Due posizioni dei centri decisori e una analisi di esperti americani_a cura di Giuseppe Germinario

Pubblichiamo questo scritto per presentare quattro importanti documenti che rivelano l’esistenza negli Stati Uniti di un dibattito aperto ed esplicito sulle diverse opzioni e strategie, di fatto in netto contrasto tra di esse, che dovrebbero informare la politica estera americana, specie nei confronti dei due principali competitori geopolitici: la Russia e la Cina. A differenza di quanto avviene in Europa, colpisce la trasparenza del dibattito in corso, alimentato dalla presenza di una vasta opinione pubblica e di un radicato movimento politico a sostegno di ciascuna delle tesi. Tesi che, comunque, non ostante la presenza di componenti iperoltranziste, le quali nel peggiore dei casi , comunque, come rivelato dai due articoli di Defense One, propugnano un atteggiamento più “attivo” certamente, ma che tengano in considerazione ed accettino, almeno momentaneamente, le posizioni acquisite da Putin sul terreno. Niente del genere in Europa, con una classe dirigente comunitaria e degli stati nazionali pressoché del tutto allineata alle posizioni più oltranziste e cieche.  Segno che le loro ragioni di esistenza e sopravvivenza dipendono soprattutto dai loro legami di dipendenza e dall’assenza congenita di una qualsiasi organica capacità autonoma di movimento. 

Il primo documento, pubblicato qui sotto, è importante certamente per la radicalità del suo contenuto, ma soprattutto per la qualità dei sottoscrittori. Tutti direttamente implicati delle dinamiche politiche e geopolitiche in Europa; espressioni di settori e centri decisori potentissimi, di apparati la cui inerzia è in grado di forzare pesantemente le linee di condotta della gestione dell’amministrazione centrale americana. La vicenda della possibile cessione dei Mig29 polacchi all’Ucraina, per interposizione della NATO, è particolarmente illuminante. Non è solo il segnale di una cautela dei polacchi rispetto all’avventurismo statunitense; è il segno della capacità di azione di questi centri nell’orchestrare provocazioni e determinare le linee di condotta. E’ chiaro che il contrasto proviene da interessi anche personali ben radicati, ma anche da due punti di vista ben radicati nell’amministrazione americana; una ritiene la condotta russa fondata su un bluff, le cui carte andrebbero scoperte; l’altra la ritiene una condotta irreversibile da affrontare diplomaticamente senza rischiare ulteriormente un disastroso confronto militare generalizzato. Molto dipenderà dalla saldezza e dalla coerenza della leadership russa e dalla solidità del sodalizio sino-russo; altrettanto dipenderà dal sorgere quantomeno di un movimento di opinione europeo contrario a questo oltranzismo da avanspettacolo offerto dalle classi dirigenti europee. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Lettera aperta per la No-Fly Zone limitata.

Esprime una posizione interna alla dirigenza americana secondo la quale i russi stanno bluffando e non sono disposti ad arrivare sino ad un conflitto diretto con la NATO. Bisogna, quindi, andare a vedere il loro bluff e provocarli con una “no-fly zone”. I russi cederanno

Noi sottoscritti esortiamo l’amministrazione Biden, insieme agli alleati della NATO, a imporre una No-Fly Zone limitata sull’Ucraina a partire dalla protezione per gli aiuti umanitari corridoi concordati nei colloqui tra funzionari russi e ucraini giovedi. I leader della NATO dovrebbero comunicare ai funzionari russi che non cercano direttamente il confronto con le forze russe, ma devono anche chiarire che non tollereranno gli attacchi russi su aree civili.
La decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina ha causato enormi devastazioni e perdite di vita per gli ucraini. La sua guerra di aggressione premeditata, non provocata e ingiustificata ha creato la più grande crisi nel continente europeo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Nonostante gli sforzi davvero eroici dei soldati ucraini e dei cittadini medi per resistere al
saccheggio delle forze russe, l’esercito di Putin è pronto per ulteriori attacchi alle principali città, compresa la capitale Kiev. Mirare a edifici residenziali, ospedali e governo complessi, così come le centrali nucleari, le forze russe saranno responsabili di un bilancio delle vittime ancora più alto.
La comunità internazionale ha risposto rapidamente attraverso una serie senza precedenti di sanzioni e un aumento significativo dell’assistenza militare letale per aiutare l’Ucraina a difendersi. Ma è necessario fare di più per prevenire vittime e potenziali vittime su larga scala e un bagno di sangue.
Il presidente Biden e il segretario generale della NATO Stoltenberg hanno affermato che né gli Stati Uniti né la NATO ingaggeranno le forze russe sul terreno in Ucraina. Cosa noi
cerchiamo è il dispiegamento di aerei americani e della NATO non in cerca di confronto
con la Russia ma per scongiurare e scoraggiare i bombardamenti russi che si tradurrebbero in massicce perdite di vite ucraine. Questo si aggiunge alla richiesta dei leader ucraini per A-10 e MIG-29 per aiutare gli ucraini a difendersi, cosa che anche noi fortemente sosteniamo.
Già più di un milione di ucraini sono fuggiti dal loro paese per sfuggire alla brutalità scatenata da Putin. Le stime suggeriscono che quel numero potrebbe raggiungere i 5 milioni, più del 10 per cento della popolazione. Diverse migliaia di ucraini sono già morti
L’ultima aggressione di Putin, in aggiunta agli oltre 14.000 uccisi dopo la prima invasione di Putin dell’Ucraina a partire dal 2014. L’Ucraina sta affrontando un grave disastro umanitario; gli effetti si fanno sentire in tutto il continente europeo e oltre.
Il ritornello “mai più” è emerso sulla scia dell’Olocausto, e gli ucraini lo sono chiedendosi se tale impegno si applica a loro. È tempo per gli Stati Uniti e la NATO di intensificare il proprio aiuto agli ucraini prima che altri civili innocenti ne cadano vittime.
La follia omicida di Putin. Gli ucraini stanno difendendo coraggiosamente il loro paese e
loro libertà, ma hanno bisogno di più aiuto da parte della comunità internazionale. Stati Uniti- La NATO devono imporre la No-Fly Zone per proteggere i corridoi umanitari e militari aggiuntivi i mezzi per l’autodifesa ucraina sono disperatamente necessari e necessari ora.
(Nota: le affiliazioni sono solo a scopo identificativo; gli individui firmano per loro responsabilità personale.)

1. Anders Aslund, Senior Fellow, Stockholm Free World Forum
2. Stephen Blank, Senior Fellow/Foreign Policy Research Institute
3. Gen. (Ret.) Philip Breedlove, Former Supreme Allied Commander Europe
4. Paula Dobriansky, Former Under Secretary of State for Global Affairs
5. Eric S. Edelman, Former Under Secretary of Defense
6. Evelyn Farkas, Former Deputy Assistant Secretary of Defense for Russia,
Ukraine, Eurasia
7. Daniel Fried, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Poland
8. Andrew J. Futey, President, Ukrainian Congress Committee of America
9. Melinda Haring, Deputy Director, Atlantic Council Eurasia Center
10. John Herbst, Former U.S. Ambassador to Ukraine
11. LtG (Ret.) Ben Hodges, Former Commanding General, United States Army
Europe
12. Glen Howard, President, Jamestown Foundation
13. Donald Jensen, Johns Hopkins University
14. Ian Kelly, Former U.S. Ambassador to Georgia and OSCE
15. John Kornblum, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Germany
16. Shelby Magid, Associate Director, Atlantic Council Eurasia Center
17. Robert McConnell, Co-Founder, U.S.-Ukraine Foundation
18. Claire Sechler Merkel, Senior Director, McCain Institute for International
Leadership
19. David A. Merkel, Former Deputy Assistant Secretary of State and
Director, National Security Council
20.Barry Pavel, Senior Vice President and Director, Atlantic Council Scowcroft
Center for Strategy and Security
21. Herman Pirchner, President, American Foreign Policy Council
22. Michael Sawkiw, Jr., Director, Ukrainian National Information Service
23. Leah Scheunemann, Deputy Director, Atlantic Council Transatlantic Security
Initiative
24. Benjamin L. Schmitt, Former European Energy Security Advisor, U.S.
Department of State
25. William Taylor, Former U.S. Ambassador to Ukraine
26. Alexander Vershbow, Former U.S. Ambassador to Russia and NATO
4. Ian Brzezinski, Former Deputy Assistant Secretary of Defense
5. Orest Deychakiwsky, Former Policy Adviser, U.S. Helsinki Commission
6. Larry Diamond, Senior Fellow, Hoover Institution and Freeman Spogli
Institute for International Studies, Stanford University

27. Kurt Volker, Former U.S. Ambassador to NATO and Special Representative for
Ukraine Negotiations

https://www.politico.com/f/?id=0000017f-6668-ddc5-a17f-f66d48630000&nname=playbook&nid=0000014f-1646-d88f-a1cf-5f46b7bd0000&nrid=0000015d-a357-df20-adff-b3ff37130000&nlid=630318&fbclid=IwAR1lVN3VlvDwG5uDkvkRizkO_Aao0Kvuh2CzegNZCJ3VpiuuaicCJLTPLmg

Qui sotto invece un dibattito tra quattro importanti accademici, analisti e personaggi politici che manifestano tutt’altre posizioni, ben presenti, sia pure in posizione minoritaria, nei centri decisori americani e ben recepiti da una parte sempre più larga di opinione pubblica ed di elettorato. Per chi non avesse particolare dimestichezza con l’inglese è possibile digitare il comando dei sottotitoli. La posizione analizza lo sviluppo della crisi, ne attribuisce la responsabilità agli Stati Uniti e argomenta perché i russi andranno sino in fondo nella difesa di questo interesse per loro vitale.

GUARDA: Mearsheimer e McGovern sull’Ucraina

Il Prof. John Mearsheimer e l’ex specialista della CIA Russia Ray McGovern discutono del conflitto ucraino e della politica degli Stati Uniti nei confronti di Mosca, presentati dal Comitato per la Repubblica a Washington.

 

Qui sotto ancora due articoli della rivista Defense One, prossima agli ambienti militari che traccia le possibili modalità di intervento diretto in Ucraina delle forze della NATO. Questa è un’ulteriore linea interna alla dirigenza americana che non vuole correre il rischio di un confronto diretto della NATO con la Russia; vuole, però, interporre una forza ONU a guida Usa nel conflitto per ottenere il massimo e concedere il minimo nella trattativa tra Russia ed Ucraina.

Metti gli stivali americani in Ucraina per difendere una zona di sicurezza approvata dalle Nazioni Unite

Ha funzionato in Siria.

Il discorso del presidente Biden sullo stato dell’Unione, che ha chiesto al resto del mondo di uscire più forte della Russia dalla crisi ucraina, coglie bene una vera strategia americana. L’esito della crisi rimane sconosciuto, ma l’ordine di sicurezza collettiva internazionale basato su regole, sotto la guida americana, ha finora risposto abbastanza bene. Eppure, lo straordinario isolamento economico e diplomatico di Mosca, e il rafforzamentodelle difese orientali della NATO, non può garantire che la Russia alla fine non invaderà l’Ucraina e creerà, con milioni di rifugiati ucraini, un’enorme crisi finanziaria per gli Stati Uniti e gli stati europei. Quasi sicuramente gli ucraini organizzeranno un’insurrezione, ma mentre ciò farà aumentare i costi di Mosca, è improbabile che costringa la Russia a ritirarsi presto.

Così anche una Russia indebolita dall’azione internazionale e dall’insurrezione potrebbe ancora essere la vincitrice, se l’ordine internazionale emergesse da questa crisi ancora più debole geograficamente, economicamente e psicologicamente. Il compito uno per quell’ordine internazionale è quindi garantire che ciò non accada, e ciò richiederà più azioni con maggiori rischi e costi. Una di queste azioni che è stata sollevata , anche dal presidente Zelenskyy, è una no-fly zone sul territorio ucraino. Questo è stato rapidamente abbattuto per molte buone ragioni . Ma il germe dell’idea ha merito, se affrontato diversamente. Qui il conflitto in Siria può essere istruttivo, in particolare, l’efficacia delle zone di sicurezza, per ridurre il conflitto, consentire l’assistenza umanitaria e, infine, produrre cessate il fuoco.

Una zona sicura umanitaria

Il governo ucraino dovrebbe essere incoraggiato a fare appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché approvi una risoluzione ai sensi del capitolo VI , che istituisca una zona di sicurezza umanitaria con un regime di cessate il fuoco nei territori ucraini confinanti con i suoi vicini occidentali. (Una risoluzione ai sensi del Capitolo VII , che consentirebbe l’applicazione legale con le truppe sotto il controllo delle Nazioni Unite, sarebbe migliore ma senza dubbio impossibile.) Un modello di questo tipo di dispiegamento di peacekeeper alle frontiere è la risoluzione 1701 , che pose fine all’incursione israeliana in Libano nel 2006.

