Andare a pezzi lentamente… E poi? _ AURELIEN

Andare a pezzi lentamente…
E poi?

AURELIEN
30 AGO 2023
Vi ricordo che le versioni spagnole dei miei saggi sono ora disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni in italiano e la prossima settimana apparirà una traduzione in francese di uno dei miei recenti saggi. Italia e il Mondo ha recentemente pubblicato una mia intervista, in inglese e in italiano. Grazie a tutti i traduttori. Passiamo ora all’argomento principale.

Di recente ho scritto diverse volte sulla probabilità e sulle conseguenze del collasso dello Stato e della società, e questo ha generato una serie di commenti su quanto a lungo i governi possano sopravvivere, e persino se altre forze, come le imprese multinazionali, possano in qualche modo sostituirli. Ho quindi pensato che valesse la pena di esporre alcune idee su tutto questo in modo un po’ più dettagliato.

Inizierò con una citazione di Max Weber che ho già usato in passato ma che, come molte altre sue parole, merita di essere ripetuta. Proviene dalla sua conferenza del 1919 su La politica come vocazione, in cui definisce uno Stato come una

“una comunità umana che (con successo) rivendica il monopolio dell’uso legittimo della forza fisica all’interno di un determinato territorio”.

Ora, la maggior parte delle persone conoscerà almeno vagamente questa citazione, ma merita un piccolo studio attento. Si noti, ad esempio, che la rivendicazione deve avvenire a nome di una “comunità” (Gemeinschaft), non solo di un piccolo gruppo casuale. Questo gruppo deve essere identificato con un determinato territorio, invece di essere solo una banda di predoni, e il suo uso della forza fisica deve essere accettato come “legittimo” – un punto su cui tornerò. Si noti anche che per “forza fisica” (Gewalt) Weber non intende solo la violenza palese, ma tutte le forme di potere e coercizione. Chiarisce che questo monopolio non è l’unico requisito per essere uno Stato (anche se è necessario) e continua a sostenere che questo monopolio non riguarda solo l’uso della forza in sé, ma anche la capacità di dire, attraverso leggi e procedure, quale uso della forza è legittimo e quale no.

Quindi, qualsiasi entità che volesse davvero sostituirsi a uno Stato esistente, anche solo in parte, dovrebbe cercare di soddisfare questi criteri. Il più importante non è solo rivendicare il monopolio della forza legittima in un determinato territorio, ma farlo con successo: cioè far sì che la sua rivendicazione sia generalmente accettata. Ma come può accadere? E che cos’è la legittimità? In questo caso il dizionario non ci aiuta molto, perché si scopre che “legittimità”, come “legale”, deriva in ultima analisi dalla parola latina lex che significa “legge”. Quindi una cosa è legittima se è legale, il che si avvicina molto a un’argomentazione circolare e induce a pensare che molto dipende da chi fa la legge. In ogni caso, non ci aiuta molto a capire perché la gente comune dovrebbe considerare qualcosa legittimo (cioè degno di rispetto e obbedienza) solo perché c’è una legge che lo riguarda. Anche se accettiamo il fatto che i concetti romani originari di diritto ponevano molta enfasi sulla tradizione e sulla consuetudine, l’argomento diventa semplicemente che l’uso della forza è considerato legittimo finché è usato secondo la tradizione e la consuetudine. Il che può anche andare bene, ma per definizione non può affrontare situazioni di crisi o di discontinuità, o la comparsa di nuovi attori.

Quindi la prima domanda è come definire la “legittimità” in un senso diverso da quello tautologico. Anche Weber ci ha provato, distinguendo tre tipi di autorità, che useremo qui come surrogato della legittimità. Il primo è quello tradizionale. Le persone obbediscono e considerano legittimi i comandi perché sono abituate a farlo, perché la loro società lo ha sempre fatto, o perché sono impartiti in nome di una figura come un monarca, con una legittimità tradizionale, o da una figura che è convenzionalmente considerata in grado di dare ordini legittimi. Gran parte della società funziona in questo modo. Un arbitro di calcio, un vigile urbano o una guardia di sicurezza hanno diversi tipi e gradi di legittimità, e alcuni hanno la capacità di costringere all’obbedienza: un arbitro può obbligare un giocatore a lasciare il campo, per esempio.

Il secondo tipo è quello carismatico. Questo tipo di legittimità e autorità è sempre legato a un individuo, per di più “distinto dagli uomini comuni e trattato come dotato di poteri o qualità soprannaturali, sovrumane o almeno specificamente eccezionali”. Notate l’uso attento della parola “trattato”: è il modo in cui queste persone vengono percepite che conferisce loro autorità e legittimità, non ciò che necessariamente sono intrinsecamente. Tali individui sono rari, ma includono il leader ispiratore, che può non essere la persona più anziana o prestigiosa, ma che viene percepito dagli altri come dotato delle qualità legittimanti di risolutezza e fermezza d’intenti. Naturalmente, essere carismatici e avere ragione possono essere due cose diverse, come la storia dimostra a sufficienza.

Il terzo tipo era quello razionale/giuridico e in questo caso la differenza fondamentale è che la legittimità non è legata agli individui, alle loro qualità personali o anche alla loro particolare indipendenza di giudizio. La legittimità deriva dall’esercizio di una funzione per la quale si è qualificati e retribuiti, nell’ambito di una struttura che a sua volta è stata istituita in base a leggi e procedure riconosciute e che ha ricevuto una serie di missioni da svolgere. Quindi, il poliziotto che vi chiede di allontanare la vostra auto dal luogo di un incidente per permettere all’ambulanza di parcheggiare, lo fa in virtù dell’autorità di cui è investito e a cui è delegato qualsiasi agente di polizia che si trovi a passare, non per le speciali virtù di giudizio che può possedere. Per estensione, l’autorità razionale/legale si applica solo in situazioni in cui l’attore interessato ha il diritto di fare o chiedere qualcosa: nessun poliziotto può dirvi di infrangere la legge, per esempio.

Il contrasto tra questi tipi di autorità è tanto più forte nell’originale perché Weber scriveva nel contesto del cosiddetto Rechtstaat, meglio tradotto come “Stato di diritto”, e di fatto cognato con il francese État de droit. In questa situazione, nessun attore dello Stato può fare nulla a meno che non sia in grado di indicare una legge o un decreto che gli dia specificamente il diritto di farlo, e le differenze di funzioni tra le diverse parti dello Stato hanno la forza del diritto. La tradizione anglosassone dello Stato di diritto, anche se a volte viene paragonata a queste due, è concettualmente molto diversa. Tuttavia, è giusto dire che in tutte le società un tipo di autorità, e quindi un tipo di legittimità, deriva dal corretto svolgimento di procedure riconosciute e accettate.

Tuttavia, nonostante l’uso della parola “forza” (a volte la traduzione preferita è “violenza”), manca il senso di una vera e propria costrizione fisica delle persone che non vogliono obbedire o che fanno resistenza attiva. In realtà, nemmeno lo Stato più repressivo passa tutto il tempo a cercare e distruggere fisicamente l’opposizione. Nella maggior parte dei casi, anche gli Stati considerati repressivi lasciano in pace i cittadini finché non sfidano apertamente la loro autorità. Spesso hanno comunque poca scelta: la temuta Gestapo del Terzo Reich, ad esempio, non ha mai avuto più di 30.000 effettivi anche al suo apice. Per la sua efficacia (o almeno per le sue attività) dipendeva in gran parte da denunce anonime e da ausiliari part-time.

La legittimità, quindi, è un fenomeno complesso che non si limita allo status giuridico formale da un lato, né alla repressione bruta dall’altro. È in parte una questione di abitudine, in parte una questione di pressione sociale, in parte una questione di intimidazione, ma in parte anche una questione di cooperazione per la sopravvivenza del gruppo. Sembra che i funzionari del partito nazista si siano occupati delle precauzioni contro i raid aerei in Germania durante i bombardamenti alleati, ma è improbabile che la popolazione obbedisse ai loro ordini solo per paura di rappresaglie. In linea di massima, quindi, la legittimità moderna è una sorta di accordo pragmatico tra le persone e i gruppi che la rivendicano, e in un certo senso è sempre stato così. Anche ai tempi in cui la legittimità proveniva da un dio (o addirittura da Dio) il patto non era solo unilaterale. Il modello tradizionale di governo, dai classici confuciani alle opere di Shakespeare, imponeva al governante l’obbligo di governare correttamente o di affrontare la rivolta popolare e la sostituzione con una figura più legittima. Si pensi ai sanguinosi finali di Macbeth e Riccardo III.

Ho sostenuto più volte che la domanda fondamentale in politica è: chi mi proteggerà? E la capacità di proteggere i propri cittadini è fondamentale per la legittimità di qualsiasi Stato o di qualsiasi struttura che rivendichi prerogative statali. Questo ha importanti conseguenze per il mondo in cui probabilmente ci stiamo muovendo. In molte società occidentali lo Stato ha sempre più difficoltà a fornire il livello di protezione pubblica che era considerato normale cinquant’anni fa. Con questo non intendo dire che cinquant’anni fa lo Stato era presente ovunque con la forza armata, e non lo è adesso. In effetti, è vero il contrario: l’abbrutimento della società in seguito al liberismo sfrenato e alla globalizzazione incontrollata ha prodotto problemi di criminalità che persino il potere coercitivo massicciamente maggiore degli Stati moderni non è in grado di controllare, nemmeno quando i governi sono disposti a provarci.

Da decenni ormai, le aree di povertà e di forte immigrazione in molte città occidentali sono lasciate a marcire. I tentativi di far rispettare la legge in queste comunità non sono considerati degni dei problemi che potrebbero derivarne, e più a lungo il problema viene lasciato, più si aggrava. Le forze dell’ordine disponibili sono nelle mani di bande criminali, di solito coinvolte nel traffico di droga. Il risultato è che tutti coloro che possono lasciare queste aree lo fanno e il loro posto viene preso da ondate sempre più disperate di nuovi immigrati, pronti a essere sfruttati a loro volta. Per le bande, lo Stato in tutte le sue manifestazioni è semplicemente un nemico. Per il resto della popolazione, lo Stato è un traditore che non li protegge e non si prende più cura di loro.

Tuttavia, la convinzione delle élite occidentali che tali problemi possano essere ordinatamente contenuti in aree recintate non sembra più essere vera come un tempo. Alcuni centri urbani stanno già diventando pericolosi di notte. Se arrivate in una grande città europea in questi giorni, l’hotel vi consiglierà dove non andare, dove non fare tardi e dove prendere un taxi per tornare dal ristorante: cose che una generazione fa sarebbero state impensabili. I ristoranti e i bar chiudono per paura della violenza e perché il personale non si sente sicuro nel tornare a casa a tarda notte. Inevitabilmente, questo si ripercuote sulla legittimità percepita dello Stato, che si è dimostrato incapace di svolgere il proprio dovere di protezione. Una conseguenza è che i partiti politici che promettono di fare qualcosa per riconquistare la legittimità dello Stato (generalmente codificati come “estrema destra”) aumentano la loro popolarità. Un’altra è che la gente rinuncia allo Stato. Smettono di votare, se hanno soldi tolgono i figli dalle scuole pubbliche, si trasferiscono in aree più sicure se possono, e se non possono sono costretti a fare pace con coloro che controllano effettivamente le loro comunità e che possono offrire loro qualche rudimentale protezione.

Uno dei miei temi costanti è che questo tipo di cose non può andare avanti per sempre. Date le numerose crisi in via di sviluppo che si stanno contendendo la priorità, la disgregazione sociale, autogenerata o più probabilmente conseguenza di molteplici crisi economiche, ambientali e sanitarie, potrebbe non essere lontana. Anzi, forse la disgregazione sociale è già qui, anche se, come direbbe William Gibson, non è distribuita in modo uniforme. Ma se mettiamo in relazione tutto questo con lo Stato e con la responsabilità dello Stato di preservare la società, allora è importante sottolineare ancora una volta che il rapporto tra Stato e società non è, e non potrà mai essere, di semplice repressione. Non è come se la maggior parte delle società fosse perennemente in bilico sull’orlo della rivolta, in attesa di un momento di disattenzione da parte delle autorità; o come se i criminali si nascondessero dietro ogni albero, pronti a balzare fuori non appena la polizia volta le spalle. Come ho sostenuto, le persone accettano la legittimità e l’autorità dello Stato non tanto per abitudine quanto per autoprotezione collettiva. Quindi, il tipo di decadimento della legittimità dello Stato che stiamo iniziando a vedere è meno probabile che porti a conflitti violenti, piuttosto che a una sorta di acida apatia e disimpegno, e alla ricerca di un modo per compensare ciò che lo Stato non può fare. Ci sono parti del mondo in cui questo si può vedere in azione. Ci sono Paesi africani in cui nessuno si preoccupa di chiamare la polizia dopo un crimine, perché questa si limiterebbe a chiedere una tangente e non sarebbe comunque in grado di risolvere il crimine. In altre società (il Libano è un buon esempio), se si ha un problema con lo Stato, non ci si rivolge all’ufficio locale, alla polizia o altro, ma al rappresentante del proprio clan, che parlerà con la persona di più alto rango che riesce a trovare nel governo e che potrebbe avere un’influenza. È così che si fanno le cose.

Ora, ci sono due requisiti per entrare qui. La prima è che ci sono gruppi, criminali, politici o entrambi, che aspettano che lo Stato si mostri debole e si espandono nello spazio lasciato dallo Stato. Ho già citato il caso di alcune città europee, dove alcune aree sono ormai fuori dal controllo dello Stato. Detto questo, i gruppi coinvolti sono relativamente piccoli e non sarebbero all’altezza di un serio uso professionale della forza. Ma questo uso non è probabile ora, e probabilmente lo diventerà sempre meno, semplicemente perché sarebbe impossibile sconfiggere le bande di narcotrafficanti e i gruppi islamisti senza un livello di danni collaterali, di feriti e persino di morti che sarebbe inaccettabile dal punto di vista politico. Quindi questi gruppi sono essenzialmente lasciati in pace, dato che, dopo tutto, predano prevalentemente il loro stesso popolo. Se dovessero diffondere la loro violenza in aree ricche (e ci sono segnali che questo potrebbe iniziare ad accadere), allora questa retorica farebbe immediatamente marcia indietro, ma a quel punto sarebbe probabilmente troppo tardi. Riprendere il controllo anche di un solo grande sobborgo richiederebbe non solo centinaia di poliziotti armati, ma altre migliaia di persone equipaggiate e addestrate per il controllo delle rivolte.

Questo ci ricorda uno dei problemi principali: il fatto che la legittimità sia in gran parte una questione di abitudine significa che ogni Paese mantiene forze di sicurezza interne principalmente per contrastare situazioni eccezionali, quando questa legittimità viene attivamente contestata. Nella stragrande maggioranza dei casi, nella stragrande maggioranza dei Paesi occidentali, la polizia resta a guardare le manifestazioni pacifiche, collaborando con gli sceriffi e intervenendo solo in caso di vere emergenze o atti criminali. Nessun Paese occidentale dispone da remoto delle forze di sicurezza interne necessarie per sconfiggere una seria sfida di massa alla legittimità dello Stato, perché molto dipende da contratti sociali taciti tra governanti e governati.

Ma supponiamo che questo inizi a rompersi? Il primo problema è quello dei numeri e di quello che i militari chiamano il rapporto forza-spazio. Le autorità hanno bisogno di un numero di personale enormemente superiore per contenere un incidente rispetto a quello necessario ai malintenzionati per provocarlo. Basterebbero poche centinaia di manifestanti, che appaiono e scompaiono in piccoli gruppi, accendono fuochi, spaccano finestre, incendiano auto, irrompono nei negozi e attaccano i passanti, prima che le forze dell’ordine in una città come Parigi siano sopraffatte (e Parigi non è affatto la città più grande d’Europa). Tutto ciò che si potrebbe fare in una situazione del genere sarebbe circoscrivere alcune aree della città, in particolare quelle in cui risiede il governo, e cercare di difenderle, chiudendo gli edifici pubblici e i centri commerciali. Il resto dovrebbe essere lasciato bruciare. Questo è essenzialmente ciò che è accaduto durante le peggiori manifestazioni dei Gilets jaunes nel 2018/19, dove c’erano così tante manifestazioni in così tante città, ed era impossibile sapere quali sarebbero diventate violente, che alla fine alla polizia è stato ordinato di stare a guardare mentre le cose bruciavano, a meno che non fossero in pericolo di vita.

Inoltre, la logica del controllo dell’ordine pubblico è la dispersione sicura. Nonostante i drammatici video iPhone mostrati su Internet, qualsiasi forza di ordine pubblico adeguatamente addestrata ha come scopo principale quello di disperdere i manifestanti e convincerli a tornare a casa. In prima istanza, questo avviene impedendo fisicamente di raggiungere il loro obiettivo: un edificio governativo, per esempio. Se questo non è possibile, l’opzione successiva è il cosiddetto “gas lacrimogeno” che irrita gli occhi e fa disperdere i manifestanti: non è piacevole, ma è probabilmente il modo meno offensivo per raggiungere l’obiettivo. Ma anche in questo caso c’è un grosso elemento di contratto non detto: sparare il gas è un segnale di dispersione, e la maggior parte dei manifestanti lo accetta e si allontana. Una folla molto numerosa di dimostranti realmente motivati, con maschere e protezioni per gli occhi, sarebbe qualcosa di completamente diverso, e potrebbe riuscire a sfondare qualsiasi cordone di protezione.

Il vero problema sorge quando si presentano gruppi, spesso armati, con l’intenzione di scontrarsi deliberatamente e di fare violenza. Negli ultimi anni questa è stata una caratteristica crescente dei problemi di ordine pubblico e i governi non sanno bene cosa fare. Da un lato gli assalitori (non è corretto chiamarli manifestanti) possono attaccare direttamente le forze dell’ordine e sono in grado di ferirle e persino ucciderle. Dall’altro lato, è impossibile per le forze dell’ordine rispondere senza rischiare di ferire persone innocenti, o almeno persone che possano in seguito rappresentarsi come tali. Da cinquant’anni si cerca un mezzo benevolo per controllare le rivolte e disattivare i rivoltosi senza ferire nessuno. Sembra che non esista. E scontri violenti come questo, spesso in aree affollate, dove non è chiaro chi sia chi e chi stia facendo cosa, possono essere spaventosi e disorientanti nel migliore dei casi, e le persone che passano di lì per caso possono essere coinvolte e persino ferite.

Detto questo, nella maggior parte dei Paesi il numero di persone coinvolte in atti di violenza deliberata è stato piuttosto ridotto e gli attacchi diretti alle forze dell’ordine o agli edifici governativi sono stati piuttosto rari. Ma ancora una volta, pochi Paesi occidentali hanno le risorse per combattere questo tipo di minaccia su larga scala e per un lungo periodo di tempo. La tattica standard (vista di recente in Francia) prevede che piccoli gruppi di violenti si nascondano tra la folla e, in un determinato momento, tirino fuori armi e dispositivi di protezione e attacchino gli obiettivi o le forze dell’ordine. Nella confusione è poi facile che si dileguino e appaiano da un’altra parte. È ovvio che anche un numero piuttosto esiguo di persone può efficacemente mettere in ginocchio una città e bloccare ingenti risorse governative. È anche chiaro che le forze dell’ordine si esauriranno in breve tempo, se non altro perché non possono essere dappertutto e tutto potrebbe essere un “bersaglio”.

In realtà, quindi, gli Stati occidentali sono probabilmente molto più vulnerabili alla violenza improvvisata di massa di questo tipo di quanto spesso si pensi. Dimentichiamo quanto sia sicuro uscire per strada proprio perché la stragrande maggioranza delle persone non pensa mai di entrare in un supermercato e saccheggiare la merce, o di attaccare la polizia o i pompieri. Ma questa è solo una convenzione e, oltre un certo punto, se troppe persone decidono di disobbedire, le autorità non possono fare molto.

Ma sicuramente, direte voi, lo Stato ha a disposizione una forza enorme. Per cominciare, c’è l’esercito, per non parlare dell’enorme quantità di sorveglianza fisica ed elettronica di cui gli Stati moderni dispongono. Sicuramente qualsiasi serio tentativo di violenza di massa potrebbe essere rapidamente stroncato? È importante chiarire di che tipo di situazione stiamo parlando. Se un gruppo di individui armati, sia esso criminale o politico, cerca di affrontare un gruppo di soldati addestrati, quasi sempre perde malamente. È vero che ci sono stati casi in cui i Talebani hanno teso agguati e ucciso operatori di ONG protetti da ex militari. E in Iraq lo Stato Islamico ha sviluppato tattiche di fanteria leggera piuttosto sofisticate, utilizzando bulldozer e camion pesanti guidati da volontari suicidi per aprire buchi nelle fortificazioni, seguiti da Land Cruiser catturati pieni di fanteria che attivavano i loro giubbotti suicidi quando erano feriti o avevano finito le munizioni. Ma questi sono casi molto particolari: i Talebani potevano affrontare l’esercito afghano in piccoli gruppi, ma solo fino a quando non venivano impiegate armi pesanti o potenza aerea contro di loro.

Non è quello che possiamo aspettarci in Occidente. Uno scenario più probabile è quello di piccoli gruppi di 3-4 persone con armi automatiche e giubbotti suicidi, che attaccano obiettivi di massa come folle di calcio o di concerti, o stazioni ferroviarie e aeroporti. Come ci si può proteggere da questo? Non è possibile, in modo efficace. I gruppi terroristici classici attaccavano una gamma limitata di obiettivi: edifici governativi e altri simboli dello Stato, o personale politico e governativo, dove in teoria si poteva fornire almeno un po’ di protezione Anche gli attentati dinamitardi a case pubbliche in Inghilterra da parte dell’IRA negli anni ’70 furono difesi all’epoca come attacchi a luoghi frequentati da soldati fuori servizio. Ora tutto questo è cambiato. Quindi, se si pensa che ci siano due o tre cellule di questo tipo in funzione, cosa si può fare per proteggere la popolazione in generale? Ancora una volta, non molto, se non attraverso la raccolta di informazioni, che è una questione diversa. Da un decennio a questa parte, diversi Paesi europei hanno schierato truppe per le strade contro questo tipo di minaccia. Dall’ondata di attentati del 2015-16, circa 10.000 militari alla volta sono stati disponibili per il dispiegamento in tutta la Francia, ad esempio. Non sono molti, soprattutto se si considera che la maggior parte di essi non è dispiegata in modo permanente, ma solo in caso di informazioni che suggeriscono un attacco imminente. E naturalmente hanno bisogno di mangiare e dormire, per cui il numero effettivo di pattuglie che in ogni momento pattugliano le strade di una grande città è probabilmente dell’ordine delle centinaia. E come vi diranno i militari, la difesa statica è inutile quando quasi tutto può essere un bersaglio. Quindi si vedono pattugliare in mezze sezioni di quattro (occasionalmente sei), soprattutto nelle zone turistiche o dove ci sono obiettivi di prestigio, e principalmente come deterrente o per cercare di fornire un senso di sicurezza. Queste operazioni comportano un enorme sforzo per le forze armate, soprattutto per un lungo periodo, e sottraggono persone alle mansioni per cui sono state addestrate: l’ultimo gruppo che ho incrociato al momento del check-in per un volo dall’aeroporto Charles de Gaulle apparteneva a un’unità di trasporto a motore dell’Aeronautica.

