgia del passato, bensì di ritorno al futuro.

Infine Formenti non è certo il primo a evidenziare il carattere scellerato (politicamente parlando) di certo femminismo ma è il meno esposto a facili contestazioni in virtù della sua attenzione al pensiero femminista più accorto e consapevole, come quello di Nancy Fraser, il cui ultimo libro verrà tradotto nella collana Visioni eretiche che Formenti dirige per Meltemi.

 

  • Inizio con un dettaglio irrilevante. Mi ha incuriosito questa affermazione: “Il movimento operaio non ha mai saputo cogliere la natura demoniaca (altrove demonica – e sarebbe interessante sapere se questo slittamento è deliberato o casuale) della tecnica”. E’ saltato un “quasi’ o non considera i luddisti parte del movimento operaio?

Lo slittamento linguistico cui si riferisce non è deliberato bensì del tutto casuale. In ogni caso, se mi venisse chiesto di optare per una delle due versioni, sceglierei senza esitazioni il termine demonico, onde evitare letture “mistiche” (la tecnica come incarnazione del male assoluto). Quanto alla seconda parte della domanda non è saltato un quasi: più semplicemente il movimento luddista, rispetto al quale ho espresso giudizi esplicitamente apologetici in alcune pagine de La variante populista, dedicate al formidabile lavoro di E.P. Thompson sulla formazione del proletariato in Inghilterra, non è mai stato riconosciuto dalle sinistre di ieri e di oggi (Marx compreso) come facente parte a pieno titolo della storia del movimento operaio, in quanto espressione di una resistenza “conservatrice” dei vecchi mestieri artigianali alla modernizzazione capitalistica, assunta come positiva in sé, grazie al suo ruolo di agente di sviluppo accelerato delle forze produttive.   

 

  • Condivide le opinioni di Jessa Crispin sulla mancanza di fondamento dell’idea che le donne siano dotate di maggiore empatia, che siano più compassionevoli, altruiste e inclini a farsi carico dei problemi altrui? E’ in effetti sotto i nostri occhi il fallimento delle donne al potere, che si sono rivelate ben più disumane degli uomini nello stesso ruolo. Ma non trova che questo sia dovuto proprio alla ‘necessità’ per le donne, di dimostrarsi all’altezza (spietatezza) del ruolo? A quello che io definisco paradigma soldato Jane?

 

La polemica di Jessa Crispin, che ho citato in varie occasioni nei miei lavori, è utile per smontare le banalità “politicamente corrette”, purtroppo condivise dalla maggioranza delle militanti dell’ala mainstream del movimento femminista (cioè di quell’ala emancipazionista che è prevalsa sulla teoria della differenza delle femministe storiche, come Luisa Muraro). Le donne al potere (come Hillary Clinton, per citare il caso di colei che è giunta più vicina di qualsiasi altra al vertice del sistema) non hanno “fallito”, più semplicemente incarnano – com’è ovvio e inevitabile – la logica di un sistema che non ha sesso, che è costitutivamente androgino. Il potere economico e politico è neutro per definizione, nel senso che deve neutralizzare tutte le differenze (non solo quelle sessuali) che ne disturbano le dinamiche. Quindi ben vengano le polemiche a la Crispin, che sbarazzano il campo dalle scempiaggini sull’intrinseca “bontà” del genere femminile contrapposta alla “malvagità” del genere maschile. Ma per cogliere i limiti e le contraddizioni dell’ideologia femminista occorre andare assai più a fondo. Occorre partire, per esempio, dalle riflessioni di Nancy Fraser, la quale coglie con estrema lucidità l’alleanza di fatto fra neoliberismo e femminismo della seconda ondata, nella misura in cui quest’ultimo, concentrandosi esclusivamente sulle istanze di riconoscimento identitario, ha abbandonato qualsiasi velleità di opposizione al sistema capitalistico (cavandosela con la tesi risibile secondo cui basterebbe superare il patriarcato per rovesciare il capitalismo).

 

  • Presentando il suo libro le è capitato di accomunare le primavere arabe alle ribellioni populiste occidentali. Mi era sembrato di capire che fossero eterodirette, anzi architettate, da potenze alle quali certi regimi parevano troppo autonomi. Ovviamente le manipolazioni neo-coloniali devono innestarsi su un malcontento davvero esistente, ma quel genere di malcontento può davvero essere assimilato alle rivendicazioni redistributive che conosciamo?

 

Le primavere arabe sono state un fenomeno complesso e articolato che i media occidentali hanno semplificato e omologato, presentandolo come insurrezioni che rivendicavano livelli di consumo e libertà democratiche di tipo occidentale (in base alla nota equazione secondo cui libero mercato=benessere, democrazia e libertà per tutti). La verità è che il fenomeno ha avuto caratteristiche diverse da Paese a Paese. Il fatto che si sia diffuso rapidamente in aree anche assai lontane l’una dall’altra ha a che fare con l’esistenza di network televisivi internazionali in lingua araba come Al Jazira, che diffondevano immagini e notizie. L’effetto imitazione è scattato perché ovunque esistevano motivi di tensione delle classi subalterne nei confronti delle élite dominanti. L’effetto di omologazione è stato invece il frutto delle interazioni orizzontali, mediate dai social network, fra strati di classe media emergente (studenti e ricercatori universitari, nuove professioni “creative” ecc.). Costoro, al contrario delle masse popolari inferocite dalle pessime condizioni di lavoro e di vita (disoccupazione, salari miserabili) che gridano vendetta a fronte della ricchezza delle caste dominanti, presentavano effettivamente caratteristiche culturali simili (in particolare la frustrazione per lo scarto fra livelli educativi elevati e scarse opportunità di sfruttarli a fini di mobilità sociale) e apparivano evidentemente sedotti da modelli di consumo e stili di vita occidentali. È su questi strati che tentavano di far leva le manipolazioni neocoloniali cui si fa riferimento nella domanda, mentre la paura per le aspirazioni ridistributive delle larghe masse che premevano sotto questo strato superficiale ha fatto sì che i Paesi occidentali abbiano accolto con sollievo il ritorno alla normalità imposto con metodi sbrigativi come quelli adottati dalle caste militari egiziane.

 

  • Afferma spesso che non esiste un demos Ma questa non è la tipica affermazione dei nazionalisti di destra, che confondono demos con etnos?

 

Assolutamente no. Manca un demos europeo non perché esistono radicali differenze linguistiche, etniche, storiche e culturali fra i vari Paesi del Vecchio continente (che pure esistono e sono un ostacolo non da poco all’unificazione), bensì perché non si è mai dato un processo di costruzione di uno Stato, di un popolo e di una nazione europei. È per questo che resta valida la battuta che dice l’Europa è solo un’espressione geografica. La mia visione del popolo e della nazione non ha nulla da spartire con la visione “naturalista” delle destre (sangue e suolo). Per me popolo e nazione non sono entità sostanziali che preesistono a un processo di costruzione politica. Contrappongo alla visione naturalista una visione “statalista” dei concetti in questione, nel senso che non si danno popolo e nazione se non all’interno di uno stato-nazione. In altre parole: stato, nazione e popolo sono tre aspetti di un unico processo storico di costruzione politica. Nulla di tutto ciò è mai avvenuto su scala europea, né può avvenire a seguito del progetto dell’Unione Europea che non vuole costruire uno stato ma un blocco di potere economico continentale in grado di competere con gli Stati Uniti, la Cina e il Giappone sul mercato globale. Stando così le cose, non posso ribadire quanto già affermato da Marx che da Lenin: gli Stati Uniti d’Europa, se realizzati attraverso l’unione di Paesi a regime capitalista, non rappresenterebbero un progresso bensì il trionfo della reazione mondiale.

 

  • Definisce il patriottismo un sentimento condiviso da tutti gli appartenenti a una comunità territoriale, a prescindere dalle origini etniche e dalle identità religiose, culturali … Un sentimento che si incarna in un luogo, in una lingua, in una cultura Più avanti stigmatizza la destra, che utilizza l’idea di nazione per esaltare i caratteri identitari – cultura, lingua Non si comprende bene se questa incarnazione in una lingua, in una cultura, sia di destra o di sinistra. Se si possa prescinderne o no.

 

In qualche misura ho già riposto poco fa. L’incarnazione in una lingua, in una cultura, ecc. dal mio punto di vista, non sono il fondamento ontologico di una patria, sono il materiale su cui può lavorare un progetto politico di costruzione di una comunità territoriale che “diventa” stato, e quindi anche nazione e popolo. La patria “si fa” non “si scopre”, anche se per farla si attinge anche, ma non solo, al materiale culturale di cui sopra. Come dimostrano le esperienze degli Stati Uniti e (in scala minore) della Confederazione Elvetica, non è necessario disporre di un materiale omogeneo per “fare patria”

 

  • Lei sostiene che dobbiamo accingerci a costruire un popolo “che è tale perché condivide un insieme di diritti e doveri”. Certo, ci si può coalizzare riconoscendoci nei fini, in quelle forme di governo, in quelle istituzioni che dovrebbero caratterizzarci in futuro. Ma le alchimie costituzionali – o il semplice richiamo alla difesa della Costituzione esistente (che suonerebbe tristemente simile alle ipocrite esortazioni dei nostri ultimi Presidenti) – possono farci avvertire davvero la compattezza – e l’orgoglio – di un’appartenenza di patria?

