Critica della critica delle armi del generale Marco Bertolini, di Massimo Morigi

Critica della critica delle armi del generale Marco Bertolini. Elementi contro  la pandemia del  Cthulhu morbus  dello  spazio psichico, culturale, sociale, politico e giuridico delle odierne democrazie rappresentative

 Di Massimo Morigi

«Se vi ricorda bene, Cosimo, voi mi dicesti che, essendo io dall’uno canto esaltatore della antichità e biasimatore di quegli che nelle cose gravi non la imitano, e, dall’altro, non la avendo io nelle cose della guerra, dove io mi sono affaticato, imitata, non ne potevi ritrovare la cagione; a che io risposi come gli uomini che vogliono fare una cosa, conviene prima si preparino a saperla fare, per potere poi operarla quando l’occasione lo permetta. Se io saprei ridurre la milizia ne’ modi antichi o no, io ne voglio per giudici voi che mi avete sentito sopra questa materia lungamente disputare; donde voi avete potuto conoscere quanto tempo io abbia consumato in questi pensieri, e ancora credo possiate immaginare quanto disiderio sia in me di mandargli ad effetto. Il che se io ho potuto fare, o se mai me ne è stata data occasione, facilmente potete conietturarlo. Pure per farvene più certi, e per più mia giustificazione, voglio ancora addurne le cagioni; e parte vi osserverò quanto promissi di dimostrarvi: le difficultà e le facilità che sono al presente in tali imitazioni. Dico pertanto come niuna azione che si faccia oggi tra gli uomini, è più facile a ridurre ne’ modi antichi che la milizia, ma per coloro soli che sono principi di tanto stato, che potessero almeno di loro suggetti mettere insieme quindici o ventimila giovani. Dall’altra parte, niuna cosa è più difficile che questa a coloro che non hanno tale commodità. E perché voi intendiate meglio questa parte, voi avete a sapere come e’ sono di due ragioni capitani lodati. L’una è quegli che con uno esercito ordinato per sua naturale disciplina hanno fatto grandi cose, come furono la maggior parte de’ cittadini romani e altri che hanno guidati eserciti; i quali non hanno avuto altra fatica che mantenergli buoni e vedere di guidargli sicuramente. L’altra è quegli che non solamente hanno avuto a superare il nimico, ma, prima ch’egli arrivino a quello, sono stati necessitati fare buono e bene ordinato l’esercito loro, i quali sanza dubbio meritono più lode assai che non hanno meritato quegli che con gli eserciti antichi e buoni hanno virtuosamente operato. Di questi tali fu Pelopida ed Epaminonda, Tullo Ostilio, Filippo di Macedonia padre d’Alessandro, Ciro re de’ Persi, Gracco romano. Costoro tutti ebbero prima a fare l’esercito buono, e poi combattere con quello. Costoro tutti lo poterono fare, sì per la prudenza loro, sì per avere suggetti da potergli in simile esercizio indirizzare. Né mai sarebbe stato possibile che alcuno di loro, ancora che uomo pieno d’ogni eccellenza, avesse potuto in una provincia aliena, piena di uomini corrotti, non usi ad alcuna onesta ubbidienza, fare alcuna opera lodevole. Non basta adunque in Italia il sapere governare uno esercito fatto, ma prima è necessario saperlo fare e poi saperlo comandare. E di questi bisogna sieno quegli principi che, per avere molto stato e assai suggetti, hanno commodità di farlo. De’ quali non posso essere io che non comandai mai, né posso comandare se non a eserciti forestieri e a uomini obligati ad altri e non a me. Ne’ quali s’egli è possibile o no introdurre alcuna di quelle cose da me oggi ragionate, lo voglio lasciare nel giudicio vostro. Quando potrei io fare portare a uno di questi soldati che oggi si praticano, più armi che le consuete, e, oltra alle armi, il cibo per due o tre giorni e la zappa? Quando potrei io farlo zappare o tenerlo ogni giorno molte ore sotto l’armi negli esercizi finti, per potere poi ne’ veri valermene? Quando si asterrebbe egli da’ giuochi, dalle lascivie, dalle bestemmie, dalle insolenze che ogni dì fanno? Quando si ridurrebbero eglino in tanta disciplina e in tanta ubbidienza e reverenza, che uno arbore pieno di pomi nel mezzo degli alloggiamenti vi si trovasse e lasciasse intatto come si legge che negli eserciti antichi molte volte intervenne? Che cosa posso io promettere loro, mediante la quale e’ mi abbiano con reverenza ad amare o temere, quando, finita la guerra, e’ non hanno più alcuna cosa a convenire meco? Di che gli ho io a fare vergognare, che sono nati e allevati sanza vergogna? Perché mi hanno eglino ad osservare che non mi conoscono? Per quale Iddio, o per quali santi gli ho io a fare giurare? Per quei ch’egli adorano, o per quei che bestemmiano? Che ne adorino non so io alcuno, ma so bene che li bestemmiano tutti. Come ho io a credere ch’egli osservino le promesse a coloro che ad ogni ora essi dispregiano? Come possono coloro che dispregiano Iddio, riverire gli uomini? Quale dunque buona forma sarebbe quella che si potesse imprimere in questa materia? E se voi mi allegassi che i Svizzeri e gli Spagnuoli sono buoni, io vi confesserei come eglino sono di gran lunga migliori che gli Italiani; ma se voi noterete il ragionamento mio e il modo del procedere d’ambidue, vedrete come e’ manca loro di molte cose ad aggiugnere alla perfezione degli antichi. E i Svizzeri sono fatti buoni da uno loro naturale uso causato da quello che oggi vi dissi, quegli altri da una necessità; perché, militando in una provincia forestiera e parendo loro essere costretti o morire o vincere, per non parere loro avere luogo alla fuga, sono diventati buoni. Ma è una bontà in molte parti defettiva, perché in quella non è altro di buono, se non che si sono assuefatti ad aspettare il nimico infino alla punta della picca e della spada. Né quello che manca loro, sarebbe alcuno atto ad insegnarlo, e tanto meno chi non fusse della loro lingua. Ma torniamo agli Italiani, i quali, per non avere avuti i principi savi, non hanno preso alcuno ordine buono, e, per non avere avuto quella necessità che hanno avuta gli Spagnuoli, non gli hanno per loro medesimi presi; tale che rimangono il vituperio del mondo. Ma i popoli non ne hanno colpa, ma sì bene i principi loro; i quali ne sono stati gastigati, e della ignoranza loro ne hanno portate giuste pene perdendo ignominiosamente lo stato, e sanza alcuno esemplo virtuoso. Volete voi vedere se questo che io dico è vero? Considerate quante guerre sono state in Italia dalla passata del re Carlo ad oggi; e solendo le guerre fare uomini bellicosi e riputati, queste quanto più sono state grandi e fiere, tanto più hanno fatto perdere di riputazione alle membra e a’ capi suoi. Questo conviene che nasca che gli ordini consueti non erano e non sono buoni; e degli ordini nuovi non ci è alcuno che abbia saputo pigliarne. Né crediate mai che si renda riputazione alle armi italiane, se non per quella via che io ho dimostra e mediante coloro che tengono stati grossi in Italia; perché questa forma si può imprimere negli uomini semplici, rozzi e proprii, non ne’ maligni, male custoditi e forestieri. Né si troverrà mai alcuno buono scultore che creda fare una bella statua d’un pezzo di marmo male abbozzato, ma sì bene d’uno rozzo. Credevano i nostri principi italiani, prima ch’egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre, che a uno principe bastasse sapere negli scrittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera, mostrare ne’ detti e nelle parole arguzia e prontezza, sapere tessere una fraude, ornarsi di gemme e d’oro, dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri, tenere assai lascivie intorno, governarsi co’ sudditi avaramente e superbamente, marcirsi nello ozio, dare i gradi della milizia per grazia, disprezzare se alcuno avesse loro dimostro alcuna lodevole via, volere che le parole loro fussero responsi di oraculi; né si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava. Di qui nacquero poi nel mille quattrocento novantaquattro i grandi spaventi, le subite fughe e le miracolose perdite; e così tre potentissimi stati che erano in Italia, sono stati più volte saccheggiati e guasti. Ma quello che è peggio, è che quegli che ci restano stanno nel medesimo errore e vivono nel medesimo disordine, e non considerano che quegli che anticamente volevano tenere lo stato, facevano e facevano fare tutte quelle cose che da me si sono ragionate, e che il loro studio era preparare il corpo a’ disagi e lo animo a non temere i pericoli. Onde nasceva che Cesare, Alessandro e tutti quegli uomini e principi eccellenti, erano i primi tra’ combattitori, andavano armati a piè, e se pure perdevano lo stato, e’ volevano perdere la vita; talmente che vivevano e morivano virtuosamente. E se in loro, o in parte di loro, si poteva dannare troppa ambizione di regnare, mai non si troverrà che in loro si danni alcuna mollizie o alcuna cosa che faccia gli uomini delicati e imbelli. Le quali cose, se da questi principi fussero lette e credute, sarebbe impossibile che loro non mutassero forma di vivere e le provincie loro non mutassero fortuna. E perché voi, nel principio di questo nostro ragionamento, vi dolesti della vostra ordinanza, io vi dico che, se voi la avete ordinata come io ho di sopra ragionato ed ella abbia dato di sé non buona esperienza, voi ragionevolmente ve ne potete dolere; ma s’ella non è così ordinata ed esercitata come ho detto, ella può dolersi di voi che avete fatto uno abortivo, non una figura perfetta. I Viniziani ancora e il duca di Ferrara la cominciarono e non la seguirono, il che è stato per difetto loro, non degli uomini loro. E io vi affermo che qualunque di quelli che tengono oggi stati in Italia prima entrerrà per questa via, fia, prima che alcuno altro, signore di questa provincia; e interverrà allo stato suo come al regno de’ Macedoni, il quale, venendo sotto a Filippo che aveva imparato il modo dello ordinare gli eserciti da Epaminonda tebano, diventò, con questo ordine e con questi esercizi, mentre che l’altra Grecia stava in ozio e attendeva a recitare commedie, tanto potente che potette in pochi anni tutta occuparla, e al figliuolo lasciare tale fondamento, che potéo farsi principe di tutto il mondo. Colui adunque che dispregia questi pensieri, s’egli è principe, dispregia il principato suo; s’egli è cittadino, la sua città. E io mi dolgo della natura, la quale o ella non mi dovea fare conoscitore di questo, o ella mi doveva dare facultà a poterlo eseguire. Né penso oggimai, essendo vecchio, poterne avere alcuna occasione; e per questo io ne sono stato con voi liberale, che, essendo giovani e qualificati, potrete, quando le cose dette da me vi piacciano, ai debiti tempi, in favore de’ vostri principi, aiutarle e consigliarle. Di che non voglio vi sbigottiate o diffidiate, perché questa provincia pare nata per risuscitare le cose morte, come si è visto della poesia, della pittura e della scultura. Ma quanto a me si aspetta, per essere in là con gli anni, me ne diffido. E veramente, se la fortuna mi avesse conceduto per lo addietro tanto stato quanto basta a una simile impresa, io crederei, in brevissimo tempo, avere dimostro al mondo quanto gli antichi ordini vagliono; e sanza dubbio o io l’arei accresciuto con gloria o perduto sanza vergogna.»: Niccolò Machiavelli, Dell’arte della guerra, libro VII, in   Mario Martelli (a cura di), Niccolò Machiavelli. Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1971, pp. 387-389. Se nel Principe il rapporto fra virtù e fortuna era risolta in un sempre instabile e dinamico equilibrio, con le amare parole dell’anziano condottiero Fabrizio Colonna davanti ai suoi giovani uditori che chiudono L’Arte della guerra («E veramente, se la fortuna mi avesse conceduto per lo addietro tanto stato quanto basta a una simile impresa, io crederei, in brevissimo tempo, avere dimostro al mondo quanto gli antichi ordini vagliono; e sanza dubbio o io l’arei accresciuto con gloria o perduto sanza vergogna.»), suggello finale di tutto un ragionamento   dove sì si afferma che sarebbe possibile ripetere, anche se aggiornandole alle moderne esigenze, le virtù e le forme di combattimento dei romani solo se i principi lo volessero, ma i principi non vogliono o non ne sono capaci, Machiavelli ha ormai  risolto in favore della fortuna il dinamico ed instabile rapporto e L’arte della guerra può quindi essere considerata non solo un trattato polemologico (fra poco vedremo, al contrario di quanto ha detto parte della critica moderna, non viziato dal tarlo dell’imitazione dei modelli classici ma di pressante attualità) ma anche il resoconto di un’esistenza, quella del Segretario fiorentino, dove la  grande dottrina sull’arte dello Stato non era stata accompagnata da ugual fortuna nella vita e carriera personali. E veramente ascoltando le due videointerviste e gli interventi che del generale a riposo Marco Bertolini sono pubblicate sull’ “Italia e il Mondo” (le due videointerviste: Istituzioni e sovranità. La funzione dell’esercito italiano. Ne discutiamo con il generale Marco Bertolini ( videointervista al generale Marco Bertolini a cura di Giuseppe Germinario), in “L’ Italia e il Mondo”,  19 aprile 2020, agli URL http://italiaeilmondo.com/2020/04/19/istituzioni-e-sovranita-la-funzione-dellesercito-italiano-ne-discutiamo-con-il-generale-marco-bertolini/ e                                                                                                            https://www.youtube.com/watch?time_continue=4138&v=U2r8nvufsss&feature=emb_logo, e vista l’importanza del documento  successivo nostro download e ricaricamento su Internet Archive generando gli URL https://archive.org/details/y-2mate.com-esercito-identita-e-interesse-nazionali.-una-conversazione-con-il-ge  e https://ia601405.us.archive.org/32/items/y-2mate.com-esercito-identita-e-interesse-nazionali.-una-conversazione-con-il-ge/y2mate.com%20-%20esercito%2C%20identit%C3%A0%20e%20interesse%20nazionali.%20Una%20conversazione%20con%20il%20Generale%20Marco%20Bertolini_U2r8nvufsss_360p.mp4Intervista al generale Marco Bertolini. Il concetto di sovranità e la sua declinazione in politica (videointervista al generale Marco Bertolini a cura di Giuseppe Germinario), in “L’Italia e il Mondo”, 23 maggio 2019, agli URL originari  http://italiaeilmondo.com/?s=intervista+generale                                                                          e https://www.youtube.com/watch?time_continue=694&v=65AUs7rdmZM&feature=emb_logo; successivo nostro download e ricaricamento su Internet Archive, generando gli URL  https://archive.org/details/y-2mate.com-intervista-al-generale-marco-bertolini-la-sovranita-e-la-sua-declina                                                                                                                   e                                      https://ia801504.us.archive.org/15/items/y-2mate.com-intervista-al-generale-marco-bertolini-la-sovranita-e-la-sua-declina/y2mate.com%20-%20intervista%20al%20Generale%20Marco%20Bertolini_La%20sovranit%C3%A0%20e%20la%20sua%20declinazione%20in%20politica_65AUs7rdmZM_360p.mp4. Mentre per quanto riguarda i documenti scritti, all’ URL dell’ “Italia e il Mondo” http://italiaeilmondo.com/?s=bertolini, congelamento Wayback Machine  https://web.archive.org/web/20200429143150/http://italiaeilmondo.com/?s=bertolini, si può prendere visione di Marco Bertolini,  Considerazioni in tema di Forze Armate, in “L’Italia e il Mondo”, 15 aprile 2020;   Lo scenario libico secondo il generale Marco Bertolini ( intervista al generale Marco Bertolini a cura di Giuseppe Germinario), in “L’Italia e il mondo”, 25 gennaio 2020;  Marco Bertolini, Salvate il soldato  Esposito,  in  “L’Italia e il Mondo” 25 febbraio 2019; Caos migranti. Politica in Africa e caos in Libia. Tutte le colpe della Francia (intervista al generale Marco Bertolini a cura di Paolo Vites), in “L’Italia e il Mondo” 25 giugno 2018 ma originariamente su “Il sussidiario.net. il quotidiano approfondito” 23 giugno 2018, all’URL https://www.ilsussidiario.net/news/esteri/2018/6/23/caos-migranti-politica-in-africa-e-caos-in-libia-tutte-le-colpe-della-francia/826985/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20200503184858/https://www.ilsussidiario.net/news/esteri/2018/6/23/caos-migranti-politica-in-africa-e-caos-in-libia-tutte-le-colpe-della-francia/826985/ e  Marco Bertolini, Ripristino della leva, in “L’Italia e il Mondo” 6 settembre 2018; Idem, Geopolitica spietata, in “L’ Italia e il Mondo” 31 dicembre 2016. N. B. : anche presso  http://italiaeilmondo.com/?s=bertolini è possibile raggiungere le due videointerviste consultabili presso http://italiaeilmondo.com/2020/04/19/istituzioni-e-sovranita-la-funzione-dellesercito-italiano-ne-discutiamo-con-il-generale-marco-bertolini/  e http://italiaeilmondo.com/?s=intervista+generale) le assonanze fra la Stimmung (ed anche fra i contenuti) dell’ Arte della guerra con questo corpus pubblicato sul presente blog sono veramente suggestive andando, in entrambi i casi, ben al di là delle indicazioni tecnico-operative necessarie a comandare un apparato militare, ma affermando l’inscindibile legame fra la tecnicalità operativa nell’organizzare lo strumento militare e/o dispiegarlo sul campo di battaglia con il fattore politico, morale e psicologico che ne è il necessario presupposto. Riassunte compendiosamente le idee espresse nel succitato corpus dal generale Marco Bertolini (e che trovano una sorta di loro summa nell’ultima succitata recente  intervista magistralmente condotta da Giuseppe Germinario) sono le seguenti: 1) contrariamente a quanto si è voluto far credere da parte dell’italica – e politicamente  interessata – incultura militare un esercito costituito solo da un piccolo numero di professionisti (come quello che si voluto far diventare l’esercito italiano) è una totale assurdità. La guerra non può essere fatta solo da ristrette élite di corpi ultraspecializzati, dietro (o meglio: davanti) a loro ci deve essere sempre un’ingente massa d’urto; e se va da sé che se questa massa d’urto non può più essere la classica indistinta “carne da cannone” modello guerre napoleoniche o prima guerra mondiale, è ancora più assurdo che la guerra possa essere un affare riservato a qualche corpo ultraspecializzato e/o ultratecnologizzato; 2) conseguentemente a questo primo indiscutibile assunto, con l’abolizione nel nostro paese della servizio militare di leva, nell’esercito italiano è iniziato un inarrestabile declino caratterizzato da A) assoluta impossibilità di essere una reale e credibile difesa dei confini nazionali ma anche di fungere da strumento operativo per supportare, anche se solo a livello di deterrenza e come risorsa di ultima istanza,  la politica estera del nostro paese, B) visti gli esigui numeri conseguiti attraverso la “professionalizzazione” dell’esercito, impossibilità di effettuare un efficace turnover e quindi, in ultima istanza, con conseguente  graduale ed inarrestabile degrado professionale di questi professionisti per una professione, quella delle armi, che tutte le qualità umane richiederebbe, tranne quella di avere uomini da impiegare sul campo con la pancetta dell’impiegato e con gli acciacchi dell’età (con altrettanto conseguente deleteria tendenza da parte di costoro a sindacalizzarsi, il che confligge col più elementare concetto di gerarchia militare), C) vista la reale ed effettiva de professionalizzazione di questi “professionisti”, loro impiego improprio in funzioni di supporto alle forze dell’ordine, cosa in sé non sbagliata in linea di principio ma assolutamente sbagliata nei modi con cui vi si è massicciamente ricorsi in Italia perché, così facendo, si riducono ancor di più i momenti addestrativi di questi professionisti; 3) importanza assoluta nel mestiere delle armi, dal più umile fante alle più alte gerarchie, del fattore etico-morale di coloro che vi si dedicano. Torniamo all’Arte della guerra. I due snodi  sui cui ruota tutto il trattato polemologico machiavelliano sono la ordinanza e il deletto, vale a dire la leva obbligatoria e la scelta e/o addestramento di questi uomini  provenienti dalla leva obbligatoria nei diversi compiti, dove nell’Arte della guerra viene cristallinamente sottolineato che la successiva cernita da questa originaria massa umana proveniente dalla leva obbligatoria deve tenere nel massimo conto la componente etica-morale del combattente, cosa che viene altrettanto cristallinamente sottolineata e ripetuta ad ogni piè sospinto anche nel corpus del generale Bartolini pubblicato sull’  “Italia e il Mondo” e che costituisce, come è di tutta evidenza, il vero e proprio endoscheletro di tutta l’argomentazione illustrata nei precedenti punti. Orti Oricellari, l’accademia filosofico-politica di Palazzo Ruccellai nata nel clima  di un tardo Rinascimento che ha intrapreso la via di inarrestabile decadenza politica e civile e che a questa decadenza cercava di reagire  e in cui il protagonista indiscusso di questo tentativo di reazione fu  Machiavelli e dove il Segretario fiorentino aveva ambientato il suo trattato sull’Arte della guerra che ha  la forma letteraria di un dialogo svolto, appunto, nell’ameno giardino di Palazzo Ruccellai fra Fabrizio Colonna (capitano di ventura dell’epoca realmente esistito ma che, nella realtà, dietro il quale si celava la figura reale di Niccolò Machiavelli, che proprio negli incontri negli Orti Oricellari con i suoi giovani discepoli aveva concepito il suo trattato) e i suoi giovani ascoltatori, e un blog di geopolitica del XXI secolo, “L’italia e il Mondo” dove, nonostante le incommensurabili differenze nelle tecniche comunicative e di  sociabilità fra questi due luoghi di elaborazione politica distanziati da cinque secoli si cerca di far rivivere quella tradizione di realismo politico repubblicano che fiorito in quel tardo Rinascimento diede inizio alla nostra modernità politica, che idealmente ed operativamente ebbe il suo terminus a quo da Machiavelli e non da Hobbes e/o Locke come vorrebbe la vulgata liberale. La giustificazione di questo impegnativo assunto viene anche dalle parole del generale Bertolini, il cui potere iconoclastico rispetto alle attuali “pappe del cuore” del paradigma politico e culturale (e mitologico) democraticisitico-liberal-liberista ci piace vedere riassunto nella seguente sua  affermazione tratta da Geopolitica spietata, pubblicata sull’ “Italia e il Mondo” in data 31 dicembre 2018: «L’esempio dell’inutile articolo 11 della Costituzione è emblematico: al di là dell’inconsistenza di un “ripudio” (della guerra) che non può che essere solo retorico, tale presa di posizione impedisce all’Italia di fare i conti (almeno a parole) con una costante della storia e toglie dignità agli strumenti militari dei quali continua comunque ad essere dotata (le Forze Armate). Conseguentemente, al nostro paese non resta che mettersi disciplinatamente al seguito di coloro che tali remore non nutrono e che continuano ad essere ben determinati a perseguire i propri interessi – ovviamente travestiti da interessi “comuni” – con tutti i mezzi, inclusi quelli bellici.» e che nella rude parresia di un vigoroso (e combattivo e conflittualistico) repubblicanesimo civile di stampo machiavelliano sembrano quasi fare da contraltare  ai mesti (e totalmente giustificati) scambi di battute dell’ultima intervista di Giuseppe Germinario a Marco Bertolini, nei quali si dispera sulla possibilità di invertire la triste situazione del nostro paese. Ma come Fabrizio Colonna (cioè Machiavelli) disperava nell Arte della guerra di compiere questo revirement, la composizione dellopera avvenuta attraverso i colloqui degli ameni giardini Orti Oricellari ed anche, si parva licet compenere magnis, il nostro continuamente proporre le ragioni di un repubblicano realismo politico, una comunicazione ed elaborazione in cui i qualificati interventi del generale Bertolini costituiscono una preziosa componente, smentiscono questo pessimismo, che può essere sì della ragione ma solo se si premetta, come fa Bertolini, che la ragione non è mai una gelida analisi avulsa dai valori ma un processo dinamico e creatore in cui i valori morali (e quindi anche politici, se per politica si intende unazione pubblica guidata dalla più profonda morale machiavelliana sempre animata alledificazione e rafforzamento, a differenza e con segno polarmente contrario dalle attuali democrazie rappresentative, di una vitale e non retorica Res Publica) rivestono massima ed unica importanza.  Di questo era consapevole Machiavelli, di questo era consapevole Clausewitz (profondo conoscitore del Segretario fiorentino: sullimportanza nel riconoscimento  nel pensiero clausewitziano dello strettissimo legame fra guerra e politica,  cfr. Peter Paret, Machiavelli, Fichte, and Clausewitz in the Labyrinth of German Idealism, “Ethics & Politics”, Vol. XVII(3), 2015,  pp. 78-95, all’ URL  https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/12194/1/06_E%26P_2015_3_PARET.pdf, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20200503220857/https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/12194/1/06_E&P_2015_3_PARET.pdf/) e di questo è assolutamente consapevole anche Bertolini. Fosse sole per questo gli dobbiamo grande gratitudine e, assieme a questo riconoscente sentimento, una profonda fiducia su un comune e fattivo cammino contro la la pandemia da  Cthulhu morbus  dello  spazio psichico, culturale, sociale, politico e giuridico delle odierne democrazie rappresentative e   di cui le ultime vicende epidemiologiche ma soprattutto politiche e giuridiche del coronavirus non sono che lultima e più importante manifestazione e sintomo.  Ma di questo, ed anche sempre sostenuti da un retto pensiero polemologico (e quindi politico) che fu di Machiavelli, di Clausewitz e oggi rivive in Bertolini, fra non molto riparleremo.