Tuttavia, anche se una protezione totale contro i gruppi armati ideologici è praticamente impossibile, questi gruppi non saranno in grado di far cadere i governi, qualunque cosa sperino alcuni dei loro leader. Ma che dire della popolazione nel suo complesso, in grandi gruppi? Che dire del tipo di violenza di massa organizzata contro lo Stato che molti temono e molti fantasticano? Non si potrebbe usare efficacemente l’esercito contro di loro? Ancora una volta, dipende dal contesto. La funzione fondamentale dell’esercito in qualsiasi Stato è quella di garantire il monopolio della violenza legittima, di cui ho parlato all’inizio. È una cosa impopolare da dire in una democrazia, dove ci piace pensare che l’esercito sia destinato alla difesa delle frontiere e forse all’impiego all’estero, ma è comunque vero. Come ha notato Weber, uno Stato che non riesce a mantenere questo monopolio non può definirsi veramente uno Stato. Ma in prima istanza – a livello tattico, se vogliamo – la responsabilità della protezione delle strade, delle istituzioni di governo e della leadership politica spetta alla polizia, e pochi militari vorrebbero altrimenti. Vengono chiamati in causa solo quando il livello di violenza è tale che la polizia non può più farcela. Le guardie militari fuori dagli edifici pubblici, ad esempio, sono essenzialmente cerimoniali, un simbolo politico della subordinazione dei militari al potere civile.

Ciò significa che in generale i militari non sono addestrati ed equipaggiati per svolgere compiti di ordine pubblico e non vogliono farlo. Sono un male per il reclutamento e la conservazione, e i compiti sono difficili, impopolari e sgradevoli. L’esercito britannico si è trovato a svolgere questo ruolo in Irlanda del Nord alla fine degli anni ’60, perché la Royal Ulster Constabulary (prevalentemente protestante) non godeva di fiducia, e i comandanti dell’esercito hanno passato la generazione successiva a cercare di uscirne. Inoltre, i militari, a dispetto di quanto spesso si pensa, non hanno poteri o diritti speciali di usare la forza in tempo di pace. Anche se la legge varia un po’ da Paese a Paese, i militari hanno generalmente il diritto di usare la forza, fino a quella letale, per proteggere se stessi o qualcuno vicino. Ma questa forza deve essere proporzionale alla minaccia e non può essere indiscriminata. Inoltre, tutte le forme di legge militare richiedono l’obbedienza solo agli ordini militari legittimi. Quindi, non solo l’ordine di sparare sui manifestanti sarebbe illegale per un comandante e per le truppe da eseguire, ma non si qualificherebbe nemmeno come ordine militare perché non è per scopi militari. Infine, gli ordini militari passano attraverso quella che i militari chiamano “catena di comando”: devono essere impartiti da superiori riconosciuti in quella catena, quindi un civile non può ordinare alle forze militari di entrare in azione, ad esempio.

Qualsiasi governo occidentale, per quanto assediato, sarebbe stupido se pensasse di poter contare sui militari per mantenere il potere contro le manifestazioni di massa e la violenza popolare. Sono troppo pochi, non sono adeguatamente addestrati o equipaggiati e sono molto limitati dal punto di vista legale. I loro comandanti avrebbero non solo il diritto, ma anche il dovere, di rifiutarsi di usare la forza militare contro il popolo. Anche se la situazione dovesse peggiorare in modo catastrofico, fino a sfociare nella violenza armata organizzata contro lo Stato, si applicherebbero le regole del diritto dei conflitti armati e l’esercito potrebbe essere usato solo contro quelli che il diritto internazionale umanitario definisce “obiettivi militari”, che sono definiti in modo molto restrittivo.

Infine, forse, dovrei spendere una parola sulla Legge marziale, dal momento che sembra aver prodotto tanta confusione negli ultimi tempi. La Legge Marziale non è un corpo di leggi o un insieme di disposizioni, né tanto meno è equivalente a un governo militare o a un colpo di Stato: è solo uno stato di cose. In sostanza, quando lo Stato civile è crollato e l’esercito è l’unica istituzione organizzata rimasta, può essere incaricato di sostituirsi allo Stato e di amministrare il territorio, anche facendo rispettare la legge. È quanto è accaduto in Germania nel 1945. Ma questo non conferisce ai militari poteri magici e sono ancora soggetti alle leggi del tempo di pace. Sebbene i governi abbiano generalmente pronta una legislazione d’emergenza (che deve essere votata dal Parlamento), che conferisce loro ulteriori poteri, e possano sospendere parti della Costituzione, questo non prevede mai, per quanto ne so, di dare ai militari il controllo del Paese, cosa che sarebbe comunque al di là delle loro capacità.

Si arriva quindi a una situazione molto curiosa di interazione tra due risultati negativi. Da un lato, Stati sempre più indeboliti e incapaci perderanno gradualmente il controllo effettivo di parti del loro territorio a favore della criminalità organizzata, di movimenti politici estremisti e semplicemente di un’opinione pubblica episodicamente infuriata. Questa perdita di controllo può essere solo temporanea: il centro della città per qualche ora, ad esempio, ma sarà anche politicamente cumulativa. D’altra parte, nessuna delle forze che si oppongono allo Stato sarà in grado di prendere il suo posto, nemmeno a livello locale. È per questo che le idee di “guerra civile” che vengono regolarmente diffuse in questi giorni sono sbagliate, perché una guerra civile è una guerra per il controllo della civis, lo Stato, tra gruppi che vogliono controllare quello Stato, o sostituire un diverso tipo di Stato a quello esistente. Per la prima volta nella storia moderna dell’Occidente, non ci sono gruppi con organizzazioni e ideologie in attesa di lanciare una lotta per il potere o di approfittare di un vuoto di potere.

A volte si sostiene che le imprese multinazionali o la criminalità organizzata potrebbero colmare questo vuoto, ma ciò si basa su un equivoco. Come sappiamo dagli studi sullo sviluppo, il settore privato dipende dall’esistenza dello Stato per la sua stessa sopravvivenza e prosperità, ed è per questo che le economie soffrono così tanto durante e dopo le guerre civili. Quanto più sicuro è l’ambiente, tanto maggiori sono i vantaggi per le imprese private, anche quelle molto grandi. Al contrario, un ambiente insicuro, anche in assenza di un conflitto vero e proprio, scoraggia il commercio e gli investimenti e rende difficili o impossibili anche cose banali come trasporti, assunzioni, consegne, stipendi e manutenzione. E questo presuppone che la sicurezza sia l’unico problema. Quanto durerebbe Facebook se la persona media avesse solo 2-3 ore al giorno di servizio di telefonia mobile affidabile? Quanto durerebbero le case automobilistiche se le epidemie di massa e l’instabilità politica iniziassero a interrompere seriamente le catene di approvvigionamento? Quanto durerebbero le compagnie petrolifere se non potessero esportare petrolio in modo affidabile? Senza il corretto funzionamento dell’immensamente complesso e fragile sistema finanziario internazionale, le banche cominceranno a scomparire. Per quanto tempo sopravviveranno il mercato immobiliare e i suoi derivati? In ogni caso, il settore privato, soprattutto al giorno d’oggi, non è in grado nemmeno in linea di principio di svolgere le funzioni di uno Stato. Tutto ciò che sa è come trarne profitto, quindi niente Stato e rapidamente neanche settore privato. In piccolo, lo vediamo accadere nelle zone “difficili” delle città europee, dove le catene di supermercati chiudono i loro negozi, perché è tutto troppo complicato.

Né, paradossalmente, la criminalità organizzata può sopravvivere in assenza dello Stato. Come il settore privato, è un parassita: fornisce cose illegali o troppo costose o troppo tassate. Non è interessata (salvo rare eccezioni) a fornire servizi di base. Gran parte del suo potere deriva dalla sua influenza sui governi e dalla loro corruzione: senza governo, niente potere.

Il futuro più probabile è quindi quello di un potere estremamente distribuito, come quello che troviamo, ad esempio, in alcune zone dell’Africa. Il governo avrà il controllo effettivo della capitale e dei centri delle principali città, ed eserciterà un piccolo grado di influenza su ciò che accade altrove. Laddove le condizioni sono favorevoli, possono sorgere costellazioni locali di potere politico ed economico. È probabile che si verifichino episodi di violenza sporadica per controllare i beni economici locali ed estorcere rendite, ma in una società moderna tutto è organizzato su scala nazionale o addirittura internazionale e ben poco è più “locale”. Le comunicazioni stradali e ferroviarie saranno degradate o non sicure e i sistemi di distribuzione non funzioneranno più correttamente. La gente si sposterà dalle aree a bassa sicurezza a quelle a più alta sicurezza, soprattutto nelle città già sovraccariche.

Ho già suggerito che se si vuole immaginare il futuro dell’Occidente, è utile guardare all’Africa, dove esistono già molte delle stesse condizioni. Ma la differenza è che, anche rispetto all’epoca coloniale, le infrastrutture nella maggior parte dei Paesi africani non si sono deteriorate molto, perché in primo luogo non ce n’erano molte. Inoltre, l’Africa dispone di risorse di solidarietà sociale e di resilienza, di reti familiari e tribali e di sofisticati meccanismi di governance informale. Abbiamo Twitter e il diritto contrattuale.

Il gratificante aumento del numero di iscritti (oltre 4.000) significa che le persone leggono e commentano i miei vecchi saggi e, in alcuni casi, chiedono le mie risposte. Provvederò a farlo appena possibile.

Questi saggi sono gratuiti e intendo mantenerli tali, anche se a breve introdurrò un sistema per cui le persone potranno effettuare piccoli pagamenti, se lo desiderano. Ma ci sono anche altri modi per dimostrare il proprio apprezzamento. I “Mi piace” sono lusinghieri, ma mi aiutano anche a valutare quali argomenti interessano di più alle persone. Le condivisioni sono molto utili per portare nuovi lettori, ed è particolarmente utile se segnalate i post che ritenete meritevoli su altri siti che visitate o a cui contribuite, perché anche questo può portare nuovi lettori. E grazie per tutti i commenti molto interessanti: continuate a seguirli!

02https://aurelien2022.substack.com/p/going-to-pieces-slowly?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=136550379&isFreemail=true&utm_medium=email

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

SITREP 8/30/23: L’Ucraina nasconde i fallimenti con attacchi profondi senza senso, di SIMPLICIUS THE THINKER

SITREP 8/30/23: L’Ucraina nasconde i fallimenti con attacchi profondi senza senso

Anche questa settimana non è da meno: L’Ucraina ha intensificato la sua campagna di droni per effettuare qualche attacco che faccia notizia o qualche bravata terroristica per gestire la percezione dei media e mantenere l’immagine dell’Ucraina come un Paese rilevante.

Un nuovo attacco al campo d’aviazione russo di Kresti, vicino a Pskov, la scorsa notte, è stato l’ultimo di questi sforzi, per non parlare dei continui attacchi a Bryansk e Donetsk, dei tentativi di atterraggio in Crimea e di molte altre trovate di questo tipo che non hanno alcun valore militare.

Ma parliamo brevemente dell’attacco di Pskov, che ha generato il solito stridore di denti e l’indignazione dei “patrioti”. L’aeroporto ospita gli aerei da trasporto Il-76 della Russia. I rapporti più aggiornati affermano che più di 4 aerei sono stati danneggiati negli attacchi, e 2 sono stati potenzialmente distrutti, come mostrano i video seguenti:

Tuttavia, le nuove foto satellitari occidentali di oggi sembrano mostrare pochi o nessun danno:

Per prima cosa lasciamo perdere il fatto che wikipedia riporta il numero di Il-76 russi come 120 in servizio attivo, altri 120 in riserva, con 20 in ordine e presumibilmente in produzione. Quindi, anche se perdere 2 o 4 esemplari può essere un brutto colpo, non è catastrofico. Per non parlare del fatto che questi aerei non sono nemmeno utilizzati nella SMO, in quanto sono aerei da trasporto e, come molti sanno, la Russia effettua la maggior parte dei suoi trasporti logistici su rotaia e su camion. Gli Il-76 si trovano per lo più a Pskov, dove è di stanza la famosa 76esima unità di paracadutisti aviotrasportati di Pskov, che li usa per addestrarsi e lanciarsi.

Le ultime notizie indicano che questa operazione è stata pianificata con l’Mi6 britannico per molti mesi. Naturalmente qualcosa che ha richiesto mesi per essere coordinato farà danni, soprattutto perché l’attacco ha utilizzato uno sciame di droni di massa di almeno 21+ droni, secondo alcuni rapporti. Si tratterebbe forse dei nuovi droni australiani “card board” che hanno fatto notizia di recente:

Questi droni sono quasi invisibili ai radar perché il cartone è fondamentalmente poroso alle onde radar. Questo dimostra che l’Ucraina e i suoi controllori occidentali sono costantemente innovativi e trovano nuovi modi per aggirare le difese della Russia. Ma anche la Russia innova e si adatta, ed è per questo che probabilmente non si vedrà più un attacco così “riuscito” per molti mesi.

Ci sono grandi domande anche su come questi droni siano arrivati fino a Pskov, a più di 600 km dal confine ucraino. Alcuni sostengono che siano arrivati dall’Estonia. Di recente molte persone mi hanno chiesto, in generale, come l’Ucraina conduca gli attacchi con i droni sul territorio russo. Permettetemi quindi di approfittare di questa circostanza per chiarire un po’ la questione.

In primo luogo, bisogna sapere che i media occidentali hanno già confermato più volte che l’Ucraina invia in Russia sabotatori armati di droni che vengono lanciati dal territorio russo:

È estremamente facile da fare. Tutto ciò che serve è un agente dormiente o qualcuno che entri legalmente in Russia con un pretesto e acquisti un numero qualsiasi di droni legali, come i Mavic cinesi, ecc. Questi droni possono essere equipaggiati con esplosivi e fatti volare direttamente dal perimetro dell’obiettivo. Se si è vicini a una base aerea, ad esempio, si può far volare un drone FPV dalla recinzione all’esterno della base direttamente su un aereo e farlo saltare in aria, per poi andarsene in auto molto prima che le autorità abbiano capito cosa è successo.

In effetti, questa stessa cosa è stata confermata in molti casi, non solo negli attacchi alle basi aeree della Crimea di molto tempo fa, ma anche nel tentativo di attacco all’aereo russo A-50 AWACS in Bielorussia. L’autore dell’attacco ha pilotato un drone FPV dall’esterno della base, ma è stato poi catturato.

Quindi sappiamo per certo che almeno questo tipo di attacco con i droni è confermato come attivamente utilizzato. L’altra tattica più difficile è l’invio di droni più grandi, come i “Beaver” ucraini, su lunghe distanze dal territorio ucraino. Come possono attraversare centinaia di chilometri di territorio russo senza essere individuati?

In due modi:

  1. In primo luogo, sono costruiti in fibra di carbonio / materiali compositi leggeri che sono molto difficili da riflettere per le onde radar.
  2. Volano relativamente bassi, il che significa che, in virtù della dura scienza dell’orizzonte radar, non possono essere rilevati finché non si trovano a pochi chilometri da un’installazione radar.

Chi ha seguito i miei scritti ricorderà che ho pubblicato diverse volte foto satellitari che mostrano come i satelliti SIGINT americani siano in grado di individuare le posizioni delle installazioni radar russe semplicemente in base alle loro particolari emissioni di banda:

Dopodiché, tutto ciò che devono fare è un semplice calcolo matematico: il radar può vedere un oggetto di dimensioni x a una distanza y solo se l’oggetto viaggia ad un’altitudine n. In questo modo, sanno immediatamente quali sono i perimetri degli orizzonti radar e dove i droni devono viaggiare per “aggirare” le zone non rilevate. Pianificano un percorso dettagliato che viene programmato nella navigazione satellitare del drone, il quale segue un percorso unico e serpeggiante attraverso i vari bordi dei radar.

Un esempio di come potrebbe apparire. Supponiamo che nell’immagine sottostante i cerchi rossi siano tutte le zone di copertura dei radar S-300 per gli oggetti che volano a un’altitudine di 500 piedi o inferiore. I cerchi gialli sono la copertura per tutto ciò che vola a un’altitudine compresa tra i 500 e i 5000 piedi. E i cerchi viola coprono i 5000ft e oltre:

Questa è una versione semplificata per illustrare l’idea. Come si può vedere, la difesa a strati si sovrappone, ma solo nelle regioni viola. La maggior parte della dottrina della difesa aerea è stata creata per le tattiche dell’era della guerra fredda e per combattere i gruppi d’attacco di aerei ad alta quota. Se un qualsiasi aereo normale che vola ad altitudini normali entrasse in quella zona, verrebbe rilevato perché non ci sono spazi vuoti, se l’aereo è al di sopra dei 5.000 piedi.

Ma poiché il drone vola a un’ipotetica quota di 100 piedi, l’unico cerchio al di sopra che lo rileverebbe sarebbe quello rosso. O anche se volasse a 1000 piedi, il cerchio giallo lo rileverebbe, ma questi hanno dei leggeri spazi vuoti in mezzo. Studiando il posizionamento dei radar dei satelliti di intercettazione del segnale, i partner occidentali possono tracciare un percorso per i droni ucraini, come si vede dalle linee blu, che si infilano tra i cerchi gialli e raggiungono in modo tortuoso Mosca a nord.

Inoltre, a prescindere dall’organizzazione dei radar, ci sono molte caratteristiche geografiche, topografiche e semplicemente urbane che limitano il rilevamento dei radar nelle aree a maggiore densità urbana. Se il drone vola a 100-200 piedi, ma nella regione generale ci sono tonnellate di colline, montagne ed edifici che sono tutti alti da 200 a 1000 piedi, indovinate un po’? Le onde radar saranno ostacolate ovunque e la copertura sarà limitata.

Si può ovviare a questo problema posizionando molti più sistemi ovunque, ma ovviamente questo è limitato dal numero di sistemi e di personale addestrato che si ha a disposizione. Inoltre, è possibile ottenere una copertura dall’aria con una sorveglianza costante 24 ore su 24, 7 giorni su 7, di aerei tipo AWACS con radar di osservazione, ma è difficile sapere quanto sia estesa la limitata flotta di AWACS della Russia. Si suppone che abbiano solo circa 15 aerei A-50, e ricordiamo che il tasso standard di “prontezza di missione” per gli aerei di tutto il mondo è compreso tra il 30 e il 70%. Questo è definito come la percentuale di velivoli utilizzabili o volabili in qualsiasi momento. Il resto è in costante stato di manutenzione. Per gli aerei più avanzati, come gli F-22/F-35, il tasso di prontezza degli Stati Uniti ha raggiunto il 30%, il che significa che solo il 30% della flotta può volare e operare.

Quindi, con soli 15 AWACS è possibile che solo la metà, più o meno, possa volare in qualsiasi momento, e non solo devono essere distribuiti su tutto il fronte ucraino, ma alcuni di essi sono necessari per la difesa dei confini settentrionali e orientali della Russia, per sorvegliare la NATO intorno al Mar del Giappone, Okhotsk, Mare di Bering, ecc. Quindi, in teoria, la Russia potrebbe avere anche solo 3-5 AWACS per l’Ucraina in qualsiasi momento.

Si tenga presente che i potenti Stati Uniti hanno solo circa 30 AWACS E-3 Sentry ufficiali, quindi i Paesi non ne hanno in genere una quantità massiccia. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno anche altri RC-135, E-8, P-8 Orion, ecc. che possono contribuire a colmare le lacune con capacità in qualche modo simili. La Russia colma le lacune disponendo di Mig-31 di pattuglia, che hanno potenti radar Zaslon-M in modalità look-down.

Infine, vorrei sottolineare due cose importanti. Innanzitutto, l’aeroporto di Pskov, come ho detto, non ha quasi alcuna utilità militare e non è nemmeno collegato all’SMO. Quindi è stato preso di mira proprio per questa debolezza, sapendo che non è così ben difeso perché non c’è nulla di critico. Si noti che l’Ucraina non è stata quasi in grado di scalfire nessuno dei campi d’aviazione effettivamente importanti per la Russia, come Engels, Dyagilevo, o quelli vicini alla linea del fronte come Berdiansk, che ospita decine di elicotteri d’attacco in prima linea. Questo perché sono in realtà ben protetti. Quindi, ovviamente, l’Ucraina sceglie un obiettivo oscuro che potrebbe avere una possibilità di colpire, e comunque le sono costati “mesi” di preparazione per fare qualcosa di militarmente insignificante.

Il secondo punto è questo. Molti ignoranti si sono lamentati di qualcosa del genere: “La difesa aerea russa è debole, se i droni ucraini a basso costo sono riusciti ad aggirarla, immaginate cosa farebbe la NATO se la Russia finisse in una guerra su larga scala con la NATO nel prossimo futuro! La Russia non resisterebbe più di un’ora/un giorno/una settimana/ecc.”.

Ma ecco l’inghippo che manca loro: L’Ucraina ha un grande vantaggio di cui la NATO non godrebbe mai in un ipotetico conflitto. Vedete, l’Ucraina può godersi il lusso della piena dominanza satellitare della NATO senza che la Russia sia in grado di eliminare tali risorse per non voler scatenare la terza guerra mondiale. Ciò significa che l’Ucraina ottiene un “codice di imbroglio” che le consente di vedere tutti i mezzi russi e di pianificare tutto intorno ad essi, aggirando le difese russe, ecc.

Ma se la Russia fosse in una “guerra totale” contro la NATO, indovinate quale sarebbe la prima risorsa a crollare? Esatto: i satelliti della NATO non esisterebbero. La NATO sarebbe cieca e non avrebbe alcuna capacità di vedere l’AD della Russia o altre risorse da lontano, il che significa che anche i miseri attacchi dei droni ucraini alle “retrovie profonde” della Russia sono molto più di ciò che la NATO sarebbe in grado di fare sotto molti aspetti.

