33° podcast_2a parte. Gordon e la Fallaci, di Gianfranco Campa

Continua la rievocazione di Gianfranco Campa della  straordinaria impresa che ha portato più volte l’uomo a calpestare il suolo lunare. Fu la dimostrazione e la sanzione del definitivo predominio tecnologico americano, ma anche una costruzione epica che ha contribuito non poco ad alimentare l’attrattività del modo di vita americano; del suo modo di porsi e di proiettarsi nel futuro e in nuovi spazi. L’autore lo rievoca arricchendo la narrazioni di episodi inediti o poco conosciuti.

Due rettifiche che però non snaturano il resoconto. L’Apollo 12 rientro sulla Terra il 24 novembre, non il 18; l’astronauta Gordon morì ovviamente nel 2017, non nel 1917

La loro Wehrmacht era migliore della nostra armata Di Max Hastings

Qui sotto la traduzione di un articolo apparso oltre trenta anni fa sul WP riguardante il comportamento delle forze alleate occidentali nell’ultimo conflitto mondiale;  una analisi accurata in particolare della condotta delle forze alleate del fronte occidentale europeo. Una qualità ed una serietà del servizio giornalistico del tutto sconosciuta alla attuale redazione della testata. Un modo inoltre di rendere giustizia al comportamento meschino mantenuto nelle celebrazioni con la grave omissione del valore e del tributo determinante dell’impegno russo nel conseguimento della vittoria contro il nazifascismo. Un comportamento teso a rappezzare e giustificare anche nell’attuale contingenza politica il ruolo della NATO. Giuseppe Germinario

La loro Wehrmacht era migliore della nostra armata
Di Max Hastings; Max Hastings ha scritto 10 libri,
incluso ‘Overlord: DDay,
6 giugno e
1944.’ 5 maggio 1985

https://www.washingtonpost.com/archive/opinions/1985/05/05/their-wehrmacht-was-better-than-our-army/0b2cfe73-68f4-4bc3-a62d-7626f6382dbd/?fbclid=IwAR37baxYDOBazwoHr1zMss5id9Gj4-H6lPbT7zJhR1rrw2l44I2x-whJ-4k&noredirect=on&utm_term=.bcb617f17597

 

LA PROPAGANDA è un ingrediente ineludibile del conflitto moderno. Nella seconda guerra mondiale fu considerato essenziale nella lotta per sconfiggere l’esercito tedesco perché i popoli della Grande Alleanza dovevano essere convinti della superiorità qualitativa dei loro combattenti rispetto a quelli del nemico. Un Dogface (Faccia da cane si riferisce ad un soldato dell’esercito degli Stati Uniti che serve nella fanteria, specialmente durante la seconda guerra mondiale) , un tommy (Tommy è un termine informale per definire un soldato semplice nell’esercito britannico) valeva tre kraut dalla testa di legno (Soldati Tedeschi). I “robot” di Hitler non avrebbero potuto mai eguagliare l’immaginazione e l’iniziativa dei soldati alleati sul campo di battaglia.

L’immagine della guerra propagandata al pubblico americano e britannico era di tenaci soldati alleati determinati a strappare la decisiva vittoria finale: ‘Dimentica l’immagine gloriosa di combattenti che hai visto nei film’, dichiarava all’epoca un giornalista corrispondente di guerra del New York Times, “L’immagine che volete avere nella vostra mente è quella di giovani uomini sporchi, affamati, completamente affaticati che si aggirano metà storditi e trasandati, e in qualche modo riescono lo stesso a rialzarsi e colpire i tedeschi.” Un pilota americano ha riferito a Bob Hope: “Sarebbe bello … tornare a casa … e allungare le gambe sotto un tavolo imbandito della cucina della mamma … ma tutto quello che desidero è battere questi figli di puttana nazisti , così possiamo poi dedicarci solo a quei bastardi di Japs. (Giapponesi)”

La maggior parte degli uomini degli eserciti alleati erano apertamente insofferenti delle fantasie propagandate su di loro dai corrispondenti delle testate giornalistiche, con eccezioni degne di nota come Bill Mauldin ed Ernie Pyle. Questa reazione rende più degno di nota il fatto che per una generazione, dopo il la vittoria nel 1945, molti miti furono perpetrati non solo dagli storici popolari, ma anche dalle istituzioni militari occidentali.

Nel 1950, il grande scrittore militare britannico, Capt. Basil Liddell Hart, scrisse un articolo in cui rifletteva sulla vasta superiorità delle forze alleate nell’Europa nord-occidentale nel 1944 e sulla riluttanza dei critici militari del dopoguerra in Gran Bretagna e in America di trarre conclusioni appropriate sulla prestazioni militari degli alleati: c’è stato troppo autocompiacimento e troppo poca indagine oggettiva, ha detto.

Liddell Hart non è stato il solo a sfidare la nozione convenzionale sulla seconda guerra mondiale guerra. Alcuni critici hanno cercato di sfidare alcune delle controversi teorie degli analisti militari americani; Col. Trevor Dupuy e Martin Van Creveld, che hanno sottoposto i rispettivi rendimenti degli eserciti americani e tedeschi sul campo di battaglia a uno studio statistico dettagliato. Nessuno e ancora riuscito, dati alla mano, a ribattere la conclusione analitica di Dupuy, cioè che in quasi tutti i campi di battaglia del fronte occidentale il meglio è stato mostrato dalla Germania:”Su base uomo a uomo, i soldati di terra tedeschi hanno costantemente inflitto vittime a un tasso superiore del 50% rispetto a quello delle truppe britanniche e americane in tutte le circostanze (enfasi in originale).Questo era vero sia in fase di attacco che in quello di difesa, quando avevano una superiorità numerica e quando, come di solito, erano in inferiorità numerica, quando avevano la superiorità aerea e quando mancava, quando hanno vinto e quando hanno perso.”

La verità ineluttabile è che la Wehrmacht di Hitler è stata la straordinaria forza combattente della seconda guerra mondiale, una delle più grandi della storia. Per molti anni dopo il 1945, sembrava doloroso ammetterlo pubblicamente, in parte per ragioni nazionalistiche, in parte anche perché le legioni naziste stavano combattendo per uno dei regimi più odiosi di tutti i tempi.

Uno spirito di narcisismo militare, nutrito da film come ‘Il giorno più lungo’, ‘Un ponte troppo lontano’ e ‘La battaglia dei Giganti’, ha perpetuato le immagini mitiche degli eserciti alleati e tedeschi. Inoltre, la stragrande maggioranza delle memorie sul campo di battaglia pubblicate in Gran Bretagna e in America riguardano, non a caso, l’esperienza del campo di battaglia alleato. Si soffermano sulle paure, le difficoltà e i trionfi dei soldati alleati visti dalle buche degli alleati.

Abbiamo imparato molto meno – anzi, assolutamente niente – su come il soldato tedesco abbia sostenuto un efficace difesa in Europa per 11 mesi sotto un costante e incontrastato attacco aereo degli alleati, bombardato quotidianamente da devastanti concentrazioni di artiglieria, affrontando enormi difficoltà, sostenuto da un frazione delle forniture e della potenza di fuoco a disposizione del soldato alleato.

Ora, la nostra visione della seconda guerra mondiale sta cambiando. La prospettiva storica e globale che mancava da così tanti anni è finalmente raggiunta. Il magnifico e monumentale studio di Russell Weigley sull’esercito americano nel nord-ovest dell’Europa confronta francamente il fallimento delle forze di Eisenhower nel generare capacità di combattimento per distruggere forze tedesche numericamente molto inferiori, finché queste non furono esaurite da 11 mesi di logoramento sul fronte occidentale, aggiunto all’enorme prosciugamento di forze e mezzi dei tedeschi dovuti ai  quattro anni di guerra sul fronte orientale combattuta contro i sovietici.

La lotta titanica della Germania con l’Unione Sovietica dal 1941 al 1944, che uccise più di 2 milioni di soldati tedeschi – probabilmente i migliori 2 milioni – fornì agli alleati occidentali un vantaggio straordinario per le nazioni in guerra: tempo per allenarsi, preparare, pianificare il confronto con il nemico sul campo di battaglia secondo le loro condizioni, in un momento attentamente selezionato dai signori della guerra di America e Gran Bretagna.

Dalla battaglia di Normandia fino alla fine in Germania, le prestazioni dell’esercito britannico sono state profondamente influenzate dall’incapacità di resistere a pesanti perdite. Montgomery fu ripetutamente avvertito dai suoi superiori a Londra sulla scarsità di manodopera. A pochi giorni dagli sbarchi in Francia, i battaglioni britannici venivano cannibalizzati per fornire rimpiazzi. Nel 1945, intere divisioni furono demolite per lo stesso motivo.

Sin dall’inizio della guerra, troppa attenzione critica è stata concentrata sugli ufficiali e l’alto comando degli alleati nell’Europa nordoccidentale, e troppo poco sulle prestazioni delle unità di combattimento. La alta dirigenza alleata era, nel complesso, non inferiore a quella dei tedeschi, ostacolata dalla mano morta di Hitler. Montgomery era cauto, non ultimo per la ragione sopra menzionata, ma certamente non era un incompetente. La prestazioni fiacche delle sue truppe in Normandia  fu principalmente attribuibile alla stanchezza della guerra e alla riluttanza ad accettare ulteriori pesanti perdite quando la vittoria finale era ormai a portata di mano.

Invece per gli americani  i numeri delle vittime non era un problema. Dall’inizio alla fine della campagna militare, la loro disponibilità ad accettare un numero alto di perdite per ottenere un obiettivo è stata riconosciuta, rispettata e invidiata dai loro alleati britannici. “Nel complesso, gli americani erano disposti ad affrontarlo più duramente di quanto lo fossimo noi”, dichiarò il feldmaresciallo Lord Carver, nel 1944-45 un comandante di brigata corazzata sotto Montgomery. Com’era, quindi, che l’esercito americano trovava estremamente difficile, anzi spesso impossibile, sconfiggere i tedeschi incontrati in qualsiasi occasione a termini pari?

In primo luogo, c’è stato lo straordinario fallimento degli alleati occidentali nel 1944-45 di fornire alle loro forze di terra armi adeguate. In quella fase della guerra, la tecnologia americana e britannica aveva creato una miriade di miracoli: superbi aerei da combattimento, equipaggiamento bellico antisommergibile, radar, il DUKW anfibio, la miccia di prossimità e la jeep. Attraverso Ultra, la più grande operazione di cifratura di tutti i tempi, gli Alleati possedevano una straordinaria conoscenza degli ordini di battaglia tedeschi, schieramenti e spesso – sebbene non nella Battaglia delle Ardenne – le intenzioni tedesche. Tuttavia, in mezzo a tutto questo, nell’Europa nord-occidentale i leader alleati hanno spinto le loro truppe di terra a combattere la Wehrmacht con equipaggiamenti inferiori in ogni categoria, tranne l’artiglieria e il trasporto. Mitragliatrici tedesche, mortai, armi anticarro e mezzi corazzati erano tutti superiori a quelli della Gran Bretagna e dell’America. Soprattutto, la Germania possedeva carri armati migliori. Lo Sherman, che dominava la campagna alleata, era un macchinario superbamente affidabile. Ma era fatalmente imperfetto dalla mancanza di una calibratura adeguata per penetrare nel Tigre e nella Pantera; e dalla scarsa capacità di sopravvivenza del campo di battaglia di fronte ai cannoni tedeschi.

Prima che iniziasse la campagna del 1944, queste carenze furono ben comprese a Washington e a Londra. Ma i capi di stato maggiore hanno espresso la loro fiducia nella superiorità numerica alleata talmente grande che una certa inferiorità qualitativa era accettabile. Questa fiducia era un’illusione mortale. Ancora e ancora nell’Europa nord-occidentale, molte forze tedesche di livello inferiore equipaggiate con una manciata di Tigri, Pantere o cannoni da 88 mm riuscirono a fermare attacchi importanti degli Alleati.

Per l’esercito americano nel nord-ovest dell’Europa, dall’inizio alla fine, le difficoltà critiche erano incentrate nella fanteria, l’ariete di sfondamento. Fu su queste truppe che cadde il peso schiacciante della battaglia e delle vittime. Un rapporto sulle lezioni tattiche della campagna di Normandia da parte della Prima Armata degli Stati Uniti dichiarò: “È essenziale che la fanteria in azione sia imbevuta di un atteggiamento audace e aggressivo: molte unità non acquisiscono questo atteggiamento fino a molto tempo dopo il loro ingresso in combattimento, e alcune non lo acquisiscono mai, mentre le unità che contengono personale appositamente selezionato come Airborne e Rangers hanno mostrato uno spirito aggressivo fin dall’inizio: il soldato di fanteria medio si affida troppo all’artiglieria di supporto per spingere il nemico da posizioni opposte alla sua avanzata … ”

Il gen. Mark Clark scrisse dall’Italia nell’estate del 1944: “Senza dubbio il nostro addestramento non ha ancora prodotto ufficiali disciplinati e uomini disciplinati”.

Nell’inverno del 1944 e nella Battaglia delle Ardenne, le forze del generale Omar Bradley si stavano comportando molto più efficacemente rispetto a giugno e luglio in Normandia.

Una delle più grandi conquiste americane della guerra fu l’espansione di una piccola forza prebellica in prima linea di 190.000 unità in un esercito di oltre 8 milioni di uomini. Tuttavia, una conseguenza inevitabile di questa trasformazione è stata la cronica carenza di comandanti addestrati e di alta qualità. In tutte le guerre americane, i suoi alleati hanno sempre concordato che gli ufficiali di West Point erano di conoscenza e strategia militare superiori. Il problema, durante la seconda guerra mondiale, fu che non vi erano abbastanza comandanti di qualità per guidare un esercito di 8 milioni di uomini.

Allo stesso momento, i risultati delle divisioni paracadutiste della 82d e 101st hanno mostrato ciò che il soldato americano era capace di fare. Gran parte dell’attenzione sulla battaglia di Market Garden (l’invasione alleata dei Paesi Bassi nel settembre del 1944) si è concentrata su l’eroico sacrificio della 6a Divisione aviotrasportata britannica. Tuttavia, storici oggettivi e alcuni testimoni oculari britannici credono che le divisioni americane abbiano offerto una prestazione di combattimento più professionale rispetto agli inglesi; e che se al generale Matthew B. Ridgway fosse stato concesso il comando sul campo piuttosto che il generale britannico Frederick A.M. Browning, l’esito della battaglia avrebbe potuto essere molto più felice per gli alleati. Quindi sarebbe assurdo suggerire che l’America non è in grado di produrre soldati d’elite.