Ci si può aspettare che la Russia ponga il veto a tale risoluzione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sulla quale l’amministrazione e gli alleati dovrebbero tentare il suo passaggio all’Assemblea Generale, come si è visto con la Risoluzione Uniting for Peace , che autorizzò l’intervento del 1950 in Corea. La scorsa settimana, una risoluzione simile dell’Assemblea Generale che condanna la Russia in Ucraina ha ottenuto la stragrande maggioranza .

Tale zona consentirebbe al governo ucraino e alle organizzazioni non governative, in collaborazione con la comunità internazionale, di allestire campi per gli sfollati interni in fuga dai combattimenti senza lasciare l’Ucraina, riducendo drasticamente i costi di sostegno e reinsediamento dei rifugiati nei paesi terzi. La posizione e la profondità della Zona dipenderebbero dalla posizione delle forze russe al momento della sua istituzione, nonché da vari fattori economici, etnici, di trasporto e geografici e dalla posizione dei paesi vicini alla Zona. Ma dovrebbe includere almeno la città strategica di Leopoli.

Il governo ucraino dovrebbe rinunciare alle operazioni militari lanciate dalla zona, ma in caso contrario la sovranità ucraina e le normali operazioni del governo continuerebbero nella zona. Una zona consentirebbe al governo ucraino in extremis di trasferirsi verso ovest sul proprio territorio piuttosto che fuggire all’estero. Ciò è fondamentale per qualsiasi tipo di “vincere” di compromesso per l’Ucraina poiché eviterebbe, se in esilio, di competere con un regime fantoccio di Mosca con una presenza nel paese. E per essere chiari, l’obiettivo finale non è una groppa di Ucraina, ma il ritorno del legittimo controllo del governo ucraino su tutto il paese.

Un ruolo militare statunitense

Quali paesi risponderanno all’appello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di inviare truppe per monitorare i confini della Zona e difenderla in caso di attacco? (Date le paure russe, la NATO come istituzione deve starne fuori.) La nostra esperienza con i conflitti passati indica che i governi schiereranno forze solo se lo stesso Consiglio di sicurezza avrà approvato una risoluzione (di nuovo, improbabile a causa del veto della Russia), o se il Gli Stati Uniti inviano le proprie truppe. Affinché questa idea abbia successo, quindi, il Presidente dovrebbe invertire, in misura limitata, la sua posizione ” no US boots-in-Ucraina “, ma per buone ragioni.

L’impegno sarebbe limitato e non sfiderebbe direttamente le forze russe. Per rassicurare i russi di nessun intento offensivo, le forze americane e altre forze esterne sarebbero limitate nel numero e nelle armi. Gli Stati Uniti potrebbero fornire monitoraggio aereo “oltre l’orizzonte” e rinforzi a terra per scoraggiare o rispondere agli attacchi contro queste forze. Nessun conflitto sarebbe iniziato se non con una decisione russa di attaccare le forze invitate in Ucraina dal suo governo legale e con un mandato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e una missione umanitaria.

L’esperienza siriana

In Siria, la Russia non ha agito contro le zone di sicurezza nel nord o nel sud-est contenenti truppe turche o statunitensi, anche se poche, con un’eccezione , contro le forze turche nel 2020. I russi hanno spesso minacciato ritorsioni contro le truppe statunitensi e turche e i loro siriani partner (e occasionalmente attacchi aerei israeliani) ma con quell’unica eccezione non ha intrapreso azioni letali.

Uno dei motivi per cui la zona di sicurezza ha funzionato in Siria è che ciascuna parte conosceva le linee rosse degli altri e non aveva alcun bisogno impellente di attraversarle. La Russia aveva ottenuto una vittoria disordinata e limitata in Siria sostenendo un governo amico e preservando le sue basi militari. Scacciare definitivamente gli americani, i turchi e gli israeliani, lì per le loro pressanti ragioni di sicurezza e umanitarie, sarebbe stato gradito ma non avrebbe generato un beneficio aggiuntivo sufficiente per bilanciare i rischi significativi. Supponendo che la zona di sicurezza ucraina sia relativamente piccola, potrebbe applicarsi una dinamica simile. Nessuna offensiva militare potrebbe o vorrebbe essere lanciata da esso, quindi non crea alcun motivo convincente per la Russia per rischiare di iniziare un conflitto con gli Stati Uniti.

A dire il vero, una zona di sicurezza non porrà fine alla guerra con una vittoria. Piuttosto, dovrebbe essere visto come una di una serie di mosse per negare il successo della Russia, insieme a sanzioni, disaccoppiamento economico e invio di armi all’Ucraina. Apre la porta a un compromesso diplomatico. L’amministrazione Biden ha segnalato la sua apertura a tale risultato nella sua lettera di gennaio alla Russia e dovrebbe dare seguito anche mentre i combattimenti continuano.

Ovviamente, l’approccio della zona di sicurezza comporta rischi, sia per le truppe coinvolte che per l’escalation russo-americana, in particolare perché il conflitto ucraino è esistenziale per la Russia in un modo in cui non lo era la Siria. Ma il mondo, e gli Stati Uniti, si trovano già in una situazione molto rischiosa. Inoltre, il successo americano nella creazione di una coalizione globale si basa sul presupposto che tutti condivideranno il sacrificio e i rischi. Ciò include non solo quegli stati spinti a vendere più petrolio con meno profitti, o accettare ondate di rifugiati, o nel caso della Germania, rinunciare a Nordstream 2, ma anche gli Stati Uniti, che finora sono stati poco esposti a costi e rischi. In fondo, la lotta dell’Ucraina non riguarda la forza e le risorse, perché la coalizione che gli Stati Uniti hanno messo insieme è enormemente più forte e più ricca della Russia. Piuttosto, è tutta una questione di coraggio e volontà politica.

James Jeffrey è presidente del programma per il Medio Oriente presso il Wilson Center; un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia, Iraq e Albania; ed ex inviato speciale presso la coalizione globale per sconfiggere l’ISIS e capo missione in Siria.

https://www.defenseone.com/ideas/2022/03/put-us-boots-ukraine-defend-un-approved-security-zone/362978/

Istituire una zona di pace nell’Ucraina occidentale

L’invio di truppe straniere per difendere un territorio finora incontrastato è l’unico modo per preservare un’Ucraina libera e prevenire il prossimo attacco di Putin.

Nessuno sa fino a che punto Vladimir Putin della Russia spingerà il suo brutale attacco all’Ucraina. I commentatori occidentali inizialmente presumevano che Putin avrebbe consentito l’esistenza di uno stato ucraino, meno il Donbas, sotto un governo fantoccio una volta conquistate Kiev, Kharkiv e Mariupol; Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy è stato giustiziato; e istituito un ampio corridoio costiero tra la Crimea e la regione del Donbas. Ma dopo una telefonata del 3 marzo con Putin, il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che “il peggio deve ancora venire” e che l’ obiettivo di Putin è prendere tutta l’Ucraina e cancellare la nazione. Pochi giorni dopo, Putin ha  minacciato di porre fine allo stato ucraino a meno che la resistenza non si fermasse.

Finora, la risposta principale del mondo sono state le sanzioni. È uno sforzo significativo e ha dimostrato l’unità degli Stati democratici. Tuttavia, le sanzioni funzionano solo contro i governi che sono effettivamente preoccupati per il benessere economico a lungo termine della loro gente. È del tutto evidente che Putin sacrificherà tale benessere per obiettivi immediati e il prestigio della potenza militare. Gli sforzi per fornire all’Ucraina armi aggiuntive sono tatticamente importanti, ma le forze ucraine sono semplicemente troppo piccole per sostenere una guerra convenzionale contro la Russia.

Se deve esserci un futuro per la nazione ucraina, l’Occidente deve agire immediatamente per stabilire una zona di mantenimento della pace e di soccorso umanitario nell’Ucraina occidentale non occupata. Questa “Zona di pace” sarebbe mantenuta da truppe completamente armate, della NATO, delle ” Forze di difesa dell’Unione europea ” dell’UE o, sebbene sia un’aspirazione difficile, una coalizione di stati non europei apparentemente sotto l’autorità dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite . La zona avrebbe lo scopo sia di proteggere i civili che di preservare una parvenza di indipendenza per il popolo ucraino. Se richiesto dal presidente Zelenskyy, tale azione sarebbe pienamente conforme al diritto internazionale. Come ha ripetutamente affermato Zelenskyy—più recentemente sulla scia del bombardamento russo di una centrale nucleare — “solo un’azione urgente da parte dell’Europa può fermare le truppe russe”.

Invece di affrontare le forze russe nelle loro attuali operazioni, queste forze di pace, completamente attrezzate per il combattimento, potrebbero stabilire posizioni difensive in quelle aree dell’Ucraina che i soldati di Putin non hanno ancora raggiunto, comprese le oblast di Lviv, Volyn, Zakarpattia, Rivne, Ternopil, Khmeinytski , Ivano-Frankivsk, Chernivitsi, Zhytornyr, Vinnytsia e le sezioni settentrionale e costiera di Odessa non ancora contestate. Ovviamente, la città centrale sarebbe Leopoli, dove si sono già trasferite la maggior parte delle ambasciate e molti profughi e che The Economist ha già soprannominato “ il luogo del piano Bs.” L’obiettivo sarebbe quello di creare una barriera protettiva attorno a ciò che può essere salvato di un’Ucraina sovrana che sopravviverà all’evento quasi inevitabile della caduta di Kiev e delle regioni orientali. E, sì, includerebbe una no-fly zone, ma esclusivamente al di sopra dell’area protetta.

Una volta stabilite in posizione, queste forze di pace non intraprenderebbero alcuna azione offensiva contro le forze russe che operano nel resto dell’Ucraina, ma rimarrebbero completamente preparate a difendere se stesse e il territorio che proteggono. Questi non sarebbero i “peacekeeper” leggermente armati che si sono dimostrati ampiamente inefficaci nelle passate operazioni delle Nazioni Unite. Queste forze eviteranno di avviare ostilità, ma agiranno come un potente deterrente per altre ostilità. D’ora in poi sarà una scelta di Putin se vuole combattere l’Europa, e forse il mondo, una guerra che sa che la Russia non può vincere. È probabile che una guerra del genere lo rovescerebbe, l’esito che più teme.

Escalation per de-escalation

Ironia della sorte, ciò applicherebbe una logica strategica che è stata attribuita, forse in modo alquanto impreciso, all’attuale strategia militare russa: escalation per de-escalation o escalation del controllo. In questo caso, l’escalation è la presenza di truppe occidentali nell’Ucraina non conquistata. La riduzione dell’escalation è che costringerà Putin a limitare la sua azione a ciò che afferma di fare : “liberare” il Donbas e sostituire il regime ucraino, che senza un’azione occidentale diretta è impossibile da fermare. La presenza della forza di mantenimento della pace stabilirebbe una linea rossa deterrente e ferma che consentirebbe, anzi, attirerebbe Putin a dichiarare vittoria e indietreggiare. In breve, la minaccia di un’ulteriore guerra è ciò che reprimerebbe la guerra in corso, che è una definizione efficace di deterrenza.

Il concetto reale è derivato dall’interpretazione degli scritti russi sull’uso delle armi nucleari che implicavano che l’escalation dell’uso della forza, usando piccole armi nucleari tattiche contro una forza avversaria, potrebbe indurre l’avversario a rinunciare a qualsiasi ulteriore sforzo per portare un potere ancora maggiore ( una forza convenzionale più grande o persino armi nucleari strategiche) nel conflitto. L’escalation per deescalation è stata descritta come “l’escalation di un conflitto da un livello di conflitto a un livello di violenza che fa cessare le operazioni militari da parte dell’avversario [che] sarebbe solo un esempio di come la Russia potrebbe cercare di controllare l’escalation di un conflitto. ” Come si applica alle forze nucleari statunitensi, il concetto è stato respintonella testimonianza al Congresso della leadership militare congiunta degli Stati Uniti. Ma al di fuori della posizione nucleare, corrisponde bene agli elementi della convenzionale “deterrenza per negazione”. Una forza forte, ben equipaggiata e ben addestrata (come i contingenti NATO) posta in posizioni protette ma in grado di manovrare è un deterrente che le risposte iterative non possono eguagliare.

Le prove di operazioni inette in Ucraina potrebbero non riflettere la vera competenza delle forze armate russe complessive. Ma suggerisce che spingere contro una forza di mantenimento della pace pronta al combattimento, alla fine sostenuta dalla NATO, non è una sfida che i comandanti militari russi vorrebbero affrontare.

Quali forze sono necessarie?