Massimo Morigi – 4 maggio 2020

 

 

 

 

 

 

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?, di Bernard Lugan

Il più grande merito dello storico ed analista Bernard Lugan, grande studioso delle vicende politiche del continente africano, è stato nel corso degli anni quello di aver smontato sistematicamente la costruzione retorica ed ideologica degli aiuti umanitari e di sostegno allo sviluppo legati ad una condizione di sottosviluppo. Questo breve articolo ci offre un ulteriore tassello della sua costruzione analitica e della sua denuncia politica. Il conflitto politico in Africa non è dovuto in prevalenza al sottosviluppo, ma ai colossali cambiamenti socioeconomici indotti da interventi esterni e con nuovi grandi attori i quali stanno spingendo sempre più i paesi africani nel circuito commerciale internazionale delle materie prime; ma anche a dinamiche interne a quei paesi quali quelle illustrate in questo articolo.Buona lettura_Giuseppe Germinario

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?
I conflitti nel Sahel centrale non sono una conseguenza della scarsità di risorse alimentari
poiché, tra il 1999 e il 2016, la produzione di cereali è ivi aumentata di tre volte a seguito dell’incremento del 25% della superficie coltivata. Allo stesso tempo, il terrorismo ha travolto la regione.
Perché?
Se le risorse alimentari si sono moltiplicate per tre, è perché le aree coltivate sono aumentate del 25%. Un risultato ottenuto essenzialmente per la messa a coltivazione dei terreni da pascolo. Quindi a spese dei pastori. Sulle loro antiche terre di transumanza, i Fulani hanno visto così l’insediamento di coloni non nativi i cui antenati, prima della colonizzazione, erano vittime a loro volta di razzie. Minacciati nel loro modo di esistenza, loro si sono rivolti ai jihadisti.
Più in generale, se osserviamo i microfenomi e non più unicamente i macrofenomi,
scopriamo che non è tanto attorno ai vecchi punti di acqua che avvengono gli scontri,
quanto attorno ai nuovi pozzi
scavati dalle ONG e alle superfici irrigate grazie alle sovvenzioni dell’Unione Europea. Alcuni progetti di bonifica realizzati dai “salvatori del pianeta” equivalgono a veri e propri fattori di guerra. Recintano zone umide ora vietate ai pastori ma che sono vitali per loro.
La religione dello “sviluppo” quindi sconvolge i sottili equilibri tradizionali di quella terra. Da qui il motivo della maggior parte degli attuali scontri etnici a Macina, Soum
e a Liptako.
Come spiego nel mio libro “Le guerre del Sahel dalle origini Oggi”, a causa dell’etnomatematica elettorale, gli Stati
del Saheliani controllati con il sostegno degli agricoltori sedentari favoriscono questi a spese dei pastori.
Le persone arricchite e sedentarie investono nel bestiame, competendo così direttamente con i pastori.
Questo è particolarmente vero nel Soum-Macina. Da qui lo scontro tra Peul e Dogon.
Il risultato di questa doppia espropriazione dei pastori comporta che il sedentario arricchito e possidente di bovini, assume come
pastori i giovani proletari Peuhl.
Pertanto, è gioco facile per i jihadisti suggerire loro di uscire dalla loro condizione umiliante con la legge delle armi. La stessa dei loro antenati quando erano dominanti.
Un altro esempio, il Soum dove, come non ho smesso di scrivere da tempo per anni, l’introduzione della coltivazione del riso avvenuta a spese della pastorizia è una delle chiavi di comprensione dell’attuale jihadismo.
Questa novità ha davvero attratto nuove popolazioni nella regione. I coloni coltivatori di riso mossi o fulsé-kurumba hanno inizialmente cacciato i pastori Peuhl dalle terre di transumanza. In nome dell’etno-matematica, perché localmente più numerosi
dei Fulani hanno combattuto contro i loro capi-clan per cambiare le regole di assegnazione del territorio.
Anche qui lo sviluppo ha quindi aperto una autostrada ai jihadisti …

http://bernardlugan.blogspot.com/

SPILLOVER, a cura di Pierluigi Fagan

SPILLOVER. (Post consigliato a grandi e piccini ) Questo è un post di servizio ovvero riepilogare i tratti salienti del libro di D. Quammen uscito sei anni fa ed oggi assurto agli onori della cronaca per via dell’argomento trattato. Il libro di Q. è l’opera divulgativa più completa esista su i virus. Ne riproduco le tesi non per consigliare la lettura del libro che per i miei gusti è stata noiosa parecchio. Ahimè ormai da parecchi anni leggo solo saggi e questo non è un saggio ma un reportage di un giornalista scientifico il cui contenuto duro sta in cinquanta pagine affogate in altre quattrocento di descrizioni di posti esotici ed indomabile spirito scientifico di questo o quel ricercatore. Ma a chi invece non dispiace questa parte preponderante, il libro piacerà e parecchio perché è interessante e scritto bene. Detto ciò passiamo al succo.

A premessa, “spillover” sta per salto da una specie animale (in genere selvatica) a quella umana di un batterio o virus, direttamente o tramite una specie intermedia. “Zoonosi” sta per malattia provocata da virus proveniente da animale, circa il 60% delle malattie infettive sono zoonosi. “Virus”sta per tratto abbastanza corto di codice genetico semplice RNA (ma ve ne sono anche a DNA), circondato da proteine ed a volte da una pellicola che tiene coeso il tutto. Un Nobel del campo l’ha definito “cattive notizie avvolte in una proteina”. Se siano “viventi” c’è dibattito perché certo ha codice genetico, si riproduce e quindi è oggetto di selezione naturale, ma non ha metabolismo. Com’è noto, si riproducono scassinando cellule dell’ospitante, penetrano, usano il DNA per replicarsi, poi escono a vanno in cerca di un’altra cellula. Finito con un ospite ne cercano un altro, entrano ed escono da questi attraverso sangue, feci, sperma, saliva, i più “evoluti” tramite goccioline emesse dal contagiato col fiato, starnutendo, tossendo. Poiché si replicano facendo occasionali errori di scrittura del codice, mutano nel tempo, sono le cose più mutevoli della biologia. Poiché sono semplici mutano e poiché mutano spesso sono molto adattivi, dovrebbero avere miliardi di anni. Possono non dare effetti, dar qualche fastidio o essere una piaga biblica. Ad una conferenza del 1997 (ricordo che il libro esce in lingua originale nel 2012, è ignaro degli eventi contemporanei), il massimo esperto in materia affermò che i virus più “pericolosi” per loro varie caratteristiche erano i coronavirus. Dopo decenni di circolazione virale, negli ultimi trenta-venti anni, i virologi di tutto il mondo hanno condiviso la comune preoccupazione per quello che chiamavano Next Big One, ovvero l’avvento dell’inevitabile Grande Pandemia il cui effetto poteva esser solo in parte la mortalità, più ampio è l’effetto sanitario (collasso del sistema sanitario), poi quello sociale ed economico, politico e geopolitico.

Il succo arriva a pagina 445: 1) Gli esseri umani hanno avuto una crescita esponenziale da 2,5 a 7,7 mld in soli settanta anni (9/10 tra trenta anni). La natura avrebbe dovuto fare lockdown per evitare la circolazione della specie infestante ma purtroppo ha seguito la strategia dell’immunità di gregge con risultati, al momento, problematici (per la natura ed in subordine per noi stessi); 2) il disordine ecologico provocato dagli uomini (disboscamento, terra bruciata, inquinamento atmosferico, allevamenti intensivi, manipolazione animali ed aumento del loro consumo alimentare, commercio di specie esotiche prelevate direttamente nel mondo selvatico) ha portato sempre più spesso a contatto uomini ed animali selvatici sia perché noi invadiamo i loro spazi, sia perché a quel punto loro si adattano a penetrare i nostri; 3) il passaggio dei virus da animali selvatici ad uomini, diretto o intermediato da specie semi-domestica, ha poi esito diverso se gli uomini contagiati vivono in villaggi al limite dello spazio selvatico o se poi arriva a megalopoli di milioni di abitanti. Il bacino di primo contagio cambia il gioco e la semplice fortuna di intercettarlo all’inizio della diffusione epidemica o meno, cambia il risultato finale passando da caso annotato in letteratura scientifica a epidemia; 4) nel caso arrivi in grandi città riproducendosi in svariate copie, dipende poi se lì c’è un aeroporto e quanto questo sia collegato al resto del mondo. Se il virus in trasferta arriva altrove ed è prontamente intercettato avremo epidemia, altrimenti pandemia. La faccenda è quindi un sistema con variabili demografiche, ecologiche, biogeografiche, di zoonosi, biologia molecolare ed ovviamente interazioni tra queste. Tante variabili? Cosa complessa!