La Marina e le forze aeree americane hanno raramente – e certamente non nella seconda guerra mondiale – trovato difficoltà nell’attrarre ufficiali di alta qualità. Tuttavia, essere un soldato in America non è mai stato uno status onorevole, al di fuori di poche migliaia di famiglie militari. È stato tradizionalmente il percorso attraverso il quale giovani uomini di modesta origine – Eisenhower e Bradley, non ultimo tra loro – possono aspirare a costruire una carriera.

Il gen. George S. Patton ha scritto: “È uno sfortunato, e per me, tragico fatto che nei nostri tentativi di impedire la guerra, abbiamo insegnato al nostro popolo a sminuire le qualità eroiche del soldato”. Dove in Europa, i giovani uomini dell’élite di ogni nazione hanno, in guerra, tradizionalmente gravitato verso le “teeth arms” ( fucili e reggimenti corazzati )  l’élite americana nel 20 ° secolo ha mostrato altri entusiasmi.

Il meglio della gioventù americana, come forza militare, gravitava istintivamente verso i corpi specializzati, i corpi di comando, ho gestione personale. Ciò non significa negare che alcuni Ivy Leaguers abbiano combattuto con distinzione nella fase più acuta del fronte dell’Europa nordoccidentale. Ma è ragionevole suggerire che nella seconda guerra mondiale, le unità di fanteria americane soffrirono di una grave carenza di dirigenti istruiti.

Intervistando i veterani di guerra, in netto contrasto con gli europei che generalmente riconoscono il rispetto per i loro ufficiali, i soldati semplici ​​americani si preoccupano dei buoni sottufficiali, ma raramente si incontravano con i loro comandanti di unità. Molti soldati semplici ​​americani nell’Europa nordoccidentale non possono oggi ricordare il nome del loro comandante di battaglione. Raramente ho incontrato qualche veterano europeo per il quale questo sarebbe vero.

Il famigerato sistema di sostituzione della fanteria americana, con cui gli uomini venivano arbitrariamente assegnati a un’unità numerica non territoriale, e non aveva la possibilità di costruire quella stessa lealtà possibile in un reggimento britannico, creò un’infelicità profonda tra molti uomini e contribuì a  creare nell’esercito USA un totale di quasi un milione di casi di affaticamento da battaglia nella seconda guerra mondiale.

Nella  primavera del 1944, il Dipartimento della Guerra si rese conto che era stato commesso un grave errore in base a una così bassa priorità di impiego per la fanteria. Ai rami specializzati e alle linee di comunicazione era stato permesso di sbaragliare una proporzione assurdamente alta degli uomini più adatti e più istruiti. Dei volontari arruolati nel 1942, solo il 5% aveva scelto la fanteria o i carristi. Si scoprì che i fanti del 1944 erano più bassi di un pollice della media dell’esercito, una modo per misurare e confrontare equamente la stazza fisica dei soldati.

Sebbene la fanteria costituisse solo il 6% dell’intero servizio – una proporzione allarmante – soffri oltre l’80% dei caduti americani in Europa. Sebbene il 54,3% dell’esercito tedesco fosse composto da soldati combattenti, questa cifra è scesa al 38% nell’esercito statunitense. Circa il 45 percento della Wehrmacht era impegnato a combattere con le divisioni, contro il 21 percento per l’esercito degli Stati Uniti. Gli americani possedevano una percentuale molto più alta di ufficiali in rapporto agli uomini: eppure molti di quegli ufficiali erano impiegati nelle retrovie piuttosto che con le formazioni combattenti.

Nell’ultimo anno di guerra, all’interno dell’esercito statunitense sono stati fatti grandi sforzi per migliorare il rapporto tra i denti e la coda (Rapporto dente-coda è un termine militare che si riferisce alla quantità di personale militare che serve per fornire e supportare ‘coda’ ogni soldato combattente ‘dente’); deviare la manodopera di alta qualità verso la fanteria; migliorare il livello di addestramento e leadership della fanteria. In tutte queste cose, c’era una certa misura di successo. Eppure gli americani, come gli inglesi, non hanno mai eguagliato la straordinaria professionalità del soldato tedesco, un’eredità storica che ha preceduto il nazismo.

Probabilmente fu una fortuna per il futuro della civiltà occidentale, ma aumentò notevolmente le difficoltà di Eisenhower, i soldati alleati si consideravano soprattutto civili temporaneamente vestiti in uniforme, mentre le loro controparti tedesche possedevano una straordinaria capacità di trasformarsi da macellai e impiegati di banca in tattici militari naturali.

Uno dei più assurdi cliché propagandistici della guerra era l’immagine del soldato nazista come una testa quadrata inflessibile. In realtà, il soldato tedesco mostrava invariabilmente una maggiore flessibilità sul campo di battaglia rispetto alla sua controparte alleata.

I tedeschi erano disposti ad agire – sempre”, ha detto il maggiore generale britannico Brian Wyldbore-Smith. Raramente riuscirono a non cogliere un’opportunità offerta dall’errore degli Alleati. Erano padroni del rapido contrattacco dopo aver perso terreno, mantenendo le posizioni fino all’ultimo, per poi disimpegnarsi magistralmente.

Non ogni soldato tedesco era un superuomo, non ogni formazione di uguale alta qualità. Dopo la l’offensiva delle ardenne, a tutti gli effetti l’ultimo rantolo della Wehrmacht ad ovest, gli Alleati occidentali non affrontarono mai più unità tedesche di altissimo livello. Ma per tutto il 1944, in mezzo agli errori monumentali dell’alto comando della Germania, a livello di reggimento il soldato tedesco realizzò miracoli.

C’era un contrasto tra l’atteggiamento e il comportamento della maggior parte dei giovani britannici e americani sul campo di battaglia contro quelli delle loro controparti tedesche, e questo non era esclusivamente il prodotto del fanatismo politico del nemico. John Hersey ha scritto vividamente da un’unità di Marine su Guadalcanal: “Quando guardavi negli occhi quei ragazzi, non ti dispiaceva per i Japs: ti dispiaceva per i ragazzi, le uniformi, la spacconata … erano solo mimetizzati. Erano solo ragazzi americani, non volevano quella valle o parte della sua giungla: erano ex-droghieri, ex lavoratori delle autostrade, ex impiegati di banca, ex scolaretti, ragazzi con un record pulito, non assassini “.

Eppure, in guerra, l’esercito che si dimostra di maggior successo nel trasformare le sue reclute in assassini possiede un vantaggio incommensurabile. Montgomery scrisse mestamente dal deserto a Sir Alan Brooke a Londra, identico a Hersey: “Il problema con i nostri ragazzi inglesi è che non sono assassini per natura”.

Nel maggio del 1945, gli Alleati raggiunsero la prima vittoria attraverso gli enormi sforzi dei russi che avevano inflitto tre quarti delle perdite all’esercito tedesco; e in secondo luogo attraverso lo spiegamento di risorse travolgenti. Si potrebbe sostenere che, dopo il 1945, nel tentativo di apprendere le lezioni della seconda guerra mondiale, l’esercito americano commise l’errore di invertire l’ordine di questi fattori. I comandanti americani tornarono dall’Europa credendo di aver dimostrato che la travolgente forza aerea e potenza di fuoco non potevano essere semplicemente un supplemento critico, ma un efficace sostituto dei combattimenti di fanteria dedicati.

Se è così, questo è stato un errore di giudizio che continua a costare caro all’America di oggi. Le carenze della fanteria americana nella seconda guerra mondiale furono ripetute in Corea e in Vietnam. È una grande illusione supporre che la guerra in Indocina abbia rivelato problemi unici e senza precedenti nell’Esercito degli Stati Uniti. L’esercito americano creato nella seconda guerra mondiale aveva sofferto di debolezze e difficoltà analoghe. Queste debolezze, evidenziate dall’attenzione dei media e dalla sconfitta, erano esistite sin dalla seconda guerra mondiale ma non erano mai state discusse prima.

Molti soldati professionisti occidentali credevano nel 1944-45, e credono ancora oggi, che fino a quando gli Stati Uniti non saranno in grado di affrontare il problema di produrre forze di massa di fanteria da combattimento efficaci, il continuo impegno della tecnologia e del denaro non sarà sufficiente per rendere la propria difesa efficace.

“Europa: accademismo contro storia” (3/6), di Annie Lacroix-Riz

Prosegue l’impegno di Annie Lacroix-Riz nello svelare la natura dei rapporti tra europeisti nostrani e vincitori americani. https://www.les-crises.fr/europe-lacademisme-contre-lhistoire-3-6/

“Europa: accademismo contro storia” (3/6)

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

 

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?

Jean Monnet è stato il personaggio più severamente e ampiamente messo in discussione da Philippe de Villiers, e quindi il più ardentemente difeso dagli “eminenti storici europei: essi trattano, in tre paragrafi trastullanti una cronologia molto approssimativa, e il secondo è curiosamente intitolato (intertitolo, forse, del diario di ricezione?) “Monnet e denaro”.

Una gioventù molto anglo-americana

Tacciono sulla lunga carriera finanziaria britannica e americana di questo figlio di un produttore di cognac, iniziata in modo spettacolare prima del 1914 e continuata a Londra anche durante la prima guerra mondiale. Questa descrizione, tuttavia, è stata ampiamente ispirata da de Villiers alla biografia di uno dei firmatari della tribuna, Eric Roussel che una volta descriveva la reputazione di “imboscato” allora diffusa tra i leader francesi (incluso Clemenceau) riguardo al giovane Monnet 1 .

I censori osservano lo stesso mutismo sul periodo tra le due guerre di Monnet, risolutamente dedito alla finanza, più che mai anglo-americano o piuttosto sempre più americano: la ricostruzione di questo curriculum è stato però in gran parte ripresa da Eric Roussel e da due dei suoi compagni di penna, Gérard Bossuat e Philippe Mioche 2 .

Un Monnet, strumento di Washington in guerra con de Gaulle

Questi ultimi, come tutti i loro simili, hanno preferito praticare l’idolatria di un Jean Monnet la cui “vicinanza agli americani” giocava un ruolo decisivo nell’alleato della “vittoria”. Questa pia fantasia è stata ispirata dalle molto “europee ” Memorie ” di Monnet, menzognere su tutte le questioni storiche affrontate 3 .Caratteristica che chiarisce le condizioni non scientifiche della loro produzione, nel capitolo 2 di Villiers, “Dentro il mito” .

No, “l’ esperienza [di Jean Monnet non ha comunque contribuito ] al successo del Programma della Vittoria, il programma economico Rooseveltiano della vittoria. Monnet era solo uno degli europei molto accondiscendenti, accolti o mantenuti a Washington durante la guerra, che erano considerati solo come strumenti essenziali per i piani di insediamento americani in Europa, non come partner; nessuno di loro partecipava come decisore nella progettazione e realizzazione di questi grandi progetti. Ciò è attestato in particolare dagli archivi degli Stati Uniti pubblicati, le “relazioni estere degli Stati Uniti “, pur così incompleti e ricchi di “documenti inediti” che siano 4 .

Si gioca con le parole affermando che Monnet ” non ha mai lavorato nell’ufficio della segreteria di Roosevelt, comunque. Poiché non fu inviato ad Algeri il 23 febbraio 1943, ” se non solo dopo consultazioni con la Casa Bianca [secondo la nostra comune conoscenza occupata da Roosevelt] e ampie conversazioni con i Dipartimenti di Guerra e Stato “. Monnet, ” rappresentante dell’ufficio delle munizioni presieduto da Harry Hopkins ‘ha lasciato Washington per Algeri per la missione formale di” informare regolarmente delle sue impressioni il Dipartimento di Stato “, n particolareuno dei suoi tutori diretti, Robert Murphy, un collaboratore di primo piano , forte germanofilo secondo l’usanza, di Roosevelt 5. Doveva infatti imporre Giraud e cacciare de Gaulle, troppo irrequieto per le ambizioni illimitate degli Stati Uniti: era l’obiettivo ossessivo di Washington, che avrebbe anche garantito un dolce dopoguerra agli uomini di Vichy (per quanto, tuttavia, de Gaulle sarebbe stato molto comprensivo, sebbene avessero passato il loro tempo a trattarlo, fino alla Liberazione, come un burattino “rosso”).

Roosevelt e i suoi rappresentanti a Vichy, ad Algeri e altrove andarono molto d’accordo con i pilastri di Vichy, che la missione anti-gollista di Monnet, affiancata da Robert Murphy, non mancò di rassicurare. Da un lato, aveva dimostrato le eccellenti relazioni degli americani, fino alla Liberazione (e dopo) con Pétain e la sua famiglia, e, d’altra parte, il loro ricorso successivo, dal 1941, ad una serie di eminenze petainiste non precisamente “democratiche”, nella prospettiva dei cambiamenti francesi necessari dopo la guerra.

Fu prima Weygand, già presentato, poi Giraud, “scappato dalla fortezza di Königstein” a metà aprile 1942, con la complicità di alcuni tedeschi già sensibili agli imperativi categorici della Pax Americana . Ma gli americani preferirono nell’autunno del 1942, quando sbarcarono in Nord Africa, un’altra “polena”, candidato sognato, vista la debolezza politica che gli è valso l’odio della maggioranza del popolo francese, Darlan: marmaglia, Churchill ha tuonato ” voltagabbana per avidità di potere e di posti, [dà] non solo alla Francia ma a tutta l’Europa l’impressione che siamo pronti a fare un accordo con i locali Quislings” 6 . Churchill era particolarmente indignato dell’anglofobia dichiarata del favorito degli americani e della sottomissione perinde ac cadaver alle loro esigenze, tra cui la trasformazione imminente Dakar US Naval Air Station. Dopo che Darlan fu scartato il 24 dicembre 1942, Washington optò di nuovo per Giraud, non meno codardo dei due precedenti. Democratici contro il dittatore de Gaulle?

No, tutti disposti, come tutti gli apparati di Vichy, ad adattarsi senza mormorare al programma americano del dopoguerra, lo stesso del 1918, il che implica in particolare la rinuncia all’impero coloniale e l’accettazione della priorità della “ricostruzione tedesca”. Un ufficiale dell’OSS poi trasferito alla CIA, William Langer (e un diavolo anti-sovietico), lo aveva riconosciuto 7 prima che gli archivi gli permettessero di andare oltre. Jean Monnet non si è “mobilitato volontariamente” con de Gaulle, ma è stato costretto a unirsi al generale a parole, ma lo odiava cordialmente come i suoi leader americani.