La fanteria leggera di tipo forza di reazione rapida formerebbe il bordo d’attacco o confine della Zona di Pace, con armature, artiglieria e forze armate combinate mantenute a distanza. Queste forze più pesanti non sarebbero una singola riserva centralizzata; sarebbero stabiliti in tutta la zona, ma in posizioni che non segnalano un’offensiva in avanti.

Preferibilmente la barriera di fanteria leggera non includerebbe truppe statunitensi (per evitare di entrare nella narrativa di Putin), ma sarebbe composta da nazioni europee della NATO e/o dell’UE, o altri membri volontari delle Nazioni Unite. Ci sono, infatti, un certo numero di nazioni che potrebbero essere disposte a fornire truppe se sovvenzionate e sostenute dall’Occidente. Le forze più pesanti sarebbero costruite attorno ad almeno tre divisioni dell’esercito americano o del corpo dei marines degli Stati Uniti (o equivalenti). Il messaggio chiaro: non intendiamo avanzare per creare una guerra generale, ma non ci ritireremo.

Le forze ucraine non farebbero parte della forza di mantenimento della pace/difensiva, ma sarebbero autorizzate a ritirarsi negli accampamenti all’interno della zona se accettassero di cessare le operazioni all’interno delle aree contese dell’Ucraina. Gli attacchi delle forze ucraine dalla Zona di Pace non sarebbero stati consentiti.

Il movimento delle forze della zona di pace avverrebbe principalmente con il trasporto via terra attraverso la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria o la Romania, e preferibilmente tutti questi. L’inserimento dell’elicottero è una possibilità, ma sarebbe meglio ridurre al minimo fino a quando la Zona di Pace non sarà inizialmente istituita e dichiarata. Se Odessa rimane non occupata, le forze potrebbero essere spostate su nave o moto d’acqua dalla Romania, dalla Bulgaria o dalla Turchia.

La potenza aerea di copertura sarebbe basata al di fuori dell’Ucraina, ma potrebbe essere presente sopra la Zona di Pace, se necessario, una volta stabilita la zona. Lo scopo è proteggere la zona, non recuperare ciò che è perduto. Predominano i caccia e gli aerei di supporto aereo ravvicinato; a meno che non ne seguisse una guerra generale, non ci sarebbe alcun ruolo per i bombardieri a lungo raggio.

Una tale posizione operativa sarebbe conforme all’esercito americano, all’aeronautica americana o alla dottrina congiunta? Affatto. Le operazioni di combattimento statunitensi si basano sul portare la battaglia al nemico nel territorio controllato dal nemico. Tuttavia, le circostanze uniche e tragiche della situazione richiedono un approccio creativo che trascenda la dottrina. L’obiettivo è preservare la sovranità ucraina in quelle aree non ancora sotto l’occupazione russa, al fine di fornire supporto umanitario al popolo ucraino e mantenere vivo un futuro indipendente per loro evitando una guerra generale con la Russia. Questo non è realizzabile attraverso semplici sanzioni. Né può essere raggiunto attraverso la guerra informatica.

Causerebbe una guerra nucleare?

L’ovvia paura che rende le nazioni occidentali diffidenti nei confronti di un intervento aperto in un conflitto ingiusto che potrebbe distruggere il presunto “ordine mondiale liberale” è la paura della guerra nucleare. La mia tesi è che questa possibilità può essere gestita limitando lo sforzo militare per preservare il territorio ancora sotto il controllo del governo ucraino. Per quanto terrificanti possano essere le prospettive di uno scambio nucleare, la deterrenza dovrebbe reggere, anche nella mente di Putin, se si evita il conflitto sul territorio russo o con le forze russe.

Le operazioni offensive che spingono i russi fuori del tutto dall’Ucraina sarebbero l’esito ideale per il conflitto, ma anche questo rispecchia la narrativa di Putin e potrebbe provocare una risposta incerta. Tali operazioni rimarrebbero di competenza delle forze militari (e civili) ucraine. La difesa dell’Ucraina non occupata è del tutto diversa.

Sostenere che una Zona di Pace istituita richiederebbe l’uso di armi nucleari russe significa sostenere che una guerra nucleare è inevitabile durante la vita di Vladimir Putin. Se questo è vero, allora il mondo non ha altra scelta che arrendersi alle sue crescenti richieste.

L’invasione dell’Ucraina non riguarda semplicemente il futuro dell’Ucraina. Riguarda il futuro globale in cui le invasioni dell’Ucraina diventano la norma. Forse è necessaria una piccola quantità di rischio riguardo a un esito nucleare. Ci siamo già stati durante la Guerra Fredda e la deterrenza ha prevalso. Putin è una creatura della Guerra Fredda.

Ha senso una difesa statica? Quale sarà il risultato?

I pianificatori operativi sosterranno che la difesa statica inerente a tale operazione nella Zona di Pace non ha un buon senso militare. E, dal punto di vista di un conflitto totale, hanno ragione. Tale linea d’azione limita la manovra operativa che è vista come la chiave della guerra moderna e forse l’attributo più desiderabile per qualsiasi forza militare. Consentirebbe una manovra tattica, ma rinuncerebbe al vantaggio dell’attacco multiasse e dell’inganno operativo.

Tuttavia, gli obiettivi, ancora una volta, non includono la distruzione delle forze nemiche, ma il mantenimento dell’attuale status quo in un territorio specifico. È per controllare il re del nemico, non per uccidere le sue pedine. I confronti con gli sforzi difensivi falliti nella storia possono essere inevitabili, ma ciò che va ricordato è che le difese forti falliscono solo quando il nemico ha forze sostanzialmente superiori, o quando le difese sono fiancheggiate; la linea Maginot è l’esempio classico. Le forze russe sono inferiori a una NATO combinata e non stanno dimostrando bene le loro capacità potenziali in Ucraina. Il potenziale per una svolta o un fiancheggiamento di una difesa ben preparata della Zona di Pace è relativamente modesto.

Quale effetto sulla narrazione?

Un’ulteriore preoccupazione sarebbe il potenziale effetto sulla “narrativa” riguardo a quale parte è l’aggressore. Putin potrebbe affermare che l’istituzione della forza di mantenimento della pace costituisce un “attacco” della NATO?

Il presidente russo a vita ha definito le sanzioni ” simili a un atto di guerra” e ha minacciato che la Russia sarà in guerra con qualsiasi nazione che fornisca o ospiti aerei ucraini. Indubbiamente, cercherà di schierare qualsiasi forza di mantenimento della pace come attacco.

Tuttavia, non è riuscito a cogliere la narrazione. Numerose nazioni hanno imposto sanzioni e fornito all’Ucraina sofisticate armi anticarro e antiaeree e Putin non è stato in grado di fermare queste azioni e non ha dichiarato loro guerra. Né è stato in grado di far girare queste azioni a sostegno delle sue argomentazioni. La chiave per i governi occidentali nel continuare a dominare la narrativa sarà usare il termine “peacekeeper” in ogni affermazione, forse come ogni seconda parola.

La messa in sicurezza immediata delle centrali nucleari ucraine di Rivne e Khmeinytski – un’azione che la forza di pace dovrebbe intraprendere in ogni caso – manterrebbe anche il predominio occidentale della narrativa date le preoccupazioni espresse in tutta Europa sugli attacchi russi alle centrali nucleari a est. Una chiara giustificazione per la forza di pace è prevenire un disastro di tipo Chernobyl causato dagli attacchi russi alle centrali nucleari.

Non ripetiamo la storia

La possibilità di istituire una Zona di Pace protetta è già in discussione in Europa. Il primo ministro portoghese Antonio Costa ha lasciato intendere che il suo governo era disposto a mettere in campo le sue (certamente piccole) forze in Ucraina. Questa discussione non è ancora penetrata nella consapevolezza degli americani e non vi è alcuna indicazione che l’amministrazione del presidente Biden stia prendendo in considerazione l’opzione. Ma dovrebbe essere discusso apertamente e ampiamente qui e considerato ora mentre può ancora essere implementato.

Alcuni esperti hanno sostenuto che gli obiettivi di Putin sono limitati. Cioè, come spesso si dice, speranza non strategia. Alcuni sostengono che non ci siano parallelismi storici poiché “il mondo è così diverso ora” a causa della tecnologia o della disponibilità di informazioni (soft power), ma questa potrebbe essere una citazione del 1939. Fonti russe affermano che Putin si considera il nuovo Stalin. Questo è stato a lungo suggerito . Tuttavia, i parallelismi con il 1939 sono ancora maggiori; Il Donbas è in gran parte i Sudeti di Putin, “l’ultima richiesta d’Europa” di Hitler. L’Ucraina è pronta a diventare la Cecoslovacchia di Putin: il resto del Paese che Hitler ha annesso mentre un mondo indifferente non ha reagito. Fortunatamente, questa volta il mondo ha reagito, ma non ha ancora reagito abbastanza.

Evitare gli errori del passato è più che una questione pratica; è anche una questione morale.

La protezione di ciò che resta dell’Ucraina è un obbligo morale. Salverebbe molte vite ucraine (e forse quelle dei coscritti russi). La decisione del popolo ucraino di muoversi verso il governo democratico e l’integrazione nella società europea è stata ispirata e incoraggiata dall’Europa occidentale e dagli Stati Uniti. Rinunciare ad agire al di là dell’imposizione di sanzioni economiche è un tradimento della fiducia e sarebbe una grave battuta d’arresto per la democrazia ovunque. Perché una nazione dovrebbe rivolgersi alla democrazia se il risultato sarà l’invasione, la morte e la sottomissione da parte di uno stato autoritario più potente?

La vera “ trappola di Tucidide ” non è il timore di nascere potenze rivali, ma di permettere che il futuro sistema internazionale venga definito dal principio che gli antichi ateniesi insegnarono con violenza ai Meliani: “i forti fanno quello che vogliono, i deboli soffrono quello che dovere.” Melos non è stato semplicemente catturato; i suoi uomini furono massacrati e le donne ridotte in schiavitù. Melos è stato ripopolato dai russi, correzioni, voglio dire, coloni ateniesi.

Questo è il futuro che Vladimir Putin (e Xi Jinping) vogliono realizzare . Soggiogare l’Ucraina sarebbe il passo più significativo per trasformare quel futuro in realtà. Per impedirlo, per preservare un mondo che lotta costantemente per la legge e la giustizia, è necessario preservare il territorio finora incontrastato dell’Ucraina istituendo e imponendo una Zona di Pace.

Sì, il risultato più probabile sarebbe un’Ucraina orientale (controllata dalla Russia) e un’Ucraina occidentale (indipendente e sovrana). Ma ciò conserverebbe la speranza che, come la Germania orientale e occidentale, l’Ucraina sarà di nuovo unita in un futuro al di là di Putin. Le sanzioni non lo faranno. Il cyber non lo farà. La guerra offensiva comporta grandi rischi. Una zona di pace forzata è l’opzione che vale la pena prendere.

Sam J. Tangredi è titolare della cattedra Leidos di Future Warfare Studies presso l’US Naval War College. È l’autore, più recentemente, di Anti-Access Warfare: Countering A2/AD Strategies. Le opinioni espresse sono completamente sue e non riflettono necessariamente le opinioni ufficiali dell’US Naval War College, del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti o di qualsiasi altra agenzia del governo degli Stati Uniti. 

https://www.defenseone.com/ideas/2022/03/establish-zone-peace-western-ukraine/362939/

PARTENDO DA “UNA CIVILTÀ CHE SI SPEGNE” DI ROBERTO BUFFAGNI: SAM DUNN È MORTO, Di Massimo Morigi

PARTENDO DA “UNA CIVILTÀ CHE SI SPEGNE” DI ROBERTO BUFFAGNI: SAM DUNN È MORTO

Di Massimo Morigi

Su Ucraina e dintorni, in assenza di decisivi e soprattutto significativi sviluppi, mi ero ripromesso di tacere, ma anch’io come Buffagni, la butto lì, tanto le cose sono talmente evidenti, che non varrebbe la pena spendere riflessioni troppo profonde (ma come lo fa Buffagni sull’ “Italia e il Mondo” in “Una civiltà che si spegne” – URL http://italiaeilmondo.com/2022/03/09/una-civilta-che-si-spegne_di-roberto-buffagni/ , Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20220309160039/http://italiaeilmondo.com/2022/03/09/una-civilta-che-si-spegne_di-roberto-buffagni/, ne vale la pena eccome..). Ma anche buttandola lì, si può tangenzialmente rilevare una non irrilevante novità e, senza tanti giri di parole, possiamo semplicemente – ma nient’affatto banalmente – dire che la leggerezza con cui si parla in occasione del conflitto russo-ucraino della possibilità di intraprendere una terza guerra mondiale da combattersi con armamenti termonucleari, non fa altro che essere il segno rivelatore di un degrado culturale che non coinvolge solo i sempre più asserviti e ridicoli organi di formazione della pubblica opinione ma anche il degrado emotivo e cognitivo della popolazione che per atavico istinto e ragionato senso di autoconservazione dovrebbe provare terrore e ripugnanza verso l’eventualità della propria autodistruzione.