Il virus più noto è quello dell’influenza, virus mutante in tre tipi principali che ogni anno fa il giro del mondo contagiando tre milioni di persone e uccidendone 250.000 l’anno (morti SCoV2 in due mesi: dichiarati 235.000, stimabili 400-500.000). Molto noto anche HIV la cui malattia AIDS ha fatto più di trenta milioni di morti in 38 anni. I coronavirus si sono affacciati alla nostra attenzione già due volte, SARS 2003 e MERS 2012, il primo con mortalità al 10%, il secondo al 34%, fortunatamente contenuti ai primi passi di diffusione, 774 morti il primo, 322 il secondo. Gran parte dei patogeni da raffreddore sono coronavirus. I virus sono in migliaia di tipi in natura e nel mondo umano rientrano nelle dinamiche della “teoria degli eventi” che studia i pettegolezzi, i meme, il panico, le infezioni. Le pandemie virali sono infezioni in cui al panico sanitario si somma quello dei “pettegolezzi” mainstream o su Internet, colpisse le pecore sarebbe solo sanitario. Con le pecore simbolico-parlanti la faccenda si complica ovvero la complessità aumenta.

Il libro poi illustra fattori quali il tasso di infezione, di guarigione, di mortalità, densità di soglia, super untori, competenza di serbatoio, carica virale, numero riproduttivo di base (R > o < 1 detto “erreconzero”) che confluiscono in una scienza detta epidemiologia teorica la cui nascita formale è negli anni ’50, negli studi sulla malaria. Uno dei casi peggiori non per gli effetti ma per la potenzialità, fu la prima SARS. Spuntato fuori il virus nel Guangdong cinese (più a sud di Wuhan) proveniente dai pipistrelli e per via delle strane abitudini alimentari della zona (i famosi wet market, gastronomia del selvatico detta “yewei”), arrivato a diffondersi in settanta ospedali pechinesi (gli ospedali sono il primo amplificatore di contagio sorprattutto per via della pratica di intubazione da evitare se non si hanno condizioni di massima sicurezza), poi imbarcatosi in volo da Hong Kong e sbarcato in Canada. Per fortuna fu preso all’inizio dell’evento, circolò poco e poi scomparve per mancanza di rete di replicazione. Venne cioè trattato con quello che noi chiamiamo oggi “modello Sud Corea” che però in realtà proviene proprio dalla Cina, non è un modello politico è un modello sanitario-epidemiologico che si può usare solo se si arriva all’inizio della diffusione, dopo c’è solo il lockdown. Poiché aveva mortalità del 10% si fece notare presto, paradossalmente il nostro che ha minor mortalità lo ha reso inizialmente meno evidente. Dava sintomi che potevano esser facilmente scambiati per influenza fino alla polmonite, il che lo rendeva infido poiché -come detto- per questo tipo di virus tutto sta a quanto presto lo si diagnostica. Era proprio un coronavirus il virus temuto come causa dell’aspettato Next Big One, per sue specifiche caratteristiche potenziali di diffusione e contagio, a prescindere dalla mortalità che nel caso del SC2 è infatti bassa, ma il cui tasso di infettività è alto.

Oggi noi sorridiamo degli antichi che quando ignoravano la cause materiali di qualche fenomeno inventavano Grandi Spiriti agenti sopra il teatro umano. Ma continuiamo a fare lo stesso. Oggi chi nulla sa di demografia, ecologia generale e virologica, biogeografia, zoonosi, statistica e biologia molecolare, inventa altri tipi di Grandi Spiriti agenti, cause misteriose, intrighi internazionali, cospirazioni. Non è detto del tutto queste cose non esistano, anzi esistono senz’altro, ma si dovrebbe discriminare caso per caso ove applicare queste cause ipotetiche, finezza del discorso da cui siamo molti lontani per ignoranza diffusa. Solo chi ha la conoscenza completa potrebbe passare all’analisi dell’ipotesi “cospirazione intenzionale” la quale non è negata in via di principio ma solo a coloro che partono da questa a priori senza nulla sapere del ciò su cui andrebbe applicata.

A chiusura, si potrebbero far tre considerazioni in forma di domande: 1) perché nel discorso pubblico chiunque voglia esprimere giudizi su qualsivoglia argomento sa di doversi procurare qualche conoscenza minima sullo stesso se non vuol far la figura del cretino, mentre nel caso in oggetto nessuno sa quasi niente di biologia ed ecologia e tuttavia parla di tutto ed il suo contrario? 2) perché nessun intellettuale fa notare che il problema non è se debbano decidere i biologi sulle cose sociali o i politici di biologia stante che nessuno dei due sa niente dell’altro argomento e non invece si nota la mancanza di una cultura ampia e diffusa che permetta a gli specialisti di esser utili a i generalisti e viceversa arrivando addirittura a “filosofi” che parlano di bio-politica e non sanno nulla di biologia? In filosofia, il trattato forse più importate di Politica è stato scritto forse non a caso dal primo proto-biologo dell’Antichità (Aristotele); 3) perché nessuno si domanda il perché del fatto che da più di venti anni i virologi temevano l’arrivo di una pandemia probabilmente di un qualche coronavirus e nessuno ha fatto nulla per approntare delle difese preventive?

Del senno di poi, come si dice in questi casi “son piene le fosse”. Quelle fosse che se potessero parlare chiederebbero di riaprire, non i negozi, la mente.

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SULLE STRATEGIE DA CORONAVIRUS, di Andrea Zhok

SULLE STRATEGIE DA CORONAVIRUS

Il livello della discussione pubblica, già usualmente bassissimo, è crollato nelle ultime settimane con riferimento alle tematizzazioni relative alla corrente pandemia.
Come ho provato a spiegare in un precedente post, credo che le ragioni siano da ricercare nelle condizioni di oggettivo disagio, legate sia alla clausura sia alle preoccupazioni economiche, che hanno scatenato la ricerca psicologica di ogni giustificazione possibile che si conformasse ai propri desideri.
Se la dinamica del wishful thinking è una dinamica comune, in periodi di stress intenso e collettivo essa può divenire ‘epidemica’.
Siccome per i più – del tutto comprensibilmente – l’unico desiderio dominante ora è quello di ritornare alla ‘normalità’, qualunque straccio di argomento, qualunque pezza d’appoggio, che sembri utile a questo fine viene brandita con la forza dell’esasperazione.
E’ umano.
Non lo rende di per sé né giusto, né intelligente, ma è umano.

Ora, rispetto a questo tipo di discorsi, con le connesse polemiche, vorrei provare a fare un passo indietro, sollevando una serie di argomenti, uno alla volta, senza pretese di sistematicità, intorno all’analisi della situazione e alle strategie adottabili alla luce di ciò che sappiamo (o non sappiamo) dell’attuale epidemia.

Partiamo da un primo interrogativo. Qual è il problema rappresentato dal Covid-19? Si tratta di diversi problemi, stratificati. Il primo, più ovvio, è quello della capacità del virus di uccidere.

I) Mortalità e letalità.

La letalità, come noto, non è la mortalità, ed è per questa ragione che il 90% degli argomenti comparativi che circolano sono carta straccia.
La letalità è il rapporto tra contagiati e deceduti, ed è l’unico dato che si può cercare di avere nel corso di un’epidemia.
La mortalità è il rapporto tra popolazione totale e i deceduti totali, ed è un dato che si può valutare solo a consuntivo (per questo tutti gli argomenti che formulano comparazioni di mortalità generale sono sciocchezze: il dato sulla mortalità lo avremo tra anni).

Quanto alla letalità, essa dipende innanzitutto da cosa mettiamo al numeratore (la rilevazione dei contagiati) e poi anche da quanto affidabile è la nostra rilevazione del denominatore (chi è davvero morto per quella malattia).
Entrambi i dati per il Covid-19 sono oscillanti e instabili (siamo piuttosto sicuri che siano entrambi sottostimati, ma chi sia più sottostimato e di quanto è ignoto).
Inoltre, nel caso Covid-19, non sono comunque dati che definiscono univocamente la “pericolosità letale della malattia”, visto che tale pericolosità dipende certamente anche da:
1) quale gruppo è colpito (giovani, anziani, con o senza patologie, ma anche possibili varianti di resistenza o sensibilità etnica);
2) qual è la capacità di risposta del sistema sanitario;
3) se tutte le varianti del virus abbiano le medesime caratteristiche patogene (che il virus muti in più ceppi è certo);
4) se tutte le condizioni ambientali producano le medesime condizioni di virulenza.

La maggior parte delle comparazioni che facciamo corrono il serio rischio di essere comparazioni tra mele e pere, tra unità del tutto incommensurabili.

Finora il principale dato solido su cui c’è unanime consenso (almeno di quelli di cui vale la pena di avere il consenso) è che il virus corrente è in condizioni di incrementare la propria pericolosità toccando il punto 2), cioè oberando il sistema sanitario sino alla creazione di gravi inefficienze o paralisi. Nei casi in cui ciò è avvenuto (in due focolai lombardi e a Madrid) gli esiti fatali della malattia sono incrementati enormemente.

Inoltre la paralisi del sistema ospedaliero può naturalmente incrementare anche la pericolosità di altri malanni e incidenti.

Sul piano strategico credo che almeno questo punto possa essere dato per acquisito: crisi acute che compromettano la funzionalità della risposta del sistema sanitario vanno evitate.

Il punto 4) è un punto spesso sottostimato. Alcuni segni oggi sembrano indicare che anche il Covid-19, come molti virus respiratori, abbia un andamento stagionale. E’ interessante osservare come le ragioni per cui molti virus abbiano carattere stagionale sono ancora oggetto di mere congetture: si ipotizza che possa dipendere da un’oscillazione climatica delle difese immunitarie, o da condizioni di temperatura e umidità (o smog) che favoriscono la replicabilità e la trasmissione del virus. Ma appunto, si tratta di congetture prive di una chiara prova scientifica.
Quello che è certo è che se il virus ha un andamento legato a condizioni ambientali specifiche, allora può ben darsi che in certi luoghi e in certi momenti possa diffondersi con molto maggiore violenza che in altri, senza che noi si sia in grado di spiegare chiaramente perché.
Un dato invece oramai consolidato è che la contagiosità del Covid-19, in assenza di contenimento, è distintamente maggiore di quello dell’influenza stagionale (R0 di 1,3 per l’influenza, R0 oscillante tra il 2 e il 4 per il Covid-19).

II) Dannosità

Concentrarsi sulle implicazioni fatali del virus è tuttavia in parte fuorviante. Non sappiamo ancora molto, ma quello che sembra chiaro è che a fronte di un numero di decessi circoscritto abbiamo un numero di soggetti seriamente colpiti (bisognosi di ricovero ospedaliero) che (calcolo personale, fatto sulla base dei dati italiani) supera di 15 volte il numero dei decessi (in ospedale).
Che si tratti di un tasso di ricoveri incommensurabile con qualunque influenza a noi nota è evidente.

Che accade a chi passa attraverso una forma grave di coronavirus? Non è ancora chiaro. Premesso che solo una piccola parte muoiono, se la malattia lasci strascichi, in quale misura, e in chi, è oggetto di studio ora. Lascia sicuramente gli strascichi tipici delle polmoniti virali, il che significa un paio di mesi circa per il pieno recupero. In alcuni casi sembra colpire altri organi (reni, apparato cardio-circolatorio, sistema nervoso centrale). Ci sono sospetti che possa incrementare altre patologie (è di pochi giorni fa l’associazione fatta in UK con una forma della sindrome di Kawasaki, nei bambini).

In questo campo, parlando di un virus fino ad oggi ignoto, lo spazio per le ipotesi è sgradevolmente vasto. Può darsi che nella stragrande maggioranza dei casi tutto si risolva senza alcuna conseguenza duratura, o può darsi che non sia così. Questo spazio di variabilità lascia libero gioco all’espressione delle propensioni caratteriali delle singole persone: c’è chi è più propenso alla scommessa, all’azzardo, e chi è più propenso ad un atteggiamento prudente, conservatore. Qui non c’è purtroppo un modo per dirimere la questione sul piano razionale. L’unica cosa che però è doveroso tener ferma è appunto l’ampiezza dello spazio delle opzioni, che non giustificano né un terrorismo preliminare, né una liquidazione con un’alzata di spalle.

Una delle variabili più importanti che sembra sia necessario prendere in considerazione nel caso di Covid-19 (come e più che in altri virus) è la questione della cosiddetta “carica virale”. Per molti virus la quantità di virus con cui si viene a contatto incide in modo significativo sulla gravità del decorso. Recenti osservazioni sul Covid-19 fanno ritenere che questo fattore sia qui molto rilevante (questo spiegherebbe la maggiore gravità nell’incidenza sul personale ospedaliero, esposto a quantità maggiori di virus). L’ipotesi che è stata fatta da alcuni ricercatori è che il virus abbia due decorsi radicalmente differenti a seconda se superi o meno le vie aeree superiori. Un organismo con buone difese immunitarie e in presenza di una modesta carica virale nell’aria contiene l’infezione nell’area superiore, dando luogo ad una malattia non dissimile dalle influenze stagionali. Se invece la carica virale è elevata (e/o le difese sono basse) si scatena una polmonite, cambiando repentinamente il livello di gravità della malattia.
Questo è un aspetto di cui bisogna tenere attentamente conto quando si prendono in considerazione le ‘strategie di contenimento’.

Riassumendo provvisoriamente, prima di dedicare un post a parte alle strategie di contenimento, quello che mi pare sia possibile usare come base di partenza intorno all’aspetto medico del Covid-19 è questo:

1) Il virus ha caratteristiche chiaramente più gravi delle influenze stagionali.
2) L’entità precisa di tale gravità non è al momento precisamente quantificabile, né sono certi gli effetti di lungo periodo;
3) Gli esiti fatali sono solo un aspetto della gravità della malattia da prendere in considerazione;
4) La contagiosità del coronavirus è comparativamente elevata;
5) Il virus ha la capacità di mettere in crisi il sistema sanitario;
6) In una valutazione di ‘riduzione del danno’ non solo il fattore della diffusione dei contagi, ma anche quello della concentrazione delle cariche virali dev’essere attentamente considerato;
7) Vista l’enormità degli spazi di ignoranza relativi alla presente epidemia, bisogna rigettare sia allarmismi terroristici sia minimizzazioni consolatorie: entrambi gli estremi vanno espulsi da qualunque dibattito che si voglia produttivo.

Una volta fissati i dati da cui partire con riferimento alla minaccia rappresentata dal Covid-19 (vedi post precedente) possiamo provare ad affrontare alcuni scenari relativi alle strategie adottate o adottabili.

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I) Eradicazione o riduzione del danno?

La prima questione da discutere riguarda la strategia di fondo che è possibile o sensato adottare nei confronti dell’attuale epidemia. Le strategie di fondo sono due: la prima contempla l’eradicazione e il ritorno alla situazione precedente, la seconda contempla una convivenza con riduzione del danno nel lungo periodo.
La prima strategia è quella adottata con successo in Cina e Corea del Sud. Eradicazione non significa che non ci sia mai più nessun caso (cosa che ovviamente nessuno può mai garantire), ma che una volta azzerato per qualche giorno il contagio ci si può limitare ad una sorveglianza pronta ad intervenire prontamente, mentre il sistema riprende a funzionare come prima (salvo per maggiori controlli rispetto alle relazioni con merci e persone provenienti dall’estero). L’eradicazione non è affatto una prospettiva impossibile in Italia o in Europa. Molte regioni italiane sono a un passo dall’eradicazione (una settimana a casi zero può essere considerata una soglia che rappresenta l’effettiva eradicazione e circa metà delle regioni italiane potrebbero raggiungerla in 2-3 settimane). Una volta raggiunta quella soglia si potrebbe riaprire tutto senza particolari precauzioni, mantenendo solo un’elevata sorveglianza e limitazioni agli spostamenti rispetto a regioni che non sono a livello zero. Il problema è che per alcune regioni, in particolare Lombardia e Piemonte, l’eradicazione appare come un orizzonte assai lontano, e la prosecuzione di condizioni restrittive come le presenti per un tempo lungo e sostanzialmente indefinito è insopportabile (oltre alla questione economica, di cui sotto, si finirebbe per minare altrimenti la salute psicologica e organica della stessa popolazione che si cerca di preservare).

Questo significa che ci possono essere in Italia due strategie possibili. Premesso che perseguire attraverso un blocco perdurante una strategia di eradicazione per tutto il paese è impercorribile, delle due l’una: o si adotta una strategia di riduzione del danno (convivenza) per tutto il paese, o si adotta una strategia differenziata a livello regionale (Molise e Basilicata, ed esempio, potrebbero essere ritenute Covid-free in pochi giorni, e riprendere una vita normale, salvo che per gli spostamenti interregionali; Sardegna, Calabria e Valle D’Aosta sono ad un passo; Sicilia, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Puglia potrebbero fare la stessa scelta tenendo duro qualche giorno in più; altre ancora si rassegnerebbero da subito ad una strategia di riduzione del danno). Naturalmente in tutte le regioni prossime all’eradicazione, anche una strategia di riduzione del danno può portare all’eradicazione, solo su tempi un po’ più lunghi.

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II) Trade-off ‘economia-vita’?

Si è sentito e si sente spesso parlare della necessità di bilanciare le esigenze della sicurezza con quelle dell’economia. Questa impostazione però, così definita, è sbagliata. È sbagliata sia perché le esigenze di sicurezza non limitano soltanto le ragioni dell’economia, ma anche quelle di una buona vita per molti (i costi della clausura non sono solo economici), sia perché né l’economia, né una buona vita possono funzionare semplicemente tappandosi il naso e ‘sacrificando la salute/sicurezza’. Si tratta di un’impostazione priva di senso.