 

Non si tratta di “alchimie costituzionali”. Si tratta di partire dall’assunto gramsciano secondo cui le classi subalterne non devono prendere il potere, devono farsi stato. Ciò vuol dire che, contrariamente a quanto pensano coloro che ritengono che basti assumere il controllo del governo per avviare una trasformazione radicale della società, le classi subalterne, per riuscire ad esercitare la propria egemonia, devono niente di meno che creare un nuovo tipo di stato. Ma ciò significa a sua volta che non si dà trasformazione radicale della società senza mettere in atto un processo costituente. Le costituzioni sono la quint’essenza della sovranità popolare, perché come scrive Carlo Galli nel suo ultimo libro (Sovranità, Il Mulino 2019), il potere costituente non è mai del tutto costituito, in quanto incarna la presenza concreta di un popolo che può in ogni momento “sfondare” lo spazio pubblico, agire contro la sovranità esistente per generarne una nuova. Ecco perché le rivoluzioni bolivariane hanno dovuto passare attraverso l’approvazione di nuove costituzioni. Che poi i principi in esse affermate restino largamente disattesi non conta: è la loro stessa esistenza a legittimare la lotta per metterli in atto. Questo vale anche per la nostra Costituzione che, non solo è disattesa, ma viene da qualche anno sconciata per neutralizzarne le velleità “criptosocialiste” (secondo la definizione della JPMorgan). Difenderla è una necessità imprescindibile, ma non basta, in una prospettiva rivoluzionaria si dovrà passare da un Assemblea Costituente che la “depuri” dalle riforme liberiste e ne sviluppi il potenziale specificando, attualizzando ed estendendo gli articoli più avanzati dal punto di vista sociale. Naturalmente non è la Costituzione in quanto lettera morta a innescare il sentimento patriottico e socialista, ma è la lotta patriottica e socialista a richiamare a nuova vita i principi costituzionali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Conte dimezzato! La crisi di governo sul proscenio e dietro le quinte_ con Piero Visani

La crisi del Governo Conte e la gestazione di un vero e proprio ribaltone si percepiva nell’aria da tempo ma senza segnali evidenti almeno sino alle recenti elezioni europee. La gestione delle nomine in sede UE, l’azione dei singoli magistrati, la virulenza e la grossolanità, al limite dello sciacallaggio, della campagna elettorale del M5S hanno segnato un solco che Salvini, in maniera inopinata, ha reso invalicabile. Sino ad ora tra i pochi aspetti positivi, se non l’unico, dell’avvio di questa crisi è la fine del balletto degli equivoci e delle ambiguità. La classee dirigente protagonista di questa trama si sta rivelando non all’altezza della gravità della situazione e ancora poco consapevole della natura delle forze in campo e del conflitto esistenziale in essere. Ne parliamo con Piero Visani

  Epstein è stato suicidato?, di Max Bonelli

 

Epstein è stato suicidato?

 

Alla notizia della morte per suicidio di Jeffrey Epstein nel carcere Metropolitan Correctional Center of Lower Manhattan si sono diffuse su internet e nei   suoi luoghi di dibattito varie teorie a sostegno della tesi che il miliardario americano  sia stato assassinato in carcere per mettere a tacere le sue eventuali imbarazzanti confessioni. Molti sono i potenti a temere rivelazioni inconfessabili di relazioni con giovanissime prostitute magari supportate da filmati hard girati sul “love” jet privato o sulla sua isola Saint James,  isola dell’arcipelago Vergini (un nome..una garanzia degli interessi del miliardario).

Primi fra tutti i Clinton dei quali lui era amico e sostenitore, ma anche la corona britannica era tirata in ballo con il principe Andrew, i politici  Richardson e Michtell,  anche Trump ha avuto rapporti con Epstein fino al 2004. Tanti i personaggi di quel democratico e “buonista” mondo perbene che comanda su mezzo mondo e che condanna l’alta metà per i suoi metodi dittatoriali che incominciavano a sentire un odore non piacevole nell’aria; la provvidenziale morte del possibile ricattatore ha sicuramente purificato l’ambiente per queste brave persone.

Fare speculazioni su una azione risolutiva del “deep state” sarebbe facile,

troppo semplice accusarli di un metodo “staliniano” tipo “eliminato l’uomo eliminato il problema”.

In fondo i medici legali newyorkesi si sono affrettati a confermare l’ipotesi del suicidio. Epstein, un uomo che non si faceva mancare niente nella vita, ha sicuramente ceduto sotto il peso dei rimorsi di coscienza per aver indotto alla prostituzione minorenni che dietro lauti compensi hanno alleviato le sofferenze dei potenti del mondo anglosassone. Non dimentichiamo quanto deve essere oneroso e faticoso guidare la nazione dal manifesto destino. Certo provvidenziale è stata la presenza nella sua cella di un letto a castello anche se lui era  in regime di isolamento. Lo hanno trovato in ginocchio appeso con il lenzuolo arrotolato alla sponda più alta del letto superiore.

Il lettore malizioso obbietterà subito:”come si fa ad impiccarsi se i piedi toccano per terra?

Ribatto prontamente: il poveretto nel turbinio dei rimorsi si è buttato in ginocchio per adempiere al suo insano gesto e poi basta informarsi un pochino sul metodo di suicidio più diffuso al mondo(1) per sapere che esiste il metodo “impiccagione per sospensione”.  In questo modo si ha una azione sul nervo vagale, quando il suicida con ferrea volontà, si lascia sospendere da una ringhiera del letto, come in questo caso,  svenendo in quanto il cappio agendo sul nervo vagale gli fa perdere conoscenza e quindi si ha la morte per bradicardia riflessa.

Fino a qui tutto troppo giusto e corretto se non che il diavolo si nasconde nei dettagli, come si suol dire. Si perchè il medico legale ha riscontrato la rottura dell’osso ioide che si trova alla radice della lingua. I praticanti di arti marziali ed in particolare di judo sanno che esistono diverse tecniche di strangolamento a mani nude che possono sia agire sul nervo vagale e causare (se non fermate per tempo) la morte per bradicardia riflessa, ma alcune di queste agiscono contemporaneamente sull’osso ioide e sulla cartilagine epiglottide posta dietro di esso.(2)

Un suicida per impiccagione con il metodo della sospensione non presenta

la rottura dell’osso ioide; uno strangolato per tecnica a mani nude può presentare questo tipo di rottura.(3)

Ora, confesso, al mio lettore che la febbre “conplottista”  incomincia a serpeggiare nelle mie vene e il mio immaginario ha due scene davanti a sé.

La prima che  un addetto a questo lavoro di “pulizia” viene introdotto nella cella di Epstein a cui nel frattempo negli ultimi giorni è stato inspiegabilmente  rimosso il controllo antisuicidio (quindi eliminate telecamere di sorveglianza e controllo visivo ogni 30 minuti).

Il “pulitore” un esperto di arti marziali immobilizza Epstein ed effettua una tecnica di strangolamento a mani nude da dietro poi inscena il suicidio.

In ambito militare occidentale piace molto la tecnica a forma di 4 di cui vi allego il video(4). Molto efficace forse troppo! Come nel caso di Epstein uccidi la vittima in pratica in due modi sopprimendo il nervo vagale e rompendogli l’osso ioide. Ma si sa agli americani piace eccedere ed a volte si fanno delle esagerazioni non ottimali come in questo caso.

 

La seconda immagine: due “pulitori” sono incaricati d’interrogare il miliardario per sapere dove nasconde i documenti scottanti che possono inguaiare e ricattare i potenti in questione. Hanno carta bianca possono decidere se non ottengono le informazioni di porre fine alla faccenda. Uno lo interroga, l’altro effettua degli strangolamenti a mani nude tipo “Hadaka jime”(5) per costringerlo a parlare, qualcosa va storto oppure il miliardario non ne vuole sapere di collaborare e viene eliminato.

Chi ha praticato questo tipo di tecniche sa che non sempre  si riesce a dosare la forza per evitare la rottura dell’osso ioide. D’altronde in allenamento ci si ferma ai primi cenni di soffocamento e con i moderni mezzi tecnici di eliminazione fisica “Hadaka jime” è un tantinello fuori moda come metodo di soppressione.

Da aggiungere a questo quadro “gomblottista” il direttore del carcere è stato trasferito e le due guardie carcerarie sospese dal servizio, ma questa non è la mia supposizione ma realtà. Le indagini sono in corso soprattutto per trovare i nascondigli del database di Epstein, un tesoro d’informazioni.

Sarà una moderna versione dell’Isola del tesoro di Stevenson?

Gli ingredienti ci sono tutti,l’isola di proprietà del defunto ed  anche nel capitolo iniziale di questo grande classico la scena si aprì con un omicidio.