In altre parole, le masse sono passate dallo spregevole ma dotato di un minimo buon senso popolare del “meglio rossi che morti” (minimo, perché non era proprio escluso che, proprio in virtù di un conflitto termonucleare, si potesse essere contemporaneamente sia rossi che morti) ad un del tutto delirante “meglio morti che vivi”, un sentimento che rispetto al primo è certamente un netto guadagno dal punto di vista della logica formale ma denotante anche il degrado emotivo e cognitivo di cui si è appena detto. Questo nuovo sentimento popolare che può essere definito una sorta di cupio dissolvi di massa vissuto in una sorta di ipnotica consapevolezza (non è la prima volta che popolazioni e/o masse intraprendono comportamenti autodistruttivi ma è assai raro, se non unico, che questi comportamenti siano consapevolmente assunti, se non nel caso per quei gruppi che per accecamento ideologico abbiano ritenuto la resa come la premessa della propria distruzione, vedi la disperata resistenza della popolazione tedesca durante l’ultimo conflitto mondiale, ma in questo caso si era erroneamente convinti che la sconfitta avrebbe potuto implicare lo sterminio del popolo tedesco, mentre invece nel caso presente nessuno più o meno sano di mente pensa che i russi vogliano il nostro sterminio ma nonostante questo con ipnotica consapevolezza alla vita si preferisce la morte – e sottolineo ipnotica perché anche se dal punto di vista cognitivo ben si comprendono i termini della questione, dal punto di vista emotivo le masse rimangano obnubilate ed intorpidite e prediligono un comportamento con potenzialità autodistruttive ) è certamente una novità per la teoria geopolitica, la quale, per farla breve, oltre a studiare le condizioni fisico-territoriali che condizionano i gruppi organizzati deve anche considerare come questi gruppi culturalmente si pongono al mondo e un dato che finora aveva connotato tutti i gruppi umani e tutte le culture era l’istinto di autoconservazione del gruppo, cosa che in questo caso dell’accettazione di massa della guerra mondiale termonucleare è completamemte venuto a mancare (rarissimi gli esempi di gruppi umani che pur avendo la possibilità di arrendersi per avere salva la vita si danno la morte: suicidio di massa degli Zeloti a Masada, suicidio di massa dei davidiani a Waco, soldati giapponesi nel secondo conflitto mondiale, ma questo è caso particolare: i kamikaze pensavano di svolgere un’azione militare comunque efficace mentre i fanti giapponesi che non si arrendevano, non sempre si suicidavano cercando talvolta di non farsi prendere dal nemico e quando si suicidavano lo facevano o perché ritenevano terribile la prigionia inflitta dal nemico o per un alto senso di onore militare. E notiamo tangenzialmente che preservare il proprio onore militare suicidandosi è sì un gesto autodistruttivo ma, al contempo, amorevole e conservatore della comunità dalla quale provenivano, la quale, in virtù del fortissimo senso comunitario giapponese, tutto può sopportare e a tutto può sopravvivere ma non certo al disonore di essersi comportata vigliaccamente in guerra. E questo non è certo il caso delle pulsioni autodistruttive emerse a livello di massa durante la guerra russo-ucraina dove la distruzione del proprio gruppo è vissuta come un’eventualità quasi irrilevante, come se la nostra morte fosse estranea a noi stessi).

Termino con un invito alla lettura. Nel 1917 il ravennate Brumo Corra (sinonimo del conte Bruno Ginanni Corradini), sodale di Marinetti e futurista della prima ora pubblicò il romanzo “Sam Dunn è morto”. Si tratta di un’opera praticamente introvabile nelle nostre patrie biblioteche ma a conferma del fatto che quello che l’Italia non riesce culturalmente a trattenere e a coltivare spesso lo fanno istituzioni straniere, questa opera, su iniziativa dell’Università del Maryland, è scaricabile presso Internet Archive agli URL https://archive.org/details/mdu-rare-074979/mode/2up e https://ia600704.us.archive.org/12/items/mdu-rare-074979/rare-074979.pdf. Il sottotitolo recita “Romanzo sintetico futurista” e il lucido cupio dissolvi del viveur Sam Dunn e il surreale procedere del racconto, oltre a magnificamente rappresentare lo spirito autodistruttivo del primo conflitto mondiale, sono convinto possa ben fornire elementi per rappresentare e sintetizzare non solo le presenti pulsioni autodistruttive massa di questi tempi ma anche di quelle future.

Mai come oggi la geopolitica per comprendere gli eventi politici e culturali dei nostri giorni deve rivolgere la sua attenzione laddove ha avuto veramente inizio l’ autodistruttiva modernità della mobilitazione delle masse attraverso la travolgente potenza dei mezzi meccanico-tecnici di comunicazione di massa e il “Romanzo sintetico futurista” di Bruno Corra per far condensare e precipitare davanti al nostro teorico sguardo questa nuova mortifera Stimmung, ci è molto più d’aiuto di molti (spompati) autoproclamati geopolitici che oggi solcano gli italici (ed occidentali) mari.

Massimo Morigi – 9 marzo 2022

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Una civiltà che si spegne_di Roberto Buffagni

Intanto la butto lì, poi ci penserò su. L’amputazione dei rapporti anche culturali con la Russia è un errore terribile, che può trasformarsi nel colpo di grazia alla cultura e alla civiltà europee, per quel che ne rimane. Non solo perché la cultura russa ci offre tesori inestimabili, e una continua meditazione dei rapporti tra Russia e Occidente, Asia ed Europa (l’Europa è una propaggine dell’Asia, e nel rapporto conflittuale con l’Asia si è definita).
Certo, anche questo. La cultura russa e la Russia, però, come intuitivamente tutti comprendiamo, sono per noi (anche) un’immagine della della pre-modernità “ingenua”, della “vita sorgente”, della “natura”, della “Kultur”, insomma della “infanzia perduta”. E’ immediatamente evidente a tutti il tratto “infantile” del carattere russo, con la sua vitalità rigogliosa e pasticciona, il suo indomabile coraggio, il suo amore sensuale per la terra, per i miti e le visioni, la sua semplicità, e la sua brutalità.
Russia e cultura russa, insomma, sono l’oggetto di un forte risentimento e di una struggente nostalgia per noi “sentimentali”, per noi moderni, per noi che ci sappiamo scissi dall’infanzia e dalla natura, per noi che sentiamo orgogliosamente e dolorosamente la scissione di coscienza e vita (“l’ingenuo” è una proiezione psicologica del “sentimentale”).
Dalla riflessione filosofica e artistica di questo rapporto tra moderno e antico, “ingenuo” e “sentimentale”, “natura” e “spirito”, Kultur e Zivilization, è nato quanto di meglio la cultura europea ci ha dato negli ultimi due secoli e mezzo, da quando ha cominciato a riflettere sul salto di paradigma della modernità con le correnti di pensiero che usiamo chiamare “Illuminismo” e “Romanticismo”.
Amputare la cultura russa dalla cultura europea equivale a spedire un missile nucleare su Friedrich Schiller, lo Schiller autore dell’ “Inno alla gioia”, che musicato da Beethoven è stato eletto, paradossalmente, a inno dell’Unione Europea.
Schiller è anche autore del più classico dei saggi tedeschi, “il saggio tedesco che rende superflui tutti gli altri” (Thomas Mann): “Sulla poesia ingenua e sentimentale”, cento pagine scritte, non casualmente, nel corso della Rivoluzione francese e pubblicate nel 1795.
Ecco che ci dice Schiller a proposito degli “oggetti ingenui”, ossia dei popoli e culture che noi moderni sentiamo come arretrati, premoderni, nel bene e nel male “infantili”:
“Essi sono ciò che noi eravamo; sono ciò che noi dobbiamo tornare a essere. Come loro noi eravamo natura, e ad essa la nostra cultura deve ricondurci attraverso la via della ragione e della libertà. Sono dunque rappresentazione della nostra infanzia perduta, che rimane in eterno per noi la cosa più cara, e per questo ci colmano di una vaga tristezza. E sono nel contempo rappresentazioni della nostra perfezione più alta nell’ideale, e per questo ci donano una sublime commozione.”
(Schiller, “Della poesia ingenua e sentimentale”, 1795)