Da un lato, le persone non possono restare in gabbia all’infinito, dall’altro è completamente illusorio pensare che un ‘via libera’ governativo possa far riprendere magicamente le transazioni economiche sui livelli precedenti. È terribilmente ingiusto e amaro, ma è un dato di fatto che per molte attività non ci sarà nessun ritorno alla normalità, quali che siano le disposizioni ministeriali. Soprattutto nei settori del turismo e della ristorazione, e in molti settori del commercio, una riduzione durevole della circolazione è da mettere in conto. Questo perché i calcoli ‘costi benefici’ (sui generis) non li fanno solo le aziende, ma anche le persone. Per le cose necessarie o essenziali si può correre un rischio, per quelle inessenziali o di diporto, molto meno. Dunque, dopo il danno dei mesi scorsi, per molti settori non ci si può aspettare nessuna ripartenza col botto. E qualunque recrudescenza dei contagi porterebbe, che il governo intervenga o meno, ad una rarefazione delle uscite. Va da sé che una eventuale ripresa di diffusione del contagio su grande scala – con conseguente compromissione del servizio sanitario – non potrebbe che richiedere un ritorno a Square 1, con ripristino di blocchi estesi nel tempo e nello spazio. Ovvero una catastrofe.

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III) Strategie

Quali sono le strategie disponibili e, rispetto a quanto proposto finora dal governo, ci sono dei correttivi possibili e consigliabili?

III.1) Il governo propone aperture circoscritte, scaglionate nel tempo, in modo da poter controllare l’insorgere di eventuali nuovi focolai. Di per sé, nelle sue linee generali, questa strategia è l’unica sensata, e scommette sulla possibilità di conservare, attraverso le precauzioni imposte (mascherine, distanziamento) il tasso di contagio R0 al di sotto di 1. È una scommessa sensata. Con il conforto della bella stagione, visto che è certo che la diffusione dei virus respiratori in spazi aperti è rara, e visto che il Covid-19 sembra mostrare le caratteristiche di un virus stagionale, è ben possibile che queste aperture scaglionate consentano di proseguire una tendenza positiva, arrivando all’autunno con livelli di contagio molto bassi su tutto il territorio nazionale.

III.2) Rispetto a quanto deciso dal governo, questo scaglionamento sarebbe potuto avvenire in modo differenziato a livello regionale. Invece che porre delle date generiche, che di per sé non hanno molto senso, si sarebbe potuto far dipendere i livelli di apertura dal tasso di contagi. Per quanto l’iniziativa dalla Regione Calabria sia da stigmatizzare per le forme, è vero che nelle regioni prossime a zero contagi almeno le attività all’aperto (che non implicano assembramenti) potrebbero riaprire subito.

III.3) Rispetto a quanto deciso dal governo, i sistemi di intervento sanitario precoce e domiciliare dovrebbero essere attivati sistematicamente, su tutto il territorio nazionale, e dovrebbero essere accompagnati da direttive precise sulle procedure di contenimento in caso di necessità di spegnere un focolaio. Non è chiaro se qualcosa in questo senso sia stato fatto. Se è stato fatto non è stato comunicato. Sono stati commessi errori gravi con la prima ondata del virus, ma in qualche misura scusabili per la scarsa conoscenza delle caratteristiche del medesimo; ma un secondo errore sul piano degli interventi sanitari sarebbe imperdonabile.

III.4) Rispetto a quanto deciso dal governo, la famosa ‘app’ per rintracciare i contatti dovrebbe essere resa obbligatoria. La debolezza oggettiva dell’esecutivo si vede in questo come in altri comportamenti: di fronte alle pressioni abbozza e cede. Questa app, nelle forme ampiamente descritte sui media, presenterebbe rischi per la privacy infinitamente inferiori a quelli che corriamo da anni davanti all’uso commerciale delle nostre informazioni. Va bene richiedere cautele e controlli pubblici, ma qui La levata di scudi libertaria è e resta una pagliacciata. Quella app, se adeguatamente funzionante e di uso generalizzato, sarebbe una garanzia di poter spegnere qualunque nuovo focolaio. E una volta superata la crisi la si può disinstallare (oppure cambi lo smartphone, se ritieni che la Spectre brami conoscere i tuoi spostamenti). Qui limitarsi alla ‘moral suasion’ renderà la app inutile e renderà molto più probabile la necessità di procedere a blocchi più estesi.

III.5) Rispetto a quanto finora detto dal governo manca un importante chiarimento. Non sappiamo come evolverà la situazione da qui all’autunno. Potrebbero essere scoperte cure miracolose, o il virus potrebbe magicamente scomparire da sé. Oppure no. Potremmo avere una tendenza al riaccendersi stagionale dell’infezione sul modello dell’influenza, senza la disponibilità di cure efficaci. In questo secondo scenario dobbiamo mettere in conto una ripresa dell’attività a settembre, quando con il peggioramento delle condizioni atmosferiche la tendenza agli assembramenti in luoghi chiusi crescerà esponenzialmente. Dovrebbero riprendere scuole ed università a pieno ritmo. Tutte le attività che nei mesi estivi hanno potuto approfittare del bel tempo, svolgendosi all’aperto (dalle attività sportive ai bar) si ritroveranno a dover giocare indoor. L’uso di mezzi di trasporto personale a scarso impatto (piedi, bicicletta, motorino) si ridurrà a favore dei mezzi pubblici.
Se arriveremo a settembre con livelli di circolazione del virus ancora elevati sarà un bel problema. In quest’ottica dovrebbero essere avviati sin d’ora progetti per trasferire tutto ciò che può essere trasferito in ‘smart working’.

Per quanto riguarda la scuola, bisognerebbe prendere in considerazione la possibilità che si ripresentino condizioni emergenziali. Visto l’enorme impatto sugli spostamenti e sugli assembramenti che scuola e università hanno, bisognerebbe studiare attentamente piani alternativi che non compromettano la preparazione degli alunni (come di fatto è avvenuto, nonostante gli sforzi dei docenti, in questi mesi), e che non si limitino a scommettere sul fatto che “andrà tutto bene”. Il tema è enorme e non ci provo neppure a impostarlo qua, ma è assolutamente cruciale. Sanità e scuola sono i due settori che sono stati tagliati di più negli scorsi anni, nel nome di un efficientamento delle risorse – che vuole dire fare i miracoli con risorse scarse. Per la scuola questo ha significato ridurre e concentrare le sedi, diminuire il rapporto tra docente e studenti, stipare gli studenti in aule inadeguate. Tutto questo e molto altro sarà da ripensare, ed il momento per farlo è ora.

III.6) Nota finale. Gli interventi del governo sono migliorabili. Sono soprattutto enormemente migliorabili sul piano degli aiuti economici, dove però interviene il Moloch della questione europea.
Ma chiunque in questa fase, per l’usuale tornaconto elettorale, gioca al gioco del ‘liberi tutti’, del ‘riapriamo tutto’ purchessia, senza farsi carico di spiegazioni dettagliate su quali scenari prefigura per gli italiani, è un irresponsabile, indegno di esprimersi sulla scena pubblica, da cui dovrebbe scomparire.

https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/1525015561013171

UN GIURISTA EUROSCOMODO, di Teodoro Klitsche de la Grange

UN GIURISTA EUROSCOMODO

Il 17 aprile scorso è venuto a mancare Giuseppe Guarino, illustre giurista ed avvocato, oltre che deputato e più volte ministro. In tempi di MES e di euro-furberie, buona parte dei commenti a caldo (specie sui media ad elevata diffusione) hanno voluto ricordare che era un europeista. Dato che purtroppo oggigiorno l’aggettivo non accomuna tanto ad Adenauer, Martino, Monnet e ai “padri fondatori”, ma a qualche grigio euroburocrate o a governanti nazionali euroasserviti , il rischio di equivocare il pensiero di Guarino, strumentalizzandone la figura, è alto. Per la verità, scendendo nell’audience, i “coccodrilli” sul giurista sono più equilibrati, e ricordano come avesse criticato l’andazzo preso dall’Unione europea nell’ultimo trentennio, che aveva tradito – in larga parte – la visione dei fondatori.

E lo fece da giurista, sostenendo l’invalidità di atti dell’U.E., contrari ai trattati e alla “funzione” dell’Unione europea.

Il saggio che sviluppa in modo più completo le tesi critiche di Guarino è “Cittadini europei e crisi dell’euro”, pubblicato nel 2014 dall’Editoriale Scientifica. La recensii quasi subito nel numero 55 (on-line) di “Behemoth”. Dopo poco tempo l’editore (mi si disse su segnalazione del prof. Guarino) chiese l’autorizzazione a pubblicarla anche (in stampa) sulla rivista “Diritto comunitario e degli scambi internazionali”.

In tempi in cui pompose mediocrità, per lo più affette da complesso euroancillare cercano di perseverare (anzi di aggravare) negli errori che il prof. Guarino con tanto acume (giuridico e politico) stigmatizzava, mi sembra utile riproporla ai lettori.

Teodoro Klitsche de la Grange

Giuseppe Guarino, Cittadini europei e crisi dell’euro, Editoriale scientifica, Napoli 2014, pp. 185, € 14,00.

 

Questo è un libro denso di idee, E quel che parimenti interessa, aderenti alla realtà: quella da cui molti giuristi, in specie quelli più à la page, rifuggono.

È scritto da un giurista dotato di visione non limitata al proprio ambito scientifico (in genere strettamente inteso). La cui tesi di fondo è che i guai provocati dall’euro (che siano guai è sicuro, e Guarino cita – all’uopo – ripetutamente i dati, drammaticamente sconfortanti, della stagnazione dei paesi dell’area “euro”), siano dovuti ad un regolamento, illegale perché contrario al TUE (Maastricht), che ha realizzato un vero e proprio golpe. Scrive l’autore “Il golpe è stato attuato a mezzo del reg. 1466/97. Per la formazione del regolamento, come si è detto, si è fatto ricorso alla procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE che, nello stesso momento in cui è stata utilizzata, è stata anche violata perché ce se ne è avvalsi per uno scopo diverso dall’unico previsto.

La procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE in nessun modo avrebbe potuto essere impiegata per modificare norme fondamentali del Trattato. L’essersene avvalsi configura una ipotesi non di semplice illegittimità, bensì di incompetenza assoluta. Gli atti adottati sono di conseguenza non illegittimi, ma nulli/inesistenti”. Il che comporta, a ragionare con precisione e consequenzialità giuridiche, la responsabilità degli organi dell’Unione e delle persone fisiche che lo hanno posto in essere. Per cui abrogare il predetto regolamento attraverso un contrarius actus non è nulla di illegale o illegittimo, ma è semplicemente il ripristino di una situazione di legalità internazionale, perché le norme mutate dal regolamento 1466/97 sono disposizioni di Trattato internazionale. Ma cosa ha prescritto il regolamento 1466/97 in violazione sia delle norme dei Trattati sia degli obiettivi dell’Unione, come dei diritti degli Stati. Scrive Guarino: “Quanto all’Unione è stato modificato, in modo radicale ed irreversibile, l’obiettivo principale, consistente (artt. 2 e 3 TUE) nel conseguimento di uno sviluppo dalle caratteristiche e secondo le modalità previste nei suddetti articoli e nell’aver abrogato, per aver regolato in modo diverso la intera materia, l’art. 104 c) TUE, contenente la disciplina dei mezzi di cui gli Stati si sarebbero potuti avvalere per l’adempimento all’obbligo di promuovere sviluppo.

Quanto agli Stati la illecita variazione consiste nell’averli privati, con l’abrogazione degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE, nonché degli altri connessi, a mezzo di norme (quelle del reg. 1466/97) regolanti in modo diverso l’intera materia , degli unici poteri politici ad essi attribuiti in funzione alla conduzione economica dell’Unione”, e aggiunge l’autore che ciò “ha inciso sul carattere fondamentale dell’Unione, in assenza del quale gli Stati non sarebbero stati legittimati a parteciparvi, quello della democraticità. È l’affermazione che tra tutte genera la massima incredulità”.

L’acuto giurista sostiene che, per rimediare, e data la comprovata dannosità dell’attuale disciplina dell’euro, tra l’altro non conforme al TUE, ma in violazione dello stesso, occorre,per i paesi a rischio, un’uscita concertata dalla moneta unica, che non ha nulla di illegale, dato che significa il passaggio da paese senza deroga a paese con deroga, come ce ne sono – allo stato – undici nell’U.E. La soluzione migliore sarebbe che lo facessero di concerto quattro o cinque Stati. Meglio se tra i promotori ci fossero la Francia e l’Italia.

Ci sono tante cose in questo libro, e con dispiacere il recensore, ratione officii le  deve tralasciare per concentrarsi su due che colpiscono più di altre i giuristi, e che sottolinea per i lettori.

La prima che Guarino, a proposito della disciplina dell’euro, la definisce robottizzata: ossia di una moneta che non ha – sopra – un vertice politico decidente e decisivo, ma solo una regolazione normativa. Ma se è così (e così è) la regolamentazione dell’euro ha un pregio: verificare sul piano fattuale la non praticabilità di un assetto fondato sulla perfezione (bontà, saggezza) della normazione, senza un potere che diriga e all’occorrenza ne deroghi. L’idea del nomos basileus applicata, nel caso, alla moneta comune, si è rivelata illusoria . Il pensiero va a de Maistre e al suo giudizio tranchant  “il n’est pas au pouvoir de l’homme de créer une loi qui n’ait besoin d’alcune axception”. L’eccezione  serve di tanto in tanto: ma la necessità di adeguarsi ai cambiamenti è costante. E la regolamentazione dell’euro non ne ha tenuto conto; essendo stato pensato (e ri-pensato) in un periodo di cambiamento, ha una disciplina che poteva essere congrua in periodi di stabilità – come quello dalla fine del secondo conflitto mondiale al crollo del comunismo – non lo è quando la situazione si “mette in movimento” (ossia negli ultimi vent’anni), per cui occorrono flessibilità, adeguamenti; cioè decisioni. Il tutto ricorda la critica che un altro acuto giurista, Hauriou, rivolgeva ad Hans  Kelsen e al normativismo: che il giurista austriaco aveva immaginato un sistema statico, e per ciò inadatto alla vita, che è movimento ed alla quale il diritto si deve adeguare.

Ma come ci si può adeguare se il potere “adeguatore”, cioè quello politico, manca? Essere guidati dall’impersonalità della norma, piuttosto che dalla personalità della decisione è una prospettiva forse seducente, ma del tutto irreale, come salire su un automobile senza conducente:prima o poi si va a sbattere. É quello che hanno constatato gli europei. Si è sognata – nel XX secolo, la “Costituzione senza sovrano” (Kirkheimer – e tanti altri, dopo) per verificare che senza sovrano  non può funzionare neppure la moneta.

La seconda: a prescindere dalla lettera della normativa, farcita di buone ed appetibili intenzioni è al contenuto effettivo, e al senso delle norme che deve guardarsi. Come scrive Guarino “la modifica introdotta dal reg. 1466/97 rispetto al TUE (Maastricht), sul piano formale, è consistita nell’abrogazione di un diritto-potere, quello degli Stati di concorrere alla crescita con la propria “politica economica”, concorrendo così anche alla crescita dell’Unione, sostituendola con un obbligo/obbligo, gravante sugli Stati, avente come contenuto il pareggio del bilancio a medio termine, da conseguirsi nel rispetto di un programma predeterminato. Gli elaboratori delle norme non si sono resi conto delle conseguenze che sarebbero derivate dall’aver messo a base del sistema, un “obbligo” al posto di un “potere”. Di conseguenza il sistema ha leso la libertà degli Stati, ossia delle comunità di decidere come, quanto e in quali direzioni crescere. La libertà politica comunitaria è in primo luogo quella di scegliere scopi, mezzi e forme del vivere comune e si chiama sovranità; adesso non “va di moda” ma non se ne può prescindere, ancor meno di quanto si possa fare a meno della libertà individuale.

Nel complesso un libro che si consiglia di leggere dato il surplus di idee che lo connota. In un coro di banali cortigianerie agli idola ed ai potenti (economici, burocratici e politici) di turno sentire qualcuno che non canta nel coro (ed è molto intonato) è salutare e necessario.

Teodoro Katte Klitsche de la Grange

ATTACCO AL LIBANO. POI A CHI ?, di Antonio de Martini

ATTACCO AL LIBANO. POI A CHI ?

Mi pare che la gente non accetti di rendersi conto che esistono verità che non siamo in grado di conoscere e che la scienza ha limiti di ignoranza e presunzione non ancora raggiunti, ma già ragguardevoli.
Particolarmente isterichiti da questa prospettiva, gli “intellettuali”, ( def. persone che hanno ricevuto una educazione superiore alla loro intelligenza) da sempre affannati a chiedersi il significato della vita e adesso a cercare di trovare un significato all’epidemia.

C’é chi la vede come una cospirazione della élite mondiale, chi come un esperimento globale e inumano, chi come una opportunità di apportare una serie di cambiamenti epocali impossibili in presenza di società non destabilizzate.
Qualcuno ci proverà ad accentuare la destabilizzazione in atto, altri a suggerirla, altri ancora a pensare di approfittarsene per restaurare l’antico ordine.

L’unico che mi sembra abbia mantenuto un passabile controllo dei nervi e della mente è Emanuele Macaluso che in una intervista ha detto di non scorgere. un orientamento al cambiamento – che non vede- in nessuna forza politica.
Aggiungerei nazionale.

Sul piano internazionale, le cose stanno diversamente.
Il duo Stati Uniti-Israele stanno mettendo in atto una serie di azioni di disinformazioni massicce in funzione anti cinese gli uni e pro domo sua gli altri. Gli esempi dell’ultima settimana basterebbero a riempire un hard disk.