Perché il generale, bestia nera di Washington, aveva l’enorme sostegno popolare che mancava al Giraud Vichysta: era questo supporto che lo assicurava, subito dopo, il 9 giugno 1943, a scrivere la lettera di dimissioni. Abituato da molto tempo a dissimulare, per il francese, il suo vassallaggio americano, Monnet aveva comunque conservato un grande senso politico. Fu uno di quelli che riconobbero, il 9 giugno, che la partita era compromessa: probabilmente, ha commentato, poteva strappare de Gaulle “nelle settimane a venire senza provocare emozioni”, ma le sue dimissioni “premature” farebbero peggiorare le cose. “Giraud non sarebbe stato in grado di rimanere al potere per più di due o tre mesi, dopo di che l’opinione pubblica francese avrebbe chiesto il ritorno del suo rivale. Tuttavia, “preparò”, come richiesto, la sostituzione di De Gaulle da parte di Catroux,8 .con un trio presunto gaullista« Catroux, Philip et Massigli » messo a punto dal Generale Georges e da Murphy, ma egualmente naufragato. Dovette quindi accettare l’inevitabile prima di Roosevelt, che ha resistito come l’inferno fino al riconoscimento ufficiale del mese di ottobre 1944. Ma i delegati stessi del presidente degli Stati Uniti ad Algeri lo consigliarono caldamente dall’estate del 1944, Murphy incluso, per accogliere l’inevitabile vittoria di De Gaulle 9 .

Nel suo libro The Abyss 1939-1945 , pubblicato nel 1982, lo specialista in relazioni internazionali contemporanee Duroselle ha descritto se non i dettagli delle interdizioni da Washington, almeno l’ostilità nei confronti di un de Gaulle restìo  all’AMGOT 10 . Nessuno allora sospettò lo storico di Americanophobia, e con buone ragioni. Gli archivi americani, tedeschi e francesi dimostrano che Villiers non ha esagerato con gli “ordini” americani, non solo intimati ai politici francesi, ma riflettuti sulla sfera accademica che era intimamente legata a loro. La sua dimostrazione, nel capitolo 2 intitolato “Dietro le quinte del mito”, cronologia e documenti di supporto , 11 rivela che il ruolo di organizzatore accademico delle Memorie di Monnet fu devoluto a Duroselle che assunse senza vacillare: ne fa fede infatti la corrispondenza (1960-1966) tra Jean Monnet e i suoi guardiani americani. Io stesso ho potuto vedere nel 1982 che lo storico prestigioso non ha nascosto la sua lealtà a Washington. Come la mia giuria mi ha invitato nel novembre del 1981, a sostenere la mia tesi, avevo richiesto, per telefono,a  Duroselle, allora direttore delle edizioni della Sorbona, di pubblicarla, secondo la tradizione. Intitolato ” CGT e lavoratori” rivendicazioni allo Stato, dalla Liberazione agli inizi del piano Marshall (settembre 1944-dicembre 1947) – Due strategie di ricostruzione Ha descritto l’estrema dipendenza della Francia dagli Stati Uniti dopo la Liberazione. Duroselle lo descriveva come “politico” o “comunista” e “anti-americano”, e lo intendeva in termini violenti: gridava alla fine della riga (un ascoltatore involontario lo realizzò a distanza) che, sino a quando avesse sostenuto questa posizione, questa tesi ” non sarebbe mai stata pubblicata da Editions de la Sorbonne “. Jean Bouvier, il mio direttore di ricerca, al quale ho, stupito, raccontato la mia disavventura, ha commentato: ” Non mi sorprende, è il più americano degli storici francesi ” 12 .

Il censore del 1982 non era meno obbligato a rispettare certe regole metodologiche, imperative per uno storico della sua generazione, regole che le successive generazioni di europeisti spazzarono via.

“Denaro d’oltremare”, una vecchia storia

Terzo aspetto, e non ultimo per il suo legame diretto con la questione degli “storici d’Europa” dalla nascita della storia ufficiale a cui sono dedicati in tutto o in parte il loro lavoro, “i soldi dall’altra parte dell’Atlantico “. I nostri “eminenti storici europei” giocano ancora a parole, suggerendo che ” il Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa (CAEUE), gruppo di pressione Monnet … creato nel 1955 (e non nel 1948!)Sarebbe stato il primo gruppo americano a venire in aiuto finanziario agli “europei”. Gli archivi americani esplorati da Philippe de Villiers confermano solo quelli del Quai d’Orsay, aperti a lungo. “Convinto Europhobe” non ha mentito sui legami iniziali e duraturi, non solo di Monnet, ma anche del ministro degli esteri Schuman e di tutti gli zelanti “europei”, dalla sinistra anticomunista all’estrema destra , con ” la Ford Foundation e il Comitato americano per l’Europa Unita [ACUE], falso naso della CIA “. Tuttavia, l’ACUE, fondata ufficialmente nel marzo 1949, fu ” organizzata dall’inizio dell’estate del 1948 ” 13 e non ” nel 1955 “, data di nascita ufficiale di uno dei suoi tanti babbei.

Di due cose una: o Villiers dice il vero, e non vediamo come le sue osservazioni sarebbero condannabili; o è falso e i censori non osano scrivere: ” Non c’è nulla di nuovo, perché sono passati anni da quando gli storici lo sanno e lo raccontano ai loro studenti. Tuttavia, non ricordo l’intensa comunicazione pubblica dei miei colleghi sulla questione. Solo “anni”? Le fonti declassificate a partire dagli anni 1970-1980 descrivono la corruzione politico-sindacale su scala europea  fissato pubblicamente al congresso della AFL nel novembre 1944 14 .

A guerra è appena finita, fu affidato al delegato ufficiale in Europa del comitato per il libero scambio (FTUC) della Federazione americana del lavoro(AFL), Irving Brown, secondo nel pilastro FTUC Jay Lovestone: leader sindacale ufficiale, al più tardi il suo capo servizio di intelligence dalla seconda guerra mondiale, è stato incaricato dal suo sindacato e dai veri decisori e finanziatori del’impresa, il Dipartimento di Stato e i suoi servizi (OSS e altri servizi che hanno preceduto la CIA, poi la CIA), di venire a capo, sotto la copertura di un’azione sindacale “democratica” della radicalizzazione che aveva provocato la crisi, la guerra e l’occupazione tedesca nel movimento sindacale europeo. Per rompere il sindacalismo combattivo o “comunista” e bloccare il progetto della World Trade Union Federation, compresi i sindacati sovietici, Irving Brown ha inondato il sindacalismo anti-comunista dell’Europa occidentale con denaro – per non parlare dell’Europa orientale dove agisce principalmente attraverso i sindacati della Germania occidentale. L’intero argomento fu trattato negli anni 1980-1990 in inglese, e lo specialista britannico del sindacato americano “Cold War” Anthony Carew, dedicò ad esso una sintesi essenziale dal 198715 Non aveva ancora diritto di cittadinanza il Francia 16 .

Si sapeva anche che il Piano Marshall aveva codificato e generalizzato questi fondi di corruzione ai danni dei comunisti e delle loro cosiddette organizzazioni “satellite”. Questi fondi strutturali, finanziati interamente dai mutuatari, erano forniti dai “crediti del controvalore” 5, quindi il 10% dei prestiti complessivi del Marshall, come “spese amministrative” degli americani, che avevano il controllo completo su di essi. Li hanno annidati sotto la voce “pubblicità” a favore del piano di salvataggio imposto a ciascun “paese Marshall” dagli accordi bilaterali firmati. Dal 1950, senza pregiudizio di appartenenti ad altre categorie, questi fondi sono stati ufficialmente assegnati allo “aumento” di produttività che “dovrebbe derivare dalla concessione di crediti americani 17 . Carew ha appena soppesato,spaventosa , questa corruzione, il risultato di una stretta collaborazione tra il FTUC e la CIA in un nuovo libro. Stima, per molti centri europei, il tasso del dollaro, a partire dal 1945, delle divisioni sindacali e il ritiro della Federazione mondiale dei sindacati – Terzo mondo incluso spingendo lo studio fino alla fine degli anni ’60 18 . Si può sperare che troverà quella traduzione della quale il suo primo lavoro non ha ancora beneficiato.

I pagamenti a varie categorie di filoamericani iniziarono durante la guerra.  Roosevelt aveva inviato nel novembre del 1942 Allen Dulles come capo della OSS per l’Europa, con la Germania al cuore della missione, distribuito alla “resistenza” di destra e di sinistra per il solo criterio di anticomunismo e anti-gollismo: spesso prima dei francesi, 19 storici inglesi lo hanno da tempo affermato. Tra questi, Frances Saunders che Villiers non menziona, e che ha dimostrato più chiaramente dei suoi pari, che la “guerra fredda” culturale – e politico è stato riccamente finanziata da Washington. E che questi fondi erano passati attraverso il canale della CIA, poco dopo la sua nascita nell’estate del 1947, direttamente o sotto copertura di associazioni falsamente private, compresa la Ford Foundation. Perché era buono, tra gli altri come Farfield, Rockefeller, Kaplan, ecc, un “falso naso CIA” tanto quanto “il Comitato americano Europa Unita” , il tandem di fondamentalisti cattolici William Donovan, capo dell’OSS quindi eminenza grigia della CIA che aveva forgiato 20 , e il protestante Allen Dulles 21 .

Villiers non ha omesso, tuttavia, un altro riferimento, innegabile, sui servizi segreti statunitensi e britannici, Richard Aldrich. Il lavoro, formale, l’ultima parte di un libro, dopo un precedente articolo specificamente dedicato alla ACUE ” OSS, CIA e l’unità europea: il Comitato americano United Europe, 1948-1960 ” 22  definisce Schuman e Monnet tra i più spettacolari collaboratori degli Stati Uniti. La concorrenza tra i delegati estesa dalla sinistra alle sfumature della destra era certamente viva; in Francia e altrove, tutti i “padri dell’Europa” occupano un posto di rilievo nel dispositivo, Adenauer, Spaak, Blum, Gasperi, Churchill, per nominare solo le stelle del “Movimento europeo”, tutti e cinque i presidenti onorari del Consiglio d’Europa. Aldrich non aveva che da appoggiarsi alla tesi sugli inizi del “Movimento europeo” di Francois-Xavier Rebattet, figlio di Giorgio, segretario generale di tale movimento, sostenuta a Oxford nel 1962, ma disponibile al pubblico solo nei primi anni 1990.

Aldrich appare favorevole o, nel peggiore dei casi, non ostili, verso l’impresa americana o euro-americana tanto quanto Rebattet (e i nostri “storici europei eminenti”), dichiarando compatibile con gli interessi reciproci. Ma su questa convergenza postulata fra ‘europei e gli americani che lavorano per ACUE decretato sinceramente “federalisti” e pro- “UN”, non ha alcuna fonte 23 . Quando si riferisce agli archivi, conferma l’articolo spietato che si concentra su Schuman e Spaak, del giornalista britannico Ambrose Evans-Pritchard nel Daily Telegraphdel 19 settembre 2000, ” Euro-federalisti Finanziamenti dai capi di spionaggio degli Stati Uniti ‘”i leader del Movimento europeo [, come] il visionario Robert Schuman e l’ex primo ministro belga Paul-Henri Spaak [,] sono stati tutti trattati dai loro sostenitori degli Stati Uniti come stipendiati. Il ruolo degli Stati Uniti era gestito come un’operazione clandestina [secondo il consueto standard di “operazioni” della CIA]. I fondi dell’ACUE provenivano dalle fondazioni Ford e Rockefeller, nonché da circoli economici strettamente legati al governo degli Stati Uniti. ” 24 Aldrich, tanto ” occidentale “che afferma, non ha trovato traduzione francese?

I nostri “eminenti storici europei” giustificano tutto in materia di “denaro dall’altra parte dell’Atlantico”, dal momento che ” gli aiuti americani a Monnet, Schuman, [Henri] Frenay, Force Ouvrière e altri sindacati, provengono dalla mobilitazione contro l’URSS . Ci danno le loro convinzioni politiche anticomuniste o antisovietiche e ci ricordano la loro adesione alla Pax Americana o al Bellum Americanum.. Non ci mostrano che questa estrema dipendenza, regolarmente indicata da Washington in termini umilianti per l’ego delle parti interessate, risulta da una perfetta corrispondenza tra interessi oggettivi francesi e americani. Inoltre, se l’armonia fosse così completa, perché queste pratiche finanziarie erano sistematicamente celate ai contemporanei?

Di Annie Lacroix-Riz, professore emerito di storia contemporanea all’Università Paris 7.

Distruzione creatrice, a cura di Giuseppe Germinario

● Olivier Costa: «Au niveau européen, c’est un effondrement pour les deux groupes historiques» [ ● Olivier Costa: ‘A livello europeo, è un crollo per i due gruppi storici’] da http://www.lefigaro.fr/politique/elections-europeennes-des-victoires-et-des-defaites-en-trompe-l-oeil-l-avis-des-experts-20190527

«À l’échelle européenne, Il est difficile de tirer une conclusion générale. [ ‘Su scala europea, è difficile trarre una conclusione generale.] Les campagnes ont été, une fois de plus, fortement focalisées sur des enjeux domestiques et les résultats sont contrastés de pays en pays, selon les configurations politiques propres à chacun. [ Le campagne sono state, ancora una volta, fortemente incentrate sulle questioni interne e i risultati sono contrastati da paese a paese, in base alle specifiche configurazioni politiche di ciascuno.] On note toutefois un recul global des partis de gouvernement, une montée des écologistes et l’absence d’un raz-de-marée souverainiste. [ C’è, tuttavia, un arretramento generale dei partiti governativi, un aumento di ambientalisti e l’assenza di uno tsunami da parte del sovrano.] Au Parlement européen, les socialistes (S&D) et les démocrates-chrétiens (PPE) ne cumulent plus que 43% des voix (contre 54% en 2014 et 66% en 1999). [ Nel Parlamento europeo, i socialisti (S & D) e i cristiano-democratici (PPE) accumulano solo il 43% dei voti (contro il 54% nel 2014 e il 66% nel 1999).] Plus que la continuation d’une tendance, c’est un véritable effondrement. [ Più che la continuazione di una tendenza, è un vero collasso.] Concrètement, ces deux groupes ne pèsent plus assez lourd pour faire passer des textes. [ Concretamente, questi due gruppi non hanno abbastanza peso per passare i testi.] Et, pour commencer, ils ne seront pas en situation d’assurer l’élection du futur président de la Commission européenne, qui doit être ‘élu’ à la majorité des membres du Parlement. [ E, per cominciare, non saranno in grado di assicurare l’elezione del futuro presidente della Commissione europea, che deve essere ‘eletto’ dalla maggioranza dei membri del Parlamento.] En 2014, déjà, ils avaient dû nouer une alliance avec les libéraux du groupe ALDE – qui devraient être rejoints par les députés LREM. [ Nel 2014, già, hanno dovuto formare un’alleanza con i liberali del gruppo ALDE – a cui dovrebbero far parte i deputati LREM.] Le renouvellement de cet accord est désormais incontournable. [ Il rinnovo di questo accordo è ormai inevitabile.] En outre, le groupe des Verts saura sans doute monnayer chèrement son appui.» [ Inoltre, il gruppo di Verdi probabilmente salverà caro per il suo sostegno ‘.]