 

Max Bonelli

 

(1)https://it.wikipedia.org/wiki/Impiccagione

 

(2)https://it.wikipedia.org/wiki/Epiglottide

 

(3)https://www.youtube.com/watch?v=YJ5EhLWKXoU

 

(4) https://www.youtube.com/watch?v=LppnEfRoFIM

 

 

 

(5)https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=mkcxkqGsE64

 

 

 

crisi di governo. Impressioni a caldo, di Fabio Falchi-politiche da salumiere, di Augusto Sinagra

Impressione a caldo sui discorsi di Conte, Salvini, ecc.
Prevedibili le dimissioni di Conte e la “tiepida” apertura di Salvini al M5S. Nemmeno da prendere in considerazione le fesserie dei piddini, forzisti, ecc., che peraltro hanno confermato l’infimo livello intellettuale e culturale della stragrande maggioranza dei parlamentari. In pratica, solo Salvini, sia pure in modo confuso e abborracciato, ha trattato le questioni di fondo: manovra economica, rapporti con la UE, immigrazione, riforma della giustizia ecc. Gli altri, incluso Conte, hanno preferito parlare soprattutto di Salvini o del governo giallo-verde, per difenderlo o per attaccarlo.
Comunque, si è capito che tra il M5S e il PD vi sono già “forti contatti” e quindi è probabile che i giochi siano già fatti – o, se si preferisce, il “pasticciaccio ormai è fatto” – e che ora la questione non sia quella di un governo giallo-rosa ma riguardi “chi” ne dovrebbe fare parte e quale programma dovrebbe svolgere.
Tuttavia, benché ora l’iniziativa strategica sia nelle mani del PD e del M5S (ovvero il Paese dipenda dalle loro mosse), si è avuta pure la conferma che ben difficilmente un governo giallo-rosa potrà durare. Ed è proprio su questo che si dovrebbe puntare se, come è assai probabile, si formerà un governo sostenuto dal M5S e dal PD, benché vi sia anche il pericolo che nei prossimi mesi la Lega regredisca verso posizioni demagogiche e di tipo “berlusconiano”, soggiacendo al richiamo della foresta “nordista e neoliberista”. La Lega adesso dovrebbe invece, basandosi sul forte consenso popolare di cui attualmente gode, dotarsi degli strumenti politico-culturali necessari per difendere il ruolo “strategico” del Politico (e quindi dello Stato che del Politico è, per così dire, il “braccio armato”) nella economia e non solo nell’economia.
Solo vincendo questa sfida – che, sotto il profilo economico, implica che il mercato sia non certo abolito ma messo al servizio dell’interesse dell’intera collettività (in pratica, sarebbe necessaria, sia pure mutatis mutandis, una sorta di New Deal) – sarà possibile combattere efficacemente i nemici , interni ed esterni , del nostro Paese.

POLITICA DI GOVERNO O GESTIONE DI UNA SALUMERIA?, di Augusto Sinagra
Giuseppe Conte fortunoso Presidente del Consiglio dei Ministri per autorevole indicazione fatta dall’ex dj di Mazara del Vallo (il noto Alfonso Bonafede) ha concluso il suo discorso al Senato, e senza attendere il voto conclusivo e dunque offendendo la maestà della volontà popolare, è corso come una lepre pugliese dal figlio di Bernardo Mattarella per rassegnare le dimissioni.
Che il giovane pugliese ritorni nell’anonimato è cosa positiva.
Qualche riflessione comunque si impone.
E’ evidente che le questioni sollevate dal Ministro Matteo Salvini sono questioni molto serie che hanno condotto al risultato positivo di costringere Conte e i suoi amici 5S ed altri a togliersi la maschera.
A parte i disonesti e i traditori di professione, era già da tempo noto a tutti che il governo agiva contro gli interessi nazionali in piena sintonia con le “dritte” del figlio di Bernardo Mattarella. Mi riferisco ai Ministri voluti dai 5S e dal figlio di Bernardo. L’unico che ha difeso gli interessi nazionali è stato ed è il Ministro Matteo Salvini reo per questo di colpe imperdonabili e dunque la canea dei traditori al governo e fuori dal governo si è concentrata contro di lui.
Il problema dunque non è la cura degli interessi nazionali ma la guerra a Salvini e il brivido che provocano agli altri Partiti le previsioni di voto per la Lega tra il 34 e il 38% dell’elettorato.
Tutto sarà fatto perché non si vada a votare fino a che non sarà possibile ai traditori eleggere un altro figlio di Bernardo Mattarella (non in senso parentale anche se c’è sempre Nino Mattarella, fratello di Sergio e anche lui figlio di Bernardo, con un c.v. di tutto rispetto).
Questo spiega gli insulti da basso fondo rivolti dal parvenu pugliese a Matteo Salvini. Si sa, quando non si hanno argomenti e la paura provoca contrazioni sfinteriche, si ricorre all’insulto e al falso.
Ma quello che è stato più ignobile nel discorso di Conte Avv. Giuseppe è stato quando ha rivendicato il merito della elezioni alla presidenza della Commissione UE della nota Ursula nel senso che in questo modo si sarebbero evitate la “procedura di infrazione”. Quale procedura e quale infrazione non si sa.
Dunque, l’azione del governo calibrata non per la cura degli interessi nazionali ma per evitare un esborso (comunque inesistente).
Questa non è l’azione di un governo ma un calcolo da salumiere, e anche da salumiere incompetente.
Il figlio di Bernardo Mattarella continui a disattendere la volontà popolare che richiede il voto subito, dia l’incarico per la formazione di una oscena maggioranza PD, 5S, più Europa, LEU, Soros, Goldman Sachs, JP Morgan, ecc., ma tenga presente che si andrà a votare prima del suo rinnovo. Saranno mesi di lacrime e sangue cui gli italiani sono ben abituati da troppo tempo, saranno giorni di invasioni africane di dimensioni inimmaginabili, ma poi arriverà il giorno del giudizio e chi deve pagare pagherà.
L’Italia sarà sempre capace di sopravvivere a sé stessa e ai suoi governi traditori.

QUELLO CHE CONTA, di Fabio Falchi

Dopo avere rimosso alcuni miei contatti che, al posto del cervello evidentemente devono avere un sasso o un disco incantato, ripeto, a scanso di equivoci, che adesso concentrarsi sulla persona del “Capitano” (che certo non è né Epaminonda né Federico II Hohenstaufen), per esaltarlo o denigrarlo , è di scarso interesse e rischia di occultare la questione essenziale..
Quel che adesso conta è sapere se ci sarà o no un governo (tecnico?) giallo-rosa e, se ci sarà, che cosa farà e quanto potrà durare.
Nel caso (più che probabile) ci fosse un governo giallo-rosa, la questione del “Capitano” in pratica conterebbe solo in funzione della strategia che l’opposizione, ossia fondamentalmente la Lega, adotterà per contrastare il governo giallo-rosa, cioè se continuerà con la navigazione a vista, confidando soprattutto nella capacità del “Capitano” di comunicare direttamente con il “popolo” sui social e nelle piazze, o se si strutturerà per trasformare il consenso in effettiva “potenza politica” ed essere in grado di combattere con successo la guerra ibrida che diversi centri di potere, nazionali e non, stanno conducendo contro il nostro Paese.
Pensare però, come affermano alcuni (tra cui qualche mio contatto che pare avere perso la bussola), che sarebbe ora di passare alle” maniere forti” scatenando la piazza contro un governo giallo-rosa, sarebbe suicida, perché l’uso della forza, per non ritorcersi contro chi la usa, presuppone il controllo “effettivo” (perlomeno) di parti consistenti e significative degli apparati di coercizione dello Stato (forze dell’ordine, forze armate e servizi segreti).
Come sempre, del resto, una guerra, ibrida o no, richiede solida preparazione tecnica e materiale, motivazione morale (e quindi il forte e radicato sentimento ostile di cui parla von Clausewitz in Della Guerra) e soprattutto una intelligente e decisa azione di comando.
Inutile dire che, rebus sic stantibus, la guerra ibrida che si sta conducendo contro l’Italia piuttosto che contro la Lega – o, se si preferisce, contro la Lega per colpire l’Italia – è una guerra che il nostro Paese ben difficilmente può vincere.

sinistra e impunità, di Paolo di Remigio e Fausto Di Biase

Per una storia filosofica dell’impunità

 

Prima ancora che entrasse in vigore la Costituzione nel 1948, l’indipendenza della Repubblica italiana era stata compromessa dal traumatico trattato di pace dell’anno precedente, con il quale le potenze occidentali vincitrici avevano stabilito un protettorato sull’Italia impedendovi l’avvicendamento dei partiti di sinistra al governo, controllandone gli apparati di sicurezza interni, la politica estera e la politica economica[1]. La politica italiana del dopoguerra è così determinata dall’intersecarsi di due scissioni: quella visibile tra destra e sinistra carica di contenuto classista, quella invisibile tra chi ha accettato la riduzione a provincia dell’Italia e chi non vi si è rassegnato.

 

Benché distinte, le due scissioni si sono rafforzate a vicenda. Che la NATO non sia stata sciolta dopo la fine dell’Unione Sovietica, ma abbia anzi esteso il suo campo di intervento, dimostra che la guerra fredda tra USA e URSS è nata dall’aspirazione geopolitica statunitense a rimuovere l’ostacolo dell’URSS e a stabilire un impero mondiale, e ha assunto l’aspetto della lotta di classe tra borghesia e proletariato per il solo fatto che l’URSS affermava di seguire un modello economico socialista. Per questo motivo l’anticomunismo non è stato soltanto una scelta di classe, è stato anche un atto di subalternità all’impero statunitense; viceversa, il comunismo è stato non solo una difesa degli interessi dei lavoratori, ma anche un’alleanza con l’Unione Sovietica. Quanto più esasperati i sentimenti della lotta di classe, tanto più condannati a essere semplici coperture del conflitto geopolitico e dunque della dipendenza dello Stato dall’uno o dall’altro impero. Viceversa, il settore del mondo politico italiano meno sensibile all’isteria anticomunista o alle velleità insurrezionali è stato il più leale alla Costituzione democratica e ha tentato sin da principio il recupero di spazi di indipendenza nazionale.