L’unica strada in comune è la strategia di disinformazione che però biforca: Gli USA con la loro caratteristica filosofia pragmatista vogliono ridimensionare la Cina togliendole mercati e investimenti da riportare a casa, finire di distruggere quel che resta della influenza iraniana nel Vicino Oriente e assistere con finto disinteresse allo sfascio della Unione Europea.

Israele mira ad assumere il ruolo di subappaltatore degli USA nell’area MEME ( neologismo creato da me: Mediterraneo e Medio Oriente).
Per fare questo ha mosso parecchie pedine, ma incontrato ostacoli imprevisti come, ad esempio, Erdogan che sta riavvicinandosi agli Stati Uniti e la Merkel che ha deciso di impuntarsi definendo al Bundestag l’Unione Europea “ una ragion di Stato per la Germania”. Si è inoltre appoggiata alla traballante dinastia saudita con la quale contava istaurare una collaborazione di antichissima memoria ( trascurando però il fatto che i sauditi non discendono da Maometto e loro non sono i Khaibari).

Dopo la Libia, lo Yemen, L’Irak, la Siria, l’Afganistan e la Somalia, questa pericolosa coppia, sta preparando l’assalto al bastione di Hezbollah e per fare questo sta premendo brutalmente sul Libano.
Secondo questo piano, il governo dovrebbe estromettere Hezbollah (50% alle ultime elezioni)dalla governance ( già fatto in parte ma con un governo tecnico) poi disarmare la milizia sciita ( che è più grande e meglio armata dell’esercito libanese ed ha esperienza di guerra vittoriosa in Siria).

Al momento hanno attaccato la lira libanese come fecero tre anni fa col rublo (- 50%)e con la lira turca (-50%) – cosa di cui Trump si è vantato nella lettera a Erdogan resa pubblica) , provocando una crisi senza precedenti nel piccolo paese già oberato da una presenza di profughi pari alla popolazione e dando la colpa all’Hezbollah che, secondo la propaganda locale, avrebbe rastrellato i dollari per distruggere il paese in cui vive rafforzando il dollaro…..

Altro argomento chiave è la solita “lotta alla corruzione” che detta nel paese dei fenici – corrotto, come l’Italia da almeno duemila anni – farebbe sorridere se non fosse per la martellante capillarissima propaganda che ne ha fatto un articolo di fede.

Si tratta, mutatis mutandis, di una replica – con mezzi non ancora militari- della operazione “Pace in Galilea” fallita nel 1982 e che diede vita alla militarizzazione di Hezbollah nella zona occupata da Israele, che prima di quella guerra era una organizzazione di soccorso caritativo creata da Moussa Sader e dal Vescovo Gregoire a sostegno della fascia sciita che era la più povera del paese.

Questo obbiettivo prevede un progressivo indebolimento di Hezbollah, se possibile uno scontro tra Esercito LIbanese e la milizia sciita e poi l’attacco finale israeliano. Tanta cautela si è resa necessaria perché temono uno scontro diretto da cui già una volta sono usciti malconci.

Nella campagna per la ghettizzazione dell’hezbollah, stanno ricopiando , passo per passo, la tecnica nazista di dare la colpa di ogni male a una minoranza religiosa come accade in Germania negli anni trenta.
Hanno imparato la lezione a memoria, solo che – a parte il grottesco di accusare l parte più misera della popolazione di speculazioni finanziarie internazionali- non si tratta di una minoranza e sono armati fino i denti e pare siano in grado di bombardare intensamente Tel Aviv penetrando il sistema di difesa antiaerea israeliano.
Di qui l’imperativo di un attacco dell’esercito libanese che contrasti una reazione missilistica.
Come pensare di arricchire puntando ai cavalli.

Ipoteche, di Giuseppe Masala

Diciamocela tutta siamo di fronte ad un bivio in questo disastro epocale. O continuare in Eu sapendo che ogni stato usa i suoi margini fiscali per far ripartire la propria economia o uscire dall’Eu perchè noi, margini fiscali non ne abbiamo e abbiamo urgente necessità di attingere ai margini monetari che la Banca d’Italia può garantirci e diciamocelo pure, anche grazie agli aiuti che Trump (certo, lo ha fatto guardando agli interessi geostrategici americani non certo perchè è un francescano) compresa l’opportunità che ha la Banca d’Italia di accendere uno swap con la Federal Reserve.
Badate, fa davvero rabbia andare nel sito della Bce (pagina “Open Market Operations”) e vedere il continuo profluvio di operazioni in dollari che fanno con la Banca d’Italia che garantisce tutto per salvare le banche tedesche e olandesi in piena dollar trap mentre non può far nulla per dare una mano al suo popolo. Uno schifo immenso. Ma cosa volete, questa è la situazione: la bce garantisce il debito privato sull’unghia ma sul debito pubblico fa troppo poco favorendo dunque le nazioni con forte debito privato.

Qualunque scelta comporta sacrifici ed è piena di rischi. Ma quella di rimanere nell’Eu porta ad un esito fatale per noi. Io mi chiedo che diritto hanno le persone della mia generazione, o della generazione precedente a ipotecare la vita di figli e nipoti sull’altare dell’idea piccolo borghese e provincialotta di “sentirsi europei”? Che diritto si ha di dare un futuro alle prossime generazioni da rumeno o da polacco post caduta del Muro di Berlino? Io credo nessun diritto.

Certo, lo so, è difficilissimo da comprendere, le persone sono state educate a considerare l’Europa come il non plus ultra delle magnifiche sorti e progressive. Decine di esperti e di tecnici appaiono in tv a farci la paternale sulla giustezza del destino europeo. Ma lo fanno per voi? Lo fanno in piena coscienza? Oppure parlano pensando alla loro reputazione, alle loro entrate ed al loro personale futuro? Cioè, secondo voi, Prodi può apparire in tv a chiedere scusa e dire che non sa nulla di economia e che ci ha buttato nel baratro? Chiaro che non può dirlo, ne vale anche della sua sicurezza fisica. E così vale per i tanti gerarchi che in trenta anni non hanno fatto altro che chiederci sacrifici per le nuove generazioni che avrebbero beneficiato del paradiso europeo. Se va bene ora sarà un paradiso da camierere magari con una laurea in ingegneria presa in un’inutile università italiana ormai di terza fascia. A voi in questi 20 anni ve n’è fottuto qualcosa della laurea in ingegneria del rumeno che vedevate impegnato nella raccolta di pomodori? Sarà uguale per la nuova generazione di italiani. E forse questa è la Nemesi.

Chi vuole continuare in questa follia sappia che sta ipotecando la vita di figli e nipoti.

 

I dati ferali del mercato automotive in Italia (ma nel resto del mondo non cambia poi molto), dovrebbe indurre a profonde riflessioni i decisori politici. La cosiddetta ripartenza non è una vera ripartenza se si inizia dalle aziende che hanno un enorme peso politico come appunto quella dei produttori di automobili. In questo momento non c’è domanda e riaprire questo settore significa farli lavorare un mese e poi assistere alla richiesta di cassa integrazione straordinaria da parte delle aziende. Bisogna ripartire da quelle aziende che si ha certezza abbiano una domanda sicura. Può sembrare una scemenza, ma barbieri e parrucchieri hanno una domanda certa inevasa che viene soddisfatta costringendoli a farli lavorare in nero a domicilio (non li biasimo, fanno bene, in tempo di guerra ognuno s’arrangia). Si potrebbe farli aprire su prenotazione, almeno riprendono a fatturare e possono garantire Iva all’Erario e stipendi ai propri dipendenti, butta via di questi temi maledetti! Idem il calcio. Si lo so, voi dite che sono un appassionato e lo dico per quello. Ma non è così, il settore è la decima industria del paese, i diritti tv sono già pagati ed è giusto che i contratti siano rispettati, a porte chiuse certamente, facendo i tamponi ai calciatori certamente. Ma devono ripartire per non perdere fatturato. Uguale i negozi d’abbigliamento, devono ripartire, magari anche qui su prenotazione, magari consentendo di fare saldi per svuotare i magazzini non perdendo così la stagione (si tenga conto che se perdono la stagione poi l’anno prossimo le nuove collezioni le comprano in quantità minore rallentando la ripartenza del settore tessile).
Per paradosso è il minuto che può consentire un minimo di ripartenza. E’ inutile far lavorare gli operai dell’alluminio e dell’acciaio se poi l’automotive non chiede alluminio e acciaio per le sue carrozzerie e i suoi motori perchè nessuno compra auto. Ripartire dal tetto dei grandi produttori, lasciando chiusa la base del commercio minuto e dei servizi necessari ci porterà solo ad un doom loop per assenza di domanda.

E’ altrettanto evidente che per riattivare il commercio minuto, le spese di tutti i giorni, è poi necessario mettere in tasca soldi alle persone. Anche con politiche monetarie non convenzionali come sta facendo la Banca del Giappone che sta accreditando soldi freschi sui c/c dei giapponesi. A crisi non convenzionale devono esserci risposte non convenzionali. Qui si sta sbagliando tutto. Mi pare che questa commissione di economari diretta dal Manager Colao sia troppo incentrata sul Big Business ma non riesce a comprendere che le case non si riedificano dal tetto. Bisogna partire dalle fondamenta.

tratti da facebook: https://www.facebook.com/bud.fox.58?epa=SEARCH_BOX

Io speriamo che me la cavo, del dr Giuseppe Imbalzano

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi. Oggi consulente della Federazione Russa per la gestione dell’epidemia di Covid19

http://CVBreveImbalzano

Io speriamo che me la cavo

Grazie a Marcello d’Orta che ci ha dato una speranza, per il presente e per il futuro.

E speriamo che anche per noi ci sia un modo per uscire, con sicurezza e rapidamente, da questa epidemia che ha determinato danni come una guerra, in un periodo tanto limitato, sovvertendo le nostre abitudini, i nostri comportamenti, i nostri affetti e le nostre speranze.

Ormai abbiamo superato i 200 mila casi certificati che, nella realtà, sono molti di più. I decessi sono circa 30 mila secondo l’Istat. Il personale sanitario infettato è ben oltre i 20 mila casi anche qui riconosciuti, con centinaia di morti.

Un disastro unico.

Non è chiaro come, dopo 2 mesi dall’inizio dell’infezione, ci siano ancora oltre 2600 operatori sanitari colpiti dall’infezione in una settimana, che ci siano 18 mila nuovi casi, come da una relazione dell’ISS e che non si veda una netta riduzione di crescita della curva, come nella analisi effettuata dal Gimbe

In Cina, con il lockdown, la curva si è appiattita dopo circa 2 settimane di crescita mentre in Italia non è accaduto mantenendo un incremento dei casi importante. Il lockdown non è stato particolarmente efficace ed è certamente stato determinato dai focolai di infezione che sono rimasti numerosi ed ampiamente distribuiti, in particolare nel Nord Italia.,

E allora ci chiediamo cosa non vada nella situazione italiana, quali siano le criticità che si ripetono, poiché è evidente che le azioni messe in atto per ridurre le infezioni non sono efficaci. O almeno non sono efficaci in alcune regioni.

I dati di mortalità, di prevalenza e di incidenza della infezione sono, e restano, comunque elevati e significativi, certamente non sono ancora azzerati, come si dovrebbe, per operare in sicurezza nella quotidianità, per il lavoro, i rapporti comunitari e la vita sociale.

In medicina, quando dobbiamo curare un malato, dobbiamo determinare quale sia la diagnosi corretta. Non è possibile, e ancora meno utile per il paziente, fare una valutazione generica e intervenire in modo inadeguato.

Ma, nella scelta tra più diagnosi e conseguenti terapie, è possibile che qualche volta la prima scelta non sia adeguata.

A questo punto si fa una rapida rivalutazione in considerazione dei risultati e delle conseguenze per il paziente. Se la diagnosi non è corretta si approfondisce il caso e si decide una nuova terapia. Se il fallimento è terapeutico allora si modifica la terapia che non ha dato i risultati sperati, o perché il farmaco non è efficace per quel paziente o perché la terapia non è adatta al caso che stiamo assistendo.

Una analisi dell’Istituto Superiore di Sanità ha identificato i luoghi di esposizione delle nuove infezioni e su 4500 casi valutati abbiamo il 44% che è avvenuto nelle strutture per anziani o nelle comunità per disabili, il 25% al proprio domicilio e l’11% in ambiente sanitario.

Se non vengono individuate le cause, qualsiasi terapia potrebbe essere inefficace.

Fermo restando che chi si ammala è abbisognevole di cure, nel nostro caso è indispensabile che le fonti di infezione vengano neutralizzate oltre alle necessarie cure ed assistenza dei pazienti. È necessario che i diversi settori clinici abbiano la necessaria competenza e sicurezza per poter operare con tempestività e continuità. Ed è essenziale proteggere e rafforzare il sistema sanitario che attualmente ha subito danni considerevoli.

In Cina hanno riaperto quando i casi si sono azzerati.

Perché?

Perché così si possono evitare nuovi casi

Noi riapriamo con due elementi di grande criticità

Il numero dei nuovi casi e gli operatori sanitari infettati

La soluzione che riteniamo preferibile è quella di individuare le aree virusfree e in quelle avviare una apertura totale delle attività. Considerato che l’avvio della fase 2 non valuta questa opzione è comunque necessario verificare se siano garantiti alcuni parametri organizzativi e gestionali che diano garanzie per una corretta gestione dell’epidemia.

 

Cosa dobbiamo fare

Siamo arrivati a tracciare e a interrompere la catena di trasmissione del virus?

Riusciamo a testare i sintomatici e rintracciare i loro contatti?

I sistemi proposti per il tracciamento dei contatti sono efficaci?

O rischiano di creare confusione ulteriore nel sistema per l’elevato numero di contatti che possono essere registrati?

Riusciamo ad assistere in modo adeguato i malati non ricoverati garantendo un rientro in famiglia quando il paziente è completamente guarito?

Gli ospedali e la case di riposo sono stati messi in sicurezza?

Il personale sanitario è garantito nella sua attività quotidiana?

Cosa stiamo facendo per la prevenzione?

Le regole che sono state indicate sono sufficienti?

Cosa dobbiamo fare in attesa che sia reso disponibile, e dispensato a tutta la popolazione, un vaccino efficace e terapie adeguate?

La popolazione a rischio è sufficientemente protetta e garantita?

Considerato che dobbiamo attenderci nuove recrudescenze del virus, come dobbiamo operare per garantire l’intera popolazione e quella più suscettibile a subire i danni più gravi determinati dal virus?

 

Come fare?

Esistono tre modelli di base per riavviare la vita sociale ed economica: l’approccio di riavvio completo; un approccio incentrato sul mantenimento delle restrizioni per le popolazioni vulnerabili; e l’approccio graduale adottato da paesi come la Cina.

Con il modello di riavvio completo, il governo attende che i nuovi casi Covid-19 siano a zero e quindi riavvia l’attività sociale ed economica con misure restrittive minime ma con viaggi internazionali limitati. Questa strategia richiede numerose condizioni che potrebbero non essere fattibili per la maggior parte dei paesi, tra cui controlli rigorosi alle frontiere, elevati volumi di test e tracciabilità dei contatti e la capacità di imporre un lungo periodo iniziale di blocco.

Il secondo approccio consente il diffuso riavvio dell’attività sociale ed economica, ma con il rigoroso isolamento per le popolazioni vulnerabili come gli anziani. Un simile approccio potrebbe non essere fattibile in molti paesi, dato il gran numero di persone che dovrebbero rimanere in isolamento fino a quando non sarà disponibile un vaccino o una cura.

Il terzo approccio è probabilmente il più ampiamente adottato. Secondo questo modello, i governi eliminano le restrizioni in modo deliberato, graduale e incrementale basato sulla progressione della malattia, sulla prontezza del sistema sanitario pubblico e sulla preparazione della comunità. Questo approccio è in varie fasi di introduzione in tutto il mondo, con paesi in Asia ed Europa all’avanguardia.

Entrare nel merito di ognuno dei tre modelli dipende dalle condizioni di avvio del sistema, che deve essere considerato un prerequisito.

In due mesi non sono stati risolti molti dei problemi che abbiamo elencato precedentemente e che sono alla base delle criticità attuali che, se dovessero permanere, non possono determinare le condizioni di sicurezza che noi ci attendiamo per poter proseguire e riprendere una quotidianità quasi normale o con limitazioni molto modeste.

Giuseppe Imbalzano – Medico

Circa il discorso di Angela Merkel al Bundestag, di Alessandro Visalli

Circa il discorso di Angela Merkel al Bundestag. Coronavirus e cronache del crollo.

In fondo al testo c’è il link e il testo con la trascrizione integrale in italiano del discorso. Basta una semplice comparazione con l’analogo del nostro PdC per farsi già una prima idea della diversa qualità di approccio e di comportamento_Giuseppe Germinario

Il 22 aprile il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, in vista del Consiglio Europeo del 23, ha pronunciato un lungo discorso al suo Parlamento, nel quale ha riassunto la strategia tedesca di contrasto al coronavirus, basata su un lock down flessibile e differenziato, potenziamento dei servizi territoriali e dei tamponi, espansione della capacità di cura, quindi ha descritto le misure per la fase di allentamento che parte da loro come da noi, con tracciabilità digitale e regole di distanziamento, infine i suoi timori per le pressioni che il sistema produttivo, in Germania come in Italia ed in Inghilterra, vuole riaprire senza se e senza ma. Nella parte finale illustra le misure di sostegno e chiarisce in modo inequivocabile che oltre al Mes ed al potenziamento del Bilancio Europeo (al prezzo di ulteriori, decise, cessioni di sovranità asimmetriche[1]) non c’è altro. Eventuali “eurobond” (comunque si chiamino) dovranno passare per la modifica dei Trattati.