Alcuni sostengono che: “Ma la NATO ha migliaia di satelliti, la Russia non può abbatterli tutti”. Confondono cose come il GPS e Starlink, che sono piccoli moduli producibili in massa che punteggiano l’orbita terrestre. Ma in termini di satelliti optoelettrici o E/O di livello aziendale, ne hanno pochissimi. Gli Stati Uniti hanno un totale di 5 satelliti optoelettrici giganti su cui fanno affidamento, ognuno dei quali costa oltre 5 miliardi di dollari. Questi verrebbero distrutti da missili russi A-235 Nudol e gli Stati Uniti sarebbero ciechi. Certo, anche i satelliti russi verrebbero probabilmente abbattuti, ma la Russia è l’unica che ha dimostrato di saper condurre una guerra non altamente tecnologica. La NATO si affida all’artiglieria e agli MLRS (HIMARS, ecc.) che possono sparare solo con munizioni a guida satellitare. La Russia ha colpito con precisione gli obiettivi ucraini con carta a matita e sestante fin dall’inizio della guerra: non ha bisogno di satelliti.

Infine, con tutti questi paragoni con la NATO ultimamente, è divertente che questo spezzone del film-documentario Restrepo sia arrivato sui canali. Mostra come sono realmente le potenti forze armate americane in situazioni di combattimento nella guerra in Afghanistan. Dopo aver visto l’eroismo delle truppe russe in Ucraina, pensate davvero che questo esercito abbia qualche possibilità? E questo prima che l’esercito diventasse un fiocco di neve nell’era moderna: immaginate quanto sia grave ora:

Come altro punto generale, è chiaro che la Russia è una forza armata altamente adattabile. Imparano da ogni errore e implementano continuamente cambiamenti per perfezionare le operazioni. Anche il nemico non dorme mai e si innova continuamente, quindi è un gioco continuo di innovazione sul campo di battaglia.

Ad esempio, la Russia ha già messo in atto diversi trucchi per impedire ai futuri droni navali ucraini di colpire il ponte di Kerch:

Lungo il ponte di Crimea, sono state immediatamente posizionate 7 chiatte per formare una barriera protettiva contro le imbarcazioni kamikaze senza equipaggio delle Forze Armate dell’Ucraina. Si presume che tra le chiatte saranno tesi anche cavi e catene, creando così una barriera per i BEC nemici, che dovrebbero cadere in questa trappola nel caso di un altro tentativo di colpire il ponte. Il progetto può sembrare strano e primitivo, ma essendo di notte e sotto un fitto fuoco di armi leggere, l’operatore del drone potrebbe semplicemente non accorgersi di dove sta nuotando o manovrare senza successo nel processo di evasione.
Secondo quanto riferito, non solo la Russia ha posizionato delle chiatte lungo il ponte a intervalli precisi, per osservare i droni e forse anche per sospendere una sorta di rete anti-drone tra di esse. Ma si dice anche che la Russia abbia iniziato ad affondare grandi navi vecchie nella baia poco profonda in punti strategici per creare una barriera naturale a basso costo, incanalando qualsiasi potenziale drone in punti stretti e facilmente controllabili.

A titolo di ulteriore esempio, ho scritto di recente della guerra di controbatteria russa e delle lamentele di alcuni fronti sul fatto che la Russia deve fare di più per migliorare le sue capacità di controbatteria, mentre le truppe russe si lamentano del fatto che l’unica minaccia reale e intrattabile che stanno affrontando sono gli incessanti sbarramenti di artiglieria dell’AFU. Riescono a gestire gli assalti dell’AFU, ma l’artiglieria li sta esaurendo.

Cosa fa Shoigu? Il cosiddetto “odiato” ministro della Difesa visita i principali produttori di sistemi di controbatteria russi e chiede loro di aumentare i tassi di produzione:

Mi ricordate perché gli “schizopatrioti” sostengono che sia così terribile? Sta chiaramente facendo il suo lavoro, convertendo le lamentele sul campo di battaglia in risultati immediatamente perseguibili attraverso le catene del MIC.

Infine, mentre l’Ucraina ha messo a segno un attacco trimestrale con danni moderati contro beni che non hanno alcuna attinenza con la SMO, la Russia nello stesso arco di tempo ha devastato gli obiettivi militari effettivi dell’AFU. Ieri sera Kiev ha subito un colpo devastante con missili e droni:

Secondo alcune fonti, sarebbe stato colpito uno scalo ferroviario a Kiev. Sono stati colpiti anche molti altri obiettivi in tutto il Paese, a Cherkasy, Odessa e Zhytomir.

Il giorno prima, gli attacchi russi hanno fatto saltare un treno che trasportava materiale ucraino al fronte nella stazione di Metsalovo, a ovest della città di Donetsk.

Questo si aggiunge agli innumerevoli altri attacchi della scorsa settimana che continuano a distruggere le infrastrutture ucraine.

//
Passiamo alla sezione successiva sugli eventi in corso.

Il tema continua a ruotare intorno a nuove grandi mobilitazioni previste per il prossimo futuro dell’Ucraina – alcuni ritengono già all’inizio di settembre:

A causa delle enormi perdite, la mobilitazione totale inizierà in Ucraina dall’inizio di settembre. Prima di tutto, verranno radunati tutti gli uomini in età militare delle imprese statali e commerciali. Lo stesso destino attende gli studenti che arrivano nelle loro università all’inizio dell’anno accademico. I primi “sotto i ferri” andranno in quelle aree che Kiev considera già perse per sé. Regioni dove la popolazione è pronta prima a mettere “in carne”, e poi a radere al suolo città e villaggi con la faccia della terra. Si tratta delle regioni di Chernihiv, Sumy, Kharkiv, Dnipropetrovsk, Odessa, Zaporizhia e Mykolaiv.
Questo è stato supportato dalla pubblicazione di documenti che mostrano come tutte le principali regioni ucraine si stiano preparando per un processo di mobilitazione su larga scala. Come i seguenti:

Ne ho già parlato diffusamente nell’ultimo articolo, ma questo rimane uno dei pochi sviluppi chiave.

Fonti ucraine scrivono che l’Ufficio del Presidente ha approvato i piani e le modalità di una nuova ondata di mobilitazione richiesta dallo Stato Maggiore. Durante l’autunno, 200.000 ucraini dovrebbero essere arruolati nei ranghi delle Forze Armate dell’Ucraina, e altre 300.000 persone sono previste per l’inverno-primavera.
In base a quanto detto, l’obiettivo è di arruolare 200.000 uomini per l’autunno e altri 300.000 per l’inverno. Si tenga presente che, come detto l’ultima volta, ci sono ripetuti rapporti secondo cui l’Ucraina sta attualmente perdendo 10.000 uomini al mese. Quindi, solo per pareggiare i conti, devono scroccare 10.000 uomini dalle strade.

Come è possibile? Beh, per esempio, abbiamo nuovi rapporti da fonti ucraine, come il seguente, che afferma che l’Ucraina sta perdendo 200-500 morti e 500-1500 feriti al giorno. Secondo quanto riferito, ciò si riferisce solo al fronte di Rabotino, senza contare le perdite di altri fronti come Kharkov:

Certo, questo è stato pubblicato il 18 agosto, quando forse le cose erano leggermente più intense, ma 500 morti al giorno x 30 giorni = 15.000 al mese. Dividendo la differenza, ma aggiungendo altri fronti, si può iniziare a capire il costo di rifornimento mensile di 10.000 dollari. Quindi, per ottenere 200k o addirittura 300k, dovrebbero spingere la mobilitazione a nuovi livelli.

Per coloro che potrebbero dubitare di questi numeri dal fronte di Rabotino, ecco anche un piccolo primer su quali forze sono schierate lì:

💥💥💥Il numero di truppe che l’esercito ucraino ha attirato in tre mesi per catturare metà del villaggio di Rabotino:33ª Brigata Meccanizzata Indipendente (OMBr)47ª UMBR65ª UMBR78° Battaglione Indipendente di Supporto Materiale73° Centro Operazioni Speciali Marittime10° Corpo d’Armata: 116° OMbr117° UMBR118° UMBRMaroon Tactical Group:46° Independent Airmobile Brigade71° Independent Jaeger Brigade82° Independent Airborne Assault Brigade132° Independent Reconnaissance Battalion14° UMBR15° UMBR3° Brigata operativa della Guardia NazionaleMercenari stranieri e forze speciali della NATO. Così, 60.000 persone sono state coinvolte nella cattura di un villaggio, di cui la metà è andata persa, insieme a centinaia di pezzi di equipaggiamento.La comprensione della guerra e le abilità tattiche della NATO hanno portato l’Ucraina a questa situazione, e la fine sarà ancora più triste per i Khohol, ma più salutare per tutti.💥💥💥💥
E un altro post dettagliato che descrive quali unità e formazioni russe si stanno opponendo:

Chi combatte contro chi nei pressi di RabotinoIn prima linea nell’attacco ucraino c’è l’82ª brigata separata d’assalto aviotrasportata di Khokhol al comando del tenente colonnello Pavel Raziedinov. Armamento: Il gruppo d’attacco ucraino “Tavria” del generale Tarnavsky è rinforzato con riserve, che hanno permesso all’UAF di ottenere un vantaggio numerico di 4:1, nei veicoli blindati e nell’artiglieria di 3:1. Un rapporto sgradevole, quindi, la 58a Armata russa, i reggimenti della 42a Divisione Fucilieri Meccanizzati delle Guardie, supportati dai soldati marini della 810a Brigata Marine e della 22a Brigata Forze Speciali, hanno iniziato a ritirarsi. In relazione ai tentativi di Khokhol di introdurre ulteriori unità della 46ª Brigata separata aeromobile e della 118ª Brigata meccanizzata, a cui si oppone la nostra 22ª Brigata delle forze speciali e quattro battaglioni di Bars-1, Bars-11, Bars-3 e Bars-14 “Sarmat” hanno anch’essi iniziato a ritirarsi verso est.La 76ª Divisione aviotrasportata delle Guardie è stata trasferita di rinforzo dalla Foresta Serebryansky. Un’unità estremamente agguerrita, il cui comandante ha ricevuto l’onorificenza di Eroe della Russia per aver attraversato la diga di Kakhova. Allora, il 26 febbraio 2022, i paracadutisti si impadronirono di una testa di ponte vicino al Dnieper e respinsero 7 attacchi ucraini, distruggendo più di 20 unità BBM. Poi la divisione si è comportata bene a Kremennaya e Svatovo.

Anche il 1140° Reggimento di artiglieria, il 234° Reggimento Guardie e il 247° Reggimento Torun sono arrivati per aiutare i loro colleghi.Potete immaginare che tipo di falciatura sta avvenendo. Sul fatto che siano rimaste più di 120 unità di equipaggiamento nemico in un terreno di 6 chilometri, molti hanno già sentito parlare”.

La cosa importante da notare è che, dopo l’infame recente “scontro” tra Zelensky e la leadership della NATO sullo spreco e la dispersione delle sue forze, ci sono state segnalazioni che Zelensky/Zaluzhny hanno ora tentato di acconsentire in qualche modo alle richieste dei loro padroni. Ciò significa che i rinforzi sono stati tolti dall’area di Bakhmut/Klescheyevka e inviati a Rabotino per formare una punta di diamante ancora più grande.

Per Rabotino questa è stata una brutta notizia, ma i ragazzi di Klescheyevka hanno goduto di una breve e gradita tregua e riferiscono che il fronte è stato “tranquillo” per loro dopo questi riorientamenti.

Tuttavia, anche dopo tutte queste spese, fonti russe in prima linea riferiscono che Rabotino, pur essendo stata abbandonata, non è ancora stata catturata dall’AFU e si trova ora in una zona grigia dalla quale potrebbe non emergere. Una delle ragioni è che, come nel caso di Staromayorsk e di altre città, è ormai così distrutta che non ci sono molti posti dove nascondersi. Così, quando le unità dell’AFU si spostano, vengono bombardate dall’artiglieria russa e sono rapidamente costrette a fuggire.

Il focoso ex generale russo e ora deputato della Duma, Gurulev, ha apertamente sostenuto di aver bombardato Rabotino, mentre l’enorme massa di forze AFU descritta in precedenza è “ammassata” nell’area:

Allo stesso modo, sull’asse Staromayork e Urozhayne a est, Pushilin conferma come l’Ucraina non sia ancora in grado di controllare nessuno dei due villaggi per le stesse ragioni sopra citate, e sia costretta a cercare di circoscriverli ai fianchi orientali:

Come si vede nella mappa di Rabotino postata sopra, l’AFU sta cercando di fare lo stesso avvolgendosi verso Verbove piuttosto che occupare Rabotino.

Il colonnello Reisner, analista militare austriaco, ha dato una valutazione negativa, affermando che la NATO non ha mai visto simili fortificazioni difensive dalla battaglia di Kursk:

Per tornare alla questione, anche la Bild parla dell’imminente mobilitazione dell’Ucraina:

Detto questo, il ministro della Difesa Reznikov ha per ora negato i piani per una nuova mobilitazione, ma la sua parola non vale la carta igienica su cui è scritta.

Forse la Russia sta aspettando di vedere quanti uomini l’Ucraina riesce a pescare per decidere se ha bisogno di una mobilitazione? Dopo tutto, alla Russia piacerebbe non dover fare una mobilitazione se non ce n’è bisogno. Ma se l’Ucraina riuscisse a pescare davvero 500.000 uomini (cosa dubbia) potrebbe non avere scelta. In definitiva, potremmo assistere a un’altra ripetizione dell’anno scorso: entrambe le parti si mobilitano pesantemente durante l’autunno e l’inverno per prepararsi alle grandi azioni di primavera.

//
Il mondo sta cambiando velocemente. Il prossimo anno o due promette di essere potenzialmente il più importante e ricco di eventi di tutta la nostra vita. Non solo si avvicina una storica elezione americana che potrebbe culminare in una guerra civile, ma la scena geopolitica globale sta assistendo alla ristrutturazione più significativa degli ultimi decenni.

Il Paese africano del Gabon è diventato l’ultimo a subire un colpo di Stato anticoloniale e potrebbe esserci lo zampino russo-cinese, perché la confluenza di tali eventi non può essere una semplice “coincidenza”. Il presidente gabonese ha lanciato un appello disperato, pregando la Francia e il mondo occidentale di salvarlo:

I cittadini del Paese sono scesi in campo a sostegno delle truppe della giunta:

Ora si dice che il Camerun stia per subire un colpo di Stato e che la sua leadership stia già procedendo a un rimpasto d’emergenza delle alte sfere militari per evitarlo.

Tuttavia, altri rapporti sostengono che il colpo di Stato in Gabon sia solo un’azione degli imperialisti occidentali, in quanto il leader della giunta, secondo alcuni, è stato preparato dagli Stati Uniti e rappresenta gli interessi americani:

Ma perché un generale filo-americano ha rovesciato un presidente filo-francese? I vertici della DGSE, l’intelligence francese, lo spiegano con il fatto che, secondo gli americani, le autorità francesi non sono più in grado di proteggere efficacemente gli interessi dell’Occidente collettivo, compresi gli Stati Uniti, nel territorio sotto il loro controllo. Pertanto, la Casa Bianca ha deciso di prendere in mano la situazione e di sottrarre l’iniziativa ai francesi.
Nel frattempo, la giunta nigerina ha tagliato l’acqua e i rifornimenti al consolato francese che si è rifiutato di lasciare il Paese, sostenendo di prendere ordini solo dal presidente “legittimo”.

Il fatto che questi movimenti storici arrivino sulla scia degli importanti sviluppi dei BRICS significa che entro il prossimo anno il mondo sarà stato ridisegnato, con le potenze occidentali in declino come mai prima d’ora.

Questo per dare un po’ di prospettiva agli eventi in corso dell’OMU russa. Sebbene alcuni possano ritenere che i progressi siano lenti, io rimango dell’idea che gli eventi dell’OMU siano solo lo sfondo minore delle vere macchinazioni che Putin e altri stanno portando avanti dietro le quinte del quadro geopolitico globale.

Ad esempio, pare che la Russia abbia già iniziato a spedire nuovi container all’Arabia Saudita passando per l’Iran, in una nuova sorta di one belt one road:

1) Quando l’Egitto entrerà a far parte dei BRICS, il Canale di Suez, una delle rotte commerciali più importanti, sarà essenzialmente sotto la loro influenza.2) Inoltre, è stato avviato un secondo corridoio di trasporto con l’Iran. Il primo treno di transito, composto da 36 container con merci, è entrato in Iran attraverso il punto di controllo del confine Inche-Burun. La nuova rotta logistica rende il trasporto dalla Russia ai Paesi asiatici due volte più veloce e anche più economico. L’India ha investito circa 2,1 miliardi di dollari nel progetto, ma parte del carico sarà destinato ad altri Paesi, tra cui l’Arabia Saudita. Il progetto del corridoio di trasporto Nord-Sud è stato sviluppato nel 2000 come alternativa alle consegne attraverso il Canale di Suez.

L’Occidente si trova ora in una situazione di perdita. Anche se appoggiasse un’azione militare dell’ECOWAS contro il Niger o altri, ad esempio, esporrebbe una grande ipocrisia non solo ai Paesi africani ma anche al resto del mondo, che non farebbe altro che abbassare ulteriormente la posizione dell’Occidente, spingendo altri Paesi a staccarsi da loro e ad aderire al nuovo ordine multipolare. Non solo l’Occidente mostrerà il suo nudo colonialismo, ma verrà messo in luce il modo in cui sostiene ipocritamente un’azione militare contro una nazione sovrana in Africa, mentre condanna la stessa identica azione in Ucraina. Ricordiamo che le azioni della Russia possono essere considerate come un intervento di un colpo di Stato illegale che ha spodestato il leader ucraino democraticamente eletto; come può l’Occidente condannare il colpo di Stato in Africa e sostenerne l’inversione attraverso un’azione militare, mentre sostiene il colpo di Stato in Ucraina e condanna l’azione militare per invertire il colpo di Stato?

Altri movimenti continuano in tutto il mondo:

Il prossimo passo dell’Asia lontano dal dollaroIl Vietnam, le Filippine e il Brunei si uniranno alle altre principali economie del Sud-Est asiatico in un sistema di pagamento interconnesso con codice QR che mira a ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense – riporta Nikkei. (https://asia.nikkei.com/Economy/Vietnam-Philippines-and-Brunei-to-join-cross-border-QR-payment-scheme)Indonesia, Tailandia, Malesia e Singapore hanno già aderito alla stessa iniziativa.I pagamenti attraverso il sistema saranno effettuati in valuta locale, il che significa che i pagamenti in Tailandia che utilizzano l’applicazione indonesiana saranno direttamente scambiati in rupie e baht, evitando il dollaro USA come intermediario.Successivamente, le banche centrali cercheranno di collegare questa rete con altri cluster regionali in tutto il mondo, e di portare la stessa struttura ai trasferimenti bancari in tempo reale e persino alle valute digitali delle banche centrali.

Ecco l’interessante punto di vista di un analista sulle azioni che l’Occidente disperato sta intraprendendo come ultimo tentativo di aggrapparsi al proprio potere che sta scivolando. Egli ritiene che si stia passando a una forma di “meta-colonialismo” o di ultra-regionalizzazione dell’intero globo, e fornisce una ricetta per contrastare questo fenomeno da parte della Russia:

***Sempre più spesso, con il pretesto della lotta anticoloniale, l’Occidente propone ogni sorta di divisione degli Stati storici: vorrebbe dividere Paesi come l’Iran, la Cina, la Russia, l’India, ecc. Dopo il declino del colonialismo e del neocolonialismo, l’Occidente si sta preparando al “meta-colonialismo”: vuole distruggere e regionalizzare l’intero territorio della Terra, pur rimanendo un’entità politica relativamente grande. Stanno spostando il loro cardone sanitario orientale verso le nostre terre storiche, schiacciandoci fuori dall’Europa. Il loro algoritmo: un grande Stato – gli Stati Uniti> uno Stato medio – la Francia> un piccolo Stato – la Polonia> un’inezia – la Lettonia> una regione senza Stato dell’Ingermanland e così via. Questa è la loro visione del XXI secolo. E cosa possiamo opporre al metacolonialismo? Come dovrebbe essere la mappa del mondo dal nostro punto di vista? L’unica salvezza per noi sarà il consolidamento e la costruzione di un impero. La nostra mappa del mondo dovrebbe essere così: 1. Unione Russa – da Brest a Varsavia. Unione russa – da Brest a Vladivostok (Bielorussia, Russia, Ucraina, Kazakistan). 2. Trasferimento del cordone sanitario tra noi e l’Occidente sul territorio dell’Europa orientale e meridionale. 3. Creazione di grandi Stati slavi amici sul territorio dell’insediamento storico degli Slavi! Cioè grandi Stati federali.4. Grande Jugoslavia (ex Jugoslavia + Bulgaria + Macedonia + Romania) ancorata intorno alla Serbia.5. Grande Slavia occidentale (ex DDR + Polonia + Cecoslovacchia + Ungheria + Ucraina occidentale e Transcarpazia) basata su ungheresi, tedeschi dell’Est e… polacchi, per forza. Polacchi, non c’è da stupirsi.6. Regionalizzazione dell’Europa occidentale e dell’Occidente nel suo complesso. Baviera, Linguadoca, Galizia, Scozia, Piemonte e Repubblica del Texas.Solo una simile costruzione salverà il mondo dal metacolonialismo. Solo una simile costruzione salverà il mondo dal metacolonialismo e stabilirà una pace e una tranquillità durature nel nostro continente. I sogni si avverano. Tra 50 anni, la mappa sarà esattamente come questa.

Ricordiamo il pazzoide Fehlinger, legato alla NATO, di cui ho pubblicato l’ultima volta l’appello a rompere il Brasile:

Non sono sicuro di essere d’accordo sul fatto che le potenze orientali spingeranno o otterranno la stessa balcanizzazione dell’Occidente che l’Occidente tenta di fare su di loro, ma certamente chiunque può vedere che il centro del potere si sta spostando rapidamente e drasticamente a Est.

Se si sommano tutti gli ultimi sviluppi, si capisce che l’Occidente è in pericolo. Il problema dell’Occidente è che ha sempre vissuto grazie alle risorse naturali, e in seguito alla produzione, di altri, mentre si trasformava lentamente in un’economia di servizi sviluppata. Per raggiungere questo obiettivo hanno dovuto tenere sotto il loro controllo tutte le nazioni in via di sviluppo ricche di risorse naturali. È affascinante vedere quanti roditori imperialisti si liberano quando si scuote la nave. Per esempio, non appena si è verificato il colpo di Stato in Gabon, sono immediatamente giunte notizie di lavoratori francesi del conglomerato petrolifero Total che sono stati mandati via dal Paese, così come di interruzioni per la società mineraria francese Eramet. L’immenso strapotere imperialista dell’Occidente è sopravvissuto sotto il nostro naso, si è mescolato all’ambiente e alcuni stanno scoprendo solo ora quanto abbia pervaso completamente il continente africano. Ogni nazione africana è invasa da militari occidentali, grandi conglomerati petroliferi occidentali, ecc.