 

DOVE VA L’UE?, di Pierluigi FAGAN  

Lettori e lettrici sanno che qui si rimane attaccati possibilmente ai fatti e poi si liberano le opinioni. La premessa è per dire che con post del 15 aprile, informavo sulle stime dei sondaggi europei. Alcuni opinavano che i sondaggi valgono quello che valgono ma rispondevo che la struttura delle elezioni europee, ripartite tra diversi gruppi e tra parecchi stati, annullava di molto i possibili margini di errore.

Nel post si dava conto di tre fatti: 1) popolari e socialdemocratici non avrebbero sicuramente più avuto la maggioranza ed avrebbero dovuto cooptare i liberali (confermato), 2) la somma dei due gruppi che è improprio etichettare entrambi come sovranisti (EFD M5S e Farage + ENF ovvero Salvini-Le Pen), avrebbero raggiunto circa 116 deputati complessivi (pare ne avranno 114); 3) la partita politica più interessante poiché indecisa e potenzialmente quasi clamorosa, sarebbe stato il voto francese dove le previsioni non sapevano dire se la vittoria sarebbe andata a Le Pen o Macron (ha poi vinto Le Pen). Il post ebbe 14, miseri, like.

Nel frattempo, siamo stati intrattenuti da una montante paranoia opinionista sul rischio che Salvini e Le Pen avrebbero dominato Bruxelles. Ma la loro Europa delle nazioni e delle libertà, era stimata a 55 deputati su 751 (ne ha poi ottenuti, pare 58), siamo a meno dell’8%, cosa si domina con l’8%? Certo il peso politico delle due formazioni, l’una francese, l’altra italiana, è significativo in ragione del peso politico dei sue Paesi ma insomma mi pareva un po’ esagerato questo ingiustificato allarme su cui s’è detto più del necessario e del giustificato. Siamo stati intrattenuti da un meccanismo psico-politico che prima ci ha impaurito (o resi speranzosi) senza ragione del trionfo sovranista per poi annunciare sollevati (o delusi) dello scampato pericolo. Una specie di “meccanismo matrimonio Pamela Prati”. E’ che in Europa più che i fatti, si discutono le altrui opinioni, opinioni contro altre opinioni entrambe slegate dai fatti. Questo è sintomo di nevrosi e il fatto che la nobile arte della “politica”, sia oggi qui nel sub-continente ammalata di nevrosi, preoccupa anche se -purtroppo- non da oggi.

Insomma, dove va l’UE? La nuova maggioranza è peggio della precedente poiché i “liberali” sposteranno ulteriormente l’asse politico verso il meno Stato e più mercato. Per commentare il suicidio non assistito della socialdemocrazia ormai non ci sono più parole e la convivenza tra loro e liberali, farà perdere loro ulteriore consenso. La nuova maggioranza a tre, vale un 58% mentre la precedente a due, valeva il 64%. Gente sensata, notata questa frana continua di consensi che per altro va avanti da molti anni, si darebbe una regolata ma tanto il parlamento conta poco o niente e gente sensata, in Europa, pare soggetta al principio di scarsità crescente.

In ordine sparso si nota un vero e proprio crollo della Sinistra che quasi dimezza i suoi consensi (Syriza, Podemos) con crollo relativo anche in Francia (Mélenchon) dove era arrivata al 20% al primo turno delle presidenziali, ripiegando oggi ad un misero 6%.

Ovviamente la novità apparente sono i Verdi, una sorta di partito rifugio per tutti i progressisti che non si sentivano di votare socialdemocratico o sinistra. Ho molto rispetto per le questioni ambientali, ma votare così tanto i Verdi in una UE stretta tra neo-ordo-liberismo e imbarazzo geopolitico, appare più effetto di uno smarrimento che di un convincimento. E’ un po’ come mettersi a parlare del tempo che fa in una discussione imbarazzante.

Considerevole invece l’affermazione dei liberali anche se lo scarto rispetto al 2014 è in buona parte dato da En Marche che nel 2014 non esisteva. Ciononostante, i soli liberali sommano più o meno quanto i due gruppi euro-scettici-sovranisti messi insieme, tanto per dire quali sono i rapporti di forza nell’opinione pubblica europea.

Il piccante di questa pietanza europoide sbiadita, lo danno i sempre significativi britannici con i conservatori quinti a livello percentuale di Forza Italia o giù di lì.

Ma un risultato merita il posto al centro della scena: la Francia. Qui il botto non è da poco, almeno simbolicamente. La giovane speranza europoide arriva secondo dopo i nazionalisti e questo non è fatto di poco conto. Macron però è tipo da fregarsene alla grande, l’hanno eletto per cinque anni con maggioranza bulgara e quindi andrà avanti. A livello di legittimità politica se Merkel in patria perde ulteriore 1,5% rispetto alle politiche e Macron perde a sua volta 1,6% rispetto al primo turno delle sue politiche, sembra che l’asse di Aquisgrana non abbia infiammato gli elettori. Di contro, oltre al fatto simbolico, non è che a puri numeri sia poi questa grande tragedia per i due piloni eurocratici, quindi avanti con giudizio cooptando i liberali nei giochi che contano, si spartiranno le cariche che contano, assediando sempre più strettamente i pavidi socialdemocratici in una sorta di cannibalismo delle élite per cui i giovani arrivati si nutrono della carogna dell’anziano che ha fatto il suo tempo.

In breve, l’UE che ne esce è più insipida della precedente, più di destra ed al contempo più liberale, con una spruzzata di ecologismo superficiale. A questo punto la palla passa al novembre del prossimo anno quando si terranno le elezioni americane. Se vincerà Biden, l’eurocrazia avrà un supplemento di ossigeno, se vince Trump, forse questa lunga agonia avrà la sua fine, forse.

Scenari, di Piero Visani dahttps://derteufel50.blogspot.com/2019/05/scenari.html?spref=fb&fbclid=IwAR1N3BEHnFygSz_9fpSygLzOGfeYcmOQJ34BCNX4ekdwh2RFls_hdmeyKS8

       Grande assente dell’ennesimo – e fastidioso – “ludo cartaceo”: che fare del futuro di un “gigante economico, nano politico e verme militare”? L’unico problema dell’Europa odierna paiono essere i muri ai confini e l’ambiente à la Greta, più ovviamente la conservazione dell’esistente da parte di chi ha ancora i denari per poterselo godere e di chi ha un’età anagrafica per cui “la sua sicura sorte sarà certo la morte”, per cui conservare è preferibile a marcire…
       Silenzio assoluto, per contro, sui problemi strategici, geopolitici, politici e di “massa critica” di un continente uscito ormai fuori dalla Storia e da tutto, che ambisce solo ad una serena pensione (per chi ancora l’avrà) e a una sempiterna vacanza, nel significato originale latino di “assenza”, magari per fare un po’ a botte in qualche località pseudo-trendy, ma al massimo in risse da strada, l’unico livello di conflittualità etilico-“pasticchico” che ancora conosca. Finis Europae.
 
Distruzione creatrice, di Fabio Falchi 
Non c’è dubbio che il partito che ha vinto queste elezioni sia la Lega, che ha ottenuto quasi il 35% dei voti.
Al Nord la Lega ha preso addirittura il 40%, assai meno al Sud . In buon numero gli elettori meridionali hanno disertato le urne e questo è un brutto segno per il nostro Meridione, sempre più dipendente da politiche assistenziali, nonostante abbia notevoli potenzialità di sviluppo, sia per l’indubbia intelligenza della sua “gente” che per la sua eccezionale posizione geopolitica e geo-economica.
In definitiva, il M5S, come prova il buon risultato che ha conquistato al Sud nonostante il crollo a livello nazionale, è vittima della sua stessa insipienza politica e del suo disordine mentale che lo hanno portato a difendere una politica da Terzo Mondo, perfettamente funzionale agli interessi del capitalismo predatore euro-atlantista, e a sostenere le posizioni del PD.
Il risultato del PD comunque non sorprende, ottenuto anche grazie alla insipienza del M5S. Il PD, del resto, è il partito del grande capitale nazionale, in sostanza, tranne poche eccezioni, parassitario e dei ceti medi inefficienti e parassitari (soprattutto dirigenti della PA , insegnanti semicolti, la “pretaglia”, ecc.) che hanno tutto da perdere da una politica imperniata sulla innovazione e sul potenziamento dei settori strategici della nostra economia.
I ceti medi e popolari produttivi ormai sono rappresentati soprattutto dalla Lega, il cui successo dipende da vari fattori: l’immigrazione clandestina, la crisi economica, l’austerity imposta degli “eurocrati”, l’indebolimento del legame comunitario e via dicendo.
Tuttavia, adesso vi è da temere che il M5S faccia l’inciucio con il PD. Il braccio di ferro con l’UE comunque è appena cominciato e sarà questo probabilmente a decidere anche la sorte del governo giallo-verde.
Al riguardo si deve tener conto che l’Italia ha avanzi primari dagli anni Novanta, ovvero spende meno di quanto incassa al netto della spesa degli interessi sul debito. In pratica, i ceti produttivi da alcuni decenni lavorano per pagare le imposte e gli interessi sul debito, ossia per mantenere i ceti sociali parassitari. Non a caso il risparmio nazionale in questi anni è cresciuto a dismisura – quasi 4.500 mld , ovvero quasi il doppio del debito pubblico! – a scapito delle forze produttive.
Da questa trappola si deve uscire ad ogni costo e non è certo la flat tax da sola che può risolvere questo problema. Occorre essere disposti ad adottare nuovi strumenti finanziari e attingere al risparmio nazionale per finanziare un piano di sviluppo su base nazionale (in particolare, per potenziare i settori strategici – sistemi d’arma, robotica, nuove tecnologie, telecomunicazioni, energia, ecc.- e le infrastrutture ).
Non vi è comunque solo la questione economica, ma pure quella, perfino più importante, dello Stato e della difesa del legame comunitario. Difatti, occorre sapere “trascinare le masse” per cambiare il Paese e per questo ci vuole una “ideologia” (nel senso migliore del termine), che non può ignorare la questione dei grandi spazi e le sfide del multipolarismo. Al finto europeismo si dovrebbe quindi contrapporre una nuova idea di Europa, ossia una “Lega europea” basata su principi e valori comunitari, una “Lega” intesa cioè come una Nuova Alleanza per un’Europa basata su Stati e popoli sovrani.
Ovviamente, attualmente la Lega non pare né volere né sapere intraprendere questa strada, “ancorata” com’è ai principi e ai valori dei suoi stessi “nemici”. Ma il nuovo corso (geo)politico che essa stessa ha contribuito a creare è solo all’inizio e nulla esclude che possa essere l’inizio di una “distruzione creatrice” come tante volte è accaduto nella storia.

“Europa: accademismo contro la storia” (2/6), di Annie Lacroix-Riz

Proponiamo il secondo dei sei saggi dell’autrice, professore emerito di storia contemporanea all’Università di Parigi7. https://www.les-crises.fr/europe-lacademisme-contre-lhistoire-2-6/I saggi si incentrano prevalentemente sul ruolo della Francia nelle dinamiche comunitarie. E’ pur vero che l’asse franco-tedesco, sin dalle origini, è stato il perno intorno al quale si è sviluppato il progetto americano di costruzione europea. Un asse ripreso dalle esperienze incoffessabili e rimosse d’anteguerra_Giuseppe Germinario

Mappa:

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

 

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?

Uriage, una delle scuole-quadri di Vichy, fondate nel 1940 (non per resistere alla dittatura in luglio o all’occupante, ma per meglio adattarsi), hanno offerto un modello di ” resistenza vichysto ” sostengono, senza usare il termine, i nostri “eminenti storici”. E’ stato creato nel 1990 dagli storici dell’Istituto di Studi Politici, che a quel tempo non si sono mai adoperati a sostenere un archivio originale 1940-1944 1 .

Le fonti abbondano invece sulle motivazioni e sulle modalità di adattamento di Vichy al passaggio dal periodo tedesco alla Pax Americana , inevitabile conseguenza del fallimento del Blitzkrieg contro l’URSS ufficioso dal luglio 1941, e della sconfitta tedesca , quasi ufficiale da Stalingrado. L’eroe onorato, Pierre “Dunoyer de Segonzac (direttore di Petain del Centro di educazione Uriage)” 2 non fu che molto tardivamente e solo ufficialmente un leader resistente e maquisard. Tutto testimonia che non aveva nemmeno se non in una data molto avanzata chiaramente “rotto con Pétain” come invece afferma la storiografia molto elogiativa dei primi anni del 1980 3 accreditata dai nostri “eminenti storici”.

Saremo in grado di assicurarci di ciò leggendo le “Riflessioni per giovani capi” che questo capo di Uriage ha pubblicato nel 1943 alle “Éditions de l’Ecole nationale des cadres”. Preciso e antagonista con la leggenda Maquis, Passy-Dewavrin BCRA aveva riscontrato il 1 ° giugno 1944 (e intendo 1944), poca sostanza o carattere superficiale di questa “resistenza”, ” gli ordini sono stati dati recentemente cosicché questo movimento [“il raggruppamento di Uriage”, nato “alla scuola dei quadri di Uriage nel 1940”], che fino a quel momento era passivo, si cristallizza in un movimento di resistenza. ” 4 Fact Sheet, 1 °Giugno 1944, ricevuto il 16 luglio, trasmesso il 20 luglio 1944, F1a, 3916, Savoia, politico e vario, AN. . Cioè, cinque giorni prima dello sbarco anglo-americano in Normandia, gli effetti concreti di questi “ordini” non erano ancora percepibili sul terreno.