Il confronto delle strategie è interessante, ma ancora di più lo è quello delle procedure. In Germania le misure sono passate per progetti di legge licenziati con la necessaria velocità, in Italia con un basso trucco in linea con la costante umiliazione del Parlamento di questi ultimi anni. La differenza è enorme, sia nella qualità del prodotto, sia nelle conseguenze. Se si sceglie la scorciatoia di licenziare Dpcm, che sono atti monocratici, senza l’obbligo di discuterli ed approvarli ottenendo il relativo consenso, e senza sapere neppure che il Dl (si scegliesse questa strada intermedia) comunque dopo 60 gg. Sarebbe da convertire, l’atto ne risentirà (come peraltro si vede bene). Inoltre, il precedente di ulteriore accelerazione governista ed allontanamento dalla sostanza discorsiva della democrazia scaverà ai piedi della legittimazione percepita delle scelte. Quindi della coesione sociale del paese, che, invece, dovrebbe essere convinto e quindi unito. Alla fine è una strada che tende a rafforzarsi, al cui termine lampeggiano nubi temporalesche.

Ma veniamo alla lettura del testo.

L’avvio è enfatico, come accade praticamente a tutti i governi in questo contesto, siamo in tempi “del tutto straordinari e gravi … sottoposti ad una prova come non c’è mai stata dalla Seconda guerra mondiale”. Il motivo è presto detto, “in gioco non c’è niente di meno che la vita e la salute delle persone”, ma, precisazione importante, “ne va della coesione e della solidarietà della nostra società e in Europa”. La posta è individuata: vita individuale e vita collettiva. Le persone e la società. Entrambe a rischio di morte.

Sulla stella linea Boris Johnson, che nel suo primo discorso dopo essere tornato al lavoro ha citato, in latino, Cicerone: “salus populi suprema lex esto”, ovvero “la legge suprema sia il benessere della popolazione”, allo scopo di resistere alle pressioni, anche economiche, degli industriali per riaprire subito. Avendo personalmente scampato la morte è nella posizione psicologica migliore per farlo. Per questo sottolinea il rischio di ricadere immediatamente.

Leggeremo il testo del discorso confrontando somiglianze e differenze con quel che il governo italiano sta contemporaneamente facendo.

Come abbiamo scritto, proprio all’avvio la differenza più evidente, e più importante:

  • Mentre il governo italiano riserva a Parlamento il ruolo secondario di tribuna, e prende le sue decisioni con lo strumento incongruo del Dpcm[2], un atto amministrativo che non può promuovere norme, invece del più solido Decreto Legge, che in questo caso sarebbe giustificato, o lo strumento del progetto di legge con procedura di urgenza, che sarebbe quello più solido ed opportuno,
  • Il governo tedesco ha inviato dei progetti di legge al suo parlamento e chiesto l’approvazione dei relativi mezzi finanziari. Leggiamo: “Io sto dinnanzi a voi come la cancelliera di un governo che nelle scorse settimane ha deciso insieme ai Laender federali delle misure per le quali non c’è alcun precedente storico sul quale sia possibile orientarsi. Noi abbiamo inviato a voi, il Parlamento, dei progetti di legge e vi abbiamo chiesto l’approvazione di mezzi finanziari di una dimensione che prima della pandemia del coronavirus era semplicemente inimmaginabile. Ringrazio di tutto cuore per il fatto che il Bundestag, come del resto anche il Bundesrat, in queste difficili circostanze abbiamo discusso e deciso i provvedimenti legislativi con estrema rapidità”.

La differenza essenziale tra questi due comportamenti, che ricorrerà anche altrove, è che il governo italiano è estremamente debole. Si regge su una maggioranza altamente litigiosa e divisa praticamente in tutto, ha una legittimazione elettorale minima (essendo formato da due forze che si erano presentate le une contro le altre, ed una delle quali aveva anche perso), emerge da anni di umiliazione costante del Parlamento e di abitudine a non prendere alcuna decisione sostanziale per effetto del cosiddetto “vincolo esterno”.

La Cancelliera tedesca ha scelto un’altra via, e ci tornerà a più riprese, ma è cosciente che la pandemia sia “una grave imposizione democratica”, e che, per questo, sia accettabile solo “se le motivazioni delle limitazioni sono trasparenti e comprensibili, se la critica e il contraddittorio sono non solo permessi, ma anzi stimolati e che vengano ascoltati: da tutte le parti. In questo è di aiuto anche la libera stampa”.

La verità, è che in Italia manca, e abbastanza radicalmente, un presupposto perché questo corretto principio democratico sia rispettato: la fiducia. Manca nel Parlamento e nel paese (ma naturalmente si potrebbe anche dire che la fiducia va guadagnata, e non può essere pretesa). Leggiamo ancora la Merkel: “In questo ci aiuta il nostro ordinamento federale. In questo ci aiuta anche la reciproca fiducia alla quale si è potuto assistere in queste ultime settimane qui in Parlamento e dappertutto nel Paese. E’ ammirevole con quanta naturalezza le cittadine e i cittadini si siano impegnati l’uno per l’altro e si sono limitati come cittadine e cittadini a favore degli altri.

Nel seguito la Cancelliera richiama le misure di lock down che, anche se in misura meno uniforme, sono state praticate anche in Germania e i necessari, dolorosi, adattamenti che ciascuno ha dovuto subire. E con abilità mostra di comprendere il sentimento di stanchezza che, in Germania come in Italia e ovunque, emerge dopo due mesi di blocchi[3]. Ma immediatamente, come del resto ha fatto anche Conte (e Johnson) nel suo discorso, chiarisce che le spinte a riaprire tutto e subito, che in tutti paesi le forze dell’industria portano avanti con brutale energia, devono segnare il passo. Non è piacevole ma “non siamo alla fase finale dell’epidemia, ma siamo ancora al suo inizio”. Nel dire agli spiriti animali dell’economia che devono restare in attesa segna quello che, in Germania come in Italia e in Inghilterra, ed ovunque, è sempre stato il punto: “La domanda di come possiamo impedire che il virus ad un certo punto possa travolgere il nostro sistema sanitario e che di conseguenza possa costare la vita a un numero immenso di persone rimarrà ancora a lungo la questione centrale per la politica, in Germania e in Europa.[4]

A questo fine usa una immagine che nella nordica Germania deve avere una particolare presa nella memoria collettiva: “Ci muoviamo su ghiaccio sottile. Si può anche dire: su ghiaccio sottilissimo.

Dunque, la Germania sta avendo successo, l’epidemia rallenta (come in Italia, anzi un poco di più), e in questo “guadagna tempo”. Tempo che va usato per rafforzare il sistema sanitario. Qui interviene una spiegazione tecnica che prende un bel pezzo del discorso:

“Il punto angolare, intorno al quale girano tutti gli sforzi in campo medico, sono i reparti di terapia intensiva. Lì si decide il destino di coloro che sono più colpiti dal coronavirus. Conosciamo tutti i terribili racconti dagli ospedali di alcuni Paesi che per alcune settimane sono stati semplicemente travolti dal virus. Che non si arrivi a questo è il semplice e al tempo stesso ambizioso obiettivo del governo federale. Io ringrazio il nostro ministro alla Sanità, Jens Spahn, ma anche i ministri alla Salute dei Laender, che lavorano instancabilmente a questo obiettivo: e con successi che sono evidenti.

Abbiamo esteso in maniera significativa il numero degli apparecchi per la respirazione. Con l’apposita legge ci siamo accertati che gli ospedali potessero realizzare ulteriori capacità di ricovero intensivo. Così oggi possiamo verificarlo: il nostro sistema sanitario ha retto a questa prova. Ogni paziente di coronavirus ottiene anche nei casi più gravi il miglior trattamento possibile, rispettoso della dignità umana.

Questo lo dobbiamo, più che a tutti provvedimenti statali, al lavoro e al sacrificio di medici, di personali sanitario e del soccorso, delle tante persone che con la loro fatica e la loro capacità d’azione realizzano proprio quello che noi chiamiamo semplicemente ‘il nostro sistema sanitario’. Li ringraziamo con questo applauso, e questo ringraziamento lo voglio estendere anche alle soldatesse e ai soldati della Bundeswehr, che danno il loro contributo in molti luoghi.

Un ruolo forse meno visibile in pubblico ma altrettanto decisivo nella lotta contro la pandemia è quello dell’amministrazione pubblica sanitaria. Si tratta di quasi 400 uffici sanitari locali. Se vogliamo riuscire a controllare e rallentare lo sviluppo dell’infezione, abbiamo bisogno che questi uffici siano in piena forza. Ed io aggiungo: in una condizione più forte di quanto non fossero prima della pandemia.

Per questo abbiamo deciso tra governo e Laender di dare a questi uffici più collaboratrici e collaboratori, in modo che possano effettivamente essere messi in grado di perseguire anche il compito di tracciare i contatti di una persona infetta. Il Robert Koch Institut istituirà 105 team mobili con studenti, i cosiddetti ‘containment scouts’, che possono essere utilizzati là dove vi sia particolare necessità.”

Il punto cruciale sono i reparti di terapia intensiva, che garantiscono a tutti le cure rispettose della dignità di ciascuno, ma anche gli uffici sanitari territoriali distribuiti, il vero punto debole della nostra organizzazione sanitaria, in grado di fornire assistenza distribuita e di identificare tempestivamente i focolai.

Quindi sarà trattata la questione dei dispositivi ed equipaggiamenti di protezione individuale, per i quali il governo ha predisposto l’approvvigionamento centralizzato, sottraendolo al mercato[5], ma, al contempo per i quali si sta organizzando per restringere le catene di fornitura: “la pandemia ci insegna: non è bene se gli equipaggiamenti di protezione vengano acquisiti solo da Paesi lontani. Maschere che constano solo pochi centesimi nella pandemia possono diventare un fattore strategico. La Repubblica federale e l’Unione europea lavorano affinché si torni ad essere più indipendenti da Paesi terzi in questo ambito. Per questo siamo aumentando le capacità produttive per questi ben in Germania e in Europa con grande pressione”.

Terzo elemento, la capacità di testing: “Se ci chiediamo in cosa abbiamo beneficiato in questa prima fase della diffusione del virus, allora sono – oltre ai tanti posti letto nelle terapie intensive – le alte capacità di test e la fitta rete di laboratori. Gli esperti ci dicono: testare, testare, testare. Così traiamo un quadro più preciso dell’epidemia in Germania e abbiamo una maggiore chiarezza sui numeri reali dell’infezione, così possiamo effettuare più frequentemente test sul personale di cura, in modo da far calare il rischio di infezione negli ospedali e nelle case di cura. Per questo abbiamo esteso le capacità per test ad ampio raggio e le estenderemo ancora”.

Ovviamente, conclude, la soluzione definitiva è affidata alla ricerca, del vaccino e delle cure. Per questo la Germania si è impegnata in cooperazione con il resto del mondo.

La questione è che in una epidemia, nella quale un agente biologico si propaga attraverso i contatti tra le persone, rilassarsi è pericolosissimo. Come dice:

“più riusciamo a sostenere proprio all’inizio di questa pandemia la massima perseveranza e disciplina, tanto più saremo in grado di sviluppare nuovamente la vita economica, sociale e pubblica, e lo potremo fare in modo duraturo, più che non cullandoci, proprio all’inizio, troppo presto in una falsa sicurezza a causa dei numeri incoraggianti sui contagi.

Dunque se all’inizio siamo disciplinati ce la faremo più velocemente a creare le condizioni per vivere allo stesso modo la salute e l’economia, la salute e la vita sociale. Anche allora il virus ci sarà ancora: ma con la concentrazione e la perseveranza – proprio all’inizio – possiamo evitare di saltare da un lockdown al prossimo, o di dover isolare per mesi certi gruppi di persone da altri, e di doverci confrontare con condizioni terribili nei nostri ospedali, come purtroppo è stato il caso in alcuni altri Paesi.

Con più perseveranza e coerenza sopportiamo all’inizio di questa pandemia le limitazioni riuscendo a spingere verso il basso lo sviluppo delle infezioni, più serviremo non solo la salute dei cittadini, ma anche la vita scientifica e la vita sociale, perché saremo in grado di intercettare ogni catena d’infezioni e con ciò di controllare il virus. Questa convinzione guida le mie azioni”.

Per questo invita alla prudenza (in Germania come in Italia si sta tentando di riavviare precocemente molte attività).

Ci sono altri temi che ricorrono nel discorso e assomigliano a quelli che si stanno trattando in Italia: la tracciatura dei contatti (digitale, lì come qui, con polemiche non dissimili), le riaperture e le regole di distanziamento attività per attività[6]. Cose che modificheranno la quotidianità.

Infine, il sostegno all’economia. E ciò in Germania ed in Europa.

Dato che il discorso cadeva il giorno prima del Consiglio Europeo nel quale la Germania ha conseguito il solito successo, descrive al suo Parlamento quel che proporrà:

“Insieme abbiamo agito per contrastare il massiccio crollo dell’economia europea. Lo facciamo con un pacchetto di misure d’aiuto per imprese e lavoratori della dimensione di 500 miliardi di euro, sui quali il nostro ministro alle Finanze Olaf Scholz e gli altri ministri alle Finanze dell’eurogruppo si sono intesi due settimane fa. Ora si tratti di rendere veramente disponibili questi 500 miliardi di euro: per questo anche il Bundestag dovrà ancora prendere ulteriori decisioni.

Ora alcuni dei nostri partner europei chiedono – ma anche all’interno della discussione politica in Germania questo è un tema – che di fronte alla grave crisi si accolgano debiti comuni dalle garanzie condivise. Questa questione avrà un ruolo anche nella videoconferenza del Consiglio europeo. Ipotizziamo che effettivamente ci siano il tempo e la volontà politica per un indebitamento comune: allora tutti i parlamenti nazionali dell’Unione europea e anche il Bundestag dovrebbero decidere di cambiare di conseguenza i Trattati Ue, in modo che una parte della normativa sui bilanci venga trasferita a livello europee e sia là controllata democraticamente. Si tratterebbe di un processo lungo e molto difficile, e non un processo che nell’attuale fase sia in grado di garantire aiuto diretto. Perché ora si tratta di aiutare rapidamente e di avere nelle mani rapidamente degli strumenti in grado di alleviare le conseguenze della crisi.

Direi piuttosto chiaro, ed onesto: c’è il Mes e non c’è altro. Quel che chiedono Italia, Spagna e Francia, una emissione di debito garantito in solido, richiede il cambiamento dei Trattati e quindi l’approvazione di ogni Parlamento europeo. Un processo che con un notevole eufemismo la Merkel chiama “lungo e difficile”, e che, ovviamente, per ora non serve a portare soccorso.

Binario morto.

Continua:

“Al consiglio europeo odierno si discuterà anche su come procedere insieme in Europa nel tempo che seguirà le restrizioni più severe. Vogliamo agire rapidamente in Europa, perché abbiamo bisogno naturalmente di strumenti per superare le conseguenze della crisi in tutti gli Stati membri.

In questo contesto ritengo che intanto sia molto importante che la Commissione europea verifichi adesso e anche nelle prossime settimane come i diversi campi dell’economia siano stati colpiti dalla crisi e quali campi d’azione ne derivino. Questo riguarda anche gli aiuti immediati per l’economia europea. Un programma congiunturale europeo potrebbe sostenere nei prossimi due anni la necessaria ripresa. Noi lavoreremo anche per questo.

Nelle discussioni di oggi non si tratterà di fissare già i dettagli o di decidere addirittura delle dimensioni delle misure. Ma una cosa è già chiara: dobbiamo essere pronti, nello spirito della solidarietà, di realizzare contributi di ben altra natura, ossia molto più alti, al bilancio europeo. Perché noi vogliamo che tutti gli Stati membri dell’Unione europea possano riprendersi economicamente. Un tale programma congiunturale dovrebbe tuttavia sin dall’inizio essere pensato insieme al bilancio europeo, perché il comune bilancio europeo è da decenni il collaudato strumento del finanziamento solidale di iniziative comuni nell’Unione europea.

Oltre a questo io insisterò affinché il consiglio europeo affronti rapidamente alcune domande di fondo. Dove dobbiamo collaborare in maniera ancora più stretta a livello europeo? Dov’è che l’Unione europea ha bisogno di ulteriori competenze? Quali capacità strategiche dovremo avere o mantenere nel futuro? Possiamo approfondire l’unione non solo nella politica finanziaria o nella politica digitale o nel mercato interno; la solidarietà europea è richiesta anche nella politica migratoria, nello stato di diritto, nella politica di sicurezza e di difesa oppure nella difesa del clima”.

Insomma, ogni occasione è buona per cercare di potenziare il meccanismo di ordine europeo.

Ma questo è un altro discorso.

[1] – Asimmetriche in quanto in Germania la Corte Costituzionale ha chiarito in numerose sentenze che le norme europee sono subalterne a quelle nazionali, da noi è il contrario.