Guerra e politica, di Pierluigi Fagan

LA POLITICA È LA GUERRA CONDOTTA CON ALTRI MEZZI. Il generale Fabio Mini, ex capo di stato maggiore del comando NATO per il sud Europa ed autore di vari libri, tra cui uno dal titolo “Perché siamo così ipocriti sulla guerra?”, ieri commentava i fatti in un programma televisivo.
Chiamato inizialmente ad esprimere un parere a commento complessivo ha detto, con molta cautela come chi sa che le parole vanno pesate con molta attenzione di questi tempi, che quella dei russi è una “guerra al risparmio”. Ha anche detto che ha conosciuto e parlato con generali russi per più di dieci anni, conosce abbastanza bene quello di cui parla. Mini ha ricordato quello tutti gli esperti sanno ovvero che i russi hanno 900.000 affettivi. Secondo lui quel sesto di effettivi usati dai russi in Ucraina sono molto giovani ed inesperti, con mezzo vecchi sebbene ai russi non manchino mezzi molto più efficienti. Ha anche osservato la quasi totale assenza di utilizzo dell’aviazione. Ha tecnicamente definito la strategia sul campo “una guerra limitata per scopi limitati”. Ma da noi viene raccontata un’altra storia, i russi che non conoscono nulla degli ucraini, hanno sottovalutato l’eroica resistenza ed è per questo che dobbiamo continuare a mandargli armi.
Ha anche osservato che l’idea di ridurre la guerra a Putin è sbagliato, non si sa se è Putin che comanda lo Stato Maggiore russo o il contrario o una via di mezzo. E che forse il blocco russo che ha pensato necessaria questa azione, va ben oltre Putin e le Forze Armate. Non ne ha fatto una questione di sondaggi d’opinione su quanti russi l’approvano, evidenziava logiche nel blocco di potere russo e mentalità strategica in senso ampio.
Esclude che Putin sia pazzo ed a noi sembra in verità pazza questa sola idea visto che lo conosciamo da ventidue anni e non sarà certo un simpaticone ed un amicone, ma nessuno ha mai scritto di lui come di uno squilibrato. Ci sono decine e decine di articoli sulle testate di politica estera americana come Foreign Affairs e Foreign Policy, sulla sua freddezza ed abilità strategica. La rinascita relativa della Russia dopo il crollo dell’URSS era convenuta da tutti gli osservatori, forse l’iconografia che lo accompagnava gli attribuiva perfidia, furbizia, incrollabile tenacia, ma non pazzia.
Ma ciò non riscontra la realtà, chissà dove vive Mini. In realtà i russi vogliono conquistare tutta l’Ucraina, con 150.000 ragazzini e carri armati obsoleti. Perciò, ci avvertono gli “analisti” televisivi in molti casi passati dall’epidemiologia alla geopolitica e relazioni internazionali senza fare una piega, bisogna rafforzare la resistenza ucraina per farli impantanare. Poi forse vincerà perché è un Golia contro un Davide, ma lo sciocco del Cremlino non ha calcolato la successiva resistenza che farà dell’Ucraina il suo Afghanistan. Prima di Putin i russi sono stati in Afghanistan ed in dieci anni di penosa guerra hanno avuto tra 50.000 e 130.000 morti ma questo Putin non lo sa. Non lo sanno i comandi militari russi e tutti gli strateghi della seconda potenza nucleare del pianeta. Lo sanno i commentatori televisivi italiani però. Ve ne sono alcuni che si spingono a paventare una invasione russa tipo Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia e tutto l’est Europa, Putin si fermerà solo a Berlino sempre che la sua pazzia non lo spinga a portare i suoi cavalli ad abbeverarsi alle fontane di San Pietro.
Poiché siamo in regime di guerra anche noi, nessuno ha prestato attenzione a quello che riferiva da Mosca Marc Innaro qualche giorno fa ovvero che i russi dichiaravano di aver quasi completato l’obiettivo di degradare profondamente la struttura militare ucraina. Struttura significa non l’esercito sul campo, significa depositi, postazioni fisse, mezzi più insidiosi. Significa anche altro poiché dal loro punto di vista, i russi affermavano che c’era ben altro in Ucraina, si stava preparando ben altro, ma non sconfiniamo nelle supposizioni.
Così, nessuno pare abbia intuito che l’idea di offrire corridoi umanitari per gli ucraini rimasti intrappolati nelle città assediate con sbocco in Russia e Bielorussia, rifiutata sdegnosamente da Capitan Ucraina, fosse una furbata per pettinare i profughi di modo da trovare quei neo-nazisti che Putin ha dichiarato di esser il suo altro obiettivo pratico, rimandando poi gli altri da questa altra parte. Non è vero come dicono i russi che queste milizie si fanno scudo umano di una popolazione che, ricordiamolo anche se taciuto, è sotto legge marziale con uomini civili coscritti cioè obbligati ad imbracciare le armi.
Sembrerebbe quindi manchi poco alla “demilitarizzazione” e “denazificazione” ucraina, dal punto di vista russo. Obiettivi limitati che sembrano corrispondere ai mezzi limitati citati da Mini. Ma che ne sa il generale Mini …
Quello che Mini non sa ma fortunatamente sanno nostri opinionisti è che Putin vuole tutta l’Ucraina ed oltre, poi metterà un “Quisling” come dicono quelli che sanno le cose, un suo fantoccio. In questi giorni è tutto un fiorire di lettori di Storia Illustrata che ricordano i Sudeti, Chamberlain, l’Ungheria, è l’ora del “pensionato storico”. Del resto, pare che ai maschi di una certa età, oltre ai cantieri dei lavori in corso, prenda questa sindrome della storia, ce l’ha per altro anche Putin che è un noto revisionista che si diletta in “storia a modo mio” (questa non è una battuta ironica, è effettivamente così, ci sono articoli di molti anni fa delle riviste di politica estera americana che hanno per tempo analizzato questa sua passione per la “storia a modo mio” tipo Paolo Mieli ed io concordo con loro).
Certo, come no, peccato che se metti il fantoccio devi sospendere la Costituzione per non andare ad elezioni e quindi devi occupare militarmente il Paese per anni ed anni cosa che è folle sotto tutti i punti di vista anche perché gli ucraini ti tortureranno con la guerriglia fino a che non ti viene una crisi di nervi e qualcuno a Mosca ti propina una vodkina al plutonio, come sperano in molti in Occidente. Ma siccome in Russia hanno tutti il plasmon nella scatola cranica, tutto ciò non lo sanno, come non la sa Mini.
Così ieri il portavoce del Cremlino ha dichiarato a Reuters che la delegazione ucraina ha avuto, dai primi incontri, la piattaforma di resa che se accettata, terminerebbe all’istante tutto ciò: se l’Ucraina mette in Costituzione la dichiarazione di neutralità, riconosce l’annessione della Crimea come russa e riconosce le due repubbliche del Donbass come indipendenti, potrà vivere in pace facendosi governare da chi gli pare, come gli pare. Cioè anche entrando nell’UE se l’UE la vuole cosa che non è come già hanno fatto sapere olandesi, tedeschi e molti altri. L’UE ha tenuto per dieci anni la Bulgaria in stand by per l’ammissione e certo non accetterà di far entrare su due piedi uno stato le cui credenziali di diritto sono molto dubbie, per non parlare dell’economia di mercato in realtà dominata da oligarchi e vari tipi di delinquenti.
Ma niente, di tutto ciò non c’è visibilità alcuna. La dichiarazione è resa a Reuters, ma in tv sembra non interessare alcuno, è una presa in giro. È accettabile la piattaforma russa? Ognuno si può fare la sua idea, tanto non è rivolta a noi e noi non siamo Zelensky, né ucraini. È “giusta”? Certo che no, che ovvietà, non si violano confini sovrani con le armi puntandole alla gola del vicino costretto a firmare la resa. Ma la geopolitica non è un campo teorico è pratico. Pare cioè strano che la canea di gente che piange per gli ucraini in tv faccia il tifo perché gli ucraini continuino a morire o producano cinque milioni di profughi come da stime ONU per difendere cosa a questo punto si capisce sempre meno, visto che o firmano la resa o poi arriveranno le armate più professionali, i mezzi più potenti, i bombardamenti veri fino che, alla fine, non potranno far altro che firmare, qualunque costo ciò avrà per i russi che i costi li hanno calcolati visto che non sono così deficienti quanto lo sono alcuni che vanno in tv a parlare di cose che non sanno.
Dopo Putin si ritirerà nella sua dacia a scrivere memorie e dilettarsi in revisionismo storico e gli occidentali avranno a che fare con quelli più malleabili come il generale Sergej Shoigu che già dalla faccia sembra un bonaccione. Non è che la resa ucraina comporterebbe la sospensione o in non acuirsi di altre sanzioni ai russi, non è che l’Occidente debba riconoscere la Crimea o le due repubbliche, l’ha chiesto solo agli ucraini. Il danno politico, economico, geopolitico e financo reputazionale è fatto, è irreparabile in tutta evidenza e tale rimarrà per anni.
L’ONU ha dichiarato che nei sette anni di guerra nel Donbass (2014-2021) ci sono stati 3100 morti civili, in Ucraina, fino ad oggi, ne dichiarano su i 400. Le stime dell’ONU sono sempre troppo basse per ovvie ragioni pratiche, ma le proporzioni sono quelle. Solo che non ho visto dirette h24 per il Donbass. I più non sanno neanche di cosa si parla quando si dice “guerra del Donbass”, non esiste il fatto. I morti hanno peso diverso, così l’indignazione umana e la sanzione morale.
Quella che vedete in televisione perché dalla televisione passi nella vostra testa non è la guerra, sono la politica, la geopolitica e la geoeconomia condotte con altri mezzi.
Ed ecco a Voi quello che gli “esperti” veri e non da commedia dell’arte, hanno indicato da tempo come il più probabile successore di Putin poiché che Putin puntasse dopo ventidue anni a togliersi dai riflettori dopo esser passato alla storia russa col suo peso evidente, era a loro noto da un bel po’.

Belt & Road raggiunge in lungo e in largo il Medio Oriente _ Di SCOTT FOSTER

La crisi pandemica ha rivelato la fragilità del sistema di divisione del lavoro, delle catene di produzione e delle reti commerciali mondiali così integrate. Il movimento di superficie da essa innescato ha rivelato un processo di ritrazione dei singoli stati nazionali senza una apparente logica. L’uso strumentale della pandemia e il tipo di utilizzo degli strumenti sanitari, in particolare i vaccini, fatto dalle maggiori potenze ha lasciato solo intravedere la competizione geopolitica ormai in atto. La gestione della pandemia è sembrata soprattutto uno strumento per affinare all’interno di ciascun paese con maggiore o minore successo gli strumenti di controllo e manipolazione della popolazione, grazie alle politiche emergenziali.

La crisi tra Russia ed Ucraina, con il protagonista occulto statunitense a muovere le proprie fila, ha evidenziato al contrario un ulteriore drammatico salto delle dinamiche geoeconomiche. L’accavallarsi frenetico di sanzioni e controsanzioni, l’incertezza crescente sullo stato giuridico dei dei diritti e delle proprietà iniziano a delineare più sistemi di relazioni geoeconomiche tra di loro distinte e corrispondenti alle possibili future aree di influenza geopolitiche.

I problemi da affrontare per giungere alla definizione di perimetri più netti sono enormi e difficilmente risolvibili in tempi brevi ed anche medi. I punti di attrito al contrario tenderanno a moltiplicarsi e con essi le possibilità di conflitto aperto.

In questo contesto gli stati europei assumono la figura penosa delle pecorelle smarrite destinate a pagare il prezzo più alto e drammatico a queste dinamiche del tutto indipendenti da loro e quindi spinte a stringersi ulteriormente attorno al proprio pastore, fingendo di essere essi stessi pastori. Non vogliono accorgersi che sotto le sembianze protettive si nasconde il lupo altrettanto famelico. In aggiunta, con la crisi ucraina gli stati europei sul Mediterraneo hanno del tutto rimosso l’attenzione dalla propria sfera di interessi in quell’area, abituati come sono a guardare talmente lontano da perdere di vista quel che succede vicino casa. Ormai la partita si giocherà tra Stati Uniti, Cina e Russia con la Gran Bretagna al seguito e qualche altro attore estraneo al continente europeo pronto ad inserirsi all’occasione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Lo schema infrastrutturale della Cina è ora collegato dall’Iran attraverso l’Iraq al Mediterraneo orientale con altri collegamenti a venire

“Tutti gli occhi sull’Ucraina”, scrive in una e-mail un ex membro dello staff di un primo ministro britannico. Questo è comprensibile, ma non escludendo tutto il resto. In particolare, l’Europa dovrebbe dedicare qualche minuto a considerare l’espansione della Belt and Road Initiative cinese attraverso le sponde orientali e meridionali del Mediterraneo.

La Siria ha aderito al programma il 12 gennaio con la firma di un memorandum d’intesa in tal senso a Damasco. La Belt and Road è ora collegata dall’Iran attraverso l’Iraq al Mediterraneo orientale.

Questo apre la strada alla ricostruzione delle infrastrutture e dell’economia siriana e al ripristino del ruolo storico della Siria come crocevia del commercio regionale.

Mette inoltre la Cina in diretto conflitto con le sanzioni americane ai sensi del Caesar Syria Civilian Protection Act del 2019 (Caesar Act). L’atto prende il nome da una persona conosciuta solo come Cesare, che ha fotografato e documentato prove di tortura da parte del governo di Bashar al-Assad.

L’atto è stato firmato dal presidente Trump nel 2019 ed è entrato in vigore nel 2020. L’amministrazione Biden ha continuato a far rispettare le sue disposizioni, che sanzionano individui, società ed entità politiche in tutto il mondo coinvolte in attività economiche ritenute a sostegno dell’esercito siriano. Questi includono petrolio e gas, costruzioni e banche.

La Brookings Institution le descrive come “le sanzioni statunitensi più ampie mai applicate contro la Siria” e osserva che la legge “amplia drasticamente l’autorità del governo degli Stati Uniti per sanzionare … attività che supportano la capacità del regime di Assad di fare la guerra”.

Senza un cambio di regime, le sanzioni, se efficaci, impedirebbero la ricostruzione della Siria dopo oltre un decennio di guerra civile. Ma non sono efficaci, poiché la Cina è intenzionata a ignorarli ea colmare il vuoto creato dalla politica inflessibile degli Stati Uniti.

Nel marzo 2019, The Atlantic ha pubblicato un articolo intitolato ” Nessuno vuole aiutare Bashar al-Assad a ricostruire la Siria “. Citando diplomatici americani e francesi, è stato un notevole ma tipico pezzo di auto-illusione.

È probabile che il porto siriano di Latakia sia di particolare interesse per la Cina. L’Iran ne affitta già una parte e la Russia ha una base navale a Tartus, a breve distanza a sud.

Con il costo della ricostruzione stimato dalle Nazioni Unite in 250 miliardi di dollari, anche le imprese di costruzione e le banche cinesi avranno molto da fare in Siria

Anche il porto di Tripoli in Libano è un obiettivo per gli investimenti cinesi, così come la Zona Economica Speciale di Tripoli. Il Libano ha firmato un MOU per entrare a far parte di Belt & Road nel 2017.

L’Egitto, che ha una “partnership strategica globale” con la Cina, è entrato a far parte di Belt & Road nel 2016. Ciò è stato preceduto dall’istituzione della zona di cooperazione economica e commerciale Cina-Egitto Teda Suez nel 2008.

Più recentemente, società cinesi hanno partecipato al finanziamento e alla costruzione della nuova capitale amministrativa dell’Egitto a est del Cairo, alla creazione di ulteriori strutture industriali vicino al Canale di Suez, alla costruzione di ferrovie e alla costruzione di un porto per container sulla costa mediterranea.

L’obiettivo è trasformare l’Egitto in un hub di produzione e distribuzione al servizio del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Europa. La Cina è il più grande utente del Canale di Suez e il più grande investitore in strutture industriali adiacenti. Più di 1.500 aziende cinesi sono attive in Egitto, inclusi produttori di tessuti, fibra di vetro, elettronica di consumo, veicoli elettrici e componenti.

Come notato in ” Greater Eurasia’: Belt & Road si espande in Africa ” ​​( Asia Times , 28 dicembre 2021), il “completo” in “partenariato strategico globale” intendeva significare cooperazione politica, economica, tecnologica e culturale. “Strategico” significa importante, stabile e a lungo termine.

I progetti infrastrutturali cinesi in Libia, che risalgono al 2011, sono stati interrotti da un conflitto militare, ma la Cina continua a lavorare per una soluzione politica che consenta loro di riprendere. Gli interessi della Cina in Libia sono incentrati sul petrolio e sulle strutture portuali. La Libia è entrata a far parte di Belt & Road nel 2018.