È vero che i presunti “ex marescialli”, dall’autunno del 1942 e in particolare dal gennaio al febbraio del 1943, sono stati quasi tutti convertiti in Vichy-Americani, senza pregiudizio della collaborazione con l’occupante molto spesso mantenuta fino al liberazione: questo era il caso di Laval e Petain, come tutti intorno a loro, la mutazione è stata organizzata dalla primavera estate 1941 al 1944. Il termine vichysto americani dovrebbe sostituire quello di “vichysto resistenti”, che generalmente non avevano “rotto con Pétain”, né sotto l’occupazione o dopo la liberazione 5 .

L’hanno confermato in particolare due eventi dopo la liberazione: 1, la sfilata costante dei ministri e / o alti ufficiali responsabili della debacle, spesso già liberi ed approvati come “testimoni della difesa” nel processo di Pétain in luglio-agosto 1945 6 ; 2, cinque anni dopo, la comune appartenenza di questo gruppo alla “Associazione per la difesa della memoria di maresciallo Pétain ” (DMPA) “estrema tendenza a destra”, come l’eufemismo del RG. Il DMPA è stata fondata il 4 Ottobre 1951 con il patrocinio di Weygand 7 , nemico della cappa militari Gueuse e secondo o sottotenente di Pétain, collaboratore attivo alla debacle, vichysto-americano tipo giurato 8 , e tra tutti il simbolo della non-purificazione sistematica dell’ambiente 9 .

I presunti “ex marescialli” avevano appena preparato, come Weygand, ma anche Pétain, Laval et alii , il riallineamento agli Stati Uniti che il generale Paul-André Doyen, successore dal 6 settembre 1940 di Huntziger a capo della delegazione della Commissione armistizio tedesca, avevano sollecitato a Petain il 16 luglio 1941 (come già scritto dal funzionario di alto rango Armand Bérard). La morte del Blitzkrieg è già esplosa agli occhi di tutti i circoli ben informati, l’incontro della Wehrmacht “una feroce […] resistenza del soldato russo, un appassionato […] fanatismo della popolazione, una estenuante guerriglia […] alle spalle, gravi perdite, un […] vuoto completo prima dell’invasore, difficoltà […] notevoli nelle forniture e comunicazioni .

Dopo aver sostenuto, dagli anni ’30, la pacificazione modellata dal Reich, ora in procinto di essere sconfitto, “l’Europa” sarebbe ora sconfitta dagli Stati Uniti, ” grande arbitro di oggi e di domani” [ …]. Già emersi […] come gli unici vincitori della guerra del 1918 [,] usciranno ancora di più dal conflitto in corso. […] Il mondo, nei prossimi decenni, si sottometterà alla volontà degli Stati Uniti. La Francia di Vichy aveva interesse ad adattarsi al più presto possibile, se voleva rimanere ” veramente europeo e non solo mediterraneo e africano ” 10 .

Poiché il suo tête-à-téte con il Reich limitava strettamente i suoi mercati al di fuori delle sue colonie, in conformità con le clausole dei cartelli riviste dal 1940 al 1941. Questa distribuzione umiliante per il vincitore era a volte anche stata accettata dal francese prima della invasione e dell’occupazione, come nel cartello segreto dei coloranti franco-tedeschi conclusi nel 1920 tra il Kuhlmann e giganti del futuro della IG Farben 1925 o in cartelli metallurgici del 1930 che condannarono a morte certa il loro alleato cecoslovacco 11 . Il riconoscimento della regola generale in Germania è un importante programma di dell’imperialismo secondario francese dopo il tornante del 19 ° secolo 12 .

Dimenticando le “prime comunità europee”

M. de Villiers era determinato a ” distruggere la reputazione ” di ” tre costruttori d’Europa “, fondatori della ” prima Comunità europea, nel 1950-1951, quella del carbone e dell’acciaio, prima pietra miliare della riconciliazione Franco-tedesco “, che sarebbe” di origine francese. Il distruttore di “reputazioni”, che sono generalmente molto discrete riguardo alle relazioni franco-tedesche, non dice altro su di esso dei suoi censurati ulcerati, colpevoli di mentire per omissione e in ogni caso.

Perché la Comunità europea del carbone e dell’acciaio non è “la prima Comunità europea”: è stata preceduta dal cartello internazionale dell’acciaio del settembre 1926 e poi da un’epoca di occupazione tedesca molto “europea”.

Dall’International Steel Cartel del settembre 1926 …

Questa creazione del grande capitale siderurgico a fondamenta franco-tedesche e non esclusivamente francese, sancì ufficialmente il ritorno industriale e militare del Reich vinto. Il suo spettacolare riarmo sotterraneo, conosciuto nelle capitali internazionali e monitorato quotidianamente a Parigi, andava bene dal 1919. Era coraggiosamente distaccato da tutti i prestatori internazionali, comprese le principali banche francesi; il rapporto dei prestiti al Reich che costituiva uno dei migliori (se non la migliore) fonti di profitto bancario internazionale nel periodo tra le due guerre. Gli Stati Uniti, il più grande di questi istituti di credito, una fata particolarmente benevola e interessata, erano stati un appassionato sostenitore dal 1919 al 1920 della campagna tedesco-Vaticana sul tema della povera Germania disarmata. Perché quest’ultimo è stato proclamato da tutti i “revisionisti” dei trattati maledetti,Vale a dire, il primo cartello di acciaio non ha atteso l’arrivo degli hitleriani in affari.

Nessuno dei firmatari della “piattaforma” elettorale, tra cui specialisti del periodo tra le due guerre, sembra ricordare che il primo della serie fu creato, dal lato francese, dal Comitato Forges, che François presiedeva. Wendel, anche reggente della Banque de France (privata) e, sul lato tedesco, dello Stahlwerksverband , guidato da Fritz Thyssen, l’omologo tedesco di Wendel. Né che i Wendel fossero stati, secondo la pratica elettorale della Lorena, i mentori, dal ritorno della Mosella in Francia, della carriera politica di Robert Schuman e della sua Azione Cattolica lorena.

In questo primo nucleo franco-tedesco dell’UE, né pacifico né pacifista, il Reich aveva ottenuto fin dall’inizio una posizione molto dominante sul mercato siderurgico europeo: il cartello, composto da quattro dei fondatori della futura CECA, concesso il 40,45% delle quote di produzione, automaticamente da trasformare in 47%, quando Saarland (6,54) tornasse in seno al Reich. Nessun leader francese aveva dubitato, dal 1919 al 1920 a Parigi e nella Germania occupata, dell’esito del plebiscito previsto dal Trattato di Versailles per il 1935. Soprattutto da quando la Curia Romana lo preparò febbrilmente e senza tregua al fianco di Berlino, schiacciando nel suo disprezzo i francesi, odiati e combattuti ovunque 14 .

I tre partner compiacenti del Reich, tutti penetrati dalla loro inferiorità nell’acciaio, avevano accettato di essere messi alla quoota congrua: Francia (31,8%), Belgio (12,57%), Lussemburgo (8,55%). Essi sono stati anche più formalmente che previsto nell’autunno 1926. Nel 1930 quando il riarmo hitleriano tedesco non fu più nascosto e quando la Francia ha venduto sempre più massicciamente le sue miniere in Lorena e minerali della Normandia, il Reich ottenne dai suoi partner di superare con notevoli eccedenze le “quote” iniziali.

Il cartello del 1926 costituisce il vero atto nascita della moderna Unione Europea – così come il comitato Francia-Germania, formalmente istituito nel novembre 1935 sotto l’egida di Ribbentrop, era semplicemente un’estensione del “comitato franco-tedesco All’inizio, i più importanti rappresentanti dell’industria siderurgica e poi, nel periodo successivo, gli altri settori, in particolare la chimica. Costui nel 1927 ha partecipato alla fondazione cartello internazionale dei coloranti dominato anch’esso dal Reich e dalla sua “comunità di interesse dei coloranti,” IG Farben, fondata nell’autunno del 1925. A questi cartelli internazionali negli anni ’30 si aggregarono i poteri di lingua inglese, compresi gli Stati Uniti 15: È in questo quadro di accordi che il Rockefeller Standard Oil del New Jersey ha concesso alla IG Farben, tra le altre amenità, il monopolio della produzione di Buna (gomma sintetica) che mancava all’industria americana quando la gomma è stata controllata dal Giappone durante la seconda guerra mondiale 16 . Philippe de Villiers scome i suoi censori hanno cancellato risolutamente questi iniziatori di cartelli della dimensione franco-tedesca dell’Unione europea contemporanea, in cui il tedesco Konzerne pesava molto più dei grossi gruppi francesi. La punizione sarebbe stata più pesante se avesse affrontato questo punto molto controverso.

Così, l’impresa “europea” può essere negletta da tutti nella sua gestazione d’anteguerra, presentata da Villiers come puramente americana, e da lui e dai suoi detrattori come forgiata da uomini senza passato politico (ad eccezione di Jean Monnet, esaminato con una lente d’ingrandimento dall’autore di Fil Fil ) e privo di qualsiasi legame con i grandi gruppi privati ​​francesi e tedeschi dell’industria pesante. Il silenzio di Villiers e dei suoi aggressori lascia anche nel dimenticatoio l’era molto “europea” dell’occupazione tedesca. Questo periodo sembra ispirare una vera e propria repulsione ai nostri “storici europei eminenti” i quali rimproverano amaramente de  Villiers’ di demonizzare l’idea di integrazione di questo continente, pla [Isan] t attribuita ai nazisti e alla Francia di Vichy “.

… all’Europa occidentale sotto l’occupazione tedesca

Villiers, nonostante la sua severa (e giusta) messa in discussione di Walter Hallstein, tace sulla dimensione tedesca e francese di “Europa” prima del 1950. I suoi censori non hanno nulla da dire sui piani economici  degli“Europeisti” d’Europa o degli Stati Uniti fin dalla prima guerra mondiale, poiché “l’impresa [europea]” non sarebbe emersa, autonoma, politica e strettamente franco-tedesca, solo nel maggio 1950. Non ci sarebbe qualche connessione tra il cartello internazionale in acciaio del 1926 e l ‘”impresa” del 1950? E non più tra questi ultimi e l’era franco-tedesca (belga-tedesco, olandese-tedesco, tedesco-italiano, ecc.) negli anni di guerra e / o occupazione tedesca. In quale categoria dovremmo classificare i cartelli “europei” mantenuti e rielaborati o creati dal 1940 al 1944 o nel 1945, le società miste e altre associazioni hanno rafforzato il capitale, la vendita di titoli ai finanzieri tedeschi che hanno caratterizzato, in Francia e altrove, l’era dell’egemonia tedesca nel continente 17 ?

Non ci sarebbe alcuna relazione tra l’Unione europea e l’era dell’idillio franco-tedesco, che fu particolarmente marcato nei mesi precedenti e successivi all’operazione Barbarossa? Non ci sarebbe continuità tra l’era aperta dal “discorso Schuman” e la mondanità politica ed economica nel settembre del 1941, quando un parterre di synarques, finanzieri e per molti di loro, i ministri Vichy ha accolto con calore il Segretario di Stato Friedrich Landfried, Presidente di Saarland Mines e Reichswerke Hermann Göring , tra gli altri consigli 18 ? E dove essi hanno delegato il capo del comitato di organizzazione delle banche e molto pronazi Henri Ardant, per “esprimere[ing], in accordo con Pucheu e Bichelonne, la speranza che i piani tedeschi sarebbe grandi abbastanza per decidere l’abolizione delle frontiere doganali e di creare una moneta unica per l’Europa . ” Questa posizione inequivocabile del Presidente della Société Générale, che deve essere attualmente designato come il primo e più importante dei banchieri francesi sembra particolarmente importante ” ai rappresentanti tedeschi, ha commentato l’estensore del rapporto 19 .

Non correlato, in realtà, allor quando la maggior parte dei protagonisti, francese e tedesco, parteciperebbe alle “imprese” europee del dopoguerra, con un tono ovviamente più americano? Va anche notato che, con alcune eccezioni – per morte naturale, i partner francesi, tedeschi (belgi, ecc.) sono rimasti gli stessi sotto Weimar, Hitler e Adenauer in tutti i settori dell’industria e delle banche. Esempio significativo, François Lehideux, nipote per matrimonio di Louis Renault e direttore generale, prima della guerra, della sua società a responsabilità limitata Renault, era, sotto l’occupazione, “direttore responsabile” del Comitato di organizzazione dell’automobile creato nel Ottobre 1940, secondo del “Comitato europeo dell’industria automobilistica” con un capo tedesco fondato nel gennaio 1941, ospite dei festeggiamenti del settembre 1941. Ministro di Vichy,20 .

A questo livello di continuità nelle pratiche e negli uomini, dal periodo tra le due guerre al dopoguerra, si deve negare ogni legittimità scientifica all’asserzione perentoria che ” la compagnia non deve nulla al nazismo”; né alla collaborazione tra Petain e Hitler, poiché è proprio una reazione contro tutte le politiche praticate ai tempi dell’Europa occupata. 

La dissociazione assoluto tra l’Europa dei ‘tre costruttori ‘ e quella del periodo nazista è da tempo, ci tornerò, un imperativo categorico politico-ideologico , per gli storici europei eminenti. ” Dal tema del concorso storico del 2007, erano stati cautamente esclusi gli anni 1933-1945, giudicati non abbastanza “democratici” né “pacifici” per un modello assoluto dell’Unione europea in queste materie. È facile capire che questa rimozione forzata è priva di qualsiasi legittimità storica.

Di Annie Lacroix-Riz, professore emerito di storia contemporanea all’Università Paris 7.