[2] – Questo strumento, che non è soggetto ad alcun controllo ex ante e soprattutto non è soggetto alla ratifica parlamentare trascorsi 60 gg., è stato legittimato da un DL. Il numero 6/20 all’art 3. Ottenendo un castelletto di più che dubbia legittimazione costituzionale ed in fatti da più parti contestato. La Costituzione, all’art 77, indica nel Decreti Legge quegli strumenti “straordinari” che possono avere valore di legge ordinaria, peraltro con l’obbligo di presentarli subito alle camere e di convertirli entro 60 gg. Qui si è usato, appunto, un Dl per istituire l’uso del Dpcm, fornendo una copertura altamente incerta, per atti che al minimo svolgono un delicato lavoro di bilanciamento tra principi costituzionali (la libertà di circolazione, ex art 16, e il diritto alla salute.

[3] – “Ormai viviamo da settimane nella pandemia. Ognuno di noi ha dovuto adattare se stesso e la sua vita alle nuovi condizioni, privatamente e professionalmente. Ognuno di noi può testimoniare cosa in particolare gli manca e cosa gli risulta più pesante. E io capisco che questa vita condizionata dal coronavirus ci appaia a tutti quanti già molto, molto lunga.”

[4] – Secondo una recente ricerca fino ad oggi, in tre mesi, l’epidemia ha portato ad un raddoppio dei morti in Europa, rispetto alla media dei primi tre mesi dell’anno degli anni passati. Probabilmente molti di questi derivano dalle difficoltà che in alcune regioni (in primis la regione di Padova e Milano e quella di Madrid) hanno investito il sistema sanitario. Se l’infrastruttura sanitaria collassa si muore anche di altro, probabilmente soprattutto di altro.

[5] – “La situazione sui mercati mondiali per questo tipo di materiale è molto tesa. Le pratiche commerciali delle prime settimane della pandemia erano, diciamolo, piuttosto ruvide. Per questo il governo federale ha deciso – nonostante non sia nostra competenza secondo la legge per la protezione dalle infezioni – di coordinare in modo centralizzato l’approvvigionamento degli equipaggiamenti di protezione personale e di trasferire poi tali beni ai Laender. Io ringrazio anche le imprese che ci hanno aiutato con la loro esperienza.”

[6] – “Quel che è chiaro che non potremo tornare alla quotidianità come l’abbiamo conosciuta prima del coronavirus. La quotidianità per certi aspetti sarà diversa, anche quando i modelli di tracciamento digitale che attualmente vengono discussi entreranno in funzione. Anche le severe regole di distanziamento e le norme igieniche, così come le limitazioni dei contatti, faranno parte di tutto ciò. Questo riguarda per esempio anche la riapertura di scuole e di asili. I Laender stanno per organizzare e preparare anche dal punto di vista pratico le aperture progressive delle scuole. Lì ci vorrà una capacità d’azione anche piena di fantasia. “

https://tempofertile.blogspot.com/2020/04/circa-il-discorso-di-angela-merkel-al.html?fbclid=IwAR2GcxUwk20ph-OxR0nK4BTVbx9J7kgMEJMnFTikb13rjMFc5OVfgZzOnvQ

https://www.agi.it/estero/news/2020-04-23/discorso-merkel-bundestag-integrale-8422274/

Traduzione di Roberto Brunelli

Egregio signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, signore e signori. Stiamo vivendo tempi del tutto straordinari e gravi. E tutti noi, governo e parlamento, tutto il nostro Paese, siamo sottoposti ad una prova come non c’è mai stata dalla Seconda guerra mondiale, dagli anni fondativi della Repubblica federale. In gioco c’è niente di meno che la vita e la salute delle persone. E ne va della coesione e della solidarietà della nostra società e in Europa.

Io sto dinnanzi a voi come la cancelliera di un governo che nelle scorse settimane ha deciso insieme ai Laender federali delle misure per le quali non c’è alcun precedente storico sul quale sia possibile orientarsi. Noi abbiamo inviato a voi, il Parlamento, dei progetti di legge e vi abbiamo chiesto l’approvazione di mezzi finanziari di una dimensione che prima della pandemia del coronavirus era semplicemente inimmaginabile. Ringrazio di tutto cuore per il fatto che il Bundestag, come del resto anche il Bundesrat, in queste difficili circostanze abbiamo discusso e deciso i provvedimenti legislativi con estrema rapidità.

Ormai viviamo da settimane nella pandemia. Ognuno di noi ha dovuto adattare se stesso e la sua vita alle nuovi condizioni, privatamente e professionalmente. Ognuno di noi può testimoniare cosa in particolare gli manca e cosa gli risulta più pesante. E io capisco che questa vita condizionata dal coronavirus ci appaia a tutti quanti già molto, molto lunga.

Nessuno lo sente dire volentieri, ma è la verità: non stiamo vivendo la fase finale della pandemia, ma siamo ancora al suo inizio. Dovremo vivere ancora a lungo con questo virus. La domanda di come possiamo impedire che il virus ad un certo punto possa travolgere il nostro sistema sanitario e che di conseguenza possa costare la vita a un numero immenso di persone rimarrà ancora a lungo la questione centrale per la politica, in Germania e in Europa.

Sono consapevole quanto le misure restrittive pesino su tutti noi, individualmente e come società. Questa pandemia è una grave imposizione democratica: perché limita proprio quelli che sono i nostri diritti esistenziali ed i nostri bisogni, quelli degli adulti nella stessa misura di quelli dei bambini. Una tale situazione è accettabile e sopportabile solo se le motivazioni delle limitazioni sono trasparenti e comprensibili, se la critica e il contraddittorio sono non solo permessi, ma anzi stimolati e che vengano ascoltati: da tutte le parti. In questo è di aiuto anche la libera stampa.

In questo ci aiuta il nostro ordinamento federale. In questo ci aiuta anche la reciproca fiducia alla quale si è potuto assistere in queste ultime settimane qui in Parlamento e dappertutto nel Paese. E’ ammirevole con quanta naturalezza le cittadine e i cittadini si siano impegnati l’uno per l’altro e si sono limitati come cittadine e cittadini a favore degli altri.

Vi assicuro: quasi nessuna decisione nella mia attività da cancelliera mi è pesata quanto le limitazioni dei diritti di libertà personale. Anche a me pesa vedere i bambini che in questo momento non possono incontrare le proprie amiche e i propri amici, cosa che a loro manca moltissimo. E anche a me pesa se le persone possono andare a passeggiare fondamentalmente solo con una sola persona all’eccezione di coloro che convivono nella stessa abitazione, e che debbano rispettare distanze minime così importante.

Anche a me pesa, in particolare, quel che devono sopportare le persone che vivono nelle istituzioni di cura, quelle per gli anziani o quelle per disabili. Là dove la solitudine può comunque già essere un problema la vita diventa ancora più solitaria in tempi di pandemia e del tutto senza visitatori. E’ crudele, se oltre al personale di assistenza, che danno assolutamente il massimo, non ci può essere nessun altro, se le forze svaniscono e una vita va verso la fine. Non dimentichiamo mai queste persone ed il temporaneo isolamento nel quale sono costrette a vivere. Questi ottantenni e novantenni hanno costruito il nostro Paese. Il benessere nel quale viviamo l’hanno fondato loro.

Sono la Germania proprio come lo siamo noi, i loro figli e i loro nipoti. E noi conduciamo la battaglia contro il virus anche per loro. Per questo sono convinta che queste limitazioni siano così necessarie per affrontare come comunità questa crisi drammatica e di difendere ciò che la nostra Costituzione mette al centro della nostra azione: la vita e la dignità di ogni singola persona.

Attraverso la severità verso noi stessi, la disciplina e la pazienza delle scorse settimane abbiamo rallentato la diffusione del virus. Il che suona come qualcosa di piccolo, ma è invece qualcosa di immensamente prezioso. Abbiamo guadagnato tempo e questo tempo guadagnato in modo così prezioso l’abbiamo usato bene, per rafforzare ancora il nostro sistema sanitario.

Il punto angolare, intorno al quale girano tutti gli sforzi in campo medico, sono i reparti di terapia intensiva. Lì si decide il destino di coloro che sono più colpiti dal coronavirus. Conosciamo tutti i terribili racconti dagli ospedali di alcuni Paesi che per alcune settimane sono stati semplicemente travolti dal virus. Che non si arrivi a questo è il semplice e al tempo stesso ambizioso obiettivo del governo federale. Io ringrazio il nostro ministro alla Sanità, Jens Spahn, ma anche i ministri alla Salute dei Laender, che lavorano instancabilmente a questo obiettivo: e con successi che sono evidenti.

Abbiamo esteso in maniera significativa il numero degli apparecchi per la respirazione. Con l’apposita legge ci siamo accertati che gli ospedali potessero realizzare ulteriori capacità di ricovero intensivo. Così oggi possiamo verificarlo: il nostro sistema sanitario ha retto a questa prova. Ogni paziente di coronavirus ottiene anche nei casi più gravi il miglior trattamento possibile, rispettoso della dignità umana.

Questo lo dobbiamo, più che a tutti provvedimenti statali, al lavoro e al sacrificio di medici, di personali sanitario e del soccorso, delle tante persone che con la loro fatica e la loro capacità d’azione realizzano proprio quello che noi chiamiamo semplicemente “il nostro sistema sanitario”. Li ringraziamo con questo applauso, e questo ringraziamento lo voglio estendere anche alle soldatesse e ai soldati della Bundeswehr, che danno il loro contributo in molti luoghi.

Un ruolo forse meno visibile in pubblico ma altrettanto decisivo nella lotta contro la pandemia è quello dell’amministrazione pubblica sanitaria. Si tratta di quasi 400 uffici sanitari locali. Se vogliamo riuscire a controllare e rallentare lo sviluppo dell’infezione, abbiamo bisogno che questi uffici siano in piena forza. Ed io aggiungo: in una condizione più forte di quanto non fossero prima della pandemia.

Per questo abbiamo deciso tra governo e Laender di dare a questi uffici più collaboratrici e collaboratori, in modo che possano effettivamente essere messi in grado di perseguire anche il compito di tracciare i contatti di una persona infetta. Il Robert Koch Institut istituirà 105 team mobili con studenti, i cosiddetti ‘containment scouts’, che possono essere utilizzati là dove vi sia particolare necessità.

Sin dall’inizio il governo si è dedicato anche al tema degli equipaggiamenti di protezione personale. La fornitura di questi beni, in particolare delle mascherine, è diventato rapidamente uno dei nostri compiti centrali, non solo per noi ma per tutto il mondo. Perché senza medici e infermieri sani non servono neanche i posti letti in terapia intensiva e i respiratori a disposizione.

La situazione sui mercati mondiali per questo tipo di materiale è molto tesa. Le pratiche commerciali delle prime settimane della pandemia erano, diciamolo, piuttosto ruvide. Per questo il governo federale ha deciso – nonostante non sia nostra competenza secondo la legge per la protezione dalle infezioni – di coordinare in modo centralizzato l’approvvigionamento degli equipaggiamenti di protezione personale e di trasferire poi tali beni ai Laender. Io ringrazio anche le imprese che ci hanno aiutato con la loro esperienza.

La pandemia ci insegna: non è bene se gli equipaggiamenti di protezione vengano acquisiti solo da Paesi lontani. Maschere che constano solo pochi centesimi nella pandemia possono diventare un fattore strategico. La Repubblica federale e l’Unione europea lavorano affinché si torni ad essere più indipendenti da Paesi terzi in questo ambito. Per questo siamo aumentando le capacità produttive per questi ben in Germania e in Europa con grande pressione.

Se ci chiediamo in cosa abbiamo beneficiato in questa prima fase della diffusione del virus, allora sono – oltre ai tanti posti letto nelle terapie intensive – le alte capacità di test e la fitta rete di laboratori. Gli esperti ci dicono: testare, testare, testare. Così traiamo un quadro più preciso dell’epidemia in Germania e abbiamo una maggiore chiarezza sui numeri reali dell’infezione, così possiamo effettuare più frequentemente test sul personale di cura, in modo da far calare il rischio di infezione negli ospedali e nelle case di cura. Per questo abbiamo esteso le capacità per test ad ampio raggio e le estenderemo ancora.

Tuttavia: potremo far finire la pandemia da coronavirus solo con un vaccino, almeno stando a tutto quello che sappiamo fino ad oggi su questo virus. In molti Paesi di tutto il mondo gli scienziati sono al lavoro. Il governo contribuisce con un sostegno finanziario, in modo che anche la Germania abbia il suo ruolo come sede di ricerca. Allo stesso modo stiamo finanziariamente dietro iniziative internazionali come la CEPI.

Anche per lo sviluppo di altri medicamenti e per una nuova rete nazionale per la ricerca relativa a Covid-19 il governo ha messo a disposizione in tempi brevi notevoli mezzi. Questo aiuto ricercatori e medici in tutte le cliniche universitarie tedesche, per affrontare questo compito insieme, mano nella mano. Avremo bisogno di molti altri sudi, in futuro anche studi sugli anticorpi. Per questo siamo ben attrezzati.

Tuttavia la scienza non è mai nazionale. La scienza serve l’umanità. Per cui è ovvio che, anche se vengono trovati, testati e messi in grado di essere utilizzati nuovi medicinali o un vaccino, questi siano messi a disposizione a tutto il mondo e che siano anche pagabili da tutto il mondo. Un virus che si diffonde in quasi tutti i Paesi può essere spinto indietro e contenuto solo nella cooperazione di tutti i Paesi. Per il governo federale la collaborazione internazionale contro il virus è straordinariamente importante. Nella cerchia dell’Unione europea ci coordiniamo in questo senso, proprio come nell’ambito del G7 e del G20.

Con la decisione di rinviare i pagamenti degli interessi e dei rimborsi dei 77 Stati più poveri del mondo per quest’anno siamo riusciti a togliere un po’ di pressione a questo gruppo di Paesi duramente messi alla prova. Ma si tratta di un tipo di sostegno che non potrà essere mantenuto. Per il governo federale la collaborazione con gli Stati dell’Africa è sempre una priorità e nella crisi da coronavirus la dovremo rafforzare ancora di più.

Non solo in Africa, ma lì in particolare, molto dipende dal lavoro dell’Oms, l’organizzazione mondiale della Sanità. A nome del governo federale sottolineo: l’Oms è un partner irrinunciabile, e lo sosteniamo pienamente nel suo mandato.

Signore e signori, se ci guardiamo oggi in Germania i nuovi dati del Robert Koch Institut, gli indicatori mostrano che si sviluppano nella giusta direzione, per esempio in una rallentata velocità infettiva: attualmente abbiamo ogni giorno più guariti che nuovi malati. Si tratta di un successo intermedio. Ma proprio perché le cifre scatenano speranze, mi vedo impegnata a dire: questo successo temporaneo è fragile. Ci muoviamo su ghiaccio sottile. Si può anche dire: su ghiaccio sottilissimo.

La situazione è ingannevole e assolutamente non abbiamo ancora scollinato. Perché nella lotta contro il virus dobbiamo continuare a tenere a mente che i numeri di oggi rispecchiano l’evoluzione dell’infezione di 10 o 12 giorni fa. Il numero odierno dei nuovi contagi non ci dice, insomma, quel che vedremo tra una o due settimane, se nel frattempo abbiamo dato il via libera ad un notevole numero di più contatti.

Care colleghe e cari colleghi, voglio cogliere l’occasione per enunciare ancora una volta e con maggiori dettagli cosa mi preoccupa. Ovviamente le decisioni politiche fanno sempre parte di un processo continuo di valutazione secondo le proprie conoscenze e la propria coscienza. E questo vale anche per le decisioni per la lotta contro la pandemia, che è della più grande portata per la buona salute ed il benessere delle persone nel nostro Paese.

In queste così importanti valutazioni, che nessuno prende alla leggera né al governo federale né nei Laender – questo lo so – mi sono convinta: più riusciamo a sostenere proprio all’inizio di questa pandemia la massima perseveranza e disciplina, tanto più saremo in grado di sviluppare nuovamente la vita economica, sociale e pubblica, e lo potremo fare in modo duraturo, più che non cullandoci, proprio all’inizio, troppo presto in una falsa sicurezza a causa dei numeri incoraggianti sui contagi.

Dunque se all’inizio siamo disciplinati ce la faremo più velocemente a creare le condizioni per vivere allo stesso modo la salute e l’economia, la salute e la vita sociale. Anche allora il virus ci sarà ancora: ma con la concentrazione e la perseveranza – proprio all’inizio – possiamo evitare di saltare da un lockdown al prossimo, o di dover isolare per mesi certi gruppi di persone da altri, e di doverci confrontare con condizioni terribili nei nostri ospedali, come purtroppo è stato il caso in alcuni altri Paesi.

Con più perseveranza e coerenza sopportiamo all’inizio di questa pandemia le limitazioni riuscendo a spingere verso il basso lo sviluppo delle infezioni, più serviremo non solo la salute dei cittadini, ma anche la vita scientifica e la vita sociale, perché saremo in grado di intercettare ogni catena d’infezioni e con ciò di controllare il virus. Questa convinzione guida le mie azioni.