È per questo che ora l’Occidente morente si sta disperatamente affannando a fare a pezzi l’Ucraina come gli avvoltoi con le carcasse:

Pare che la Francia abbia persino implorato o costretto l’India a porre il veto sull’Algeria al vertice dei BRICS. Hanno il terrore di perdere di più:

Una piccola consolazione e vittoria per loro, ma nulla in confronto a ciò che stanno perdendo attualmente e a ciò che i BRICS hanno guadagnato in generale. Al vertice dell’anno prossimo non potrà che crescere e forse per allora l’Algeria avrà già aderito, nonostante le lamentele dell’Occidente sempre più irrilevante.

In effetti, Rybar riferisce che ora i Balcani cominciano a manifestare interesse per l’adesione ai BRICS:

Sullo sfondo delle dichiarazioni sull’espansione dell’organizzazione internazionale dopo il recente vertice di Johannesburg, ci sono state richieste di adesione da parte della penisola balcanica.▪️ Il partito serbo “Movimento dei Socialisti” ha recentemente proposto di iniziare a lavorare per l’adesione ai BRICS. I suoi deputati invieranno al Parlamento una bozza di risoluzione, secondo la quale l’adesione ai BRICS diventerà per la Serbia “una chiara alternativa al cosiddetto percorso verso l’Unione Europea”. Il partito è in coalizione con il Partito progressista serbo (SNS) al governo ed è guidato da Alexander Vulin, che è anche a capo del dipartimento di intelligence della BIA. ▪️ Dopo Vulin, che di recente è stato inserito nella lista delle sanzioni statunitensi a causa della sua posizione apertamente filorussa e del suo euroscetticismo, anche il presidente della Republika Srpska, un’entità all’interno della Bosnia-Erzegovina, ha chiesto (https://t.me/rtbalkan_ru/2366) di aderire ai BRICS.Secondo Milorad Dodik, da Bruxelles arrivano sempre nuove e poco chiare condizioni per l’adesione all’UE. Secondo Milorad Dodik, da Bruxelles arrivano sempre nuove e poco chiare condizioni per l’adesione all’UE. “I BRICS ci accetteranno prima dell’UE”, ha ironizzato il leader dei serbo-bosniaci, che ha promesso di inviare alle autorità della Bosnia-Erzegovina una proposta per prendere in considerazione l’iniziativa nei prossimi giorni 🔻 Tuttavia, la Serbia e la Republika Srpska sono ben lungi dall’essere le uniche nell’ex Jugoslavia ad essere indignate per il prolungarsi del processo di integrazione europea. Il forum “Solidarietà per la sicurezza globale” si è tenuto di recente sul pittoresco lago sloveno di Bled. Il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel si è impegnato ad accogliere nuovi membri dell’UE entro il 2030, ma le dichiarazioni dei leader balcanici sono un’indicazione piuttosto chiara del livello di scetticismo generale.▪️ Come ha giustamente affermato il Primo Ministro serbo Ana Brnabic, “i confini della porta per segnare un gol” si spostano continuamente. Il primo ministro albanese Edi Rama, commentando il prolungato processo di integrazione europea, ha cercato di essere ancora più spiritoso. “Sembra che ci stiamo trascinando in un autobus, ma è comunque preferibile a un aereo russo”. Un collega di Rama e Brnabic della Macedonia settentrionale ha citato i sondaggi d’opinione, secondo i quali il numero di cittadini contrari all’adesione all’UE ha già raggiunto l’80% della popolazione del Paese. Approssimativamente gli stessi indicatori sono stati ottenuti dai sociologi come risultato di recenti sondaggi in Serbia, e il numero di euroscettici cresce ogni giorno. Quindi la questione di indire un referendum sull’adesione ai BRICS non sembra più una fantasia dei sognatori e potrebbe diventare una realtà nel prossimo futuro.
Ora Putin ha accettato di organizzare un importante forum sulla cintura e la strada in Cina a ottobre, che consoliderà ulteriormente gli sviluppi:

Per chi fosse interessato, alla luce dell’avventura ucraina presto persa dall’Occidente, Pepe Escobar ha un nuovo articolo su dove convergerà il prossimo “grande gioco” delle potenze occidentali. A suo avviso, si tratta dell’Asia centrale, in particolare del Kazakistan. Si può notare quanto siano profondi gli artigli dell’Occidente in questo Paese ricco di risorse:

Come ho detto, le cose si stanno muovendo velocemente mentre l’Occidente si affanna nel panico per rimanere aggrappato.

//
Alcuni ultimi elementi disparati.

Il tenente generale russo Viktor Sobolev ha dichiarato che Wagner “cesserà di esistere”:

🇷🇺‼️ “Il Gruppo Wagner cesserà di esistere. I combattenti potranno passare alla vita civile o firmare un contratto con il Ministero della Difesa”. -Tenente generale Viktor Sobolev. “Si tratta di una formazione armata illegale <…> Nello Stato non dovrebbero esserci persone armate che non sono subordinate allo Stato. Di conseguenza, questo ha portato a una ribellione. Eravamo sull’orlo di una guerra civile”, ha dichiarato il deputato della Duma di Stato, precisando che solo i wagneriani che non hanno partecipato alla ribellione possono firmare un contratto con il Ministero della Difesa.
Questo arriva in un momento interessante, in cui le voci su tutto ciò che riguarda Wagner continuano a girare. L’Occidente si appassiona a teorie assurde:

Ma a volte non sembrano così folli, come oggi che un canale affiliato a Wagner ha pubblicato un video che mostra Prigozhin, secondo quanto riferito, il 20 agosto in Africa, pochi giorni prima del suo fatidico volo di ritorno a Mosca, dove poi è morto. Nel video afferma alcune cose inquietanti sulla sua “liquidazione”:

Dato che è un uomo predisposto a travestimenti e inganni di ogni genere, si può davvero ritenere inverosimile che la sua morte presunta non sia come sembra? Dopotutto, molti hanno osservato che c’era qualcosa di “strano” nel suo funerale, tenuto rapidamente e coperto a San Pietroburgo, che ha visto relativamente pochi partecipanti. Per non parlare del fatto che il luogo dello schianto dell’aereo sarebbe stato rimosso dai bulldozer.

Ecco come appare oggi il luogo dello schianto dell’aereo di Yevgeny Prigozhin. Per qualche motivo, tutto il terreno è stato rimosso dai bulldozer e portato fuori“.
Ci sono già state segnalazioni di avvistamenti di Prigozhin in Mali, quasi certamente false. Ma ricordiamo che Prigozhin era stato definito morto in un altro incidente aereo del 2019 in Congo, per poi riemergere vivo. Il conflitto ha visto alcuni dei più strani colpi di scena del nostro tempo: non mi sorprenderà vedere le cose prendere un’altra bizzarra piega lungo la linea.

Per chi è interessato alla chiusura della saga:

 

Il leader della Compagnia Militare Privata Wagner, Evgeny Prigozhin, è stato deposto nel cimitero di Porokhovskoye a San Pietroburgo. La cerimonia funebre si è svolta a porte chiuse, con la presenza solo di parenti e amici stretti di Prigozhin.

La lapide che si trova sulla sua tomba è un brano tratto da Brodsky poem:

“..La madre dice a Cristo:
– Sei mio figlio o mio Dio? Sei inchiodato alla croce. Come farò a tornare a casa? Come varcherò la soglia senza capire, senza decidere se sei mio figlio o Dio. Sei morto o vivo?
Le risponde:
– vivo o morto, non fa differenza. Figlio o Dio, sono tuo”…
🙏🏼🕯️❤️

Utkin sarà sepolto oggi 31 agosto nel cimitero nazionale di Mytishchi a Mosca, dopo tutto era un vero e proprio soldato russo decorato prima del suo incarico di Wagner.

I politici americani continuano a sostenere che usare gli ucraini come carne da cannone per combattere la Russia senza dover rischiare le truppe americane è l’ideale, ed è la vera ragione della guerra:

Nel frattempo, sul tema delle opinioni occidentali piuttosto ripugnanti, abbiamo la continua caratterizzazione degli attacchi terroristici a Mosca come accettabili:

Per un giornale statunitense pubblicare letteralmente la foto di un grattacielo danneggiato da un attacco kamikaze insieme a un titolo positivo o di accettazione è l’apice dell’ipocrisia.

Ma cosa ci si può aspettare da queste persone?

Il prossimo:

Mentre l’Ucraina gongola per aver colpito alcuni aerei vuoti, la Russia ha in realtà effettuato un serio logoramento dei piloti ucraini di recente. C’è stata una serie di abbattimenti con la perdita di molti piloti:

Questo avviene solo due giorni dopo la notizia che alcune acrobazie ucraine nell’ovest del Paese hanno causato la morte di tre piloti importanti e decorati quando i loro aerei da addestramento L-39 si sono schiantati l’uno contro l’altro:

Infine, i cinesi continuano a mostrare il loro sostegno, sia in modo palese sia in modo sottile, all’OMR russo:

🇷🇺🇨🇳China sostiene la Russia! A Blagoveshchensk, che si trova al confine con la Cina, i residenti hanno visto questa composizione. La cosa più interessante è che è stata realizzata dai cinesi e mostra la nostra parte dall’altra parte del confine.

p.s. Substack has announced a new system of payment methods where they are apparently expanding the types of ways you can pay. In the future they intend to have even more options, but for now, if you were one of the people on the fence about subscribing because of the specific credit card autopay feature, read up on their new methods and see if it suits you: https://support.substack.com/hc/en-us/articles/18687769631252

Thanks to all for the continued support!


If you enjoyed the read, I would greatly appreciate if you subscribed to a monthly/yearly pledge to support my work, so that I may continue providing you with detailed, incisive reports like this one.

Alternatively, you can tip here: Tip Jar

https://simplicius76.substack.com/p/sitrep-83023-ukraine-smokescreens?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=136545587&isFreemail=false&utm_medium=email

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Giacomo Gabellini

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Giacomo Gabellini. Nella voce “dossier” sulla barra orizzontale abbiamo creato una apposita raccolta. Buona lettura, Giuseppe Germinario

  • Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

Credo che le ragioni degli sbalorditivi errori di calcolo compiuti siano da attribuire al senso di onnipotenza che ha pervaso le classi dirigenti statunitensi a partire dal collasso dell’Unione Sovietica. Questa percezione distorta ha atrofizzato il pensiero critico e alimentato un sostanziale disinteresse per il resto del mondo; il conformismo dilagante che ne è scaturito ha pregiudicato la capacità sia di formulare valutazioni realistiche delle potenzialità proprie e del nemico, sia di comprendere le implicazioni strategiche delle proprie scelte politiche. Hanno quindi trasformato deliberatamente la questione ucraina da crisi regionale in sfida esistenziale per la Russia, senza rendersi pienamente conto dei pericoli che comporta la decisione di mettere con le spalle al muro quello che si configura come il Paese più grande del mondo dotato di oltre 6.000 testate atomiche e vettori ipersonici in grado di trasportarle verso l’obiettivo. Hanno quindi sottovalutato la capacità industriale, la coesione sociale, le competenze tecnologiche e la forza militare latente della Federazione Russa, sovrastimando allo stesso tempo la propria capacità di condizionamento e dissuasione nei confronti dei Paesi terzi, l’impatto delle sanzioni, le implicazioni della sempre più spiccata tendenza a “militarizzare” il dollaro e i circuiti attraverso cui circola la moneta Usa. Si sono quindi illusi di strangolare l’economia russa come avevano fatto con quella cilena negli anni ’70, di poter agevolmente convincere il resto del mondo ad aderire alla campagna sanzionatoria orchestrata dall’Occidente contro la Federazione Russa e di infliggerle una sconfitta strategica sul campo di battaglia contando sulla presunta superiorità della propria dottrina militare, oltre che dei propri sistemi d’arma. Nei confronti della Cina hanno commesso errori di calcolo paragonabili, se non peggiori. Hanno ritenuto di poterla “occidentalizzare” includendola nell’ordine globalizzato, e quindi favorendo il trasferimento dei migliaia di stabilimenti produttivi presso la principale potenza demografica al mondo, che nel corso dei millenni è rimasta straordinariamente fedele a se stessa facendo affidamento su un bagaglio culturale inestimabile. Hanno quindi posto le condizioni per la trasformazione di un Paese poverissimo in una superpotenza a tutto tondo, con intenti palesemente anti-egemonici. Un risultato sbalorditivo.

 

  • Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

Credo si tratti del frutto avvelenato di un processo di “imbarbarimento” culturale generalizzato. Negli Stati Uniti, il concetto paretiano di “circolazione delle élite” ha trovato applicazione fino a degenerare nel ben noto sistema delle “porte girevoli” (revolving doors), già analizzato a suo tempo da Charles Wright Mills nel suo eccellente Le élite del potere. Militari, politici, banchieri e finanzieri che passano con grande disinvoltura dal pubblico al privato e poi di nuovo al pubblico, dando origine a grovigli di interessi particolari profondamente confliggenti con quelli della nazione nel suo complesso. La funzione politica diviene così ostaggio del più bieco affarismo, che si esprime sotto forma di peculiarissimo sodalizio che l’ex analista della Cia Ray McGovern ha definito “Military-Industrial-Congressional-Intelligence-Media-Academia-Think-Tank Complex”, in cui la circolazione del denaro per via tangentizia interconnette i mezzi di comunicazione di massa, le università, i “pensatoi”, le agenzie spionistiche e il Congresso orientando le direttrici strategiche del potere pubblico. L’enormità degli sforzi profusi in propaganda al fine di modellare l’opinione pubblica interna e “costruire consenso” a livello domestico dà la misura del livello di corruzione raggiunto dagli Stati Uniti, che a mio avviso tendono a somigliare sempre di più all’Unione Sovietica degli anni ’80. Ultimamente, quando rifletto sull’entità del degrado che orai caratterizza gli Usa, mi sovvengono spesso le amare valutazioni formulate in quel periodo da Nikolaj Ivanovič Ryžkov, ex ufficiale e politico sovietico, in riferimento al suo Paese.  «L’ottusità del paese – affermò Ryžkov – ha raggiunto un picco: dopo, c’è solo la morte. Nulla è fatto con cura. Rubiamo a noi stessi, prendiamo e diamo mazzette, mentiamo nei nostri rapporti, sui giornali, dal podio, ci rivoltoliamo nelle nostre menzogne e intanto ci conferiamo medaglie a vicenda. Tutto questo dall’alto in basso, e dal basso in alto».

 

  • La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Direi di sì. Intendiamoci; l’Occidente ha ancora numerose frecce al proprio arco, ma mi pare stia scivolando ormai irreversibilmente su un ripidissimo piano inclinato. Come ho cercato di spiegare nei miei lavori, il conflitto russo-ucraino ha palesato urbi et orbi l’inaffidabilità dell’“occidente collettivo” e l’arbitrarietà del cosiddetto “ordine basato su regole” (rules based order) di cui i portavoce di Washington magnificano senza sosta le inesistenti virtù. Ma soprattutto, ha messo a nudo la debolezza strutturale degli Stati Uniti e la falsa coscienza delle classi dirigenti euro-statunitensi, le quali inquadrano il conflitto russo-ucraino come scontro tra democrazie e autocrazie mentre il resto del mondo lo vede come una guerra per procura tra Nato e Russia, che vede quest’ultima tenere testa dal punto di vista sia economico che militare all’intera Alleanza Atlantica. Sono molto d’accordo con Emmanuel Todd, secondo cui «la resistenza dell’economia russa spinge il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico” della Nato. Credo che i russi stessi non lo avessero anticipato. Se l’economia russa resistesse alle sanzioni indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla. Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti». Agli Stati Uniti occorrerebbe un “adattamento morbido” a un mondo in rapida evoluzione, ma il Paese non dispone di apparati dirigenti all’altezza del compito.

 

  • Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

La riscoperta delle radici culturali ha permesso a Cina e Russia di erigere “grandi muraglie” sufficientemente robuste da resistere all’ostinato tentativo tutto statunitense di occidentalizzare il mondo intero. Il recupero del passato costituisce uno strumento formidabile per entrambi questi Stati-civiltà, in un’ottica di affermazione della propria identità differenziata rispetto alle altre, e di compattamento della società attorno a valori millenari specifici. Credo che “innestare” queste tradizioni in una società moderna rappresenti un compito difficile a livello generale, ma che per nazioni come Cina e Russia possa risultare molto meno arduo perché si tratta di Paesi che non hanno mai realmente rinnegato il proprio passato. In un modo o nell’altro, i capisaldi di entrambe le culture sono sempre riemersi, anche quando sono stati sottoposti a prove durissime come la Rivoluzione Culturale o i progetti trockysti miranti alla creazione del cosiddetto “uomo del futuro”. La deriva nichilistica dell’Occidente rende invece particolarmente difficile l’attuazione di un processo di rivalutazione del passato analogo a quello realizzato da Cina e Russia.

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

Alessandro De Carolis Ginanneschi, Il liberalismo, questo illustre sconosciuto _ di Teodoro Klitsche de la Grange

Alessandro De Carolis Ginanneschi, Il liberalismo, questo illustre sconosciuto, Ergo Sum Editore, Grosseto 2023, pp. 92, € 9,00.

Quanto mai utile questo agile libretto in un’epoca in cui di sedicenti liberali ce ne sono tanti, per il motivo che, essendo crollato nel 1989-1991 il comunismo, gran parte della sinistra si è riconvertita (spesso a parole) ad un asserito e rivisitato liberalismo che, dell’originale, conserva solo alcuni (e limitati) profili, per lo più in stretta correlazione con le minoranze che “tutela”. Lo scrive l’autore nella “premessa” “La constatazione che da troppo tempo molti parlano a sproposito del Liberalismo, convinti tra l’altro si tratti di una ideologia quando invece è un metodo, mentre molti si dichiarano liberali pur senza esserlo – anzi esprimendo idee e promuovendo politiche o comportamenti che liberali non sono, mi ha indotto a scrivere questo riassunto di riflessioni altrui”.

Peraltro già del liberalismo classico se  ne hanno più “versioni” distinte, anche se vicine.

Ad esempio quella sintetizzata dall’alternativa “Parigi o Filadelfia?”, onde liberalismo anglosassone o continentale? La preferenza dell’autore va alla declinazione anglosassone, che articola in una  serie di opposizioni. Antropologica: l’uomo è “legno storto” o “buon selvaggio”? Istituzionale: “rule of law” o “Stato di diritto”?. Common law (diritto consuetudinario) o legge (diritto statuito dal legislatore). Ognuna di queste alternative “parigine”, anche se in misura diversa, rischia di tradursi in un depotenziamento della libertà a favore di un potere statale pervasivo e opprimente. Nonostante le migliori intenzioni: forse non è un caso che la situazione odierna, malgrado quelle, somigli assai alla descrizione profetica che Tocqueville fa del “dispotismo mite”: un potere paternalistico che tratta i cittadini come bambini da rieducare. Anche l’Unione europea non è immune da tale menda. Come scrive De Carolis “Nell’attualità, sono sempre più convinto che un altro giacobinismo ci minaccia, ovvero quello del super-Stato europeo in mano ad una classe più burocratica che politica, e quindi svincolata dalle volontà dei propri cittadini/sudditi; mentre lo stiamo costruendo, lo Stato liberale e federale all’anglosassone sembra invece essere il modello che l’Europa, per essere davvero unita in armonia, dovrebbe seguire”: l’alternativa quindi non è tanto tra Stati nazionali e unioni superstatali, che andrebbero contemperati, ma tra bulimia del “pubblico” e garanzia del privato, presente sia a livello statale che sovrastatale, sia tra sovranisti che globalisti.

Il libro è completato da una serie di documenti: dalla dichiarazione dei diritti del 26/08/1789 al Manifesto di Oxford del 1947 (ed altre) che testimoniano, anche se sinteticamente, del perdurare del nucleo fondamentale del liberalismo in oltre due secoli.

Nel complesso un libro per chiarirsi le idee nella confusione imperante (e spesso artatamente intensificata). Particolarmente opportuno in una nazione, come l’Italia, che negli ultimi trent’anni ha visto una costante riduzione degli ambiti di libertà reale a favore del potere pubblico, presentati come un processo di “liberazione” e (addirittura)  come “fine della storia”. Un farmaco contro la weberiana eterogenesi dei fini.