Se gli estremisti dell’uno e dell’altro campo hanno solitamente tacciato i moderati di debolezza o di connivenza con il nemico, oggi il moderatismo interclassista appare non solo la scelta più nobile in quanto era la sola via per emancipare lo Stato italiano dalla condizione di paese sconfitto, ma anche la scelta più eroica, l’unica che sia stata pagata con l’assassinio politico. In questo senso vanno lette la capacità di De Gasperi e di Togliatti di evitare la guerra civile in Italia e l’impresa di Mattei di garantire con un’audace politica energetica le basi dello sviluppo industriale e l’attenuazione del conflitto di classe; anche il tentativo di costruire l’alleanza con i socialisti prima e con i comunisti poi, di cui Moro, Nenni e Berlinguer sono stati protagonisti, ha un significato che sfugge a chi legga la storia del dopoguerra secondo la sola dimensione della lotta di classe e trascuri il compito di pagare il debito storico che la guerra fascista aveva caricato sugli italiani. Che lo sviluppo industriale sia stato caotico, che il centro-sinistra sia stato deludente sotto il profilo delle riforme sociali ed economiche e si sia risolto in un logoramento dei partiti di sinistra, nulla toglie al loro significato più profondo: De Gasperi, Togliatti, Mattei, Nenni, Berlinguer, Moro hanno cercato la pacificazione dell’Italia così da attenuarne la scissione di classe e da riguadagnarle spazi di sovranità nazionale.

Dalla metà degli anni Sessanta la reazione delle potenze occidentali all’emancipazione dell’Italia si è servita però non solo dei conflitti di classe, ma anche di quelli generazionali. Se il Sessantotto fosse stato un semplice conflitto generazionale quale si verifica dalla notte dei tempi, la maschera classista e il velleitarismo politico sarebbero caduti subito ed esso si sarebbe ridotto a una fiammata come il maggio francese. Non è stato così perché la sua spontaneità è stata soltanto un’apparenza, perché è stato uno strumento dello scontro profondo tra Europa e Stati Uniti, e in particolare tra Italia e paesi europei, per mutare le posizioni di forza che tenevano quella assoggettata alla potenza imperiale, questa assoggettata a tutti. Così il movimento studentesco e la nascita del partito armato hanno reso superflua la cosiddetta violenza neofascista per realizzare la strategia della tensione e riportare l’Italia al 1947: subito infiltrato, in seguito protetto e aiutato dai servizi occidentali e dalle loro propaggini italiane, fu il partito armato con l’ampio sostegno del movimento studentesco lo stupido carnefice che alimentò per conto dell’impero la tensione sociale ed eliminò Moro e il suo progetto. La mancata coscienza della natura dello scontro tra estremismo e moderatismo ha effetti ancora devastanti in Italia: gli eredi dell’estremismo non hanno ancora capito la funzione storica dell’estremismo né quale progetto sia stato interrotto con l’uccisione di Aldo Moro; perciò il rifiuto della colpa si accompagna a una pratica di irresponsabile sacrificio degli interessi nazionali e a un’ideologia universalistica di inaudita ipocrisia.

 

Ha notato Giorgio Bocca: “L’aspetto più misterioso delle vicende dei circoli giovanili che daranno vita a Prima Linea è la loro lunga impunità o comunque la tolleranza che li circonda. A Torino già nel ’75 la polizia conosce benissimo chi sono i giovani che frequentano il Centro Lafargue in via della Consolata dove c’è la redazione di Senza Tregua. Sa che una delle più assidue frequentatrici ha partecipato ad un assalto al Centro Studi Donati perché ci ha trovato un suo paio di guanti, sa che circa ottanta giovani frequentatori del circolo provengono dai servizi d’ordine di Lotta Continua e di Potere Operaio, eppure non fa arresti anche se gli attentati proseguono. Ma anche quando la polizia e i carabinieri li colgono in flagrante e devono ammanettarli, si trova sempre il modo di scarcerarli nel giro di pochi mesi… Baglioni… arrestato nel ’77 perché sorpreso mentre si esercita con le armi sulle Prealpi lombarde, rientra in fabbrica portato in trionfo. Marco Donat Cattin continua indisturbato a fare il bibliotecario all’Istituto Galileo Ferraris, chiedendo ed ottenendo regolari permessi per partecipare alle azioni armate. Roberto Sandalo, notissimo alla polizia, può frequentare la scuola allievi ufficiali alpini, diventare ufficiale e come tale impadronirsi di armi e trasportarle per l’organizzazione clandestina. Rosso e Libardi, due altri esponenti, saranno liberati addirittura durante il sequestro Moro. Perché…?”[2]

Alla domanda di Bocca si risponde non solo osservando che le file dei contestatori e dei rivoluzionari erano frequentate dai figli degli ottimati; c’è anche una ragione più sgradevole, evidente nelle parole di Giannettini al convegno dell’Istituto Alberto Pollio di una decina d’anni prima: “E… se gli anticomunisti avessero maggiore sensibilità politica, approfitterebbero della situazione per sfruttare in senso anticomunista la naturale tendenza alla ribellione delle nuove generazioni culturali contro il conformismo delle dottrine ufficiali.”[3] La contestazione giovanile e gli anni di piombo sono stati prima provocati e poi tollerati dai poteri contro cui lottavano; per tutti gli anni ’70 al movimento studentesco è stato consentito fare cortei, scontrarsi con la polizia, assaltare i supermercati, spadroneggiare nelle scuole e nelle università, darsi alla tossicodipendenza, assumere come valore la negazione dei valori, perché l’esasperazione della tensione sociale favoriva il consolidamento del regime utile alle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale.

Infine sulle responsabilità nella strategia della tensione, su quelle del movimento studentesco come su tutte le altre, è passato il silenzio che ha coperto l’impunità e agli alimentatori delle velleità rivoluzionarie, come premio per avere svolto un lavoro utile contro il loro popolo, sono state consentite brillanti carriere nel mondo della cultura e nell’amministrazione pubblica. È così entrato in crisi lo stesso senso di giustizia: il disprezzo della legge positiva e l’esaltazione del perdono sono diventati a tal punto costume delle élite, che mentre si ingigantiscono i reati di opinione per limitare la libertà di espressione, mentre diventa imputabile non tanto l’atto quanto l’inconscio, nelle scuole si concepisce la valutazione negativa come un abuso dei docenti e l’atto di indisciplina del discente come sempre tollerabile; l’umanitarismo dei giornali sorvola sul contesto illegale del fenomeno dell’immigrazione; la stessa repressione del crimine appare così illegittima che i rappresentanti del popolo si precipitano a visitare in carcere i rei confessi. Ma l’effetto più ampio della crisi del senso di giustizia è stato la nascita di un intero movimento politico che si esaurisce nell’invocare la punizione dei corrotti e resta senza fiato davanti al compito di emarginare il ceto dirigente che lavora per gli interessi stranieri.

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Il castigo appare ormai come un prodotto dell’odio, come una seconda violenza della società contro quelli che la prima violenza della sua ingiustizia ha costretto a sbagliare. Viceversa, il perdono da sentimento privato diventa un termine giuridico, addirittura politico. Con la vittoria del sentimentalismo del perdono si perde la capacità di pensare la realtà sociale secondo il concetto di giustizia per diluire ogni cosa nell’atmosfera commossa dell’amore. C’è però differenza tra amore, che è il legame positivo verso qualunque essere, perfino inanimato, e giustizia, che è il legame positivo tra liberi. Il sentimentalismo fa della libertà un caso particolare dei legami positivi; ma la libertà è il concetto supremo; la sua particolarizzazione è anche la sua fine. Di qui la necessità di studiare il concetto di pena nella sua peculiare relazione al concetto della libertà, quale lo fissano i ‘Lineamenti di filosofia del diritto’ di Hegel[4].

La libertà non è soltanto l’astrazione del potersi distaccare da ogni esistente, è anche capacità di collocarsi nell’esistenza, innanzitutto nel corpo vivente (il mio corpo), poi nelle cose; questo collocarsi nell’esistente è la proprietà. È nota l’avversione che da Rousseau in poi la proprietà provoca, ma è altrettanto nota la deriva totalitaria del suo rifiuto; questa si genera perché il rifiuto della libertà esistente comporta la regressione alla libertà astratta, che sente sé stessa soltanto nella distruzione dell’esistente. In ogni caso, quanto più si colloca nell’esistente, nella proprietà, tanto più la libertà può essere violata. Essendo l’espressione di una volontà che annulla l’espressione di una volontà, la violenza è però il proprio distruggersi; la sua intima nullità si manifesta nel fatto che la violenza è annullata dalla violenza, che la violenza prima è violata da una violenza seconda.

Dal punto di vista sentimentale alla colpa si lega il rimorso, il bisogno di dolore, perché solo il dolore sofferto può cancellare il dolore inflitto e consentire il perdono. Il perdono non può dunque essere affatto inteso come un atto gratuito di amore verso chi ha violato la persona o la sua proprietà; esso è piuttosto l’attesa di serenità perché il dolore dell’offensore ha cancellato il dolore dell’offeso. Viceversa, il perdono a chi non prova rimorso è indifferenza alla giustizia analoga all’indifferenza alla giustizia del criminale.