Proponiamo questo articolo per ampliare il tuo campo di riflessione. Ciò non significa necessariamente che siamo d’accordo con la visione sviluppata qui. In ogni caso, la nostra responsabilità si ferma con le osservazioni che riportiamo qui. [Leggi di più]

Note

1. Problema forgiato da Jean-Pierre Azéma, vedi Bénédicte Vergez-Chaignon, The vichysto-resistant , Paris, Perrin, 2008, pocket 2016.
2. CRP, RG per la Sicurezza Nazionale (RGSN) informazioni del 23 novembre 1944 relativa al “complotto monarchico”, quindi in corso, F7, 5283, partiti di destra, sottocartella “corrispondenza movimenti monarchici nel gennaio 1943 al 1940 , Archivi nazionali.
3. https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89cole_des_cadres_d%27Uriage qu’accréditent nostri “eminenti storici”.
4. Factsheet, 1 ° giugno 1944, ha ricevuto il 16 luglio trasmissione 20 luglio 1944, F1a, 3916, Savoia, e vari politici, AN.
5. Lacroix-Riz, Le élite francesi , 1940-1944. In collaborazione con la Germania per l’alleanza degli Stati Uniti , Paris, Armand Colin, 2016, 2 e parte, passim .
6. Processo verbale del processo Pétain , Parigi, Les Balustres-MRN, 2015.
7. Corrispondenza dell’ADMP, comprese le schede 1966-1972, nel file (terrificante) del grande industriale PPF e collaboratore attivo Gaston Moyse (Moyse-Frise) (tesoriere dell’ADMP), GA (file di GR), M15 ); vedi anche GA, W1, generale Maxime Weygand, ecc., Archivi della Prefettura di Polizia (APP).
8. Weygand Lacroix-Riz, la scelta della sconfitta: l’élite francese nel 1930 , Parigi, Armand Colin, 2010, Monaco di Baviera a Vichy, l’assassinio del 3 ° Repubblica, 1938-1940 , Paris, Armand Colin, 2008, élite francesi , indice e infra .
9. Il suo trattamento subito benevoli dalla High Court of Justice, prima che l’assoluzione finale del 6 maggio 1948, che ha causato le dimissioni di Marcel Willard, comitato di istruzioni del fotovoltaico dal 18 dicembre 1944, W3, 26 o 27, AN, e Lacroix-Rice, Non-purificazione in Francia (1943-1950) , t. 1, prossimo, Parigi, Dunod-Armand Colin, indice Weygand e passim
10. Appendice al rapporto 556 di Doyen, Wiesbaden, 16 luglio 1941, W3, 210, Laval, AN; estratti da questo capolavoro di sottomissione “europea” a Washington, Lacroix-Riz, industriali e banchieri francesi sotto l’occupazione , Parigi, Armand Colin, 2013, p. 528, Le élite , p. 246, Carcan , p. 84
11. Joseph Borkin, IG Farben , Parigi, Alta, 1979, p. 53 quadrati ; Teichova Alice, uno sfondo economico a Monaco: International Business and Cececlovakia 1918-1939 , Cambridge, Cambridge University Press, 1974, passim ; Lacroix-Rice, The Choice of Defeat , cap. 1-2, 5 e 8
12. “L’imperialismo francese e i partner dominanti nella costruzione dell’Europa”, Droit , n. 66, novembre 2018, p. 3-36
13. Riferimenti sopra, incluso Scegliere la sconfitta , cap. 1-2.
14. Il Vaticano , cap. 2, 4, 5 e 7.
15. Scegliendo Defeat , cap. 1-2; Industriali e banchieri , cap. 1; Carcan , cap. 3; “L’imperialismo francese e i partner dominanti nella costruzione dell’Europa”, Droit , n. 66, novembre 2018, p. 3-36.
16. Tra gli altri, Relazione del Indagine su IG Farben AG, Bernstein Preparato da Divisione di Investigazione dei cartelli e Office esterna Attività del Governo Militare, US (Germania) novembre 1945 http://www.markswatson.com/article-IG- farben-indagine-1945.pdf; Higham Charles Trading with the Enemy, un’esposizione del Nazista Americano, 1933-1949 , New York, Delacorte Press, 1983, cap. 3-5.
17. Industriali e banchieri , passivi in questa era molto europea, a cui tutti i principali gruppi francesi, compresi quelli dell’acciaio (tra cui le dinastie Wendel e Schneider), erano strettamente associati.
18. https://de.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Landfried#cite_note-9 e Klee Ernst, Personenlexikon , Landfried, p. 355. Landfried, che morì nel 1952, non partecipò alle feste europee del dopoguerra, a differenza della maggior parte dei suoi colleghi di bordo tedeschi, e dei francesi presenti nel settembre 1941.
19. Rapporto inviato al CNIE il 28 gennaio 1947 da Parquet HCJ, procuratore della città contro Ardant, 7 gennaio 1948, F12, 9569, sottolineato da me (originale in Burrin Philippe, Francia all’epoca tedesca 1940-1944 , Parigi, Le Seuil, 1995 pp. 271). Elenco, industriali e banchieri , p. 508-509, nomi citati, indice.
20. Lehideux, indice di tutte le mie op. cit. negli anni ’30 e ’40, inclusa la purificazione .

gli eventi algerini: il visibile e l’invisibile, di Bernard Lugan

Come sottolineato nei post precedenti l’Algeria è uno snodo cruciale delle dinamiche politiche africane e mediterranee dove si incrociano gli interessi della Francia, occupante sino ai primi anni ’60, dell’Italia sostenitrice della guerra di liberazione e soprattutto di Stati Uniti,Cina e Russia. L’Algeria dispone di notevoli risorse energetiche, delle quali è praticamente schiava la sua economia; gode ancora di un notevole prestigio tra gli stati africani. Negli anni ’90 i militari sono riusciti con grande difficoltà a domare una sanguinosa rivolta civile organizzata dai settori più integralisti_Giuseppe Germinario
Bernard Lugan_ analista geopolitico, africanista, direttore del periodico “Afrique Réelle”
La lettura degli eventi algerini deve avvenire a due livelli, il visibile e l’invisibile.
apparenze
Dopo settimane di manifestazioni, il Ramadan non ha svuotato la strada; il movimento di protesta è sostenuto.
Di fronte a questa realtà, la strategia del “Sistema” [1] attualmente incarnata dal generale Ahmed Gaid Salah non è riuscita. E’ stata progettata per guadagnare tempo e dividere i manifestanti attraverso la manipolazione della giustizia spettacolo messa in scena grazie ad un’ondata di arresti di “corrotti”. Ma gli algerini non si sono fatti ingannare perché sanno che è tutto il “sistema” ad essere compromesso. A partire dal Generale Gaid Salah, il cui affarismo familiale ad Annaba è stato denunciato dall’avversaria Louisa Hanoune … per questo gettata in prigione …
Tra la strada e il “Sistema” le posizioni sono inconciliabili:
-I manifestanti continuano a chiedere un periodo di “transizione” gestito da persone indipendenti
-Il Generale Gaid Salah vuole, attraverso le elezioni presidenziali in programma il 4 luglio 2019, eleggere un candidato da lui stesso designato. Tuttavia, queste elezioni sembrano essere impossibili da organizzare; dopo la presidenza ad interim di 90 giorni in virtù della Costituzione, il generale si troverà quindi ad affrontare un vuoto istituzionale.
… e dietro le apparenze
La lettura di El Djeich, il giornale dell’esercito permette di andare oltre le apparenze. Per diverse settimane, v’è infatti denunciato l’esistenza di una “cospirazione”, che conferma che la guerra è aperta all’interno della casta militare.
Ma dal 1962, l’esercito era riuscito sempre a regolare i conti a porte chiuse, nascondendosi dietro un potere civile di facciata delegato al FLN. Inoltre, fino ad ora, nonostante le loro contrapposizioni, i vari clan militari in nessun momento avevano trasgredito il tabù estremo di non mettere mai a repentaglio la sostenibilità del “Sistema”. L’incarcerazione di alcuni generali tra i quali cui Mediene “Toufik” e Tartag dimostra che i clan e gli odi personali hanno preso il sopravvento rispetto alla considerazione della sopravvivenza comune.
La crisi all’interno dell’istituzione militare è profonda e la proliferazione di slogan diretti contro la sua persona dimostra che il generale Gaid Salah è ora da solo contro la popolazione.
Sempre più numerosi, pertanto, sono quelli che si chiedono se l’impopolarità del loro leader non finirà per causare un divorzio tra l’esercito e il popolo. Il rischio sarebbe quello di vedere a questo punto l’ondata di protesta coinvolgere l’esercito nel “Sistema”.
Secondo voci ormai insistenti, molti dei suoi pari avrebbero indicato il Generale Gaid Salah come responsabile dell’attuale impasse politica. L’unico ostacolo alla sua estromissione sarebbe il mancato accordo sul nome del successore. Dato il clima attuale, la difficoltà è in realtà quella di trovare un generale estraneo e al di sopra degli intrighi del Serraglio e quindi in grado di recuperare il consenso interno all’esercito, conseguente alla ridefinizione della collocazione di ogni clan.
Lontano dal trambusto della strada, ma con gli occhi continuamente rivolti ad essa, i giannizzeri si affannano per trovare chi può salvare il “Sistema”. Il prossimo futuro ci dirà se sono stati in grado di trovare l’ “uccello esotico”. Ma ne hanno ancora la possibilità?
Bernard Lugan

Conflitto politico e conflitti di poteri. Ne parla il professor Augusto Sinagra

Si torna ancora una volta sulla vicenda della gestione dei flussi di immigrati clandestini. Con l’insediamento di Matteo Salvini al Ministero degli Interni si è cominciato, nel caso Diciotti, con una contestazione della Procura di Agrigento e un tentativo di mettere sotto inchiesta il Ministro. Si è proseguito, nel caso di sbarchi successivi, con uno stillicidio di provocazioni da parte soprattutto del Ministro della Difesa e di una componente del M5S favorevoli alla raccolta di profughi addirittura in acque libiche o di altra nazionalità. L’azione giudiziaria verso i “soccorritori compiacenti” superstiti si è dissolta intanto in una bolla di sapone. Il terzo atto ha conosciuto un vero e proprio atto di imperio di un magistrato in opposizione alla volontà politica di un Ministro. Ne discutiamo con il professor Augusto Sinagra_Giuseppe Germinario

1 – Internet, vettore di potere degli Stati Uniti?, di Laurent Bloch

Internet, vettore di potere degli Stati Uniti?

1 – Egemonia degli Stati Uniti su Internet

Di  Laurent BLOCH , 23 marzo 2017  Stampa l'articolo  lettura ottimizzata  Scarica l'articolo in formato PDF

Precedentemente responsabile dell’informatica scientifica presso l’Institut Pasteur, direttore del sistema informativo dell’Università Paris-Dauphine. È autore di numerosi libri sui sistemi di informazione e sulla loro sicurezza. Si dedica alla ricerca nella cyberstrategia. Autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti”, ed. Diploweb 2017.

Laurent Bloch ci spiega in questo primo capitolo cos’è Internet, il controllo degli standard e della governance, il dominio delle infrastrutture e delle industrie.

Diploweb.com , pubblica questo libro di Laurent Bloch, Internet, vettore del potere degli Stati Uniti? per fornire a tutti gli elementi necessari per una corretta valutazione della situazione. Questo libro è già disponibile su Amazon in formato digitale Kindle e in formato cartaceo stampato . Sarà pubblicato qui come una serie, capitolo per capitolo, ad una velocità di circa uno per trimestre.

Stiamo vivendo oggi una rivoluzione, la terza rivoluzione industriale, che chiamerò rivoluzione ciberindustriale; crea un nuovo spazio, il cyberspazio, che si basa su Internet (il concetto di rivoluzione industriale è esposto per esempio qui ). Fino ad ora gli Stati Uniti hanno esercitato in questo spazio una dominazione egemonica che è un vettore sempre più essenziale della loro politica di potere; questo libro esamina le sorgenti di questo potere, l’opposizione e la rivalità che potrebbe affrontare le condizioni di sostenibilità, aree in cui questa egemonia si esercita. Vedremo che per quanto appaiano in posizione di dominio gli Stati Uniti hanno punti deboli, e anche rivali hanno i loro punti di forza.

1 - Egemonia degli Stati Uniti su Internet
Laurent Bloch, autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti?”, Ed. Diploweb via Amazon
Laurent Bloch spiega con pedagogia e precisione la geopolitica di Internet.

Cos’è Internet?

Genesi di un progetto

Internet è stato inventato negli Stati Uniti dagli americani (con l’aiuto di alcuni europei), tutti sono d’accordo. Prima di internet c’era ARPAnet nel 1969, che non è nato come spesso si crede per uso militare, ma piuttosto per semplificare la comunicazione tra università e centri di ricerca sotto contratto con l’ Advanced Research Projects Agency (ARPA)  [ 1 ] . La transizione da ARPAnet a Internet può essere datata dal 1984, con la crescente importanza della rete della National Science Foundation, NSFnet e l’apertura di collegamenti internazionali. L’apparizione del Web (1993) e la successiva apertura della rete ad uso commerciale e ad usi particolari ha innescato una rapidissima espansione sino a raggiungere la situazione attuale in cui Internet è la spina dorsale dell’economia, della cultura e della politica mondiale. Possiamo ancora dire che questa spina dorsale è americana? Dare alcuni elementi di risposta a questa domanda è l’oggetto di questo libro.


Un libro pubblicato da Diploweb.com, Kindle e formato tascabile


Natura tecnica di Internet

Internet è basato su protocolli di comunicazione TCP / IP  [ 2 ] , sviluppati nel 1973 da Vinton Cerf e Robert Kahn, con notevoli contributi europei, come l’invenzione del datagramma  [ 3 ] di Louis Pouzin. La generalizzazione del TCP / IP nella rete inter-universitaria statunitense sotto la supervisione della National Science Foundation(NSF) è stata attiva solo nel 1984. L’Internet aperto, come lo conosciamo, è nato nel 1994, poco dopo il primo browser Web apparso nel 1993, quando l’NSF rinunciò a controllare i suoi usi, che potrebbero quindi essere personali, accademici, commerciali, ecc. È anche la data dell’allargamento internazionale e l’ascesa che conduce all’ubiquità attuale.

Domain Name System (DNS)

I protocolli TCP / IP sono stati completati nel 1983 da un importante dispositivo tecnico, il Domain Name System (DNS), che è la directory di Internet: un nome di dominio in modo che www.diploweb.comcorrisponda all’indirizzo di rete del server del sito in questione, proprio come la rubrica telefonica corrisponde al nome di un abbonato con il suo numero di telefono. Il DNS è un database distribuito su tutto il pianeta e aggiornato automaticamente. La radice DNS fornisce gli indirizzi dei server di domini di primo livello, come quelli che corrispondono ai nomi dei paesi (.fr per la Francia .be per il Belgio, .dz per l’Algeria …) o i cosiddetti domini generici (.com, .org, .edu, .info). Il possesso di un nome di dominio di primo livello è una questione importante per un paese o di un’organizzazione non governativa; la sua attribuzione si fa sotto il controllo di ICANN(ICANN), un organismo del quale analizzeremo l’importante ruolo politico nelle pagine seguenti.

Controllo degli standard e governance

L’apertura internazionale della rete e la sua espansione eccezionalmente rapida sono state possibili senza l’istituzione di un’amministrazione centralizzata, grazie ai suoi principi tecnici altamente innovativi, prima di tutto un protocollo con datagrammi, IP e una directory distribuita in automatico, il DNS. Ma i suoi principi di organizzazione amministrativa, ben adattati ai principi tecnici, hanno anche svolto il loro ruolo in questo successo tanto imprevedibile quanto smisurato.