Per questo vi dico molto chiaramente: le decisioni che abbiamo preso mercoledì scorso tra governo e Laender le sostengo in piena convinzione. Ma la loro messa in pratica comunque mi preoccupa. Eppure sono decisioni che mi appaiono in certe parti molto audace, per non dire: troppo audace. Se dico questo, ovviamente non cambia una virgola che rispetto la sovranità dei Laender, che è iscritta nel nostro ordinamento federale fissato dalla Costituzione. Il nostro ordinamento federale è forte. Affinché qui non nasca alcun equivoco, lo volevo dire ancora una volta in piena chiarezza. Al tempo stesso vedo come mio dovere esprimere il monito di non affidarsi al principio della speranza se non sono convinta. Per cui esprimo il monito anche in questo senso nei miei colloqui con le ministre-presidenti e i ministri-presidenti dei Laender e anche in questa solenne aula: non giochiamoci quel che abbiamo raggiunto e non rischiamo un contraccolpo. Sarebbe tristissimo se alla fine dovessimo essere puniti da una speranza precipitosa. Rimaniamo saggi e prudenti sulla via verso la prossima fase della pandemia. Non siamo in un lungo percorso nel quale possiamo permetterci di perdere troppo presto la forza e il respiro.

Quel che è chiaro che non potremo tornare alla quotidianità come l’abbiamo conosciuta prima del coronavirus. La quotidianità per certi aspetti sarà diversa, anche quando i modelli di tracciamento digitale che attualmente vengono discussi entreranno in funzione. Anche le severe regole di distanziamento e le norme igieniche, così come le limitazioni dei contatti, faranno parte di tutto ciò. Questo riguarda per esempio anche la riapertura di scuole e di asili. I Laender stanno per organizzare e preparare anche dal punto di vista pratico le aperture progressive delle scuole. Lì ci vorrà una capacità d’azione anche piena di fantasia. Già oggi ringrazio tutti coloro che si impegnano in questo. Io so che sono molti, moltissimi.

All’inizio ho parlato della più grande prova della Repubblica federale dai suoi anni fondativi. Questo vale purtroppo anche per l’economia. Quanto profonde saranno le perdite alla fine dell’anno e quanto perdureranno, oppure quando inizierà la ripresa, questo oggi sul serio non lo possiamo ancora dire: perché ovviamente anche questo dipende dal successo del nostro confronto con il virus.

La pandemia ci ha colpiti in un momento di bilanci sani e riserve forti. Anni di politica solida che oggi ci sono d’aiuto. Si tratta di sostenere la nostra economia e di aprire uno scudo protettivo per le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori. Sono state presentate milioni di richieste per i diversi programmi d’aiuto; milioni di persone e molte imprese hanno già ricevuto soldi. Siamo stati in grado di decidere queste misure legislative rapidamente e con una maggioranza travolgente. La nostra democrazia parlamentare è forte, è efficiente, e in tempi di crisi anche estremamente rapida.

Anche ieri sera nel vertice di coalizione abbiamo deciso ancora una volta ulteriori provvedimenti. Siete informati in proposito. Tuttavia tutti i nostri sforzi a livello nazionale potranno alla fine avere successo se avremo successo insieme anche in Europa. In questa aula spesso mi avete sentito dire: sul lungo periodo la Germania starà bene solo se starà bene anche l’Europa. Per me questa frase anche oggi è molto, molto importante.

Come si esprime ciò dal punto di vista pratico? Abbiamo per esempio curato oltre 200 pazienti dall’Italia, dalla Francia e dai Paesi Bassi nelle nostre terapie intensive. Abbiamo fornito materiale medico per esempio all’Italia o alla Spagna, e oltre ai nostri cittadini abbiamo riportato da tutto il mondo a casa migliaia di altre europee e di altri europei, rimasti bloccati: a proposito, per questo ringrazio di cuore tutte le collaboratrici e i collaboratori del nostro ministero degli Esteri. Quasi non si crede quanti tedeschi si trovino fuori dai confini nazionali: ma siamo riusciti ad aiutare anche tanti altri europei. Grazie per questo.

Insieme abbiamo agito per contrastare il massiccio crollo dell’economia europea. Lo facciamo con un pacchetto di misure d’aiuto per imprese e lavoratori della dimensione di 500 miliardi di euro, sui quali il nostro ministro alle Finanze Olaf Scholz e gli altri ministri alle Finanze dell’eurogruppo si sono intesi due settimane fa. Ora si tratti di rendere veramente disponibili questi 500 miliardi di euro: per questo anche il Bundestag dovrà ancora prendere ulteriori decisioni.

Sarei felice se potessimo dire: per il primo giugno questi denari saranno veramente disponibili. Perché anche qui si tratta di aiuti anche verso piccole e medie imprese. Si tratta anche di linee di credito precauzionali, si tratta di sostegni per impieghi a orari ridotti per i quali alcuni Stati membri forse non hanno le necessarie risorse finanziarie, ma che può essere di grande aiuto alle lavoratrici e ai lavoratori di quei Paesi.

Ora alcuni dei nostri partner europei chiedono – ma anche all’interno della discussione politica in Germania questo è un tema – che di fronte alla grave crisi si accolgano debiti comuni dalle garanzie condivise. Questa questione avrà un ruolo anche nella videoconferenza del Consiglio europeo. Ipotizziamo che effettivamente ci siano il tempo e la volontà politica per un indebitamento comune: allora tutti i parlamenti nazionali dell’Unione europea e anche il Bundestag dovrebbero decidere di cambiare di conseguenza i Trattati Ue, in modo che una parte della normativa sui bilanci venga trasferita a livello europee e sia là controllata democraticamente. Si tratterebbe di un processo lungo e molto difficile, e non un processo che nell’attuale fase sia in grado di garantire aiuto diretto. Perché ora si tratta di aiutare rapidamente e di avere nelle mani rapidamente degli strumenti in grado di alleviare le conseguenze della crisi.

Al consiglio europeo odierno si discuterà anche su come procedere insieme in Europa nel tempo che seguirà le restrizioni più severe. Vogliamo agire rapidamente in Europa, perché abbiamo bisogno naturalmente di strumenti per superare le conseguenze della crisi in tutti gli Stati membri.

In questo contesto ritengo che intanto sia molto importante che la Commissione europea verifichi adesso e anche nelle prossime settimane come i diversi campi dell’economia siano stati colpiti dalla crisi e quali campi d’azione ne derivino. Questo riguarda anche gli aiuti immediati per l’economia europea. Un programma congiunturale europeo potrebbe sostenere nei prossimi due anni la necessaria ripresa. Noi lavoreremo anche per questo.

Nelle discussioni di oggi non si tratterà di fissare già i dettagli o di decidere addirittura delle dimensioni delle misure. Ma una cosa è già chiara: dobbiamo essere pronti, nello spirito della solidarietà, di realizzare contributi di ben altra natura, ossia molto più alti, al bilancio europeo. Perché noi vogliamo che tutti gli Stati membri dell’Unione europea possano riprendersi economicamente. Un tale programma congiunturale dovrebbe tuttavia sin dall’inizio essere pensato insieme al bilancio europeo, perché il comune bilancio europeo è da decenni il collaudato strumento del finanziamento solidale di iniziative comuni nell’Unione europea.

Oltre a questo io insisterò affinché il consiglio europeo affronti rapidamente alcune domande di fondo. Dove dobbiamo collaborare in maniera ancora più stretta a livello europeo? Dov’è che l’Unione europea ha bisogno di ulteriori competenze? Quali capacità strategiche dovremo avere o mantenere nel futuro? Possiamo approfondire l’unione non solo nella politica finanziaria o nella politica digitale o nel mercato interno; la solidarietà europea è richiesta anche nella politica migratoria, nello stato di diritto, nella politica di sicurezza e di difesa oppure nella difesa del clima.

Signor presidente, care colleghe e cari collegi, per noi in Germania riconoscerci nell’Europa unita fa parte della ragione di Stato. Non è materia per i discorsi della domenica, ma è un fatto del tutto pratico: siamo una comunità del destino. E l’Europa ora lo deve dimostrare di fronte a questa inattesa sfida della pandemia.

Questa pandemia colpisce tutti, ma non tutti nello stesso modo. Se non faremo attenzione, servirà come pretesto a tutti coloro che portano avanti la spaccatura della società. L’Europa non è l’Europa, se non si intende come Europa.

L’Europa non è Europa se ognuno non sta dalla parte dell’altro in tempi di emergenza di cui nessuno ha la colpa. In questa crisi abbiamo anche il compito di mostrare chi vogliamo essere come Europa. E così alla fine del mio discorso sono di nuovo giunta al pensiero della coesione. Quel che vale in Europa è la cosa più importante anche per noi in Germania.

Per quanto possa suonare paradossale, nelle settimane nelle quali le regole di comportamento ci hanno obbligato a stare lontani l’uno dall’altro e nelle quali è necessaria la distanza invece della vicinanza, noi siamo stati insieme e attraverso la coesione siamo riusciti insieme a far sì che il virus abbia rallentato il suo percorso attraverso la Germania e l’Europa. Questo non lo può decidere nessun governo, una cosa del genere un governo lo può solo sperare. E questo è possibile solo se le cittadine e i cittadini fanno con il cuore e la ragione qualcosa per il prossimo, per il Paese, oppure diciamo: per la visione d’insieme.

Questo mi rende infinitamente grata, e spero che potremo continuare ad attraversare così il tempo che viene. Un tempo che rimarrà lungo e molto grave. Ma insieme – di questo sono convinta dopo queste prime settimane di pandemia – riusciremo a superare questa sfida gigantesca. Insieme come società, insieme in Europa.

E’ MEGLIO NON SAPERE?, di Pierluigi Fagan

E’ MEGLIO NON SAPERE? Financial Times lancia il sasso: secondo una brutale comparazione tra la mortalità media 2015-2019 dei mesi di marzo ed aprile e quella 2020, ci sarebbero circa il 50% di morti in più in Europa occidentale. Speriamo i dati siano giusti.

A livello di fatto forse alcuni sono morti a casa di altre patologie su cui si è scelto di non intervenire per paura di andare negli ospedali infetti o forse gli stessi servizi sanitari alle prese con l’emergenza non hanno fornito la dovuta attenzione di cura. Di contro, ci dovrebbero anche esser in teoria meno morti per altri tipi di cause che la reclusione a casa ha evitato. Poco importa la precisione del dato, se sia del 40% o del 60%, la cosa va vista a gran grossa. Peggio sta andando fuori dell’Europa, viepiù si procede verso paesi meno organizzati o organizzati al punto da negare i dati. Sappiamo per certo che UK ha scelto di non contare i morti delle case per anziani e private (pare che l’unico paese al mondo che conta i morti in senso ampio sia il Belgio ed infatti ha la mortalità più alta del mondo), seguito da USA, Canada e probabilmente Olanda. Ai paesi anglosassoni questa cosa della morte e dei vecchi non piace.

Ma questa è solo la metà della metà dell’informazione mancante. In tanti in questi giorni si sono lanciati in comparazione dati strapazzando l’ISTAT per falsificare o validare l’entità dell’epidemia come se per misurarla si dovessero contare solo i morti. Certo i morti sono fatti clamorosi, sono l’antimateria per la nostra mente che si è evoluta per farci vivere il più a lungo ed al meglio possibile. Ma l’epidemia non si conta solo con i morti. Pur non avendo ancora dati affidabili a largo spettro e soprattutto essendo ancora a + due mesi dall’inizio del fenomeno che durerà forse un anno o poco più anche se a ritmi diversi, probabilmente la mortalità del Sars-CoV2 è relativamente bassa. Magari un po’ più alta nei paesi con molti vecchi e con strutture sanitarie approssimate o dove dinamiche che i più fanno fatica a comprendere per eccesso di variabili (metropoli, densità abitativa, stile di socialità, ritardo nell’individuazione dell’epidemia, presenza di più uno o più focolai di contagio) hanno creato situazioni sfortunate. Vedo insospettabili nei social che ancora pubblicano tabelle su paesi più bravi e meno bravi redatte prendendo appunto solo i morti e deducendo da questo totale la semplicità dell’equazione pregressa che invece non è semplice per nulla. Sono secoli che tribù africane vengono colpite da qualche patogeno proveniente dalla foresta, arriva, stermina uno o due villaggi, poi scompare. Se invece prende l’aereo e sbarca a New York, la cosa si fa più vistosa. Se correggessimo quella connessione mentale semplificata per la quale ogni volta che qualcuno convoca la demografia appare il fantasma del reverendo Malthus e coro greco che brontola giudizi censori con annessa recensione critica di Marx, e contassimo invece la dimensione relativa, assoluta, dinamica e di composizione dei gruppi umani, forse capiremmo qualcosa di più del mondo e delle nostre società, ma comprendo che per mentalità forgiate nel XIX secolo, la cosa sia difficile. Collegare poi demografia a sociologia è utopia, verificare le fonti dei dati per carità, metterci l’asse del tempo per capire se il dato di chi sta in epidemia da due mesi sia comparabile con quello di chi ci sta da un mese non se ne parla.

Comunque, l’altra metà della fotografia degli effetti dell’epidemia è socio-strutturale. Addirittura il sito dei debunkers è dovuto scendere in campo per correggere la bufala del primato europeo dei tamponi dei tedeschi. Anche se ci stanno antipatici, credere ai tedeschi fa parte della religione condivisa. Il primato europeo dei tamponi, tolti i paesi con poca popolazione, è italiano i tedeschi sono solo terzi dopo anche la Spagna. Ma qui sarebbe anche interessante notare l’incredibile inefficienza di francesi, britannici e svedesi. Poi ci sarebbe da verificare a posteriori lo stress test sulle strutture sanitarie e la differenza tra quelle centrali e diffusamente territoriali. Se la mortalità del Sars-CoV2 come tutti sanno è relativamente bassa anche dopo tutte le correzioni statistiche ex-post, la percentuale dei richiedenti cure di vario tipo (dai medicinali all’ossigeno all’intubazione) è invece molto alta. Molto più alta della capacità di gestire il fenomeno di quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale. That’s the point! Ma essendo un dato più complicato non piace, meglio i morti.

Ne sortirebbero infatti domande imbarazzanti sulle nostre credenze di economia politica, disciplina scotomizzata dalla confusa materia politica per distillare numeri che fanno dell’economia una “scienza”, non perché lo sia o possa esserlo ma perché è ideologicamente utile che si creda lo sia e possa esserlo. Poi ci sarebbe a verificare lo stress test sulla gestione degli anziani. Gli anziani sono problematici, abbondano sempre più in Europa, vivono sempre più a lungo, non servono a niente e costano un sacco di soldi. Meno male che quello che li si dà in pensione rientra nella spesa farmaceutica e sanitaria, altrimenti sarebbe da promuovere una eutanasia generalizzata come fanno i pragmatici olandesi. Pudicamente lo stesso FT tratta i dati di tredici paesi europei occidentali ma evita la Germania. Cosa sia davvero successo in Germania con l’epidemia è un mistero statistico, nessuno dotato di minimo comprendonio sa spiegarsi i dati tedeschi ovvero nessuno tra questi crede ai dati tedeschi. Ci sono tutti gli elementi per creder vero che efficienza, prontezza, posti letto, materiali e quant’altro hanno contenuto il fenomeno meglio che altrove, tuttavia il dato della mortalità tedesca non sembra credibile dal punto di vista della logica geo-demo-statistica.

Quindi, è meglio non sapere. La gente è turbata e vuole normalità e noi gliela diamo occultando dati, fatti e considerazioni critiche, anzi meglio si sfoghino criticamente aiutando la macchina della difesa psico-sociale arrivando a negare ci sia una epidemia o prendendosela col governo tiranno che non li fa uscire di casa o ipotizzando la macchinazione dei paladini del New World Disorder a trazione circo mediatico-farmaceutica-digitale-finanziaria panoptica post-biopolitica anche un po’ neo-liberale. Le auto-prodotte armi di distrazione di massa, vere e proprie valvole di sfogo dall’ansia della impotente pressa d’atto, spuntano tutti i giorni come i funghi su i social. Storici fieri avversari dello status quo si stanno riposizionando come inconsapevoli truppe speciali di complemento violando ogni principio di non contraddizione. Domandarsi perché nessuno ha fatto niente in previsione di cose stranote e strapreviste, no? Immagino il godimento delle élite nel vedere masse inferocite di persone che invocano il “torniamo a lavorare, a consumare, ad esibirci, a drogarci, a scopare” insomma il “pacchetto libertà” accluso al nostro sempre più sbilenco contratto sociale.

Dei tanti funerali che non si sono potuti celebrare di questi tempi, quello della nostra convinzione si viva in un mondo di liberi dati, informazioni, diritto di critica , numero-peso-misura a base del realismo scientifico, democrazia, comunità degli europei, rispetto delle persona, non si deve celebrare né ora, né mai. Ogni epoca ha la sua credenza centrale sulla cui fede si basa il gioco sociale. Nel medioevo era la provvidenza benevola di dio, nella modernità è la provvidenza benevola della libertà di produrre e comprare. Che quel re sia nudo è meglio non sapere, anche al punto da far finta di non sapere.

[Ai non credenti dell’esistenza di un “naturale” problema pandemia suggerisco di invalidare il post ipotizzando che della lobby “circo mediatico-farmaceutica-digitale-finanziaria panoptica post-biopolitica anche un po’ neo-liberale”, il Financial Times sia l’organo ufficiale ed è per questo che si è preso la briga di esagerarne le dimensioni. La fede ne sa sempre una più del diavolo, no? :-)]

https://www.ft.com/content/6bd88b7d-3386-4543-b2e9-0d5c6fac846c?fbclid=IwAR1k3DqvuRP4FlQOVKACfA8GNG1D697oE8fQMSZtdmiB4PQecMl1WGvvuDg

https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10220899916703267

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