Anche la Tunisia ha aderito nel 2018 e ha firmato un accordo di cooperazione economica e tecnica con la Cina nel 2021. La Cina ha contribuito alla costruzione di strutture sportive, culturali, accademiche e mediche, nonché di un canale, in Tunisia.

Partecipanti Belt & Road nella regione. Mappa: Briefing sulla Via della Seta

L’Algeria, che ha anche una partnership strategica globale con la Cina, è entrata a far parte di Belt & Road nel 2018. I due paesi stanno negoziando un piano quinquennale di cooperazione nei settori del commercio, degli investimenti, delle infrastrutture, dell’energia e dell’estrazione mineraria. I prodotti minerali nell’elenco includono minerale di ferro, fosfati, zinco, oro e uranio. In Algeria sono attive circa 1.000 aziende cinesi.

Dopo un lungo ritardo, le compagnie cinesi hanno iniziato i lavori al porto di El Hamdania, a ovest di Algeri. Il primo porto in acque profonde del paese competerà con il porto di Tangeri-Med in Marocco e, se tutto andrà secondo i piani, svolgerà un ruolo importante nel commercio africano e mediterraneo. In cambio di finanziamenti, secondo quanto riferito, la Cina controllerà il porto per 25 anni.

Il 5 gennaio è stato firmato un protocollo d’intesa per il “Piano di attuazione per la costruzione congiunta dell’iniziativa Belt and Road tra Marocco e Cina”. Ciò dovrebbe portare al finanziamento cinese di progetti infrastrutturali e facilitare la cooperazione nell’industria, nell’energia e nello sviluppo tecnologico.

Il Marocco è entrato a far parte di Belt & Road nel 2017. Un anno prima, i cinesi hanno completato un importante progetto di costruzione di ponti nel paese. Da allora, entità cinesi hanno partecipato a circa 80 progetti in tutto il paese. Le aziende cinesi hanno costruito fabbriche per fornire condizionatori d’aria e parti pressofuse per automobili e hanno investito in altri settori manifatturiero, pesca e telecomunicazioni.

I governi dalla Siria al Marocco vedono Belt & Road come un modo per stimolare la crescita economica e fornire posti di lavoro a popolazioni in crescita. I rivali della Cina lo vedono come una minaccia strategica.

L’Istituto giapponese per le economie in via di sviluppo, una parte della Japan External Trade Organization, proclama sul suo sito web che:

I principali mercati di telecomunicazioni africani per le società cinesi sono Algeria, Egitto, Tunisia, Marocco e Sud Africa, che rappresentano il 60% del totale delle attività di telecomunicazione cinesi nel continente.

Insieme all’edilizia, all’energia e all’estrazione mineraria, le telecomunicazioni sono uno dei quattro pilastri strategici alla base dello sviluppo economico della Cina e forniscono la piattaforma necessaria da cui partire per sfidare l’Occidente per l’egemonia globale.

The Voice of America avverte che:

Le reti di telecomunicazioni finanziate e costruite dalla Cina stanno prendendo il controllo del cyberspazio africano, una dipendenza che secondo gli analisti mette Pechino nella posizione di esercitare un’influenza politica in alcuni paesi del continente… Huawei sta lavorando e collaborando con molti governi in tutto il continente, ed è quei governi che utilizzano la tecnologia di qualità per minare i valori democratici.

La Hoover Institution, un think tank conservatore a Stanford, avverte che:

Dovremmo considerare ciascuna delle strutture portuali cinesi nel Mediterraneo come una potenziale base della marina cinese.

Il gruppo dei Think Tank europei afferma:

La percepita necessità da parte dell’UE di riequilibrare le relazioni con l’Africa è inesorabilmente legata all’accresciuta concorrenza di interessi nel continente, provenienti soprattutto dalla Cina.

L’UE è consapevole del problema. Il 17 e 18 febbraio i rappresentanti dell’Unione Europea e dell’Unione Africana hanno concordato un piano di investimenti da 150 miliardi di euro per l’Africa.

Secondo POLITICO EU, un’agenzia di informazione politica e politica europea, il piano “elenca una serie di progetti ambiziosi per migliorare la connettività digitale, costruire nuovi collegamenti di trasporto e accelerare il passaggio a fonti di energia a basse emissioni di carbonio. Fa tutto parte della strategia Global Gateway del blocco, vista come una risposta geostrategica all’iniziativa Belt and Road della Cina”.

Ma POLITICO UE si chiede se non sia “troppo poco, troppo tardi? Una grande domanda aperta è da dove verranno i finanziamenti per le ambizioni dell’Europa”.

Nel frattempo, il 24 gennaio, il Jerusalem Post ha riferito che: “Israele e Cina hanno celebrato 30 anni di relazioni diplomatiche firmando lunedì un piano di cooperazione triennale, anche se gli Stati Uniti continuano a chiedere a Israele di limitare gli investimenti cinesi in tecnologie che potrebbero rappresentano un rischio per la sicurezza”.

Alla quinta riunione del Comitato misto Cina-Israele per la cooperazione all’innovazione, hanno partecipato rappresentanti di alto livello dei ministeri israeliani degli esteri, della scienza e della tecnologia, dell’energia, dell’economia, dell’agricoltura, della protezione ambientale, della salute, della cultura e dello sport.

Il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha osservato che  I cinesi, come gli israeliani, non hanno paura delle nuove idee. C’è una curiosità innata a livello nazionale in entrambe le nostre nazioni. Dacci un’idea nuova ed eccitante e ci riuniremo attorno ad essa, ne parleremo con entusiasmo [e] verificheremo immediatamente da dove viene e come migliorarla”.

Israele, come i suoi vicini arabi, sta guidando una rotta tra l’ostilità degli Stati Uniti e i guadagni economici che si possono ottenere dalla Cina. Questi ultimi vengono perseguiti, non sacrificati, anche se le marine cinese e russa hanno tenuto la loro prima esercitazione congiunta nel Mediterraneo già nel 2015.

Il nuovo equilibrio di potere è già qui.

Scott Foster, laureato alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies di Washington, DC, è analista presso LightStream Research a Tokyo. Seguilo su Twitter: @ScottFo83517667

https://asiatimes.com/2022/03/belt-road-reaching-far-and-wide-in-middle-east/?mc_cid=4211e54c94&mc_eid=00f44b9008

SOSPENDERE L’USO PUBBLICO DELLA RAGIONE, di Pierluigi Fagan

SOSPENDERE L’USO PUBBLICO DELLA RAGIONE.

La “società aperta” ha deciso di chiudersi. La società liberale va a polarizzarsi nella contraddizione delle sue stesse premesse.

L’ambasciatore italiano a Mosca, lì col chiaro mandato di favorire le relazioni commerciali bilaterali, ha avuto l’ardire di segnalare in una audizione parlamentare, il costo delle sanzioni per le nostre imprese su dati FMI. Un argomento che dovrebbe interessare una democrazia di mercato visto che parla di mercato, no? Dire questo è dire che non si dovevano elevare sanzioni? Credo che un ambasciatore navigato come Starace con un passato in Cina, USA, Giappone sappia qual è il suo limite ovvero dare informazioni, non suggerire decisioni. Ma la società aperta che amava definirsi anche società dell’informazione, ora scopre che le informazioni non piacciono, le informazioni disturbano le decisioni o per lo meno ne ricordano il prezzo. Non c’è nulla di male a sapere il costo delle decisioni, aiuta ad organizzarsi per poterle pagare o si pensa o si vuol far pensare che le decisioni ideali siano libere e gratuite?

Il direttore dell’unico quotidiano di informazioni sulle relazioni internazionali, Sicurezza internazionale, edito dalla LUISS Guido Carli, collegata in vari modi a Confindustria, diretto da un professore ricercatore affiliato al MIT di Boston e che pubblica in USA con la Cornell University, A. Orsini, ha l’ardire di invitare in tv ad inserire ciò che sta avvenendo in Ucraina in una inquadratura più ampia, nello spazio (geografia) e nel tempo (storia). Bassanini domanda nervosamente su twitter se Orsini esprime il pensiero della LUISS o personale di modo che LUISS sia obbligata a ribadire la sua stretta osservanza atlantista facendo una ramanzina al suo professore in pubblico sul fatto che questi si doveva attenere ai fatti e non dare interpretazioni. Già, “i fatti”.

Il giornalista RAI Marc Innaro, una prima volta a Mosca per sette anni, poi di nuovo negli ultimi otto, per aver riferito cosa i russi dicono dei fatti (se sta a Mosca cosa deve fare, riferire cosa dice Zelensky? Quello già lo riferiscono 7/24 sette-reti-sette+stampa e radio) è ora richiesto a gran voce esser spostato ad altro incarico. Magari come mi è capitato di sentire l’altro giorno su RAI News riferisce che i russi affermano di aver convocato l’ambasciatore della Croazia perché i russi avrebbero pizzicato 200 neo-nazi con passaporto croato ed avrebbero affermato che ve ne sono da ogni parte d’Europa e quindi hanno poi affermato che non tratteranno gli stranieri come prigionieri di guerra (il che ha un brutto significato come potrete intuire). O come ieri ha riferito che i russi sostengono che non sono così deficienti da sparare ad una centrale nucleare: 1) perché la vogliono prendere intatta; 2) perché la Russia dista dalla centrale meno che la Moldavia; 3) perché Mosca dista meno di Vienna. Così i russi sostengono che la controllano da giorni e che l’incidente è organizzato dagli ucraini per mandare in mondovisione la fake news. Siamo tutti adulti e dovremmo sapere tutti che la guerra delle informazioni e controinformazioni è norma, ma quando la fa Zelensky è verità, quando la fa Mosca è falsità sempre e comunque. Ma poi, non si capisce cosa altro dovrebbe fare Innaro se non riferire cosa dicono lì, cosa significa “corrispondente”?

Così, nell’uso pubblico della ragione, non puoi avanzare qualche dissonanza se prima non reciti il Credo nella Verità della Chiesa Unitariana del Bene contro il Male e del Vangelo della Marvel Comics, ma pare che ormai non basti più neanche quello. Non vogliamo nessun mondo multipolare, quindi ci polarizziamo, noi Bene, altri Male, tertium non datur e chi lo dà è collaborazionista suo malgrado. Il mondo crede a quel Vangelo, l’ha celebrato anche all’ONU. Peccato che tra astensioni e contrari, abbiamo votato paesi con metà della popolazione terrestre e poiché quel voto non comportava alcuna sanzione, è pure dubitabile che chi ha votato per la risoluzione voglia mai andare oltre alla semplice dichiarazione. Io non sono un paese ONU, ma se fossi stato lì l’avrei votata anche io quella dichiarazione, chi mai può difendere il “diritto” si un paese a varcare armato il confine di un altro? Siamo all’ovvio. Com’è ovvio che a tutt’oggi solo un quarto del mondo, l’Occidente polarizzato su Washington con il senior partner UK, ha elevato sanzioni, sebbene secondo la strana geografia surrealista della von der Leyen, questa sia la “comunità globale”.

Cos’è l’Illuminismo? Pensare con la tua testa. Avere il coraggio, pagarne il prezzo. Non pagare chi pensa per te tenendoti nell’infanzia eterna deresponsabilizzata, assumerti le tue responsabilità davanti al mondo. “Senonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: – Non ragionate! – L’ufficiale dice: – Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. – L’impiegato di finanza: – non ragionate, ma pagate! – L’uomo di chiesa: – Non ragionate, ma credete!” diceva Kant in quel del 1784. Comprendere è prender assieme quanti più fatti ci è possibile, giudicare viene solo dopo che hai ben compreso, comprensione e giustificazione sono atti separati e con fini diversi.

Così oggi sembra che la società aperta-chiusa, la Wide-Shut-Society, la società spalancate ad alcune cose ma chiusa ad altre, necessiti di spegnare la luce, non è epoca di illuminismi. La società aperta mi sembrava dovesse esser liberale, ma si sa i liberali annunciano principi universali, ma con applicazioni particolari. Sono come i contratti assicurativi, la fregatura è a corpo 5. Locke annunciava la totale libertà di credenza, ma il totale era dentro il protestantesimo, se eri cattolico o ateo andavi al gabbio e buttavano via la chiave, se non di peggio.

Quando s’impone il buio, vuol dire che si vuol nascondere qualcosa?