Che provi o meno rimorso, chi viola la libertà esistente 1. ha negato il diritto universale, quindi anche il proprio diritto; 2. essendo inoltre un essere razionale, con la sua violazione egli ha affermato per sé stesso il suo diritto, alternativo al diritto universale. La violazione della sua violazione, cioè il castigo, avendo come doppia negazione un risultato positivo, da un lato ristabilisce il diritto universale, diritto che è proprio anche di chi lo ha violato; dall’altro, come violenza seconda, applica al delinquente il diritto che lui stesso ha stabilito con la sua violenza. – Chi, per esempio, ruba, rende valida la legge che la proprietà privata non è un diritto, una legge alternativa alla legge universale: la proprietà privata è un diritto. Rubare è però rendere mia proprietà una cosa che è proprietà di un altro. Conformemente alla natura contraddittoria del crimine, la legge affermata (la proprietà privata non è un diritto) è anche negata (non è vero che la proprietà privata non sia un diritto): vale per tutti eccetto che per il ladro. Ma una legge che a parità di condizioni è valida per tutti eccetto che per chi la pone è una legge nulla. La nullità di questa legge consiste nel suo rovesciamento, cioè che essa vale per nessuno eccetto che per lui (tutti hanno diritto alla proprietà eccetto il ladro, che quindi non solo restituisce ciò che ha preso, ma perde ciò che ha), e che valga soltanto per il criminale è appunto il castigo. La violazione della violazione, cioè il castigo contro il delitto, la giustizia come contrappasso, non solo ristabilisce il diritto di tutti, ma onora il criminale come liberamente agente secondo una legge, non lo squalifica come irresponsabile.

 

La forma elementare del contrappasso è la vendetta. Che la vendetta non sia sentita come male è testimoniato dalla letteratura universale che l’ha tra i suoi temi principali. Essendo però l’atto con cui è l’offeso stesso a ristabilire la sua libertà più che la libertà in generale, essa contiene a sua volta l’offesa; l’unità di annullamento della violazione e violazione, questa combinazione di violenza prima e violenza seconda in un unico atto, scatena l’infinità della faida. A differenza della vendetta, finalizzata a ripristinare soltanto l’infinità dell’offeso, la pena ripristina il valore del diritto, dunque la libertà e la dignità di tutti; il giudice, terzo tra offensore e offeso, essendo dalla parte della giustizia, è dalla parte non solo dell’offeso a cui dà la riparazione, ma anche dell’offensore, a cui dà l’espiazione. A dispetto della letteratura anarchica, punire il delitto è dunque in sé giusto: possono esserci pene sbagliate, ripugnanti, abnormi; questi difetti appartengono però alla realizzazione del concetto e non compromettono il concetto stesso. In altri termini, in un mondo più giusto del nostro ci sarebbero giudici e pene, perché anche ogni mondo è composto di individui che devono fronteggiare il loro lato naturale, la cui volontà può dunque diventare schiava del desiderio, violare l’esistenza della libertà altrui e infrangere la giustizia. Viceversa, un mondo senza pene non sarebbe affatto un mondo giusto, perché sarebbe un mondo in cui gli uomini sarebbero irresponsabili dei loro atti, non sarebbero più liberi.

Che la responsabilità delle proprie azioni sia per l’individuo identica alla sua libertà, che non vi si possa rinunciare senza perdere tutto, è già stato un tema della tragedia greca. L’eroe tragico ha voluto qualcosa senza avere previsto le conseguenze di ciò che ha voluto, dunque senza averle volute; di fronte alla realtà delle conseguenze non volute, egli è nel dilemma se disconoscerle affermando la propria irresponsabilità, cioè il proprio abbandono al destino, o se rivendicare la propria responsabilità, quindi la propria libertà, accettando il contrappasso anche di ciò che non ha voluto. Il suo eroismo è, come notò Hegel, il rivendicare ogni responsabilità, di ciò che ha voluto come di ciò che ne è seguito, preferendo la rovina al dominio del destino; accettandola muto, non recriminando contro le conseguenze non volute delle sue scelte, la sua libertà si estende sulla regione che prima ignorava; così il destino è svuotato e solo allora le Erinni possono trasformarsi in Eumenidi.

Lo sforzo di dimenticare e l’impunità comprata con il silenzio hanno ucciso il senso della giustizia e della libertà degli italiani, ne hanno paralizzato per molto tempo ogni reazione a una servitù sempre più soffocante. Dal delitto Moro in poi il loro ceto dirigente è infatti diventato preda della colpa inespiata: è cessata ogni apparenza di dignità del partito armato che non ha voluto accorgersi di essere stato il sicario dell’impero; è cessata anche la dignità della Democrazia Cristiana che ha prestato il definitivo atto di omaggio alle potenze vincitrici; ed è cessata infine la dignità del Partito Comunista che dal vecchio padrone è passato a ‘padron miglior’[5]. A Moro prigioniero non sfuggì il significato politico della fermezza nei confronti del suo caso; egli scrisse nel memoriale che per il PCI “il rigore, il rifiuto della flessibilità ed umanità è un certificato di ineccepibile condotta”; se “si guardano le cose che stanno accadendo e la durezza senza compromessi (come per scansare il sospetto) della posizione di Berlinguer (oltre che di altri) sull’odierna vicenda delle Brigate rosse, è difficile scacciare il sospetto che tanto rigore serva al nuovo inquilino della sede del potere in Italia per dire che esso ha tutte le carte in regola, che non c’è da temere defezioni, che la linea sarà inflessibile e che l’Italia e i paesi europei nel loro complesso hanno più da guadagnare che da perdere da una presenza comunista al potere.”[6] Infine l’orgia del servilismo, che la prima repubblica dissimulava e che solo l’occhio acuto di Moro poteva scorgere anche dove sembrava assente, è diventata manifesta come seconda repubblica.

Fausto Di Biase

Paolo Di Remigio

 

[1] Cfr. Giovanni Fasanella, Il puzzle Moro, Chiarelettere, Milano 2018, cfr. il capitolo La frontiera e la sconfitta, soprattutto la parte intitolata L’umiliazione dell’Italia.

[2] G. Bocca, Gli anni del terrorismo, Curdo, Milano, 1988-1989, pp. 174-175.

[3] G. Giannettini, La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria, disponibile al seguente indirizzo: http://www.misteriditalia.it/strategiatensione/nascita/interventi/14.pdf.

[4] Nei §§ 90-103. Cfr. anche i §§ 499-500 dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche.

[5] Don Giovanni, Atto II, Scena ultima.

[6] Citato in A. C. Moro, Storia di un delitto annunciato, Editori Riuniti, Roma 1998, pp. 257-258.

5 – Egemonia legale nel cyberspazio Di  Laurent BLOCH

Internet, vettore di potenza degli Stati Uniti?

5 – Egemonia legale nel cyberspazio

Di  Laurent BLOCH , 23 novembre 2018  Stampa l'articolo  lettura ottimizzata  Scarica l'articolo in formato PDF

Precedentemente capo dell’informatica scientifica presso l’Institut Pasteur, direttore del sistema informativo dell’Università Paris-Dauphine. È autore di numerosi libri sui sistemi di informazione e sulla loro sicurezza. Si dedica alla ricerca nella cyberstrategia. Autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti”, ed. Diploweb 2017.

L’industria informatica e Internet sono creazioni americane e gli europei sono stati per lo più seguaci, nonostante alcune brillanti eccezioni. Non sorprende quindi che rappresentanti di istituzioni e società statunitensi occupino posizioni chiave nella standardizzazione e organi direttivi nei settori tecnici e organizzativi di questi settori.

Diploweb.com , pubblica questo libro di Laurent Bloch, Internet, vettore del potere degli Stati Uniti? fornire a tutti gli elementi necessari per una valutazione equa della situazione. Questo libro è già disponibile su Amazon in formato digitale Kindle e in formato cartaceo . Sarà pubblicato qui come seriale, capitolo per capitolo, al ritmo di circa uno per trimestre.

Avvocato alla Corte d’appello di Parigi, specialista in diritto dei computer e delle reti, membro di diversi gruppi di esperti internazionali incaricati di questi argomenti, Olivier Iteanu ha pubblicato un breve ma denso libro “Quando il digitale sfida lo stato di diritto “. Mostra in modo incisivo come lo sviluppo di scambi di produzioni culturali in forma digitale, scambi in cui gli Stati Uniti occupano un posto preponderante, portano insidiosamente all’erosione delle norme legali europee, e più precisamente francesi, a favore della legge americana. .

Si noti che l’autore si espone al rimprovero dell’uso del termine digitale per qualificare tutte le produzioni (letterarie, artistiche, testuali, comunicative, epistolari …) elaborate da un processo informatico. I difensori della lingua francese obietteranno che avrebbe dovuto scrivere “numerique”, mentre l’inglese digitale si riferisce alle cifre e non ai numeri. Sarebbe bello creare in francese un aggettivo adeguato, numerico o numerico per esempio, ma dopo tutto il digitale è molto poco utilizzato, solo o quasi per le impronte digitali, quindi perché non dargli un nuovo significato, soprattutto più di quanto sia già entrato negli usi?

5 - Egemonia legale nel cyberspazio
Laurent Bloch, autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti?”, Ed. Diploweb via Amazon
Laurent Bloch spiega con pedagogia e precisione la geopolitica di Internet.

Il mondo sta cambiando e devi adattarti

La rivoluzione del cyberindustriale sta scuotendo la società riorganizzando l’economia a partire dall’informatica e dalle sue applicazioni, in particolare da Internet, diventa il sistema nervoso del mondo. Questo sconvolgimento influenza tanto le norme legali quanto l’economia in senso stretto. Tra queste trasformazioni, Olivier Iteanu considera più da vicino quelle risultanti dalla digitalizzazione, quindi (o digitalizzazione per gli anti-neologi), la registrazione di opere e comunicazioni tra umani: la musica è passata dal microsolco e dalla cassetta ai CD e poi ai podcast, la telefonia al giorno d’oggi passa su Internet, inoltre le conversazioni telefoniche non sono più che al settimo posto nell’elenco degli usi del telefono cellulare. La televisione, il cui dominio sulla massa sembrava irremovibile, sta regredendo rispetto alla contemplazione interattiva degli schermi dei computer, anche di quelli di un telefono. La rete fissa ha sempre meno seguaci tra i giovani.