Teodoro Klitsche de la Grange

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

POTERI INVADENTI, POTERI INVASIVI, POTERI DECADENTI_Con Augusto Sinagra

Le vicende politiche italiane degli ultimi quaranta anni hanno conosciuto una costante: la crescente influenza e determinazione delle scelte politiche da parte del Presidente della Repubblica. Un’opera che, svolta discretamente e spesso contrastata sino agli anni ’80, ha finito per imporsi progressivamente e platealmente. Da figura prevalentemente di garanzia degli equilibri tra istituzioni si è trasformata in soggetto (iper)attivo. Un processo che non a caso accompagna il peso crescente di particolari ordinamenti, nella fattispecie il giudiziario, e una dinamica di feudalizzazione dei gruppi di poteri e decisionali interni allo stato. Un garante, quindi, dell’indiscutibilità del sistema di alleanze internazionali cui è assogettato il paese e della conservazione degli attuali centri decisori a qualunque costo, tanto più a dispetto della evidente necessità e volontà di cambiamento confusamente espressa in questi anni. Il paradosso è che a sostenere questa trasformazione surrettizia e degradante degli assetti istituzionale sono quelle forze politiche che ipocrritamente da anni strillano allarmate contro una svolta presidenzialista in qualche modo regolamentata normativamente. L’apoteosi di una politica dei colpi di mano e di un ceto politico e dirigente decadente, autocratico ed autoreferenziale, esiziale per le sorti della nazione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v3d1iu8-poteri-invadenti-poteri-invasivi-poteri-decadenti-con-augusto-sinagra.html

ll sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (pay pal prende una commissione di 0,52 centesimi)

IL DISADATTAMENTO DELLE ÉLITES OCCIDENTALI. INTERVISTA A ROBERTO NEGRI

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Roberto Negri. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 RISPONDE ROBERTO NEGRI

1) Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

Prima del – lungo – elenco di motivazioni, credo vada ricordato il loro sottofondo ideologico comune, l’eccezionalismo americano e la visione quasi messianica del ruolo degli Stati Uniti come elemento ordinatore e di governo del mondo, che anche in élite migliori di quelle attuali implica il rischio di ignorare il potenziale, e tanto più le motivazioni e la determinazione degli antagonisti. Su questo substrato si innestano una serie di circostanze ed eventi, fra cui un trentennio di dominio pressoché incontrastato; alcune prove di forza vinte facilmente contro avversari strutturalmente inferiori; il plauso servile degli alleati anche di fronte a operazioni sorrette da motivazioni smaccatamente artefatte e una conseguente convinzione di totale impunità che vediamo replicata anche oggi; una classe dirigente mediocre e incompetente, formata e perpetuata per cooptazione, eterodiretta da conglomerati economici, interessata soprattutto alla propria autoconservazione; un impoverimento culturale che non si limita alla sfera politica ed economica ma tocca anche quella militare e informativa, cosa in qualche misura inevitabile quando le verità scomode possono stroncare una carriera. In un quadro di questa natura non solo la sottovalutazione del potenziale economico, militare e industriale della Russia è una conseguenza quasi logica, ma soprattutto anche i margini per eventuali correzioni di rotta sono di fatto molto limitati.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

A mio modo di vedere, nel contesto che stiamo esaminando ogni errore tecnico è innanzitutto, e forse principalmente, un errore culturale latu sensu (vedi le considerazioni della risposta precedente). Non imputerei peraltro questa inadeguatezza alla sola classe dirigente, e non solo perché, con tutti i limiti che le democrazie del dopoguerra stanno evidenziando, i decisori formali sono pur sempre eletti dal popolo. Ad oggi, ad esempio, è senza dubbio vero che gran parte della popolazione mostra nei confronti della guerra in Ucraina un orientamento che spazia dal tiepido al francamente contrario; ma pensare che solo per gli Stati Uniti lo stile di vita occidentale non sia negoziabile è a mio avviso un errore, e questo rende possibile che, poste di fronte alle conseguenze concrete di una sconfitta strategica del blocco occidentale e in particolare alla fine del dominio postcoloniale su interi continenti e dei vantaggi economici da questo derivanti, le opinioni pubbliche occidentali si schierino alla fine al fianco di qualsiasi classe dirigente si proponga di arrestare o quanto meno rallentare questa evoluzione, che – mi pare valga la pena ricordarlo – non prevede alcun ritorno al business as usual. Insomma, ho l’impressione che la vita delle scelte strategiche di questa élite, magari con volti diversi e con minore rozzezza, sia ancora lontana dall’essere al termine.

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Oltre all’assenza della volontà politica e della lucidità necessarie a prendere atto del fatto che il nostro modello di sviluppo illimitato non è più sostenibile né accettabile per chi finora ne ha pagato il costo, non credo che oggi il mondo occidentale disponga delle risorse culturali e intellettuali per invertire un processo che peraltro, anche in presenza di tali risorse, credo si sarebbe probabilmente comunque prodotto pur se in tempi e con connotati differenti. Quelle che ancora sopravvivono sono silenziose per scelta, costrizione o obliterazione da un dibattito pubblico la cui ragione sociale, spogliata dai fronzoli, sembra essere la distruzione di tutto quanto, pur fra errori e macchie a volte indelebili, ha dato un senso e un valore alla nostra storia, e di conseguenza anche delle risorse necessarie a invertire la rotta. Non fosse per la straordinaria mediocrità degli attori in gioco verrebbe quasi la tentazione di interpretare quanto sta accadendo ad ogni livello – economico, politico, culturale – come un cosciente cupio dissolvi dettato dalla consapevolezza di avere esaurito la nostra parabola, ma la realtà ci restituisce piuttosto l’immagine del proverbiale cavaliere che “andava combattendo, ed era morto”.

 4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

Innanzitutto trovo significativo il fatto che Cina (che credo non abbia mai veramente abbandonato il proprio retaggio culturale) e Russia sembrano avere imboccato anche sotto questo aspetto una direzione diametralmente opposta alla nostra, che siamo al contrario apparentemente impegnati a distruggere qualsiasi pensiero non in linea con lo Zeitgeist imposto dall’agenda modernista. Senza dubbio, nel caso di questi due paesi, le rispettive tradizioni rappresentano un elemento ordinatore, identitario e di coesione, tanto più utile e funzionale di fronte a tempi che non saranno privi di difficoltà per nessuno, oltre che un presidio e un elemento di difesa contro le derive culturali di un Occidente che entrambi vedono come irrimediabilmente corrotto e fonte di possibile corruzione. Per rispondere invece alla domanda, anche senza necessariamente inclinare per l’antimodernismo del Pasolini di Difendi, conserva, prega bisogna innanzitutto chiedersi se la tradizione abbia ancora qualcosa da dire nel mondo contemporaneo che si sta profilando. Non dispongo degli strumenti filosofici per azzardare una risposta che sia qualcosa di più e di diverso da una posizione  personale; la mia, a maggior ragione in un mondo e un tempo che identificano erroneamente la modernità come progresso tout court, propende senz’altro per il si, se non altro come richiamo e punto di riferimento a un “altrove” culturale ed esistenziale che – non casualmente – si tenta quotidianamente di cancellare.

Sfuggire al logoramento: L’Ucraina lancia il dado, di BIG SERGE

Sfuggire al logoramento: L’Ucraina lancia il dado

Il blockbuster estivo di Zaporizhia

L’immagine iconica dell’offensiva estiva ucrainaÈ passato un po’ di tempo, dall’ultima volta che ho pubblicato un commento articolato sulla guerra russo-ucraina in corso, e confesso che scrivere questo articolo mi ha creato un po’ di problemi. La tanto attesa grande controffensiva estiva dell’Ucraina è in corso da circa ottanta giorni e non ha dato grandi risultati. L’estate ha visto combattimenti accaniti in diversi settori (che verranno elencati di seguito), ma la linea di contatto si è spostata molto poco. Sono stato riluttante a pubblicare una discussione sulla campagna ucraina semplicemente perché hanno continuato a tenere reparti operativi in riserva, e non volevo pubblicare un commento prematuro che andasse in stampa proprio prima che gli ucraini esibissero qualche nuovo trucco, o svelassero un asso nascosto nella manica. In effetti, ho scritto la maggior parte di questo articolo la settimana scorsa, proprio prima che l’Ucraina lanciasse l’ennesimo tentativo di aprire una breccia nel settore di Orikhiv.A questo punto, però, l’apparizione di alcune delle ultime brigate di prim’ordine ucraine[1], che in precedenza erano state tenute in riserva, conferma che gli assi dell’attacco ucraino si sono manifestati. Solo il tempo ci dirà se queste preziose riserve riusciranno a fare breccia nelle linee russe, ma è passato abbastanza tempo da poter delineare che cosa esattamente l’Ucraina ha cercato di fare, perché, e perché finora ha fallito fino.Parte del problema della narrazione della guerra in Ucraina è la natura dei combattimenti: guerra di posizione e di logoramento. Si continua a cercare una manovra operativa coraggiosa per sbloccare la situazione, ma a quanto pare, la realtà è che, per ora, una combinazione di capacità e riluttanza ha trasformato questa guerra in una guerra di posizione con un ritmo offensivo lento, che assomiglia molto di più alla prima guerra mondiale che alla seconda.L’Ucraina aveva l’ambizione di sfondare il fronte e di ritrovare mobilità operativa, di sfuggire alla guerra d’attrito e di puntare su obiettivi significativi dal punto di vista operativo, ma finora questi sforzi non sono andati a buon fine. Per quanto si sia vantata d’esser capace di manovre operative di qualità superiore, l’Ucraina si trova ancora intrappolata in un assedio, e cerca dolorosamente di aprirsi un varco nelle posizioni russe calcificate: senza successo. 

L’Ucraina può anche non essere interessata a una guerra di logoramento, ma il logoramento è certamente interessato all’Ucraina.

 

Il paradigma strategico dell’Ucraina

Per chi ha seguito da vicino la guerra, quelle che seguono non saranno probabilmente informazioni nuove, ma credo che valga la pena di riflettere in modo olistico sulla guerra dell’Ucraina, e sui fattori che guidano le sue decisioni strategiche.

 

Per l’Ucraina, la conduzione della guerra è influenzata da una serie di inquietanti asimmetrie strategiche.

 

Alcune di queste sono ovvie, come la popolazione e l’industria militare molto più grandi della Russia, o il fatto che l’economia bellica russa è interna, mentre l’Ucraina dipende interamente dalle forniture occidentali di attrezzature e munizioni. La Russia è in grado di aumentare autonomamente la produzione di armamenti, e dal campo di battaglia arrivano numerosi segnali che l’economia bellica russa inizia a trovare il suo ritmo, con nuovi sistemi, come il Lancet, sempre più numerosi, e fonti occidentali che ora ammettono che la Russia è riuscita a serializzare una versione nazionale del drone iraniano Shahed[2]. Inoltre, la Russia ha la capacità asimmetrica di colpire le retrovie ucraine in una misura che l’Ucraina non può pareggiare, anche se le vengono forniti i temuti ATACM (questi daranno all’Ucraina il raggio d’azione per colpire obiettivi di profondità operativa nel teatro, ma non possono colpire le strutture di Mosca e Tula come i missili russi possono colpire ovunque in Ucraina).

Medvedev ispeziona la produzione di un carro armato
Con le significative asimmetrie russe nelle dimensioni della popolazione, nella capacità industriale, nella capacità di attacco e – diciamolo pure – nella sovranità e nella libertà decisionale, una guerra di logoramento e di posizione è matematicamente svantaggiosa per l’Ucraina, eppure è proprio questo il tipo di guerra in cui è rimasta intrappolata.Ciò che è importante capire, tuttavia, è che l’asimmetria strategica va oltre le capacità fisiche, come la base di popolazione, gli impianti industriali e la tecnologia missilistica, e si estende al regno degli obiettivi strategici e delle tempistiche.La guerra della Russia è stata deliberatamente inquadrata in un modo abbastanza aperto, con obiettivi in gran parte legati all’idea di “smilitarizzare” l’Ucraina. In effetti, gli obiettivi territoriali della Russia rimangono piuttosto nebulosi al di là dei 4 oblast annessi (anche se è sicuro che Mosca vorrebbe acquisire molto di più di questi). Tutto questo per dire che il governo di Putin ha deliberatamente inquadrato la guerra come un’impresa tecnico-militare incentrata sulla distruzione delle forze armate ucraine, e si è dimostrato perfettamente libero di cedere territori per ragioni di prudenza operativa.Al contrario, l’Ucraina ha obiettivi massimalisti di natura esplicitamente territoriale. Il governo Zelensky ha dichiarato apertamente di mirare – per quanto fantasioso possa essere – a ripristinare la totalità dei territori del 1991, compresi non solo i quattro oblast’ continentali ma anche la Crimea.La confluenza di questi due fattori – il massimalismo territoriale ucraino combinato con i vantaggi asimmetrici russi in un conflitto di posizione e d’attrito – costringe l’Ucraina a cercare un modo per rompere il fronte e ripristinare uno stato di fluidità operativa. Rimanere bloccati in una guerra di posizione è impraticabile per Kiev, in parte perché i vantaggi materiali della Russia inevitabilmente emergeranno (in un combattimento tra due giganti che roteano grandi mazze, si scommette sul più gigante più grande dotato della mazza più grande), e in parte perché una guerra di posizione (che equivale essenzialmente a un massiccio assedio) semplicemente non è un modo efficiente per riconquistare territorio.

 

Questo non lascia all’Ucraina altra scelta che sbloccare il fronte e cercare di ripristinare le operazioni mobili, con l’obiettivo di creare una propria asimmetria. L’unico modo possibile per raggiungere questo obiettivo è lanciare un’offensiva volta a interrompere le linee critiche di comunicazione e di rifornimento russe. Contrariamente ad alcuni suggerimenti[3] diffusi questa primavera, una grande offensiva ucraina contro Bakhmut o Donetsk semplicemente non era adatta.

 

Francamente, ci sono solo due obiettivi operativi adatti all’Ucraina. Uno è Starobils’k, il cuore pulsante al centro del fronte russo di Lugansk. Catturare o bloccare Svatove e poi Starobils’k creerebbe nel nord una vera e propria catastrofe operativa per la Russia, con effetti a cascata fino a Bakhmut. Il secondo possibile obiettivo era il ponte terrestre verso la Crimea, che poteva essere tagliato da una spinta attraverso la bassa Zaporizhia verso la costa del mare di Azov.

 

Era probabilmente inevitabile che l’Ucraina scegliesse l’opzione Azov, per alcune ragioni. Il ponte terrestre verso la Crimea è uno spazio di battaglia più conchiuso – un’offensiva a Lugansk avverrebbe all’ombra delle regioni russe di Belgorod e Voronezh, rendendo relativamente più difficile mettere fuori gioco forze russe significative. Forse ancora più significativa, tuttavia, è la radicata ossessione di Kiev per la Crimea e il ponte di Kerch, obiettivi che esercitano un influsso ipnotico che Starobils’k non potrebbe mai esercitare.

 

Questa può sembrare un’analisi un po’ impressionistica, ma vale la pena riflettere sul come e sul perché l’Ucraina ha finito per lanciare un’offensiva che era ampiamente telegrafata e prevista. Non c’è stata alcuna sorpresa strategica – un video sicuramente autentico del capo del GUR Budanov che sorrideva non ha ingannato nessuno. Le forze armate russe non si sono certo lasciate ingannare, avendo passato mesi a saturare il fronte con campi minati, trincee, postazioni di tiro e ostacoli. Tutti sapevano che l’Ucraina avrebbe attaccato verso la costa del Mar d’ Azov, in particolare con un occhio di riguardo per Tokmak e Melitopol, ed è esattamente questo che hanno fatto. Un attacco frontale contro una difesa preparata senza l’elemento sorpresa di solito è considerato una scelta sbagliata, ma ecco che l’Ucraina non solo tenta un attacco di questo tipo, ma lo lancia addirittura in un contesto di festeggiamenti globali e di aspettative fantasmagoriche.

L’infantile appello dell’Ucraina per l’OPSEC
È impossibile dare un senso a tutto questo senza comprendere il modo in cui sinora, l’Ucraina è rimasta ammanettata a una specifica interpretazione della guerra. L’Ucraina e i suoi sostenitori vantano due successi del 2022, in cui l’Ucraina è stata in grado di riconquistare un’ampia porzione di territorio, negli oblast di Kharkov e Kherson. Il problema è che nessuna di queste situazioni è trasferibile a Zaporizhia.Nel caso dell’offensiva di Kharkov, l’Ucraina ha individuato un settore del fronte russo che era stato svuotato, ed era difeso solo da una sottile schermo di truppe. L’Ucraina è stata in grado di allestire una forza attaccante e di avvalersi di una certa sorpresa strategica, grazie alle fitte foreste e alla generale scarsità di ISR russi nell’area. Ciò non per svalutare la portata del successo ucraino in quell’area; l’Ucraina ha senz’altro utilizzato al meglio le forze a sua disposizione, e ha sfruttato una sezione debole del fronte. Questo successo non è affatto rilevante per le circostanze odierne nel sud; la mobilitazione ha migliorato i problemi di generazione di forze della Russia, che non deve più fare scelte difficili su cosa difendere, e la linea del fronte di Zaporizhia, pesantemente fortificata, non è affatto come il fronte di Kharkov, che era tenuto da un velo di truppe.Il secondo caso di studio – la controffensiva di Kherson – è ancora meno pertinente. In questo caso, la leadership ucraina sta riscrivendo la storia a tempo di record. L’AFU ha sbattuto la testa contro le difese russe a Kherson per mesi, durante l’estate e l’autunno dello scorso anno, subendo perdite atroci. Un intero gruppo di brigate dell’AFU è stato sbranato a Kherson senza ottenere uno sfondamento, e questo anche con le forze russe in una disposizione operativa unica e difficile, con le spalle al fiume. Kherson fu abbandonata soltanto mesi dopo, per il timore che la diga di Kakhovka potesse cedere o essere sabotata (per chi segue lo svolgersi delle vicende, la diga in effetti finì per cedere) e per la necessità della Russia di economizzare le forze.Ancora una volta, quanto dico può essere frainteso, come se volessi sostenere che il ritiro della Russia da Kherson non aveva importanza. Ovviamente, abbandonare una testa di ponte conquistata a caro prezzo è una battuta d’arresto importante, e la riconquista della sponda occidentale di Kherson è stata una manna, per Kiev. Ma dobbiamo essere onesti sul perché è successo, e chiaramente non è successo a causa della controffensiva estiva dell’Ucraina – per evidenziarlo, basta ricordare che i funzionari ucraini si sono apertamente chiesti se il ritiro russo fosse un trucco o una trappola[4]. La questione è, semplicemente, se l’offensiva ucraina di Kherson sia predittiva di futuri successi offensivi. Non lo è.

 

Quindi, abbiamo un caso in cui l’Ucraina ha individuato una sezione di fronte poco difesa e l’ha attraversata, e un altro in cui le truppe russe hanno abbandonato una testa di ponte a causa di problemi logistici e di allocazione delle forze. Nessuno dei due casi è particolarmente rilevante per la situazione sulla costa dell’Azov, e in effetti, una riflessione onesta sulla controffensiva dell’AFU a Kherson[5] avrebbe potuto condurre a un ripensamento dell’Ucraina su un assalto frontale a difese russe preparate[6].

 

Invece, Kharkov e Kherson sono state presentate come la prova positiva che l’Ucraina può distruggere le difese russe in uno scontro diretto – in realtà, in questa guerra ancora non si danno casi in cui l’AFU abbia sconfitto posizioni russe fortemente difese, in particolare dopo la mobilitazione, quando la Russia ha finalmente iniziato a risolvere le sue carenze di effettivi. Ma l’Ucraina è presa nella morsa del suo peculiare racconto della guerra, che le ha trasmesso una fiducia immeritata nelle proprie capacità di condurre operazioni offensive. Tragicamente per i Mykolas ucraini mobilitati, ciò si è intrecciato con una seconda mitologia che induce alla spavalderia.

 

Uno dei principali argomenti promozionali per la controffensiva ucraina è stata l’acclarata superiorità delle grandi donazioni all’AFU provenienti dall’Occidente – i carri armati e i veicoli da combattimento per la fanteria. Dall’annuncio delle prime consegne, non sono mancate le vanterie[7] sulle molte superiorità[8] dei modelli occidentali, come i Leopard e i Challenger. L’implicazione era che gli abili carristi ucraini non aspettavano altro che di scatenarsi[9], appena al volante dei superlativi modelli occidentali. Il mio ritornello preferito è stata l’usanza di liquidare i carri armati russi come “dell’era sovietica”, trascurando di notare che anche l’Abrams (progettato nel 1975) e il Leopard 2 (1979) sono modelli della Guerra Fredda[10].

Un Leopard bruciato in Siria
È il caso di ripetere che non c’è nulla di sbagliato nei carri armati occidentali. Gli Abrams e i Leopard sono ottimi veicoli, ma la fiducia nelle loro capacità di cambiare le carte in tavola deriva da un’errata convinzione sul ruolo della corazzatura. Bisogna rendersi conto che i carri armati sono sempre stati e saranno consumati in massa. I carri armati esplodono. Vengono disattivati. Si rompono e vengono catturati. Le forze corazzate si esauriscono, e molto più velocemente di quanto ci si aspetti. Dato che le brigate preparate per l’assalto ucraino alla linea Zapo erano significativamente sotto-equipaggiate di veicoli, era semplicemente irrazionale aspettarsi che avessero un impatto eccessivo. Questo non vuol dire che i carri armati non siano importanti – la corazzatura rimane fondamentale per i combattimenti moderni – ma in un conflitto alla pari ci si deve sempre aspettare di perdere forze corazzate a ritmo costante, soprattutto quando il nemico mantiene la superiorità di fuoco.Si può quindi capire come una certa dose di arroganza possa facilmente insinuarsi nel pensiero ucraino, alimentata da una sana dose di disperazione e necessità strategica. Ragionando sulla base di una comprensione distorta dei successi ottenuti a Kharkov e Kherson, confortati dai loro nuovi giocattoli scintillanti e guidati da un’ansia strategica che impone loro di sbloccare il fronte in qualche modo, l’idea di un attacco frontale senza sorpresa strategica contro una difesa preparata potrebbe davvero sembrare una buona idea. Se si aggiunge il buon vecchio tropo dell’incompetenza e del disordine russo[11], si hanno tutte le carte in regola per un imprudente lancio di dadi da parte dell’Ucraina.CileccaVeniamo ora alle minuzie operative. Per una serie di ragioni, l’Ucraina ha scelto di tentare un assalto frontale al fronte fortificato russo di Zaporizhia, con l’intenzione di sfondare verso il mare di Azov. Come è possibile farlo? 

Abbiamo avuto alcuni indizi all’inizio, derivanti da una serie di caratteristiche geografiche e da presunte fughe di notizie da parte dell’intelligence. A maggio, il Rapporto Dreizin ha pubblicato una presunta sintesi russa dell’OPORD (Ordine Operativo) dell’Ucraina[12]. Il documento condiviso da Dreizin è stato presentato come una sintesi delle aspettative russe per l’offensiva ucraina (in altre parole, non si tratta di una fuga di notizie sui documenti di pianificazione interna dell’Ucraina, ma della migliore ipotesi russa sui piani dell’Ucraina).

 

In ogni caso, nel vuoto d’informazioni era lecito chiedersi se l’OPORD di Dreizin fosse autentico, ma in seguito siamo stati in grado di verificarlo. Ciò è dovuto all’altra fuga di notizie, ancora più famigerata[13], verificatasi all’inizio della primavera, che includeva il piano del Pentagono per la costruzione delle capacità di combattimento dell’Ucraina.

 

La NATO è stata molto generosa e ha conferito all’Ucraina, da zero, un pacchetto d’attacco meccanizzato. Tuttavia, poiché questa forza meccanizzata è stata messa insieme con una varietà di sistemi diversi provenienti da tutti gli angoli dell’Universo Cinematografico della NATO, le formazioni ucraine sono identificabili in modo univoco dalla loro particolare combinazione di veicoli ed equipaggiamenti. Così, ad esempio, la presenza di Stryker, Marder e Challenger indica la presenza sul campo dell’82ª Brigata, e così via.

 

Quindi, nonostante le pretese ucraine di sicurezza operativa, per gli osservatori è stato banalmente facile sapere quali formazioni ucraine sono sul campo. Ci sono state alcune deviazioni dal copione – per esempio, la 47a Brigata avrebbe dovuto schierare i carri armati Frankenstein sloveni M55[14], ma alla fine si è deciso di inviare gli M55 sottopotenziati sul fronte settentrionale[15] e la 47a è stata schierata con un contingente di carri armati Leopard, originariamente gestiti dalla 33a Brigata. Ma questi sono dettagli minori, e nel complesso abbiamo avuto una buona percezione di quando e dove le specifiche formazioni AFU scendono in campo.