Internet rimane una rete di reti, il cui funzionamento è regolato da standard stabiliti da organizzazioni aperte a tutti i casi in cui le decisioni sono prese per consenso dopo una discussione generale; non esiste un’organizzazione gerarchica, nulla assomiglia a una direzione generale di Internet. Un’organizzazione così flessibile e priva di autorità centrale proibisce giochi di potere e dominio egemonico? Nulla è meno certo, come vedremo.

In effetti, c’è uno iato sempre più stridente tra l’ideologia delle origini di Internet, libertaria e orientata verso la libera condivisione della cultura e della conoscenza nel modo usuale per gli accademici, e la sua attuale realtà industriale che la rende la colonna vertebrale e il sistema nervoso dell’economia mondiale, con le conseguenti conseguenze mercantili.

Tutti gli organi di governo di Internet, tra cui l’ICANN, che controlla l’attribuzione dei nomi di dominio di primo livello, erano originariamente specificamente americani e non riguardavano l’esistenza di altri paesi. Questa situazione si è evoluta man mano che Internet si diffondeva al di fuori degli Stati Uniti, principalmente in Europa, nelle università e nei centri di ricerca. Così il francese Christian Huitema è stato il primo presidente non americano di Internet Architecture Board (IAB) dall’aprile 1993 al luglio 1995.

Nella misura in cui gli Stati Uniti sono il maggiore contributore all’infrastruttura tecnica e finanziaria che sostiene il funzionamento di Internet, il suo peso è largamente dominante, in particolare attraverso il canale dell’ICANN che è l’organo con il ruolo politico più significativo e quindi più discutibile.

Nel marzo 2014 gli Stati Uniti hanno annunciato che avrebbero rinunciare al controllo esclusivo di ICANN a partire dal 2015 a favore di un modello multi-stakeholder (multi-partner). La nomina del direttore generale Fadi Chehadé nel 2012, una personalità aperta alla cooperazione internazionale, è sembrata auspicabile per questo sviluppo. Ma Fadi Chehadé ha lasciato il suo posto a marzo 2016 e il futuro di ICANN sembra piuttosto oscuro. Sembra improbabile che gli Stati Uniti rinuncino spontaneamente al controllo esclusivo di tale posizione strategica.

A partire dal 11 settembre 2016, l’amministrazione Obama persisteva nella sua intenzione di cedere il controllo di ICANN, ma con un grande rischio di essere smentita da parte del Congresso e del Senato  [ 4 ] .

Al 10 dicembre 2016, la posizione del presidente eletto Donald Trump sulla questione non è stata ancora specificata, ma ICANN ha tenuto nel marzo 2016 a Marrakech una sessione ICANN55  [ 5 ]  [ 6 ] dedicata in particolare alla “transizione IANA” e con l’aggiunta di un comitato consultivo governativo  [ 7 ](GAC), la fraseologia dei comunicati finali evoca irresistibilmente quella dei congressi dei partiti comunisti cinesi o sovietici del periodo. Ma queste buone parole non chiariscono molto la domanda.

Dominio di infrastrutture e industrie

La posizione dominante degli Stati Uniti nel forum Internet e nel suo ecosistema più ampio non si basa solo su una priorità cronologica e sulle cariche istituzionali che essa conferisce, ma anche su un’egemonia industriale la cui perennità non è garantita, specialmente di fronte al progresso cinese, come vedremo nelle pagine seguenti.

La maggior parte dell’infrastruttura di Internet è costituita da reti in fibra ottica che forniscono collegamenti a lunga distanza  [ 8 ] e centri di interconnessione tra reti di diversi operatori, gli Internet Exchange Points (IXP). Queste infrastrutture sono di solito di proprietà di uno o più operatori, generalmente definiti Internet Service Provider (ISP). Si noti che la posa sottomarina di fibre ottiche è una delle aree di questo ecosistema in cui la Francia occupa una buona posizione.

Oltre alla realizzazione di queste infrastrutture, la base industriale di Internet consiste principalmente nella progettazione e produzione di apparecchiature di trasmissione e commutazione, tra le quali i più emblematici sono i router, che sono gli switch della rete  [ 9 ] . Vedremo che l’industria di questi materiali attivi è dominata dalle imprese americane minacciate dai produttori cinesi, mentre gli attuali sviluppi tecnologici potrebbero aprire questo mercato a nuovi attori.

Studieremo queste questioni industriali in modo più dettagliato nel capitolo Infrastrutture e mezzi di produzione del cyberspazio.

Per saperne di più: 2 – Un nuovo spazio strategico, il cyberspazio

Copyright 2017-Bloch / Diploweb.

introduzione http://italiaeilmondo.com/2019/04/19/introduzione-a-geopolitica-e-internet-di-laurent-bloch/

MIGRAZIONE SOSTITUTIVA: E’ UNA SOLUZIONE PER IL DECLINO E L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE?_ a cura di Gianfranco Campa

Qui sotto la traduzione della parte del rapporto delle Nazioni Unite riguardante la situazione e le proiezioni delle dinamiche demografiche riguardanti l’Italia. L’apparente oggettività delle proiezioni statistiche tende quasi sempre a rappresentare come inevitabili se non addirittura auspicabili gli attuali processi di mobilità demografica, in particolare i complessi fenomeni delle migrazioni, frutto in realtà di politiche. Come ogni interpretazione, anche le proiezioni statistiche si fondano sempre e comunque su delle ipotesi. E’ indubbio che in quasi tutte le società occidentali, ma anche in Cina e in Giappone, il costante e drammatico calo di fertilità in corso ormai da più di un decennio sta creando una voragine nell’indispensabile ricambio generazionale e nel mantenimento di un ragionevole rapporto tra popolazione attiva e in quiescenza. Il dato statistico, però, sta diventando un’arma che impedisce di considerare le cause del fenomeno, di individuare le possibili soluzioni, di adottare eventuali misure compensative, di evidenziare gli acceleratori di queste dinamiche. L’Italia è uno dei paesi che soffre maggiormente del processo di invecchiamento. E’ anche il paese, però, che soffre di un grave problema di emigrazione, specie delle leve più giovani e qualificate; di un tasso di occupazione specie di giovani e femminile largamente inferiore alla gran parte dei paesi industrializzati; di una economia industriale e dei servizi estesa ma organizzativamente e tecnologicamente piuttosto arretrata. E la tecnologia e il modello organizzativo sono strumenti utili a compensare i limiti fisici di una popolazione sempre più anziana. L’andamento demografico inoltre è legato al patrimonio culturale e alla rappresentazione ideologica dominante in una formazione sociale. Di fatto esso, di conseguenza la natalità stessa, è il riflesso delle caratteristiche di una formazione sociale e delle capacità e delle ambizioni di una classe dirigente in grado di tracciare, offrire e realizzare una prospettiva ambiziosa e realistica di forza, autorevolezza e sviluppo di un paese. Sarebbe bene iniziare a utilizzare gli strumenti statistici in funzione di questo piuttosto che dell’accettazione fatalistica di tendenze deleterie per il paese ma utili a procrastinare il dominio delle nostre siffatte classi dirigenti così decadenti e servili; tanto accoglienti nella loro retorica quanto inadeguate di fatto a gestire il problema dell’immigrazione specie di popolazioni dal bagaglio culturale e ideologico così distante e, spesso, ostile rispetto ai paesi ospitanti._Giuseppe Germinario

NB_ le statistiche e i grafici sono disponibili sui link originali

 

 

MIGRAZIONE SOSTITUTIVA: E UNA SOLUZIONE PER IL DECLINO E L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE?

 

Le proiezioni di studio delle Nazioni Unite indicano che nei prossimi 50 anni, le popolazioni di quasi tutti i paesi europei e quella giapponese dovranno affrontare il declino e l’invecchiamento della popolazione. Le nuove sfide del declino e dell’invecchiamento della popolazione richiederanno una revisione completa di molte politiche e programmi tradizionalmente consolidati, compresi quelli relativi alla migrazione internazionale.

Concentrandosi su questi due sorprendenti e critici trend sulle popolazioni, allo studio contenuto nel rapporto, si consiglia la migrazione sostitutiva per otto paesi a bassa fertilità (Francia, Germania, Italia, Giappone, Repubblica di Corea, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti) e in generale due regioni geografiche (Europa e Unione Europea). La migrazione sostitutiva si riferisce alla migrazione internazionale di cui un paese avrebbe bisogno per compensare il declino e l’invecchiamento della popolazione a causa della bassa fertilità e dei tassi di mortalità.

 

3.Italy

 

(a) Tendenze passate.

Il tasso di fertilità totale in Italia è passato da 2,3 nel 1950-1960 a 2,5 nel 1960-1970 e da allora è in costante calo. È sotto il livello di ricambio generazionale dal 1975 e nel 1995-2000 è stato stimato a 1,20 figli per donna, uno dei tassi di natalità più bassi del mondo. Dal 1950, la mortalità è diminuita costantemente, con un conseguente aumento dell’aspettativa di vita per entrambi i sessi da 66,0 anni nel 1950-1955 a 77,2 anni nel 1990-1995. Nonostante un’immigrazione annua stimata annua di 70.000 nel 1995-2000, la popolazione italiana è diminuita nel periodo 1995-2000. Tra le conseguenze di questi cambiamenti demografici c’era il più che raddoppiamento della percentuale della popolazione di oltre 65 anni, dall’8,3% della popolazione nel 1950 al 16,8% nel 1995.

Come conseguenza di questi cambiamenti, il potenziale indice di sostegno per l’Italia è diminuito da 7.9 persone di età compresa tra 15 e 64 anni per ogni persona di oltre 65 anni nel 1950 a 4.1 nel 1995.

(b) Scenario I

Questo scenario, che è la variante media della Revisione delle Nazioni Unite del 1998, presuppone che ci saranno 660.000 immigrati netti tra il 1995 e il 2020, dopo di che non ci sarà più alcuna migrazione verso l’Italia. In questo scenario, la popolazione italiana diminuirebbe del 28%, passando da 57,3 milioni nel 1995 a 41,2 milioni nel 2050 (i risultati delle proiezioni delle Nazioni Unite del 1998 sono riportati nelle tabelle allegate). La popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni diminuirebbe del 44% nello stesso periodo, mentre la popolazione oltre i 65 anni aumenterebbe del 49%, da 9,6 milioni a 14,4 milioni. Le persone di età pari o superiore a 65 anni rappresenterebbero più di un terzo della popolazione italiana entro il 2050. Di conseguenza, il potenziale indice di sostegno diminuirebbe del 63%, da 4,1 nel 1995 a 1,5 nel 2050.

(c) Scenario II

Scenario II, che è la variante media con migrazione zero, ipotizza che la fertilità e la mortalità cambieranno in base alle proiezioni di variante media della Revisione delle Nazioni Unite del 1998, ma che non ci sarà alcuna migrazione in Italia dopo il 1995. I risultati sono molto simili a quelli dello scenario I. La popolazione italiana nel 2050 sarebbe 40,7 milioni, solo 475.000 persone in meno rispetto allo scenario I. Ci sarebbero rispettivamente 21,6 milioni e 14,2 milioni di persone di età compresa tra 15-64 e 65 anni, nel 2050. Come nello scenario I, il potenziale indice di sostegno diminuirà del 63% passando da 4,1 nel 1995 a 1,5 nel 2050.

(d) Scenario III

Si presume, per lo scenario III, che tra il 1995 e il 2050 la popolazione totale dell’Italia rimarrà costante nella sua dimensione del 1995 di 57,3 milioni di persone. Un totale di 12,9 milioni di migranti netti tra il 1995 e il 2050 sarebbe necessario per raggiungere questo obiettivo. L’immigrazione netta annuale aumenterebbe costantemente da 75.000 nel 1995-2000 a 318.000 nel 2045-2050. In questo scenario, entro il 2050 un totale di 16,6 milioni di persone, pari a circa il 29% della popolazione, sarebbero immigrati post-1995 o loro discendenti.

(e) Scenario IV

Questo scenario ipotizza che la popolazione italiana tra 15 e 64 anni rimarrebbe costante al livello del 1995 di 39,2 milioni, arrestando il calo delle dimensioni di questa fascia di età. Per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessari 19,6 milioni di immigrati tra il 1995 e il 2050. Il numero medio annuo di migranti lo farebbe variare, raggiungendo un picco di 613.000 persone all’anno tra il 2025 e il 2030 e poi abbassandosi a 173.000 all’anno nel 2045-2050. In base a questo scenario, la popolazione italiana crescerebbe del 16% passando da 57,3 milioni nel 1995 a 66,4 milioni nel 2050. Entro il 2050, il 39% della popolazione sarebbe stata costituita da migranti post-1995 o da loro discendenti. Il potenziale indice di sostegno diminuirà da 4,1 nel 1995 a 2,2 nel 2050.

(f) Scenario V

Scenario V non consente al potenziale rapporto di proporzione di scendere al di sotto del valore di 3.0. Per raggiungere questo obiettivo, non sarebbero necessari immigrati fino al 2010, e tra il 2010 e il 2040 sarebbero necessari 34,9 milioni di immigrati, una media di 1,2 milioni all’anno in quel periodo. Entro il 2050, su una popolazione totale di 87,3 milioni, 46,6 milioni, ovvero il 53%, sarebbero gli immigrati post-1995 o  loro discendenti.

(g) Scenario VI

Lo Scenario VI mantiene il potenziale indice di supporto al livello di 4.08 del 1995. Sarebbe necessario un totale di 120 milioni di immigrati tra il 1995 e il 2050 per mantenere questo rapporto costante, con una media complessiva di 2,2 milioni di immigrati all’anno. La popolazione italiana risultante nel 2050 in questo scenario sarebbe 194 milioni, più di tre volte la dimensione della popolazione italiana nel 1995. Di questa popolazione, 153 milioni, ovvero il 79%, sarebbero immigrati post-1995 o loro discendenti.