Imperi industriali di Big Data

La diffusa digitalizzazione di creazioni e scambi genera un volume considerevole di dati che possono essere riprodotti e trasmessi a una velocità vicina a quella della luce e per un costo marginale vicino allo zero. Gli imperi industriali vengono costruiti sulla base di queste tecniche. Il potere di questi imperi, essenzialmente americani, conferisce loro un dominio culturale che si estende alle norme legali, che è l’oggetto di studio del nostro autore (gli altri aspetti di questo dominio culturale sono oggetto del prossimo capitolo).

L’insufficienza della presenza europea nel cyberspazio lascia il campo aperto a questi imperi, guidati dal GAFA, che vorrebbe suggerire di essere al di sopra degli stati, ma che in realtà sono i vettori della cultura, politica, economia e di diritto degli Stati Uniti. Olivier Iteanu descrive le tre principali tendenze della loro ideologia caratteristica: i libertari californiani, eredi dei creatori di Internet, per i quali lo stato, la legge e la proprietà privata devono essere ridotti al minimo (almeno sino al punto che il loro comfort sia preservato, pp. 24-26); le Società della Silicon Valley (pagg. 26-28), che si accontentano dello stato americano quando le sue leggi proteggono la loro proprietà privata e cantano i meriti del mercato fintanto che mantengono una posizione dominante in esso; lo Stato americano (pagg. 28-29), che usa l’ideologia libertaria come costume per rendere accettabile la sua politica egemonica per i giovani attori aggrappati al cyberspazio, come i gechi.

L’introduzione del libro fornisce la tabella di marcia di una ragazza moderna (pagg. 13-15): dal risveglio con l’agenda di Google fino al tramonto con il suo compagno di stanza reclutato da AirBnB, la sua vita è organizzato da Uber, Dropbox, WhatsApp, Instagram, Facebook, LinkedIn, Twitter, ecc. Nessuna di queste società ha sede in Francia e le loro Condizioni d’uso (UGC) stabiliscono che in caso di conflitto i tribunali da interpellare si trovano in vari paesi stranieri, con una concentrazione in California, ma nel frattempo raccolgono i dati dei loro utenti, che consentono di sapere tutto sulla loro vita professionale e privata, e queste preziose informazioni vengono commercializzate. Dovrebbe essere noto che la legislazione degli Stati Uniti non prevede alcuna protezione dei dati personali.


Un libro pubblicato da Diploweb.com, formato Kindle e tascabile


La legge statunitense contamina e estromette i diritti europei

Olivier Iteanu studia in modo più specifico il modo in cui, attraverso questi fenomeni, la legge americana contamina e talvolta rimuove la legge dei paesi europei; concentra la sua presentazione su quattro aree in cui queste tradizioni legali differiscono profondamente: la libertà di espressione, rispetto alla libertà di parola americana (pagina 31); la protezione della privacy (pagina 67); copyright (pagina 105); legge contro governance (p.141). In tutte queste aree, la tradizione anglosassone di common law, in cui vi è poca legislazione e in cui si fa molto affidamento su principi generali e giurisprudenza, si oppone alla tradizione continentale scritta del diritto positivo, con la sua legislazione più esplicita (pagg. 171-173).

Libertà di espressione

Per quanto riguarda la libertà di espressione, il pilastro della legge americana è il Primo Emendamento (1792) della Costituzione (1787), garantisce una libertà di espressione in linea di principio totale (potremmo vedere i limiti durante l’epoca di McCarthy). In Francia la libertà di espressione è garantita dalla costituzione e inquadrata da varie leggi, tra cui la legge sulla libertà di stampa del 1881 e vari testi che reprimono la diffamazione, l’insulto pubblico, l’incitamento all’odio razziale, eccetera È lecito a tutti preferire l’uno o l’altro approccio alla questione, ma poiché in un paese democratico, ad esempio la Francia, i rappresentanti del popolo sovrano hanno approvato una legge che ne sceglie una, questa legge si deve applicare e i trasgressori sono puniti in base ad essa. Questo è ciò che Olivier Iteanu ci ricorda, Questo non è il caso delle associazioni che presentano denunce contro gli operatori dei social network che consentono loro di pubblicare, ad esempio, testi razzisti che rientrano nelle leggi della Francia. Notiamo per inciso che gli stessi operatori censurano le foto della sirenetta del porto di Copenaghen per pornografia, cosa che può essere scioccante solo per un pubblico europeo.

Tutela della privacy

L’Europa è forse l’unica regione al mondo in cui i popoli e le autorità civili si preoccupano di proteggere la privacy dei cittadini  [ 1 ] . Negli Stati Uniti il ​​supermercato locale non esiterà per un secondo a vendere a un’agenzia pubblicitaria il testo completo dell’ultima ricevuta di un cliente con il suo numero di telefono. In Europa è vietato. Negli Stati Uniti ciò che è vero è la privacy, vale a dire il diritto a non essere soggetti a ricerche arbitrarie o visite a domicilio. Si noti che anche qui la posizione americana non è esente da qualche ipocrisia; è sufficiente evocare il nome di Edward Snowden e le sue sorprendenti rivelazioni per chiarirlo.

La legge americana protegge i cittadini statunitensi dalla polizia che ascolta le loro comunicazioni (nessuna protezione contro gli stranieri, ovviamente). Per aggirare questo ostacolo, la National Security Agency (NSA) collabora con servizi amichevoli, come il British Government Communications Headquarters(GCHQ), per effettuare le sue intercettazioni al di fuori del territorio degli Stati Uniti, anche in alto mare, dotando il sottomarino nucleare di attacco  Jimmy Carter delle attrezzature necessarie per la rilevazione e la sorveglianza delle fibre ottiche transoceaniche.

La Commissione europea e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti hanno ratificato il 26 luglio 2000 un accordo, Safe Harbor , che avrebbe dovuto proteggere i dati dei cittadini europei affidati agli operatori americani. Olivier Iteanu spiega perché questa protezione era illusoria, come è stata in ogni caso smantellata dal Patriot Act del 26 ottobre 2001, in che modo Safe Harbor è stato revocato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea su denuncia di un cittadino austriaco e perché il suo Privacy Shield sostitutivo non sarà migliore fintanto che il Patriot Act sarà in vigore.

diritto d’autore

Non stiamo scherzando con il copyright perché l’industria dell’intrattenimento e del cinema sono importanti articoli di esportazione per il commercio estero degli Stati Uniti. Ma chiaramente, in questo campo, le leggi e le convenzioni internazionali (Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche del 1886, emendata nel 1979) non sono adattate all’era digitale (digitale se preferite). Il capitolo del libro dedicato a questo argomento (pagg. 105-140) è molto esplicativo, la sua lettura è consigliata a chi vuole sapere di cosa si tratta.

Per quanto riguarda il diritto d’autore, possiamo anche leggere con profitto il contributo decisivo di Emmanuel Cauvin, Verso l’uberizzazione del diritto d’autore .

Legge e governance

L’industria informatica e Internet sono creazioni americane e gli europei sono stati per lo più seguaci, nonostante alcune brillanti eccezioni  [ 2 ] . Non sorprende quindi che rappresentanti di istituzioni e società statunitensi occupino posizioni chiave nella standardizzazione e negli organi direttivi nei settori tecnici e organizzativi di questi settori. Olivier Iteanu spiega abbastanza bene la posta in gioco politica cruciale di queste posizioni e perché è illusorio pensare che gli americani cederanno volontariamente il loro dominio, contrariamente a quanto suggeriscono le chiacchiere attuali su ICANN.

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CASO EPSTEIN! Debolezze e vulnerabilità dei potenti_di Gianfranco Campa

Alle 6.30, ora di New York, del 10 agosto 2019, Jeffrey Epstein, 66 anni, si è suicidato nella sua cella dove era detenuto in attesa di processo. L’ufficio responsabile delle carceri federali ha annunciato che Jeffrey Epstein si è impiccato in una cella del Metropolitan Correctional Center di Manhattan. Già il Il 24 luglio,  Epstein era stato trovato ferito e semi-cosciente nella sua cella di prigione con segni di strangolamento sul collo. Da lì fu presa la decisione di metterlo sotto speciale sorveglianza. Non è ancora chiaro se quell’incidente fosse un tentativo di suicidio o una aggressione di un altro detenuto.

La morte di Jeffrey Epstein in regime di detenzione è equiparabile alla versione italiana di morti “opportune”, di uomini potenti e scomodi che muoiono in prigione bevendo un caffè al cianuro. Data la riconosciuta brutalità, gli americani a differenza degli italiani preferiscono spezzare il collo piuttosto che servire un espresso mattutino avvelenato. Comunque sia, Epstein non c’è più; le conseguenze della morte del pedofilo newyorkese sono tutte ancora de decifrare. Si spenderanno fiumi di parole, di ipotesi, di opinioni; tutti diventeranno esperti del caso Epstein. La sua morte verrà strumentalizzata a scopi politici, a seconda della appartenenze ideologiche. Per i Repubblicani il caso Epstein mostra la evidente immoralità e corruzione dei politici democratici, visti i nomi del calibro di Clinton, Richardson e Mitchell (tutti politici democratici di peso) coinvolti nello scandalo. Per i democratici il caso Epstein rappresenta l’ennesima prova del carattere indecente di Donald Trump, visto che il presidente è stato più volte accusato di molestie sessuali. E non è detto che, approfittando della contingenza, per colpire il bersaglio grosso costoro non esitano a sacrificare qualche nobile decaduto di casa propria. Trump ed Epstein sono stati amici fino al 2004 il momento in cui l’amicizia fra i due si interruppe bruscamente. Epstein fu messo letteralmente alla porta.