 

Sulla base di unità identificabili, l’OPORD di Dreizin sembra molto vicino a ciò che abbiamo effettivamente visto all’inizio dell’offensiva ucraina.

 

L’OPORD di Dreizin prevedeva un assalto della 47a e della 65a Brigata alle linee russe a sud di Orikhiv, nel settore delimitato da Nesterianka e Novoprokopivka. Proprio al centro di questo settore si trova la città di Robotyne, e proprio lì, nella notte tra il 7 e l’8 giugno, si verificò il primo grande assalto dell’AFU, guidato dalla 47ª Brigata.

 

A questo punto diventa difficile valutare l’OPORD di Dreizin, semplicemente perché l’attacco ucraino è deragliato all’istante, ma una cosa che possiamo dire è che la fonte di Dreizin era corretta riguardo all’ordine con cui le unità ucraine sarebbero state introdotte in battaglia. Su questa base, possiamo analizzare l’OPORD e scommettere con sicurezza che questo è ciò che gli ucraini speravano di ottenere:

Il sogno dell’Ucraina: Il viaggio verso il mare
L’intenzione sembra essere stata di aprire una breccia nella linea russa con un assalto corazzato concentrato da parte della 47ª[1] e della 65ª Brigata, dopodiché una forza successiva composta dalla 116ª, 117ª e 118ª avrebbe iniziato la fase di sfruttamento, dirigendosi verso la costa di Azov e le città di Mikhailivka e Vesele a ovest. L’obiettivo era chiaramente quello di non impantanarsi in combattimenti urbani nel tentativo di catturare località come Tokmak, Berdyansk o Melitopol, ma di aggirarle e tagliarle fuori assumendo posizioni di blocco sulle strade principali.Contemporaneamente, una spinta minore – ma non meno critica – sarebbe uscita dall’area di Gulyaipole e si sarebbe diretta lungo l’asse di Bilmak. Questo avrebbe l’effetto sia di schermare l’avanzata principale a ovest, sia di incunearsi nel fronte russo, spezzettando l’integrità delle forze russe prese nel mezzo. Nel complesso, si tratta di un piano abbastanza sensato, anche se ambizioso e poco creativo. Per molti versi, questa era davvero l’unica opzione.Che cosa è andato storto, dunque? Beh, concettualmente è facile. Non c’è una breccia. La maggior parte dello schema di manovra è dedicata allo sfruttamento: raggiungere una tale linea, occupare questa posizione di blocco, schermare quella città, e così via. Ma cosa succede quando non c’è alcuna breccia? Come può verificarsi una tale catastrofe, e come si può salvare l’operazione quando va in malora nella fase di apertura?In effetti, è proprio quello che è successo. L’Ucraina si è trovata bloccata ai margini della linea di protezione più esterna della Russia, spendendo ingenti risorse nel tentativo di catturare il piccolo villaggio di Robotyne, e/o di aggirarlo a est infiltrandosi nel varco tra questo e il vicino villaggio di Verbove. Quindi, invece di questa rapida manovra di sfondamento e di svolta verso Melitopol, otteniamo qualcosa del genere:

Controffensiva ucraina con mappatura delle linee difensive russe
Potremmo essere generosi e dire che Robotyne è l’ultimo villaggio prima che l’attacco ucraino raggiunga la principale cintura difensiva russa, ma mentiremmo: dovranno anche liberare la città più grande di Novoprokopivka, due chilometri a sud. A titolo di riferimento, ecco uno sguardo più ravvicinato alle difese russe mappate nello spazio di battaglia, basato sull’eccellente lavoro di Brady Africk.
Difese russe nel settore di Robotyne
La discussione su queste postazioni può diventare un po’ confusa, semplicemente perché non è sempre chiaro cosa si intenda con la famosa frase “prima linea di difesa”. Chiaramente ci sono alcune opere difensive intorno e a Robotyne, e i russi hanno scelto di combattere per il villaggio, quindi in un certo senso Robotyne fa parte della “prima linea” – ma è più corretto parlarne come parte di quella che chiameremmo una “linea di schermatura”. La prima linea di fortificazioni continue lungo il fronte si trova diversi chilometri più a sud, ed è la fascia che l’Ucraina deve ancora raggiungere, figuriamoci sfondare.Al momento, sembra che le truppe russe abbiano perso il controllo totale di Robotyne ma continuino a tenere la metà meridionale del villaggio, mentre le truppe ucraine nella metà settentrionale del villaggio continuano a essere soggette a pesanti bombardamenti russi[16]. A questo punto dovremmo probabilmente considerare il villaggio come continuamente conteso e come un elemento della zona grigia.
Robotyne, in tutto il suo splendore
Ora, una breve nota su Robotyne stessa e sul motivo per cui entrambe le parti sono così determinate a combattere per essa. Superficialmente sembra piuttosto strano, dato che la preferenza russa, nel 2022, era di effettuare ritiri tattici sotto il loro ombrello di fuoco. Questa volta, però, stanno contrattaccando ferocemente per contendere Robotyne. Il valore del villaggio non risiede solo nella sua posizione sull’autostrada T-0408, ma anche nella sua eccellente posizione in cima a un crinale. Sia Robotyne che Novoprokopivka si trovano su un crinale di terreno elevato che è più alto di 70 metri rispetto alla bassa pianura a est.Ciò significa che se l’AFU si spinge in avanti nel tentativo di aggirare la posizione di Robotyne-Novoprokopivka spingendosi nel varco tra Robotyne e Verbove, sarà vulnerabile al fuoco sui fianchi (in particolare degli ATGM) delle truppe russe in altura. Abbiamo già visto filmati di questo tipo, con veicoli ucraini colpiti ai fianchi dal fuoco di Robotyne[17]. Sono molto scettico sul fatto che l’Ucraina possa anche solo tentare un serio assalto alla prima cintura difensiva finché non avrà catturato sia Robotyne che Novoprokopivka.In circostanze ideali, tutto questo sarebbe una bella gatta da pelare, con una serie di problemi ingegneristici da risolvere, ostacoli progettati per incanalare l’attaccante in corsie di tiro, trincee perpendicolari per consentire il fuoco di infilata[18] sulle colonne ucraine in avanzamento, e difese robuste su tutte le principali arterie stradali. Ma queste non sono le circostanze migliori. Si tratta di una forza stanca che ha esaurito gran parte della sua potenza di combattimento autoctona e che sta cercando di organizzare l’attacco utilizzando un pacchetto d’assalto frammentario e sottodimensionato.Diversi fattori hanno cospirato contro l’offensiva ucraina e sinergicamente hanno creato una vera e propria catastrofe militare per Kiev. Vediamo di elencarli.

 

Problema 1: lo strato difensivo nascosto

A questo punto, dobbiamo prendere atto di qualcosa che è sfuggito a tutti, sulla modalità di difesa russa. In precedenza avevo espresso grande fiducia nel fatto che le forze ucraine non sarebbero state in grado di fare breccia nelle difese russe, ma credevo, erroneamente, che la difesa russa si sarebbe conformata ai classici principi sovietici di difesa in profondità (delucidati in modo molto dettagliato dagli scritti di David Glantz, per esempio).

Modello di difesa in profondità di una brigata di fucilieri meccanizzata Una difesa di questo tipo, in parole povere, è aperta all’idea che il nemico possa sfondare la prima o anche la seconda linea di difesa. Lo scopo della difesa a più livelli (o “scaglionata”, nella terminologia classica) è garantire che la forza nemica resti bloccata nel tentativo di sfondare. Può penetrare il primo strato, ma via via che procede viene continuamente maciullato dalle fasce successive. L’esempio classico è la Battaglia di Kursk, dove i potenti panzer tedeschi penetrarono nelle cinture difensive sovietiche, ma poi rimasero bloccati perché furono abbattuti. Un’analogia è il giubbotto di kevlar, che utilizza una rete di fibre per fermare i proiettili: invece di rimbalzare, il proiettile viene catturato e la sua energia viene assorbita dalle fibre stratificate. In realtà ero abbastanza aperto all’idea che l’Ucraina avrebbe generato una certa penetrazione, ma prevedevo che si sarebbe arenata nelle fasce successive, e che l’offensiva si sarebbe spenta.Ciò che mancava in questo quadro – e questo è un merito della pianificazione russa – era la cintura difensiva invisibile davanti alle trincee e alle fortificazioni vere e proprie. Questa cintura anteriore consisteva in campi minati estremamente densi e in posizioni avanzate fortemente tenute nella linea di schermatura, dove i russi intendevano, evidentemente, combattere ferocemente. Piuttosto che sfondare la prima fascia e rimanere bloccati nelle aree interstiziali, gli ucraini sono stati ripetutamente sbranati nella zona di sicurezza, e i russi hanno costantemente contrattaccato per respingerli quando sono riusciti a ottenere dei punti d’appoggio. 

In altre parole, mentre ci aspettavamo che la Russia combattesse una difesa in profondità che assorbisse le punte di diamante ucraine e le facesse a pezzi nel cuore della difesa, i russi hanno in realtà dimostrato un forte impegno nel difendere le loro posizioni più avanzate, di cui Robotyne è la più famosa.

 

Sulla carta, Robotyne avrebbe dovuto funzionare come parte di una cosiddetta “zona di accartocciamento”, o “zona di sicurezza” – una sorta di cuscinetto a tenuta leggera che sottopone il nemico a fuochi preregistrati prima di scontrarsi con la prima cintura di difese continue e fortemente tenute. In effetti, una serie di rilievi aerei e satellitari dell’area, effettuati prima che l’Ucraina andasse all’attacco, mostravano che Robotyne si trovava ben davanti alla prima cintura di fortificazioni russe solide e continue.

 

Ciò che è sfuggito, a quanto pare, è la misura in cui i difensori russi hanno minato le aree di avvicinamento a Robotyne e si sono impegnati a difendersi all’interno della zona di sicurezza. L’entità dello sminamento sembra aver sorpreso gli ucraini[18] e mette a dura prova le limitate capacità dei genieri ucraini. Ancora più importante è il fatto che la densità delle mine ha creato vie di avvicinamento prevedibili per le forze ucraine, che sono costrette a passare ripetutamente attraverso lo stesso corridoio sotto il fuoco di artiglieria e missilistica russe.

 

Problema 2: Soppressione insufficiente

L’immagine caratteristica dei primi grandi assalti alla Linea Zapo è stata quella di colonne di mezzi di manovra non supportati, rastrellati dal fuoco russo, sia a terra (missili, ATGM e artiglieria tubolare) che da piattaforme aeree come l’elicottero d’attacco Ka-52 Alligator. Uno degli aspetti più sorprendenti di queste scene è stato il modo in cui le forze ucraine sono finite sotto il fuoco pesante mentre erano ancora in colonna, subendo perdite prima di essersi schierate in linea di tiro per iniziare l’assalto vero e proprio.

 

Le ragioni sono molteplici. Una di queste è la questione, ormai banale, della scarsità di munizioni ucraine. Considerate i seguenti elementi di interesse. Nel periodo precedente la controffensiva ucraina, la Russia ha condotto una pesante campagna aerea di contropreparazione che ha messo fuori uso grandi depositi di munizioni dell’AFU[19]. Gli assalti iniziali dell’Ucraina crollano di fronte al fuoco pesante e non contrastato dei russi. Gli Stati Uniti decidono di trasferire all’Ucraina munizioni a grappolo[20] perché, nelle parole del Presidente, “stanno finendo le munizioni”[21]. Se si aggiunge il degrado della difesa aerea ucraina, che permette agli elicotteri russi di operare con grande efficacia lungo la linea di contatto, si ottiene la ricetta del disastro. Mancando i tubi per sopprimere il fuoco russo o la difesa aerea per scacciare i velivoli russi, l’AFU ha aperto la sua offensiva spingendo disastrosamente in avanti reparti di manovra non supportati sotto una grandinata di fuoco.

 

Problema 3: le armi russe da sbarramento

È fondamentale capire che la cassetta degli attrezzi russa è fondamentalmente diversa rispetto alla battaglia per Kherson dell’anno scorso, a causa della rapida espansione della produzione di una serie di armi da sbarramento russe – in particolare il Lancet e le modifiche di planata UMPK per le bombe a gravità.

 

Il Lancet, in particolare, ha avuto un ruolo di primo piano22] – si dice che il fidato piccolo proiettile vagante sia responsabile di quasi la metà delle uccisioni dell’artiglieria russa[23] – e ha colmato una lacuna cruciale di capacità che ha episodicamente disturbato l’esercito russo durante il primo anno di guerra. Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni occidentali, secondo i quali la Russia non sarebbe in grado di produrre droni in quantità sufficienti, la produzione del Lancet è stata incrementata con successo in un breve periodo di tempo[24], e anche la produzione di massa di altri sistemi, come il Geran, sta entrando in funzione[25].

Una bellezza: Zala Lancet
La proliferazione del Lancet e di sistemi simili significa, in poche parole, che nel raggio di 30 km dalla linea di contatto nulla è al sicuro, e ciò, a sua volta, frustra il dispiegamento da parte dell’AFU di mezzi di supporto critici come la difesa aerea e il Genio, amplificando la sua vulnerabilità alle mine e agli incendi russi. In effetti, abbiamo visto sempre più spesso diminuire l’uso dell’artiglieria ucraina nell’area di Robotyne a causa della minaccia dei “bisturi” [Lancet significa “bisturi”] (sembra che stiano trasferendo i tubi su altri fronti), e l’AFU sta favorendo l’uso degli HIMARS nel ruolo di soppressione.
Problema 4: linee di avvicinamento ripetitivePoiché l’AFU non è riuscita a sfondare il settore di Robotyne al primo tentativo, è stata costretta a spostare continuamente unità e risorse aggiuntive per martellare la posizione. Questo ha particolari implicazioni, sia nel senso che le forze AFU devono continuamente percorrere le stesse linee di avvicinamento alla linea di contatto, sia nel fatto che utilizzano la stessa area delle retrovie per assemblare e allestire le loro forze d’assalto.Ciò facilita notevolmente l’onere dell’ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) russo, poiché l’AFU non dispone di un modo efficace per disperdere o nascondere i mezzi che sta portando all’assalto. Forze e materiali ucraini sono stati ripetutamente nascosti nei villaggi immediatamente dietro Orikhiv, come Tavriiske e Omeln’yk, e la Russia è in grado di colpire le infrastrutture delle retrovie[26], come i depositi di munizioni, perché – per dirla in parole povere – c’è solo un certo numero di località in cui queste risorse possono essere dispiegate, quando si assalta ripetutamente lo stesso settore di fronte largo 20 km. 

Recentemente il viceministro della Difesa ucraino Hanna Malair si è lamentata del fatto che l’82esima brigata – appena dispiegata nel settore di Orikhiv – è stata colpita da una serie di attacchi aerei russi nelle sue aree di sosta[27]. Secondo la Malair, ciò sarebbe dovuto a una scarsa OPSEC che avrebbe rivelato ai russi la posizione della brigata. Ma questo ha davvero poco senso; l’intera area di operazioni intorno a Orikhiv è profonda forse 25 km (da Kopani a Tavriiske) e larga 20 km (da Kopani a Verbove). Si tratta di un’area piccola che ha visto un’enorme quantità di traffico militare lungo le stesse strade per tutta l’estate. L’idea che la Russia abbia bisogno di informazioni privilegiate per sapere che deve sorvegliare e attaccare obiettivi in quest’area è assurda.

 

Problema 5: brigate fragili

In realtà, per “distruggere” un’unità operativa ci vogliono molti meno danni di quanto si pensi. Un’unità può diventare da eliminarsi dai combattimenti al 30% di perdite (con qualche variazione a seconda di come queste vengono assegnate). Lo dico, perché quando la gente sente il termine “distruzione”, pensa che significhi perdite totali. A volte questo è il modo in cui la parola viene usata nelle conversazioni colloquiali, ma ciò che conta, per gli ufficiali che cercano di gestire un’operazione, è se una formazione sia o meno in grado di combattere per i compiti che le vengono richiesti – e queste capacità possono svanire molto più rapidamente di quanto si pensi.

 

Questo è il caso in particolare del pacchetto meccanizzato ucraino, per una serie di ragioni. In primo luogo, come abbiamo discusso in articoli precedenti, queste brigate hanno iniziato la battaglia con una forza nettamente inferiore (ricordiamo, ad esempio, che l’82a brigata ucraina ha solo 90 Stryker AFV, mentre la brigata americana Strkyer dovrebbe averne 300). Inoltre, la natura di queste brigate, che sono state assemblate insieme, e la totale mancanza di sistemi di supporto autoctoni, come la riparazione e la manutenzione, significa che gli ucraini, ovviamente, dovranno cannibalizzare questi veicoli. Hanno già iniziato a designare veicoli “donatori” che vengono completamente sottratti alle forze attive e servono solo ad essere smontati per fornire pezzi di ricambio[28]. Il nesso di questi due fatti è che le brigate meccanizzate ucraine sono già sotto organico per quanto riguarda i veicoli e avranno un tasso di recupero abissalmente scarso, con un logorio nascosto dietro le quinte dovuto alla cannibalizzazione.

 

Ciò significa che quando a metà luglio abbiamo sentito ammettere che l’Ucraina aveva già perso il 20% dei suoi mezzi di manovra[29], si è verificato un calo catastrofico della capacità di combattimento. Le brigate principali – che hanno consumato il 50% o più dei loro veicoli di manovra – non possono più sostenere compiti di combattimento appropriati per una brigata, e gli ucraini sono costretti a inviare prematuramente sulla linea di contatto le loro unità di secondo livello.

 

A questo punto, elementi parziali di almeno dieci brigate diverse sono stati dispiegati nel settore di Robotyne[30], e l’82° probabilmente si unirà presto a loro. Dato che il piano di costruzione della capacità di di combattimento della NATO prevedeva solo 9 brigate addestrate dalla NATO, più alcune formazioni ucraine ricostituite, si può dire che non era previsto che tutte le brigate venissero impiegate in un combattimento di 71 giorni, solo per sfondare la linea di protezione.

 

Guardare l’abisso

Ultimamente ho visto diversi analisti e scrittori affermare che l’inserimento di ulteriori unità ucraine nel settore di Robotyne segna la prossima fase dell’operazione.

 

È un’assurdità. L’Ucraina è ancora impantanata nella prima fase. È successo invece che il logoramento delle brigate di prima linea ha costretto l’Ucraina a impegnare la seconda (e terza) ondata per completare i compiti della fase iniziale. L’attacco iniziale, guidato dalla 47a brigata, aveva lo scopo di creare una breccia nella linea di protezione russa intorno a Robotyne e di avanzare verso la principale cintura difensiva russa più a sud. Le brigate aggiuntive destinate allo sfruttamento – la 116ª, la 117ª, la 118ª, l’82ª, la 33ª e altre ancora – vengono ora sistematicamente inviate sulla linea di contatto per mantenere la pressione.

 

Queste brigate non sono state distrutte, ovviamente, semplicemente perché non sono state impegnate nella loro interezza, ma piuttosto come sottounità. Tuttavia, a questo punto le perdite ucraine rappresentano la maggior parte di un’intera brigata, distribuita nel pacchetto più ampio, e oltre 300 elementi di manovra (carri armati, IFV, APC, ecc.) sono stati eliminati.

 

Dobbiamo dirlo in modo molto esplicito. L’Ucraina non è passata alla fase successiva dell’operazione. È bloccata nella prima fase ed è stata costretta a impegnare prematuramente porzioni del secondo livello che erano state destinate ad azioni successive. Stanno lentamente ma inesorabilmente bruciando l’intero raggruppamento operativo e finora non hanno superato la linea di protezione della Russia. La grande controffensiva si sta trasformando in una catastrofe militare.

Ciò non significa che l’operazione sia fallita, semplicemente perché è ancora in corso. La storia ci insegna che non è saggio pronunciarsi in modo definitivo. La fortuna e i fattori umani (coraggio e intelligenza, codardia e stupidità) hanno sempre qualcosa da dire. Tuttavia, al momento la traiettoria va innegabilmente verso il fallimento.

 

Finora l’AFU ha mostrato una certa capacità di adattamento. In particolare, di recente li abbiamo visti abbandonare l’idea di spingere in avanti colonne non supportate di mezzi meccanizzati – invece si sono appoggiati a piccole unità appiedate[30], cercando di avanzare lentamente nello spazio tra Robotyne e Verbove. La mossa verso la dispersione è intesa a ridurre il tasso di perdite, ma riduce anche ulteriormente la probabilità di uno sfondamento drammatico e segna il temporaneo abbandono di un’azione di sfondamento decisiva a favore – ancora una volta – di una guerra di posizione strisciante.

 

Saremmo negligenti se non notassimo che in tutto questo ci sono state significative perdite russe. Sappiamo che le forze russe nel settore di Robotyne hanno richiesto una rotazione e un rafforzamento, anche con unità d’élite VDV e di fanteria navale. La Russia ha subito perdite in controbatteria, ha perso veicoli in azioni di contrattacco e sono stati uccisi uomini che tenevano le loro trincee. I gruppi d’assalto iniziali lanciati dagli ucraini avevano una grande capacità di combattimento, e gli scontri sono stati molto sanguinosi per entrambe le parti. Non si tratta di un tiro a segno unilaterale, ma di una guerra ad alta intensità.

 

Ma è proprio questo il nocciolo della questione: l’Ucraina sembra incapace di sfuggire alla guerra posizionale e di logoramento in cui si trova. È bello proclamare il ritorno alla guerra “di manovra”, ma se non si riesce a sfondare le difese nemiche, si tratta solo di una vanteria, e la natura del conflitto resta il logoramento, l’attrito. Quando la domanda diventa “riusciremo a sfondare prima di esaurire la capacità di combattimento”, non si fa guerra di manovra. Si fa guerra d’attrito.

 

Nella mia serie di articoli sulla storia militare, abbiamo esaminato una serie di casi in cui gli eserciti hanno cercato disperatamente di sbloccare il fronte e di ripristinare uno stato di manovra operativa, ma quando non c’è la capacità tecnica per farlo, queste intenzioni non hanno alcuna importanza. Nessuno vuole essere intrappolato dalla parte sbagliata della matematica attrizionale, ma a volte ciò che si vuole non ha alcuna importanza. A volte il logoramento viene imposto.

 

In assenza delle capacità necessarie a violare con successo le prodigiose difese russe – più fuoco a distanza, più difesa aerea, più ISR, più EW, più genieri, di più e di più – l’Ucraina è intrappolata in una lotta contro la roccia. Due combattenti che roteano le mazze  l’uno contro l’altro, e la Russia è un uomo più grande con una mazza più grande.