SULLA FIGURA DELL’ANTICOMPLOTTISTA, di Vincenzo Costa

QUALI SONO GLI SCOPI DI ZELENSKY E DELL’OCCIDENTE? SULLA FIGURA DELL’ANTICOMPLOTTISTA
Siamo troppo occupati a chiederci che cosa abbia in mente Putin, e non ci stiamo facendo quella che è una domanda almeno altrettanto importante: che cosa ha in mente l’Occidente? Dove vuole arrivare?
L’opinione pubblica ha oramai del tutto perso il ben dell’intelletto. La gente davvero crede che Putin voglia arrivare a Berlino e magari, perché no?, a Roma. Lo dice quello che è l’eroe mondiale del momento, Zelensky.
Crediamo davvero che i Russi vogliano far saltare le centrali nucleari? Perché bisogna proprio avere la farina nel cervello per pensarlo, ma qui ci sono anche intellettuali che lo scrivono, che ci vogliono fare credere che i russi intendono fare esplodere il più grande reattore nucleare al mondo proprio vicino a casa loro.
La capacità di farsi due domande è completamente svanita. E il motivo è semplice: se ti fai una domanda significa che dai ragione e quelli che dicono “non ce lo dicono”. E ovviamente, chi è intelligente non dice così, non è un complottista. E così l’anticomplottista da cabaret che cosa fa per non essere complottista? Crede al Corriere della sera, perché un intellettuale serio legge quelle cose li. E diventa come quei cretini che credevano che lo sbarco in Normandia fosse fallito.
L’anticomplottista non si chiederà mai: ma perché i russi puntano su Chernobyl e sulle centrali nucleari? Non è che magari sanno che Zelensky e amici stanno combinando qualcosa di losco e vogliono impedire che facciano casini? Crederà che Putin sia pazzo e voglia far saltare il mondo e casa sua. Questa è un’interpretazione più intelligente per l’anticomplottista.
L’anticomplottista è questa mente geniale, che quando Zelensky chiede che la NATO dichiari lo spazio aereo no Fly zone non si chiede: ma questo è pazzo? Ma che cosa vuole Zelensky? Perché è chiaro che se chiede la no Fly zone vuole la catastrofe nucleare.
L’anticomplottista è questa figura innamorata della propria intelligenza, che non si vuole contaminare con i poracci, e quindi non si chiede: Ma chi è Zelensky?
Gia Zelensky, attore, comico, che diventa presidente sull’onda della popolarità raggiunta impersonando come attore la parte di un presidente puro e duro (sotto un’immagine del film con Zelensky in azione).
Baudrillard sarebbe rimasto impressionato, qui si tocca con mano la precessione dei modelli (l’anticomplottista di maniera non sa che cosa siala precessione dei modelli, e io non ho voglia di spiegarglielo, e lo lascio nella sua idea di essere colto): la realtà non precede la copia, ma è la copia della copia. Un presidente per finta diventa un presidente per davvero, ma la gente ama proprio l’immagine televisiva, elegge il personaggio del film. DI questa democrazia stiamo parlando.
Zelensky diventa presidente dopo una strage, fatta da gente che fa stragi e brucia vivi donne e vecchi. L’anticomplottista non si è accorto di questa cosa, il suo metro di giudizio è: ma putin ha attaccato l’Ucraina? Tolta questa espressione è il silenzio. La sua mente anticomplottista non reggerebbe la complessità. Lui ha bisogno di bianco e nero.
Zelensky fa diventare le unità naziste, e sono parecchie, parte dell’esercito regolare, e queste fanno stragi. Zelensky silenzio, l’Europa silenzio. Vengono chiusi i giornali di opposizione, è sostenuto dagli oligarchi (ma questi so buoni, e l’anticomplottista non crede che Zelensky sia stato sostenuto da questi oligarchi, e che era una maschera, nulla di più).
Zelensky è un attore, e per recitare questa parte, per fare commuovere durante qusta guerra, chi poteva farlo meglio di un attore? No, non si può dire? E perché? Di Maio è quello che è. Ma qualcuno crede che Zelensky sia competente? Anticomplottista, che dici?
Sappiamo che le armi che stiamo mandando non servono a niente, che produrranno solo morti inutili, che gli Ucraini moriranno e perderanno la guerra. Ma l’anticomplottista non si chiede: ma perché mandare armi che produrranno solo più morti e intensificheranno il conflitto se si sa che non serve a niente?
Perché Zelensky e gli usa vogliono questi morti? Perchè Zelensky sta mandando al macello i suoi cittadini? Qual è lo scopo se anche un moccioso sa che gli ucraini non possono vincere la guerra?
L’anticomplottista non si chiede mai: a che cosa mira l’Occidente? A che cosa mira Zelensky?
L’anticomplottista è l’abbandono della ragione. L’anticomplottismo è diventato il divieto di farsi domande.
A queste domande risponderà la realtà, e sarà troppo tardi.

Trappola mortale_con Antonio de Martini

La Russia di Putin sembra essere caduta in una trappola perfetta. Una trama tipica del mondo anglosassone del quale gli Stati Uniti sono i potenti finanziatori, ma i mediocri eredi. Una trama che ha percorso con vicende alterne gli ultimi tre secoli, ma che ha aggiunto un importante nuovo capitolo negli ultimi quarant’anni. L’uso esplicito della forza diretta da parte di Putin rivela certamente una buona capacità di reazione alla tenaglia sempre più opprimente che hanno saputo stringergli intorno. A dispetto delle apparenze ne rivela anche i limiti per il suo carattere difensivo ed estremo e per il ricorso all’ultima istanza di reazione di cui dispone solitamente una potenza, con tutti i rischi che esso comporta. Al momento, sul piano militare, l’iniziativa di Putin dovrebbe essere coronata dal successo. Dal punto di vista strategico e di lungo periodo il prezzo da pagare sarà alto e l’esito molto incerto. Dipenderà in gran parte dalle scelte di una potenza emergente ma dal bagaglio di cultura e sapienza millenarie: la Cina. Con questa dinamica, però, rischia di esaurirsi rapidamente il gioco multipolare, condizione entro la quale diverse potenze possono agire in relativa autonomia, per tornare infine ad una fase bipolare nella quale la Russia rischia di dissolversi o di aggregarsi in posizione subalterna. Vedremo se l’intervento in Ucraina rappresenta la reazione estrema oppure l’inversione definitiva di una tendenza apparsa con l’avvento di Gorbaciov e di Eltsin. Di sicuro dovrà compiere un enorme balzo in avanti nella capacità di softpower, senza il quale non è possibile sostenere il confronto di tale portata. L’unico dato certo di questa vicenda è la conferma dell’irrilevanza dei centri decisori europei messa a nudo dall’oltranzismo cieco e mutevole, ben oltre il grottesco, di questi giorni Buon ascolto, Giuseppe Germinario

NB_nel caso la visione del filmato fosse indisponibile su youtube rimane comunque quella di rumble

https://rumble.com/vwjz19-trappola-mortale-con-antonio-de-martini.html

 

Il generale Marco Bertolini spiega cosa sta succedendo in Ucraina

Il generale Marco Bertolini spiega cosa sta succedendo in Ucraina

 

Generale Marco Bertolini, fino a qualche settimana fa, sembrava impossibile che la Russia potesse invadere l’Ucraina. Sembrava che la diplomazia stesse lavorando sodo e pareva ci fossero, seppur flebili, spiragli di accordo tra le parti. Cosa è successo dopo? 

Vorrei innanzitutto fare una precisazione: Occidente è un termine che preferirei non utilizzare in quanto improprio. Come può esser definita la Polonia? Occidente o oriente? L’errore di fondo è continuare a ragionare con lo schema della Guerra fredda, che prevede i concetti di Europa orientale e occidentale. Fatta questa premessa, bisogna tenere presente che, dalla caduta del Muro di Berlino, la Russia sente la frustrazione che caratterizza tutte le ex super potenze decadute, che sono costrette ad ingoiare bocconi amari. In particolare, Mosca si è vista strappare molti pezzi del suo ex impero, che sono passati, con armi e bagagli, dall’altra parte. Questa condizione di debolezza era stata accettata da Gorbachev e da Eltsin. Poi è arrivato Putin ed ha impresso una direzione diversa, ricostruendo innanzitutto l’amor proprio russo.

Cosa differenzia Putin dagli altri leader russi?

Putin era diverso da quel leader improbabile che lo aveva preceduto (Eltsin, ndr). Con lui è cambiato tutto lo scenario: la stessa armata rossa, che era ormai diventata un esercito in smobilitazione, ha cominciato a darsi una ripulita, a lustrarsi le scarpe e a rivedere i mezzi. Lo stesso discorso riguarda le altre forze armate, come per esempio la Marina. Quando Putin è andato al potere, il comunismo non faceva più parte del bagaglio politico della nuova Russia, tuttavia il desiderio di tornare ad essere una potenza globale era rimasto molto forte. Putin ha quindi lavorato affinché Mosca tornasse non solo una potenza globale ma anche europea. Cito, per esempio, le aperture nei confronti di Berlusconi, il turismo in Europa, le importazioni: faceva tutto parte di un programma di trasformazione della Russia in senso occidentale ed europeo, che però si è scontrato contro gli Usa.

Perché?

Non era il comunismo in sé e per sé il nemico degli Stati Uniti, ma questa grossa realtà continentale che sarebbe nata se la Russia si fosse unita all’Europa. Se ciò fosse avvenuto, l’America si sarebbe trovata davanti un importante competitor.

Quali sono stati gli errori dei Paesi occidentali hanno portato all’attuale situazione in Ucraina?

A mio avviso uno degli errori più importanti è stato quello di togliere spazio alla Russia e di spingerla verso est, facendo passare armi e bagagli gli ex Paesi del Patto di Varsavia nell’ambito della Nato. La Russia ha sentito questi avvenimenti come un accerchiamento che si sarebbe completato con il passaggio dell’Ucraina nel Patto atlantico e che avrebbe tolto a Mosca qualsiasi possibilità di avere agibilità nel Mar Nero e, di conseguenza, di potersi proiettare nel Mediterraneo. Questo è stato l’errore fatto da parte occidentale.

E quelli della Russia?

Ce n’è uno che è sotto gli occhi di tutti: l’invasione. Ma, va detto, questa invasione è dovuta dal fatto che Putin ha fatto delle proposte di appeasement che, però, sono state rifiutate. Credo che il presidente russo non avesse l’interesse ad arrivare al punto attuale, ovvero a un intervento militare. Resta lo sconcerto, il dolore, la condanna per l’operazione militare. Ma io credo che si debba anche avere la mente lucida e l’onestà intellettuale per riconoscere quelle che sono le esigenze degli altri. Perché è questa l’essenza della diplomazia.

Come si sono mossi i russi? Si aspettava un’invasione di questo tipo? Hanno davvero, come dicono diversi analisti, “il freno a mano tirato”?

Noi ricordiamo ancora gli interventi su Belgrado e Baghdad: erano operazioni aeree decisamente molto più intense di quelle che si vedono ora in Ucraina. Probabilmente quindi sì: il freno a mano è stato tirato, ma per un motivo strategico. Mosca non può non pensare a quello che sarà il dopoguerra con l’Ucraina, in cui sarà necessario riprendere i rapporti cordiali con il popolo ucraino. Mosca non può permettersi di distruggere e umiliare l’Ucraina perché comunque dovrà conviverci. C’è poi un altro fattore che non è da sottovalutare: l’Ucraina non solo faceva parte dei Paesi satelliti dell’Urss, ma era una Repubblica Sovietica dell’Unione. Ci sono dunque anche vincoli culturali e familiari. Bisogna infine tenere presente che quella è una grande pianura e che ci sono familiari da una parte e dall’altra del confine. Che l’Ucraina abbia diritto all’indipendenza non c’è dubbio, ma credo anche che ci siano molte affinità tra i due Paesi, come la lingua, l’alfabeto, la religione ortodossa.

Generale, le faccio la fatidica domanda da un milione di dollari: quali saranno gli scenari del futuro? Cosa accadrà? L’occidente ha comminato delle sanzioni, la Russia ha risposto bloccando i voli britannici. Come si esce da questa situazione?