(h) Ulteriori considerazioni

Nel 1995-2000, il tasso di crescita della popolazione italiana era stimato a -0,01%. Questo calo della popolazione era previsto nonostante un’immigrazione netta di 70.000 persone all’anno. Il numero di stranieri nati in Italia è quasi raddoppiato, da 821.000 nel 1965 (1,6 per cento della popolazione totale) a 1,5 milioni nel 1995 (2,7 per cento della popolazione). Secondo lo scenario III, per mantenere la popolazione italiana in declino rispetto alle dimensioni del 1995, i flussi migratori annuali dovrebbero essere, in media, più grandi di tre volte tra il 1995 e il 2050 rispetto al periodo 1990/1995. Per mantenere la popolazione di l’età lavorativa in declino richiederebbe più di cinque volte il livello annuale di migrazione 1990-1995. Inoltre, per gli scenari III e IV, la proporzione della popolazione italiana nel 2050 che sarebbe costituita dagli immigrati post-1995 o dai loro discendenti, rispettivamente 29% e 39%, è più di 10 volte la proporzione di popolazione nata nel 1995. La figura 13 mostra, per gli scenari I, II, III e IV, la popolazione italiana nel 2050, indicando la quota che comprende i migranti post-1995 e i loro discendenti.

I cambiamenti demografici sono ancora maggiori nello scenario VI. Questo scenario richiede oltre il doppio di immigrati tra il 1995 e il 2050 come popolazione totale del 1995 nel paese. Inoltre, quasi i quattro quinti della risultante 2050 popolazione di 194 milioni sarebbero costituiti da immigrati post-1995 o dai loro discendenti.

In assenza di migrazione, i dati mostrano che sarebbe necessario aumentare l’età lavorativa a 74,7 anni per ottenere un rapporto di supporto potenziale di 3,0 nel 2050. Mantenere nel 2050 il rapporto del 1995 di 4,1 persone in età lavorativa per ogni persona anziana l’età lavorativa passata richiederebbe un aumento del limite superiore della durata dell’età lavorativa a 77 anni entro il 2050. Aumentare i tassi di attività della popolazione, se fosse possibile, sarebbe solo un palliativo parziale al declino del tasso di sostegno dovuto all’invecchiamento . Se i tassi di attività di tutti gli uomini e donne di età compresa tra 25 e 64 dovessero aumentare fino al 100 per cento entro il 2050, ciò rappresenterebbe solo il 30 per cento della perdita nel rapporto di sostegno attivo risultante dall’invecchiamento della popolazione.

https://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/ageing/replacement-chap4-it.pdf

https://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/ageing/replacement-at-it.pdf

 

IDEOLOGIA VERDE E POLITICA, di Vincenzo Cucinotta

Parto da lontano, ponendomi la domanda di quale sia la questione centrale della politica.

Non avrei dubbi, la questione al centro della politica è quella che riguarda il potere, chi ha il potere, in quali forme lo esercita, quali conseguenze pratiche ha sui modi di convivenza di quella società.

Affermando ciò, non intendo certo delimitare la politica a questo ristretto ambito, ma invece ricordare che ogni ipotesi strategica che non sia in grado di affrontare questa questione di fondo finisce per restare in un ambito che potremmo chiamare prepolitico.

Aggiungo che molte volte non c’è bisogno di entrare esplicitamente nel merito di questo fondamentale aspetto perchè esso appare scontato, ma credo sia buona norma ritornarci almeno di tanto in tanto per verificare se, magari seguendo un evento dell’attualità politica, non si finisca per trascurarlo finendo con l’uscire proprio dall’ambito politico.

Questa premessa risulta tanto più necessaria quando si parla di ambientalismo.

Il fatto è che l’ecologia risulta essere la scienza più difficile che ci sia, richiedendo così una pluralità di competenze, assieme alla necessità di raccogliere una gran mole di dati. Ciò porta automaticamente a una centralizzazione degli studi e di conseguenza della sede delle decisioni.

Se aggiungiamo a questo fatto obiettivo e sostanzialmente inevitabile gli enormi interessi che gravitano sulle politiche ambientali, tali che un dato provvedimento legislativo può determinare arricchimenti o impoverimenti formidabili, si capisce come l’attenzione di chi detiene il potere economico verso queste tematiche sia asfissiante e determini strategie di controllo ben più sofisticate della narrazione comune che vorrebbe che i capitalisti vogliano semplicemente negare i problemi ecologici, cosa forse vera in un passato nel quale se ne sapeva molto di meno a livello scientifico e figuriamoci poi a livello di cosiddetta opinione pubblica. Adesso, tanto per fare un semplice esempio, i produttori automobilistici potrebbero ben essere interessati a una conversione verso le auto elettriche, perchè porterebbe certamente a una maggiore obsolescenza delle attuali automobili a combustibile fossile e quindi aprire a un possibile aumento del ritmo di produzione di nuove autovetture.

Con tali premesse, ditemi chi potrebbe fidarsi di questi centri mondiali di studi scientifici. E’ evidente che uno scienziato non è un santo, e i rischi di corruzione sono oggettivamente enormi. Inoltre, data la complessità di questi studi come dicevo all’inizio, utilizzare l’enorme mole di dati accumulati in un modo piuttosto che in un altro, utilizzare un modello piuttosto di un altro, consente di confondere un caso esplicito di corruzione con una valutazione errata dei dati. Nè d’altra parte è possibile escludere clamorosi errori, anche dovuti ad esempio alla presenza di un fattore ignoto che viene tralasciato.

E’ per questo che testardamente continuo a insistere su un punto, che porre alla ribalta i problemi ambientali non solo non aiuta a risolverli, ma addirittura, visto il controllo sostanzialmente monopolistico dei media da parte di questa ristretta elite finanziaria, serve a fare confusione.

La vicenda di Greta del resto in questo senso è emblematica. Essa dice agli adulti “avete creato danni ambientali e siamo molto incazzati, ora dovete fare qualcosa per riparare”.

Cosa vi colpisce in questa espressione? Che Greta non mette minimamente in dubbio la sede del potere, si affida anzi esplicitamente a questi, anche se sotto la forma della pretesa imperiosa.

La cosa colpisce, perchè come puoi affidare la soluzione del problema proprio a coloro che l’hanno creato? Che senso ha dare agli assassini la delega a condurre le indagini e a comminare le sanzioni necessarie?

Cosa osserviamo? Che Greta evidentemente non affronta per niente il tema principale della politica, chi deve avere il potere, con il che non fa che adeguarsi a una lunghissima tradizione ambientalista, quella di pensare che la causa dei danni ambientali è sostanzialmente dovuto a un mix di ignoranza e di eccesso di interessi privati, tale che basti un atto di buona volontà perché una politica ambientalista venga avviata.

Insomma, l’ambientalismo non viene ancora oggi considerata una vera teoria politica, come tale autonoma e autoconsistente, ma innanzitutto un problema di natura scientifica che quindi va risolto dalla stesso incontrollato sviluppo tecnologico che ne è stato la causa.

E qui veniamo a un altro enorme tematica, quella dello sviluppo tecnologico e il suo rapporto con la scienza.

Come dicevo di recente, la scienza è solo un metodo, il metodo sperimentale, quelle che chiamiamo scienze sperimentali andrebbero piuttosto chiamate discipline sperimentali. La differenza sta nel fatto che così si elimina alla radice la pretesa di far coincidere tecnologia e scienza.

Visto che d’altra parte si è diffusa questa strana tesi che la scienza sia la verità, negando così la filosofia della scienza nella sua interezza, si usa questa scienza portatrice di verità indiscutibili per giustificare e anzi imporre ogni sviluppo tecnologico, in verità trainato da interessi economici, visto che l’economia costituisce l’ordinatore supremo della società contemporanea.

In questo quadro, è quasi inevitabile che gli scienziati, e in particolare quelli ambientali per ciò che oggi significa (in verità, non si è ancora formata una generazione completa di scienziati dell’ambiente, perchè a livello accademico ogni disciplina difende gelosamente il proprio campo di interesse e l’ecologia tende a infrangere quest’ordine, invadendo tutta una serie di discipline tradizionali, così che ad esempio un chimico ambientale rimane prima di tutto un chimico) finiscano per assumere il ruolo di supremi sacerdoti. La logica sottesa è quella che dicevo, che le tematiche ambientali possano essere affrontate sotto il profilo tecnico e essendo buoni, e quindi andiamo avanti con gli scienziati da una parte, le Greta dall’altra. D’altra parte, sapete che si è diffusa l’espressione “ecosocialismo” con il che si intende che il socialismo possa essere avveduto e attento alle tematiche ambientali, e tutto automaticamente si risolverà.

Come si capisce, io sono molto critico su l’intera storia dell’ambientalismo in politica, proprio perché sono convinto che invece l’ambientalismo è una teoria politica compiuta, e che come tale è autosufficiente e alternativa ad altre politiche.

Ma torniamo alla questione dell’uso strumentale che si fa della scienza, e ciò lo riscontriamo anche in ambiti ben differenti da quelli ambientali.

Il caso che mi viene alla mente è quello dei vaccini e di personaggi come Burioni che come i giornalisti, fa il politico al 100%, ma finge di parlare da scienziato e zittisce tutti sulla base dell’autorità della scienza. Da persona che ha dedicato la propria vita alla scienza, sono sconcertato da simili atteggiamenti. La scienza sin dai suoi fondamenti filosofici, non ha nulla a che fare con la verità, e coltiva sistematicamente il dubbio , così che ogni risultato raggiunto è automaticamente di tipo provvisorio e quindi suscettibile di modifica. Invece, cosa ti fa il Burioni? Non fa scienza, fa il politico della tecnologia, e il vaccino in sè è un prodotto tecnologico e come tale è prodotto prima di tutto per tornaconto economico. Seppure c’è un contenuto di disciplina medica, questa si aggiunge a interessi economici, e a una politica complessivamente portata avanti. Nello stesso tempo, non esita a invocare l’autorità della scienza per zittire ogni genere di obiezione.

Ad esempio, questa cosa di protezione degli immunodepressi come motivazione per costringere tutti a vaccinarsi, ha veramente elementi di demenza. Mi chiedo perchè le persone sane dovrebbero eventualmente mettere a rischio la propria stessa salute per garantire quella di persone che hanno problemi loro propri. Può uno stato senza chiamarsi etico obbligare i cittadini a una generosità che appare francamente eccessiva, il potenziale sacrificio di sè come dono mi pare non possa essere richiesto come obbligo, al massimo ci sarà qualcuno che lo vorrà fare per proprie personali convinzioni. Se proprio lo stato vuole intervenire, dovrebbe farlo in senso inverso, garantendo innanzitutto la salute dei cittadini sani, non pretendendo di difendere lo stato di buona salute di chi ha qualche problema sanitario probabilmente di natura genetica, a danno di chi può e vuole fare a meno dei vaccini. E in ogni caso, questo è un campo del tutto opinabile, tipico della politica: che c’entra invocare qui l’autorità della scienza?

La mia impressione è che i media distraggano l’attenzione dal problema fondamentale, quello del potere, attraverso le più improbabili digressioni, andando dietro alla Greta di turno, e perseguano implacabilmente un disegno autoritario che passa attraverso una estrema centralizzazione. Si toglie quindi potere agli stati moltiplicando sedi internazionali che finiscono per occupare spazi decisionali a danno proprio degli stati, e non si esita a usare anche la fama comune della scienza per imporre le più diverse decisioni.

Questo pericolo mi pare particolarmente attuale proprio nell’ambito ambientale. Ci sono tutte le condizioni, prima si nega la natura politica dell’ambientalismo, i vari partiti verdi finiscono per fare i predicatori, semplicemente imponendo le conclusioni degli scienziati e pretendendo che possano costituire una politica, e così si finisce per rivolgersi agli scienziati-sacerdoti perchè ci concedano la verità. A questo punto, è fatta, gli scienziati sono facilmente controllati dal capitale che può continuare a fare i propri porci comodi, e inoltre continuando a iniettare dosi crescenti di senso di colpa a un pubblico del tutto istupidito che penserà che l’ambiente è sempre più inquinato per i suoi colpevoli comportamenti individuali.

Io mi convinco sempre più che la democrazia effettiva richieda una certa vicinanza tra rappresentanti e rappresentati, quando dipendiamo completamente da una distante equipe di scienziati per stabilire misure legislative, la democrazia è definitivamente persa.

Sono infine pervenuto alla conclusione che esiste un sovranismo anche in ambito ambientale, ovvero un localismo che ci dovrebbe permettere di prescindere dai moniti di scienziati ignoti e distanti.

Sembra un paradosso, perchè se uno stato produce troppo biossido di carbonio, il peso va a ricadere anche sugli stati che fossero virtuosi. Ciò sottintende che bruciare combustibili fossili sia una cosa che porta vantaggi, e quindi imporre ai propri cittadini di non farlo, significherebbe svantaggiarli. Se però le cose non stessero così, e non stanno così se si guarda all’ambientalismo come una teoria complessiva e non come uno specifico tema trattabile all’interno di qualsiasi sistema di governo, allora lo stato che iniziasse a fare una vera politica ambientalista potrebbe divenire un modello imitabile da altri.

Ma la temperatura media della terra sta davvero aumentando? In effetti non possiamo essere certi che sia così, visto che non possiamo controllare l’intero procedimento richiesto per pervenire a questo dato. Però qualcosa la possiamo sapere egualmente, ad esempio il fatto che la temperatura superficiale del mediterraneo è certamente aumentata, fatto confermato da un cambiamento di flora e fauna. Tale aumento sta provocando variazioni climatiche che non possono essere ignorate, almeno qui dove vivo. Abbiamo avuto il 4 gennaio del 2018 un vero e proprio uragano con punte di velocità superiori ai 140 km/h, cosa che a memoria d’uomo non si è mai prima verificato, e da allora sembra sia intervenuta una modifica permanente nel regime dei venti, prima sempre deboli in questa specifica zona, mentre quest’anno, pur senza raggiungere questi estremi, abbiamo avuto, mi pare a fine febbraio un vento intenso che non si è chetato per circa 48 ore. Queste osservazioni, che naturalmente non implicano alcuna conclusione sul clima globale, ci dicono che la temperatura localmente è di certo aumentata, e che sembra ragionevole tentare di ridurre questo aumento con i mezzi disponibili, cioè intervenendo sui fattori che controlliamo, senza per questo dovere attendere chissà quale sentenza degli scienziati. Poi, ovviamente, nulla osta a convocare una conferenza dei paesi del mediterraneo e proporre a tutti di prendere provvedimenti simili a quelli che si vogliono introdurre nel proprio paese, e quindi in una logica di accordi multilaterali, ma senza delegare a un’incontrollabile unità centrale l’autorità di definire cosa dobbiamo fare.

E’ ovviamente un approccio del tutto nuovo e che andrebbe meglio approfondito, spero di avervi fatto cosa gradita nel proporvelo allo stato di elaborazione a cui sono giunto.

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