 

Due brutte scusanti

In mezzo a un evidente fiasco e a un crescente sconforto strategico, due nuovi suggerimenti si sono sempre più insinuati nella conversazione – “scusanti”, se volete, che vengono utilizzate come conforto narrativo per dirci che le operazioni ucraina in realtà stanno andando bene (nonostante la presa d’atto quasi universale, in Occidente, che i risultati sono stati a dir poco scarsi). Vorrei soffermarmi brevemente su ciascuna di esse.

 

Scusante 1: “La prima fase è la più difficile”.

Spesso si sostiene che l’AFU deve solo aprire la linea di protezione russa e il resto delle difese cadrà come un domino. L’argomentazione generale è che i russi non hanno riserve e che le linee difensive successive non sono adeguatamente presidiate: basta aprire la prima linea e il resto crollerà.

Probabilmente è confortante da dire a se stessi, ma è piuttosto irrazionale. Potremmo parlare, ad esempio, dello schema dottrinale russo per la difesa in profondità, che prescrive un’abbondante allocazione di riserve a tutte le profondità del sistema difensivo, ma probabilmente è più proficuo puntare a prove più immediate.

 

Consideriamo semplicemente il comportamento della Russia negli ultimi sei mesi. Ha speso un’enorme quantità di sforzi per costruire difese scaglionate – dobbiamo davvero credere che abbia fatto tutto questo solo per sprecare tutta la sua capacità di combattimento combattendo di fronte a queste difese? Non ci sono nemmeno prove che la Russia abbia problemi a rifornire il fronte di uomini, in questo momento. Abbiamo assistito a continue rotazioni e ridispiegamenti nell’ambito di un processo generale di ampliamento militare in Russia[31]. In effetti, tra i due belligeranti, è l’Ucraina che a quanto pare sta raschiando il barile in cerca di effettivi[32].

 

Scusante 2: “Arrivare a portata di tiro”

Questa è la storia più fantasiosa e consiste in un vero e proprio gioco delle tre carte. L’argomentazione è che l’Ucraina non ha bisogno di avanzare fino al mare e tagliare fisicamente il ponte di terra, tutto ciò che deve fare è portare le vie di rifornimento russe a portata di tiro per tagliare fuori le truppe russe. Questa teoria è stata diffusa su Twitter X e da personalità come Peter Zeihan (una persona che non sa nulla di questioni militari).

 

Ci sono molti problemi con questa linea di pensiero, la maggior parte dei quali deriva da un concetto gonfiato di “controllo con il fuoco”. Per dirla in parole povere, essere “a portata di tiro” dell’artiglieria non implica un’efficace negazione dell’area o l’interruzione delle linee di rifornimento. Se così fosse, l’Ucraina non sarebbe affatto in grado di attaccare da Orikhiv, poiché l’intero asse di avvicinamento è nel raggio di tiro russo. A Bakhmut, l’AFU ha continuato a combattere molto tempo dopo che le sue principali vie di rifornimento sono state sottoposte ai bombardamenti russi.

 

Il semplice fatto è che la maggior parte dei compiti militari sono condotti nel raggio di almeno una parte del fuoco a distanza del nemico, e l’idea che la Russia crollerà se l’AFU riuscirà a piazzare una granata sull’autostrada costiera di Azov è decisamente ridicola. In realtà, la principale linea ferroviaria russa è già nel raggio d’azione degli HIMARS ucraini e gli ucraini hanno lanciato con successo attacchi contro città costiere come Berdyansk. Nel frattempo, la Russia colpisce regolarmente le infrastrutture di supporto ucraine, eppure nessuno dei due eserciti è ancora crollato. Questo perché il fuoco a distanza è uno strumento per migliorare la matematica della guerra d’attrito e perseguire gli obiettivi operativi – non si vincono magicamente le guerre solo taggando le strade di rifornimento del nemico.

 

Ma siamo caritatevoli e assecondiamo questa linea di pensiero. Supponiamo che gli ucraini riescano ad avanzare, non fino alla costa, ma abbastanza da portare le principali vie di rifornimento della Russia a portata di artiglieria. Cosa farebbero? Caricherebbero una batteria di obici, li parcheggerebbero in prima linea e comincerebbero a sparare senza sosta sulla strada? Cosa pensate che succederebbe a quegli obici? I sistemi di controbatteria li attaccherebbero sicuramente. L’idea che si possa semplicemente issare un grosso cannone e iniziare a sparare contro i camion dei rifornimenti russi è davvero infantile. Per mettere fuori gioco le forze nemiche è sempre stato necessario bloccare fisicamente il transito, ed è quello che l’Ucraina dovrà fare se vuole tagliare il ponte terrestre della Russia.

 

La diversione

Sono consapevole del fatto che verrei messo sotto accusa se non parlassi di un’altra area di impegno ucraino, più a est, nell’oblast’ di Donestk. Qui, gli ucraini si sono fatti strada per una buona distanza lungo l’autostrada dalla città di Velyka Novosilka, conquistando diversi insediamenti.

 

Il problema di questo “altro” attacco ucraino è che è, in una parola, inconcludente. Questo asse di avanzata è operativamente sterile in un modo molto fondamentale, in quanto comporta la spinta di gruppi su uno stretto corridoio di strada che non conduce a nessun obiettivo importante. Come nel settore di Robotyne, l’AFU si trova ancora a una certa distanza dalle fortificazioni russe più importanti e, come se non bastasse, la strada e gli insediamenti su questo asse si trovano lungo un piccolo fiume. I fiumi, come sappiamo, scorrono a livello del suolo, il che significa che la strada si trova in fondo a un wadis/embankement/glacis, scegliete voi la terminologia. Di fatto, la rete stradale in quanto tale non consiste in nulla, se non in una carreggiata a una sola corsia su entrambi i lati del fiume.

Lo spettacolo di contorno a est
La mia lettura di questo asse è, in buona sostanza, che era stato concepito come una finta per creare una parvenza di confusione operativa, ma quando lo sforzo primario sull’asse di Orikhiv si è trasformato in un colossale errore, si è deciso di continuare a premere qui semplicemente per scopi narrativi. In definitiva, questo non è un asse di avanzata in grado di esercitare un’influenza significativa sulla guerra in generale. Le forze qui dispiegate sono relativamente minuscole nel più grande quadro delle cose, e non andranno da nessuna parte in modo significativo. Di certo, una penetrazione sottile e simile a un ago non riuscirà a percorrere più di 80 chilometri su una strada a una sola corsia verso il mare e a vincere la guerra.
Conclusione: i rinfacci
Uno dei segni più sicuri che la controffensiva ucraina ha preso una piega catastrofica è il modo in cui Kiev e Washington hanno già iniziato ad accusarsi a vicenda, eseguendo un’autopsia mentre il corpo è ancora caldo. Zelensky ha incolpato l’Occidente di essere stato troppo lento nel consegnare le attrezzature e le munizioni necessarie, sostenendo che ritardi inaccettabili hanno permesso ai russi di migliorare le loro difese[33]. Questo mi sembra piuttosto indecente e ingrato. La NATO ha costruito all’Ucraina un nuovo esercito da zero, con un processo che ha già richiesto una notevole riduzione dei tempi di addestramento.D’altra parte, gli esperti occidentali hanno iniziato a rimproverare all’Ucraina la presunta incapacità di adottare la “manovra ad armi combinate”[34]. Si tratta in realtà di un tentativo del tutto privo di senso di usare un gergo (errato) per spiegare i problemi. Per armi combinate si intende semplicemente l’integrazione e l’uso simultaneo di varie armi come i blindati, la fanteria, l’artiglieria e i mezzi aerei. Sostenere che l’Ucraina e la Russia siano in qualche modo cognitivamente o istituzionalmente incapaci di farlo è estremamente sciocco. L’Armata Rossa aveva una dottrina complessa ed estremamente approfondita sulle operazioni ad armi combinate. Un professore della Scuola di Studi Militari Avanzati degli Stati Uniti ha affermato che: “Il nucleo più coerente di scritti teorici sull’arte operativa si trova ancora tra gli autori sovietici”[35]. L’idea che le manovre ad armi combinate siano un concetto estraneo e nuovo per gli ufficiali sovietici (una casta che comprende gli alti comandi russi e ucraini) è ridicola. 

Il problema non è una sorta di ostinazione dottrinale ucraina, ma una combinazione di fattori strutturali radicati nell’insufficienza della potenza di combattimento ucraina e nel cambiamento del volto della guerra.

 

È francamente un po’ sciocco dire che l’Ucraina ha bisogno di imparare le “armi combinate”, quando semplicemente manca di capacità importanti che renderebbero possibile una campagna di manovra di successo – vale a dire, un adeguato fuoco a distanza, una forza aerea funzionante (e no, gli F-16 non risolveranno questo problema), Genio e guerra elettronica. Il problema fondamentale non è la flessibilità dottrinale, ma la capacità. Per analogia, è un po’ come mandare un pugile a combattere con un braccio rotto e poi criticare la sua tecnica. Il problema non è la sua tecnica, il problema è che è ferito e materialmente più debole del suo avversario. Allo stesso modo, il problema dell’Ucraina non è che non è in grado di coordinare le braccia, il problema è che le sue braccia sono in frantumi.

 

In secondo luogo – e questo, lo ammetto, è piuttosto scioccante per me – gli osservatori occidentali non sembrano aperti alla possibilità che la precisione del moderno fuoco a distanza (che si tratti di droni Lancet, di proiettili di artiglieria guidati o di razzi GMLRS), combinata con la densità dei sistemi ISR, possa semplicemente rendere impossibile condurre operazioni mobili a tappeto, se non in circostanze molto specifiche. Quando il nemico ha la capacità di sorvegliare le aree di sosta, di colpire le infrastrutture delle retrovie con missili da crociera e droni, di saturare con precisione le linee di avvicinamento con il fuoco dell’artiglieria e di riempire la terra di mine, come può essere possibile una manovra?

 

Le armi combinate e la manovra si basano sulla capacità di concentrare rapidamente un’enorme potenza di combattimento e di attaccare con grande violenza in punti ristretti. Questo è probabilmente impossibile, data la densità della sorveglianza e della potenza di fuoco russa e i molti ostacoli che hanno eretto per negare agli ucraini la libertà di movimento e sclerotizzare la loro attività. I principali esempi di manovra nella recente memoria occidentale – le campagne in Iraq – hanno solo una tenue attinenza con le circostanze di Zaporizhia.

 

In definitiva, siamo tornati a una guerra di massa – masse di strumenti ISR, masse di artiglieria e missilistica. L’unico modo in cui l’Ucraina può manovrare come vuole è sfondare il fronte, e può farlo solo con un numero maggiore di tutto: più attrezzature per lo sminamento, più granate e tubi, più missili, più blindati. Solo la massa può aprire una breccia adeguata nelle linee russe. Altrimenti, sono bloccati in un conflitto di attrito, e obbligati a strisciare lentamente attraverso le dense difese russe. Criticarli perché non sono in grado di afferrare la magica nozione occidentale di “armi combinate” è la più strana specie di rinfaccio.

 

Quindi, che fine farà la guerra da qui in poi? Beh, la domanda ovvia da porsi è se crediamo che l’Ucraina avrà mai un pacchetto d’assalto più potente di quello con cui ha iniziato l’estate. La risposta sembra chiaramente essere no. Mettere insieme queste deboli brigate è stato piacevole come farsi estrarre i denti senza anestesia. L’idea che, dopo la sconfitta nella battaglia di Zaporizhia, la NATO possa, non si sa come, mettere insieme un pacchetto più potente, mi sembra molto difficile. Tanto per esser chiari, gli ufficiali americani hanno detto abbastanza esplicitamente che questo era il miglior pacchetto meccanizzato che l’Ucraina potesse ottenere[36].

 

Non sembra controverso affermare che questa era la migliore possibilità, per l’Ucraina, di ottenere una specie di autentica vittoria operativa, che a questo punto sembra lentamente ridursi a modesti, ma materialmente costosi progressi tattici. L’implicazione finale è che l’Ucraina non è in grado di sfuggire a una guerra di logoramento industriale, che è proprio il tipo di guerra che non può vincere, a causa di tutte le asimmetrie che abbiamo menzionato in precedenza.

 

In particolare, però, l’Ucraina non può vincere una guerra di posizione e d’attrito a causa della sua stessa definizione massimalista di “vittoria”. Dal momento che Kiev ha insistito sul fatto che non si arrenderà fino al ritorno ai confini del 1991, l’incapacità di sloggiare le forze russe pone un problema particolarmente spiacevole: Kiev dovrà ammettere la sconfitta e riconoscere il controllo russo sulle aree annesse, oppure continuerà a combattere ostinatamente fino a diventare uno Stato fallito senza più benzina nel serbatoio.

 

Intrappolata in una lotta a colpi di mazza, con i tentativi di sbloccare il fronte con le manovre che non portano a nulla, ciò di cui l’Ucraina ha più bisogno è una mazza molto più grande. L’alternativa è un disastro strategico totale.

https://bigserge.substack.com/p/escaping-attrition-ukraine-rolls?utm_source=post-email-title&publication_id=1068853&post_id=136284338&isFreemail=true&utm_medium=email

Contare in morti in guerra non è un morboso esercizio di necrofilia. Di Claudio Martinotti Doria

Il fatto che io abbia insistito negli ultimi articoli dedicati alla guerra in Ucraina sull’effettivo numero di morti dell’esercito ucraino (rapportandolo a quelli russi) non è frutto di malcelata necrofilia, nulla di morboso, ma è perché tecnicamente sapere quanti siano i caduti offre un quadro preciso delle prospettive belliche del paese, correlandolo ai dati demografici e socioeconomici.

Gli ultimi dati forniti dagli stessi funzionari USA, che probabilmente nel cambio di narrativa attualmente in corso sono stati autorizzati a farlo, riferiscono di circa mezzo milione di caduti, intendendo morti e feriti gravi non più in grado di combattere (ad esempio i mutilati). Vi è stata addirittura una fonte interna all’Ucraina (un’istituzione filogovernativa) che ha riferito di 350mila morti, in netto contrasto con il regime nazista di Kiev che con ostentata patetica protervia insiste a riferire da parecchi mesi che sono solo 13mila, come circa un anno fa quando corresse la von del Leyen che affermò essere 100mila. Per il regime di Kiev nell’ultimo anno non è morto nessun soldato ucraino.

Personalmente avevo riferito pressappoco gli stessi numeri dei funzionari USA parecchi mesi fa, molto prima della cosiddetta e impropriamente definita “controffensiva”, durante la quale si stima vi siano stati altri 40/50 mila morti.

Sui feriti non sono d’accordo con le fonti occidentali, come scrissi già in passato. I feriti in una guerra convezione ad alta intensità, come è ormai divenuto il conflitto in Ucraina, sono mediamente il triplo dei morti, e di questi almeno il 25% riporta ferite gravi, invalidanti, cioè rimangono mutilati e/o non più in grado di combattere. Ma non è il caso del conflitto in Ucraina, perché è caratterizzato da un uso intensivo dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei e missilistici da parte russa, in un rapporto di 10 a 1 rispetto all’Ucraina. Questo significa che la stragrande maggioranza, forse anche il 90% dei feriti ucraini, non sono stati colpiti da armi da fuoco ma da esplosioni, quindi da onde d’urto e schegge. Sono cioè stati fatti letteralmente a pezzi. Ecco perché sono definiti “carne da cannone”.

Le ferite da artiglieria sono molto più gravi e laceranti di quelle da armi da fuoco, devastano il corpo e gli organi interni e le articolazioni. Molti feriti non sopravvivono, soprattutto considerando che i tempi medi di soccorso da parte ucraina sono dieci fino a venti volte superiori a quelli russi, che vengono praticamente soccorsi nei minuti successivi. Per i soldati ucraini passano ore prima che riescano a trasportarli in un ospedale per essere assistiti e curati alla meno peggio, quando gli va bene che non siano abbandonati a morire di una lenta agonia. Questa è la triste, cruda e spietata realtà dei fatti, come testimoniato dagli stessi soldati ucraini.

Questo significa che i feriti a distanza di tempo muoiono o rimangono gravemente invalidi per non aver ricevuto tempestiva assistenza sul campo. Quindi a mio avviso la cifra di 50mila mutilati tra i soldati ucraini, fornita dalle fonti occidentali (quelle serie) non corrispondono a mio avviso alla realtà, sono molti di più. Dalle fonti cui attingo abitualmente, che analizzando scrupolosamente i video, documenti e testimonianze dirette sul campo, mi sono fatto l’idea che i morti siano ormai ben oltre i 500mila e i feriti gravi non meno di 250mila. In sostanza il regime nazista di Kiev ha perso 750mila uomini. Ecco perché da diversi mesi ha scatenato migliaia di commissari per l’arruolamento forzato di reclute e in rete hanno circolato migliaia di video (nonostante i divieti e i rischi) che denunciavano i metodi brutali di arruolamento, che applicavano sistematicamente il sequestro in strada o nelle proprie abitazioni di tutti gli uomini in età per combattere.

Siccome molti commissari erano corrotti e in cambio di denaro o beni preziosi rinunciavano ad arruolare chi li pagava, il regime di Kiev li ha sostituiti con altri ferocemente nazisti, privi di scrupoli, obbligati ad ottenere un risultato certo, pena gravi conseguenze per loro, ecco perché ultimamente il sistema di reclutamento si è intensificato e divenuto ancora più brutale, solo che non hanno tenuto conto della reazione popolare, ormai satura e non più disposta a sopportare repressioni e violenze.

Così sta succedendo che ogni tanto trovano un commissario massacrato di botte e/o giustiziato con armi da fuoco (di cui moti cittadini ucraini sono dotati). E quando le autorità indagano non trovano un solo testimone disposto a parlare. L’omertà e quindi la complicità popolare è assoluta.

Un grosso problema per il regime di Kiev, a corto di carne da cannone. Se insistono rischiano una sorta di guerra civile, cioè si ammazzeranno tra di loro. Fare il commissario arruolatore è divenuto rischioso come andare a combattere al fronte.

Ora cercherò di spiegare il perché di questa situazione, ricorrendo ai dati demografici e anagrafici.

La popolazione ucraina era ai tempi dell’indipendenza dall’Unione Sovietica di circa 50milioni di persone.

Fin dalle prime rivoluzioni colorate filooccidentali dei primi anni del nuovo millennio e negli anni fino al colpo di stato del 2014 orchestrato dagli USA, la popolazione ucraina era già calata di una decina di milioni, emigrati in tutta Europa e Russia in cerca di migliori condizioni di vita, per poi mantenere la famiglia rimasta in patria con le rimesse, non essendoci lavoro nel proprio paese.

Dopo il colpo di stato del 2014 divenne evidente per gli ucraini filorussi e russofoni, che per loro tirava una brutta aria di stampo nazionalista e perfino nazista e russofoba, quindi ne emigrarono in alcuni anni alcuni milioni e circa 5 milioni non fecero più parte dell’Ucraina in quanto residenti nelle regioni secessioniste autoproclamatisi indipendenti del Donbass. In totale all’incirca altri 10milioni di ucraini si sono sottratti al dominio del regime nazista di Kiev.

Poi allo scoppio del conflitto con la Russia nel febbraio 2021 ci fu un altro fuggi-fuggi generale per sottrarsi alla guerra, oltre tre milioni di russofoni si rifugiarono in Russia (che ormai ne ospita, secondo le stime dai 5 ai 7 milioni) e altrettanti emigrarono in Europa, pagando tangenti varie alle guardie di frontiera oppure sono riusciti a fuggire di nascosto. Nel frattempo altre regioni ucraine del Sud e quasi l’intero Donbass furono acquisite e poi annesse alla Russia sottraendo altri milioni di ucraini al controllo del regime di Kiev.

Quindi ad essere ottimisti il regime di Kiev allo stato attuale controlla (si fa per dire, meglio sarebbe dire “minaccia e opprime”) solo 17-18 milioni di ucraini rimasti in patria, perlopiù a occidente del grande fiume Dnepr. E di questi la stragrande maggioranza sono donne, anziani e giovani non maggiorenni. Ecco perché il regime è alla disperazione non disponendo più di carne da cannone da inviare al fronte. I pochi rimasti piuttosto che farsi quasi certamente ammazzare al fronte e morire per un regime corrotto e odioso, preferirebbero affrontare armati i commissari arruolatori oppure simulare di voler combattere per poi arrendersi alla prima occasione (come avviene sempre più spesso), sempre che riescano a evitare di farsi sparare alla schiena dai loro ufficiali, ma anche questi alla lunga potrebbero finire come i commissari arruolatori.

Una situazione irrisolvibile per il regime di Kiev, che non potrà nascondere a lungo ai partner occidentali, certamente non ai servizi di intelligence USA e UK e polacchi, vista la loro pervasiva presenza sul suolo ucraino. Soprattutto i polacchi lo sanno benissimo.

La Polonia ha già perso oltre 10mila soldati inviati come mercenari per combattere a fianco degli ucraini, e anche loro hanno subito la stessa sorte degli ucraini in termini di feriti, un enorme tributo di sangue per il quale la Polonia vuole delle importanti contropartite. Sapendo la grave debolezza in cui versa il regime di Kiev la Polonia approfitterà certamente di tale vulnerabilità, non appena l’esercito ucraino collasserà e le forze russe avanzeranno fino al fiume Dnepr e occuperanno la regione di Odessa dominando l’accesso al mare.

A mio avviso l’enorme investimento della Polonia per rafforzare il suo esercito non ha solo lo scopo di affrontare la Russia in una guerra che sanno costerebbe loro lacrime e sangue, ma per occupare l’Ucraina Occidentale e annetterla sotto forma di protettorato polacco per poi difenderla dai russi.

Anche se a leggere i resoconti dei media occidentali sembrerebbe che l’esercito polacco sia fortissimo, in realtà ai ritmi di armamento e reclutamento attuali, occorreranno comunque due o tre anni per essere operativo, quindi non sono in grado attualmente di scendere in guerra contro la Russia, ma potranno soltanto contenerla al confine naturale rappresentato dal grande fiume Dnepr.

Una cospicua parte dell’esercito polacco dovrà rimanere schierato al confine con la Bielorussia, non potendo escludere, dal loro punto di vista, una possibile aggressione russa da quella parte, nel momento in cui la Polonia ufficialmente facesse entrare sul suolo ucraino le sue forze armate, perché sarebbe un atto di guerra.