L’offensiva è appena iniziata, quindi ci sono ancora molte variabili che devono stabilizzarsi. In linea di principio, però, penso che si debba mantenere tra gli Stati quel galateo che una volta era sempre rispettato anche durante le guerre e che consentiva, una volta che le ragioni del combattimento si esaurivano, di tornare alla pace. Certo, con qualche amputazione o rinuncia. Ma si tornava a vivere serenamente. Se i toni si alzano troppo, se la controparte percepisce che l’unica alternativa alla sua vittoria è quella del cappio al collo o della rovina del Paese, temo che le guerre non finiranno mai. Una volta, i conflitti finivano quando una delle due parti diceva: “Basta, ne ho prese abbastanza”. Ma ora tutto è cambiato: se io so che la possibilità di resa non c’è, e che il cappio al collo me lo mettono comunque, è chiaro che combatterò fino alla fine. Noi abbiamo l’interesse che si arrivi alla fine di tutto questo nell’interesse della popolazione ucraina. Per fare questo bisognerebbe che anche i Paesi che non sono direttamente coinvolti, pur esprimendo il loro sdegno e la loro condanna, evitassero di attizzare troppo il fuoco.

https://it.insideover.com/guerra/il-generale-marco-bertolini-spiega-cosa-sta-succedendo-in-ucraina.html

CONSIDERAZIONI SULLA PRIMA SETTIMANA DI OSTILITA’ IN UCRAINA, di Roberto Buffagni

CONSIDERAZIONI SULLA PRIMA SETTIMANA DI OSTILITA’ IN UCRAINA

  1. Consultando varie analisi e seguendo le fonti d’agenzia che mi sono parse più equilibrate, mi sono fatto un’idea abbastanza verisimile, per quanto congetturale, della situazione sul campo. Lo schema operativo russo è un esempio da manuale di guerra di manovra, molto somigliante alla campagna sovietica in Manciuria contro il Giappone (1945). L’iniziativa è saldamente in mano dei russi. Il controllo russo dei cieli è quasi completo. Le operazioni principali hanno lo scopo di bloccare le forze ucraine nelle città, aggirarle, e circondarle in una vasta manovra aggirante a tenaglia, che richiederà ancora diverse settimane per concludersi (ovviamente, salvo imprevisti).
  2. L’analisi più informata, equilibrata e persuasiva che ho letto si deve a un analista militare statunitense, Bill Roggio, Senior Fellow di FDD (Foundation for the Defense of Democracies) e direttore del “Long War Journal”. Apparsa il 2 marzo sul sito di FDD, è stata ripubblicata dal “Daily Mail” britannico.[1]
  3. Non è vero che i russi siano in difficoltà, che dessero per scontata una conclusione rapidissima delle operazioni, che l’attacco sia pianificato male.
  4. Si confronti infatti la Blitzkrieg della Wehrmacht contro la Polonia nel 1939, altro esempio da manuale di guerra di manovra. I tedeschi impegnarono due gruppi d’armata, per un totale di 1.5000.000 uomini (in Ucraina, i russi ne impegnano circa 70.000). Bombardarono dal cielo e con l’artiglieria le città polacche, senza riguardo per le vittime civili, che si contarono a migliaia. Uccisi dalla popolazione circa 300 civili tedeschi, i tedeschi risposero fucilando 3000 civili polacchi (“domenica di sangue di Bromberg”) e deportandone 15.000. Le operazioni durarono cinque settimane, dal 1 settembre al 6 ottobre 1939. Rifugiatosi in esilio il governo polacco, la campagna di Polonia si concluse con la resa incondizionata di Varsavia, firmata dal generale polacco Blaskowitz.
  5. L’ONU ha stimato 136 vittime civili nei primi sei giorni di combattimenti. La Russia ha sferrato offensive su cinque fronti, i combattimenti sono durati ininterrottamente per sei giorni. Il numero di caduti civili sarebbe molto basso anche se fosse il triplo della stima ONU. La Russia, evidentemente, si impegna per evitare vittime civili, in vista di una stabilizzazione/riconciliazione dell’Ucraina: l’ucraina e la russa sono popolazioni sorelle, e moltissimi russi hanno parenti in Ucraina. La Russia dispone dei mezzi per effettuare un pesantissimo martellamento delle città ucraine, dal cielo e con l’artiglieria: se li usasse, il numero dei caduti civili si conterebbe a migliaia. Se in futuro il governo russo deciderà di spezzare con il terrore la volontà di combattere della popolazione ucraina, gli basterà ordinarlo ai comandi militari, e ce ne accorgeremo immediatamente: i satelliti registreranno intensi bombardamenti sulle città, con panorami urbani lunari e migliaia di vittime civili, e le immagini delle stragi appariranno su tutte le televisioni occidentali.
  6. In sintesi: l’esito delle operazioni militari è predeterminato. In tempi non lunghi, le FFAA ucraine saranno definitivamente sconfitte. La fornitura di armi agli ucraini non basterà a rovesciare le sorti sul campo; al massimo, prolungherà di un poco le operazioni e costerà altri caduti ai russi. Un’eventuale guerriglia partigiana non può cambiare il risultato del conflitto, anche se può certo aggravare la situazione per i civili ucraini, costare altri caduti ai russi, e indurli a ritorsioni per loro politicamente nocive.
  7. A quanto risulta sinora, non è verosimile che l’Ucraina diventerà “un nuovo Afghanistan” per la Russia, che così vi si impaluderebbe in un conflitto interminabile.
  8. L’obiettivo russo, infatti, non è l’occupazione e la conquista dell’Ucraina, ma la sua neutralizzazione e smilitarizzazione, più il riconoscimento dell’annessione russa della Crimea e dell’indipendenza delle Repubbliche del Donbass.
  9. Se La Russia non riuscisse a raggiungere questi obiettivi de jure perché nessun governo ucraino è disposto a concludere un trattato di armistizio, potrebbe raggiungerli de facto, senza occupare e annettere l’Ucraina.
  10. L’annessione della Crimea è già un fatto. L’indipendenza delle Repubbliche del Donbass è garantita dalla potenza confinante russa. La smilitarizzazione dell’Ucraina potrebbe essere assicurata, al termine della campagna, sbandando le FFAA ucraine, e distruggendo sistematicamente infrastrutture militari, depositi di armi, etc.
  11. Anche la neutralità dell’Ucraina può essere assicurata de facto. Ai russi è sufficiente: a) rivolgere un monito agli USA e alla NATO, che considereranno un casus belli l’ingresso dell’Ucraina nella NATO b) che considereranno un casus belli la violazione dello spazio aereo e delle frontiere ucraine da parte di qualsiasi paese NATO, anche per inviare armamenti c) monitorare, con presidi militari e sorveglianza elettronica, le frontiere ucraine.
  12. Dopo di che, il grosso delle FFAA russe potrebbe rientrare in patria e abbandonare l’Ucraina a se stessa. Questa soluzione, evidentemente, avrebbe gravi costi umani ed economici per l’Ucraina, che sarebbe consegnata all’anarchia: endemici conflitti politico-militari intestini, criminalità dilagante, economia che va a rotoli, emigrazione di massa. Per intenderci, una situazione simile a quella della Libia odierna, dopo l’intervento franco-britannico-americano che ha rovesciato Gheddafi senza insediare un nuovo governo stabile.
  13. Insomma: potrebbe rovesciare le sorti militari del conflitto in Ucraina soltanto l’intervento diretto della NATO. Come ripetutamente chiarito da fonti ufficiali USA, però, esso NON avverrà MAI, per la semplice ragione che un intervento diretto di truppe NATO in Ucraina potrebbe innescare una guerra nucleare con la Russia, la quale è in grado di distruggere Stati Uniti (per tacere delle nazioni europee).
  14. È dunque possibile un coinvolgimento della NATO solo in seguito a incidenti, equivoci, colpi di testa e di mano di singoli paesi NATO: per esempio, se la Polonia decidesse di occupare i territori nell’ovest ucraino, che tra le due guerre furono polacchi e ospitano l’importante città di Lemberg (oggi, Lviv).
  15. È invece impossibile un coinvolgimento diretto della NATO a seguito di una decisione formale dei suoi membri (ossia, in pratica, degli USA).
  16. L’unica altra possibilità di rovesciamento, stavolta politico, delle sorti del conflitto, è il “regime change” in Russia.
  17. È questa, infatti, la strategia che l’Occidente sta perseguendo. Sanzioni economiche, Russia definita “Stato canaglia” e lebbroso morale, messa al bando di tutto ciò che è russo da Dostoevskij ai gatti alle betulle, incoraggiamento di manifestazioni d’opposizione in Russia, apertura di un fascicolo penale presso il Tribunale Internazionale dell’Aja a carico del governo russo, con imputazione per “crimini contro l’umanità”. Tutto ciò, per alimentare disordini tra la popolazione, malcontento delle élites economiche, forze centrifughe negli Stati della Federazione russa, fino a provocare l’implosione del governo federale, e la sostituzione del Presidente V. Putin con un uomo politico gradito all’Occidente. A conclusione, imputazione di Putin davanti alla Corte dell’Aja.
  18. È una replica fedele dello schema operativo adottato con pieno successo contro la Jugoslavia. La differenza è che a) i russi lo hanno studiato con la massima attenzione, e certo hanno predisposto adeguate contromisure b) ma soprattutto, che è impossibile dare l’ultima, decisiva spinta al programma di destabilizzazione mediante la forza militare. Non è possibile bombardare Mosca come fu bombardata Belgrado; né è possibile armare milizie pro-occidentali all’interno della Federazione russa, perché la Russia sta impegnando in Ucraina circa il 15% dei suoi effettivi, e avrebbe risorse più che sufficienti per schiacciarle rapidamente.
  19. In conclusione: l’Ucraina è in trappola. Ad attirarla in questa trappola mortale sono stati, in ordine di responsabilità decrescente: gli USA, la NATO, i paesi UE che hanno collaborato all’operazione Euromaidan del 2014, i dirigenti ucraini insediati dal 2014 in poi.
  20. Il presidente Zelensky e i suoi sostenitori ucraini rifiutano di prendere in considerazione le richieste russe, armano i civili, chiedono l’istituzione di una “no-fly zone” sull’Ucraina, chiamano alla guerra a oltranza, invocano l’aiuto della NATO e della UE.
  21. Non lo avranno.
  22. Glielo dicono ufficialmente, con la massima chiarezza, i dirigenti politici USA: ma il presidente Zelensky e i suoi sostenitori ancora non ci credono, di essere rimasti soli.
  23. Tutto il mondo occidentale rivendica a gran voce la sua totale solidarietà con l’Ucraina in guerra, e tappa la bocca a chiunque s’azzardi a dire una briciola di verità: che questa solidarietà è puramente verbale, e NON PUO’ non esserlo.
  24. Infatti, l’unica solidarietà che conterebbe per l’Ucraina – la solidarietà militare – l’Occidente non soltanto non vuole, ma NON PUO’ darla, perché condurrebbe non soltanto l’Ucraina, ma l’intero mondo sull’orlo del precipizio della completa distruzione.
  25. Tutto ciò, l’Occidente lo sapeva benissimo. Lo sapevano gli USA, lo sapevano i paesi UE, lo sapevano anche il Presidente Zelensky e i suoi sostenitori.
  26. Lo sapevano, ma hanno creduto che bastasse il timore reverenziale al cospetto della superpotenza nordamericana per dissuadere la Russia da un intervento militare. Hanno creduto che la Russia avrebbe continuato a fare quel che ha fatto per quattordici anni, dal Summit NATO 2008 di Bucarest: avanzare proteste diplomatiche, e cercare sempre più affannosamente un’intesa con gli USA.
  27. Hanno creduto possibile integrare de facto l’Ucraina nella NATO, per poi associarvela, al momento politicamente più opportuno, anche de jure.
  28. Integrata de jure nella NATO, l’Ucraina, protetta dall’articolo 5 del trattato, sarebbe stata perfettamente al sicuro: perché certo la Russia non avrebbe rischiato un conflitto diretto con la NATO, con conseguenze incalcolabili.
  29. Si sono sbagliati.
  30. La Russia li ha anticipati, è intervenuta militarmente in Ucraina, sta vincendo la campagna, e verisimilmente non avrà successo, perlomeno prima della conclusione delle operazioni militari, la strategia occidentale di “regime change”.
  31. A questo punto, l’unica mossa politicamente ed eticamente decente che resterebbe ai paesi occidentali, e al Presidente Zelensky che conta su di essi, sarebbe prendere atto della realtà, riconoscere la sconfitta, e condurre una trattativa volta a concludere rapidamente le ostilità e minimizzare i danni per la popolazione ucraina.
  32. Questo purtroppo non avverrà presto, a mio avviso, perché implicherebbe riconoscere che l’ordine internazionale unipolare liberal-progressista a guida USA è finito; e sono compromesse anche le fondamenta ideologiche del liberal-progressismo che strutturano l’intero pensiero dominante nel mondo, in tutte le sue manifestazioni, high-brow, middle-brow e low-brow, per esprimersi con la fortunata formula di Dwight MacDonald.
  33. Se l’UE volesse giustificare la sua esistenza, e riparare ai suoi errori, dovrebbe prendere l’iniziativa di una mediazione efficace e realistica tra gli USA, l’Ucraina e la Russia. Speriamo che lo faccia.

 

[1] https://www.fdd.org/analysis/2022/03/02/putin-not-crazy-russian-invasion-not-failing/?fbclid=IwAR2zh7YXygA3pFZiZAAZZ_xAQ5ULe3Dplq4lqF4LyGmc1Bkw5XCsF0pOSso

 

https://www.dailymail.co.uk/news/article-10569141/Putin-NOT-crazy-Russian-invasion-NOT-failing-writes-military-analyst-BILL-ROGGIO.html

 

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