Epstein era stato arrestato lo scorso 7 luglio  all’aeroporto del New Jersey su mandato di cattura del distretto meridionale federale di New York in quanto indagato per cospirazione, traffico di ragazze minorenni e violenza carnale. Per queste accuse Epstein rischiava fino a 45 anni di carcere. I casi cui si riferiscono le accuse dei procuratori di New York riguardano attività illecite nelle residenze di Epstein di New York e Florida. Il  procuratore a capo dell’inchiesta a carico di Jeffrey Epstein è Maurene Comey, figlia di James Comey, ex capo del FBI. Un particolare questo passato stranamente inosservato ai più,  ma che aggiunge alla già tenebrosa, complicata,  storia di Jeffrey Epstein, una dimensione politica particolare, visto il ruolo determinante che il padre, James Comey, ha avuto nel sollevare Hillary Clinton dallo scandalo delle 33000 email secretate prima e nella costruzione del Russiagate dopo. Non è quindi inverosimile sospettare che l’inchiesta su Epstein, avviata dal covo di vipere anti-trumpiane del distretto meridionale federale di New York, tenda a risucchiare Trump nel giro di Epstein e allo stesso momento lasciare nell’ombra o perlomeno a sminuire i collegamenti di Bill Clinton con i loschi affari di Epstein. Se questa ipotesi fosse vera, per i procuratori di New York sarà una impresa improba il tentativo di salvataggio della reputazione di Bill Clinton nonostante le sue ventisei visite accertate nelle case del matematico.

Il caso Epstein, il tipico esempio di quando si chiudono le porte della stalla dopo che i buoi sono già scappati. 

La morte di Epstein avviene il giorno dopo in cui la corte d’appello federale di Manhattan aveva dato l’assenso nel rendere pubblico il dossier di 2.000 pagine di documenti che descrivono con dovizia di particolari le accuse di abusi sessuali ai danni di ragazze minorenni. La morte di Epstein dopo la pubblicazione di questi documenti non è probabilmente una coincidenza così fortuita. I documenti resi pubblici sono il frutto delle testimonianze di alcune delle vittime del pedofilo Epstein; tra di esse Virginia Giuffrè. Il  plico dei documenti giudiziari è una fonte immane di informazioni dettagliate che descrivono i crimini di Epstein; svelano molti dei nomi coinvolti nella trama. Tra di essi Donald Trump, Bill Clinton, l’avvocato di fama mondiale Alan Dershowitz, e il Principe Andrew, duca di York .

Ai documenti pubblicati dalla Corte Federale si aggiungono testimonianze e prove che negli anni, altri personaggi conosciuti e potenti, sono stati associati al circuito di Epstein: Bill Gates, Richard Branson, Tony Blair, Michael Bloomberg, Naomi Campbell, Dustin Hoffman, Larry Summers, attori come Kevin Spacey, Woody Allen, Alec Baldwin, George Mitchell, l’ex senatore democratico, Bill Richardson, ex governatore democratico del Nuovo Messico, Les Wexner, amministratore e fondatore della catena Victoria Secrets, ect ect ect. ect .

Bisogna chiarire che le connessioni di Epstein negli ambienti delle élite internazionali ha portato giocoforza negli anni ad associare Epstein a molte figure e celebrità potenti. Nei circoli elitisti è facile incontrare le stesse persone; in questo senso non tutti coloro che sono stati fotografati a fianco di Epstein erano partecipi oppure consapevoli dei comportamenti immorali e criminosi del finanziere.

Ci sono tre categorie di individui che hanno frequentato il pedofilo Epstein:

1 Quelli che hanno incrociato la strada di Epstein senza coltivare necessariamente una amicizia stretta, ma solo una conoscenza generica.

2 Quelli che erano amici di Epstein e non erano necessariamente al corrente delle sue malefatte

3 Quelli che, prove alla mano, ero amici partecipi,  beneficiari e complici dei suoi loschi comportamenti.

ll nome di Epstein è assurto alle cronache solo negli ultimi tempi; in realtà Epstein, in determinati ambienti della politica, della finanza, della giustizia e dei complottisti era già una vecchia conoscenza da almeno quindici anni, per una serie di motivi ovviamente non del tutto edificanti.

La vita di Jeffrey Epstein è incredibilmente complicata da narrare e decifrare. Principalmente per due motivi: Jeffrey Epstein, nonostante la trovata tardiva notorietà tra i mass media e la gente comune, per quasi tutta la sua vita è riuscito a condurre una esistenza riservata e accessibile solo a un gruppo ristretto di persone potenti e selezionate; come prima accennato la vita di Epstein è stata un complicato intreccio di un network che si snoda fra rapporti nazionali, internazionali, sociali e di affari con potenti figure di rilevanza mondiale.

Veniamo ai fatti, quelli  inconfutabili e documentabili. I complotti, le teorie della cospirazione le lasciamo per il momento ai margini di questa storia anche se giocano un ruolo importante intorno alla figura del protagonista e meritano per lo meno una menzione.

Partiamo dal principio!

Epstein ha cominciato la sua carriera come insegnante  in una scuola di Manhattan. Iniziò a insegnare nel settembre del 1974 alla Dalton school. E qui dobbiamo contraddire una teoria di cospirazione che in questi giorni serpeggia nei social media secondo la quale il padre dell’attuale procuratore generale Bill Barr, cioè Donald Barr, fosse, nel settembre del 1974, uno degli amministratori della Dalton e avrebbe assunto personalmente Jeffrey Epstein alla scuola come insegnante. La verità è che Donald Barr aveva lasciato la scuola Dalton nel Marzo del 1974, sei mesi prima che Epstein iniziasse ivi a lavorare. Quindi le strade del procuratore generale Bill Barr, Donald Barr ed Epstein non si sono incrociate. E’ pura forzatura che questi due cognomi siano stati associati alla stessa scuola.

Nel 1978 Epstein fu assunto da Alan Greenberg come consulente finanziario per la banca Bear Sterns, grosso istituto di investimento globale che fallì con la crisi del 2008. Apparentemente Greenberg fu colpito dalle abilità matematiche di Epstein, nel frangente professore dei suoi figli, studenti della Dalton.

Nel 1981, in circostanze non del tutto chiarite, Epstein fu licenziato da  Bear Stearns. In quello stesso anno Epstein avvio un’attività in proprio fondando un istituto di consulenza finanziaria chiamata Intercontinental Assets Group. Nel 1988 Epstein fondò un’altra società di gestione finanziaria cui diede il proprio nome: La Epstein Inc. Questa seconda finanziaria era specializzata nel gestire il portafoglio di clienti con almeno un miliardo di dollari a disposizione. E durante questo periodo, a contatto con molti miliardari a livello nazionale e internazionale, che Epstein conosce potenti entità, figure del mondo politico, mediatico, finanziario e anche scientifico. Infatti, Epstein organizzava frequentemente conferenze in ambito scientifico con lo scopo di raccogliere fondi per finanziare vari progetti. Non è sorprendente;  Epstein, come ho detto in precedenza,  ha iniziato la sua carriera come professore di matematica. Tra gli scienziati amici di Epstein figurano Stephen Hawking,  Martin Nowak e Lawrence Krauss. Quest’ultimo è uno scienziato di spicco, un fisico teorico di fama internazionale con alle spalle molti anni di ricerca. Autore di numerosi libri di successo e prolifico docente noto per il suo stile vivace e accattivante. Le sue lezioni di cosmologia raccolgono regolarmente migliaia se non milioni di visualizzazioni su YouTube. Senza sminuire le capacità intellettuali di un grande scienziato, Krauss è purtroppo stato  accusato da molte donne di molestie sessuali; comportamenti di cui Krauss si sarebbe reso responsabile nel corso di oltre un decennio.

Alla metà degli anni 2000, nel 2005 per l’esattezza, la stampa americana riportò la notizia che la polizia di Palm Beach, in Florida, fu contattata dalla madre di una ragazzina di 14 anni, in quanto la figlia, per 400 dollari di ricompensa, era stata costretta a spogliarsi di fronte a Epstein nella sua casa di Palm Beach e fargli un massaggio. Quella denuncia portò la Polizia di Palm Beach ad aprire una inchiesta di undici mesi in cui emerse che oltre 40 ragazzine minorenni furono abusate da Epstein nella sua residenza a Palm Beach. In quella stessa residenza la polizia fece irruzione con un mandato di perquisizione e vi raccolse quantità industriali di indizi sui comportamenti e i loschi affari di Epstein.

Nel rapporto della polizia di Palm Beach è documentato in dettaglio come veniva gestito il giro di pedofilia gestito da Epstein. La sua fidanzata, Ghislaine Maxwell, aiutava a reclutare le adolescenti per suo conto.

Chi era questa signora Maxwell, fidanzata di Epstein?

Brevemente apro una parentesi: Ghislaine Maxwell è la figlia del defunto ex magnate inglese Robert Maxwell; personaggio controverso, morto affogato nella isole Canarie, in circostanze sospette nel 1991. Ghislaine Maxwell faceva da intermediaria nel reclutare le giovani vittime per soddisfare le abitudini pedofile di Epstein. Secondo il rapporto della polizia, la testimonianza di una delle vittime di Epstein, una certa Haley Roberts, riferiva che Maxwell ed Epstein reclutavano le ragazze dai quartieri più poveri degli Stati Uniti. Ma anche dall’Est Europeo, dalla Francia e nel Sud America.