Quindi, anche se è vero che i polacchi sono russofobi, non credo siano totalmente pazzi e suicidi, forse parte del governo ma non la maggioranza della popolazione, per cui non credo che affronteranno la Russia direttamente sostituendosi agli ucraini, per compiacere gli USA-UK, ma si limiteranno a cercare (non significa riuscirci) di portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo, approfittando della debolezza altrui.

Per concludere la conta dei morti e feriti anche da parte russa, riferisco per semplificare che la maggioranza degli analisti occidentali seri e indipendenti (non propagandisti NATO) stima in 1 a 8 il rapporto morti e feriti tra russi e ucraini (personalmente propenderei per 1 a 10), quindi le conclusioni traetele voi, tenendo conto di quanto ho riferito

In precedenza, cioè che l’artiglieria ucraina è ridotta a un decimo di quella russa, quindi i feriti russi da artiglieria sono infinitamente meno in proporzione, e l’assistenza e le cure ai soldati russi feriti è praticamente immediata e di elevatissima qualità, per cui il numero di invalidi e mutilati è ridottissimo.

Appare evidente a chiunque abbia avuto la pazienza di leggere questo mio modesto articolo, che le prospettive belliche dell’Ucraina sono ridotti al lumicino. Nonostante i loro sforzi non sono riusciti neppure ad avvicinarsi alla prima linea difensiva russa, e dopo ve ne sono altre due.

Finora tutti i numerosi attacchi ucraini sono stati fermati solo dagli avamposti difensivi russi, dai campi minati, dall’artiglieria mobile e delle retrovie e dall’aviazione leggera (perlopiù elicotteri e droni), che è riuscita in questi mesi a distruggere il 50% delle loro armi pesanti, soprattutto i mezzi corazzati, forniti dall’Occidente (quelli che avrebbero dovuto cambiare le sorti della guerra) e a uccidere tra i 40 e i 50mila soldati ucraini mandati all’attacco senza adeguata copertura aerea, come carne da cannone.

E nonostante queste evidenze oggettive, l’Occidente continua ancora a fornirli di armi, rendendosi moralmente responsabile della loro inutile morte e della sofferenza dei pochi sopravvissuti. Un’ignominia.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Pierluigi Fagan

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Pierluigi Fagan. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 PIERLUIGI FAGAN

1) Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

  • Nella categoria “occidentali” distinguerei americani (anglosfera a traino) ed europei. Non credo di possa dire che questi secondi hanno deciso alcunché, forse si è persa memoria dei primi giorni di conflitto. Gli europei non davano proprio l’idea sapessero cosa stava succedendo e cosa sarebbero stati costretti a fare pur poi rivendicandola come propria volontà. La natura stessa delle decisioni che hanno fatto finta esser frutto della loro volontà, dice di quanto in effetti non lo fosse affatto vedi vari suicidi energetici. Quanto agli americani, il decisore ha tenuto conto certo di aspetti militari, tanto quanto politici ed economici; tuttavia, l’ordinatore dell’impianto di decisione è stato geopolitico, ovvero strategico. Sul fatto che si sia rivelato fallace ho però un diverso giudizio da quello contenuto implicitamente nella domanda. Gli americani avevano almeno quattro obiettivi come ho scritto dai primi giorni del conflitto: 1) coinvolgere la Russia in una lunga e defatigante guerra sul modello appreso con la Guerra fredda vs URSS. Il motivo ed obiettivo era vario, si poteva sperare (da parte loro) una implosione nel medio-lungo termine o quantomeno depotenziare l’unico vero competitor militare che hanno per via dell’ultima arma, l’arsenale nucleare. Si pensi all’intervento russo verso la fine del conflitto siriano. Ciò in vista di futuri, possibili, conflitti tra cui quello diretto e decisivo nelle regioni artiche dove, tra l’altro, i russi hanno un vantaggio forte, ad oggi. È più probabile che il vero obiettivo di questo primo punto fosse il secondo aspetto qui declinato ovvero sgonfiare un po’ o un po’ tanto il principale competitor militare impegnandolo un una lunga e costosa guerra, in quanto il primo confligge con la semplice numerica delle possibili truppe russe ed ucraine impiegabili nel medio-lungo periodo; 2) lo metto per secondo punto ma secondo me, in termini strategici era il primo ovvero la veloce annessione egemonica dell’intera UE. È il più importante perché se l’ottica è stata geopolitica, il gioco geopolitico dei prossimi trenta anni è Occidente (o G7 allargato) vs Resto del mondo. Se ti devi preparare a quel gioco, è congruo sia creare massa al tuo comando, sia evitare che gli europei vagheggiassero un ruolo speculativo nel nuovo assetto multipolare come già stavano facendo. Questo obiettivo è stato pienamente raggiunto, in poco tempo, senza se e senza ma, contro ogni evidente interesse obiettivo di Germania, Francia, Italia. Inoltre, hanno ben mosso le pedine euro-orientali e scandinave accerchiando ogni velleità euro-occidentale, il che peserà anche nei destini futuri della stessa UE e dell’euro. Questo punto è quello che mi fa dubitare più di ogni altro sul giudizio di fallimento che date nella domanda; 3) il terzo punto era iniziare, vertendo sullo sdegno per l’invasione russa, il gioco di ripartire il mondo tra stati per bene e stati canaglia o come dicono loro tra “democrazie” ed “autocrazie”. Questa ultima è una partizione debole sul piano strategico, lì dove certi consiglieri hanno esagerato nel credere il mondo dei valori e delle idee così importante fuori della propaganda occidentale e pure con ampie contraddizioni come sappiamo relativamente a vari rapporti scabrosi che gli stessi americani hanno in giro per il mondo. Ha avuto o potrebbe avere una funzione ideologica per il pubblico interno occidentale, proprio per i prossimi conflitti, tra cui quello con la Cina che sappiamo essere il principale e decisivo. Tuttavia, sembra anche ci abbiano davvero creduto visto che il concetto era già stato lanciato in campagna elettorale da Biden ed hanno comunque portato al voto l’ONU su due risoluzioni cercando di imporre inutilmente il format “o con noi o contro di noi”, una ri-bipolarizzazione per giocare al gioco che conoscono meglio; 4) infine, molti ragionano di geopolitica dimenticandosi che è strutturalmente collegata alla politica interna. Gli Stati Uniti sono stati in una qualche guerra per quasi tutta la loro storia, oltreché per eredità antropologica barbarica (T. Veblen), perché il loro ordinamento ha fisiologico bisogno di farla. Il sistema militar-industrial/commerciale-tecnologico-congressuale, sa che la guerra è la fonte principale sia di sfide tecniche le cui soluzioni hanno poi vaste ricadute, sia di fondi. Fondi che l’americano medio è renitente a concedere. Biden promise alle elezioni il ritiro dall’Afghanistan (per altro promesso anche da Trump a cui poi hanno spiegato come vanno le cose nel mondo reale) anche perché l’americano medio, ignaro di questa vocazione necessaria ad una qualche guerra, non vede di buon’occhio tali impegni. Impegni, nonostante la grande spesa storica, che crescono nel tempo come l’apparente ritardo nelle armi ipersoniche e gli aggiornamenti del complesso atomico. La violazione del principio sacro alla sovranità da parte di Putin, è stato uno splendido motivo (coltivato) per ridare all’America il suo conflitto ed esuberare nel finanziamento all’industria che poi sviluppa il ciclo. Sapendo che il punto regge e non regge nella mentalità media americana, Biden darà l’impressione di volerlo sospendere, tempo di fare le elezioni. Quindi il 2) e 4) sono stati perseguiti, il 3) è agli inizi e vedremo come continueranno a giocarselo anche se ormai il tema si è trasferito in Oriente, sul 1) vedremo come finisce, quando e se finirà.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

 

  • Non vedo quindi errori strategici, forse qualcuno d’inciampo tattico, dal punto di vista americano. Il terzo punto prima espresso, in particolare, mostra una decisa mancanza di realismo in termini di conoscenza del mondo e sue profonde dinamiche. Errori del genere, solitamente, provengono dall’area ideologica che veste il conflitto di valori e temi morali, cose che notoriamente non hanno nulla a che fare con la geopolitica e la strategia. Ma è tipico della scuola liberale di “relazioni internazionali” che in US è più rilevante del realismo in genere e dell’approccio geopolitico. Vedremo come e se finirà o continuerà, un trattato di pace lo vedo impossibile, la guerra congelata sarà collegata alle elezioni americane. Se vincerà Biden, poi riprenderà. Se fosse davvero fino all’ultimo ucraino, potrebbe durare qualche anno sempre che i russi accettino questo tipo di gioco. Mi permetto di aggiungere un altro aspetto. Gli americani non hanno poi così tante strategie possibili, la loro contrazione è fisiologica ed irrimediabile, la loro capacità di adattarsi positivamente a questo destino, che ben gestito sarebbe poi tutt’altro che funesto dato che hanno parecchi fondamentali positivi, sembra molto scarsa. Non se ne vede traccia in nessun aspetto della cultura americana, anche quella “alta”. Dovrebbero al contempo cambiare modo di vivere e di pensare nei grandi numeri e data l’indisponibilità delle loro élite tanto repubblicane che democratiche, non mi pare possibile. È ormai un sistema che s’è solidificato negli ultimi settanta anni, molto complesso cambiarlo stante che nessuno ne mostra la volontà, neanche teorica. Quanto agli europei, non mi sembrano in grado neanche di porsi davanti l’argomento, élite ed opinioni pubbliche con gli intellettuali in mezzo. La crescente anzianità media congiura a retrocedere il tema futuro ad argomento con poco pathos.

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

  • Be’ il tema è un po’ troppo vasto per una risposta ad una domanda in questo formato. La crisi è ontologica, teoricamente affrontabile ma in pratica pare di no. I perché li rimandiamo perché dovremmo dettagliare “crisi” di cosa, da quando, in quale prospettiva ed anche per chi, gli Stati Uniti sono una cosa, lo stato-nazionale di taglia europea un’altra. L’Ue poi, non ne parliamo proprio. Propriamente è un argomento di categoria “storica” quindi assai complesso, irriducibile a poche battute.

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

  • Mah, Russia e Cina amalgamano modernità e tradizione, siamo noi ad aver schematicamente assunto modelli semplificati basati solo sulla storia europea dando di modernità un certo concetto e di tradizione anche. Segnalo però che la Cina non ha mai, di fatto, abbandonato il confucianesimo, ci sono passi del libretto rosso di Mao che sono copia-incolla da Confucio propriamente detto (che attenzione, non è -sic et simpliciter- il “confucianesimo”), semmai ne ha sottomesso provvisoriamente parte del complesso ideologico al maoismo. È stato quindi molto semplice togliere alcuni eccessi di Mao per far risplendere l’antico impianto, direi che non credo sia proprio possibile avere una immagine di mondo in Cina che non risenta profondamente del confucianesimo. La cultura cinese è intrisa di vari tipi confuciani tanto quanto la nostra di platonici, magari a loro insaputa. Il problema è conoscere il confucianesimo che al suo interno è tanto plurale quanto lo è la tradizione di pensiero europea (o quasi). La categoria “reazionario” è europea ed applicare etichette europee a culture non europee non è sempre possibile. Per la Russia il discorso è differente ma poi neanche così tanto, tuttavia trattare problemi “storico-culturali” di questo tipo e di altri mondi, qui, non è possibile. La revisione delle posture e delle ideologie europee per adattarsi ai nuovi tempi comporta ben altre complessità che non essere un po’ meno “moderni” ed un po’ più “tradizionali”.

Global India, di Alexei Kupriyanov

Per vincere la guerra delle economie, dove il nemico ha tutte le carte vincenti – da una solida quota del commercio mondiale alla stampa della valuta di riserva mondiale – abbiamo bisogno, come ci insegna la teoria militare, di una strategia asimmetrica. È inutile cercare di sfondare il muro delle sanzioni: bisogna imparare ad aggirarlo interagendo con le strutture dell’economia sommersa, scrive Alexei Kupriyanov.

Poco più di 75 anni fa, Jawaharlal Nehru, appena uscito di prigione, ha presentato per la pubblicazione La scoperta dell’India, la sua quarta grande opera scritta in carcere. Questa opera segnava la fine di quello che si potrebbe definire il suo “ciclo carcerario”, che comprendeva Lettere di un padre a sua figlia, Sguardi sulla storia del mondo e Autobiografia. In questi libri, il futuro Primo Ministro indiano delineò un concetto coerente che sarebbe servito come base di tutta la futura politica estera indiana. Egli sosteneva che, prima della conquista coloniale, l’India era una delle superpotenze mondiali, ma che poi, a causa di disaccordi interni e della mancata comprensione da parte dei suoi governanti dell’importanza dell’unità nella lotta contro una minaccia esterna, era caduta vittima dei conquistatori britannici. Dopo aver ottenuto l’indipendenza, l’obiettivo principale dell’India sarebbe stato quello di riconquistare lo status perduto di grande potenza e di porsi alla pari con gli altri grandi attori.

Oggi, nel 2023, l’India è più vicina che mai a raggiungere questo status. L’anno scorso ha superato la sua ex metropoli, la Gran Bretagna, in termini di PIL, diventando la quinta economia mondiale; quest’anno ha superato la Cina in termini di popolazione. Tutti gli altri segni dello status globale sono presenti (ad eccezione dell’esplorazione spaziale con equipaggio e di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite): un programma artico e antartico, il possesso di armi nucleari, un programma spaziale di successo e interessi in tutto il mondo. Per molti versi, l’India deve questo successo all’intuizione strategica delle sue élite e alla loro capacità di negoziare tra loro: chiunque sia al timone, continua a seguire la rotta tracciata da Nehru, correggendola solo leggermente a seconda dell’evoluzione della situazione mondiale. Grazie a questo approccio, l’India è riuscita a manovrare in tempo all’inizio degli anni ’90, quando il suo principale partner strategico, l’URSS, è scomparso dalla mappa del mondo.

Invece di entrare in crisi dopo la caduta dell’Unione Sovietica o di subire tutta la serie di umiliazioni che di solito seguono la sconfitta in una guerra, Nuova Delhi, grazie a una serie di abili manovre, è riuscita a inserirsi nel nuovo ordine mondiale e a trovare una nicchia per la sua economia. Il crescente bisogno di specialisti IT di vari profili ha permesso agli indiani di avviare un’espansione su larga scala nel mercato globale dei servizi, di trarre vantaggio dalla globalizzazione e di garantire tassi di crescita dell’economia fino al 9,6% all’anno. Ora il tasso è leggermente diminuito, ma tale crescita rimane una frontiera irraggiungibile per molti Paesi, tra cui la Russia.

India globale: due dimensioni

Le ambizioni globali dell’India hanno due dimensioni: quella politica e quella economica, che si differenziano sia per i meccanismi di attuazione della presenza indiana sia per le sue dimensioni.

Le élite politiche indiane pensano al mondo in termini di cerchi concentrici: il vicinato immediato, il vicinato allargato e il resto del mondo. Il primo comprende i Paesi dell’Asia meridionale (Nepal, Bhutan, Bangladesh, Myanmar, Sri Lanka, Maldive) e la regione dell’Oceano Indiano (Seychelles, Mauritius), la cui situazione e le cui relazioni sono critiche per la sicurezza dell’India. Nuova Delhi cerca di includerli nella sua orbita politica e militare e, in caso di conflitto, in un modo o nell’altro cerca di ripristinare lo status quo che le conviene. Così, nel 1988, le forze speciali indiane hanno liquidato un colpo di Stato nelle Maldive, un anno prima l’India è intervenuta in un conflitto nello Sri Lanka e alla fine degli anni ’90 ha sostenuto i separatisti in Myanmar. Il secondo cerchio comprende i Paesi dell’Africa orientale, del Medio Oriente e dell’Asia centrale e sudorientale, dove le grandi e medie imprese indiane sono più attive. Lì l’India protegge principalmente i propri interessi economici. Infine, nella terza area, Nuova Delhi cerca di plasmare l’immagine dell’India come una grande potenza responsabile che pretende di essere all’altezza dei pesi massimi del mondo nel decidere il destino del pianeta.

Questo schema concentrico poggia su un substrato storico che è stato accuratamente preparato da storici ed esperti indiani. Come qualsiasi altra politica del Vecchio Mondo con una storia di oltre trecento anni, gli indiani si sentono a loro agio quando una base storica culturale e filosofica affidabile viene posta sotto i loro costrutti geopolitici. Ecco perché la percezione indiana della regione indo-pacifica è così locale e limitata alle acque dell’Oceano Indiano e del Pacifico occidentale, e perché i progetti regionali indiani sono così poco combinati con quelli cinesi: se Pechino, nelle sue iniziative per ripristinare la Via della Seta, si concentra sulla rotta commerciale storicamente esistente tra la Cina e l’Europa, dove le polarità dell’Hindustan fungevano al massimo da punti di transito, l’India guarda al suo ruolo storico di centro di una vasta rete commerciale che copriva l’intero Oceano Indiano, il Mediterraneo orientale e il Pacifico occidentale.
Da un lato, ciò predetermina l’indisponibilità dell’India a rinunciare a questioni di status, soprattutto nel confronto con la Cina; dall’altro, consente la cooperazione con tutte le potenze pronte a riconoscere il ruolo di primo piano dell’India nella regione.
Nella dimensione economica, tutto è diverso. L’imprenditoria indiana non ha bisogno di una base storica e filosofica per diffondere operazioni commerciali in tutto il mondo. Ovunque ci siano rappresentanti della diaspora indiana (e sono presenti in quasi tutti i Paesi e le regioni del mondo, comprese Russia e America Latina), prima o poi appaiono nodi del sistema finanziario ed economico indiano, nonostante siano in gran parte informali. Lo Stato ha poco controllo su questo processo: le strutture che formano il sistema informale hanno meccanismi finanziari propri (hawala /hundi) che permettono di effettuare transazioni senza la partecipazione delle banche. Questa India globale esplora volentieri nuovi mercati, inventa nuovi modi per evitare le sanzioni e si assume rischi laddove le autorità non sono pronte a farlo.
ASIA ED EURASIA
L’India tra Russia, Stati Uniti e Cina
Alexei Kupriyanov
Esattamente dieci anni fa, nel 2012, il noto giornalista americano Robert Kaplan scriveva nel suo libro che, mentre le grandi potenze, Stati Uniti e Cina, si oppongono l’una all’altra, la situazione geopolitica dell’Eurasia nel XXI secolo sarà in gran parte determinata da quale direzione prenderà l’India.
OPINIONI

Modalità di interazione

I formati e i modi di interazione con queste due Indie sono diversi, ma richiedono tutti una flessibilità molto maggiore di quella dimostrata finora da Mosca. Nelle nuove condizioni geopolitiche, la sopravvivenza dell’economia russa dipende dal funzionamento ininterrotto delle rotte marittime e terrestri, dall’erosione del regime sanzionatorio con tutti i mezzi possibili e dal massimo sostegno ai Paesi che negli ultimi mesi sono stati definiti il “non-occidente collettivo” o la “maggioranza mondiale”, cioè coloro che occupano una posizione periferica nel sistema politico ed economico esistente e sono insoddisfatti del loro posto nel mondo.

Gli interessi di Russia e India nella dimensione politica coincidono, ma solo parzialmente. La strategia di sviluppo indiana è a lungo termine; nel suo ambito, Nuova Delhi risolve diversi compiti. I compiti principali sono garantire uno sviluppo economico stabile, raggiungere il terzo posto in termini di PIL globale e garantire l’accettazione dell’India nel circolo informale delle grandi potenze che risolvono le principali questioni mondiali. La soluzione del primo compito implica la costruzione di legami economici con gli Stati Uniti, l’Europa, l’Australia e il Giappone e l’attrazione di investimenti e tecnologie. Allo stesso tempo, per non diventare dipendente dall’Occidente, l’India cerca di espandere i legami con attori non occidentali, tra cui la Russia. La soluzione alla seconda implica regole del gioco chiare e una trasformazione graduale di un ordine mondiale generalmente stabile basato su queste regole, invece di una sua rottura decisiva.

Le azioni della Russia sulla scena mondiale rendono difficile la soluzione di questi problemi, costringendo la leadership indiana a compiere un miracoloso gioco di equilibri verbali. Da un lato, rimproverare i Paesi occidentali per la disattenzione nei confronti dei conflitti in altre regioni, dall’altro chiedere una rapida fine della crisi ucraina, poiché “non è il momento di fare guerre”.

Agli indiani non piace che Russia e Cina cerchino un riavvicinamento al Pakistan o che flirtino con Islamabad, ma soprattutto non piace l’incertezza. Nuova Delhi sarebbe felice se Mosca, dopo la fine del conflitto, spostasse la sua attenzione verso est, diventando un attore importante nella regione indiana e del Pacifico.
Tenendo conto dell’avversità idiosincratica che gli organismi di politica estera russi nutrono nei confronti dell’idea stessa di regione indo-pacifica, che tanto turba i partner indiani di Mosca, l’opzione migliore sarebbe quella di creare un nostro concetto, che enfatizzi l’interazione delle componenti terrestri, fluviali e marittime e che sia combinato con le disposizioni concettuali indiane.
Il desiderio di garantire la sicurezza delle rotte commerciali, il rifiuto di misure restrittive, il riconoscimento reciproco degli interessi nelle regioni dell’immediato vicinato e la disponibilità a una cooperazione reciprocamente vantaggiosa sull’intero spettro di questioni sono la base dell’interazione politica russo-indiana.

Per quanto riguarda la componente economica, tutto è più complicato e allo stesso tempo più facile. Per vincere la guerra delle economie, dove il nemico ha tutte le carte vincenti – da una solida quota del commercio mondiale alla stampa della valuta di riserva mondiale – abbiamo bisogno, come ci insegna la teoria militare, di una strategia asimmetrica. È inutile cercare di sfondare il muro delle sanzioni: bisogna imparare ad aggirarlo interagendo con le strutture dell’economia sommersa. Non sarà facile farlo, perché la macchina amministrativa dello Stato moderno semplicemente non è adatta a queste forme di interazione. Ma non c’è scelta: per sopravvivere nelle nuove condizioni, ha senso che la Russia cambi radicalmente la sua politica economica estera, perfezionando il meccanismo della ZES ed estendendolo a intere regioni e creando un sistema di “scatole nere” – strutture chiuse di quasi-mercato situate in parte in Russia e in parte all’estero, opache all’occhio vigile dei finanzieri e delle agenzie di intelligence occidentali e che permettono di pompare tecnologia e investimenti in Russia aggirando le sanzioni esistenti.

Naturalmente, per un Paese con un livello di centralizzazione storicamente così elevato, queste azioni non saranno indolori, ma il gioco vale la candela.

https://valdaiclub.com/a/highlights/global-india/

1 96 97 98 99 100 377