Uno altro intermediario per il reclutamento di bambine era, secondo alcune testimonianze delle vittime, il francese Jean-Luc Brunel. Il francese Brunel è il co-fondatore di MC2, un’agenzia di modelle con sede a Tel Aviv e Miami.

L’inchiesta della polizia di Palm Beach, cominciata nel Marzo del 2005 e conclusasi nel Febbraio del 2006, raccomandava al procuratore federale di convalidare quattro capi di accusa contro Jeffrey Epstein. Le quattro imputazioni configurano la violenza carnale ai danni di ragazze minorenni. Imputazione che, se convalidate dal procuratore, avrebbe dovuto portare ad un processo a seguito del quale Epstein rischiava il carcere a vita. Gli uffici del  procuratore locale e federale decisero però di temperare le accuse contro Epstein, riducendo i  capi di accusa ad uno solo, cambiandolo da violenza carnale a sollecitazione alla prostituzione. Un capo di accusa appunto mitigato rispetto a quelli di violenza carnale.

All’epoca il trattamento benevolente mostrato dai giudici e procuratori federali nei riguardi di Epstein, fece imbestialire la polizia di Palm Beach. Il capo della polizia Michael Raider, accusò il procuratore della contea di Palm Beach di essersi sottomesso alla volontà di gente ricca e potente, prima per aver minimizzato la moltitudine di prove presenti nel rapporto della polizia e poi per aver trasmesso la responsabilità investigativa all’FBI, trasferendo il procedimento penale dalla corte locale a quella federale.

Il patteggiamento tra le autorità giudiziarie federali e gli avvocati di Epstein consistette nel pagamento per danni materiali, psichici e fisici alle vittime di Epstein di un indennizzo di svariati milioni di dollari sommati a diciotto mesi di carcere dei quali  tredici effettivamente scontati e per di più in stato di semilibertà.

Come conseguenza del patteggiamento le migliaia di pagine di documenti relativi all’inchiesta della polizia di Palm Beach furono messi sotto sigillo istruttorio prevenendone la diffusione.

Al processo penale con condanna definitiva ridotta a tredici mesi, sequì per Epstein una causa civile intentata dagli avvocati delle vittime. Nel 2008 gli avvocati rappresentati di alcune delle vittime di Epstein, fecero causa civile sia contro Epstein sia contro il governo americano reivindicando, in linea con la legge federale, il diritto a togliere il sigillo alle 1500 pagine di documenti e riaprire quindi il processo criminale; richiesta motivata dalla scoperta di nuovi elementi incriminatori contro Epstein. La richiesta delle vittime di Epstein di pubblicare il dossier fu respinta dal giudice. Una decisione che ha rinforzato negli anni la convinzione che Epstein avesse delle connessioni e conoscenze in settori potenti della politica e giustizia americana.

Qui apriamo la parentesi su i servizi di intelligence.  Il procuratore che nel 2006 si rifiutò di procedere contro Epstein sui quattro capi di imputazione generati dell’inchiesta della polizia di Palm Beach era Alexander Acosta.

Chi e`Acosta?

È stato, fino alle sue dimissioni, avvenute il 19 di luglio scorso , segretario al lavoro dell’amministrazione Trump. Le dimissioni di Acosta risultano alquanto sospette, visto che Epstein era stato arrestato qualche giorno prima della decisione di Acosta. Una semplice coincidenza,oppure Acosta sapeva che l’arresto di Epstein avrebbe indotto un enorme interesse sul suo operato?

Le feroci critiche della polizia di Palm Beach, delle vittime di Epstein e in generale dei cittadini comuni costrinsero Acosta all’epoca, nel 2006 appunto, a difendersi con energia dalle accuse di corruzione e favoritismi arrivate da tutti i fronti. Acosta disse che non c’erano abbastanza prove per garantire una condanna di Epstein al processo. Disse anche che all’epoca fu soggetto a una pressione enorme da parte di avvocati rappresentanti di vari personaggi di rilievo, ma la cosa più importante che ammise fu la pesante pressione giunta anche dall’FBI; gli fece capire in sostanza che Epstein era un loro collaboratore. Una dichiarazione scioccante di Acosta. All’epoca non fece scalpore ma ora, con Epstein sepolto con i suoi segreti, assume un enorme e torbido significato.

Molte domande sorgono spontanee su questo presunto rapporto Servizi-Epstein.

Che tipo di compito assolveva Epstein nell’FBI? Cosa poteva offrire Epstein in termini di operazioni di controspionaggio dell’FBI? Il ruolo di Epstein potrebbe essere stato solo e semplicemente quello di una spia per conto dell’FBI su operazioni anti-prostituzione, anti-pedofilia. Quest’ultima ipotesi sembra la meno probabile.

Le affermazioni di Acosta invece si prestano purtroppo ad un’altra interpretazione. La sensazione è che Epstein contribuiva ed era la pedina principale di un rapporto  di spionaggio tra diverse agenzie di intelligence.

A sostegno di questa ipotesi abbiamo la testimonianza di alcuni inquilini del palazzo dove viveva Epstein a New York. L’ex primo ministro israeliano ed ex capo dell’intelligence militare israeliana, Ehud Barak, era stato visto spesso entrare ed uscire dal lussuoso condominio di Jeffrey Epstein a New York. I condomini del 301, collocato sulla 66th St. est, sapevano quando Ehud Barak era presente a casa di Epstein, poiché erano visibili macchine appariscenti parcheggiate fuori la strada, di fronte al condominio e guardie della sicurezza piazzate nell’androne.

Le voci più ricorrenti sono  quelle che descrivono Epstein come doppio agente di FBI e Mossad. Se così fosse tutte quelle personalità potenti e importanti che per anni hanno frequentato Epstein potrebbero improvvisamente ritrovarsi da predatori di giovani donne a prede dei servizi di intelligence; quindi ricattabili. E più che plausibile che Epstein abbia registrato, con telecamere nascoste, gli incontri spinti e osè di questi personaggi. Si sa poi che spesso l’uomo quando si ritrova in un situazione, chiamiamola di intimità, parla dicendo più di quello che dovrebbe e vorrebbe.

Che materiale possedeva Epstein sui visitatori facoltosi che hanno  frequentato la piccola Saint James, isola dell’arcipelago delle Vergini, nella sua abitazione a Palm Beach e in quella di New York? Quanto materiale aveva accumulato negli anni Epstein? Documenti che potevano contenere rivelazioni talmente scabrose da poter ricattare un numero considerevole di uomini ricchi e potenti? In questo senso sarei più che curioso di sapere che cosa gli agenti dell’FBI hanno sequestrato nel corso dell’irruzione nell’isola di Epstein, piuttosto di sapere come sia morto Epstein. Suicidio o non suicidio a questo punto non fa più differenza. Ci sono domande ben più importanti cui rispondere riguardo ai trascorsi di Jeffrey Epstein

I video e le foto della moltitudine di agenti federali confluiti sull’ isola di Jeffrey Epstein, mi lasciano più irrequieto della morte stessa di Epstein. Gli agenti hanno sequestrato tonnellate di indizi utili a fare chiarezza sulle attività di Epstein. L’unico problema è che stiamo parlando di funzionari appartenenti ad  un’agenzia che prima ha protetto Epstein e poi l’ha usato per i propri scopi. Sarebbe poi la stessa agenzia che ha indagato su Hillary Clinton e l’ha alleggerita dai sospetti. La stessa agenzia che ha chiuso la sua inchiesta sulla strage di Las Vegas senza trovare un apparente movente. La stessa agenzia che ha utilizzato la corte FISA per ottenere dai giudici il permesso di sorvegliare  gli associati di Trump usando come prova il fasullo dossier di Christopher Steele. Come disse un tale Andreotti: “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.

Così la domanda da porsi è la seguente: Gli agenti sono andati lì per raccogliere indizi utili a far luce una volta per tutte sugli intrecci, sui rapporti intricati e tentacolari di un personaggio enigmatico come Epstein, oppure per distruggere e coprire le tracce di qualcuno e qualcosa o di troppe cose? Questa foga investigativa sarebbe tornata utile molti anni fa per prevenire la vittimizzazione di centinaia di povere ragazze minorenni da parte di Epstein.

A proposito di ragazze; Quante sono le ragazze minorenni che Epstein ha coinvolto nel suo giro? Juan Alessi, ex manager delle proprietà di Epstein, disse che in un arco di 10 anni, c’erano state più di 100 ragazze  che entravano e uscivano dalle proprietà di Epstein. Cento sarebbe quindi il numero di partenza; una stima per difetto, Probabilmente si tratta di centinaia di ragazze che negli anni sono state coinvolte nel giro di sfruttamento , sequestro e violenza perpetrata ai loro danni da Epstein e dai suoi associati.

Dopo la morte di Epstein Ghislaine Maxwell diventa la figura principale di questa inchiesta. Dopo Epstein, Maxwell è la protagonista che conosce i segreti più intimi del giro di Epstein, quella che più di tutti, dopo di lui, si è resa responsabile delle tratte di ragazze minorenni introdotte in quel torbido giro. Maxwell sarà la chiave per risolvere molti dei misteri che Epstein si è portato con sé all’inferno. Sempre che faccia in tempo a parlare.

NB Qui sotto tutta la documentazione citata nell’articolo con relativo motore di ricerca per facilitare l’accesso a dati specifici. E’ in lingua originale, ma vale la pena scorrerlo_Giuseppe Germinario

https://www.documentcloud.org/documents/6250471-Epstein-Docs.html

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